Libretto - I Teatri

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Collana
LIBRI ALL’OPERA
Teatro Municipale Valli, 21 e 23 aprile 2010
La Cenerentola
ossia La bontà in trionfo
Dramma giocoso in due atti
musica di
Gioachino Rossini
libretto di
Jacopo Ferretti
Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro
in collaborazione con Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano
a cura di A. Zedda.
Edizioni del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2010
Libro programma a cura di Lorenzo Parmiggiani e Mario Vighi
Ufficio stampa, comunicazione e promozione
In redazione: Veronica Carobbi
L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le
immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Notizie
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La vicenda
Atto I
Antica sala terrena nel castello del Barone
Don Magnifico, barone di Montefiascone, vive nel suo castello con le figlie
Clorinda e Tisbe, viziate e trattate con tutti i riguardi, e la figliastra Angelina (detta Cenerentola), costretta invece ai lavori più umili. Angelina si consola intonando
la canzone («Una volta c’era un re») che narra come un principe partì alla ricerca
di una sposa, trovò tre pretendenti e scelse, alla fine, la più innocente e buona. Un
mendicante bussa alla porta; mentre Clorinda e Tisbe lo respingono, Angelina ha
compassione di lui e gli dà qualcosa da mangiare. Giunge un gruppo di cavalieri,
che reca un invito per Don Magnifico e le sue figlie: il principe darà una festa e
sceglierà la sua sposa tra le invitate. Clo­rinda e Tisbe sono prese dalla frenesia;
il loro cicaleccio sveglia Don Magnifico, che si alza di cattivo umore e racconta
lo strano sogno che stava facendo (aria «Miei rampolli femminini»), sicuro presagio di un’imminente fortuna. Le figlie lo informano dell’invito alla festa: Don
Magnifico è sicuro che tutto ciò confermi il suo sogno. Compare Don Ramiro, il
principe, in abito da scudiere.
Il travestimento gli è stato suggerito dal suo precettore, il filosofo Alidoro, che già
ha compiuto un sopralluogo in casa di Don Magnifico nelle vesti del mendicante.
Come il principe scorge Angelina, scocca il colpo di fulmine. Interrogata sulla sua
identità, la ragazza, confusa, dà risposte evasive (scena e duetto «Un soave non
so che»). I cavalieri introducono Dandini, cameriere del principe, che per ordine
del suo signore ne ha indossato i panni (coro e cavatina «Come un’ape ne’ giorni
d’aprile»): il principe vuole restare incognito e osservare così le pretendenti per
indovinarne le intenzioni. Don Magnifico, Tisbe e Clorinda rendono omaggio
a Dandini, che credono il vero principe. Angelina chiede il permesso di accompagnare le sorelle a palazzo, ma Don Magnifico le impone di tacere, spiegando
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agli astanti che la ragazza è solo la governante (quintetto «Signor, una parola»).
Don Ramiro, che assiste alla scena, trattiene a stento la sua indignazione. Alidoro,
rimasto solo con Ange­lina, la consola e la tranquillizza assicurandole che sarà lui
ad accompagnarla alla festa del principe (aria «Là del ciel nell’arcano profondo»).
Gabinetto nel casino di Don Ramiro
Dandini solletica l’amor proprio di Don Magnifico nominandolo cantiniere del
castello; intanto Clorinda e Tisbe cercano di mettersi in buona luce agli occhi del
principe, riuscendo solo a mostrare la loro vanità e arroganza (finale primo). Suoni
di festa annunciano l’arrivo a palazzo di un personaggio importante: è una dama
elegantissima e velata, che mette tutta la corte in soggezione. Quando si toglie il
velo, appare una fanciulla bellissima: è Angelina, condotta al ballo da Alidoro; pur
notando la somiglianza, nessuno riconosce in lei Cenerentola.
Atto II
Gabinetto nel palazzo di Don Ramiro
Don Magnifico, Trisbe e Clorinda sono preoccupati per l’apparizione ina­spettata
della bella concorrente, che rischia di mettere tutti fuori gioco. Don Magnifico
non ha la coscienza tranquilla: per mantenere nel lusso e nell’ozio le due figlie ha
sperperato l’eredità di Angelina; ora spera di far sposare una delle due al principe
per risollevare le sorti del suo casato (aria «Sia qualunque delle figlie»), e già si
vede installato a corte e assediato dai questuanti. Don Ramiro – colpito anch’egli
dalla somiglianzà tra la bella incognita e quella che crede la governante di Don
Magnifico – sorprende la conversazione di Dandini e Ange­lina: la fanciulla respinge la richiesta di matrimonio del falso principe, dichia­rando di amare il suo
scudiero. Felice, il vero principe si mostra e chiede la sua mano. Angelina gli dona
un braccialetto e pone una condizione: sarà sua se egli saprà ritrovarla e se non gli
spiacerà la sua vera identità. Don Ramiro riprende le sue vesti e parte subito, esultante, alla ricerca dell’amata (scena e aria «Sì, ritrovarla lo giuro»). Don Magnifico
raggiunge ora Dandini, che continua nella finzione e si prende gioco di lui (duetto
«Un segreto d’importanza»), appresa a poco a poco la verità, Don Magnifico, furibondo, vede svanire i suoi progetti.
Sala terrena con camino in casa di Don Magnifico
Rientrata dalla festa, Cenerentola è di nuovo accanto al fuoco e sogna del principe (canzone «Una volta c’era un re»). Il sogno è interrotto dall’arrivo di Don
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Magnifico e delle sorellastre, che sfogano su di lei la loro irritazione. Scoppia intanto un temporale, a causa del quale la carrozza di Don Ramiro si rovescia proprio davanti alla casa di Don Magnifico. Il principe entra, cercando riparo dalla
pioggia. Don Magnifico tenta ancora di ingraziargli una delle due figlie, cercando
di far passare Angelina per la governante. Ma il principe riconosce al braccio di
Angelina un braccialetto simile a quello che ha ricevuto in dono; tra lo stupore
generale si fa riconoscere da lei (sestetto «Siete voi?... Voi prence siete?») e la indica come la sua futura sposa. Alidoro invita le sorellastre a rasse­gnarsi: Clorinda
cercherà un altro marito e Tisbe chiederà perdono a Cenerentola.
Atrio con festoni di fiori illuminato.
La corte rende omaggio alla nuova principessa. Angelina chiede al suo spo­so perdono per la sua famiglia: la sua bontà naturale le ha fatto dimenticare ogni ingiustizia (coro, scena e rondò finale «Nacqui all’affanno, al pianto»).
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Rossini (1792-1868)
Gioachino Rossini nasce a Pesaro il 29 febbraio 1792, il padre è suonatore di
tromba e corno, la madre cantante. Studia a Lugo e, dal 1806 al 1810, al Liceo
Musicale di Bologna, allievo dell’abate Mattei. In questi anni com­pone 2 sinfonie, arie, una cantata e un’opera, Demetrio e Polibio, rappre­sentata a Roma nel
1812. Il suo esordio in teatro avviene però nel 1810, a Venezia, con La cambiale di matrimonio. L’anno seguente va in scena L’equivoco stravagante, e nel 1812
ben 5 opere: L’inganno felice, Ciro in Babilonia (sua prima opera seria), La scala
di seta, La pietra del paragone (grande successo alla Scala) e L’occasione fa il ladro.
Nel 1813, a Venezia, segnano la sua definitiva affermazione Il signor Bruschino
e Tancredi, suggellata dal trionfo de L’Italiana in Algeri. All’insuccesso scaligero
(1814) dell’Aureliano in Palmira segue il successo, sempre alla Scala, de Il turco in Italia. Lasciata Venezia per Napoli, chiamatovi dall’impresario Domenico
Barbaja, dà inizio al cosiddetto periodo napoletano-romano (durante il quale è in
realtà presente su tutte le maggiori scene italiane) che dura fino al 1823. Con Il
Barbiere di Siviglia, rappresentato a Roma nel 1816, è al vertice della gloria, cui
seguono l’anno successivo La Cenerentola e La gazza ladra (scritta per la Scala). A
Napoli firma le più importanti opere del repertorio “serio”: Otello, Armida, Mosè
in Egitto, Ricciardo e Zoraide, Ermione, La donna del lago, Maometto II e Zelmira.
Nel contempo scrive Adelaide di Borgogna, Adina (rappresentata a Lisbona nel
1826), Matilde di Sliabran. Nel 1822 sposa il soprano spagnolo Isabella Colbran,
interprete delle sue opere. Nell’anno seguente l’opera Semiramide, rappresentata a
Venezia, conclude la sua attività in Italia. Su invito di G. B. Benelli, impresario del
King’s Theatre, si reca a Londra, dove dirige Zelmira e la nuova cantata Il pianto
delle Muse per la morte di Lord Byron. A Parigi si insedia alla fine del 1824, scrive
Un viaggio a Reims (in occasione della incoronazione di Carlo X), adattandosi al
gusto francese revisiona Maometto II e Mosè in Egitto che divengono Le siége de
Corinthe (1826) e Moise et Pharaon (1827), utilizza parte del Viaggio a Reims per
Le comte Ory (1828). Con Guillaume Tell (1829) dà l’addio alle scene. Compone
in seguito lo Stabat Mater, la Petite Messe Solennelle, cantate, varia musica sacra, le
musiche di scena per Edipo Re di Sofocle, musica vocale, strumentale e da camera.
Dal 1836 al 1848 è in Italia (Milano, Bologna, Firenze), poi ritorna a Parigi. Nella
sua villa di Passy muore il 13 novembre 1868.
Il librettista, Jacopo Ferretti (1784-1852)
Nato a Roma, introdotto precocemente dal padre allo studio della letteratura, Ferretti, già in giovane età, padroneggiava, oltre al latino ed al greco antico,
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anche l’inglese ed il francese. Nel 1803 pubblicò la prima raccolta di versi, e la
sua vocazione pre­cocemente rivelata lo fece accogliere nel 1806 nell’Arcadia e
poi nell’Accademia Tiberina. Avvicinatosi alla musica nel salotto del mu­sicista
Giuseppe Sirleti, la sua vena facile e brillante ri­conobbe la sua vera strada nel
mondo del teatro d’opera. Il lavoro nell’ambiente teatrale fornì a Ferretti un agile
dominio delle strutture e delle convenzioni della tradizione melodrammati­ca, di
cui si fece trasmettitore scherzoso e ironico. La naturale vena comica lo indusse a
volgersi all’opera buffa d’ascendenza napoletana, che egli arricchì d’interessi sociali
e di costume. Esordì nel 1806 con il testo di una cantata per Filip­po Grazioli, e nel
periodo 1810-17 scrisse per i teatri Valle e Argentina (di quest’ultimo fu nominato
«rappresentatore perpetuo», ossia rinnovatore dei vecchi libretti per adattarli al
gusto più attuale). Accanto all’attività di poeta di teatro fu ordinatore di archivi e
curatore delle raccolte della Biblioteca Teatrale. Scrisse per Rossini anche Matilde
di Shabran nel 1821, e per Donizetti Zoraide di Grenata, L’ajo nell’imbarazzo, Olivo
e Pasquale, Il furioso nell’isola di S Domingo e Torquato Tasso.
‘La Cenerentola’ (e Rossini) a Reggio Emilia
(a cura di Francesco Giuseppe Sassi)
Personaggi
Don Ramiro, Dandini, Don Magnifico, Clorinda, Tisbe, Angelina, Alidoro.
1920 (prima recita: 30 marzo)
Domenico Ranzato, Emilio Ghirardini, Gaetano Azzolini, Luisa Furlotti, Norma
Mazzoleni, Fanny Anitua, Giuseppe Mattioli. Direttore Amilcare Zanella.
1979 (due recite dal 2 marzo)
Paolo Barbacini*, Alberto Rinaldi, Ferruccio Furlanetto, Mariella Adani, Haengel
Aracelly, Martine Dupuy, Alfredo Giacomotti. Direttore Alberto Zedda, maestro
del coro Valentino Metti, regista Aldo Trionfo, scenografo-costumista Emanuele
Luzzati.
1991 (tre recite dall’11 gennaio)
Rockwell Blake / Maurizio Comencini, Roberto Frontali /Angelo Romero,
Domenico Trimarchi / Alfonso Antoniozzi, Lucietta Bizzi / Cristina Pastorello,
Antonella Trevisan / Sonia Ganassi*, Lucia Valentini Terrani / Raquel Pierotti,
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Michele Pertusi / Marcello Crisman. Direttore Houbert Soudant, maestro del
coro Marco Faelli, regista Jean-Pierre Ponnella.
1996 (tre recite dal 2 gennaio)
Raul Gimenez, Pietro Spagnoli, Alfonso Antoniozzi, Lucia Scilipoti, Tiziana
Carraro, Sonia Ganassi*, Simone Alberghini. Direttore Alberto Zedda, maestro
del coro Roberto Parmeggiani, regista Pier Luigi Pizzi.
( * cantanti reggiani)
Con l’allestimento attuale, La Cenerentola viene presentata per la quinta volta al Teatro Municipale. Altrettante volte fu data, dal 1820 al 1839, al Teatro di
Cittadella.
Rossini al Municipale: Il barbiere di Siviglia: 14 presenze, L’Italiana in Algeri: 3;
Guglielmo Tell, Il signor Bruschino, Il Turco in Italia: 2; La scala di seta, Le Comte
Ory e Tancredi: 1.
Discografia
(a cura di Liliana Cappuccino)
Personaggi
Angiolina (Cenerentola), Don Magnifico, Dandini, Ramiro, Alidoro, Clorinda, Tisbe.
CD
(selezione di edizioni in cd)
Marina de Gabarain, Ian Wallace, Sesto Bruscantini, Juan Oncina, Hervey Alan, Alda
Noni, Fernanda Cadoni; Glyndebourne Festival Chorus and Orchestra; dir. Vittorio Gui
Emi (2 cd), 1953
Teresa Berganza, Paolo Montarsolo, Renato Capecchi, Luigi Alva, Ugo Trama,
Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Coro e Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino; dir. Claudio Abbado
Memories (3 cd), 1971 (live)
Teresa Berganza, Paolo Montarsolo, Renato Capecchi, Luigi Alva, Ugo Trama,
Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Scottish Opera Chorus, London Symphony
Orchestra; dir. Claudio Abbado
Deutsche Grammophon (3 cd), 1971
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Lucia Valentini Terrani, Paolo Montarsolo, Enzo Dara, Luigi Alva, Claudio Desderi,
Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala; dir.
Claudio Abbado
Gala (2 cd), 1976 (live)
Lucia Valentini Terrani, Enzo Dara, Domenico Trimarchi, Francisco Araiza, Alessandro
Corbelli, Emilia Ravaglia, Marilyn Schmiege; Chor des Westdeutschen Rundfunks,
Orchestra Cappella Coloniensis; dir. Gabriele Ferro
Fonit Cetra (3 cd), 1980
Cecilia Bartoli, Enzo Dara, Alessandro Corbelli, William Matteuzzi, Michele Pertusi,
Fernanda Costa, Gloria Banditelli; Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna;
dir. Riccardo Chailly
Decca (3 cd), 1992
Joyce DiDonato, Bruno Praticò, Paolo Bordogna, José Manuel Zapata, Luca Pisaroni,
Patrizia Cigna, Martina Borst; Prague Chamber Choir, SWR Radio Orchestra
Kaiserslautern, dir. Marco Bellei
Naxos (2 cd), 2005
Vesselina Kasarova, Bruno de Simone, Vladimir Chernov, Antonino Siragusa, Paolo
Pecchioli, Maria Laura Martorana, Judith Schmid; Chor des Bayerischen Rundfunks,
Münchner Rundfunkorchester; dir. Carlo Rizzi
Sony BMG (2 cd), 2006
Giulietta Simionato, Paolo Montarsolo, Sesto Bruscantini, Ugo Benelli, Giovanni Foiani,
Dora Carrai, Miti Truccato Pace; Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino; dir.
Oliviero de Fabritiis
Decca-Eloquence (2 cd), 2006
Video
Frederica von Stade, Paolo Montarsolo, Claudio Desderi, Francisco Araiza, Paul Plishka,
Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala; dir.
