Harding e Calvin Coolidge, tra 1921 e 1928 i cittadini statunitensi conobbero stabilità e progresso culturale ed economico: in questi anni si sviluppò la musica jazz e soprattutto si diffusero i consumi di massa. D1, 3 Per esempio, grazie alla Ford modello T, prodotta e venduta a un prezzo accessibile, l’automobile divenne per la prima volta nel mondo padrona delle strade. D5 I «ruggenti anni Venti», come venne chiamato il decennio tra 1920 e 1929, rappresentarono quindi per gli Stati Uniti un’epoca di crescita e progresso straordinari. La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali FINLANDIA NORVEGIA Helsinki Oslo R E G NO U N ITO Londra Oceano BELGIO Bruxelles Atlantico Parigi M lt i c o a r LITUANIA GERMANIA U POLON IA Colonia S S Kiev CECOSLOVACCHIA Vienna SVIZZERA Bordeaux AUSTRIA Budapest UNGHERIA Milano Marsiglia ROMANIA Bucarest Belgrado Madrid Mar Nero IUGOSLAVIA I TA L I A Barcellona S PAG N A R Praga Monaco Lisbona Problemi interni e isolazionismo Mosca LUSSEMBURGO FRANCIA ANDORRA Riga LETTONIA Prussia Kaunas Danzica Orientale Berlino Varsavia Amburgo PAESI BASSI San Pietroburgo B Copenaghen Amsterdam Tallin ESTONIA a Mare d el Nord DANIMARCA Dublino IRLANDA PORTOGALLO Stoccolma SV E Z IA BULGARIA Roma Tirana Sofia ALBANIA Istanbul Ankara T U R C H I A GRECIA Algeri Tunisi Marocco (Fr.) A l g e r i a (Fr.) Tunisia (Fr. ) Atene Malta (R.U.) Mare Mediterraneo Siria (Fr.) Cipro (R.U.) L’Europa negli anni Trenta 7.1 Gli Stati Uniti dalla Grande crisi al New Deal I «ruggenti anni Venti» Gli Stati Uniti emersero dalla Prima guerra mondiale come la nuova e grande potenza mondiale. Gli altri partecipanti al conflitto soffrirono milioni di morti e uscirono dal conflitto prostrati economicamente e socialmente. Gli Stati Uniti invece patirono meno di centomila caduti e le loro capacità economiche non vennero minimamente intaccate. A metà degli anni Venti essi occupavano in campo industriale una posizio- ne dominante: producevano quasi la metà del carbone e del ferro mondiali, i due terzi del petrolio e oltre la metà dei macchinari di fabbrica. Inoltre, grazie alla forza del loro sistema produttivo e del dollaro, anche a livello commerciale e finanziario essi erano ormai la prima potenza del pianeta. Vantavano crediti per miliardi di dollari nei confronti di tutte le più grandi capitali d’Europa e con gli investimenti previsti dal Piano Dawes risollevarono le sorti della Germania nel dopoguerra. Anche sul piano interno la situazione si evolveva nel migliore dei modi. Sotto la presidenza di due politici repubblicani, Warren Non mancarono tuttavia problemi e contraddizioni. Nel 1919 era stato varato il divieto di bere alcolici. Questa politica proibizionista fu favorita dalla diffusa convinzione che l’abuso di alcool fosse immorale e causasse gravi danni sociali ed economici. Il proibizionismo restò in vigore fino al 1933, quando le autorità si resero conto di come esso avesse fallito i suoi obiettivi e anzi avesse favorito l’enorme proliferazione del contrabbando e della vendita clandestina di bevande alcoliche. Strettamente legato a questi traffici illegali fu in questi anni lo sviluppo del gangsterismo , immortalato da decine di pellicole cinematografiche. Nonostante il maggiore benessere avesse portato alla crescita della classe media, permanevano ancora larghe sacche di povertà e sottosviluppo. Il razzismo colpiva, soprattutto nel Sud, la popolazione di colore, discriminata e perseguitata dal Ku Klux Klan, famigerata organizzazione i cui affiliati si resero responsabili di gravi atti di violenza. Nuove e restrittive misure ostacolarono poi il flusso degli immigrati e resero più difficile recarsi negli Stati Uniti per cercare fortuna. Si diffuse nel paese un’ondata di xenofobia che non risparmiò l’emigrazione italiana: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due anarchici giunti in America al principio del Novecento, furono ingiustamente accusati (senza prove) di omicidio e giustiziati nel 1927. I militanti politici di sinistra fecero le spese – con l’arresto e, spesso, quando stranieri, con il rimpatrio negli Stati di provenienza – della red scare, la cosiddetta «paura rossa», ossia il timore che la diffusione delle idee anarchiche e socialiste potesse mettere a rischio democrazia e capitalismo americani. Più in generale, l’opinione pubblica statunitense scelse il disimpegno dalle vicende politiche internazionali e per parecchi anni questo fatto allontanò gli Stati Uniti dal resto del mondo. All’epoca si parlò di «isolazionismo» : termine che illustra efficacemente la tendenza di Washington a non intromettersi nelle dispute che agitarono (soprattutto in Europa) la politica internazionale dopo la Prima guerra mondiale. Emblema di questa politica isolazionistica fu la rinuncia ad aderire alla Società delle Nazioni. 24 ottobre 1929: il crollo di Wall Street Nonostante le ombre, niente lasciava pensare a un risveglio traumatico dal sogno di un progresso senza fine. Invece, accadde proprio questo. Nell’autunno del 1929, vendite sempre più ampie di titoli colpirono la Borsa di Wall Street, a New York. Il 24 ottobre, il cosiddetto «giovedì nero», furono messi sul mercato 13 milioni di azioni. I prezzi crollarono immediatamente e il panico si diffuse tra quanti avevano investito i propri risparmi nei titoli. Per giorni gli ordini di vendita si rincorsero senza soste e il valore delle azioni continuò a calare fino ad azzerarsi, mandando sul lastrico investitori grandi e piccoli. Un milione di americani venne colpito direttamente dal crack, ma i suoi effetti sul complesso dell’economia statunitense furono assai più gravi. In bre- 1915 Borsa: la Borsa è un mercato finanziario in cui vengono vendute e acquistate azioni (quote di società) e monete straniere. La Borsa di Wall Street è la maggiore del mondo per quantità di titoli scambiati. Dossier 1 p. 392 Dossier 3 p. 394 Dossier 5 p. 400 Tweet Storia p. 430 Wall Street durante il crollo del 1929. © Loescher Editore – Torino 126 isolazionismo: tendenza di uno Stato a isolarsi politicamente dalle vicende internazionali. L’isolazionismo condusse gli Stati Uniti a trascurare la minaccia nazista ed ebbe fine solo con l’attacco giapponese a Pearl Harbor, nel dicembre del 1941. © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 127 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto Crisi di sovrapproduzione e caduta dei prezzi delle merci Il crollo del valore dei salari statunitensi 100 90 80 70 60 Prezzi Prodotti invenduti Salari 50 40 anni 1926 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 ve, i «ruggenti anni Venti» si tramutarono nei drammatici anni Trenta. Ancora oggi si discute su quali cause abbiano determinato l’improvviso crollo della Borsa di Wall Street. Le interpretazioni sono diverse, ma la maggioranza degli studiosi ritiene che all’origine di tutto vi sia stata una crisi di sovrapproduzione: alla fine degli anni Venti, i magazzini delle fabbriche americane erano pieni di beni invenduti; dopo anni di continua crescita dei consumi, il mercato nazionale e internazionale era saturo e i prezzi delle merci cominciarono a calare. Secondo i precetti del liberismo classico, l’economia si sarebbe comunque autorego- Fila di afro-americani che aspettano una minestra e sullo sfondo cartellone pubblicitario che inneggia allo stile di vita americano («il più alto tenore di vita del mondo»). 