Enìa dà Energia alla musica. www.reggiomotori.bmw.it locale non fumatori Collana LIBRI ALL’OPERA Teatro Municipale Valli, 21 e 23 aprile 2010 La Cenerentola ossia La bontà in trionfo Dramma giocoso in due atti musica di Gioachino Rossini libretto di Jacopo Ferretti Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano a cura di A. Zedda. Edizioni del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2010 Libro programma a cura di Lorenzo Parmiggiani e Mario Vighi Ufficio stampa, comunicazione e promozione In redazione: Veronica Carobbi L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte. Notizie 19 La vicenda Atto I Antica sala terrena nel castello del Barone Don Magnifico, barone di Montefiascone, vive nel suo castello con le figlie Clorinda e Tisbe, viziate e trattate con tutti i riguardi, e la figliastra Angelina (detta Cenerentola), costretta invece ai lavori più umili. Angelina si consola intonando la canzone («Una volta c’era un re») che narra come un principe partì alla ricerca di una sposa, trovò tre pretendenti e scelse, alla fine, la più innocente e buona. Un mendicante bussa alla porta; mentre Clorinda e Tisbe lo respingono, Angelina ha compassione di lui e gli dà qualcosa da mangiare. Giunge un gruppo di cavalieri, che reca un invito per Don Magnifico e le sue figlie: il principe darà una festa e sceglierà la sua sposa tra le invitate. Clo­rinda e Tisbe sono prese dalla frenesia; il loro cicaleccio sveglia Don Magnifico, che si alza di cattivo umore e racconta lo strano sogno che stava facendo (aria «Miei rampolli femminini»), sicuro presagio di un’imminente fortuna. Le figlie lo informano dell’invito alla festa: Don Magnifico è sicuro che tutto ciò confermi il suo sogno. Compare Don Ramiro, il principe, in abito da scudiere. Il travestimento gli è stato suggerito dal suo precettore, il filosofo Alidoro, che già ha compiuto un sopralluogo in casa di Don Magnifico nelle vesti del mendicante. Come il principe scorge Angelina, scocca il colpo di fulmine. Interrogata sulla sua identità, la ragazza, confusa, dà risposte evasive (scena e duetto «Un soave non so che»). I cavalieri introducono Dandini, cameriere del principe, che per ordine del suo signore ne ha indossato i panni (coro e cavatina «Come un’ape ne’ giorni d’aprile»): il principe vuole restare incognito e osservare così le pretendenti per indovinarne le intenzioni. Don Magnifico, Tisbe e Clorinda rendono omaggio a Dandini, che credono il vero principe. Angelina chiede il permesso di accompagnare le sorelle a palazzo, ma Don Magnifico le impone di tacere, spiegando 21 agli astanti che la ragazza è solo la governante (quintetto «Signor, una parola»). Don Ramiro, che assiste alla scena, trattiene a stento la sua indignazione. Alidoro, rimasto solo con Ange­lina, la consola e la tranquillizza assicurandole che sarà lui ad accompagnarla alla festa del principe (aria «Là del ciel nell’arcano profondo»). Gabinetto nel casino di Don Ramiro Dandini solletica l’amor proprio di Don Magnifico nominandolo cantiniere del castello; intanto Clorinda e Tisbe cercano di mettersi in buona luce agli occhi del principe, riuscendo solo a mostrare la loro vanità e arroganza (finale primo). Suoni di festa annunciano l’arrivo a palazzo di un personaggio importante: è una dama elegantissima e velata, che mette tutta la corte in soggezione. Quando si toglie il velo, appare una fanciulla bellissima: è Angelina, condotta al ballo da Alidoro; pur notando la somiglianza, nessuno riconosce in lei Cenerentola. Atto II Gabinetto nel palazzo di Don Ramiro Don Magnifico, Trisbe e Clorinda sono preoccupati per l’apparizione ina­spettata della bella concorrente, che rischia di mettere tutti fuori gioco. Don Magnifico non ha la coscienza tranquilla: per mantenere nel lusso e nell’ozio le due figlie ha sperperato l’eredità di Angelina; ora spera di far sposare una delle due al principe per risollevare le sorti del suo casato (aria «Sia qualunque delle figlie»), e già si vede installato a corte e assediato dai questuanti. Don Ramiro – colpito anch’egli dalla somiglianzà tra la bella incognita e quella che crede la governante di Don Magnifico – sorprende la conversazione di Dandini e Ange­lina: la fanciulla respinge la richiesta di matrimonio del falso principe, dichia­rando di amare il suo scudiero. Felice, il vero principe si mostra e chiede la sua mano. Angelina gli dona un braccialetto e pone una condizione: sarà sua se egli saprà ritrovarla e se non gli spiacerà la sua vera identità. Don Ramiro riprende le sue vesti e parte subito, esultante, alla ricerca dell’amata (scena e aria «Sì, ritrovarla lo giuro»). Don Magnifico raggiunge ora Dandini, che continua nella finzione e si prende gioco di lui (duetto «Un segreto d’importanza»), appresa a poco a poco la verità, Don Magnifico, furibondo, vede svanire i suoi progetti. Sala terrena con camino in casa di Don Magnifico Rientrata dalla festa, Cenerentola è di nuovo accanto al fuoco e sogna del principe (canzone «Una volta c’era un re»). Il sogno è interrotto dall’arrivo di Don 22 Magnifico e delle sorellastre, che sfogano su di lei la loro irritazione. Scoppia intanto un temporale, a causa del quale la carrozza di Don Ramiro si rovescia proprio davanti alla casa di Don Magnifico. Il principe entra, cercando riparo dalla pioggia. Don Magnifico tenta ancora di ingraziargli una delle due figlie, cercando di far passare Angelina per la governante. Ma il principe riconosce al braccio di Angelina un braccialetto simile a quello che ha ricevuto in dono; tra lo stupore generale si fa riconoscere da lei (sestetto «Siete voi?... Voi prence siete?») e la indica come la sua futura sposa. Alidoro invita le sorellastre a rasse­gnarsi: Clorinda cercherà un altro marito e Tisbe chiederà perdono a Cenerentola. Atrio con festoni di fiori illuminato. La corte rende omaggio alla nuova principessa. Angelina chiede al suo spo­so perdono per la sua famiglia: la sua bontà naturale le ha fatto dimenticare ogni ingiustizia (coro, scena e rondò finale «Nacqui all’affanno, al pianto»). 23 Rossini (1792-1868) Gioachino Rossini nasce a Pesaro il 29 febbraio 1792, il padre è suonatore di tromba e corno, la madre cantante. Studia a Lugo e, dal 1806 al 1810, al Liceo Musicale di Bologna, allievo dell’abate Mattei. In questi anni com­pone 2 sinfonie, arie, una cantata e un’opera, Demetrio e Polibio, rappre­sentata a Roma nel 1812. Il suo esordio in teatro avviene però nel 1810, a Venezia, con La cambiale di matrimonio. L’anno seguente va in scena L’equivoco stravagante, e nel 1812 ben 5 opere: L’inganno felice, Ciro in Babilonia (sua prima opera seria), La scala di seta, La pietra del paragone (grande successo alla Scala) e L’occasione fa il ladro. Nel 1813, a Venezia, segnano la sua definitiva affermazione Il signor Bruschino e Tancredi, suggellata dal trionfo de L’Italiana in Algeri. All’insuccesso scaligero (1814) dell’Aureliano in Palmira segue il successo, sempre alla Scala, de Il turco in Italia. Lasciata Venezia per Napoli, chiamatovi dall’impresario Domenico Barbaja, dà inizio al cosiddetto periodo napoletano-romano (durante il quale è in realtà presente su tutte le maggiori scene italiane) che dura fino al 1823. Con Il Barbiere di Siviglia, rappresentato a Roma nel 1816, è al vertice della gloria, cui seguono l’anno successivo La Cenerentola e La gazza ladra (scritta per la Scala). A Napoli firma le più importanti opere del repertorio “serio”: Otello, Armida, Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide, Ermione, La donna del lago, Maometto II e Zelmira. Nel contempo scrive Adelaide di Borgogna, Adina (rappresentata a Lisbona nel 1826), Matilde di Sliabran. Nel 1822 sposa il soprano spagnolo Isabella Colbran, interprete delle sue opere. Nell’anno seguente l’opera Semiramide, rappresentata a Venezia, conclude la sua attività in Italia. Su invito di G. B. Benelli, impresario del King’s Theatre, si reca a Londra, dove dirige Zelmira e la nuova cantata Il pianto delle Muse per la morte di Lord Byron. A Parigi si insedia alla fine del 1824, scrive Un viaggio a Reims (in occasione della incoronazione di Carlo X), adattandosi al gusto francese revisiona Maometto II e Mosè in Egitto che divengono Le siége de Corinthe (1826) e Moise et Pharaon (1827), utilizza parte del Viaggio a Reims per Le comte Ory (1828). Con Guillaume Tell (1829) dà l’addio alle scene. Compone in seguito lo Stabat Mater, la Petite Messe Solennelle, cantate, varia musica sacra, le musiche di scena per Edipo Re di Sofocle, musica vocale, strumentale e da camera. Dal 1836 al 1848 è in Italia (Milano, Bologna, Firenze), poi ritorna a Parigi. Nella sua villa di Passy muore il 13 novembre 1868. Il librettista, Jacopo Ferretti (1784-1852) Nato a Roma, introdotto precocemente dal padre allo studio della letteratura, Ferretti, già in giovane età, padroneggiava, oltre al latino ed al greco antico, 24 anche l’inglese ed il francese. Nel 1803 pubblicò la prima raccolta di versi, e la sua vocazione pre­cocemente rivelata lo fece accogliere nel 1806 nell’Arcadia e poi nell’Accademia Tiberina. Avvicinatosi alla musica nel salotto del mu­sicista Giuseppe Sirleti, la sua vena facile e brillante ri­conobbe la sua vera strada nel mondo del teatro d’opera. Il lavoro nell’ambiente teatrale fornì a Ferretti un agile dominio delle strutture e delle convenzioni della tradizione melodrammati­ca, di cui si fece trasmettitore scherzoso e ironico. La naturale vena comica lo indusse a volgersi all’opera buffa d’ascendenza napoletana, che egli arricchì d’interessi sociali e di costume. Esordì nel 1806 con il testo di una cantata per Filip­po Grazioli, e nel periodo 1810-17 scrisse per i teatri Valle e Argentina (di quest’ultimo fu nominato «rappresentatore perpetuo», ossia rinnovatore dei vecchi libretti per adattarli al gusto più attuale). Accanto all’attività di poeta di teatro fu ordinatore di archivi e curatore delle raccolte della Biblioteca Teatrale. Scrisse per Rossini anche Matilde di Shabran nel 1821, e per Donizetti Zoraide di Grenata, L’ajo nell’imbarazzo, Olivo e Pasquale, Il furioso nell’isola di S Domingo e Torquato Tasso. ‘La Cenerentola’ (e Rossini) a Reggio Emilia (a cura di Francesco Giuseppe Sassi) Personaggi Don Ramiro, Dandini, Don Magnifico, Clorinda, Tisbe, Angelina, Alidoro. 1920 (prima recita: 30 marzo) Domenico Ranzato, Emilio Ghirardini, Gaetano Azzolini, Luisa Furlotti, Norma Mazzoleni, Fanny Anitua, Giuseppe Mattioli. Direttore Amilcare Zanella. 1979 (due recite dal 2 marzo) Paolo Barbacini*, Alberto Rinaldi, Ferruccio Furlanetto, Mariella Adani, Haengel Aracelly, Martine Dupuy, Alfredo Giacomotti. Direttore Alberto Zedda, maestro del coro Valentino Metti, regista Aldo Trionfo, scenografo-costumista Emanuele Luzzati. 