Claudio Abbado; regia Jean Pierre Ponnelle
Deutsche Grammophon, dvd, c1981
Kathleen Kuhlmann, Claudio Desderi, Alberto Rinaldi, Laurence Dale, Roderick
Kennedy, Marta Taddei, Laura Zannini; Glyndebourne Chorus, London Philharmonic
Orchestra; dir. Donato Renzetti; regia John Cox
NVC Arts, dvd, c1983/2004
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Ann Murray, Walter Berry, Gino Quilico, Francisco Araiza, Wolfgang Schöne, Angela
Denning, Daphne Evangelatos; Chorus of the Vienna State Opera, The Vienna
Philharmonic Orchestra; dir. Riccardo Chailly; regia Michael Hampe
Arthaus Musik, dvd, c1988
Cecilia Bartoli, Enzo Dara, Alessandro Corbelli, Raúl Gimenez, Michele Pertusi, Laura
Knoop, Jill Grove; Houston Grand Opera Chorus, Houston Symphony Orchestra; dir.
Bruno Campanella; regia Bruno De Simone
Decca, dvd, c1996
Ruxandra Donose, Luciano Di Pasquale, Simone Alberghini, Maxim Mironov, Nathan
Berg, Raquela Sheeran, Lucia Cirillo; Glyndebourne Chorus, London Philharmonic
Orchestra; dir. Vladimir Jurowski; regia Peter Hall
Opus Arte, 2 dvd, c2006
Sonia Ganassi, Alfonso Antoniozzi, Marco Vinco, Antonino Siragusa, Simón Orfila,
Carla Di Censo, Paola Gardina; Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice; dir. Renato
Palumbo; regia Paul Curran
TDK, dvd, c2007
Joyce DiDonato, Bruno de Simone, David Menéndez, Juan Diego Flórez, Simón Orfila,
Cristina Obregón, Itxaro Mentxaka; Orchestra and Chorus of the Grand Teatro del
Liceu; dir. Patrick Summers; regia Joan Font
Decca, 2 dvd, c2009
Elīna Garanča, Alessandro Corbelli, Simone Alberghini, Lawrence Brownlee, John
Relyea, Rachelle Durkin, Patricia Risley; The Metropolitan Opera Orchestra and Chorus;
dir. Maurizio Benini; regia Cesare Lievi
Deutsche Grammophon, 2 dvd, c2010
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Il libretto
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La Cenerentola
Dramma giocoso in due atti
libretto di
Jacopo Ferretti
musica di
Gioachino Rossini
Personaggi
Don Ramiro, principe di Salerno
Dandini, suo cameriere
Don Magnifico, barone di Montefiascone, padre di
Clorinda, e di
Tisbe
Angelina, sotto nome di Cenerentola, figliastra di Don Magnifico
Alidoro filosofo, maestro di Don Ramiro
tenore
basso
basso buffo
soprano
mezzosoprano
contralto
basso
Dame che non parlano. Cortigiani del principe
La scena, parte in un vecchio palazzo di Don Magnifico, e parte in un casino di delizie del
principe distante mezzo miglio.
Prima rapprasentazione: Roma, Teatro Valle 25 gennaio 1817
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Atto Primo
Antica sala terrena nel castello del barone, con
cinque porte; a destra camino, tavolino con
specchio, cestello con fiori, e sedie.
SCENA PRIMA
(Clorinda provando uno sciassé; Tisbe
acconciando un fiore ora alla fronte ora al petto;
Cenerentola soffiando con un manticetto al
camino per far bollire una cuccuma di caffè; indi
Alidoro da povero; poi seguaci di Ramiro.)
CLORINDA
No no no: non v’è, non v’è
chi trinciar sappia così
leggerissimo sciassé.
TISBE
Sì sì sì: va bene lì.
Meglio lì; no, meglio qui.
Risaltar di più mi fa.
CLORINDA E TISBE
A quest’arte, a tal beltà
sdrucciolare ognun dovrà.
CENERENTOLA
(con tuono flemmatico)
Una volta c’era un Re,
che a star solo s’annoiò:
cerca, cerca, ritrovò;
ma il volean sposare in tre.
Cosa fa?
Sprezza il fasto e la beltà,
e alla fin sceglie per sé
l’innocenza e la bontà.
La la là
li li lì
la la là.
CLORINDA E TISBE
Cenerentola, finiscila
con la solita canzone.
CENERENTOLA
Presso al fuoco in un cantone
via lasciatemi cantar.
Una volta c’era un re
una volta….
CLORINDA
E due, e tre.
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CLORINDA E TISBE
La finisci sì o no?
Se non taci ti darò.
CENERENTOLA
Una volta...
(S’ode picchiare.)
CLORINDA, TISBE E CENERENTOLA
Chi sarà?
(Cenerentola apre, ed entra Alidoro da povero.)
ALIDORO
Un tantin di carità.
CLORINDA E TISBE
Accattoni! Via di qua.
CENERENTOLA
Zitto, zitto: su prendete
Questo po’ di colazione.
(Versa una tazza di caffè, e lo dà con un pane ad
Alidoro, coprendolo dalle sorelle.)
Ah non reggo alla passione.
Che crudel fatalità!
ALIDORO
Forse il Cielo il guiderdone
pria di notte vi darà.
CLORINDA E TISBE
(pavoneggiandosi)
Risvegliar dolce passione
più di me nessuna sa.
(volgendosi ad osservare Alidoro)
Ma che vedo! Ancora lì!
Anche un pane? anche il caffè?
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(scagliandosi contro Cenerentola)
Prendi, prendi, questo a te.
CENERENTOLA
Ah! soccorso chi mi dà!
ALIDORO
(frapponendosi inutilmente)
Vi fermate, per pietà!
(Si picchia fortemente; Cenerentola corre ad
aprire, ed entrano i cavalieri.)
CAVALIERI
O figlie amabili di Don Magnifico,
Ramiro il principe or or verrà.
Al suo palagio vi condurrà.
Si canterà si danzerà:
poi la bellissima fra l’altre femmine
sposa carissima per lui sarà.
CLORINDA E TISBE
Ma dunque il Principe?
CAVALIERI
Or or verrà.
CLORINDA E TISBE
E la bellissima?
CAVALIERI
Si sceglierà.
CLORINDA E TISBE
Cenerentola vien qua.
Le mie scarpe, il mio bonnè.
Cenerentola, vien qua.
Le mie penne, il mio colliè.
Nel cervello ho una fucina;
son più bella e vo’ trionfar.
A un sorriso, a un’occhiatina
Don Ramiro ha da cascar.
CENERENTOLA
Cenerentola, vien qua.
Cenerentola, va’ là.
Cenerentola, va’ su.
Cenerentola, vien giù.
Questo è proprio uno strapazzo!
Mi volete far crepar?
Chi alla festa, chi al solazzo,
ed io resto qui a soffiar.
(Io poi quel mezzo scudo
a voi l’avrei donato;
ma non ho mezzo soldo. Il core in mezzo
mi spaccherei per darlo a un infelice.)
ALIDORO
(marcato assai)
(Forse al novello dì sarai felice.)
(Parte.)
TISBE
Cenerentola, presto
prepara i nastri, i manti.
ALIDORO
Nel cervello una fucina
sta le pazze a martellar.
Ma già pronta è la rovina.
Voglio ridere a schiattar.
CLORINDA
Gli unguenti, le pomate.
CAVALIERI
Già nel capo una fucina
sta le donne a martellar;
il cimento si avvicina,
il gran punto di trionfar.
CENERENTOLA
Uditemi, sorelle...
CLORINDA
(dando una moneta a Cenerentola, onde la dia
ai seguaci del principe che escono)
Date lor mezzo scudo. Grazie. Ai cenni
del Principe noi siamo.
TISBE
I miei diamanti.
CLORINDA
(altera)
Che sorelle!
non profanarci con sì fatto nome.
TISBE
(minacciandola)
E guai per te se t’uscirà di bocca.
(osservando il povero, e raggricciando il naso)
Ancor qui siete?
Qual tanfo! Andate, o ve ne pentirete.
CENERENTOLA
(Sempre nuove pazzie soffrir mi tocca.)
(Entra a sinistra)
CENERENTOLA
(accompagnando Alidoro)
TISBE
Non v’è tempo da perdere.
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CLORINDA
Nostro padre
Avvisarne convien.
(Questionando fra loro, ed opponendosi a
vicenda d’entrare a destra.)
TISBE
Esser la prima
voglio a darne la nuova.
CLORINDA
Oh! mi perdoni.
Io sono la maggiore.
TISBE
(Crescendo nella rabbia fra loro)
No no, gliel vo’ dir io.
CLORINDA
È questo il dover mio.
Io svegliare lo vuo’. Venite appresso.
TISBE
Oh! non la vincerai.
CLORINDA
(osservando fra le scene)
Ecco egli stesso.
SCENA SECONDA
Don Magnifico, bieco in volto, esce in berretta
da notte e veste da camera, e detti, indi
Cenerentola.
DON MAGNIFICO
Miei rampolli femminini,
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(ricusando di dar loro a baciar la mano)
vi ripudio; mi vergogno!
Un magnifico mio sogno
mi veniste a sconcertar.
Vi ripudio; mi vergogno!
(da sé, osservandole; Clorinda e Tisbe ridono
quando non le guarda)
Come son mortificate!
Degne figlie d’un barone!
Via: silenzio, ed attenzione.
State il sogno a meditar.
Mi sognai fra il fosco e il chiaro
un bellissimo somaro.
Un somaro, ma solenne.
Quando a un tratto, oh che portento!
sulle spalle a cento a cento
gli spuntavano le penne
ed in aria, fsct, volò!
Ed in cima a un campanile
come in trono si fermò.
Si sentiano per di sotto
le campane sdindonar,
din, don, din, don…
Col cì cì, ciù ciù di botto
mi faceste risvegliar.
Ma d’un sogno sì intralciato
ecco il simbolo spiegato.
La campana suona a festa?
Allegrezza in casa è questa.
Quelle penne? Siete voi.
Quel gran volo? Plebe addio.
Resta l’asino di poi?
Ma quell’asino son io:
chi vi guarda vede chiaro
che il somaro è il genitor.
Fertilissima Regina
l’una e l’altra diverrà;
ed il nonno una dozzina
di nepoti abbraccerà.
Un re piccolo di qua….
servo, servo…
Un re bambolo di là…
Servo, servo…..
e la gloria mia sarà.
CLORINDA
(interrompendosi, e strappandosi Don
Magnifico.)
Sappiate che fra poco...
TISBE
Il principe Ramiro...
CLORINDA
Che son tre dì, che nella deliziosa...
TISBE
Vicina mezzo miglio
venuto è ad abitar...
CLORINDA
Sceglie una sposa...
TISBE
Ci mandò ad invitar...
CLORINDA
E fra momenti...
TISBE
Arriverà per prenderci...
CLORINDA
E la scelta
la più bella sarà...
DON MAGNIFICO
(in aria di stupore ed importanza)
Figlie, che dite!
Quel principon! Quantunque io nol conosca...
Sceglierà!.. v’invitò... sposa... più bella!
Io cado in svenimento. Alla favella
è venuto il sequestro. Il principato
per la spinal midolla
già mi serpeggia, ed in una parola
il sogno è storia, ed il somaro vola.
Cenerentola, presto.
portami il mio caffè.
(Cenerentola entra, vuota il caffè, e lo reca nella
camera di Don Magnifico.)
Viscere mie.
Metà del mio palazzo è già crollata,
e l’altra è in agonia. Fatevi onore.
Mettiamoci un puntello.
(andando, e tornando, e riprendendo le figlie, che
stanno per entrare)
Figlie state in cervello.
Parlate in punto e virgola.
per carità: pensate ad abbigliarvi:
si tratta nientemen che imprinciparvi.
(Entra nelle sue stanze; Clorinda e Tisbe nella
loro.)
SCENA TERZA
Don Ramiro e Cenerentola.
Don Ramiro vestito da scudiero; guarda intorno
e si avanza a poco a poco.
RAMIRO
Tutto è deserto. Amici?
Nessun risponde. In questa
simulata sembianza
le belle osserverò. Né viene alcuno?
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Eppur mi diè speranza
il sapiente Alidoro,
che qui saggia e vezzosa
degna di me trovar saprò la sposa.
Sposarsi... e non amar! Legge tiranna,
che nel fior de’ miei giorni
alla difficil scelta mi condanna!
Cerchiam, vediamo.
SCENA QUARTA
Cenerentola cantando fra’ denti, con sottocoppa
e tazza da caffè, entra spensierata nella stanza,
e si trova a faccia a faccia con Ramiro; le cade
tutto di mano, e si ritira in un angolo.
CENERENTOLA
Una volta c’era...
Ah! è fatta.
RAMIRO
Che cos’è?
CENERENTOLA
Che batticuore!
RAMIRO
Forse un mostro son io!
CENERENTOLA
(prima astratta poi correggendosi con
naturalezza)
Sì... no, signore.
RAMIRO
Un soave non so che
in quegl’occhi scintillò!
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CENERENTOLA
Io vorrei saper perché
il mio cor mi palpitò?
RAMIRO
Le direi... ma non ardisco.
CENERENTOLA
Parlar voglio… e taccio intanto.
CENERENTOLA E RAMIRO
Una grazia, un certo incanto
par che brilli su quel viso!
Quanto caro è quel sorriso!
scende all’alma e fa sperar.
RAMIRO
Del Baron le figlie io cerco.
Dove son? qui non le vedo.
CENERENTOLA
Son di là nell’altre stanze.
Or verranno. (Addio speranze.)
RAMIRO
(con interesse)
Ma, di grazia, voi chi siete?
CENERENTOLA
Io chi sono? Eh! non lo so.
RAMIRO
Nol sapete?
CENERENTOLA
Quasi no.
(accostandosi a lui sottovoce, e rapidissimamente,
correggendosi ed imbrogliandosi)
Quel ch’è padre, non è padre...
onde poi le due sorelle...
era vedova mia madre...
ma fu madre ancor di quelle...
questo padre pien d’orgoglio...
Sta a vedere che m’imbroglio…
Deh! scusate, perdonate
alla mia semplicità.
già più me non trovo in me.
Che innocenza! che candore!
Ah! m’invola proprio il core!
Questo cor più mio non è.)
RAMIRO
Mi seduce, m’innamora
quella sua semplicità.
RAMIRO
Non so che dir. Come in sì rozze spoglie
sì bel volto e gentil! Ma Don Magnifico
non apparisce ancor? Nunziar vorrei
del mascherato principe l’arrivo.
Fortunato consiglio!
Da semplice scudiero
il core delle femmine
meglio svelar saprò. Dandini intanto
recitando da principe...
CLORINDA, TISBE E DON
MAGNIFICO
(dalle loro stanze, a vicenda, ed insieme)
Cenerentola, da me.
RAMIRO
Questa voce! che cos’è?
CENERENTOLA
(ora verso una, ora verso l’altra delle porte)
A ponente ed a levante,
a scirocco e a tramontana,
non ho calma un solo istante,
tutto, tutto tocca a me.
Vengo, vengo.
Addio, signore.
(con passione)
(Ah ci lascio proprio il core:
questo cor più mio non è.)
RAMIRO
(da sé, astratto, osservandola sempre)
(Quell’accento, quel sembiante
è una cosa sovrumana.
Io mi perdo in quest’istante
SCENA QUINTA
Ramiro solo, indi Don Magnifico in abito di
gala senza cappello.
DON MAGNIFICO
Domando
un milion di perdoni.
Dica: e Sua Altezza il Prence?
RAMIRO
Arriva.
DON MAGNIFICO
E quando?
RAMIRO
Tra tre minuti.
DON MAGNIFICO
(in agitazione)
Tre minuti! ah figlie!
sbrigatevi: che serve?
39
le vado ad affrettar. Scusi; con queste
ragazze benedette,
un secolo è un momento alla toelette.
(Entra dalle figlie)
RAMIRO
Che buffone! E Alidoro mio maestro
sostien che in queste mura
sta la bontà più pura!
Basta basta, vedrem. Alle sue figlie
convien che m’avvicini.
Qual fragor!.. non m’inganno. Ecco Dandini.
SCENA SESTA
Cavalieri, Dandini e detti, indi Clorinda e
Tisbe.
CAVALIERI
Scegli la sposa, affrèttati,
s’invola via l’età.
La principesca linea,
se no, s’estinguerà.