1929 1930 1931 1932 1933 lata in modo efficiente. Non fu così: in un mercato azionario privo di regole, il peggioramento della salute di molte aziende e i primi fallimenti scatenarono vendite sempre più cospicue di titoli azionari e in breve si arrivò al «giovedì nero» del 24 ottobre 1929. [ I NODI DELLA STORIA p. 140] La Grande depressione Le banche – fonte primaria di credito ad aziende e privati – ricoprirono un ruolo cruciale nella diffusione della crisi. Molte di esse erano infatti direttamente coinvolte negli investimenti di Borsa e il crollo del «giovedì nero» ne determinò il tracollo. In seguito a numerosi fallimenti si arrestò il flusso dei prestiti che finanziavano lo sviluppo delle imprese, gli acquisti a rate da parte dei cittadini e i mutui per comprare una casa. La ridottissima disponibilità di denaro causò un crollo nelle vendite dei beni di consumo. I prezzi delle merci precipitarono, ma esse rimasero comunque invendute e le filiere produttive si fermarono. Il dissesto finanziario si trasferì allora sui cittadini, prima di tutto sotto forma di disoccupazione, e le difficoltà economiche si tramutarono in una devastante crisi sociale. Molte imprese fallirono e licenziarono gli operai. Chi si salvò dal licenziamento, ebbe comunque a disposizione un salario più basso che in passato: rispetto al 1929, nel 1932 il valore dello stipendio mensile di un lavoratore statunitense si era più che dimezzato. Ciò accentuò la crisi dei consumi interni e in- fluì ulteriormente sul calo della produzione industriale. Si stabilì così un circolo vizioso che contribuì al progressivo peggioramento di tutti i più importanti indicatori dell’economia nazionale. La produzione industriale, quasi raddoppiata tra 1913 e 1929, crollò, tornando nel 1933 ai valori d’anteguerra. Occorsero diversi anni affinché il sistema recuperasse la sua piena capacità e solo la Seconda guerra mondiale fornì la sollecitazione necessaria a rimettere in funzione tutte le fabbriche del paese. La crisi colpì anche le campagne: il calo dei prezzi agricoli costrinse molti coltivatori a cessare l’attività e abbandonare la terra. Nel 1929, con solo 1,6 milioni di senza lavoro, gli Stati Uniti godevano di un regime di pressoché piena occupazione. Nel 1933 i disoccupati raggiunsero l’iperbolica cifra di 12,8 milioni, circa un terzo della forza lavoro totale; nel 1937 erano 9 milioni. Anche in questo caso, solo la Seconda guerra mondiale e le straordinarie esigenze della produzione bellica riportarono l’America alla piena occupazione. Le immagini d’epoca, che ritraggono lunghissime code di diseredati alla ricerca di un pasto caldo, illustrano con grande immediatezza il disorientamento di quel periodo e una crisi a cui sembrava non esserci rimedio. La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali L’andamento del numero di disoccupati (milioni, 1929-1939) 14 12,8 12,1 12 11,3 10 8 10,4 10,6 9,5 9,0 8,0 7,7 6 4,3 4 2 1,6 0 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 La caduta della produzione industriale 180 160 140 120 100 80 1913 1920 1925 1929 60 Roosevelt e il New Deal Il crack economico colpì gli Stati Uniti durante la presidenza del repubblicano Herbert Hoover, che si dimostrò incapace di affrontare la crisi e passò alla storia per aver detto nel 1930, in piena tempesta: «La prosperità è dietro l’angolo». Alle elezioni del 1932, egli fu sconfitto in maniera schiacciante dal democratico Franklin Delano Roosevelt, che si fece promotore di un nuovo patto tra America e americani chiamato New Deal. [Testimonianze documento 6, p. 172] Secondo Roosevelt, doveva essere il governo di Washington a guidare la ricostruzione del paese, esercitando un controllo più stretto sull’economia. In ciò egli si ispirava alle teorie dell’economista inglese, secondo il quale per arrestare il circolo vizioso in atto e trasformarlo in un circolo virtuoso era necessario che lo Stato si accollasse il compito di far ripartire gli investimenti, 40 20 0 John Maynard Keynes. © Loescher Editore – Torino 128 1915 1933 New Deal: in inglese significa «nuovo accordo». Con questa espressione Roosevelt metteva l’accento sul nuovo patto che si instaurava tra governo e cittadini: le autorità avrebbero fatto il possibile per assicurare un rinnovato benessere agli americani. © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 129 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto si di una rivoluzione. Roosevelt fu infatti duramente contestato dai repubblicani e dalla parte più conservatrice della popolazione, ma i suoi interventi sull’economia ebbero un buona efficacia: poco dopo la metà del decennio, la produzione industriale statunitense era già tornata ai livelli precedenti la crisi. Anche se la disoccupazione rimase alta fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Roosevelt fu rieletto presidente nel 1936, con oltre il 60% dei voti, e ancora nel 1940. La diffusione della crisi nel mondo F.D. Roosevelt firma la Social Security Act, 1935. Manifesto prodotto dall’Agenzia per il riassetto agricolo, 1936. Spilla di propaganda del New Deal di Roosevelt, 1932. Le linee guida del New Deal Politica monetaria Svalutazione del dollaro; rialzo dei prezzi; controllo statale su Borsa e banche Politica sociale Difesa del salario minimo; riduzione dell’orario di lavoro; riconoscimento degli accordi sindacali; aiuti statali alle imprese in crisi; piano di lavori pubblici Politica agricola Sostegno a nuovi tipi di colture, oltre a cotone e grano in eccedenza Politica fiscale Aumento delle tasse per i più abbienti prima di tutto con le opere pubbliche. Dare lavoro alle imprese e ai salariati significava infatti incrementare i redditi e, di conseguenza, risollevare consumi, produzione e prezzi. Keynes suggeriva ai governi di entrare attivamente nella gestione dell’economia, regolando meglio o addirittura superando il laissez-faire tipico del liberismo. La misura di maggiore impatto adottata da Roosevelt sulla scorta di questa teoria fu il lancio di un ambizioso programma di lavori pubblici, che, come previsto, contribuirono a ridurre la disoccupazione e ad alimentare consumi e produzione. Fra tutti i progetti intrapresi, il più imponente fu la costruzione di una serie di dighe per sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del fiume Tennessee, opera che occupò migliaia di senza lavoro. Furono presi molti altri provvedimenti di varia natura. Leggi più severe impedirono alle banche di praticare manovre finanziarie speculative. Il dollaro fu svalutato per dare competitività ai prodotti americani sui mercati internazionali e favorire le esportazioni. La sovrapproduzione agricola fu combattuta incentivando gli agricoltori a passare da cereali, tabacco e cotone alle colture specializzate. E, allo scopo di proteggere la libera concorrenza, vennero puniti severamente gli accordi nascosti tra imprese. Per un paese che aveva fatto dell’iniziativa individuale una bandiera, si trattava qua- L’economia degli Stati Uniti era strettamente legata a quella di molti altri paesi. La crisi valicò dunque inevitabilmente i confini americani. Dapprima furono investiti il Giappone e l’America Latina. Poi fu la volta dell’Europa centrale, dove la depressione colpì soprattutto la Germania. Entro il 1932, infine, subirono i suoi effetti anche Regno Unito, Francia e Italia. Il prosciugarsi dei prestiti e degli investimenti statunitensi provocò ovunque la caduta della produzione e il fallimento delle imprese. La disoccupazione crebbe a livelli mai visti: nel 1934, in Germania, quasi la metà dei cittadini attivi era senza lavoro. E le misure protezionistiche, adottate da tutti i governi, portarono al crollo del commercio internazionale, che nel 1932 si era dimezzato rispetto al 1929. La crisi, che fu lunghissima e apparentemente senza sbocco, ebbe conseguenze politiche drammatiche. Da un lato, molti ritennero imminente la fine del capitalismo e si unirono alle fila dei movimenti socialisti. Tale idea era resa più convincente dal fatto che l’unico