1991 (tre recite dall’11 gennaio) Rockwell Blake / Maurizio Comencini, Roberto Frontali /Angelo Romero, Domenico Trimarchi / Alfonso Antoniozzi, Lucietta Bizzi / Cristina Pastorello, Antonella Trevisan / Sonia Ganassi*, Lucia Valentini Terrani / Raquel Pierotti, 25 Michele Pertusi / Marcello Crisman. Direttore Houbert Soudant, maestro del coro Marco Faelli, regista Jean-Pierre Ponnella. 1996 (tre recite dal 2 gennaio) Raul Gimenez, Pietro Spagnoli, Alfonso Antoniozzi, Lucia Scilipoti, Tiziana Carraro, Sonia Ganassi*, Simone Alberghini. Direttore Alberto Zedda, maestro del coro Roberto Parmeggiani, regista Pier Luigi Pizzi. ( * cantanti reggiani) Con l’allestimento attuale, La Cenerentola viene presentata per la quinta volta al Teatro Municipale. Altrettante volte fu data, dal 1820 al 1839, al Teatro di Cittadella. Rossini al Municipale: Il barbiere di Siviglia: 14 presenze, L’Italiana in Algeri: 3; Guglielmo Tell, Il signor Bruschino, Il Turco in Italia: 2; La scala di seta, Le Comte Ory e Tancredi: 1. Discografia (a cura di Liliana Cappuccino) Personaggi Angiolina (Cenerentola), Don Magnifico, Dandini, Ramiro, Alidoro, Clorinda, Tisbe. CD (selezione di edizioni in cd) Marina de Gabarain, Ian Wallace, Sesto Bruscantini, Juan Oncina, Hervey Alan, Alda Noni, Fernanda Cadoni; Glyndebourne Festival Chorus and Orchestra; dir. Vittorio Gui Emi (2 cd), 1953 Teresa Berganza, Paolo Montarsolo, Renato Capecchi, Luigi Alva, Ugo Trama, Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino; dir. Claudio Abbado Memories (3 cd), 1971 (live) Teresa Berganza, Paolo Montarsolo, Renato Capecchi, Luigi Alva, Ugo Trama, Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Scottish Opera Chorus, London Symphony Orchestra; dir. Claudio Abbado Deutsche Grammophon (3 cd), 1971 26 Lucia Valentini Terrani, Paolo Montarsolo, Enzo Dara, Luigi Alva, Claudio Desderi, Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala; dir. Claudio Abbado Gala (2 cd), 1976 (live) Lucia Valentini Terrani, Enzo Dara, Domenico Trimarchi, Francisco Araiza, Alessandro Corbelli, Emilia Ravaglia, Marilyn Schmiege; Chor des Westdeutschen Rundfunks, Orchestra Cappella Coloniensis; dir. Gabriele Ferro Fonit Cetra (3 cd), 1980 Cecilia Bartoli, Enzo Dara, Alessandro Corbelli, William Matteuzzi, Michele Pertusi, Fernanda Costa, Gloria Banditelli; Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna; dir. Riccardo Chailly Decca (3 cd), 1992 Joyce DiDonato, Bruno Praticò, Paolo Bordogna, José Manuel Zapata, Luca Pisaroni, Patrizia Cigna, Martina Borst; Prague Chamber Choir, SWR Radio Orchestra Kaiserslautern, dir. Marco Bellei Naxos (2 cd), 2005 Vesselina Kasarova, Bruno de Simone, Vladimir Chernov, Antonino Siragusa, Paolo Pecchioli, Maria Laura Martorana, Judith Schmid; Chor des Bayerischen Rundfunks, Münchner Rundfunkorchester; dir. Carlo Rizzi Sony BMG (2 cd), 2006 Giulietta Simionato, Paolo Montarsolo, Sesto Bruscantini, Ugo Benelli, Giovanni Foiani, Dora Carrai, Miti Truccato Pace; Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino; dir. Oliviero de Fabritiis Decca-Eloquence (2 cd), 2006 Video Frederica von Stade, Paolo Montarsolo, Claudio Desderi, Francisco Araiza, Paul Plishka, Margherita Guglielmi, Laura Zannini; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala; dir. Claudio Abbado; regia Jean Pierre Ponnelle Deutsche Grammophon, dvd, c1981 Kathleen Kuhlmann, Claudio Desderi, Alberto Rinaldi, Laurence Dale, Roderick Kennedy, Marta Taddei, Laura Zannini; Glyndebourne Chorus, London Philharmonic Orchestra; dir. Donato Renzetti; regia John Cox NVC Arts, dvd, c1983/2004 27 Ann Murray, Walter Berry, Gino Quilico, Francisco Araiza, Wolfgang Schöne, Angela Denning, Daphne Evangelatos; Chorus of the Vienna State Opera, The Vienna Philharmonic Orchestra; dir. Riccardo Chailly; regia Michael Hampe Arthaus Musik, dvd, c1988 Cecilia Bartoli, Enzo Dara, Alessandro Corbelli, Raúl Gimenez, Michele Pertusi, Laura Knoop, Jill Grove; Houston Grand Opera Chorus, Houston Symphony Orchestra; dir. Bruno Campanella; regia Bruno De Simone Decca, dvd, c1996 Ruxandra Donose, Luciano Di Pasquale, Simone Alberghini, Maxim Mironov, Nathan Berg, Raquela Sheeran, Lucia Cirillo; Glyndebourne Chorus, London Philharmonic Orchestra; dir. Vladimir Jurowski; regia Peter Hall Opus Arte, 2 dvd, c2006 Sonia Ganassi, Alfonso Antoniozzi, Marco Vinco, Antonino Siragusa, Simón Orfila, Carla Di Censo, Paola Gardina; Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice; dir. Renato Palumbo; regia Paul Curran TDK, dvd, c2007 Joyce DiDonato, Bruno de Simone, David Menéndez, Juan Diego Flórez, Simón Orfila, Cristina Obregón, Itxaro Mentxaka; Orchestra and Chorus of the Grand Teatro del Liceu; dir. Patrick Summers; regia Joan Font Decca, 2 dvd, c2009 Elīna Garanča, Alessandro Corbelli, Simone Alberghini, Lawrence Brownlee, John Relyea, Rachelle Durkin, Patricia Risley; The Metropolitan Opera Orchestra and Chorus; dir. Maurizio Benini; regia Cesare Lievi Deutsche Grammophon, 2 dvd, c2010 28 Il libretto 29 La Cenerentola Dramma giocoso in due atti libretto di Jacopo Ferretti musica di Gioachino Rossini Personaggi Don Ramiro, principe di Salerno Dandini, suo cameriere Don Magnifico, barone di Montefiascone, padre di Clorinda, e di Tisbe Angelina, sotto nome di Cenerentola, figliastra di Don Magnifico Alidoro filosofo, maestro di Don Ramiro tenore basso basso buffo soprano mezzosoprano contralto basso Dame che non parlano. Cortigiani del principe La scena, parte in un vecchio palazzo di Don Magnifico, e parte in un casino di delizie del principe distante mezzo miglio. Prima rapprasentazione: Roma, Teatro Valle 25 gennaio 1817 31 Atto Primo Antica sala terrena nel castello del barone, con cinque porte; a destra camino, tavolino con specchio, cestello con fiori, e sedie. SCENA PRIMA (Clorinda provando uno sciassé; Tisbe acconciando un fiore ora alla fronte ora al petto; Cenerentola soffiando con un manticetto al camino per far bollire una cuccuma di caffè; indi Alidoro da povero; poi seguaci di Ramiro.) CLORINDA No no no: non v’è, non v’è chi trinciar sappia così leggerissimo sciassé. TISBE Sì sì sì: va bene lì. Meglio lì; no, meglio qui. Risaltar di più mi fa. CLORINDA E TISBE A quest’arte, a tal beltà sdrucciolare ognun dovrà. CENERENTOLA (con tuono flemmatico) Una volta c’era un Re, che a star solo s’annoiò: cerca, cerca, ritrovò; ma il volean sposare in tre. Cosa fa? Sprezza il fasto e la beltà, e alla fin sceglie per sé l’innocenza e la bontà. La la là li li lì la la là. CLORINDA E TISBE Cenerentola, finiscila con la solita canzone. CENERENTOLA Presso al fuoco in un cantone via lasciatemi cantar. Una volta c’era un re una volta…. CLORINDA E due, e tre. 33 CLORINDA E TISBE La finisci sì o no? Se non taci ti darò. CENERENTOLA Una volta... (S’ode picchiare.) CLORINDA, TISBE E CENERENTOLA Chi sarà? (Cenerentola apre, ed entra Alidoro da povero.) ALIDORO Un tantin di carità. CLORINDA E TISBE Accattoni! Via di qua. CENERENTOLA Zitto, zitto: su prendete Questo po’ di colazione. (Versa una tazza di caffè, e lo dà con un pane ad Alidoro, coprendolo dalle sorelle.) Ah non reggo alla passione. Che crudel fatalità! ALIDORO Forse il Cielo il guiderdone pria di notte vi darà. CLORINDA E TISBE (pavoneggiandosi) Risvegliar dolce passione più di me nessuna sa. (volgendosi ad osservare Alidoro) Ma che vedo! Ancora lì! Anche un pane? anche il caffè? 34 (scagliandosi contro Cenerentola) Prendi, prendi, questo a te. CENERENTOLA Ah! soccorso chi mi dà! ALIDORO (frapponendosi inutilmente) Vi fermate, per pietà! (Si picchia fortemente; Cenerentola corre ad aprire, ed entrano i cavalieri.) CAVALIERI O figlie amabili di Don Magnifico, Ramiro il principe or or verrà. Al suo palagio vi condurrà. Si canterà si danzerà: poi la bellissima fra l’altre femmine sposa carissima per lui sarà. CLORINDA E TISBE Ma dunque il Principe? CAVALIERI Or or verrà. CLORINDA E TISBE E la bellissima? CAVALIERI Si sceglierà. CLORINDA E TISBE Cenerentola vien qua. Le mie scarpe, il mio bonnè. Cenerentola, vien qua. Le mie penne, il mio colliè. Nel cervello ho una fucina; son più bella e vo’ trionfar. A un sorriso, a un’occhiatina Don Ramiro ha da cascar. CENERENTOLA Cenerentola, vien qua. Cenerentola, va’ là. Cenerentola, va’ su. Cenerentola, vien giù. Questo è proprio uno strapazzo! Mi volete far crepar? Chi alla festa, chi al solazzo, ed io resto qui a soffiar. (Io poi quel mezzo scudo a voi l’avrei donato; ma non ho mezzo soldo. Il core in mezzo mi spaccherei per darlo a un infelice.) ALIDORO (marcato assai) (Forse al novello dì sarai felice.) (Parte.) TISBE Cenerentola, presto prepara i nastri, i manti. ALIDORO Nel cervello una fucina sta le pazze a martellar. Ma già pronta è la rovina. Voglio ridere a schiattar. CLORINDA Gli unguenti, le pomate. CAVALIERI Già nel capo una fucina sta le donne a martellar; il cimento si avvicina, il gran punto di trionfar. CENERENTOLA Uditemi, sorelle... CLORINDA (dando una moneta a Cenerentola, onde la dia ai seguaci del principe che escono) Date lor mezzo scudo. Grazie. Ai cenni del Principe noi siamo. TISBE I miei diamanti. CLORINDA (altera) Che sorelle! non profanarci con sì fatto nome. TISBE (minacciandola) E guai per te se t’uscirà di bocca. (osservando il povero, e raggricciando il naso) Ancor qui siete? Qual tanfo! Andate, o ve ne pentirete. CENERENTOLA (Sempre nuove pazzie soffrir mi tocca.) (Entra a sinistra) CENERENTOLA (accompagnando Alidoro) TISBE Non v’è tempo da perdere. 