DANDINI
Come un’ape ne’ giorni d’aprile
va volando leggiera, e scherzosa;
corre al giglio, poi salta alla rosa,
dolce un fiore, a cercare per sé;
fra le belle m’aggiro e rimiro,
ne ho vedute già tante e poi tante;
ma non trovo un giudizio, un sembiante,
un boccone squisito per me.
(Clorinda e Tisbe escono, e sono presentate a
Dandini da Don Magnifico in gala.)
CLORINDA
Prence!
40
TISBE
Sire...
CLORINDA E TISBE
Ma quanti favori!
DON MAGNIFICO
Che diluvio! che abisso di onori!
DANDINI
Nulla, nulla.
(con espressione or all’una or all’altra)
Vezzosa; graziosa!
(accostandosi a Ramiro)
(Dico bene?) Son tutte papà.
RAMIRO
(Bestia! attento! ti scosta di qua.)
DANDINI
(alle due sorelle che lo guardano con passione)
Per pietà, quelle ciglia abbassate!
Galoppando sen va la ragione,
e fra i colpi d’un doppio cannone
spalancata la breccia è di già.
Vezzosa! Graziosa!
Son tutte papà!
(da sé)
(Ma al finir della nostra commedia
che tragedia qui nascer dovrà!)
CLORINDA E TISBE
(da sé)
(Ei mi guarda, sospira, delira,
non v’è dubbio: è mio schiavo di già.)
RAMIRO
(da sé, sempre osservando con interesse se torna
Cenerentola)
(Ah! perché qui non viene colei,
con quell’aria di grazia e bontà?)
DON MAGNIFICO
(da sé, osservando con compiacenza Dandini, che
sembra innamorato)
(Ė già cotto, stracotto, spolpato:
l’Eccellenza divien Maestà.)
DANDINI
(osservando Clorinda, Tisbe e Don Magnifico)
Allegrissimamente! che bei quadri!
che bocchino! che ciglia!
Siete l’ottava e nona meraviglia.
Già talis Patris, talem Figlia.
CLORINDA
(con inchino)
Grazie!
DON MAGNIFICO
(curvandosi)
Altezza delle Altezze!
che dice? mi confonde. Debolezze.
grandi le ho da sparar.)
DON MAGNIFICO
(piano alle figlie, con compiacenza)
(Bel principotto!
che non vi fugga: attente!)
DANDINI
Or dunque seguitando quel discorso
che non ho cominciato;
dai miei lunghi viaggi ritornato,
e il mio papà trovato,
che fra i quondam è capitombolato,
e spirando ha ordinato,
che a vista qual cambiale io sia sposato,
o son diseredato,
fatto ho un invito a tutto il vicinato,
e trovando un boccone delicato,
per me l’ho destinato.
Ho detto, ho detto, e adesso prendo fiato.
DON MAGNIFICO
(sorpreso)
(Che eloquenza norcina!)
DANDINI
Vere figure! Etrusche!
(piano a Ramiro)
(Dico bene?)
CENERENTOLA
(entrando osserva l’abito del Principe, e Ramiro
che la guarda)
(Ah, che bell’abito!
E quell’altro mi guarda.)
RAMIRO
(piano a Dandini)
(Cominci a dirle grosse.)
RAMIRO
(Ecco colei!
Mi ripalpita il cor.)
DANDINI
(piano a Ramiro)
(Io recito da grande, e grande essendo,
DANDINI
Belle ragazze,
se vi degnate inciambellare il braccio
41
ai nostri cavalieri, il legno è pronto.
Ma lasciami.
CLORINDA
(servite dai cavalieri)
Andiamo.
RAMIRO
(La sgrida?)
(Magnifico esce con cappello e bastone trattenuto
con ingenuità da Cenerentola.)
TISBE
Papà, Eccellenza,
non tardate a venir.
Escono.
DON MAGNIFICO
(a Cenerentola voltandosi)
Che fai tu qui?
Il cappello e il bastone.
CENERENTOLA
(scuotendosi dal guardar Ramiro)
Eh... sì, signor.
(Parte)
DANDINI
Perseguitate presto
con i piè baronali
i magnifici miei quarti reali.
(parte)
DON MAGNIFICO
(andando nella camera dove è entrata
Cenerentola)
Monti in carrozza, e vengo.
RAMIRO
(E pur colei
vo’ riveder.)
DON MAGNIFICO
(di dentro, in collera)
42
CENERENTOLA
Sentite.
DON MAGNIFICO
Il tempo vola.
RAMIRO
(Che vorrà?)
DON MAGNIFICO
(a Cenerentola)
Vuoi lasciarmi?
CENERENTOLA
Una parola.
Signore, una parola:
in casa di quel principe,
un’ora, un’ora sola,
portatemi a ballar.
DON MAGNIFICO
(ridendo)
Ih! ih! La bella Venere!...
Vezzosa! Pomposetta!
Sguajata! Covacenere!...
Lasciami, deggio andar.
DANDINI
(tornando indietro, ed osservando Ramiro
immobile)
Cos’è? Qui fa la statua?
(Sottovoce fra loro in tempo del solo di Don
Magnifico.)
RAMIRO
Silenzio, ed osserviamo.
DANDINI
Ma andiamo, o non andiamo!
RAMIRO
Mi sento lacerar.
CENERENTOLA
Ma una mezz’ora... un quarto.
DON MAGNIFICO
(alzando minaccioso il bastone)
O lasciami, o ti stritolo.
RAMIRO E DANDINI
(accorrendo a trattenerlo)
Fermate.
DON MAGNIFICO
(sorpreso, curvandosi rispettoso a Dandini)
Serenissima!
(Ma vattene.) Altezzissima!
(Servaccia ignorantissima!)
RAMIRO E DANDINI
Serva?
CENERENTOLA
Cioè...
DON MAGNIFICO
(mettendole una mano sulla bocca, e
interrompendola)
Vilissima
D’un’estrazion bassissima,
(minacciando e trascinando)
vuol far la sufficiente,
la cara, l’avvenente,
e non è buona a niente.
va’ in camera, va’ in camera
la polvere a spazzar.
DANDINI
(opponendosi con autorità)
Ma caro Don Magnifico
via, non la strapazzar.
RAMIRO
(fra sé, con sdegno represso)
Or ora la mia collera
non posso più frenar.
CENERENTOLA
(con tuono d’ingenuità)
Ah! sempre fra la cenere,
sempre dovrò restar?
Signori, persuadetelo,
portatemi a ballar.
(Nel momento che Don Magnifico staccasi da
Cenerentola ed è tratto via da Dandini, entra
Alidoro con taccuino aperto.)
ALIDORO
Qui nel mio codice
delle zitelle,
con Don Magnifico
stan tre sorelle.
(a Don Magnifico, con autorità)
Or che va il principe
la sposa a scegliere,
la terza figlia
43
io vi domando.
DON MAGNIFICO
(confuso, ed alterato)
Che terza figlia
mi va figliando?
ALIDORO
Terza sorella...
DON MAGNIFICO
(atterrito)
Ella... morì...
ALIDORO
Eppur nel codice
non v’è così.
CENERENTOLA
(Ah! di me parlano.)
(ponendosi in mezzo con ingenuità)
No, non morì.
DON MAGNIFICO
Sta zitta lì.
ALIDORO
Guardate qui!
DON MAGNIFICO
(balzando Cenerentola in un cantone)
Se tu respiri,
ti scanno qui.
RAMIRO, DANDINI E ALIDORO
Ella morì?
44
DON MAGNIFICO
(sempre tremante)
Altezza… sì.
(Momento di silenzio.)
TUTTI
(guardandosi scambievolmente)
Nel volto estatico
di questo e quello
si legge il vortice
del lor cervello,
che ondeggia e dubita
e incerto sta.
DON MAGNIFICO
(fra’ denti, trascinando Cenerentola)
Se tu più mormori
solo una sillaba,
un cimiterio
qui si farà.
CENERENTOLA
(con passione)
Deh soccorretemi,
deh non lasciatemi,
ah! di me misera
che mai sarà?
RAMIRO
Via, consolatevi.
(strappandola da Don Magnifico)
Signor lasciatela.
(Già la mia furia
crescendo va.)
ALIDORO
(frapponendosi)
Via meno strepito:
fate silenzio.
o qualche scandalo
qui nascerà.
DANDINI
Io sono un principe,
O sono un cavolo?
Vi mando al diavolo:
venite qua.
La strappa da Don Magnifico, e lo conduce via.
Tutti seguono Dandini. Cenerentola corre
in camera. Si chiude la porta di mezzo; un
momento dopo rientra Alidoro con mantello da
povero.
SCENA SETTIMA*
Dopo qualche momento di silenzio entra Alidoro,
in abito da pellegrino, con gli abiti da filosofo
sotto; indi Cenerentola.
ALIDORO
Sì, tutto cangerà. Quel folle orgoglio
poca polve sarà, gioco del vento;
e al tenero lamento
succederà il sorriso.
(chiama verso la camera di Cenerentola)
Figlia... Figlia...
CENERENTOLA
(esce e rimane sorpresa)
Figlia voi mi chiamate? Oh questa è bella!
Il padrigno Barone
non vuole essermi padre; e voi... Peraltro
*Scena scritta da Ferretti e musicata da Rossini per il
basso Gioacchino Moncada nel 1821 (Teatro Argentina,
Roma); sostituisce la Scena settima originale, musicata
da Luca Agolini.
guardando i stracci vostri e i stracci miei,
degna d’un padre tal figlia sarei.
ALIDORO
Taci, figlia, e vien meco.
CENERENTOLA
Teco, e dove?
ALIDORO
Del Principe al festino.
CENERENTOLA
Ma dimmi, pellegrino:
perché t’ho data poca colazione,
tu mi vieni a burlar? Va’ via... va’ via!
Voglio serrar la porta...
Possono entrar de’ ladri, e allora... e allora...
starei fresca davvero.
ALIDORO
No! Sublima il pensiero!
Tutto cangiò per te!
Calpesterai men che fango i tesori,
rapirai tutti i cuori.
Vien meco e non temer: per te dall’Alto
m’ispira un Nume a cui non crolla il trono.
E se dubiti ancor, mira chi sono!
(Nel momento che si volge, Alidoro getta il
manto.)
Là del ciel nell’arcano profondo,
del poter sull’altissimo Trono
veglia un Nume, signore del mondo,
al cui piè basso mormora il tuono.
Tutto sa, tutto vede, e non lascia
nell’ambascia perir la bontà.
Fra la cenere, il pianto, l’affanno,
ei ti vede, o fanciulla innocente,
45
e cangiando il tuo stato tiranno,
fra l’orror vibra un lampo innocente.
Non temer, si è cambiata la scena:
la tua pena cangiando già va.
(S’ode avvicinarsi una carrozza.)
Un crescente mormorio
non ti sembra d’ascoltar?
Ah sta’ lieta: è il cocchio mio
su cui voli a trionfar.
Tu mi guardi, ti confondi...
ehi ragazza, non rispondi?
Sconcertata è la tua testa
e rimbalza qua e là,
come nave in gran tempesta
che di sotto in su sen va.
Ma già il nembo è terminato,
scintillò serenità.
Il destino s’è cangiato,
l’innocenza brillerà.
Aprono la porta; vedesi una carrozza.
Cenerentola vi monta, Alidoro chiude la porta e
sentesi la partenza della carrozza.
SCENA OTTAVA
Gabinetto nel casino di Don Ramiro.
(Dandini entrando con Clorinda e Tisbe sotto il
braccio, Don Magnifico e Don Ramiro.)
DANDINI
Ma bravo, bravo, bravo!
caro il mio Don Magnifico! Di vigne,
di vendemmie e di vino
mi avete fatto una dissertazione.
Lodo il vostro talento.
(a Don Ramiro)
Si vede che ha studiato.
(a Don Magnifico)
46
Si porti sul momento
dove sta il nostro vino conservato.
E se sta saldo e intrepido
al trigesimo assaggio,
lo promovo all’onor di cantiniero.
Io distinguo i talenti e premio il saggio.
DON MAGNIFICO
Prence! L’Altezza Vostra
è un pozzo di bontà. Più se ne cava,
più ne resta a cavar.
(piano alle figlie)
(Figlie! Vedete?
Non regge al vostro merto;
n’è la mia promozione indizio certo.)
(forte)
Clorinduccia, Tisbina,
tenete allegro il re. Vado in cantina.
(parte)
RAMIRO
(piano a Dandini)
(Esamina, disvela, e fedelmente
tutto mi narrerai. Anch’io fra poco
il cor ne tenterò; del volto i vezzi
svaniscon con l’età. Ma il core...)
DANDINI
(Il core
credo che sia un melon tagliato a fette:
un timballo l’ingegno,
e il cervello una casa spigionata.)
(forte, come seguendo il discorso fatto sottovoce)
Il mio voler ha forza d’un editto.
Eseguite trottando il cenno mio.
Udiste?
RAMIRO
Udii.
DANDINI
Fido vassallo, addio.
(Parte Don Ramiro.)
CLORINDA
Di grazia. (I dritti miei
la prego bilanciar.)
TISBE
Perdoni. (Veda,
io non tengo rossetto.)
SCENA NONA
Dandini, Clorinda e Tisbe.
CLORINDA
Ascolti. (Quel suo bianco è di bianchetto.)
DANDINI
(alle donne)
Ora sono da voi. Scommetterei
che siete fatte al torno,
e che il guercetto amore
è stato il tornitore.
TISBE
Senta...
CLORINDA
(tirando a sé Dandini)
Con permesso.
(La maggiore son io, onde la prego
darmi la preferenza.)
TISBE
(come sopra)
Con sua buona licenza.
(La minore son io.
invecchierò più tardi.)
CLORINDA
Scusi. (Quella è fanciulla,
proprio non sa di nulla.)
TISBE
Permetta. (Quella è un’acqua senza sale,
non fa né ben né male.)
CLORINDA
Mi favorisca...
DANDINI
(sbarazzandosi con un poco di collera)
Anime belle!
mi volete spaccar? Non dubitate.
Ho due occhi reali,
e non adopro occhiali.
(a Clorinda)
(Fidati pur di me.)
(piano a Tisbe)
(Stà allegra, o cara.)
(da sé)
(arrivederci presto alla Longara)
(Parte.)
TISBE
(ironicamente fra loro)
M’inchino a Vostr’Altezza.
CLORINDA
Anzi all’Altezza Vostra.
47
TISBE
Verrò a portarle qualche memoriale.
CLORINDA
Lectum.
TISBE
Ce la vedremo.
CLORINDA
Forse sì, forse no.
TISBE
Poter del mondo!
CLORINDA
Le faccio riverenza!
TISBE
Oh! mi sprofondo!
(Partono da parti opposte.)
SCENA DECIMA
Deliziosa nel casino del principe Don Ramiro.
(Don Magnifico a cui i cavalieri pongono un
mantello color ponsò con ricami in argento di
grappoli d’uva, e gli saltano intorno battendo i
piedi in tempo di musica. Tavolini con recapito
da scrivere.)
CAVALIERI
Conciosiacosacché
trenta botti già gustò!
e bevuto ha già per tre
e finor non barcollò!
è piaciuto a Sua Maestà
48
nominarlo cantinier,
intendente dei bicchier
con estesa autorità,
presidente al vendemmiar,
direttor dell’evoè;
onde tutti intorno a te
ci affolliamo qui a saltar.
DON MAGNIFICO
Intendente! Direttor!
Presidente! Cantinier!
Grazie, grazie, che piacer!
Che girandola ho nel cor!
Si venga a scrivere
quel che dettiamo.
(I cavalieri pongonsi intorno ai tavolini e
scrivono.)
Sei mila copie
poi ne vogliamo.
CAVALIERI
Già pronti a scrivere
tutti siam qui.
DON MAGNIFICO
(osservando come scrivono)
Noi Don Magnifico...
Questo in maiuscole.
Bestie! Maiuscole!
Bravi! così.
Noi Don Magnifico,
duca e barone
dell’antichissimo
Montefiascone,
grande intendente,
gran presidente,
con gli altri titoli,
con venti etcetera,
in plenitudine
d’autorità,
riceva l’ordine
chi leggerà:
di più non mescere
per anni quindici
nel vino amabile
d’acqua una gocciola,
alias capietur,
et stranguletur,
perché ita etcetera,
laonde etcetera,
nell’anno etcetera,
barone etcetera.