paese passato indenne nella bufera fosse l’Unione Sovietica, il cui sistema economico si contrapponeva apertamente a quello delle democrazie occidentali. In pochi capirono che la crisi riguardava non tanto il sistema capitalistico in sé quanto il pensiero economico liberista. E fino all’avvento di Roosevelt, quasi nessuno comprese che per combattere la depressione occorreva adottare misure radicalmente diverse da quelle usuali. D’altro canto, il malcontento sociale diede un potente impulso ai movimenti della destra autoritaria. E fu proprio raccogliendo l’insoddisfazione dei tedeschi che si affermò in Germania il nazismo. La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali 7.2 Dittature e democrazie in Europa Il continente delle dittature L’Europa uscita dalla Prima guerra mondiale era profondamente diversa da quella del 1914. Caduti gli imperi di Germania, Austria-Ungheria e Russia, erano nati numerosi nuovi Stati. Le monarchie si erano ridotte da 19 a 14; le repubbliche, al contrario, erano cresciute da 3 a 16. E poiché queste ultime adottarono regimi parlamentari, sembrò che la guerra avesse almeno favorito la diffusione della democrazia in Europa. Questa tuttavia si rivelò presto un’illusione. Le nuove repubbliche democratiche ebbero vita difficile e nel ventennio tra le due guerre molte di esse si trasformarono in regimi dittatoriali. Nel 1939 solo pochi tra i principali paesi avevano mantenuto un sistema politico parlamentare: Regno Unito, Francia, Cecoslovacchia, Olanda, Svizzera e gli Stati scandinavi. Tutti gli altri, a partire da Germania e Italia, erano guidati da regimi autoritari di destra. Le cause di questa svolta furono molte e non è difficile individuarne la principale. In molti paesi la popolazione e le classi dirigenti avevano scarsa familiarità con i principi dello Stato liberale, perciò i meccanismi della democrazia furono spesso facilmente distorti e piegati agli scopi di chi voleva distruggerli. Il percorso di Hitler nella Germania di Weimar è in questo senso esemplare. A questa si aggiunsero però altre cause, come le difficili situazioni economiche e sociali interne, l’assenza o la debolezza dei ceti medi e urbani, la crescita dei sentimenti nazionalistici, la paura dell’avanzata del comunismo. Tutti elementi che favorirono Hiltler insieme a Mussolini a Firenze nel 1938 durante la visita del Führer in Italia. © Loescher Editore – Torino 130 1915 pp. 166, 168 © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 131 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto L’Europa dei regimi totalitari FINLANDIA NORVEGIA Helsinki Oslo R E G NO U N ITO Londra Oceano Atlantico Parigi M Danzica Amsterdam PAESI BASSI Amburgo Berlino BELGIO GERMANIA Bruxelles Colonia LUSSEMBURGO Lisbona ANDORRA Monaco Vienna AUSTRIA SVIZZERA ico lt Mosca Prussia Kaunas Orientale U R S S Varsavia POLON IA Kiev Budapest UNGHERIA Bucarest Belgrado I TA L I A Roma LITUANIA ROMANIA Marsiglia Barcellona S PAG N A Riga Praga CECOSLOVACCHIA Milano Madrid ar Copenaghen FRANCIA PORTOGALLO ESTONIA LETTONIA a SV E Z IA Mare d el No rd DANIMARCA Tallin B Dublino IRLANDA Stoccolma San Pietroburgo IUGOSLAVIA Tirana Mar Nero BULGARIA Sofia ALBANIA Istanbul Ankara T U R C H I A GRECIA Algeri Marocco (Fr.) A l g e r i a (Fr.) Tunisi Tunisia (Fr.) M a r e Atene Mediterraneo Nazionalsocialismo e fascismo Regimi autoritari Regime comunista Democrazie parlamentari totalitarismo: il termine che indica la volontà dello Stato di mettere sotto controllo in maniera integrale l’esistenza dell’individuo e le sue attività politiche, sociali, economiche e culturali. la propaganda e l’affermazione delle forze della destra autoritaria. L’elenco dei paesi europei che, tra le due guerre mondiali, finirono nelle mani di un governo autoritario è impressionante. L’Ungheria fu guidata dall’ammiraglio Miklos Horthy già a partire dal 1920, la Spagna ebbe il generale Primo de Rivera nel 1923, la Polonia il maresciallo Josef Pilsudski nel 1926, il Portogallo fu dominato dal filofascista Antonio Salazar nel 1932, l’Austria finì sotto il controllo del cancelliere Engelbert Dolfuss nel 1933, la Grecia fu dominata dal generale Joannis Metaxas dal 1936. Questi dittatori erano sostenuti dall’esercito, da un diffuso apparato poliziesco e, in generale, dalla parte più conservatrice della popolazione, che chiedeva soltanto ordine, stabilità politica e benessere economico. È però importante sottolineare la diversità di questi regimi autoritari rispetto a quelli instaurati in Germania, Italia e Unione Sovietica, una differenza che va anche oltre la distinzione tra regimi di destra e sinistra. Hitler, Mussolini e Stalin, infatti, attraverso nazismo, fascismo e comunismo avevano toccato in maniera assai più profonda ogni settore della società e la vita stessa dei cittadini. Tanto che le dittature di questi tre paesi vengono definite «totalitarie». E il Novecento europeo è passato alla storia anche come il secolo dei totalitarismi . La guerra civile in Spagna La svolta dell’Europa verso i regimi autoritari culminò tra 1936 e 1939 nella guerra civile di Spagna. Nella prima parte del Novecento la Spagna aveva vissuto una situazione difficile: l’economia era gravemente arretrata; assai ampie erano le disuguaglianze tra ricchi e poveri e la società appariva rigidamente divisa in classi, fortemente subordinata al potere dei proprietari terrieri; perdurava inoltre la tradizionale rivalità tra la Castiglia, che accentrava tutte le funzioni di governo, e la Catalogna, che rivendicava maggiore autonomia. Per porre fine a queste tensioni, il generale Miguel Primo de Rivera instaurò una dittatura destinata a durare fino al 1931, anno in cui venne proclamata la Repubblica. Questa ebbe però subito vita politica travagliata per la strenua contrapposizione tra destra e sinistra. Il Fronte popolare, formato da repubblicani, socialisti, anarchici e comunisti, vinse le elezioni del 1936 e adottò dure misure contro i beni e i privilegi sociali della Chiesa. Introdusse la riforma agraria, combatté i proprietari fondiari e avviò il decentramento amministrativo dello Stato. Crebbero tensione e attentati politici, fino a quando un gruppo di ufficiali dell’esercito guidati dal generale Francisco Franco lanciò la ribellione contro il governo: era il luglio del 1936. Scoppiò allora una terribile guerra fratricida che insanguinò la Spagna per tre anni, sino alla primavera del 1939, causando un milione di morti e trecentomila esuli. Da un lato il nazionalismo di Franco era sostenuto dal movimento di destra della Falange, il cui programma rivendicava per la Spagna un governo autoritario, clericale, corporativo e imperiale. Dall’altro, le sinistre erano pronte a tutto per fermare la dittatura. Le parti in lotta misero in campo una violenza ideologica che lasciò sgomenta l’opinione pubblica europea. Alle uccisioni indiscriminate di preti e suore, al saccheggio e all’incendio delle proprietà terriere, si oppose il massacro ingiustificato dei lavoratori e dei loro familiari. A All’inizio del conflitto la Falange controllava solo la parte settentrionale del paese, ma nei due anni e mezzo successivi le sue truppe prevalsero grazie al migliore equipaggiamento e addestramento (e grazie ai consistenti aiuti ricevuti da Italia e Germania). Nel gennaio del 1939 Franco conquistava Barcellona, la maggiore roccaforte La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali La Spagna negli anni della guerra civile 1915 FRANCIA Paesi Baschi Burgos Navarra G alizia ANDORRA Saragozza Valladolid Guadalajara Madrid Toledo PORTOGALLO Lisbona Estremadura Catalogna Barcellona Teruel Castilla -La Mancha Badajoz Andalusia Cadice Cordoba Siviglia Granada Malaga