35 CLORINDA Nostro padre Avvisarne convien. (Questionando fra loro, ed opponendosi a vicenda d’entrare a destra.) TISBE Esser la prima voglio a darne la nuova. CLORINDA Oh! mi perdoni. Io sono la maggiore. TISBE (Crescendo nella rabbia fra loro) No no, gliel vo’ dir io. CLORINDA È questo il dover mio. Io svegliare lo vuo’. Venite appresso. TISBE Oh! non la vincerai. CLORINDA (osservando fra le scene) Ecco egli stesso. SCENA SECONDA Don Magnifico, bieco in volto, esce in berretta da notte e veste da camera, e detti, indi Cenerentola. DON MAGNIFICO Miei rampolli femminini, 36 (ricusando di dar loro a baciar la mano) vi ripudio; mi vergogno! Un magnifico mio sogno mi veniste a sconcertar. Vi ripudio; mi vergogno! (da sé, osservandole; Clorinda e Tisbe ridono quando non le guarda) Come son mortificate! Degne figlie d’un barone! Via: silenzio, ed attenzione. State il sogno a meditar. Mi sognai fra il fosco e il chiaro un bellissimo somaro. Un somaro, ma solenne. Quando a un tratto, oh che portento! sulle spalle a cento a cento gli spuntavano le penne ed in aria, fsct, volò! Ed in cima a un campanile come in trono si fermò. Si sentiano per di sotto le campane sdindonar, din, don, din, don… Col cì cì, ciù ciù di botto mi faceste risvegliar. Ma d’un sogno sì intralciato ecco il simbolo spiegato. La campana suona a festa? Allegrezza in casa è questa. Quelle penne? Siete voi. Quel gran volo? Plebe addio. Resta l’asino di poi? Ma quell’asino son io: chi vi guarda vede chiaro che il somaro è il genitor. Fertilissima Regina l’una e l’altra diverrà; ed il nonno una dozzina di nepoti abbraccerà. Un re piccolo di qua…. servo, servo… Un re bambolo di là… Servo, servo….. e la gloria mia sarà. CLORINDA (interrompendosi, e strappandosi Don Magnifico.) Sappiate che fra poco... TISBE Il principe Ramiro... CLORINDA Che son tre dì, che nella deliziosa... TISBE Vicina mezzo miglio venuto è ad abitar... CLORINDA Sceglie una sposa... TISBE Ci mandò ad invitar... CLORINDA E fra momenti... TISBE Arriverà per prenderci... CLORINDA E la scelta la più bella sarà... DON MAGNIFICO (in aria di stupore ed importanza) Figlie, che dite! Quel principon! Quantunque io nol conosca... Sceglierà!.. v’invitò... sposa... più bella! Io cado in svenimento. Alla favella è venuto il sequestro. Il principato per la spinal midolla già mi serpeggia, ed in una parola il sogno è storia, ed il somaro vola. Cenerentola, presto. portami il mio caffè. (Cenerentola entra, vuota il caffè, e lo reca nella camera di Don Magnifico.) Viscere mie. Metà del mio palazzo è già crollata, e l’altra è in agonia. Fatevi onore. Mettiamoci un puntello. (andando, e tornando, e riprendendo le figlie, che stanno per entrare) Figlie state in cervello. Parlate in punto e virgola. per carità: pensate ad abbigliarvi: si tratta nientemen che imprinciparvi. (Entra nelle sue stanze; Clorinda e Tisbe nella loro.) SCENA TERZA Don Ramiro e Cenerentola. Don Ramiro vestito da scudiero; guarda intorno e si avanza a poco a poco. RAMIRO Tutto è deserto. Amici? Nessun risponde. In questa simulata sembianza le belle osserverò. Né viene alcuno? 37 Eppur mi diè speranza il sapiente Alidoro, che qui saggia e vezzosa degna di me trovar saprò la sposa. Sposarsi... e non amar! Legge tiranna, che nel fior de’ miei giorni alla difficil scelta mi condanna! Cerchiam, vediamo. SCENA QUARTA Cenerentola cantando fra’ denti, con sottocoppa e tazza da caffè, entra spensierata nella stanza, e si trova a faccia a faccia con Ramiro; le cade tutto di mano, e si ritira in un angolo. CENERENTOLA Una volta c’era... Ah! è fatta. RAMIRO Che cos’è? CENERENTOLA Che batticuore! RAMIRO Forse un mostro son io! CENERENTOLA (prima astratta poi correggendosi con naturalezza) Sì... no, signore. RAMIRO Un soave non so che in quegl’occhi scintillò! 38 CENERENTOLA Io vorrei saper perché il mio cor mi palpitò? RAMIRO Le direi... ma non ardisco. CENERENTOLA Parlar voglio… e taccio intanto. CENERENTOLA E RAMIRO Una grazia, un certo incanto par che brilli su quel viso! Quanto caro è quel sorriso! scende all’alma e fa sperar. RAMIRO Del Baron le figlie io cerco. Dove son? qui non le vedo. CENERENTOLA Son di là nell’altre stanze. Or verranno. (Addio speranze.) RAMIRO (con interesse) Ma, di grazia, voi chi siete? CENERENTOLA Io chi sono? Eh! non lo so. RAMIRO Nol sapete? CENERENTOLA Quasi no. (accostandosi a lui sottovoce, e rapidissimamente, correggendosi ed imbrogliandosi) Quel ch’è padre, non è padre... onde poi le due sorelle... era vedova mia madre... ma fu madre ancor di quelle... questo padre pien d’orgoglio... Sta a vedere che m’imbroglio… Deh! scusate, perdonate alla mia semplicità. già più me non trovo in me. Che innocenza! che candore! Ah! m’invola proprio il core! Questo cor più mio non è.) RAMIRO Mi seduce, m’innamora quella sua semplicità. RAMIRO Non so che dir. Come in sì rozze spoglie sì bel volto e gentil! Ma Don Magnifico non apparisce ancor? Nunziar vorrei del mascherato principe l’arrivo. Fortunato consiglio! Da semplice scudiero il core delle femmine meglio svelar saprò. Dandini intanto recitando da principe... CLORINDA, TISBE E DON MAGNIFICO (dalle loro stanze, a vicenda, ed insieme) Cenerentola, da me. RAMIRO Questa voce! che cos’è? CENERENTOLA (ora verso una, ora verso l’altra delle porte) A ponente ed a levante, a scirocco e a tramontana, non ho calma un solo istante, tutto, tutto tocca a me. Vengo, vengo. Addio, signore. (con passione) (Ah ci lascio proprio il core: questo cor più mio non è.) RAMIRO (da sé, astratto, osservandola sempre) (Quell’accento, quel sembiante è una cosa sovrumana. Io mi perdo in quest’istante SCENA QUINTA Ramiro solo, indi Don Magnifico in abito di gala senza cappello. DON MAGNIFICO Domando un milion di perdoni. Dica: e Sua Altezza il Prence? RAMIRO Arriva. DON MAGNIFICO E quando? RAMIRO Tra tre minuti. DON MAGNIFICO (in agitazione) Tre minuti! ah figlie! sbrigatevi: che serve? 39 le vado ad affrettar. Scusi; con queste ragazze benedette, un secolo è un momento alla toelette. (Entra dalle figlie) RAMIRO Che buffone! E Alidoro mio maestro sostien che in queste mura sta la bontà più pura! Basta basta, vedrem. Alle sue figlie convien che m’avvicini. Qual fragor!.. non m’inganno. Ecco Dandini. SCENA SESTA Cavalieri, Dandini e detti, indi Clorinda e Tisbe. CAVALIERI Scegli la sposa, affrèttati, s’invola via l’età. La principesca linea, se no, s’estinguerà. DANDINI Come un’ape ne’ giorni d’aprile va volando leggiera, e scherzosa; corre al giglio, poi salta alla rosa, dolce un fiore, a cercare per sé; fra le belle m’aggiro e rimiro, ne ho vedute già tante e poi tante; ma non trovo un giudizio, un sembiante, un boccone squisito per me. (Clorinda e Tisbe escono, e sono presentate a Dandini da Don Magnifico in gala.) CLORINDA Prence! 40 TISBE Sire... CLORINDA E TISBE Ma quanti favori! DON MAGNIFICO Che diluvio! che abisso di onori! DANDINI Nulla, nulla. (con espressione or all’una or all’altra) Vezzosa; graziosa! (accostandosi a Ramiro) (Dico bene?) Son tutte papà. RAMIRO (Bestia! attento! ti scosta di qua.) DANDINI (alle due sorelle che lo guardano con passione) Per pietà, quelle ciglia abbassate! Galoppando sen va la ragione, e fra i colpi d’un doppio cannone spalancata la breccia è di già. Vezzosa! Graziosa! Son tutte papà! (da sé) (Ma al finir della nostra commedia che tragedia qui nascer dovrà!) CLORINDA E TISBE (da sé) (Ei mi guarda, sospira, delira, non v’è dubbio: è mio schiavo di già.) RAMIRO (da sé, sempre osservando con interesse se torna Cenerentola) (Ah! perché qui non viene colei, con quell’aria di grazia e bontà?) DON MAGNIFICO (da sé, osservando con compiacenza Dandini, che sembra innamorato) (Ė già cotto, stracotto, spolpato: l’Eccellenza divien Maestà.) DANDINI (osservando Clorinda, Tisbe e Don Magnifico) Allegrissimamente! che bei quadri! che bocchino! che ciglia! Siete l’ottava e nona meraviglia. Già talis Patris, talem Figlia. CLORINDA (con inchino) Grazie! DON MAGNIFICO (curvandosi) Altezza delle Altezze! che dice? mi confonde. Debolezze. grandi le ho da sparar.) DON MAGNIFICO (piano alle figlie, con compiacenza) (Bel principotto! che non vi fugga: attente!) DANDINI Or dunque seguitando quel discorso che non ho cominciato; dai miei lunghi viaggi ritornato, e il mio papà trovato, che fra i quondam è capitombolato, e spirando ha ordinato, che a vista qual cambiale io sia sposato, o son diseredato, fatto ho un invito a tutto il vicinato, e trovando un boccone delicato, per me l’ho destinato. Ho detto, ho detto, e adesso prendo fiato. DON MAGNIFICO (sorpreso) (Che eloquenza norcina!) DANDINI Vere figure! Etrusche! (piano a Ramiro) (Dico bene?) CENERENTOLA (entrando osserva l’abito del Principe, e Ramiro che la guarda) (Ah, che bell’abito! E quell’altro mi guarda.) RAMIRO (piano a Dandini) (Cominci a dirle grosse.) RAMIRO (Ecco colei! Mi ripalpita il cor.) DANDINI (piano a Ramiro) (Io recito da grande, e grande essendo, DANDINI Belle ragazze, se vi degnate inciambellare il braccio 41 ai nostri cavalieri, il legno è pronto. Ma lasciami. CLORINDA (servite dai cavalieri) Andiamo. RAMIRO (La sgrida?) (Magnifico esce con cappello e bastone trattenuto con ingenuità da Cenerentola.) TISBE Papà, Eccellenza, non tardate a venir. Escono. DON MAGNIFICO (a Cenerentola voltandosi) Che fai tu qui? Il cappello e il bastone. CENERENTOLA (scuotendosi dal guardar Ramiro) Eh... sì, signor. (Parte) DANDINI Perseguitate presto con i piè baronali i magnifici miei quarti reali. (parte) DON MAGNIFICO (andando nella camera dove è entrata Cenerentola) Monti in carrozza, e vengo. RAMIRO (E pur colei vo’ riveder.) DON MAGNIFICO (di dentro, in collera) 42 CENERENTOLA Sentite. DON MAGNIFICO Il tempo vola. RAMIRO (Che vorrà?) DON MAGNIFICO (a Cenerentola) Vuoi lasciarmi? CENERENTOLA Una parola. Signore, una parola: in casa di quel principe, un’ora, un’ora sola, portatemi a ballar. DON MAGNIFICO (ridendo) Ih! ih! La bella Venere!... Vezzosa! Pomposetta! Sguajata! Covacenere!... Lasciami, deggio andar. DANDINI (tornando indietro, ed osservando Ramiro immobile) Cos’è? Qui fa la statua? (Sottovoce fra loro in tempo del solo di Don Magnifico.) RAMIRO Silenzio, ed osserviamo. DANDINI Ma andiamo, o non andiamo! RAMIRO Mi sento lacerar. CENERENTOLA Ma una mezz’ora... un quarto. DON MAGNIFICO (alzando minaccioso il bastone) O lasciami, o ti stritolo. RAMIRO E DANDINI (accorrendo a trattenerlo) Fermate. DON MAGNIFICO (sorpreso, curvandosi rispettoso a Dandini) Serenissima! (Ma vattene.) Altezzissima! (Servaccia ignorantissima!) RAMIRO E DANDINI Serva? CENERENTOLA Cioè... DON MAGNIFICO (mettendole una mano sulla bocca, e interrompendola) Vilissima D’un’estrazion bassissima, (minacciando e trascinando) vuol far la sufficiente, la cara, l’avvenente, e non è buona a niente. va’ in camera, va’ in camera la polvere a spazzar. DANDINI (opponendosi con autorità) Ma caro Don Magnifico via, non la strapazzar. RAMIRO (fra sé, con sdegno represso) Or ora la mia collera non posso più frenar. CENERENTOLA (con tuono d’ingenuità) Ah! sempre fra la cenere, sempre dovrò restar? Signori, persuadetelo, portatemi a ballar. (Nel momento che Don Magnifico staccasi da Cenerentola ed è tratto via da Dandini, entra Alidoro con taccuino aperto.) ALIDORO Qui nel mio codice delle zitelle, con Don Magnifico stan tre sorelle. (a Don Magnifico, con autorità) Or che va il principe la sposa a scegliere, la terza figlia 43 io vi domando. DON MAGNIFICO (confuso, ed alterato) Che terza figlia mi va figliando? ALIDORO Terza sorella... DON MAGNIFICO (atterrito) Ella... morì... ALIDORO Eppur nel codice non v’è così. CENERENTOLA (Ah! di me parlano.) (ponendosi in mezzo con ingenuità) No, non morì. DON MAGNIFICO Sta zitta lì. ALIDORO Guardate qui! DON MAGNIFICO (balzando Cenerentola in un cantone) Se tu respiri, ti scanno qui. RAMIRO, DANDINI E ALIDORO Ella morì? 44 DON MAGNIFICO (sempre tremante) Altezza… sì. (Momento di silenzio.) TUTTI (guardandosi scambievolmente) Nel volto estatico di questo e quello si legge il vortice del lor cervello, che ondeggia e dubita e incerto sta. DON MAGNIFICO (fra’ denti, trascinando Cenerentola) Se tu più mormori solo una sillaba, un cimiterio qui si farà. CENERENTOLA (con passione) Deh soccorretemi, deh non lasciatemi, ah! di me misera che mai sarà? RAMIRO Via, consolatevi. (strappandola da Don Magnifico) Signor lasciatela. (Già la mia furia crescendo va.) ALIDORO (frapponendosi) Via meno strepito: fate silenzio. o