(sottoscrivendosi)
CAVALIERI
Barone etcetera;
è fatto già.
DON MAGNIFICO
Ora affiggetelo
per la città.
CAVALIERI
Il pranzo in ordine
andiamo a mettere:
vino a diluvio
si beverà.
DON MAGNIFICO
Premio bellissimo
di piastre sedici
a chi più malaga
Si succhierà.
(Partono saltando attorno a Don Magnifico.)
SCENA UNDICESIMA
Dandini e Don Ramiro correndo sul davanti del
palco osservando per ogni parte.
RAMIRO
(sottovoce)
Zitto zitto, piano piano:
senza strepito e rumore:
delle due qual è l’umore?
Esattezza e verità.
DANDINI
Sottovoce a mezzo tuono,
in estrema confidenza:
sono un misto d’insolenza,
di capriccio e vanità.
RAMIRO
E Alidoro mi dicea
che una figlia del Barone...
DANDINI
Ah! il maestro ha un gran testone;
oca eguale non si dà.
(Son due vere banderuole...
Mi convien dissimular.)
RAMIRO
(Se le sposi pur chi vuole...
Seguitiamo a recitar.)
SCENA DODICESIMA
Clorinda, accorrendo da una parte, e Tisbe
dall’altra.
CLORINDA
(di dentro)
Principino, dove state?
49
TISBE
Principino dove state?
CLORINDA E TISBE
(entrando)
Ah! perché m’ abbandonate?
Mi farete disperar.
CLORINDA E TISBE
(guardandolo con disprezzo)
Un scudiero! No, signore.
Un scudiero! Questo no!
CLORINDA
Con un’anima plebea!
CLORINDA
Io vi voglio...
TISBE
Con un’aria dozzinale!
TISBE
Vi vogl’io.
CLORINDA E TISBE
(con affettazione)
Mi fa male, mi fa male
solamente a immaginar.
DANDINI
Ma non diamo in bagattelle.
Maritarsi a due sorelle
tutte insieme non si può!
Una sposo...
CLORINDA E TISBE
(con interesse di smania)
E l’altra?..
DANDINI
E l’altra...
(accennando Ramiro)
all’amico la darò.
RAMIRO E DANDINI
(fra loro ridono)
La scenetta è originale,
veramente da contar.
SCENA TREDICESIMA
Coro di cavalieri dentro le scene, indi Alidoro.
CAVALIERI
Venga, inoltri, avanzi il piè!
Anticamera non v’è.
CLORINDA E TISBE
No no no no no!
Un scudiero! oibò oibò!
RAMIRO E DANDINI
Sapientissimo Alidoro…
…questo strepito cos’è?
RAMIRO
(ponendosi loro in mezzo, con dolcezza)
Sarò docile, amoroso,
tenerissimo di cuore.
ALIDORO
Dama incognita qua vien,
sopra il volto un velo tien.
50
CLORINDA E TISBE
Una dama!
ALIDORO
Signor sì.
CLORINDA, TISBE, RAMIRO E
DANDINI
Ma chi è?
ALIDORO
Non palesò.
CLORINDA E TISBE
Sarà bella?
ALIDORO
Sì e no.
RAMIRO E DANDINI
Chi sarà?
ALIDORO
Ma non si sa.
CLORINDA
Non parlò?
ALIDORO
Signora no.
TISBE
E qui vien?
ALIDORO
Chi sa perché?
TUTTI
Chi sarà? chi è? perché?
Non si sa, si vedrà.
(Momento di silenzio.)
CLORINDA E TISBE
(Gelosia già già mi lacera,
già il cervel più in me non è.)
ALIDORO
(Gelosia già già le rosica,
più il cervello in lor non è.)
RAMIRO
(Un ignoto arcano palpito
ora m’agita, perché?)
DANDINI
(Diventato sono di zucchero:
quante mosche intorno a me!)
(Dandini fa cenno ad Alidoro d’introdurre la
dama.)
SCENA QUATTORDICESIMA
Cavalieri che precedono, e schieransi in doppia
fila per ricevere Cenerentola, che, in abito ricco
ed elegante, avanzasi velata.
CAVALIERI
Ah! se velata ancor
dal seno il cor ci ha tolto,
se svelerai quel volto, che sarà?
CENERENTOLA
Sprezzo quei don che versa
Fortuna capricciosa.
M’offra chi mi vuol sposa,
51
rispetto, amor, bontà.
RAMIRO
(Di quella voce il suono
ignoto al cor non scende,
perché la speme accende,
di me maggior mi fa.)
DANDINI
Begli occhi, che dal velo
vibrate un raggio acuto,
svelatevi un minuto
almen per civiltà.
CLORINDA E TISBE
(Vedremo il gran miracolo
di questa rarità.)
SCENA ULTIMA
Don Magnifico accorrendo, e detti.
DON MAGNIFICO
Signora Altezza, è in tavola
che... co... chi... sì... che bestia!
quando si dice i simili!
Non sembra Cenerentola?
TISBE
Pareva ancora a noi…
CLORINDA
…ma a riguardarla poi...
TISBE
…la nostra è goffa e attratta…
(Cenerentola svelasi. Momento di sorpresa, di
riconoscimento, d’incertezza.)
CLORINDA
…questa è un po’ più ben fatta,…
TUTTI
(ciascuno da sé guardando Cenerentola, e
Cenerentola sogguardando Ramiro.)
Ah!
(Parlar, pensar vorrei,
parlar, pensar non so.
Questo è un inganno/è un incanto, oh dèi!
quel volto mi atterrò.)
CLORINDA E TISBE
…ma poi non è una Venere
da farci spaventar.
ALIDORO
(Parlar, pensar vorrebbe,
parlar, pensar non può.
Amar già la dovrebbe:
il colpo non sbagliò.)
52
DON MAGNIFICO
Quella sta nella cenere;
ha stracci sol per abiti.
CENERENTOLA
(Il vecchio guarda e dubita.)
RAMIRO
(Mi guarda, e par che palpiti.)
DANDINI
Ma non facciam le statue.
Patisce l’individuo:
andiamo presto a tavola.
Poi balleremo il Taice,
e quindi la bellissima...
con me s’ha da sposar.
TUTTI
(meno Dandini)
Andiamo, andiamo a tavola.
si voli a giubilar.
DANDINI
(Oggi che fo da principe
per quattro io vo’ mangiar.)
TUTTI
Mi par d’essere sognando
fra giardini e fra boschetti.
I ruscelli sussurrando,
gorgheggiando gli augelletti,
in un mare di delizie
fanno l’anima nuotar.
Ma ho timor che sotto terra
piano piano, a poco a poco,
si sviluppi un certo foco,
e improvviso a tutti ignoto
balzi fuori un terremoto,
che crollando, strepitando,
fracassando, sconquassando
poi mi venga a risvegliar;
e ho paura che il mio sogno
vada in fumo a dileguar.
53
Atto secondo
Gabinetto nel palazzo di Don Ramiro.
SCENA PRIMA
(Cavalieri,poi Don Magnifico, entrando con
Clorinda e Tisbe sotto il braccio, ed osservando i
cavalieri che partono.)
CAVALIERI
Ah! della bella incognita
l’arrivo inaspettato
peggior assai del fulmine
per certe ninfe è stato.
La guardano, e tarroccano,
sorridono, ma fremono.
Hanno una lima in core
che a consumar le sta.
Guardate! Già regnavano.
Ci ho gusto. Ah! ah! ah!...
(Partono deridendole)
DON MAGNIFICO
(in collera caricata)
Mi par che quei birbanti
ridessero di noi sotto-cappotto.
Corpo del mosto cotto!
Fo un cavaliericidio.
TISBE
Papà, non v’inquietate.
DON MAGNIFICO
(passeggiando)
Ho nella testa
quattro mila pensieri.
Ci mancava
quella madama anonima.
CLORINDA
E credete
che del Principe il core ci contrasti?
Somiglia a Cenerentola, e vi basti.
DON MAGNIFICO
Somiglia tanto e tanto
che son due goccie d’acqua, e quando a
pranzo
faceva un certo verso con la bocca,
brontolavo fra me: per bacco, è lei.
Ma come dagli Ebrei
prender l’abito a nolo! aver coraggio
di venire fra noi?
E poi parlar coi linci e scuinci? e poi
starsene con tal disinvoltura,
e non temere una schiaffeggiatura?
55
TISBE
Già già, questa figliastra
fino in chi la somiglia è a noi funesta.
DON MAGNIFICO
Ma tu sai che tempesta
mi piomberebbe addosso,
se scopre alcuno come ho dilapidato
il patrimonio suo! Per abbigliarvi
al verde l’ho ridotta. È diventata
un vero sacco d’ossa. Ah se si scopre,
avrei trovato il resto del Carlino.
CLORINDA
(con aria di mistero)
E paventar potete a noi vicino?
DON MAGNIFICO
Vi son buone speranze?
CLORINDA
Eh! niente niente!
TISBE
Posso dir ch’è certezza.
CLORINDA
Io quasi quasi
potrei dar delle cariche.
TISBE
In segreto m’ ha detto: anima mia.
Ha fatto un gran sospiro, è andato via.
CLORINDA
Un sospiro cos’è? quando mi vede,
subito ride.
56
DON MAGNIFICO
(riflettendo, e guardando ora l’una ora l’altra)
Ah! dunque
qui sospira, e qui ride.
CLORINDA
Dite, papà Barone,
voi che avete un testone,
qual è il vostro pensier: ditelo schietto.
DON MAGNIFICO
Giocato ho un ambo, e vincerò l’eletto.
Da voi due non si scappa; oh come, oh come,
figlie mie benedette,
si parlerà di me nelle gazzette!
Questo è il tempo opportuno
per rimettermi in piedi. Lo sapete,
io sono indebitato.
Fino i stivali a tromba ho ipotecato.
Ma che flusso e riflusso
avrò di memoriali! ah questo solo
è il paterno desìo,
che facciate il rescritto a modo mio.
C’intenderem fra noi:
viscere mie, mi raccomando a voi.
Sia qualunque delle figlie
che fra poco andrà sul trono,
ah non lasci in abbandono
un magnifico papà.
Già mi par che questo e quello,
conficcandomi a un cantone
e cavandosi il cappello,
incominci: Sior Barone,
alla figlia sua reale
porterebbe un memoriale?
Prende poi la cioccolata,
e una doppia ben coniata
faccia intanto scivolar.
Io rispondo: Eh sì, vedremo.
Già è di peso? Parleremo.
Da palazzo può passar.
Mi rivolto: e vezzosetta,
tutta odori e tutta unguenti,
mi s’inchina una scuffietta
fra sospiri e complimenti:
(in falsetto)
Baroncino! Si ricordi
quell’affare.
(voce naturale)
E già m’intende;
senza argento parla ai sordi.
La manina alquanto stende,
fa una piastra sdrucciolar.
Io galante: occhietti bei!
Ah! per voi che non farei!
Io vi voglio contentar!
Mi risveglio a mezzo giorno:
suono appena il campanello,
che mi vedo al letto intorno
supplichevole drappello:
questo cerca protezione;
quella ha torto e vuol ragione;
chi vorrebbe un impieguccio;
chi una cattedra ed è un ciuccio;
chi l’appalto delle spille,
chi la pesca dell’anguille,
ed intanto in ogni lato
sarà zeppo e contornato
di memorie e petizioni,
di galline, di sturioni,
di bottiglie, di broccati,
di candele e marinati,
di ciambelle e pasticcetti,
di canditi e di confetti,
di piastroni, di dobloni,
di vaniglia, e di caffè.
Basta basta, non portate:
terminate: ve n’andate?
basta basta, in carità!
Serro l’uscio a catenaccio:
importuni, seccatori,
fuori fuori, via da me.
Presto presto, via di qua!
(parte)
TISBE
(accostandosi in confidenza)
Di’: sogni ancor che il principe
vada pensando a te?
CLORINDA
Me lo domandi?
TISBE
Serva di Vostr’Altezza.
CLORINDA
A’ suoi comandi.
(Partono scostandosi, e complimentandosi
ironicamente.)
SCENA SECONDA
Ramiro, indi Cenerentola fuggendo da Dandini,
poi Alidoro in disparte.
RAMIRO
Ah! Questa bella incognita
con quella somiglianza all’infelice,
che mi colpì stamane,
mi va destando in petto
certa ignota premura... Anche Dandini
ne sembra innamorato.
Eccoli: udirli or qui potrò celato.
57
(Si nasconde)
Oh gioia! anima mia!
DANDINI
Ma non fuggir, perbacco! quattro volte
mi hai fatto misurar la galleria.
ALIDORO
(mostrando il suo contento)
(Va a meraviglia!)
CENERENTOLA
O mutate linguaggio o vado via.
RAMIRO
Ma il grado e la ricchezza
non seduce il tuo core?
DANDINI
Ma che? il parlar d’amore
è forse una stoccata!
CENERENTOLA
Mio fasto è la virtù, ricchezza è amore.
CENERENTOLA
Ma s’io d’un altro sono innamorata!
RAMIRO
Dunque saresti mia?
DANDINI
E me lo dici in faccia?
CENERENTOLA
Piano, tu devi pria
ricercarmi, conoscermi, vedermi,
esaminar la mia fortuna.
CENERENTOLA
Ah! mio signore,
deh! non andate in collera
col mio labbro sincero.
DANDINI
Ed ami?
CENERENTOLA
Scusi...
DANDINI
Ed ami?
CENERENTOLA
Il suo scudiero.
RAMIRO
(palesandosi)
58
RAMIRO
Io teco,
cara, verrò volando.
CENERENTOLA
Fèrmati: non seguirmi. Io tel comando.
RAMIRO
E come dunque?
CENERENTOLA
(Gli dà un smaniglio)
Tieni
cercami; e alla mia destra
il compagno vedrai.
E allor... se non ti spiaccio... allor m’avrai.
(parte; momento di silenzio)
RAMIRO
Dandini, che ne dici?
DANDINI
Eh! dico che da principe
sono passato a far da testimonio.
RAMIRO
“E allor... se non ti spiaccio... allor m’avrai!”
Quali accenti son questi?
(Scopre Alidoro)
Ah ! mio sapiente
venerato maestro, il cor m’ingombra
misterioso amor.
Che far degg’io?
ALIDORO
Quel che consiglia il core.
RAMIRO
(a Dandini)
Principe non sei più: di tante sciocche
si vuoti il mio palazzo.
(chiamando i seguaci che entrano)
Olà miei fidi,
sia pronto il nostro cocchio, e fra momenti...
così potessi aver l’ali dei venti.
Sì, ritrovarla io giuro.
Amor, amor mi muove:
se fosse in grembo a Giove,
io la ritroverò.
(Contempla lo smaniglio.)
Pegno adorato e caro
che mi lusinghi almeno,
oh come al labbro, al seno,
come ti stringerò!
CAVALIERI
Oh! qual tumulto ha in seno!
comprenderlo non so.
RAMIRO E CAVALIERI
Noi voleremo, domanderemo,
ricercheremo, ritroveremo.
Dolce speranza, freddo timore
dentro al mio/suo cuore stanno a pugnar.
Amore, amore, m’hai/l’hai da guidar.
(Ramiro parte con i seguaci.)
SCENA TERZA
Dandini, Alidoro, indi Don Magnifico.
ALIDORO
(La notte è omai vicina.
Col favor delle tenebre
rovesciandosi ad arte la carrozza
presso la casa del Baron, potrei...
Son vicini alla meta i desir miei.)
(Parte frettoloso)
DANDINI
Ma dunque io sono un ex?
(passeggiando)
Dal tutto al niente
precipito in un tratto?
Veramente ci ho fatto
una bella figura!
DON MAGNIFICO
(entra premuroso)
Scusi la mia premura...
ma quelle due ragazze
stan con la febbre a freddo. Si potrebbe
sollecitar la scelta?
59
DANDINI
È fatta, amico.
DON MAGNIFICO
(con sorpresa)
È fatta! ah per pietà! dite, parlate!
È fatta!
(con sorpresa in ginocchio)
e i miei germogli...
in queste stanze a vegetar verranno?
DANDINI
(alzandolo)
Tutti poi lo sapranno:
per ora è un gran segreto.
DON MAGNIFICO
E quale, e quale?
Clorindina o Tisbetta?
DANDINI
Non giudicate in fretta.