Valencia Baleari Murcia M a r M e d i t e r ra ne o Stretto di Gibilterra Ceuta Zona repubblicana Zona nazionalista Avanzata nazionalista nel marzo del 1937 nel dicembre del 1938 nel marzo del 1939 repubblicana, e nel marzo successivo entrava nella capitale Madrid, ponendo fine alla guerra civile e assumendo il titolo di caudillo della Spagna. La dittatura franchista sarebbe durata fino al 1975. Il Regno Unito Dopo il 1918, la tenuta della democrazia parlamentare in Europa fu affidata al Regno Unito e alla Francia. Il Regno Unito del dopoguerra dovette prima di tutto risolvere il problema irlandese. Nell’isola, infatti, era in corso una guerra civile tra cattolici indipendentisti e protestanti legati a Londra. Venne scelta la solu- Miguel Primo de Rivera al centro con intorno i membri del suo governo, 1923. © Loescher Editore – Torino 132 Bilbao A st u ri e Album p. 142 caudillo: in spagnolo significa «capo». Ha lo stesso carattere politico e militaresco dell’italiano duce e del tedesco Führer. Franco contava sul decisivo sostegno della Chiesa e diceva dunque di essere «caudillo di Spagna per grazia di Dio». Alfonso XIII, re di Spagna, dovette lasciare il trono nel 1931. © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 133 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto Together («Insieme»), manifesto inglese di propaganda bellica per la collaborazione tra i popoli del Commonwealth, 1940, Londra, Imperial War Museum. autodeterminazione: diritto di ciascun popolo di scegliere la propria condizione politica. Commonwealth: termine inglese che significa «benessere comune». Il Commonwealth of Nations, nato a Londra nel 1931 con il trattato di Westminster, era una confederazione di Stati legati all’Impero britannico da interessi diversi. Oggi conta 53 membri. zione più logica: nel dicembre del 1921 nacque lo Stato libero d’Irlanda. Tuttavia sei province del Nord, abitate da una popolazione in maggioranza protestante, scelsero di rimanere con il Regno Unito e presero il nome di Ulster. I governi britannici dovettero anche affrontare numerose difficoltà economiche e sociali. La potenza commerciale del paese era notevolmente diminuita e per tutti gli anni Venti e Trenta esso fu afflitto da un calo della produzione industriale e da un notevole incremento del numero dei disoccupati. Le tensioni culminarono nel grande sciopero generale del 1926, che vide l’adesione di oltre quattro milioni di operai e, per ben sette mesi, l’astensione dal lavoro dei minatori. Tutto si risolse pacificamente, con un accordo tra governo, industriali e sindacati. Nel 1931, quando gli effetti della crisi americana arrivarono oltre Manica, si insediò un governo di unità nazionale composto da liberali, laburisti e conservatori che entro la metà degli anni Trenta riuscì a riportare l’economia ai livelli del decennio precedente. Questi fatti testimoniarono chiaramente la forza e la solidità della tradizione liberale inglese. La Francia Difficoltà economiche e sociali ancora maggiori toccarono la Francia, dove i contrasti tra sinistra e destra erano più aspri che nel Regno Unito. L’esperienza più importante del ventennio tra le due guerre maturò sotto il governo di Léon Blum, a capo dal 1936 di un Fronte popolare che univa tutte le forze di sinistra: radicali, socialisti e comunisti. Vennero allora regolamentati per legge i contratti collettivi di lavoro, fu introdotta la settimana lavorativa di 40 ore, l’industria bellica fu nazionalizzata, il sistema bancario venne riformato. Sotto la pressione delle destre, però, il governo del Fronte popolare cadde nel 1938. A quell’epoca, tuttavia, le tensioni causate dall’aggressività della Germania nazista erano già gravissime, e Parigi e Londra erano costrette a proiettarsi nuovamente nell’arena della politica internazionale, trascurando i problemi interni. 7.3 Il risveglio dei popoli extraeuropei Le prime richieste d’indipendenza La fine della Prima guerra mondiale segnò anche l’inizio della crisi per gli imperi coloniali europei. Il principio dell’autodeterminazione dei popoli, al centro dei Quattordici Punti di Wilson, fece breccia presso le classi più colte delle nazioni sottomesse e in molti paesi di Asia e Africa presero piede movimenti politici che chiedevano l’indipendenza. Così accadde in Algeria, Tunisia, Marocco e Indocina, sottoposte al controllo di una Francia che ancora credeva nella propria «missione civilizzatrice», e anche in diverse aree soggette al Regno Unito: per esempio in Egitto, che ottenne l’indipendenza nel 1922, sebbene rimanesse a Londra il controllo del Canale di Suez. Nel 1931 il Regno Unito fondò il Commonwealth , che riuniva Stati come Nuova Zelanda, Australia, Canada e Sud Africa, un tempo colonie e ora legati alla madrepatria da forti interessi economici, politici e culturali. Era l’indicazione di una possibile e diversa via da percorrere nel rapporto con i popoli sottoposti al dominio europeo. La Turchia di Atatürk Entrato nella Prima guerra mondiale a fianco degli imperi centrali, l’Impero turco era stato sconfitto dall’esercito britannico: nel 1920 il Trattato di Sevres aveva imposto al sultano turco condizioni di pace umilianti. Ma il movimento nazionalista turco, sotto la guida di Mustafa Kemal organizzò una resistenza sia contro le condizioni di pace sia contro lo stesso governo del sultano: in particolare, egli rivendicò la restituzione di tutti i territori tolti (oltre alla capitale, alla Turchia era stata lasciata solo l’area anatolica) e non riconobbe l’autorità del sultano. Nell’ottobre del 1923 Kemal proclamò la Repubblica di Turchia e avviò subito il paese sulla strada dell’occidentalizzazione e della laicità concedendo la libertà religiosa e il suffragio universale. Venne abolita la poligamia, fu imposta l’adozione dell’alfabeto latino (prima si usavano i caratteri arabi), si procedette alla riorganizzazione del sistema bancario e si applicarono tariffe protettive per l’industria. Kemal fu eletto presidente e governò per quindici anni, fino alla sua morte. Per questa sua opera di modernizzazione, si meritò il titolo di Atatürk, ossia «padre dei turchi». Il resto delle regioni appartenute al califfato venne affidato con la forma del mandato a Francia e Regno Unito, che sfruttarono questa opportunità per estendere la propria influenza sul Medio Oriente, ricchissimo di petrolio. Il nazionalismo arabo divenne però sempre più forte, favorendo negli anni Venti lo scoppio di rivolte anti inglesi in Siria e Iraq. Intanto proprio il Regno Unito incoraggiò il movimento sionista (che voleva uno Stato per gli ebrei) e promosse nel dopoguerra l’insediamento massiccio in Palestina di emigranti ebrei provenienti da tutto il mondo. Nacque così il problema della convivenza tra i nuovi arrivati, che consideravano la Palestina la Terra Promessa, e la popolazione araba, che viveva lì da molti secoli e considerava gli ebrei degli intrusi. Era una questione che avrebbe assunto rilievo dopo il secondo conflitto mondiale e improntato di sé la politica internazionale per il resto del Novecento (e che rimane tuttora irrisolta). La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali Un gruppo di ebrei che fanno la coda davanti ad un’agenzia di viaggi che si chiama Palestine & Orient LLoyd sperando di emigrare in Palestina da Berlino, 22 gennaio 1939. L’India di Gandhi La politica colonialista britannica incontrò i problemi maggiori in India. Qui operava fin dal 1885 il Partito del congresso, che raccoglieva il meglio della classe dirigente indiana. La collaborazione con queste forze locali era sempre stato il principio guida del governo coloniale, ma dopo la Prima guerra mondiale la richiesta di indipendenza si fece pressante. E