qualche scandalo qui nascerà. DANDINI Io sono un principe, O sono un cavolo? Vi mando al diavolo: venite qua. La strappa da Don Magnifico, e lo conduce via. Tutti seguono Dandini. Cenerentola corre in camera. Si chiude la porta di mezzo; un momento dopo rientra Alidoro con mantello da povero. SCENA SETTIMA* Dopo qualche momento di silenzio entra Alidoro, in abito da pellegrino, con gli abiti da filosofo sotto; indi Cenerentola. ALIDORO Sì, tutto cangerà. Quel folle orgoglio poca polve sarà, gioco del vento; e al tenero lamento succederà il sorriso. (chiama verso la camera di Cenerentola) Figlia... Figlia... CENERENTOLA (esce e rimane sorpresa) Figlia voi mi chiamate? Oh questa è bella! Il padrigno Barone non vuole essermi padre; e voi... Peraltro *Scena scritta da Ferretti e musicata da Rossini per il basso Gioacchino Moncada nel 1821 (Teatro Argentina, Roma); sostituisce la Scena settima originale, musicata da Luca Agolini. guardando i stracci vostri e i stracci miei, degna d’un padre tal figlia sarei. ALIDORO Taci, figlia, e vien meco. CENERENTOLA Teco, e dove? ALIDORO Del Principe al festino. CENERENTOLA Ma dimmi, pellegrino: perché t’ho data poca colazione, tu mi vieni a burlar? Va’ via... va’ via! Voglio serrar la porta... Possono entrar de’ ladri, e allora... e allora... starei fresca davvero. ALIDORO No! Sublima il pensiero! Tutto cangiò per te! Calpesterai men che fango i tesori, rapirai tutti i cuori. Vien meco e non temer: per te dall’Alto m’ispira un Nume a cui non crolla il trono. E se dubiti ancor, mira chi sono! (Nel momento che si volge, Alidoro getta il manto.) Là del ciel nell’arcano profondo, del poter sull’altissimo Trono veglia un Nume, signore del mondo, al cui piè basso mormora il tuono. Tutto sa, tutto vede, e non lascia nell’ambascia perir la bontà. Fra la cenere, il pianto, l’affanno, ei ti vede, o fanciulla innocente, 45 e cangiando il tuo stato tiranno, fra l’orror vibra un lampo innocente. Non temer, si è cambiata la scena: la tua pena cangiando già va. (S’ode avvicinarsi una carrozza.) Un crescente mormorio non ti sembra d’ascoltar? Ah sta’ lieta: è il cocchio mio su cui voli a trionfar. Tu mi guardi, ti confondi... ehi ragazza, non rispondi? Sconcertata è la tua testa e rimbalza qua e là, come nave in gran tempesta che di sotto in su sen va. Ma già il nembo è terminato, scintillò serenità. Il destino s’è cangiato, l’innocenza brillerà. Aprono la porta; vedesi una carrozza. Cenerentola vi monta, Alidoro chiude la porta e sentesi la partenza della carrozza. SCENA OTTAVA Gabinetto nel casino di Don Ramiro. (Dandini entrando con Clorinda e Tisbe sotto il braccio, Don Magnifico e Don Ramiro.) DANDINI Ma bravo, bravo, bravo! caro il mio Don Magnifico! Di vigne, di vendemmie e di vino mi avete fatto una dissertazione. Lodo il vostro talento. (a Don Ramiro) Si vede che ha studiato. (a Don Magnifico) 46 Si porti sul momento dove sta il nostro vino conservato. E se sta saldo e intrepido al trigesimo assaggio, lo promovo all’onor di cantiniero. Io distinguo i talenti e premio il saggio. DON MAGNIFICO Prence! L’Altezza Vostra è un pozzo di bontà. Più se ne cava, più ne resta a cavar. (piano alle figlie) (Figlie! Vedete? Non regge al vostro merto; n’è la mia promozione indizio certo.) (forte) Clorinduccia, Tisbina, tenete allegro il re. Vado in cantina. (parte) RAMIRO (piano a Dandini) (Esamina, disvela, e fedelmente tutto mi narrerai. Anch’io fra poco il cor ne tenterò; del volto i vezzi svaniscon con l’età. Ma il core...) DANDINI (Il core credo che sia un melon tagliato a fette: un timballo l’ingegno, e il cervello una casa spigionata.) (forte, come seguendo il discorso fatto sottovoce) Il mio voler ha forza d’un editto. Eseguite trottando il cenno mio. Udiste? RAMIRO Udii. DANDINI Fido vassallo, addio. (Parte Don Ramiro.) CLORINDA Di grazia. (I dritti miei la prego bilanciar.) TISBE Perdoni. (Veda, io non tengo rossetto.) SCENA NONA Dandini, Clorinda e Tisbe. CLORINDA Ascolti. (Quel suo bianco è di bianchetto.) DANDINI (alle donne) Ora sono da voi. Scommetterei che siete fatte al torno, e che il guercetto amore è stato il tornitore. TISBE Senta... CLORINDA (tirando a sé Dandini) Con permesso. (La maggiore son io, onde la prego darmi la preferenza.) TISBE (come sopra) Con sua buona licenza. (La minore son io. invecchierò più tardi.) CLORINDA Scusi. (Quella è fanciulla, proprio non sa di nulla.) TISBE Permetta. (Quella è un’acqua senza sale, non fa né ben né male.) CLORINDA Mi favorisca... DANDINI (sbarazzandosi con un poco di collera) Anime belle! mi volete spaccar? Non dubitate. Ho due occhi reali, e non adopro occhiali. (a Clorinda) (Fidati pur di me.) (piano a Tisbe) (Stà allegra, o cara.) (da sé) (arrivederci presto alla Longara) (Parte.) TISBE (ironicamente fra loro) M’inchino a Vostr’Altezza. CLORINDA Anzi all’Altezza Vostra. 47 TISBE Verrò a portarle qualche memoriale. CLORINDA Lectum. TISBE Ce la vedremo. CLORINDA Forse sì, forse no. TISBE Poter del mondo! CLORINDA Le faccio riverenza! TISBE Oh! mi sprofondo! (Partono da parti opposte.) SCENA DECIMA Deliziosa nel casino del principe Don Ramiro. (Don Magnifico a cui i cavalieri pongono un mantello color ponsò con ricami in argento di grappoli d’uva, e gli saltano intorno battendo i piedi in tempo di musica. Tavolini con recapito da scrivere.) CAVALIERI Conciosiacosacché trenta botti già gustò! e bevuto ha già per tre e finor non barcollò! è piaciuto a Sua Maestà 48 nominarlo cantinier, intendente dei bicchier con estesa autorità, presidente al vendemmiar, direttor dell’evoè; onde tutti intorno a te ci affolliamo qui a saltar. DON MAGNIFICO Intendente! Direttor! Presidente! Cantinier! Grazie, grazie, che piacer! Che girandola ho nel cor! Si venga a scrivere quel che dettiamo. (I cavalieri pongonsi intorno ai tavolini e scrivono.) Sei mila copie poi ne vogliamo. CAVALIERI Già pronti a scrivere tutti siam qui. DON MAGNIFICO (osservando come scrivono) Noi Don Magnifico... Questo in maiuscole. Bestie! Maiuscole! Bravi! così. Noi Don Magnifico, duca e barone dell’antichissimo Montefiascone, grande intendente, gran presidente, con gli altri titoli, con venti etcetera, in plenitudine d’autorità, riceva l’ordine chi leggerà: di più non mescere per anni quindici nel vino amabile d’acqua una gocciola, alias capietur, et stranguletur, perché ita etcetera, laonde etcetera, nell’anno etcetera, barone etcetera. (sottoscrivendosi) CAVALIERI Barone etcetera; è fatto già. DON MAGNIFICO Ora affiggetelo per la città. CAVALIERI Il pranzo in ordine andiamo a mettere: vino a diluvio si beverà. DON MAGNIFICO Premio bellissimo di piastre sedici a chi più malaga Si succhierà. (Partono saltando attorno a Don Magnifico.) SCENA UNDICESIMA Dandini e Don Ramiro correndo sul davanti del palco osservando per ogni parte. RAMIRO (sottovoce) Zitto zitto, piano piano: senza strepito e rumore: delle due qual è l’umore? Esattezza e verità. DANDINI Sottovoce a mezzo tuono, in estrema confidenza: sono un misto d’insolenza, di capriccio e vanità. RAMIRO E Alidoro mi dicea che una figlia del Barone... DANDINI Ah! il maestro ha un gran testone; oca eguale non si dà. (Son due vere banderuole... Mi convien dissimular.) RAMIRO (Se le sposi pur chi vuole... Seguitiamo a recitar.) SCENA DODICESIMA Clorinda, accorrendo da una parte, e Tisbe dall’altra. CLORINDA (di dentro) Principino, dove state? 49 TISBE Principino dove state? CLORINDA E TISBE (entrando) Ah! perché m’ abbandonate? Mi farete disperar. CLORINDA E TISBE (guardandolo con disprezzo) Un scudiero! No, signore. Un scudiero! Questo no! CLORINDA Con un’anima plebea! CLORINDA Io vi voglio... TISBE Con un’aria dozzinale! TISBE Vi vogl’io. CLORINDA E TISBE (con affettazione) Mi fa male, mi fa male solamente a immaginar. DANDINI Ma non diamo in bagattelle. Maritarsi a due sorelle tutte insieme non si può! Una sposo... CLORINDA E TISBE (con interesse di smania) E l’altra?.. DANDINI E l’altra... (accennando Ramiro) all’amico la darò. RAMIRO E DANDINI (fra loro ridono) La scenetta è originale, veramente da contar. SCENA TREDICESIMA Coro di cavalieri dentro le scene, indi Alidoro. CAVALIERI Venga, inoltri, avanzi il piè! Anticamera non v’è. CLORINDA E TISBE No no no no no! Un scudiero! oibò oibò! RAMIRO E DANDINI Sapientissimo Alidoro… …questo strepito cos’è? RAMIRO (ponendosi loro in mezzo, con dolcezza) Sarò docile, amoroso, tenerissimo di cuore. ALIDORO Dama incognita qua vien, sopra il volto un velo tien. 50 CLORINDA E TISBE Una dama! ALIDORO Signor sì. CLORINDA, TISBE, RAMIRO E DANDINI Ma chi è? ALIDORO Non palesò. CLORINDA E TISBE Sarà bella? ALIDORO Sì e no. RAMIRO E DANDINI Chi sarà? ALIDORO Ma non si sa. CLORINDA Non parlò? ALIDORO Signora no. TISBE E qui vien? ALIDORO Chi sa perché? TUTTI Chi sarà? chi è? perché? Non si sa, si vedrà. (Momento di silenzio.) CLORINDA E TISBE (Gelosia già già mi lacera, già il cervel più in me non è.) ALIDORO (Gelosia già già le rosica, più il cervello in lor non è.) RAMIRO (Un ignoto arcano palpito ora m’agita, perché?) DANDINI (Diventato sono di zucchero: quante mosche intorno a me!) (Dandini fa cenno ad Alidoro d’introdurre la dama.) SCENA QUATTORDICESIMA Cavalieri che precedono, e schieransi in doppia fila per ricevere Cenerentola, che, in abito ricco ed elegante, avanzasi velata. CAVALIERI Ah! se velata ancor dal seno il cor ci ha tolto, se svelerai quel volto, che sarà? CENERENTOLA Sprezzo quei don che versa Fortuna capricciosa. M’offra chi mi vuol sposa, 51 rispetto, amor, bontà. RAMIRO (Di quella voce il suono ignoto al cor non scende, perché la speme accende, di me maggior mi fa.) DANDINI Begli occhi, che dal velo vibrate un raggio acuto, svelatevi un minuto almen per civiltà. CLORINDA E TISBE (Vedremo il gran miracolo di questa rarità.) SCENA ULTIMA Don Magnifico accorrendo, e detti. DON MAGNIFICO Signora Altezza, è in tavola che... co... chi... sì... che bestia! quando si dice i simili! Non sembra Cenerentola? TISBE Pareva ancora a noi… CLORINDA …ma a riguardarla poi... TISBE …la nostra è goffa e attratta… (Cenerentola svelasi. Momento di sorpresa, di riconoscimento, d’incertezza.) CLORINDA …questa è un po’ più ben fatta,… TUTTI (ciascuno da sé guardando Cenerentola, e Cenerentola sogguardando Ramiro.) Ah! (Parlar, pensar vorrei, parlar, pensar non so. Questo è un inganno/è un incanto, oh dèi! quel volto mi atterrò.) CLORINDA E TISBE …ma poi non è una Venere da farci spaventar. ALIDORO (Parlar, pensar vorrebbe, parlar, pensar non può. Amar già la dovrebbe: il colpo non sbagliò.) 