DON MAGNIFICO
Lo dica ad un papà.
DANDINI
Ma silenzio.
non si vede una mosca.
DANDINI
È un certo arcano
che farà sbalordir.
DON MAGNIFICO
(smaniando)
Sto sulle spine.
DANDINI
(annoiato, portando una sedia)
Poniamoci a sedere.
DON MAGNIFICO
Presto, per carità.
DANDINI
Voi sentirete
un caso assai bizzarro.
DON MAGNIFICO
(Che volesse
maritarsi con me?)
DANDINI
Mi raccomando.
DON MAGNIFICO
Si sa; via, dica presto.
DON MAGNIFICO
(con smania che cresce)
Ma si lasci servir.
DANDINI
(andando ad osservare)
Non ci ode alcuno.
DANDINI
Sia sigillato
quanto ora udrete dalla bocca mia.
DON MAGNIFICO
In aria
DON MAGNIFICO
Io tengo in corpo una segreteria.
60
DANDINI
Un segreto d’importanza,
un arcano interessante
io vi devo palesar.
È una cosa stravagante,
vi farà trasecolar.
DON MAGNIFICO
Senza battere le ciglia,
senza manco trarre il fiato,
io mi pongo ad ascoltar.
Starò qui petrificato
ogni sillaba a contar.
DANDINI
(Oh! che imbroglio! che disdetta!
Non so come cominciar.)
DON MAGNIFICO
(Veh che flemma maledetta!
Si sbrigasse a incominciar.)
DANDINI
Uomo saggio e stagionato
sempre meglio ci consiglia.
Se sposassi una sua figlia,
come mai l’ho da trattar?
DON MAGNIFICO
(Consiglier son già stampato.)
Ma che eccesso di clemenza!
Mi stia dunque Sua Eccellenza...
bestia!.. Altezza, ad ascoltar.
Abbia sempre pronti in sala
trenta servi in piena gala,
centosedici cavalli,
duchi, conti, marescialli,
a dozzine convitati,
pranzi sempre coi gelati,
poi carrozze, poi bombè.
DANDINI
Vi rispondo senza arcani,
che noi siamo assai lontani.
Io non uso far de’ pranzi,
mangio sempre degli avanzi,
non m’accosto a’ gran signori,
tratto sempre servitori,
me ne vado sempre a piè.
DON MAGNIFICO
Mi corbella?
DANDINI
Gliel prometto.
DON MAGNIFICO
Questo dunque?
DANDINI
È un romanzetto.
È una burla il principato,
sono un uomo mascherato.
Ma venuto è il vero principe,
m’ha strappata alfin la maschera,
io ritorno al mio mestiere:
son Dandini il cameriere:
rifar letti, spazzar abiti,
far la barba, e pettinar.
DON MAGNIFICO
Far la barba, e pettinar…
Di quest’ingiuria,
di quest’affronto
il vero principe
mi renda conto.
61
DANDINI
Oh non s’incomodi,
non farà niente.
Ma parta subito,
immantinente.
che gran cascata!
Eccolo! eccolo!
tutti diranno,
mi burleranno
per la città.
DON MAGNIFICO
Non partirò.
DANDINI
Povero diavolo!
è un gran sconquasso,
che d’alto in basso
piombar lo fa.
Vostra Eccellenza
abbia prudenza:
se vuol rasoio,
sapone e pettine,
saprò arricciarla,
sbarbificarla…
Ah ah! guardatelo,
l’allocco è là.
(Partono.)
DANDINI
Lei partirà.
DON MAGNIFICO
Sono un Barone.
DANDINI
Pronto è il bastone.
DON MAGNIFICO
Ci rivedremo.
DANDINI
Ci parleremo.
DON MAGNIFICO
Non partirò.
DANDINI
Lei partirà.
DON MAGNIFICO
Tengo nel cerebro
un contrabbasso,
che basso basso
frullando va.
Da cima a fondo,
poter del mondo!
che scivolata!
62
Alidoro solo.
SCENA QUARTA
ALIDORO
Mi seconda il destino. Amor pietoso
favorisce il disegno. Anche la notte
procellosa ed oscura
rende più natural quest’avventura.
La carrozza già è in pronto; ov’è Dandini?
Seco lo vuol nel suo viaggio. Oh come
indocile s’è fatto ed impaziente!
che lo pizzica amor segno evidente.
(Entra)
SCENA QUINTA
Sala terrena con camino in casa di Don
Magnifico.
(Cenerentola nel solito abito accanto al fuoco.)
CENERENTOLA
Una volta c’era un Re,
che a star solo s’annoiò;
cerca, cerca, ritrovò;
ma il volean sposare in tre.
Cosa fa?
Sprezza il fasto e la beltà,
e alla fin sceglie per sé
l’innocenza e la bontà.
La la là
li li lì
la la là.
(Guarda lo smaniglio)
Quanto sei caro! e quello
cui dato ho il tuo compagno,
è più caro di te. Quel signor principe
che pretendea con quelle smorfie? Oh bella!
Io non bado a ricami, ed amo solo
bel volto e cor sincero,
e do la preferenza al suo scudiero.
Le mie sorelle intanto... ma che occhiate!
parean stralunate!
(S’ode bussare fortemente, ed apre.)
Qual rumore!
(Uh? chi vedo! che ceffi!) Di ritorno!
Non credea che tornasse avanti giorno.
SCENA SESTA
Don Magnifico, Clorinda, Tisbe e detta.
CLORINDA
(entrando, accennando Cenerentola)
(Ma! ve l’avevo detto...)
DON MAGNIFICO
Ma cospetto! cospetto!
Similissime sono affatto affatto.
Quella è l’original, questa è il ritratto.
Hai fatto tutto?
CENERENTOLA
Tutto.
Perché quel ceffo brutto
voi mi fate così?
DON MAGNIFICO
Perché, perché...
per una certa strega
che rassomiglia a te...
CLORINDA
Su le tue spalle
quasi mi sfogherei.
CENERENTOLA
Povere spalle mie!
Cosa c’hanno che far?
(Cominciano lampi e tuoni, indi si sente il
rovesciarsi di una carrozza.)
TISBE
Oh! fa mal tempo!
Minaccia un temporale.
DON MAGNIFICO
Altro che temporale!
Un fulmine vorrei
che incenerisse il camerier...
63
CENERENTOLA
Ma dite,
Cosa è accaduto? avete
qualche segreta pena?
DON MAGNIFICO
(con impeto)
Sciocca! va’ là, va’ a preparar la cena.
CENERENTOLA
Vado sì, vado. (Ah! che cattivo umore!
Ah! lo scudiere mio mi sta nel core.)
(Parte.)
SCENA SETTIMA
Don Magnifico, Tisbe, Clorinda, Ramiro da
principe, e Dandini.
DANDINI
Scusate, amici!
La carrozza del principe
ribaltò...
(riconoscendo Don Magnifico)
Ma chi vedo?
DON MAGNIFICO
Uh! Siete voi!
Ma il principe dov’è?
DANDINI
(accennando Ramiro)
Lo conoscete!
DON MAGNIFICO
(rimanendo sorpreso)
Lo scudiero! Ih! guardate!
64
RAMIRO
Signore, perdonate
se una combinazione...
DON MAGNIFICO
Che dice! Si figuri! mio padrone!
(alle figlie)
(Eh! non senza perché venuto è qua.
La sposa, figlie mie, fra voi sarà.)
Ehi, presto, Cenerentola,
porta la sedia nobile.
RAMIRO
No, no: pochi minuti! Altra carrozza
pronta ritornerà.
DON MAGNIFICO
Ma che! gli pare!
CLORINDA
(con premura verso le quinte)
Ti sbriga, Cenerentola.
SCENA OTTAVA
Cenerentola recando una sedia nobile a
Dandini, che crede il principe.
CENERENTOLA
Son qui.
DON MAGNIFICO
Dalla al principe, bestia, eccolo lì.
CENERENTOLA
(sorpresa riconoscendo per principe Don Ramiro,
si pone le mani sul volto, e vuol fuggire)
Questo! Ah! che vedo! Principe!
RAMIRO
T’arresta.
Che! Lo smaniglio! e lei… che gioia è questa!
Siete voi?
CENERENTOLA
(osservando il vestito del principe)
Voi Prence siete?
CLORINDA E TISBE
(fra loro, attonite)
Qual sorpresa!
DANDINI
Il caso è bello!
DON MAGNIFICO
(volendo interompere Ramiro)
Ma...
RAMIRO
Tacete!
DON MAGNIFICO
Addio cervello.
(prende a sé Ramiro e Dandini)
Se…
RAMIRO E DANDINI
Silenzio.
CLORINDA, TISBE, CENERENTOLA,
RAMIRO, DANDINI E DON
MAGNIFICO
Che sarà!
Questo è un nodo avviluppato,
Questo è un gruppo rintrecciato,
chi sviluppa più inviluppa,
chi più sgruppa, più raggruppa;
ed intanto la mia testa
vola vola, e poi s’arresta,
vo tenton per l’aria oscura,
e comincio a delirar.
CLORINDA
(strappando Cenerentola con violenza dal suo
sbalordimento)
Donna sciocca! Alma di fango,
cosa cerchi? che pretendi?
Fra noi gente d’alto rango
l’arrestarsi è inciviltà.
DON MAGNIFICO
(come sopra, da un’altra parte)
Serva audace! e chi t’insegna
di star qui fra tanti eroi?
Va’ in cucina, serva indegna,
non tornar mai più di qua.
RAMIRO
(frapponendosi con impeto)
Alme vili! invan tentate
d’insultar colei che adoro;
alme vili! paventate!
il mio fulmine cadrà.
DANDINI
Già sapea che la commedia
si cangiava al second’atto:
ecco aperta la tragedia,
me la godo in verità.
CLORINDA E TISBE
Son di gelo.
65
DON MAGNIFICO
Son di stucco.
RAMIRO
(Diventato è un mamalucco.)
CLORINDA, TISBE E DON
MAGNIFICO
Ma una serva...
RAMIRO
Olà, tacete!
(facendo una mossa terribile)
L’ira mia più fren non ha!
CENERENTOLA
(in ginocchio a Don Ramiro, che la rialza)
Ah! signor, s’è ver che in petto
qualche amor per me serbate,
compatite, perdonate,
e trionfi la bontà.
CLORINDA, TISBE E DON
MAGNIFICO
(con disprezzo)
Ah! l’ipocrita guardate!
oh che bile che mi fa!
RAMIRO E DANDINI
(a Don Magnifico e le figlie)
Quelle lagrime mirate:
qual candore! qual bontà!
DON MAGNIFICO
Ma in somma delle somme,
Altezza, cosa vuole?
66
RAMIRO
Piano piano, non più parole:
(Prende per mano Cenerentola.)
questa sarà mia sposa.
CLORINDA, TISBE E DON
MAGNIFICO
Ah! ah! dirà per ridere.
(a Cenerentola)
Non vedi che ti burlano?
RAMIRO
Lo giuro… mia sarà.
DON MAGNIFICO
Ma fra i rampolli miei,
mi par che a creder mio...
RAMIRO
Per loro non son io.
(con aria di disprezzo, contraffacendolo)
Ho l’anima plebea,
ho l’aria dozzinale.
DANDINI
Alfine sul bracciale
ecco il pallon tornò;
e il giocator maestro
in aria il ribalzò.
RAMIRO
(tenendo con dolce violenza Cenerentola)
Vieni a regnar… l’impongo.
CENERENTOLA
Su questa mano almeno;
(Volendo baciar la mano a Don Magnifico, ed
abbracciare le sorelle, è rigettata con impeto.)
e prima a questo seno...
DON MAGNIFICO
Ti scosta!
CLORINDA E TISBE
Ti allontana!
RAMIRO
Perfida gente insana!
io vi farò tremar.
CENERENTOLA
(passeggiando incerta, e riflettendo, ed
abbandonandosi a vari sentimenti)
Dove son? che incanto è questo?
Io felice! oh quale evento!
È un inganno! ah! se mi desto!
Che improvviso cangiamento!
Sta in tempesta il mio cervello,
posso appena respirar.
ALTRI (meno Cenerentola)
Quello brontola e borbotta,
questo strepita e s’adira,
quello freme, questo fiotta,
chi minaccia, chi sospira;
va a finir che ai Pazzarelli
ci dovranno trascinar.
RAMIRO E DANDINI
Vieni… Amor ti guida
a regnar, a trionfar.
(Ramiro trae seco Cenerentola, ed è seguito da
Dandini, e da Don Magnifico.)
SCENA NONA
Tisbe, Clorinda, indi Alidoro.
TISBE
Dunque noi siam burlate?
CLORINDA
Dalla rabbia
io non vedo più lume.
TISBE
Mi pare di sognar: la Cenerentola...
ALIDORO
(entrando)
Principessa sarà.
CLORINDA
Chi siete?
ALIDORO
(con alterigia)
Io vi cercai la carità.
Voi mi scacciaste. E l’Angiolina, quella
che non fu sorda ai miseri,
che voi teneste come vile ancella,
fra la cenere e i cenci,
or salirà sul trono. Il padre vostro
le è debitor d’immense somme. Tutta
si mangiò la sua dote. E forse forse
questa reliquia di palazzo, questi
non troppo ricchi mobili, saranno
posti al pubblico incanto.
TISBE
Che fia di noi, frattanto?
67
ALIDORO
Il bivio è questo:
o terminar fra la miseria i giorni,
o curve a piè del trono
implorar grazia ed impetrar perdono.
Nel vicin atrio io stesso,
presago dell’evento,
la festa nuziale ho preparata.
Questo, questo è il momento.
CLORINDA
Abbassarmi con lei! Son disperata!
Sventurata! mi credea
comandar seduta in trono.
Son lasciata in abbandono
senza un’ombra di pietà.
Ma che serve! tanto fa:
sono alfine giovinetta:
capitar potrà il merlotto.
Vo’ pelarlo in fretta in fretta,
e scappar non mi potrà.
Un marito, crederei,
alla fin non mancherà.
(Parte)
ALIDORO
La pillola è un po’ dura:
ma inghiottirla dovrà; non v’è rimedio.
E voi cosa pensate?
TISBE
Cosa penso?
Mi accomodo alla sorte:
se mi umilio alla fin, non vado a morte.
(Parte.)
ALIDORO
Giusto ciel! ti ringrazio! I voti miei
68
non han più che sperar. L’orgoglio è oppresso.
Sarà felice il caro alunno. In trono
trionfa la bontà: contento io sono.
(Esce.)
SCENA ULTIMA
All’alzarsi della tenda scorgesi un atrio con
festoni di fiori illuminato, e nel cui fondo su
piccola base siedono in due ricche sedie Ramiro,
e Cenerentola in abito ricco; a destra in piedi
Dandini, dame e cavalieri intorno. In un angolo
Don Magnifico confuso, con gli occhi fitti in
terra. Indi Alidoro, Clorinda e Tisbe, mortificate
coprendosi il volto.
CAVALIERI
Della Fortuna istabile
la revolubil ruota
mentre ne giunge al vertice
per te s’arresta immota:
cadde l’orgoglio in polvere,
trionfa la bontà.
RAMIRO
(scuotendo Cenerentola)
Sposa...
CENERENTOLA
(stupida per la gioia)
Signor, perdona
la tenera incertezza
che mi confonde ancor. Poc’anzi, il sai,
fra la cenere immonda...
ed or sul trono... e un serto mi circonda.
DON MAGNIFICO
(corre in ginocchio)
Altezza... a voi mi prostro...
CENERENTOLA
Né mai m’udrò chiamar la figlia vostra?
CENERENTOLA
Padre... Sposo... Amico... oh istante!
Non più mesta accanto al foco
sarò sola a gorgheggiar.
Ah fu un lampo, un sogno, un gioco
il mio lungo palpitar.
RAMIRO
(accennando le sorelle)
Quelle orgogliose...
DAME E CAVALIERI
Tutto cangia a poco a poco,
cessa alfin di sospirar.
CENERENTOLA
Ah, prence,
io cado ai vostri piè. Le antiche ingiurie
mi svanir dalla mente.
sul trono io salgo; e voglio
starvi maggior del trono,
e sarà mia vendetta il lor perdono.
Nacqui all’affanno, al pianto;
soffrì tacendo il core;
ma per soave incanto,
dell’età mia nel fiore,
come un baleno rapido
la sorte mia cangiò.