quando, il 13 aprile 1919, le truppe inglesi si macchiarono del massacro di Amristar, uccidendo nel corso di una manifestazione circa quattrocento persone, il divario tra occupanti e occupati divenne incolmabile. A guidare il movimento indiano indipendentista fu Mohandas Karamchand Gandhi. Avvocato formatosi in Europa, Gandhi era di religione indù; proprio allacciandosi ai principi del pensiero induista, che predicano la ricerca della verità e il ripudio della violenza, egli fu fautore di una lotta non violenta contro i colonizzatori inglesi. La sua azione partiva dal presupposto che gli inglesi non avrebbero potuto governare l’India senza il Mohandas Karamchand Gandhi. consenso e la partecipazione degli indiani. Egli praticò il boicottaggio delle merci che venivano dal Regno Unito, la disobbedienza civile a leggi considerate ingiuste, il digiuno a oltranza. E predicò un’originale fusione tra modernità e tradizione, mirando a salvare la cultura tipica del popolo indiano. Riuscì in questo modo a crearsi un seguito di massa e a porre le premesse per l’ottenimento dell’indipendenza, che sarebbe giunta dopo la Seconda guerra mondiale. Guerra civile in Cina Nel 1912 la Cina era diventata una repubblica. Dal punto di vista formale essa era un paese indipendente, ma numerosi vincoli la legavano alle potenze coloniali. Le aree © Loescher Editore – Torino 134 1915 mandato: strumento giuridico della Società delle Nazioni per favorire lo sviluppo di popolazioni «non ancora in grado di reggersi da sé» e prepararle all’autogoverno. Il mandato era affidato a una potenza occidentale che esercitava un controllo più o meno stretto. Sionismo: movimento politico ebraico sorto alla fine dell’Ottocento con lo scopo di costruire in Palestina uno Stato indipendente per accogliere gli ebrei sparsi nel mondo. © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 135 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto Guerra cino-giapponese: una donna e un bambino in Cina guardano rassegnati la loro casa distrutta dai giapponesi, 1937. delle concessioni commerciali costiere, per esempio, si trovavano sotto controllo occidentale. L’instabile situazione politica interna non favoriva inoltre l’azione decisa dei governi, costretti a lottare continuamente contro i «signori della guerra», governatori locali che si dotavano di milizie proprie e tenevano Pechino sotto scacco. In questa situazione, modernizzare l’economia e la società cinesi sembrava un obiettivo impossibile, con centinaia di milioni di contadini legati alla terra e irrimediabilmente sottomessi ai proprietari più facoltosi. L’emancipazione sostanziale dalle potenze coloniali appariva inoltre estremamente difficoltosa, anche perché, proprio al termine della Prima guerra mondiale, ai desideri di conquista degli occidentali si erano sommati quelli del Giappone. A partire dal 1921, una forte lotta per la piena indipendenza dagli interessi stranieri fu lanciata dal Kuomintang, il partito nazionalista guidato da Sun Yat-sen. In una prima fase esso ebbe l’appoggio del Partito comunista cinese, fondato nello stesso 1921 sull’onda degli eventi russi e in cui si affermò presto come capo Mao Tse-tung. Era stata Mosca a chiedere ai comunisti cinesi di stringere questa alleanza, che durò però solo fino al 1925, quando Sun Yat-sen morì. Il suo successore alla guida del Kuomintang, Chiang Kai-shek, era poco favorevole alle radicali riforme sociali chieste dai seguaci di Mao ed entrò presto in urto con i comunisti; il dissidio divenne scontro aperto nel 1927. Mentre i nazionalisti si appoggiavano sull’esercito, sui ceti urbani e sui proprietari terrieri, i comunisti cercarono l’alleanza con l’immensa popolazione contadina della Cina. La guerra civile che ne scaturì sconvolse il paese, provocando un numero enorme di vittime, e si interruppe solo nel 1937, a causa dell’invasione giapponese. L’aggressività nipponica metteva infatti a rischio la stessa sopravvivenza della nazione. L’espansionismo del Giappone Dopo la vittoria nella guerra con la Russia del 1905 e l’alleanza nella Prima guerra mondiale con le potenze dell’Intesa, il peso internazionale del Giappone crebbe continuamente. Notevole fu soprattutto il progresso industriale e commerciale, che portò il paese nel novero delle maggiori potenze mondiali – nel campo delle costruzioni navali, della chimica e delle manifatture tessili. L’influenza determinante dei circoli industriali e soprattutto dei militari sul governo e sull’imperatore spinse però il paese verso una politica espansionistica. Il motivo di tale scelta era semplice: le isole nipponiche erano densamente popolate ma povere di risorse naturali; occorreva dunque assicurarsi il controllo di regioni più ricche, tra cui la Cina. Tra il settembre 1931 e il febbraio 1932 il Giappone dunque invase e conquistò la Manciuria, nella Cina settentrionale. A nulla valsero le pressioni esercitate dalla Società delle Nazioni affinché Tokyo ritirasse le sue truppe: le ingenti ricchezze minerarie e agricole della Manciuria divennero appannaggio del Giappone. Pochi anni più tardi le operazioni militari ripresero. Nel 1937, i nipponici attaccarono le truppe cinesi, sconfiggendole e giungendo a impadronirsi di Pechino in poche settimane. Fu allora che i nazionalisti del Kuomintang e i comunisti di Mao Tse-tung trovarono un accordo per porre fine alla guerra civile. Da lì in poi, le vicende della lotta tra giapponesi e cinesi si intrecciarono con quelle della Seconda guerra mondiale. La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali 7.4 L’Europa verso una nuova guerra La debolezza della Società delle Nazioni Lo scontro tra Cina e Giappone dimostrò l’impotenza della Società delle Nazioni, supremo organismo per la salvaguardia della pace fra gli Stati, voluto dal presidente Wilson. Questa organizzazione, creata nel 1919, aveva sede a Ginevra e all’epoca della sua fondazione sembrava fosse il modo migliore per evitare il ricorso alle armi. Ma proprio gli Stati Uniti, percorsi da una ventata di isolazionismo, rifiutarono di aderire al progetto: venne così a mancare alla Società il sostegno dell’unica potenza davvero in grado di mediare tra i contendenti in caso di contrasti. Altri due grandi Stati rimasero ai margini dell’assemblea di Ginevra. La Germania non fu accolta in quanto paese sconfitto: ammessa solo nel 1926, uscì poco dopo l’avvento del nazismo. L’Unione Sovietica comunista fu a sua volta esclusa nel dopoguerra per ragioni ideologiche e ammessa poi nel 1934. I risultati che la Società delle Nazioni ottenne furono scarsi, a causa sia dei deboli strumenti di controllo, sia della mancanza di un esercito con cui imporre con la forza, quando necessario, le proprie decisioni. Dopo l’invasione giapponese della Cina, il colpo definitivo alla sua credibilità venne dalla guerra d’Etiopia. Nel 1935, la Società comminò all’Italia sanzioni economiche che si dimostrarono del tutto inefficaci (non comprendevano materie prime essenziali agli scopi bellici come ferro, acciaio e petrolio) e alle quali peraltro non aderirono Stati Uniti e Germania. Alla metà degli anni Trenta era chiaro che la Società delle Nazioni non poteva garantire la sicurezza collettiva e la tenuta del sistema di Stati uscito dalla Prima guerra mondiale; esso inoltre venne attaccato da gruppi nazionalisti presenti in tutti i paesi europei. Democrazie e dittature a confronto nella guerra di Spagna Mao Tse-tung. Comunisti cinesi durante la Lunga Marcia, ottobre 1934. La guerra di Spagna fu il preludio allo scontro generale tra fascismi e antifascismi che © Loescher Editore – Torino 136 1915 © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 137 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto L’espansione della Germania tra 1935 e 1939 DA N I M A R C A Mare del Nord Mar Baltico Konigsberg Danzica Amburgo PA E S I BASSI Komintern: termine che deriva dalle parole tedesche Kommunistische Internationale. Riuniva tutti i partiti comunisti del mondo uniformandoli alle direttive di Mosca. Chiamata anche «Terza internazionale», fu fondata dai bolscevichi russi dopo il fallimento della Seconda internazionale, nel 1919, e durò fino al 1943. nel giro di pochi anni avrebbe insanguinato l’intera Europa. E dimostrò quanto profonda fosse la divisione ideologica tra i maggiori paesi del continente. I due contendenti della guerra civile trovarono infatti prontamente degli alleati nelle capitali estere. Per mezzo del Komintern , l’Internazionale comunista fondata a Mosca nel 1919, l’Unione Sovietica inviò a sostegno della repubblica spagnola armi e circa 40.000 volontari, di molte nazionalità diverse, che vennero inquadrati nelle Brigate Internazionali. Uniti in generale dall’antifascismo, i volontari erano in gran parte comunisti, e nelle loro file militarono anche diversi intellettuali di prestigio, come gli scrittori Ernest Hemingway, André Malraux e George Orwell, o l’italiano Carlo Rosselli. Dalla parte opposta, i franchisti ottennero l’aiuto di Hitler e Mussolini: i due dittatori avevano compiuto un cammino di avvicinamento reciproco che li portò a siglare nell’ottobre 1936 un accordo di cooperazione politica denominato «Asse Roma-Berlino». Il primo inviò in Spagna armi, e la Legione Condor, una formazione aerea che sperimentò nuove e distruttive tecniche di bombardamento sui centri abitati. Mussolini, il cui esercito era impegnato nel rimpiazzo delle truppe e degli equipaggiamenti perduti in Etiopia, offrì invece circa 50.000 soldati. Regno Unito e Francia, per non entrare in contrasto con Germania e Italia, non intervennero in alcun modo a favore della repubblica. Verso le potenze fasciste, esse adottarono anzi un atteggiamento accomodante, lo stesso perseguito in quegli anni per fronteggiare l’aggressività del nazismo in Europa centrale. Nell’agosto del 1936 promossero addirittura la firma di un accordo di non intervento negli affari spagnoli che venne sottoscritto anche da Hitler e Mussolini, ma fu rispettato solo da Londra e Parigi. Il risultato fu che i franchisti poterono contare su aiuti più consistenti e migliori di quelli che invece ricevette la repubblica: il confronto a distanza fu quindi vinto dai regimi autoritari. I quali rinsaldarono ancora la loro vicinanza nel novembre 1937, quando l’Italia aderì al Patto antikomintern, inaugurato l’anno precedente da Germania e Giappone. Dal riarmo tedesco all’Anschluss A far precipitare le tensioni internazionali fu l’avvento del nazismo in Germania. Hitler infatti non fece mistero fin da principio di voler cancellare la vergogna inflitta ai tedeschi dal Trattato di Versailles e riportare la Germania al rango di potenza continentale al pari di Francia e Regno Unito. Nessuno credeva che il nuovo cancelliere si sarebbe spinto oltre questi limiti e, anzi, il governo di Londra era convinto che fosse giusto consentire allo Stato tedesco di recuperare il suo antico prestigio. Le democrazie non fecero dunque niente per opporsi ai minacciosi passi di Hitler in campo internazionale. Era la cosiddetta politica dell’appeasement (letteralmente «pacificazione»), destinata a rivelarsi un completo fallimento e ad essere velocemente travolta dalla spregiudicata azione diplomatica del nazismo. L’avvicinamento alla Seconda guerra mondiale fu assai rapido. Nel marzo 1935, la Incoraggiato dall’inerzia delle democrazie, Hitler rivolse subito dopo la sua attenzione ai Sudeti, regione della Cecoslovacchia abitata da circa tre milioni di tedeschi: il suo obiettivo era invadere questo territorio e annetterlo alla Germania. Egli denunciò pretestuosamente le persecuzioni subite dalla minoranza tedesca e minacciò l’intervento militare. Per risolvere la crisi fu convocata la conferenza di Monaco, che si concluse il 30 settembre 1938: un patto (il Patto di Monaco) firmato da Regno Unito, Francia, Germania e Italia decretò lo smembramento della Cecoslovacchia e la cessione dei Sudeti alla Germania. Il primo ministro inglese Chamberlain, al rientro a Londra, agitò davanti ai giornalisti una dichiarazione con cui Hitler si impegnava a consultazioni internaziona- Saar annessione 1.03.1935 0 1.1 Francoforte FRANCIA Da nu 1915 Breslavia Praga Protettorato di Boemia e Moravia 16.03.1939 C E C O S L O V A C C H I A Slovacchia Vienna AUSTRIA Anschluss 13.03.1938 SVIZZERA I T A L I A UNGHERIA I UG OSL AVIA li per ogni futura controversia e disse: «È la pace per il nostro tempo». In realtà, Monaco rappresentò il definitivo cedimento delle democrazie al nazismo. La Germania occupò immediatamente i Sudeti e pochi mesi più tardi, nel marzo 1939, Hitler impose il protettorato tedesco su Boemia e Moravia, ancora indipendenti. La Cecoslovacchia cessava così di esistere. Alle soglie dell’estate, Hitler rivolse infine le sue mire sulla città polacca di Danzica, Anschluss: termine tedesco che significa «annessione». L’unione dell’Austria alla Germania era vietata espressamente da tutti i trattati di pace ma appariva naturale (in quella fase storica) ai popoli dei due paesi, accomunati in larga parte da lingua e cultura. Manifesto di propaganda in cui un soldato tedesco sorridente porge la mano aperta. Patto di Monaco: N. Chamberlain, E. Daladier, A. Hitler, B. Mussolini, Conte G. Ciano, Monaco, 1938. © Loescher Editore – Torino 138 .193 8 bio Monaco Varsavia POLONIA G E R M A N I A Renania rimilitarizzazione 7.03.1936 Reno L’ultimo anno di pace Visto la a Berlino Colonia Prussia Orentale Stettino Elb i B E LG IO Brema LUSSEMBURGO Soldati tedeschi rioccupano la Renania, 1936. 23.03.1939 LITUANIA Copenaghen et Germania annunciò la ripresa della coscrizione militare obbligatoria. Subito dopo, avviò un grande programma di riarmo. Nel marzo 1936, truppe tedesche occuparono la Renania, regione che secondo i trattati di pace doveva rimanere smilitarizzata. Due anni dopo, nel marzo 1938, i tedeschi entrarono in Austria, annettendola: l’Anschluss fu sanzionato da un plebiscito popolare tra gli austriaci, che approvarono con maggioranza schiacciante l’unione alla Germania. La scomparsa dell’Austria dava il colpo definitivo al sistema europeo ideato a Versailles. La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali S ud 2 © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 139 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto La firma del Patto d’Acciaio il 22 maggio 1939 a Berlino fra il ministro degli Esteri italiano Ciano e il ministro degli Esteri tedesco Ribbentrop. Al centro è seduto Hitler. anch’essa abitata in prevalenza da tedeschi. A Parigi e Londra si cominciò a temere che il dittatore volesse davvero costruire il Reich millenario di cui aveva parlato nel Mein Kampf. Francia e Regno Unito si impegnarono a garantire la difesa della Polonia. Negli stessi mesi, l’Italia aveva occupato l’Albania. Più che da esigenze militari e strategiche, Mussolini fu spinto a questa mossa dalla ricerca del prestigio necessario per giocare ad armi pari sul tavolo della politica internazionale, soprattutto nel momento in cui sembrava imminente lo scoppio di una nuova guerra europea. Per questo il capo del fascismo aveva voluto che la vicinanza tra Roma e Berlino si trasformasse in vera e propria alleanza militare: nel maggio 1939 era stato infatti firmato il Patto d’Acciaio tra le due capitali. Il segnale dell’inevitabilità della guerra giunse il 23 agosto 1939. Quel giorno fu annunciato che la Germania nazista e l’Unione sovietica comunista