52 DON MAGNIFICO Quella sta nella cenere; ha stracci sol per abiti. CENERENTOLA (Il vecchio guarda e dubita.) RAMIRO (Mi guarda, e par che palpiti.) DANDINI Ma non facciam le statue. Patisce l’individuo: andiamo presto a tavola. Poi balleremo il Taice, e quindi la bellissima... con me s’ha da sposar. TUTTI (meno Dandini) Andiamo, andiamo a tavola. si voli a giubilar. DANDINI (Oggi che fo da principe per quattro io vo’ mangiar.) TUTTI Mi par d’essere sognando fra giardini e fra boschetti. I ruscelli sussurrando, gorgheggiando gli augelletti, in un mare di delizie fanno l’anima nuotar. Ma ho timor che sotto terra piano piano, a poco a poco, si sviluppi un certo foco, e improvviso a tutti ignoto balzi fuori un terremoto, che crollando, strepitando, fracassando, sconquassando poi mi venga a risvegliar; e ho paura che il mio sogno vada in fumo a dileguar. 53 Atto secondo Gabinetto nel palazzo di Don Ramiro. SCENA PRIMA (Cavalieri,poi Don Magnifico, entrando con Clorinda e Tisbe sotto il braccio, ed osservando i cavalieri che partono.) CAVALIERI Ah! della bella incognita l’arrivo inaspettato peggior assai del fulmine per certe ninfe è stato. La guardano, e tarroccano, sorridono, ma fremono. Hanno una lima in core che a consumar le sta. Guardate! Già regnavano. Ci ho gusto. Ah! ah! ah!... (Partono deridendole) DON MAGNIFICO (in collera caricata) Mi par che quei birbanti ridessero di noi sotto-cappotto. Corpo del mosto cotto! Fo un cavaliericidio. TISBE Papà, non v’inquietate. DON MAGNIFICO (passeggiando) Ho nella testa quattro mila pensieri. Ci mancava quella madama anonima. CLORINDA E credete che del Principe il core ci contrasti? Somiglia a Cenerentola, e vi basti. DON MAGNIFICO Somiglia tanto e tanto che son due goccie d’acqua, e quando a pranzo faceva un certo verso con la bocca, brontolavo fra me: per bacco, è lei. Ma come dagli Ebrei prender l’abito a nolo! aver coraggio di venire fra noi? E poi parlar coi linci e scuinci? e poi starsene con tal disinvoltura, e non temere una schiaffeggiatura? 55 TISBE Già già, questa figliastra fino in chi la somiglia è a noi funesta. DON MAGNIFICO Ma tu sai che tempesta mi piomberebbe addosso, se scopre alcuno come ho dilapidato il patrimonio suo! Per abbigliarvi al verde l’ho ridotta. È diventata un vero sacco d’ossa. Ah se si scopre, avrei trovato il resto del Carlino. CLORINDA (con aria di mistero) E paventar potete a noi vicino? DON MAGNIFICO Vi son buone speranze? CLORINDA Eh! niente niente! TISBE Posso dir ch’è certezza. CLORINDA Io quasi quasi potrei dar delle cariche. TISBE In segreto m’ ha detto: anima mia. Ha fatto un gran sospiro, è andato via. CLORINDA Un sospiro cos’è? quando mi vede, subito ride. 56 DON MAGNIFICO (riflettendo, e guardando ora l’una ora l’altra) Ah! dunque qui sospira, e qui ride. CLORINDA Dite, papà Barone, voi che avete un testone, qual è il vostro pensier: ditelo schietto. DON MAGNIFICO Giocato ho un ambo, e vincerò l’eletto. Da voi due non si scappa; oh come, oh come, figlie mie benedette, si parlerà di me nelle gazzette! Questo è il tempo opportuno per rimettermi in piedi. Lo sapete, io sono indebitato. Fino i stivali a tromba ho ipotecato. Ma che flusso e riflusso avrò di memoriali! ah questo solo è il paterno desìo, che facciate il rescritto a modo mio. C’intenderem fra noi: viscere mie, mi raccomando a voi. Sia qualunque delle figlie che fra poco andrà sul trono, ah non lasci in abbandono un magnifico papà. Già mi par che questo e quello, conficcandomi a un cantone e cavandosi il cappello, incominci: Sior Barone, alla figlia sua reale porterebbe un memoriale? Prende poi la cioccolata, e una doppia ben coniata faccia intanto scivolar. Io rispondo: Eh sì, vedremo. Già è di peso? Parleremo. Da palazzo può passar. Mi rivolto: e vezzosetta, tutta odori e tutta unguenti, mi s’inchina una scuffietta fra sospiri e complimenti: (in falsetto) Baroncino! Si ricordi quell’affare. (voce naturale) E già m’intende; senza argento parla ai sordi. La manina alquanto stende, fa una piastra sdrucciolar. Io galante: occhietti bei! Ah! per voi che non farei! Io vi voglio contentar! Mi risveglio a mezzo giorno: suono appena il campanello, che mi vedo al letto intorno supplichevole drappello: questo cerca protezione; quella ha torto e vuol ragione; chi vorrebbe un impieguccio; chi una cattedra ed è un ciuccio; chi l’appalto delle spille, chi la pesca dell’anguille, ed intanto in ogni lato sarà zeppo e contornato di memorie e petizioni, di galline, di sturioni, di bottiglie, di broccati, di candele e marinati, di ciambelle e pasticcetti, di canditi e di confetti, di piastroni, di dobloni, di vaniglia, e di caffè. Basta basta, non portate: terminate: ve n’andate? basta basta, in carità! Serro l’uscio a catenaccio: importuni, seccatori, fuori fuori, via da me. Presto presto, via di qua! (parte) TISBE (accostandosi in confidenza) Di’: sogni ancor che il principe vada pensando a te? CLORINDA Me lo domandi? TISBE Serva di Vostr’Altezza. CLORINDA A’ suoi comandi. (Partono scostandosi, e complimentandosi ironicamente.) SCENA SECONDA Ramiro, indi Cenerentola fuggendo da Dandini, poi Alidoro in disparte. RAMIRO Ah! Questa bella incognita con quella somiglianza all’infelice, che mi colpì stamane, mi va destando in petto certa ignota premura... Anche Dandini ne sembra innamorato. Eccoli: udirli or qui potrò celato. 57 (Si nasconde) Oh gioia! anima mia! DANDINI Ma non fuggir, perbacco! quattro volte mi hai fatto misurar la galleria. ALIDORO (mostrando il suo contento) (Va a meraviglia!) CENERENTOLA O mutate linguaggio o vado via. RAMIRO Ma il grado e la ricchezza non seduce il tuo core? DANDINI Ma che? il parlar d’amore è forse una stoccata! CENERENTOLA Mio fasto è la virtù, ricchezza è amore. CENERENTOLA Ma s’io d’un altro sono innamorata! RAMIRO Dunque saresti mia? DANDINI E me lo dici in faccia? CENERENTOLA Piano, tu devi pria ricercarmi, conoscermi, vedermi, esaminar la mia fortuna. CENERENTOLA Ah! mio signore, deh! non andate in collera col mio labbro sincero. DANDINI Ed ami? CENERENTOLA Scusi... DANDINI Ed ami? CENERENTOLA Il suo scudiero. RAMIRO (palesandosi) 58 RAMIRO Io teco, cara, verrò volando. CENERENTOLA Fèrmati: non seguirmi. Io tel comando. RAMIRO E come dunque? CENERENTOLA (Gli dà un smaniglio) Tieni cercami; e alla mia destra il compagno vedrai. E allor... se non ti spiaccio... allor m’avrai. (parte; momento di silenzio) RAMIRO Dandini, che ne dici? DANDINI Eh! dico che da principe sono passato a far da testimonio. RAMIRO “E allor... se non ti spiaccio... allor m’avrai!” Quali accenti son questi? (Scopre Alidoro) Ah ! mio sapiente venerato maestro, il cor m’ingombra misterioso amor. Che far degg’io? ALIDORO Quel che consiglia il core. RAMIRO (a Dandini) Principe non sei più: di tante sciocche si vuoti il mio palazzo. (chiamando i seguaci che entrano) Olà miei fidi, sia pronto il nostro cocchio, e fra momenti... così potessi aver l’ali dei venti. Sì, ritrovarla io giuro. Amor, amor mi muove: se fosse in grembo a Giove, io la ritroverò. (Contempla lo smaniglio.) Pegno adorato e caro che mi lusinghi almeno, oh come al labbro, al seno, come ti stringerò! CAVALIERI Oh! qual tumulto ha in seno! comprenderlo non so. RAMIRO E CAVALIERI Noi voleremo, domanderemo, ricercheremo, ritroveremo. Dolce speranza, freddo timore dentro al mio/suo cuore stanno a pugnar. Amore, amore, m’hai/l’hai da guidar. (Ramiro parte con i seguaci.) SCENA TERZA Dandini, Alidoro, indi Don Magnifico. ALIDORO (La notte è omai vicina. Col favor delle tenebre rovesciandosi ad arte la carrozza presso la casa del Baron, potrei... Son vicini alla meta i desir miei.) (Parte frettoloso) DANDINI Ma dunque io sono un ex? (passeggiando) Dal tutto al niente precipito in un tratto? Veramente ci ho fatto una bella figura! DON MAGNIFICO (entra premuroso) Scusi la mia premura... ma quelle due ragazze stan con la febbre a freddo. Si potrebbe sollecitar la scelta? 59 DANDINI È fatta, amico. DON MAGNIFICO (con sorpresa) È fatta! ah per pietà! dite, parlate! È fatta! (con sorpresa in ginocchio) e i miei germogli... in queste stanze a vegetar verranno? DANDINI (alzandolo) Tutti poi lo sapranno: per ora è un gran segreto. DON MAGNIFICO E quale, e quale? Clorindina o Tisbetta? DANDINI Non giudicate in fretta. DON MAGNIFICO Lo dica ad un papà. DANDINI Ma silenzio. non si vede una mosca. DANDINI È un certo arcano che farà sbalordir. DON MAGNIFICO (smaniando) Sto sulle spine. DANDINI (annoiato, portando una sedia) Poniamoci a sedere. DON MAGNIFICO Presto, per carità. DANDINI Voi sentirete un caso assai bizzarro. DON MAGNIFICO (Che volesse maritarsi con me?) DANDINI Mi raccomando. DON MAGNIFICO Si sa; via, dica presto. DON MAGNIFICO (con smania che cresce) Ma si lasci servir. DANDINI (andando ad osservare) Non ci ode alcuno. DANDINI Sia sigillato quanto ora udrete dalla bocca mia. DON MAGNIFICO In aria DON MAGNIFICO Io tengo in corpo una segreteria. 60 DANDINI Un segreto d’importanza, un arcano interessante io vi devo palesar. È una cosa stravagante, vi farà trasecolar. DON MAGNIFICO Senza battere le ciglia, senza manco trarre il fiato, io mi pongo ad ascoltar. Starò qui petrificato ogni sillaba a contar. DANDINI (Oh! che imbroglio! che disdetta! Non so come cominciar.) DON MAGNIFICO (Veh che flemma maledetta! Si sbrigasse a incominciar.) DANDINI Uomo saggio e stagionato sempre meglio ci consiglia. Se sposassi una sua figlia, come mai l’ho da trattar? DON MAGNIFICO (Consiglier son già stampato.) Ma che eccesso di clemenza! Mi stia dunque Sua Eccellenza... bestia!.. Altezza, ad ascoltar. Abbia sempre pronti in sala trenta servi in piena gala, centosedici cavalli, duchi, conti, marescialli, a dozzine convitati, pranzi sempre coi gelati, poi carrozze, poi bombè. DANDINI Vi rispondo senza arcani, che noi siamo assai lontani. Io non uso far de’ pranzi, mangio sempre degli avanzi, non m’accosto a’ gran signori, tratto sempre servitori, me ne vado sempre a piè. DON MAGNIFICO Mi corbella? DANDINI Gliel prometto. DON MAGNIFICO Questo dunque? DANDINI È un romanzetto. È una burla il principato, sono un uomo mascherato. Ma venuto è il vero principe, m’ha strappata alfin la maschera, io ritorno al mio mestiere: son Dandini il cameriere: rifar letti, spazzar abiti, far la barba, e pettinar. DON MAGNIFICO Far la barba, e pettinar… Di quest’ingiuria, di quest’affronto il vero principe mi renda conto. 61 DANDINI Oh non s’incomodi, non farà niente. Ma parta subito, immantinente. che gran cascata! Eccolo! eccolo! tutti diranno, mi burleranno per la città. DON MAGNIFICO Non partirò. DANDINI Povero diavolo! è un gran sconquasso, che d’alto in basso piombar lo fa. Vostra Eccellenza abbia prudenza: se vuol rasoio, sapone e pettine, saprò arricciarla, sbarbificarla… Ah ah! guardatelo, l’allocco è là. (Partono.) DANDINI Lei partirà. DON MAGNIFICO Sono un Barone. DANDINI Pronto è il bastone. DON MAGNIFICO Ci rivedremo. DANDINI Ci parleremo. DON MAGNIFICO Non partirò. DANDINI Lei partirà. DON MAGNIFICO Tengo nel cerebro un contrabbasso, che basso basso frullando va. Da cima a fondo, poter del mondo! che scivolata! 