(a Don Magnifico, e sorelle)
No no, tergete il ciglio,
perché tremar, perché?
A questo sen volate;
figlia, sorella, amica,
(abbracciandole)
tutto trovate in me.
TUTTI (meno Cenerentola)
M’intenerisce e m’agita:
è un Nume agli occhi miei.
Degna del tron tu sei,
ma è poco un trono a te.
È un nume!
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Le fotografie sono state prese a Bari. © Cosimo Mirco Magliocca
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Immagini
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Saggi e contributi
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Stefano Catucci
Tutte le maschere di ‘Cenerentola’
Nel libro che dedicò alla Vita di Rossini, pubblicato nel 1941, Riccardo Bacchelli
parla di La Cenerentola in un capitolo dedicato al Rossini Operista serio e pone quel
titolo accanto ad altri due, Otello e La gazza ladra, argomentando la necessità di
abbandonare un rigido criterio cronologico e di assumere, invece, una prospettiva
tematica per i lavori successivi al Barbiere di Siviglia. Per l’autore de Il mulino del
Po si tratta di un’evidenza incontestabile: il Barbiere resta per lui un’opera unica,
un non plus ultra, dopo il quale «le sollecitazioni reali e profonde» dello spirito di Rossini «volsero e s’ispirarono all’opera seria, drammatica e tragica». Quasi
cinquant’anni dopo Bruno Ca­gli, fra i musicologi impegnati in prima linea nel
movimento della cosiddetta Rossini-Renaissance, imposta un suo breve saggio partendo dalla tesi opposta, ovvero dall’idea che La Cenerentola rappresenti l’ultima
opera buffa di Ros­sini, o meglio il suo «congedo» da un genere al quale tuttora
siamo portati spontaneamente a legarlo, ma che occupa nella sua produzione solo
cinque titoli limitati, oltretutto, a un arco creativo durato pochissimi anni: 1813
per L’italiana in Algeri; 1814 per Il Turco in Italia; 1816 per Il Barbiere di Siviglia e
per La Gazzetta; 1817 appunto per La Cenerentola. Da questi due opposti giudizi
emergono valutazioni simmetriche anche per quel che riguarda il li­bretto steso dal
poeta romano Jacopo Ferretti. Pessimi versi, i suoi, secondo Bacchelli: «per quanto
stava in lui il librettista ha fatto tutto per guastare la favola di Perrault, e anzi c’è
da stupire, sommato tutto, che se ne sia salvata la figura della protagonista». Un
buon libretto, invece, secondo Bruno Cagli, se si pensa che Ferretti aveva preso a
modello non tanto la favola di Perrault, quanto le riduzioni operistiche già diffuse
nel teatro musicale del tempo, e che rispetto a queste ultime aveva saputo intro85
durre caratterizzazioni, me­tafore e situazioni capaci di fornire solidi pigli all’estro
musicale di Rossini. Si può citare un terzo parere, anche questo dovuto a uno degli
studiosi di Rossini oggi di maggior prestigio, Philip Gossett. Ascrivibile al genere
dell’opera buffa, o meglio ancora del «dramma giocoso», come recita la dicitura
precisa dell’opera, La Cenerentola se ne distacca per l’uso di formule “serie” che
svol­gono, tuttavia, una precisa funzione narrativa e non modificano il carattere
fondamentalmente leggero della composizione.
Più che una mediazione fra i primi due giudizi, quello di Gossett suona come
una specificazione del secondo, dato che concorda con Bruno Cagli nell’ascrivere
La Cenerentola al genere buffo, ma al tempo stesso cerca di individuare l’origine
delle difficoltà che l’opera ha suscitato nel pubblico, nei critici e nei commentatori.
«Dramma giocoso», del resto, era anche la dizione data da Lorenzo da Ponte e da
Mozart al Don Giovanni, ed è noto che da secoli la bilancia dei giudizi pende ora
su un termine, ora sull’altro, a seconda che quell’opera venga collocata nel filone
“buffo” di derivazione italiana o nel solco di una sensibilità romantica ancora in
stato nascente. Per La Ceneren­tola le cose non stanno molto diversamente. Anche
se si ritiene fuori luogo scomodare al riguardo una “questione romantica”, quel di
cui si discute è la poetica di Rossini, la sua complessità pur all’interno di un’epoca
segnata dalla Restaurazione e incline, proprio per questo, a fissare anche la pratica
musicale all’interno di schemi piuttosto rigidi. La musica di Rossini forza di continuo questa rigidità, lotta contro le convenzioni più stanche del teatro d’opera e lo
fa scegliendo una strada ingrata e piena di equilibrismi: non la trasgressione, ma la
cura per il patrimonio di regole ereditato dalla tradizione; non il salto in un altro
registro stilistico, ma la sottile deviazione all’interno di un linguaggio coerente con
quello delle generazioni precedenti.
La Cenerentola, da questo punto di vista, è un capolavoro di ambivalen­za. Della
favola di Perrault vengono eliminati tutti i riferimenti fantastici, gli aspetti magici, tutto quel ch’era già pronto per una bella confezione piena di mistero e di
romantica ingenuità. Lo scheletro che resta è perfetto per un apologo illuminista,
razionalmente ordinato. Ma proprio laddove la “ragione” sembra sancire il suo
trionfo anche in una favola, ecco che versi e musica indicano continuamente il
limite oltre il quale essa è destinata a perdersi: un pensiero che svapora, ammattisce, un diventare folli o stupidi che accom­pagna i rovesciamenti della commedia
trasformandoli in nonsense. Il primo segno di tutto questo, ancora nella Scena I
dell’Atto I, sembra un’eco di quel che si diceva nel Barbiere, dove nel concertato
conclusivo dell’Atto I le voci dei protagonisti dicevano: «mi par d’esser con la testa
in un’orrida fucina». Qui, nella Cenerentola, è il precettore del principe Ramiro,
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Alidoro, in vesti da mendicante, a commentare insieme al coro la frenesia delle
sorelle Tisbe e Clorinda e la persecuzione della protagonista: «nel cervello una
fucina sta le pazze a martellar», dice Alidoro. E il coro, di rimando: «già nel capo
una fucina sta le donne a martellar». “Buffa”, dunque, è La Cenerentola perché
risponde a tutti gli stereotipi del genere, dal travestimento agli inganni, dalla lotta
fra amore e ambizione alle cadute repentine da una condizione all’altra: povertà e
ricchezza, felicità e infelicità. Ma “seria”, o almeno intrisa di elementi seri, perché
inscena il vacillare della ragione di fronte a sentimenti elementari come la gelosia, l’invidia, l’ambizione, l’amore stesso. Stando alla testimonianza del librettista,
Ferretti, Rossini aveva accolto con un’improvvisa accensione di interesse il titolo
Cendrillon fra i molti che gli erano stati proposti, e che aveva ascoltato snocciolare
dal poeta con un senso crescente di noia e rassegnazione. È possibile che fin dal
principio egli abbia avuto già in mente quel che l’opera avrebbe potuto diventare.
Più probabile, però, che egli intuisse come l’argomento di una favola così semplice
– o meglio: semplice come semplici sono sempre gli archetipi – gli avrebbe lasciato
la più ampia libertà nel trattamento dei personaggi e della materia musicale. Se fu
così, l’intuizione si rivelò giusta: La Cenerentola stimolò la miglior vena creativa di
Rossini e il suo gusto per la varietà delle soluzioni musicali, profuse in quest’opera
con un’abbondanza che non ha eguali nelle sue altre composizioni di quel periodo.
A confermare questa circostanza c’è anche la scarsità dei cosiddetti “autoimprestiti”, singoli numeri musicali già scritti in precedenza per un’altra opera e riutilizzati
con disinvoltura in una nuova partitura. Rossini faceva abitualmente ampio ricorso
a questo stratagemma, sia perché lo aiutava nei ritmi velocissimi di scrittura ai
quali era forzato, sia perché da alcune opere non c’era da aspettarsi che circolassero molto e archiviarne in modo definitivo la musica avrebbe significato, agli
occhi dell’autore, sacrificarla inutilmente. La Cenerentola, da questo punto di vista,
abbonda di musica nuova, com­posta più o meno nell’arco di un mese: sappiamo
infatti che il titolo venne proposto da Ferretti a Rossini due giorni prima del
Natale 1816 e che il 25 gennaio 1817 l’opera debuttò al Teatro Valle di Roma.
Come sempre accadeva in casi come questi, quando i tempi erano così ridotti, il
compositore scriveva a mano a mano che riceveva i nuovi versi dal poeta, così che
parole e musica progredivano in parallelo, seguendo la sceneggiatura generale – il
«program­ma», si diceva allora – che Ferretti aveva preparato subito dopo la decisione di lavorare al soggetto. Per snellire il lavoro Rossini, come altre volte gli
era accaduto, si era rivolto a un aiutante, un compositore di origine marchigiana
attivo alla Chiesa Nuova di Roma, tale Luca Agolini, noto nell’ambiente come
“Luchetto lo zoppo”. Il suo apporto non fu di poco peso anche se – come vedremo
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– venne eliminato del tutto a partire dai successivi allestimenti dell’opera. Certo
è che il sistema di velocizzazione più a portata di mano di Rossini, quello degli
“autoimprestiti”, appunto, venne usato con una parsimonia sorprendente, anche se
in posizioni di tutto rilievo. Due soltanto, infatti, sono i brani importati da altre
opere, ma si tratta dell’Ouverture e del Finale, dunque dell’apertura e della conclusione dell’opera. L’Ouverture venne presa da La Gazzetta, opera che aveva debuttato qualche mese prima a Napoli (Tea­tro dei Fiorentini, 26 settembre 1816), ma
che d’altra parte era una sorta di compilazione di pagine prese da opere precedenti
e che Rossini riteneva forse nociva per una pagina così equilibrata e ricca come la
sinfonia introduttiva, ora spostata di peso all’inizio di La Cenerentola. Per il finale,
invece, Rossini corse un rischio prendendo a prestito un passaggio altamente riconoscibile del Barbiere di Siviglia, opera che aveva debuttato sempre a Roma un
anno prima e che, dopo il celebre e forse pilotato tonfo della “prima”, aveva raccolto un successo clamoroso. Si trattava dell’aria di Almaviva «Cessa più di resistere»,
un brano particolarmente difficoltoso per una voce di tenore e che, concepito per
il primo interprete del ruolo, Manuel Garcìa, sarebbe stata inevitabilmente tagliata
o in presenza di cantanti meno dotati. Rossini pensò allora di passarla a una voce
femminile e ne fece la base del Rondò «Non più mesta accanto al fuoco starò
sola a gorgheggiar», ultimo intervento di Cenerentola al quale si aggiunge il coro
per la chiusa dell’opera. Il rischio consisteva da un lato nel fatto che il pubblico
di quei tempi non amava particolarmente simili riprese, dall’altro nella presenza,
nel cast di La Cenerentola, di cantanti che avevano già partecipato all’allestimento
del Barbiere, come Geltrude Righetti-Giorgi e Zenobio Vitarelli, rispettivamente
Resina e Basilio un anno prima.
Proprio l’azzardo e l’evidenza di questi autoimprestiti, oltretutto così con­tenuti
nel numero, da però conto del ruolo che Rossini aveva attribuito loro in questa occasione: non una scorciatoia per sveltire il lavoro o per ottenere il massimo
dell’effetto con il minimo sforzo, ma una sorta di trasfigurazione del­la scrittura
che da un contesto determinato sale verso le vette di un’astrazione metafisica. È
come se Rossini, detto altrimenti, si staccasse dalla storia che sta raccontando per
applicarvi una formula di belcanto allo stato puro, quasi a rimarcare che il gioco
e la tecnica belcantistica hanno sempre come appro­do ideale una sopraelevazione
rispetto ai casi del dramma e della commedia, dunque una uscita dai canoni narrativi il cui effetto risulta inevitabilmente straniante per una coscienza intimamente
“narrativa” com’è quella moderna.
Una musica che non sia narrazione, appunto, ma riflessione su se stessa, omaggio
a se stessa; una musica che non metta in scena veri e propri perso­naggi, con le
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loro psicologie, ma maschere, e che oltretutto con le maschere giochi prendendo
sul serio i travestimenti cui danno luogo: ecco La Cenerentola di Rossini ed ecco
anche, oltre La Cenerentola, la via di fuga intravista da Rossini in controcorrente
rispetto al cammino della modernità. Solo prendendo sul serio le maschere, d’altra
parte, era possibile costruire tutto l’intreccio di metamorfosi che attraversa da cima
a fondo la scrittura vocale di quest’opera. Prendiamo la protagonista, Cenerentola:
quando è ridotta a serva delle sue sorellastre, dunque al gradino più basso della
scala sociale, quel che canta accanto al fuoco è un’aria semplice, di andamento
popolare, «Una volta c’era un re», nenia dolcissima e insistente che viene ripetuta e
derisa da Clorinda e Tisbe, ma che Cenerentola sta intonando anche quando incontra per la prima volta il principe Ramiro, a sua volta travestito da servitore, e che
ricomparirà nell’Atto II, dopo la scena del ballo e prima della musica di Tempesta.
Il duet­to che Cenerentola e Ramiro cantano insieme nell’Atto I, «Un soave non
so che», ha lo stesso ritmo della canzone: corrisponde a una prima trasformazione stilistica, con una vocalità più complessa e sognante, simbolo della proiezione
verso una speranza e un desiderio. Giunta alla fine dell’opera, balzata al verti­ce del
mondo grazie al matrimonio con il principe, Cenerentola ha ormai uno stile vocale
nobile, trasfigurato rispetto agli inizi, e proiettato appunto verso quell’astrattezza
metafisica di cui il belcanto, come si è detto, rappresenta il simbolo. Un analogo processo di trasformazione tocca d’altra parte anche tutti gli altri personaggi
dell’opera, con l’unica eccezione di Don Magnifico e delle sue figlie predilette,
Clorinda e Tisbe, figure che appaiono fissate fin dal principio in quello stile buffo
che gli altri caratteri dell’opera, invece, saranno continuamente portati a trascendere. Alidoro, il precettore del principe, cam­bia stile e linguaggio a seconda che
sia in vesti di mendicante o si presenti con il proprio abito. Così Dandini, il servo
di Ramiro, ostenta un canto dalla nobiltà persino affettata quando indossa i panni
del suo principe, ma ridi­scende rapidamente verso un tono più asciutto e popolare
quando torna nelle proprie sembianze. Il duetto nel quale rivela la propria identità
a Don Magni­fico («Un segreto d’importanza», Atto II), è però esemplare perché
mostra la diversità del trattamento dei personaggi integralmente “buffi” rispetto
a quelli che attraversano un cammino di trasformazione nel corso dell’opera: pur
con­fessando il proprio vero mestiere, e pur adeguandosi allo stile vocale sillabato
e caricaturale di Don Magnifico, Dandini inizia la sua parte con un eloquio da
“opera seria” che al suo interlocutore è interdetto e mantiene, anche in seguito, un
aplomb e una dignità fuori dalla portata dell’altro. D’altra parte, un effetto ancora più sfumato Rossini lo ottiene nella scena dell’apparizione di Cenerentola al
ballo, nell’Atto I, quando il coro «Parlar, pensar vorrei», viene affrontato con uno
stile che individua con precisione, al suo interno, il carat­tere di ogni singola voce,
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dunque di ogni singolo personaggio. La formula è quella del tema con variazioni:
Clorinda espone il tema con secchezza, Ramiro ne propone una prima variazione
riccamente ornata, vale a dire aristocratica, quindi Cenerentola stessa ne esegue
una variazione esuberante, con salti che spiccano verso l’alto, mentre Dandini segue un ritmo di terzine che già piegano verso uno stile più basso, tendente al buffo.
Stili diversi che Rossini riunisce poi con un solo gesto, sintetico e geniale, nella
cadenza conclusiva.