avevano firmato un patto di non aggressione (il «Patto Molotov-Ribbentrop» dal nome dei due ministri firmatari). La notizia dell’intesa provocò immenso stupore in tutto il mondo e gettò nello sconforto tanto le democrazie occidentali quanto i militanti di sinistra. Ora Hitler poteva lanciare il suo attacco: il patto con Stalin lo metteva infatti al riparo dal pericolo di una guerra su due fronti, incubo in passato di tutti i generali tedeschi. Non solo, l’accordo comprendeva un importante protocollo segreto in base al quale Hitler e Stalin si spartivano l’Europa orientale in sfere d’influenza, stabilendo dove sarebbero corsi i confini del Reich e dell’Unione Sovietica nei paesi baltici e in Polonia. I NODI DELLA STORIA Quali furono le cause della crisi del 1929? Il concetto di crisi economica non è dei più semplici e univoci. Nel corso della storia abbiamo incontrato spesso l’uso di questo termine, la cui origine è, non a caso, di origine medica e stava a indicare la fase acuta di una malattia. Nel corso della storia, solo per fare qualche esempio, crisi gravissime investirono l’Impero romano nel III secolo d.C. (crisi che fu alla radice del successivo crollo dell’impero), l’Europa del Trecento, con la tragica appendice della peste nera tra 1347 e 1351, oppure ancora l’Europa del Seicento, in quella che alcuni storici chiamano crisi «generale». E, ovviamente, come abbiamo visto, ci fu la Grande crisi del 1929. In realtà si tratta di fenomeni non solo differenti per epoca e contesto, ma anche per motivazioni. La crisi del ’29 fu una crisi legata alla crescita e non alla penuria. Le sue cause furono complesse ma in grande parte legate a due motivi. La crescita eccessiva della speculazione finanziaria in un quadro che non prevedeva quasi nessuna regola e l’eccesso di sovrapproduzione reso ancora più grave dalle reciproche politiche protezionistiche. L’illimitata fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi fu all’origine di un drammatico dibattito, anche 140 © Loescher Editore – Torino di natura teorica, che in forme diverse continua ancora oggi. I liberisti classici hanno continuato ad affermare la bontà di questa convinzione: per loro, la grave crisi fu legata a problemi contingenti e alla necessita del capitalismo di rinnovarsi periodicamente eliminando gli elementi obsoleti insiti nel suo sistema. Secondo il grande antropologo economico M. Polany il problema era invece un altro e cioè il fatto che «non è più l’economia ad essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali ad essere inseriti nel sistema economico». La totale dipendenza di ogni aspetto della vita umana dalla irrazionalità dei mercati produrrebbe, secondo questo autore, crisi sempre più gravi e il totale snaturamento dei rapporti sociali. Polany, che non era marxista e quindi fu guardato con sospetto dai partiti socialisti e comunisti dell’epoca, ha condotto una delle critiche più serrate al capitalismo novecentesco, individuando rischi di derive autoritarie nelle politiche di risposta alla Grande crisi. È utile ricordare che la Grande depressione scaturita dalla crisi finanziaria del ’29 durò per tutti gli anni Trenta; coincise con l’affermazione dei diversi totalitarismi novecenteschi; si concluse definitivamente solo con la Seconda guerra mondiale. 1921-1928 «Ruggenti anni Venti» 1921 Gandhi guida il movimento di indipendenza dell’India 1927-1937 Guerra civile in Cina 1929 Crollo di Wall Street 1932 Roosevelt Presidente degli Stati Uniti 1933-1939 New Deal 1936-1939 Guerra civile spagnola 1937 Invasione giapponese della Cina 1938 La Germania nazista annette l’Austria alla Germania La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali 1 A partire dall’ottobre 1929, una tremenda crisi economica e sociale devasta gli Stati Uniti, minandone la stabilità. Dopo un decennio di continua crescita, i «ruggenti anni Venti», una grave crisi economica e sociale si abbatté sugli Stati Uniti. In seguito al crollo della Borsa di Wall Street, a New York, che si verificò nel «giovedì nero» del 24 ottobre 1929, migliaia di banche fallirono, un numero ancora superiore di aziende cessò la produzione, e ben 12 milioni di lavoratori dell’industria e delle campagne persero l’occupazione. Alla base del dissesto vi furono la mancanza di regole nella gestione del mercato finanziario e la straordinaria sovrapproduzione del sistema industriale statunitense. Il culmine della depressione economica fu raggiunto nel 1933. 2 Il New Deal di Roosevelt e l’intervento dello Stato in economia riequilibrano la situazione americana, ma intanto la crisi si è trasmessa in tutto il mondo. La situazione migliorò solo con l’avvento alla presidenza del democratico Franklin Delano Roosevelt. Egli stabilì con i cittadini americani un New Deal, un «nuovo patto» che impegnava direttamente il governo nel rilancio del paese. La prima e più importante misura adottata valse a combattere in maniera decisiva la disoccupazione: un grandioso piano di opere pubbliche finanziate dallo Stato, che entrava così in prima persona nel gioco economico, rompendo le regole classiche del liberismo. Dopo la metà degli anni Trenta si avvertirono negli USA decisi miglioramenti e la produzione industriale tornò ai livelli precedenti la crisi. Intanto, però, questa era dilagata nel mondo, provocando ovunque fortissimi disagi sociali. Tutti i governi, inoltre, per difendere le rispettive economie adottarono misure protezionistiche che fecero crollare il commercio internazionale. 3 Regimi autoritari di destra si affermano in tutta Europa, mentre solo Francia e Regno Unito mantengono le istituzioni liberali e parlamentari. In quegli stessi anni, l’Europa vide affermarsi in molti paesi regimi autoritari di destra, favoriti proprio dall’insorgere della crisi economica e sociale. Non solo Germania e Italia scelsero la dittatura, ma anche l’Austria, il Portogallo, la Polonia, l’Ungheria e parecchi altri. Ricordiamo il generale Francisco Franco, che abbatté la repubblica e conquistò il potere in Spagna dopo una lunga e cruenta guerra civile. Essa fu la prima prova di forza tra fascismo e antifascismo europei: molti governi inviarono nella penisola iberica rinforzi ed equipaggiamenti, a favore dell’una o dell’altra parte. Nel periodo tra le due guerre mondiali, solo Francia e Regno Unito – tra i Paesi maggiori del vecchio continente e nonostante pesanti tensioni sociali – mantennero le istituzioni parlamentari tipiche del liberalismo. 4 Gli imperi coloniali cominciano a vacillare, ma la rottura dell’equilibrio internazionale avviene a causa di Hitler e delle mire di potenza della Germania. Divennero evidenti le difficoltà interne agli imperi coloniali. Emblematico fu il caso dell’India che già dopo la Prima guerra mondiale chiese al Regno Unito l’indipendenza sotto la guida di Mohandas Karamchand Gandhi. In Cina divampò la guerra civile tra nazionalisti e comunisti, interrotta nel 1937 dall’invasione giapponese. Proprio l’aggressività del Giappone, che mirava al dominio imperiale dell’intero sud-est asiatico, rappresentò la maggiore fonte di preoccupazione diplomatica in Estremo Oriente. A provocare però ancora una volta il crollo dei delicati equilibri internazionali fu l’Europa. Sotto Hitler, non adeguatamente contrastato da Londra e Parigi, la Germania nazista volle recuperare il suo status di grande potenza. Renania, Austria, Sudeti, Boemia e Moravia vennero incamerati tra 1936 e 1939, mentre il paese si riarmava massicciamente. Nell’estate del 1939, quando la Germania puntò le sue mire sulla Polonia, l’Europa si trovò sulla soglia di una nuova guerra. © Loescher Editore – Torino 141 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto La guerra civile