62 Alidoro solo. SCENA QUARTA ALIDORO Mi seconda il destino. Amor pietoso favorisce il disegno. Anche la notte procellosa ed oscura rende più natural quest’avventura. La carrozza già è in pronto; ov’è Dandini? Seco lo vuol nel suo viaggio. Oh come indocile s’è fatto ed impaziente! che lo pizzica amor segno evidente. (Entra) SCENA QUINTA Sala terrena con camino in casa di Don Magnifico. (Cenerentola nel solito abito accanto al fuoco.) CENERENTOLA Una volta c’era un Re, che a star solo s’annoiò; cerca, cerca, ritrovò; ma il volean sposare in tre. Cosa fa? Sprezza il fasto e la beltà, e alla fin sceglie per sé l’innocenza e la bontà. La la là li li lì la la là. (Guarda lo smaniglio) Quanto sei caro! e quello cui dato ho il tuo compagno, è più caro di te. Quel signor principe che pretendea con quelle smorfie? Oh bella! Io non bado a ricami, ed amo solo bel volto e cor sincero, e do la preferenza al suo scudiero. Le mie sorelle intanto... ma che occhiate! parean stralunate! (S’ode bussare fortemente, ed apre.) Qual rumore! (Uh? chi vedo! che ceffi!) Di ritorno! Non credea che tornasse avanti giorno. SCENA SESTA Don Magnifico, Clorinda, Tisbe e detta. CLORINDA (entrando, accennando Cenerentola) (Ma! ve l’avevo detto...) DON MAGNIFICO Ma cospetto! cospetto! Similissime sono affatto affatto. Quella è l’original, questa è il ritratto. Hai fatto tutto? CENERENTOLA Tutto. Perché quel ceffo brutto voi mi fate così? DON MAGNIFICO Perché, perché... per una certa strega che rassomiglia a te... CLORINDA Su le tue spalle quasi mi sfogherei. CENERENTOLA Povere spalle mie! Cosa c’hanno che far? (Cominciano lampi e tuoni, indi si sente il rovesciarsi di una carrozza.) TISBE Oh! fa mal tempo! Minaccia un temporale. DON MAGNIFICO Altro che temporale! Un fulmine vorrei che incenerisse il camerier... 63 CENERENTOLA Ma dite, Cosa è accaduto? avete qualche segreta pena? DON MAGNIFICO (con impeto) Sciocca! va’ là, va’ a preparar la cena. CENERENTOLA Vado sì, vado. (Ah! che cattivo umore! Ah! lo scudiere mio mi sta nel core.) (Parte.) SCENA SETTIMA Don Magnifico, Tisbe, Clorinda, Ramiro da principe, e Dandini. DANDINI Scusate, amici! La carrozza del principe ribaltò... (riconoscendo Don Magnifico) Ma chi vedo? DON MAGNIFICO Uh! Siete voi! Ma il principe dov’è? DANDINI (accennando Ramiro) Lo conoscete! DON MAGNIFICO (rimanendo sorpreso) Lo scudiero! Ih! guardate! 64 RAMIRO Signore, perdonate se una combinazione... DON MAGNIFICO Che dice! Si figuri! mio padrone! (alle figlie) (Eh! non senza perché venuto è qua. La sposa, figlie mie, fra voi sarà.) Ehi, presto, Cenerentola, porta la sedia nobile. RAMIRO No, no: pochi minuti! Altra carrozza pronta ritornerà. DON MAGNIFICO Ma che! gli pare! CLORINDA (con premura verso le quinte) Ti sbriga, Cenerentola. SCENA OTTAVA Cenerentola recando una sedia nobile a Dandini, che crede il principe. CENERENTOLA Son qui. DON MAGNIFICO Dalla al principe, bestia, eccolo lì. CENERENTOLA (sorpresa riconoscendo per principe Don Ramiro, si pone le mani sul volto, e vuol fuggire) Questo! Ah! che vedo! Principe! RAMIRO T’arresta. Che! Lo smaniglio! e lei… che gioia è questa! Siete voi? CENERENTOLA (osservando il vestito del principe) Voi Prence siete? CLORINDA E TISBE (fra loro, attonite) Qual sorpresa! DANDINI Il caso è bello! DON MAGNIFICO (volendo interompere Ramiro) Ma... RAMIRO Tacete! DON MAGNIFICO Addio cervello. (prende a sé Ramiro e Dandini) Se… RAMIRO E DANDINI Silenzio. CLORINDA, TISBE, CENERENTOLA, RAMIRO, DANDINI E DON MAGNIFICO Che sarà! Questo è un nodo avviluppato, Questo è un gruppo rintrecciato, chi sviluppa più inviluppa, chi più sgruppa, più raggruppa; ed intanto la mia testa vola vola, e poi s’arresta, vo tenton per l’aria oscura, e comincio a delirar. CLORINDA (strappando Cenerentola con violenza dal suo sbalordimento) Donna sciocca! Alma di fango, cosa cerchi? che pretendi? Fra noi gente d’alto rango l’arrestarsi è inciviltà. DON MAGNIFICO (come sopra, da un’altra parte) Serva audace! e chi t’insegna di star qui fra tanti eroi? Va’ in cucina, serva indegna, non tornar mai più di qua. RAMIRO (frapponendosi con impeto) Alme vili! invan tentate d’insultar colei che adoro; alme vili! paventate! il mio fulmine cadrà. DANDINI Già sapea che la commedia si cangiava al second’atto: ecco aperta la tragedia, me la godo in verità. CLORINDA E TISBE Son di gelo. 65 DON MAGNIFICO Son di stucco. RAMIRO (Diventato è un mamalucco.) CLORINDA, TISBE E DON MAGNIFICO Ma una serva... RAMIRO Olà, tacete! (facendo una mossa terribile) L’ira mia più fren non ha! CENERENTOLA (in ginocchio a Don Ramiro, che la rialza) Ah! signor, s’è ver che in petto qualche amor per me serbate, compatite, perdonate, e trionfi la bontà. CLORINDA, TISBE E DON MAGNIFICO (con disprezzo) Ah! l’ipocrita guardate! oh che bile che mi fa! RAMIRO E DANDINI (a Don Magnifico e le figlie) Quelle lagrime mirate: qual candore! qual bontà! DON MAGNIFICO Ma in somma delle somme, Altezza, cosa vuole? 66 RAMIRO Piano piano, non più parole: (Prende per mano Cenerentola.) questa sarà mia sposa. CLORINDA, TISBE E DON MAGNIFICO Ah! ah! dirà per ridere. (a Cenerentola) Non vedi che ti burlano? RAMIRO Lo giuro… mia sarà. DON MAGNIFICO Ma fra i rampolli miei, mi par che a creder mio... RAMIRO Per loro non son io. (con aria di disprezzo, contraffacendolo) Ho l’anima plebea, ho l’aria dozzinale. DANDINI Alfine sul bracciale ecco il pallon tornò; e il giocator maestro in aria il ribalzò. RAMIRO (tenendo con dolce violenza Cenerentola) Vieni a regnar… l’impongo. CENERENTOLA Su questa mano almeno; (Volendo baciar la mano a Don Magnifico, ed abbracciare le sorelle, è rigettata con impeto.) e prima a questo seno... DON MAGNIFICO Ti scosta! CLORINDA E TISBE Ti allontana! RAMIRO Perfida gente insana! io vi farò tremar. CENERENTOLA (passeggiando incerta, e riflettendo, ed abbandonandosi a vari sentimenti) Dove son? che incanto è questo? Io felice! oh quale evento! È un inganno! ah! se mi desto! Che improvviso cangiamento! Sta in tempesta il mio cervello, posso appena respirar. ALTRI (meno Cenerentola) Quello brontola e borbotta, questo strepita e s’adira, quello freme, questo fiotta, chi minaccia, chi sospira; va a finir che ai Pazzarelli ci dovranno trascinar. RAMIRO E DANDINI Vieni… Amor ti guida a regnar, a trionfar. (Ramiro trae seco Cenerentola, ed è seguito da Dandini, e da Don Magnifico.) SCENA NONA Tisbe, Clorinda, indi Alidoro. TISBE Dunque noi siam burlate? CLORINDA Dalla rabbia io non vedo più lume. TISBE Mi pare di sognar: la Cenerentola... ALIDORO (entrando) Principessa sarà. CLORINDA Chi siete? ALIDORO (con alterigia) Io vi cercai la carità. Voi mi scacciaste. E l’Angiolina, quella che non fu sorda ai miseri, che voi teneste come vile ancella, fra la cenere e i cenci, or salirà sul trono. Il padre vostro le è debitor d’immense somme. Tutta si mangiò la sua dote. E forse forse questa reliquia di palazzo, questi non troppo ricchi mobili, saranno posti al pubblico incanto. TISBE Che fia di noi, frattanto? 67 ALIDORO Il bivio è questo: o terminar fra la miseria i giorni, o curve a piè del trono implorar grazia ed impetrar perdono. Nel vicin atrio io stesso, presago dell’evento, la festa nuziale ho preparata. Questo, questo è il momento. CLORINDA Abbassarmi con lei! Son disperata! Sventurata! mi credea comandar seduta in trono. Son lasciata in abbandono senza un’ombra di pietà. Ma che serve! tanto fa: sono alfine giovinetta: capitar potrà il merlotto. Vo’ pelarlo in fretta in fretta, e scappar non mi potrà. Un marito, crederei, alla fin non mancherà. (Parte) ALIDORO La pillola è un po’ dura: ma inghiottirla dovrà; non v’è rimedio. E voi cosa pensate? TISBE Cosa penso? Mi accomodo alla sorte: se mi umilio alla fin, non vado a morte. (Parte.) ALIDORO Giusto ciel! ti ringrazio! I voti miei 68 non han più che sperar. L’orgoglio è oppresso. Sarà felice il caro alunno. In trono trionfa la bontà: contento io sono. (Esce.) SCENA ULTIMA All’alzarsi della tenda scorgesi un atrio con festoni di fiori illuminato, e nel cui fondo su piccola base siedono in due ricche sedie Ramiro, e Cenerentola in abito ricco; a destra in piedi Dandini, dame e cavalieri intorno. In un angolo Don Magnifico confuso, con gli occhi fitti in terra. Indi Alidoro, Clorinda e Tisbe, mortificate coprendosi il volto. CAVALIERI Della Fortuna istabile la revolubil ruota mentre ne giunge al vertice per te s’arresta immota: cadde l’orgoglio in polvere, trionfa la bontà. RAMIRO (scuotendo Cenerentola) Sposa... CENERENTOLA (stupida per la gioia) Signor, perdona la tenera incertezza che mi confonde ancor. Poc’anzi, il sai, fra la cenere immonda... ed or sul trono... e un serto mi circonda. DON MAGNIFICO (corre in ginocchio) Altezza... a voi mi prostro... CENERENTOLA Né mai m’udrò chiamar la figlia vostra? CENERENTOLA Padre... Sposo... Amico... oh istante! Non più mesta accanto al foco sarò sola a gorgheggiar. Ah fu un lampo, un sogno, un gioco il mio lungo palpitar. RAMIRO (accennando le sorelle) Quelle orgogliose... DAME E CAVALIERI Tutto cangia a poco a poco, cessa alfin di sospirar. CENERENTOLA Ah, prence, io cado ai vostri piè. Le antiche ingiurie mi svanir dalla mente. sul trono io salgo; e voglio starvi maggior del trono, e sarà mia vendetta il lor perdono. Nacqui all’affanno, al pianto; soffrì tacendo il core; ma per soave incanto, dell’età mia nel fiore, come un baleno rapido la sorte mia cangiò. (a Don Magnifico, e sorelle) No no, tergete il ciglio, perché tremar, perché? A questo sen volate; figlia, sorella, amica, (abbracciandole) tutto trovate in me. TUTTI (meno Cenerentola) M’intenerisce e m’agita: è un Nume agli occhi miei. Degna del tron tu sei, ma è poco un trono a te. È un nume! 69 Le fotografie sono state prese a Bari. © Cosimo Mirco Magliocca 70 Immagini 71 73 74 75 76 77 78 79 80 81 Saggi e contributi 83 Stefano Catucci Tutte le maschere di ‘Cenerentola’ Nel libro che dedicò alla Vita di Rossini, pubblicato nel 1941, Riccardo Bacchelli parla di La Cenerentola in un capitolo dedicato al Rossini Operista serio e pone quel titolo accanto ad altri due, Otello e La gazza ladra, argomentando la necessità di abbandonare un rigido criterio cronologico e di assumere, invece, una prospettiva tematica per i lavori successivi al Barbiere di Siviglia. Per l’autore de Il mulino del Po si tratta di un’evidenza incontestabile: il Barbiere resta per lui un’opera unica, un non plus ultra, dopo il quale «le sollecitazioni reali e profonde» dello spirito di Rossini «volsero e s’ispirarono all’opera seria, drammatica e tragica». Quasi cinquant’anni dopo Bruno Ca­gli, fra i musicologi impegnati in prima linea nel movimento della cosiddetta Rossini-Renaissance, imposta un suo breve saggio partendo dalla tesi opposta, ovvero dall’idea che La Cenerentola rappresenti l’ultima opera buffa di Ros­sini, o meglio il suo «congedo» da un genere al quale tuttora siamo portati spontaneamente a legarlo, ma che occupa nella sua produzione solo cinque titoli limitati, oltretutto, a un arco creativo durato pochissimi anni: 1813 per L’italiana in Algeri; 1814 per