Sulla base di quanto è stato detto, l’ambivalenza di La Cenerentola comin­cia a
chiarirsi. È un’opera buffa, ma al suo interno contiene passaggi vocali in stile serio
che per un verso connotano i travestimenti e i percorsi dei suoi protagonisti, per
un altro ne ibridano il linguaggio collocandolo al di là di ciò che in quell’epoca
si attribuiva al comico tout court. È un’opera di masche­re, non di personaggi, e di
maschere che contengono ciascuna un doppio al proprio interno: Cenerentola è
serva e principessa, Dandini servitore e princi­pe, come Ramiro, mentre Alidoro
è precettore e mendicante. Malgrado queste doppiezze, inoltre, ogni maschera è
attentamente individualizzata, anche se per ottenere questo effetto Rossini deve
lavorare proprio sul passaggio da un polo all’altro di ciascun carattere, adeguando
lo stile vocale ai travestimenti e ai ruoli ricoperti volta per volta. Infine è un’opera
nella quale l’individuazione non passa per le arie solistiche, ma per i pezzi d’insieme. Il paradosso è solo apparente. Le arie solistiche, la maggior parte delle quali è
riservata all’unico carattere integralmente buffo, quello di Don Magnifico, servono
meno a de­finire un carattere che non a ratificare una definizione già data nei pezzi
di insieme, all’interno dei quali hanno luogo le trasformazioni e i passaggi da un
polo all’altro della posizione sociale. Lo si può verificare nel magnifico Sestetto
che nell’Atto II funge da vero e proprio finale anticipato – «Questo è un nodo avviluppato» – capolavoro di finezza polifonica e di efficacia rappresentativa. Ma lo
si può vedere, ripercorrendo all’indietro La Cenerentola, anche nel Finale dell’Atto
I, nel Quintetto «Signor, una parola», nel coro che chiude l’Introduzione dell’opera: tutte scene che culminano nella confusione, nel rovesciamen­to dei ruoli, nella
dichiarazioni di follia personale o collettiva, quasi che dopo ogni appuntamento
corale l’individuazione dei personaggi avesse avuto solo lo scopo di stranire i personaggi della commedia, e anzitutto quelli che restano fissi in tanto movimento,
Don Magnifico, Clorinda e Tisbe.
Ma l’ambivalenza delle situazioni di La Cenerentola è anche il risultato di una
sottrazione: quella degli elementi magici e fiabeschi della favola di Perrault, del
tutto assenti nella versione di Ferretti e Rossini. Che alcuni dettagli, come la so90
stituzione della celeberrima scarpetta di Cenerentola con un doppio bracciale, uno
dei quali lasciato a Ramiro nel corso della festa danzante, si può forse comprendere pensando alla cultura popolare del tempo, così com’è ancora attestata dalle
favole di Le cunto de’ li cunti raccolte alla fine del Seicento da Giovan Battista
Basile e dalle ricerche svolte da Roberto De Simone all’epoca in cui preparava La
gatta Cenerentola (1976). La cultura popolare del tempo, non solo quella italiana,
considerava la scarpa femminile simbolo di verginità, tanto che averla perduta
fuggendo da una festa danzante, come accade a Cenerentola, appariva un’allusione sessuale evidentissima, con un corteo di doppi sensi pronti a moltiplicarsi a
ogni ulteriore tappa della storia. Quello del bracciale, insomma, era un espediente
pensato per neutralizzare una metafora. La rinuncia al resto del corredo fiabesco
dipende invece, con ogni probabilità, dall’aver scelto come riferimento letterario
non tanto il testo di Perrault, quanto il libretto di Francesco Fiorini per un’opera
del compositore Stefano Pavesi: Agatina, ovvero la virtù premiata. Andata in scena
alla Scala nel 1814, è un lavoro che si ipotizza sia Rossini che il suo librettista,
Ferretti, conoscessero bene – l’uno per averla ascoltata a Milano, l’altro per averne
letto il testo –, così come si pensa che a Ferretti non fosse ignota l’opera di Nicolas
Isouard, Cendrillon, che nel 1810 aveva visto la luce a Parigi con un libretto in stile
di féerie di Charles G. Étienne. Certo La Cenerentola ricorda molto da vicino nella
struttura, specie nelle prime scene, l’Agatina di Pavesi e Fiorini, e non c’è dubbio
che una convinzione espressa da Ferretti – «il pub­blico vuole a teatro qualcosa di
diverso da quello che può divertirlo in una storiella accanto al fuoco» – accrediterebbe ulteriormente l’idea che quell’opera, e non Perrault, sia stato il punto di
riferimento tanto del poeta quanto del musicista. Il confronto fra le due opere,
tuttavia, mostra quanto la mano di Rossini abbia calcato la mano su aspetti ai quali
i versi di Ferretti offrono valida sponda: dunque, quanto i due abbiano lavorato in
fretta e in pieno accordo, nonostante tutti i giudizi negativi che il tempo ha accumulato verso la qualità del libretto. Proprio perché maschere, e non personaggi, i
caratteri di La Cenerentola hanno tutti qualcosa di estremo: grandiosi o miserabili
che siano i loro gesti tutto, in loro, ha una punta di un eccesso che invade anche
i sogni e l’immaginazione. Basti pensare al sogno, appunto, che Don Magnifico
racconta dopo essere stato svegliato dai suoi «rampolli femminini» per vedere di
quali visioni strampalate e ambiziosissime egli fosse capace – e di quali immagini
poetiche, divertenti ed efficaci, fosse capace Ferretti. Ma questo eccesso, che solo
di rado scivola nella caricatura, è anche ciò che permette alle maschere, tramite il
loro carattere allegorico e tuttavia ben individualizzato, di riprendere un inatteso
contatto con il mondo della fiaba. Non dal lato della magia, però, ma da quello
dell’apologo, cosicché il sottotitolo dell’opera, La Bontà in Trionfo, ne sarà come
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un sigillo, ma paradossale, perché applicato precisamente a un eccesso. Un eccesso
di bontà e uno di cattiveria, un eccesso di credulità e uno di astuzia, un eccesso di
generosità e uno di avidità: ecco i caratteri opposti che senza più magia, e senza
mistero, si allineano l’un contro l’altro in questa favola dove tutto cambia ruotando
intorno a un’unica stella fissa: quella dello stupor – stupore, follia o stupidità che
sia. È lì che la vicen­da ha il suo perno. Ed è lì che la ragione di ognuno rischia di
perdersi ogni volta che si spinge fino al limite dei suoi eccessi, buoni o cattivi che
siano.
Resta ancora qualcosa da dire a proposito della collaborazione di “Luchetto lo
Zoppo”, autore di tre pezzi quasi subito tolti da Rossini: un coro di Cavalieri
all’inizio dell’Atto II, un’aria di Clorinda prima della fine dell’Atto II, infine l’aria
di Alidoro «Vasto teatro è il mondo», nell’Atto I. I primi due brani vennero eliminati da Rossini già dopo le prime recite: del resto non sembra­vano necessari
all’economia dell’opera ed erano stati inseriti più che altro per rispetto delle convenzioni dell’epoca - l’aria di Clorinda era di quelle che si definivano “da sorbetto”,
cioè di quelle che, affidate a una voce di secondo piano, si potevano ascoltare in
beata distrazione. L’aria di Alidoro svolgeva, in­vece, un ruolo importante, anche
perché dava più spessore a uno dei caratteri implicato nelle trasformazioni vocali
e sociali con le quali Rossini gioca per tutto il corso dell’opera. Quando a Roma
La Cenerentola venne ripresa (dopo un esito modesto alla “prima” le successive
recite furono un buon successo), Rossini chiese allora a Jacopo Ferretti di preparare nuovi versi per un’aria di grande respiro, in stile serio: «Là del ciel nell’arcano
profondo». Un’aria «mo­rale», la definì Ferretti, e che testimonia una volta di più
quanto per Rossini contasse, in quest’opera, l’oscillazione fra diversi registri, la volontà di inserire momenti di forte impegno virtuosistico e stilistico accanto ad altri
di più schietta comicità. Oggi La Cenerentola la si ascolta per lo più mantenendo
quest’aria, e comunque senz’altro intervento di Luca Agolini che non sia la – probabile – stesura dei recitativi.
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Daniele Abbado
Il passo di Cenerentola. Brevi annotazioni di regia
Sono diversi gli elementi teatrali in cui si snoda la Cenerentola di Rossini: rinuncia
al magico-favolistico in favore di un racconto esistenziale, momenti comici, travestimenti, allusioni allo sfondo tragico della vicenda.
Squilibrio – equilibrio: Cenerentola sembra parlarci di questo contrasto, e la musica
di Rossini sembra trovare qui il proprio materiale elettivo.
La traccia da seguire sembra indicarla Rossini stesso, articolando una serie di momenti in cui il manifestarsi di una natura umana, tanto esagerata da risultare incomprensibile, produce una perdita della ragione.
In questo testo, la mente umana vacilla e si confonde: la ragione confusa è forse il
tema maggiormente ricorrente nel testo, appellata in svariati modi.
Questi momenti servono a Rossini per portare le situazioni e i personaggi ad un
punto in cui la confusione genera estasi, stupore, trasfigurazione.
Qui è la musica a compiere una ulteriore trasformazione, decisiva: lo scatenamento dell’intelligenza musicale rossiniana “stacca” i personaggi dalla propria condizione individuale trasportandoli in una dimensione più astratta, in cui la musica
stessa diventa fatto narrativo, ironico e introspettivo.
La Cenerentola di Rossini si apre nel segno dei travestimenti. Tutti i personaggi “travestono” la propria identità, la nascondono, non sanno o non vogliono riconoscerla.
Ciò che colpisce, di questa Cenerentola, è il fatto che la sua trasformazione non
implichi incantesimi, ma sia un cambiamento interiore.
Studiando le tante varianti della favola di Cenerentola di ogni luogo del mondo
e di ogni tempo, si scopre una Cenerentola imparentata con personaggi a volte
inattesi, come Edipo, Giasone, Filottete.
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La Cenerentola di Rossini appare come la trasformazione in chiave moderna del
tema del monosandalismo, del piede nudo, ovvero della constatazione che è impossibile varcare ritualmente la soglia dell’altro mondo con il passo ordinario, cioè
con “tutti e due i piedi”, come ben spiega Carlo Ginzburg in un suo libro.
Un passaggio che ci porta a comprendere, per esempio, perché la Cenerentola di
Rossini, nel primo atto, manifesti una sorta di perdita di identità. Un personaggio
quasi sonnambulistico, che si domanda chi è.
Qui Rossini genialmente allude, e solo allude, alla storia tragica di questa giovane
orfana lasciata in cattive mani. Ma quando poi il personaggio compie la sua trasformazione, riuscendo a ricomporre il proprio sé confuso, viene fuori un profilo
di grande statura.
Nessun passaggio patetico, quindi, ma una malinconia che lascia intravedere un
trauma, una sofferenza originaria. Questo ci indica l’irruzione, totalmente inaspettata visto il contesto, del tema della morte: “Ella morì”. A quel punto lo stupore arriva
ai suoi massimi ed è chiaro che Rossini sta scherzando con temi estremamente seri.
In equilibrio geniale convivono nella penna di Rossini due dimensioni: una esistenziale, metafisica e un’altra da commedia, con personaggi anche volgari. Il suo
don Magnifico sembra davvero uno zio disegnato da Peppino De Filippo o da
Vittorio De Sica, con tutte le esagerazioni che abitano questo genere di personaggi
– c’è addirittura il classico “Bestia, maiuscole!”. Insomma, la Cenerentola rossiniana
finisce per toccare gli aspetti più alti e tutte le diverse possibilità espressive del comico: di situazione, astratto, surreale: e questa ricchezza genera il linguaggio forse
più evoluto delle opere comiche rossiniane.
Questi sono i motivi che rendono poco interessante, oggi, una lettura scenica favolistica o realistica.
Al contrario, in Rossini c’è tutto il meglio del peggio, e questa Cenerentola ha anche il tono e il senso di una celebrazione comica delle miserie umane.
Per questo credo che al palcoscenico vada richiesta la ricerca di un punto di incontro tra l’astratto e il concreto delle situazioni, tale è la varietà degli archetipi attivi
nella drammaturgia.
Finale: il finale è la fine di un trauma e di una perdita. Il personaggio di Cenerentola
giunge ad una nuova nascita e questa nuova nascita comporta l’uscita dal terrore.
La “bontà” di Cenerentola vale, nel finale, come istinto vitale di colei che toglie la
paura degli altri: “Tergete il ciglio. Perché tremar?”
Per avere un ampio respiro.
Per camminare in quel passaggio da una dimensione all’altra che marca ogni trasformazione c’é bisogno di respiro e di buon passo.
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Su Rossini
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica (lezioni tenute dal 1818 al 1829)
Per questi aspetti la bellezza veramente musicale risie­de nel fatto
che si passa, sì, dal semplicemente melodico al caratteristico, ma che
entro questa particolarizzazione il melodico resta conservato come
l’anima che dà unità e sostegno; come, per esempio, sempre si conserva il tono della bel­lezza nel caratteristico delle pitture di Raffaello. Il
melo­dico è allora pieno di significato, ma pur in ogni determi­natezza
esso è l’animazione compenetrante ed unificante, ed il particolare
caratteristico appare soltanto come un ri­lievo di lati determinati che
per via interna sono ricondotti sempre a questa unità ed animazione.
Cogliere a tale pro­posito la giusta misura è nella musica più difficile che in altre arti, perché la musica più facilmente si disgiunge
in entrambi questi opposti modi di espressione. Così quasi in ogni
epoca il giudizio su opere musicali è diviso; gli uni danno la prevalenza al melodico, gli altri a quel che è più caratteristico. Per esempio,
Händel, che anche nelle sue opere ha spesso richiesto per singoli
momenti lirici grande rigore di espressione, ebbe da sostenere già al
suo tempo molte lotte con i suoi cantanti italiani e alla fine, quando
anche il pub­blico si schierò dalla parte di costoro, si diede intieramente a comporre oratori, in cui le sue doti di autore trovarono il più
ricco campo. Anche all’epoca di Gluck fu famosa la lun­ga e vivace
controversia tra i seguaci di Gluck e quelli di Piccinni. Rousseau, dal
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canto suo, di contro alla mancanza di melodia dei Francesi antichi,
ha preferito di nuovo la musica melodica italiana; e oggi infine si
discute alla stessa maniera pro e contro Rossini e la moderna scuola
italiana. Gli avversari spacciano infatti la musica di Rossini come un
vuoto solletico dell’orecchio. Ma se si entra un po’ nelle sue melodie,
questa musica è invece estremamente ricca di sentimento, di spirito,
e penetra nell’animo e nel cuore, sebbene poi essa non si abbandoni
a quel genere di caratteristica che è preferito specialmente dal rigoroso intelletto musicale tedesco. Infatti anche troppo spesso Rossini
è in­fedele al testo e con le sue libere melodie oltrepassa ogni confine,
cosicché si ha allora la scelta se restare nell’argo­mento ed essere insoddisfatti della musica che non vi con­corda più, oppure rinunciare
al contenuto e senza impedi­menti ricrearsi alle libere invenzioni del
compositore e godere con l’anima l’­anima che vi è in esse.
(Parte terza. Traduzione di Nicolao Merker e Nicola Vaccaro, Einaudi 1967)
Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione (1819)
[La musica] non esprime dunque questa o quella singola e determinata gioia, questo o quel turbamento, o dolore, o terrore, o giubilo, o
letizia, o serenità; bensì la gioia, il turbamento, il dolore, il terrore, il
giubilo, la letizia, la serenità in se stessi, e, potrebbe dirsi, in abstracto,
dandone ciò che è essenziale, senza accessori, quindi anche senza i
loro motivi. Perciò noi comprendiamo la musica perfettamente, in
questa purificata quintessenza. Di là procede che la fantasia venga
dalla musica con tanta facilità eccitata, tenti allora di dar forma a
quel mondo di spiriti, che direttamente ci parla, invisibile e pur sì
vivamente mosso, e di vestirlo con carne e ossa, cioè impersonarlo
in un esempio analogo. Questa è l’origine del canto accompagnato da parole, e finalmente dell’opera – la quale appunto perciò non
dovrebbe mai abbandonare questa situazione subordinata per salire
al primo luogo, ridurre la musica a semplice mezzo della propria
espressione; la qual cosa è un grosso errore e una brutta stortura.