spagnola tra mito e realtà Per gli europei degli anni Trenta la guerra civile spagnola fu un evento di fondamentale importanza per definire la propria appartenenza ideologica e quella del proprio nemico. E questo non solo in relazione alle vicende che si svolgevano sulla penisola iberica: la guerra civile spagnola fu un evento di dimensione europea che coinvolse giovani idealisti, rivoluzionari di professione, intellettuali militanti e pronti alle armi provenienti da ogni nazione. Scrittori, artisti e filosofi vissero e rappresentarono quel conflitto, nato dalla vittoria del Fronte popolare e dalla successiva sollevazione armata dell’esercito contro la Repubblica spagnola, come un momento del più generale scontro continentale tra fascismo e antifascismo. La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali L’internazionalizzazione dello scontro Le conseguenze dello scoppio della guerra in Spagna superarono i confini nazionali, mobilitando le passioni politiche in tutta Europa e creando l’occasione per un primo scontro armato tra fascismo e antifascismo. Numerosi volontari affluirono sulla penisola spagnola e furono ben presto organizzati e inquadrati nelle cosiddette Brigate internazionali, guidate ed egemonizzate dall’Internazionale comunista. Tuttavia, ben altro grado di organizzazione e di disciplina militare ebbero le forze da combattimento fasciste e naziste che furono inviate in Spagna da Mussolini e Hitler, fin dall’estate del 1936. Manifesto del sindacato spagnolo socialista che esorta i contadini a contribuire alle necessità della guerra. Manifesto franchista del periodo della guerra civile. La propaganda P. Picasso, Guernica, 1937, Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia. Una guerra totale La guerra civile spagnola fu una guerra totale in cui l’intera società fu coinvolta, artisti compresi. Il pittore Pablo Picasso, ispirandosi al tragico bombardamento della città basca di Guernica (aprile 1937), dipinse uno dei quadri più celebri del Novecento, in cui era rappresentata e denunciata tutta l’insensatezza e l’orrore della guerra, con il suo impatto devastante sull’uomo e sulla società. Le guerre civili spesso mirano a ridefinire i fondamenti di una comunità, per cui presuppongono la contrapposizione tra ideologie politiche o nazionali che alimentano la propaganda dei due gruppi combattenti. Durante la guerra di Spagna, lo sforzo propagandistico, che guardava tanto al fronte interno, quanto a quello internazionale, fu particolarmente intenso sia tra i franchisti che tra i repubblicani: tra i vari mezzi di comunicazione politica, i manifesti erano certamente i più immediati ed evocativi, per chiamare alla leva, per difendere la propria causa o per sollevare il morale dei combattenti. La parola d’ordine dei repubblicani, «no pasaran!», divenne un motto per tutti gli antifascisti europei. Tuttavia, non meno intensa era la battaglia ideologica all’interno del fronte repubblicano tra le sue diverse e conflittuali componenti (soprattutto quella comunista e quella anarco-sindacalista e libertaria), che giunse ad una resa dei conti violenta, nel maggio 1937, a Barcellona. Carri armati italiani sulla strada di Guadalajara, 1937. 142 © Loescher Editore – Torino Manifesto diffuso nella Spagna repubblicana per promuovere l’aspetto internazionale della guerra civile. © Loescher Editore – Torino 143 2 7 Totalitarismi e democrazie in conflitto Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 ATTIVITÀ 2 Osserva la cartina a p. 132 e, alla luce dei contenuti del capitolo, costruisci una cronologia della diffusione dei regimi autoritari in Europa. 1 Nel Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due anarchici italiani, sono accusati ingiustamente di omicidio e giustiziati ( ) 2 Tra il settembre e il febbraio il Giappone invade la Manciuria ( ) 3 Tra il e il si svolge la guerra civile spagnola che contrappone nazionalisti e repubblicani ( ) 4 Il 24 ottobre è ricordato come il «giovedì nero»: il crollo della Borsa di New York dà avvio a una crisi economica che coinvolgerà anche l’Europa ( ) 5 Nel sale al potere Franklin Delano Roosevelt, promotore del New Deal ( ) 6 Dal al ha luogo la guerra civile tra nazionalisti, guidati da Chiang Kai-shek, e comunisti, capeggiati da Mao Tse-tung ( ) 7 Nel sale al governo Léon Blum, capo del Fronte popolare, che avvia una serie di riforme sociali ( ) 8 Dal al è in vigore il proibizionismo, che stabilisce il divieto di produzione industriale e consumo di alcolici ( ) 9 Nel Kemal, in seguito soprannominato Atatürk, proclama la nascita della Repubblica di Turchia, avviando il paese sulla strada dell’occidentalizzazione ( ) 10 Nel il governo britannico accetta la formazione dello Stato libero d’Irlanda ( ) 11 Gli anni che vanno dal al sono ricordati come i «ruggenti anni Venti»: un’epoca di progresso e crescita straordinari ( ) 12 Nel viene firmato il patto di non aggressione che dava il via libera a Hitler per l’attacco alla Polonia ( ) Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo tra le due guerre mondiali. 1 2 3 4 5 6 7 8 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi scrivi tra parentesi il paese o i paesi coinvolti. 5 La crisi delle democrazie e delle relazioni internazionali Gangsterismo Xenofobia Contrabbando Azione (di società) Mutuo Manovra finanziaria speculativa Boicottaggio Disobbedienza civile Prova a riflettere sui significati di «liberismo» e «liberalismo» e spiega qual è la differenza tra i due termini. Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa alla crisi del 1929. Poi rispondi alle domande. Cause, conseguenze e soluzioni della crisi del 1929 Esplora il macrotema 3 Completa il testo. L’Europa uscita dalla Prima guerra mondiale è profondamente diversa da quella del 1914: caduti gli imperi di Germania, Austria-Ungheria e Russia, nascono numerosi Stati nuovi; le monarchie diminuiscono e, al contrario, aumentano le (1) a regime parlamentare. Per qualche tempo si ha l’impressione che la guerra abbia almeno favorito la diffusione della (2) in Europa; questo però ben presto si rivela un’illusione: infatti, oltre a Regno Unito e Francia, nazioni con solide tradizioni liberali ed elevate risorse economiche, solo Cecoslovacchia, Olanda, Svizzera e Stati scandinavi mantengono un sistema politico (3) ; al contrario in Ungheria, Polonia, Portogallo, Austria e Grecia si instaurano regimi autoritari di destra, mentre in Italia e Germania si affermano nazismo e fascismo, che distruggono lo Stato liberale e instaurano regimi (4) . Le cause di questa svolta sono molte. La motivazione principale è data dalla scarsa familiarità della popolazione e delle classi dirigenti di molti paesi con i principi dello Stato (5) . Tra le altre cause vi sono: le travagliate situazioni economiche e sociali interne, l’assenza o la debolezza dei ceti medi e urbani, la crescita dei sentimenti nazionalistici, la paura dell’avanzata del (6) . La guerra di Spagna è il preludio allo scontro generale tra fascismi e antifascismi. Essa dimostra la profondità della divisione ideologica tra i maggiori paesi del continente; i due contendenti della guerra civile, infatti, trovano prontamente alleati nelle capitali estere: i repubblicani ricevono aiuti dall’(7) , i franchisti, invece, sono sostenuti da Hitler e Mussolini. 144 © Loescher Editore – Torino Mostra quello che sai 7 1 Quali sono le cause dell’aumento della disoccupazione? 2 Quali sono le cause del fallimento delle aziende prima e durante la crisi del ’29? 3 Attraverso quali provvedimenti Roosevelt riesce a risolvere la crisi? Osserva l’immagine a p. 128 e spiega perché questa foto è emblematica della crisi del 1929 negli USA. © Loescher Editore – Torino 145