Il Turco in Italia; 1816 per Il Barbiere di Siviglia e per La Gazzetta; 1817 appunto per La Cenerentola. Da questi due opposti giudizi emergono valutazioni simmetriche anche per quel che riguarda il li­bretto steso dal poeta romano Jacopo Ferretti. Pessimi versi, i suoi, secondo Bacchelli: «per quanto stava in lui il librettista ha fatto tutto per guastare la favola di Perrault, e anzi c’è da stupire, sommato tutto, che se ne sia salvata la figura della protagonista». Un buon libretto, invece, secondo Bruno Cagli, se si pensa che Ferretti aveva preso a modello non tanto la favola di Perrault, quanto le riduzioni operistiche già diffuse nel teatro musicale del tempo, e che rispetto a queste ultime aveva saputo intro85 durre caratterizzazioni, me­tafore e situazioni capaci di fornire solidi pigli all’estro musicale di Rossini. Si può citare un terzo parere, anche questo dovuto a uno degli studiosi di Rossini oggi di maggior prestigio, Philip Gossett. Ascrivibile al genere dell’opera buffa, o meglio ancora del «dramma giocoso», come recita la dicitura precisa dell’opera, La Cenerentola se ne distacca per l’uso di formule “serie” che svol­gono, tuttavia, una precisa funzione narrativa e non modificano il carattere fondamentalmente leggero della composizione. Più che una mediazione fra i primi due giudizi, quello di Gossett suona come una specificazione del secondo, dato che concorda con Bruno Cagli nell’ascrivere La Cenerentola al genere buffo, ma al tempo stesso cerca di individuare l’origine delle difficoltà che l’opera ha suscitato nel pubblico, nei critici e nei commentatori. «Dramma giocoso», del resto, era anche la dizione data da Lorenzo da Ponte e da Mozart al Don Giovanni, ed è noto che da secoli la bilancia dei giudizi pende ora su un termine, ora sull’altro, a seconda che quell’opera venga collocata nel filone “buffo” di derivazione italiana o nel solco di una sensibilità romantica ancora in stato nascente. Per La Ceneren­tola le cose non stanno molto diversamente. Anche se si ritiene fuori luogo scomodare al riguardo una “questione romantica”, quel di cui si discute è la poetica di Rossini, la sua complessità pur all’interno di un’epoca segnata dalla Restaurazione e incline, proprio per questo, a fissare anche la pratica musicale all’interno di schemi piuttosto rigidi. La musica di Rossini forza di continuo questa rigidità, lotta contro le convenzioni più stanche del teatro d’opera e lo fa scegliendo una strada ingrata e piena di equilibrismi: non la trasgressione, ma la cura per il patrimonio di regole ereditato dalla tradizione; non il salto in un altro registro stilistico, ma la sottile deviazione all’interno di un linguaggio coerente con quello delle generazioni precedenti. La Cenerentola, da questo punto di vista, è un capolavoro di ambivalen­za. Della favola di Perrault vengono eliminati tutti i riferimenti fantastici, gli aspetti magici, tutto quel ch’era già pronto per una bella confezione piena di mistero e di romantica ingenuità. Lo scheletro che resta è perfetto per un apologo illuminista, razionalmente ordinato. Ma proprio laddove la “ragione” sembra sancire il suo trionfo anche in una favola, ecco che versi e musica indicano continuamente il limite oltre il quale essa è destinata a perdersi: un pensiero che svapora, ammattisce, un diventare folli o stupidi che accom­pagna i rovesciamenti della commedia trasformandoli in nonsense. Il primo segno di tutto questo, ancora nella Scena I dell’Atto I, sembra un’eco di quel che si diceva nel Barbiere, dove nel concertato conclusivo dell’Atto I le voci dei protagonisti dicevano: «mi par d’esser con la testa in un’orrida fucina». Qui, nella Cenerentola, è il precettore del principe Ramiro, 86 Alidoro, in vesti da mendicante, a commentare insieme al coro la frenesia delle sorelle Tisbe e Clorinda e la persecuzione della protagonista: «nel cervello una fucina sta le pazze a martellar», dice Alidoro. E il coro, di rimando: «già nel capo una fucina sta le donne a martellar». “Buffa”, dunque, è La Cenerentola perché risponde a tutti gli stereotipi del genere, dal travestimento agli inganni, dalla lotta fra amore e ambizione alle cadute repentine da una condizione all’altra: povertà e ricchezza, felicità e infelicità. Ma “seria”, o almeno intrisa di elementi seri, perché inscena il vacillare della ragione di fronte a sentimenti elementari come la gelosia, l’invidia, l’ambizione, l’amore stesso. Stando alla testimonianza del librettista, Ferretti, Rossini aveva accolto con un’improvvisa accensione di interesse il titolo Cendrillon fra i molti che gli erano stati proposti, e che aveva ascoltato snocciolare dal poeta con un senso crescente di noia e rassegnazione. È possibile che fin dal principio egli abbia avuto già in mente quel che l’opera avrebbe potuto diventare. Più probabile, però, che egli intuisse come l’argomento di una favola così semplice – o meglio: semplice come semplici sono sempre gli archetipi – gli avrebbe lasciato la più ampia libertà nel trattamento dei personaggi e della materia musicale. Se fu così, l’intuizione si rivelò giusta: La Cenerentola stimolò la miglior vena creativa di Rossini e il suo gusto per la varietà delle soluzioni musicali, profuse in quest’opera con un’abbondanza che non ha eguali nelle sue altre composizioni di quel periodo. A confermare questa circostanza c’è anche la scarsità dei cosiddetti “autoimprestiti”, singoli numeri musicali già scritti in precedenza per un’altra opera e riutilizzati con disinvoltura in una nuova partitura. Rossini faceva abitualmente ampio ricorso a questo stratagemma, sia perché lo aiutava nei ritmi velocissimi di scrittura ai quali era forzato, sia perché da alcune opere non c’era da aspettarsi che circolassero molto e archiviarne in modo definitivo la musica avrebbe significato, agli occhi dell’autore, sacrificarla inutilmente. La Cenerentola, da questo punto di vista, abbonda di musica nuova, com­posta più o meno nell’arco di un mese: sappiamo infatti che il titolo venne proposto da Ferretti a Rossini due giorni prima del Natale 1816 e che il 25 gennaio 1817 l’opera debuttò al Teatro Valle di Roma. Come sempre accadeva in casi come questi, quando i tempi erano così ridotti, il compositore scriveva a mano a mano che riceveva i nuovi versi dal poeta, così che parole e musica progredivano in parallelo, seguendo la sceneggiatura generale – il «program­ma», si diceva allora – che Ferretti aveva preparato subito dopo la decisione di lavorare al soggetto. Per snellire il lavoro Rossini, come altre volte gli era accaduto, si era rivolto a un aiutante, un compositore di origine marchigiana attivo alla Chiesa Nuova di Roma, tale Luca Agolini, noto nell’ambiente come “Luchetto lo zoppo”. Il suo apporto non fu di poco peso anche se – come vedremo 87 – venne eliminato del tutto a partire dai successivi allestimenti dell’opera. Certo è che il sistema di velocizzazione più a portata di mano di Rossini, quello degli “autoimprestiti”, appunto, venne usato con una parsimonia sorprendente, anche se in posizioni di tutto rilievo. Due soltanto, infatti, sono i brani importati da altre opere, ma si tratta dell’Ouverture e del Finale, dunque dell’apertura e della conclusione dell’opera. L’Ouverture venne presa da La Gazzetta, opera che aveva debuttato qualche mese prima a Napoli (Tea­tro dei Fiorentini, 26 settembre 1816), ma che d’altra parte era una sorta di compilazione di pagine prese da opere precedenti e che Rossini riteneva forse nociva per una pagina così equilibrata e ricca come la sinfonia introduttiva, ora spostata di peso all’inizio di La Cenerentola. Per il finale, invece, Rossini corse un rischio prendendo a prestito un passaggio altamente riconoscibile del Barbiere di Siviglia, opera che aveva debuttato sempre a Roma un anno prima e che, dopo il celebre e forse pilotato tonfo della “prima”, aveva raccolto un successo clamoroso. Si trattava dell’aria di Almaviva «Cessa più di resistere», un brano particolarmente difficoltoso per una voce di tenore e che, concepito per il primo interprete del ruolo, Manuel Garcìa, sarebbe stata inevitabilmente tagliata o in presenza di cantanti meno dotati. Rossini pensò allora di passarla a una voce femminile e ne fece la base del Rondò «Non più mesta accanto al fuoco starò sola a gorgheggiar», ultimo intervento di Cenerentola al quale si aggiunge il coro per la chiusa dell’opera. Il rischio consisteva da un lato nel fatto che il pubblico di quei tempi non amava particolarmente simili riprese, dall’altro nella presenza, nel cast di La Cenerentola, di cantanti che avevano già partecipato all’allestimento del Barbiere, come Geltrude Righetti-Giorgi e Zenobio Vitarelli, rispettivamente Resina e Basilio un anno prima. Proprio l’azzardo e l’evidenza di questi autoimprestiti, oltretutto così con­tenuti nel numero, da però conto del ruolo che Rossini aveva attribuito loro in questa occasione: non una scorciatoia per sveltire il lavoro o per ottenere il massimo dell’effetto con il minimo sforzo, ma una sorta di trasfigurazione del­la scrittura che da un contesto determinato sale verso le vette di un’astrazione metafisica. È come se Rossini, detto altrimenti, si staccasse dalla storia che sta raccontando per applicarvi una formula di belcanto allo stato puro, quasi a rimarcare che il gioco e la tecnica belcantistica hanno sempre come appro­do ideale una sopraelevazione rispetto ai casi del dramma e della commedia, dunque una uscita dai canoni narrativi il cui effetto risulta inevitabilmente straniante per una coscienza intimamente “narrativa” com’è quella moderna. Una musica che non sia narrazione, appunto, ma riflessione su se stessa, omaggio a se stessa; una musica che non metta in scena veri e propri perso­naggi, con le 88 loro psicologie, ma maschere, e che oltretutto con le maschere giochi prendendo sul serio i travestimenti cui danno luogo: ecco La Cenerentola di Rossini ed ecco anche, oltre La Cenerentola, la via di fuga intravista da Rossini in controcorrente rispetto al cammino della modernità. Solo prendendo sul serio le maschere, d’altra parte, era possibile costruire tutto l’intreccio di metamorfosi che attraversa da cima a fondo la scrittura vocale di quest’opera. Prendiamo la protagonista, Cenerentola: quando è ridotta a serva delle sue sorellastre, dunque al gradino più basso della scala sociale, quel che canta accanto al fuoco è un’aria semplice, di andamento popolare, «Una volta c’era un re», nenia dolcissima e insistente che viene ripetuta e derisa da Clorinda e Tisbe, ma che Cenerentola sta intonando anche quando incontra per la prima volta il principe Ramiro, a sua volta travestito da servitore, e che ricomparirà nell’Atto II, dopo la scena del ballo e prima della musica di Tempesta. Il duet­to che Cenerentola e Ramiro cantano insieme nell’Atto I, «Un soave non so che», ha lo stesso ritmo della canzone: corrisponde a