Imperocché sempre la musica esprime la quintessenza della vita e dei
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suoi eventi, ma non mai questi medesimi; le cui distinzioni quindi
non hanno il minimo influsso sopra di lei. Appunto tale universalità,
che a lei esclusivamente appartiene, malgrado la determinatezza più
precisa, le dà l’alto valore, ch’ella possiede come panacea di tutti i
nostri mali. Se quindi si vuol troppo adattar la musica alle parole, e
modellarla sui fatti, ella si sforza a parlare un linguaggio che non è il
suo. Da questo difetto nessuno s’è tenuto lontano come Rossini: perciò la musica di lui parla sì limpido e puro il linguaggio suo proprio,
da non aver punto bisogno di parole, ed esercitare quindi tutto il suo
effetto, anche se eseguita dai soli strumenti.
(Libro terzo. Traduzione di P. Savj-Lopez e G. de Lorenzo, Laterza, 1928)
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Libri all’opera
Le pubblicazioni delle Edizioni del Teatro Municipale Valli
The Rake’s Progress di Igor Stravinskij, a
cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale Valli, Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 120
(contiene: libretto bilingue inglese-italiano; saggio e descrizione della struttura dell’opera di Raffaele Pozzi).
Così fan tutte di Wolfgang Amadeus
Mozart, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Valli, Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 113
(contiene: libretto; articoli e saggi di Giorgio Strehler, Maria
Grazia Gregori, Giovanna Gronda, Frits Noske). ESAURITO
Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Valli, edizione
espressamente realizzata per il Teatro Comunale di Modena,
1999. ESAURITO
Werther di Jules Massenet, a cura dell’Ufficio
Stampa del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 100 (contiene: libretto
bilingue francese italiano; articoli e saggi di Marco Beghelli,
Giorgio Cusatelli, Umberto Bonafini).
Andrea Chénier di Umberto Giordano, a
cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale Valli, Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 98
(contiene: libretto; saggi di Marcello Conati, Guido Salvetti,
Ugo Bedeschi.
Falstaff di Giuseppe Verdi, a cura di Roberto
Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Municipale Valli, 2000, pp. 106 (contiene: libretto; saggio
di Angelo Foletto; testimonianze di Hanslick, Bonaventura,
Monaldi, Celli, Mila, De Van, Mula; estratti dal carteggio
Verdi-Boito).
Otello di Giuseppe Verdi, a cura di Roberto
Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Municipale Valli, 2000, pp. 100 (contiene: libretto; saggio
di Frits Noske; estratti dal carteggio Verdi-Boito; servizio
fotografico di Stefano Camellini).
Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart,
a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2000, pp. 72 (contiene: libretto; articoli e saggi di Donald Sulzen, Harald Braun, Charles Osborne; foto di Alda
Tacca). ESAURITO
Der fliegende Holländer di Richard Wagner, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Valli, 2001, pp. 83 (contiene: libretto bilingue; articoli e
saggi di Carl Dahlhaus, Alberto Mari e Luisa Rubini; estratti
da scritti di Wagner e Friedrich Nietzsche).
L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, a
cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2001, pp. 72 (contiene:
libretto; articoli e saggi di Rubens Tedeschi, Giorgio Pestelli,
Francesco Bellotto).
Il trovatore di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi
e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli,
2001, pp. 94 (contiene: libretto; articoli e saggi di Alberto Arbasino, Pierluigi Petrobelli, Sergio Cofferati, Ugo Bedeschi).
Tout Rossini, gli atti unici di Gioachino
Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Municipale Valli, 2001, pp. 140 (contiene: cinque
libretti; saggi di Alessandro Baricco, Piero Mioli; diverse
ricette del Maestro).
Luciano Pavarotti. 40 anni di canto da
Reggio al mondo, vol. rilegato + programma, a cura
dell’Ufficio stampa del Teatro Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2001, pp. 90 (contiene: testi; articoli di
Umberto Bonafini, Giorgio Gualerzi, Francesco Sanvitale).
ESAURITO
Maria Stuarda di Gaetano Donizetti, a
cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Municipale Valli, 2002, pp. 82 (contiene: saggi di Luca Zoppelli, Paolo Cecchi; estratti da La reina di Scozia di Federico
Della Valle; Sonetto 94 di Shakespeare; fumetto di Casali e
Michele Petrucci).
L’incoronazione di Poppea di Claudio
Monteverdi, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi,
Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2002,
pp. 113 (contiene: libretto; saggi di Claudio Gallico, Francesco
Degrada; un fumetto di Matteo Casali e Grazia Lobaccaro).
Il processo di Alberto Colla (prima assoluta), a
cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2002, pp. 132 (contiene: libretto; note del Compositore;
saggi di Quirino Principe, Giovanni Guanti; un fumetto di
Casali e Giuseppe Camuncoli; citazioni e disegni di Kafka).
Manon Lescaut di Giacomo Puccini, a cura
di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli,
2002, pp. 123 (contiene: libretto; saggi di Jürgen Maehder,
Ugo Bedeschi, Umberto Bonafini; estratti dal romanzo
Manon Lescaut di Prévost; fumetto di Casali e Werther
Dell’Edera).
Tancredi di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi
e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp.
106 (contiene: libretto; saggi di Philip Gossett, Marco Beghelli; estratti da Le Rossiniane di Giuseppe Carpani; fumetto
di Matteo Casali e Michele Petrucci).
L’Olimpiade di Giovanni Battista Pergolesi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2003, pp. 106 (contiene: libretto; un saggio
di Francesco Degrada; la Lettera I su Metastasio di Stendhal;
fumetto di Giuseppe Zironi e Yoshiko Kubota).
Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi,
a cura di Fabbi e Viaghi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2003, pp. 112 (contiene: libretto; saggi di Paolo Cecchi,
Gianandrea Gavazzeni, Ugo Bedeschi; estratti da romanzi
e scritti di James Ellroy, Augusto Illuminati, Jim Garrison;
fumetto di Giuseppe Zironi e Antonio Pepe).
Mahler Chamber Orchestra. Claudio Abbado. Anna Larrson. Concerto con musiche di Mahler,
Beethoven, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2003, pp. 82 (contiene: testi; saggi di Arrigo
Quattrocchi, Lidia Bramani; un racconto di Achille Giovanni
Cagna). ESAURITO
Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, a cura
di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli,
2003, pp. 120 (contiene: libretto; un saggio di Marco Beghelli;
estratti da Angelo Arioli, Le Isole Mirabili. Periplo arabo medievale; fumetto di Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli).
The Rape of Lucretia di Benjamin Britten,
a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2004, pp. 122 (contiene: libretto bilingue; prefazione
all’opera di Benjamin Britten; un saggio di Lidia Bramani;
otto illustrazioni di Nicola Carrù).
Così fan tutte di Wolfgang Amadeus
Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2004, pp. 154 (contiene: libretto; un saggio
di Diego Bertocchi).
Orlando di Georg Friedrich Händel, a
cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2004, pp. 94 (contiene: libretto; un saggio di Lorenzo
Bianconi; estratti dal Furioso di Ludovico Ariosto).
Le comte Ory di Gioachino Rossini, a cura
di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli,
2004, pp. 108 (contiene: libretto; due saggi di Mario Marica;
la ballata popolare Le comte Ory et les nonnes de Formoutiers).
Gustav Mahler Jugendorchester. Claudio
Abbado. Nona Sinfonia di Mahler. A cura di Fabbi e
Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp.
55 (contiene: saggi di Peter Franklin, Arrigo Quattrocchi;
antologia di scritti di Claudio Abbado, Theodor W. Adorno,
Alban Berg, Pierre Boulez, Luigi Rognoni, Arnold Schönberg, Ulrich Schreiber, Bruno Walter). ESAURITO
Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio
Monteverdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 96 (contiene: libretto;
saggi di Franco Bezza, Claudio Gallico; estratto dall’Odissea).
Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny di
Kurt Weill e Bertolt Brecht, a cura di Fabbi e
Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp.
207, tavole a colori (contiene: libretto bilingue; saggio di
Hartmut Kahnt; contributi di Abbado, Adorno, Benjamin,
Berio, Bossini, Brecht, Fabbri, Ferrari, Pestalozza, Sanguineti,
Weill). ESAURITO
Peter Grimes di Benjamin Britten, a cura di
Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005,
pp. 135 (contiene: libretto; scritti di Benjamin Britten, Peter
Pears; saggi di Michele Girardi, Gilles Couderc, Edward
Lockspeiser).
Die Zaubeflöte di Wolfgang Amadeus
Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2005, pp. 207 (contiene: libretto bilingue;
saggi di Lidia Bramani, Giorgio Agamben; contributi di
Luigi Pestalozza, Pier Cesare Bori, Salvatore Natoli, Adriana
Cavarero, Francesco Micheli, Fulvio Papi, Marco Beghelli).
ESAURITO
Orchestra Mozart. Claudio Abbado. Giu-
liano Carmignola, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
2007, pp. 116.
La traviata di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi
Vighi (contiene libretto, note di regia di Arturo Cirillo, un
saggio di Roberto Scoccimarro, un racconto di Giuseppe
Montesano), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2008,
pp. 125.
Valli, 2005, pp. 55 (contiene: saggio di Marco Beghelli;
contributi di Francesca Arati, Giulia Bassi).
e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp.
90 (contiene: libretto; note di regia di Irina Brook; saggi di
Roberto Verti, Gilles de Van, Catherine Clément, Rodolfo
Celletti, Bruno Barilli).
West Side Story di Leonard Bernstein, 2 voll.
a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2005, pp. 68 (libretto) e pp. 49 (saggi).
The Flood di Stravinskij / L’Enfant et les
Sortilèges di Ravel, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 81.
Le nozze di Figaro / Così fan tutte / Don
Giovanni di Mozart (“Le opere italiane di Lorenzo
Da Ponte”), 2 voll. a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 189 (libretti) e pp. 88
(saggi). ESAURITO
Filarmonica della Scala. Riccardo Chailly
(contiene: un saggio di Oreste Bossini), Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 55.
Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald
Gluck, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di
L’Alidoro di Leonardo Leo, a cura di Fabbi e
Fidelio di Ludwig van Beethoven, a cura
di Fabbi e Vighi (contiene libretto, un saggio di Esteban
Buch, alcune lettere di Beethoven, un contributo di Hannah
Arendt), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2008,
pp. 136.
Nabucco (Nabucodonosor) di Giuseppe
Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, 2008, pp. 100. Contiene:
libretto; saggi contributi di Gianni Ruffin, Esteban Buch,
Vittorio Sermonti, Ugo Bedeschi.
Mahler Chamber Orchestra. Claudio Abbado. Margarita Höhenrieder
Musiche di Mozart, Beethoven. A cura dell’Ufficio Stampa
del Teatro Valli, 2008, pp. 50. Contiene: saggi di Roberto
Favaro, Luigi Magnani.
Madama Butterfly di Giacomo Puccini, a
cura di Fabbi e Vighi, 2009, pp. 131. Contiene: libretto; saggi
contributi di Michele Dall’Ongaro, Marco Capra, Bruno
Barilli, Ugo Bedeschi.
regia di Graham Vick, saggi di Fabbri, Kerényi, Hilman),
Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 80.
The Blue Planet, di Peter Greenaway e
Saskia Boddeke, a cura di Fabbi e Vighi, 2009, pp.
a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di regia di
Graham Vick, saggi di Foletto, Bedeschi, contributi di Komarova, Musorgskij, Nori, Raffaini), Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2007, pp. 80.
A Midsummer Night’s Dream, di Benjamin Britten, a cura di Parmiggiani e Vighi, 2009, pp.
Boris Godunov di Modest Musorgskij,
Progetto Miracolo a Milano (prima assoluta) Totò
il buonooo di Daniele Abbado. Miracolo a Milano di Giorgio
Battistelli. Petrolio: Ken Saro-Wiwa poeta e martire di Boris
Stetka, a cura di Fabbi e Vighi (contiene copioni e libretti,
interviste a Daniele Abbado e Giorgio Battistelli, contributi di
Yorgure, De Curtis, Nori, Gianolio), Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2007, pp. 105. ESAURITO
Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, a cura
di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di regia di Giorgio
Gallione, saggi di Ruffin, Petrobelli, Zoppelli documenti a
cura di Conati), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli,
137. Contiene: libretto; saggi contributi di Peter Greenaway,
Saskia Boddeke.
137. Contiene: libretto; saggi contributi di Benjamin Britten,
Philipp Brett.
La vera costanza, di Franz Joseph Haydn,
a cura di Parmiggiani e Vighi, 2009, pp. 156. Contiene: libretto; saggi contributi di Elio De Capitani, Jessica Waldoff.
Idomeneo, di Wolfgang Amadeus Mozart,
a cura di Parmiggiani e Vighi, 2009, pp. 132. Contiene: libretto; saggi contributi di Francesco Degrada, Davide Livermore,
Jean Starobinski.
Fondazione
Consiglio di Amministrazione
Presidente
Graziano Delrio
Vice Presidente
Giuseppe Gherpelli
Giorgio Allari
Enrico Baraldi
Maria Brini
Annusca Campani
Antonio Cioccolani
Giampiero Grotti
Elena Montecchi
Clementina Santi
Paola Silvi
Collegio dei Revisori
Carlo Reverberi presidente
Gianni Boni
Roberto Davoli
Direttore artistico
Daniele Abbado
Consulente per la Danza e RED
Fabrizio Grifasi
Comitato di Indirizzo
Marco Bindocci
Giorgio Cucchi
Sandra De Pietri
Alessandro Di Nuzzo
Silvia Grandi
Alessandro Panizzi
Loretta Piccinini
Emanuela Vercalli
Pasquale Versace
Gigliola Zecchi Balsamo
Fondazione
Segreteria artistica e organizzativa
Marina Basso
Costanza Casula
Lorella Govi coordinatore di produzione
Segretario generale
Daniela Spallanzani
Amministrazione
Paola Azzimondi
Wilma Meglioli
Elisabetta Miselli
Personale
G. Paolo Fontana capo settore
Luisa Simonazzi
Copia e protocollo
Sabrina Burlamacchi
Federica Mantovani
Maria Carla Sassi
Archivio Biblioteca Editoria
Susi Davoli capo settore
Liliana Cappuccino
Stampa, comunicazione e promozione
Mario Vighi capo ufficio stampa
Paola Bagni
Veronica Carobbi
Roberto Fabbi
Lorenzo Parmiggiani
Francesca Severini
Biglietteria
Cinzia Trombini
Luca Cagossi Usai
Concorso “Premio Paolo Borciani”
Mario Brunello direttore artistico
Francesca Zini
Servizi tecnici di palcoscenico
Andrea Gabbi direttore tecnico
Federico Bianchi
Mauro Farina
Brunella Spaggiari
Tecnici elettricisti
Luciano Togninelli
Gianluca Antolini cabinista
Marino Borghi
Luca Cattini fonico
Ousmane Diawara
Fabio Festinese
Guido Prampolini
Roberto Predieri
Tecnici macchinisti
Giuseppe Botosso
Gianluca Baroni
Maurizio Bellezza
Carmine Festa
Massimo Foroni
Gianluca Foscato
Renzo Grasselli
Alan Monney
Luca Prandini
Andrea Testa
Sartoria
Monica Salsi
Servizi generali
Maria Grazia Conforte
Mariella Gerace
Giuseppina Grillo
Lorena Incerti
Claudio Murgia
Sergio Petretich
Massimo Valentini
Patrizia Zanon
Soci fondatori originari istituzionali
Soci fondatori
Soci fondatori ordinari
GRUPPO BPER
Sostenitori
Partner
Annalisa Pellini
Amici del Teatro
Giuliana Allegri, Paola Benedetti Spaggiari, Enea Bergianti, Franco Boni, Gemma Siria Bottazzi, Gabriella Catellani Lusetti, Achille
Corradini, Donata Davoli Barbieri, Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Umbra Manghi, Grande Ufficiale Gr. Croce llario Amhos
Pagani, Comm. Donatella Tringale Moscato Grazia Maria di Mascalucia Pagani, Ivan Sacchetti, Paola Scaltriti, Mauro Severi, Corrado
Spaggiari, Corrado Tirelli, Deanna Ferretti Veroni, Vando Veroni, Gigliola Zecchi Balsamo
Cittadini del Teatro
Gianni Borghi, Vanna Lisa Coli, Andrea Corradini, Ennio Ferrarini, Milva Fornaciari, Giovanni Fracasso,
Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Franca Manenti Valli, Ramona Perrone, Viviana Sassi, Alberto Vaccari
Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono realizzate con il contributo
e la collaborazione della Fondazione Manodori
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