una prima trasformazione stilistica, con una vocalità più complessa e sognante, simbolo della proiezione verso una speranza e un desiderio. Giunta alla fine dell’opera, balzata al verti­ce del mondo grazie al matrimonio con il principe, Cenerentola ha ormai uno stile vocale nobile, trasfigurato rispetto agli inizi, e proiettato appunto verso quell’astrattezza metafisica di cui il belcanto, come si è detto, rappresenta il simbolo. Un analogo processo di trasformazione tocca d’altra parte anche tutti gli altri personaggi dell’opera, con l’unica eccezione di Don Magnifico e delle sue figlie predilette, Clorinda e Tisbe, figure che appaiono fissate fin dal principio in quello stile buffo che gli altri caratteri dell’opera, invece, saranno continuamente portati a trascendere. Alidoro, il precettore del principe, cam­bia stile e linguaggio a seconda che sia in vesti di mendicante o si presenti con il proprio abito. Così Dandini, il servo di Ramiro, ostenta un canto dalla nobiltà persino affettata quando indossa i panni del suo principe, ma ridi­scende rapidamente verso un tono più asciutto e popolare quando torna nelle proprie sembianze. Il duetto nel quale rivela la propria identità a Don Magni­fico («Un segreto d’importanza», Atto II), è però esemplare perché mostra la diversità del trattamento dei personaggi integralmente “buffi” rispetto a quelli che attraversano un cammino di trasformazione nel corso dell’opera: pur con­fessando il proprio vero mestiere, e pur adeguandosi allo stile vocale sillabato e caricaturale di Don Magnifico, Dandini inizia la sua parte con un eloquio da “opera seria” che al suo interlocutore è interdetto e mantiene, anche in seguito, un aplomb e una dignità fuori dalla portata dell’altro. D’altra parte, un effetto ancora più sfumato Rossini lo ottiene nella scena dell’apparizione di Cenerentola al ballo, nell’Atto I, quando il coro «Parlar, pensar vorrei», viene affrontato con uno stile che individua con precisione, al suo interno, il carat­tere di ogni singola voce, 89 dunque di ogni singolo personaggio. La formula è quella del tema con variazioni: Clorinda espone il tema con secchezza, Ramiro ne propone una prima variazione riccamente ornata, vale a dire aristocratica, quindi Cenerentola stessa ne esegue una variazione esuberante, con salti che spiccano verso l’alto, mentre Dandini segue un ritmo di terzine che già piegano verso uno stile più basso, tendente al buffo. Stili diversi che Rossini riunisce poi con un solo gesto, sintetico e geniale, nella cadenza conclusiva. Sulla base di quanto è stato detto, l’ambivalenza di La Cenerentola comin­cia a chiarirsi. È un’opera buffa, ma al suo interno contiene passaggi vocali in stile serio che per un verso connotano i travestimenti e i percorsi dei suoi protagonisti, per un altro ne ibridano il linguaggio collocandolo al di là di ciò che in quell’epoca si attribuiva al comico tout court. È un’opera di masche­re, non di personaggi, e di maschere che contengono ciascuna un doppio al proprio interno: Cenerentola è serva e principessa, Dandini servitore e princi­pe, come Ramiro, mentre Alidoro è precettore e mendicante. Malgrado queste doppiezze, inoltre, ogni maschera è attentamente individualizzata, anche se per ottenere questo effetto Rossini deve lavorare proprio sul passaggio da un polo all’altro di ciascun carattere, adeguando lo stile vocale ai travestimenti e ai ruoli ricoperti volta per volta. Infine è un’opera nella quale l’individuazione non passa per le arie solistiche, ma per i pezzi d’insieme. Il paradosso è solo apparente. Le arie solistiche, la maggior parte delle quali è riservata all’unico carattere integralmente buffo, quello di Don Magnifico, servono meno a de­finire un carattere che non a ratificare una definizione già data nei pezzi di insieme, all’interno dei quali hanno luogo le trasformazioni e i passaggi da un polo all’altro della posizione sociale. Lo si può verificare nel magnifico Sestetto che nell’Atto II funge da vero e proprio finale anticipato – «Questo è un nodo avviluppato» – capolavoro di finezza polifonica e di efficacia rappresentativa. Ma lo si può vedere, ripercorrendo all’indietro La Cenerentola, anche nel Finale dell’Atto I, nel Quintetto «Signor, una parola», nel coro che chiude l’Introduzione dell’opera: tutte scene che culminano nella confusione, nel rovesciamen­to dei ruoli, nella dichiarazioni di follia personale o collettiva, quasi che dopo ogni appuntamento corale l’individuazione dei personaggi avesse avuto solo lo scopo di stranire i personaggi della commedia, e anzitutto quelli che restano fissi in tanto movimento, Don Magnifico, Clorinda e Tisbe. Ma l’ambivalenza delle situazioni di La Cenerentola è anche il risultato di una sottrazione: quella degli elementi magici e fiabeschi della favola di Perrault, del tutto assenti nella versione di Ferretti e Rossini. Che alcuni dettagli, come la so90 stituzione della celeberrima scarpetta di Cenerentola con un doppio bracciale, uno dei quali lasciato a Ramiro nel corso della festa danzante, si può forse comprendere pensando alla cultura popolare del tempo, così com’è ancora attestata dalle favole di Le cunto de’ li cunti raccolte alla fine del Seicento da Giovan Battista Basile e dalle ricerche svolte da Roberto De Simone all’epoca in cui preparava La gatta Cenerentola (1976). La cultura popolare del tempo, non solo quella italiana, considerava la scarpa femminile simbolo di verginità, tanto che averla perduta fuggendo da una festa danzante, come accade a Cenerentola, appariva un’allusione sessuale evidentissima, con un corteo di doppi sensi pronti a moltiplicarsi a ogni ulteriore tappa della storia. Quello del bracciale, insomma, era un espediente pensato per neutralizzare una metafora. La rinuncia al resto del corredo fiabesco dipende invece, con ogni probabilità, dall’aver scelto come riferimento letterario non tanto il testo di Perrault, quanto il libretto di Francesco Fiorini per un’opera del compositore Stefano Pavesi: Agatina, ovvero la virtù premiata. Andata in scena alla Scala nel 1814, è un lavoro che si ipotizza sia Rossini che il suo librettista, Ferretti, conoscessero bene – l’uno per averla ascoltata a Milano, l’altro per averne letto il testo –, così come si pensa che a Ferretti non fosse ignota l’opera di Nicolas Isouard, Cendrillon, che nel 1810 aveva visto la luce a Parigi con un libretto in stile di féerie di Charles G. Étienne. Certo La Cenerentola ricorda molto da vicino nella struttura, specie nelle prime scene, l’Agatina di Pavesi e Fiorini, e non c’è dubbio che una convinzione espressa da Ferretti – «il pub­blico vuole a teatro qualcosa di diverso da quello che può divertirlo in una storiella accanto al fuoco» – accrediterebbe ulteriormente l’idea che quell’opera, e non Perrault, sia stato il punto di riferimento tanto del poeta quanto del musicista. Il confronto fra le due opere, tuttavia, mostra quanto la mano di Rossini abbia calcato la mano su aspetti ai quali i versi di Ferretti offrono valida sponda: dunque, quanto i due abbiano lavorato in fretta e in pieno accordo, nonostante tutti i giudizi negativi che il tempo ha accumulato verso la qualità del libretto. Proprio perché maschere, e non personaggi, i caratteri di La Cenerentola hanno tutti qualcosa di estremo: grandiosi o miserabili che siano i loro gesti tutto, in loro, ha una punta di un eccesso che invade anche i sogni e l’immaginazione. Basti pensare al sogno, appunto, che Don Magnifico racconta dopo essere stato svegliato dai suoi «rampolli femminini» per vedere di quali visioni strampalate e ambiziosissime egli fosse capace – e di quali immagini poetiche, divertenti ed efficaci, fosse capace Ferretti. Ma questo eccesso, che solo di rado scivola nella caricatura, è anche ciò che permette alle maschere, tramite il loro carattere allegorico e tuttavia ben individualizzato, di riprendere un inatteso contatto con il mondo della fiaba. Non dal lato della magia, però, ma da quello dell’apologo, cosicché il sottotitolo dell’opera, La Bontà in Trionfo, ne sarà come 91 un sigillo, ma paradossale, perché applicato precisamente a un eccesso. Un eccesso di bontà e uno di cattiveria, un eccesso di credulità e uno di astuzia, un eccesso di generosità e uno di avidità: ecco i caratteri opposti che senza più magia, e senza mistero, si allineano l’un contro l’altro in questa favola dove tutto cambia ruotando intorno a un’unica stella fissa: quella dello stupor – stupore, follia o stupidità che sia. È lì che la vicen­da ha il suo perno. Ed è lì che la ragione di ognuno rischia di perdersi ogni volta che si spinge fino al limite dei suoi eccessi, buoni o cattivi che siano. Resta ancora qualcosa da dire a proposito della collaborazione di “Luchetto lo Zoppo”, autore di tre pezzi quasi subito tolti da Rossini: un coro di Cavalieri all’inizio dell’Atto II, un’aria di Clorinda prima della fine dell’Atto II, infine l’aria di Alidoro «Vasto teatro è il mondo», nell’Atto I. I primi due brani vennero eliminati da Rossini già dopo le prime recite: del resto non sembra­vano necessari all’economia dell’opera ed erano stati inseriti più che altro per rispetto delle convenzioni dell’epoca - l’aria di Clorinda era di quelle che si definivano “da sorbetto”, cioè di quelle che, affidate a una voce di secondo piano, si potevano ascoltare in beata distrazione. L’aria di Alidoro svolgeva, in­vece, un ruolo importante, anche perché dava più spessore a uno dei caratteri implicato nelle trasformazioni vocali e sociali con le quali Rossini gioca per tutto il corso dell’opera. Quando a Roma La Cenerentola venne ripresa (dopo un esito modesto alla “prima” le successive recite furono un buon successo), Rossini chiese allora a Jacopo Ferretti di preparare nuovi versi per un’aria di grande respiro, in stile serio: «Là del ciel nell’arcano profondo». Un’aria «mo­rale», la definì Ferretti, e che testimonia una volta di più quanto per Rossini contasse, in quest’opera, l’oscillazione fra diversi registri, la volontà di inserire momenti di forte impegno virtuosistico e stilistico accanto ad altri di più schietta comicità. Oggi La Cenerentola la si ascolta per lo più mantenendo quest’aria, e comunque senz’altro intervento di Luca Agolini che non sia la – probabile – stesura dei recitativi. 92 Daniele Abbado Il passo di Cenerentola. Brevi annotazioni di regia Sono diversi gli elementi teatrali in cui si snoda la Cenerentola di Rossini: rinuncia al magico-favolistico in favore di un racconto esistenziale, momenti comici, travestimenti, allusioni allo sfondo tragico della vicenda. Squilibrio – equilibrio: Cenerentola sembra parlarci di questo contrasto, e la musica di Rossini sembra trovare qui il proprio materiale elettivo. La traccia da seguire sembra indicarla Rossini stesso, articolando una serie di momenti in cui il manifestarsi di una natura umana, tanto esagerata da risultare incomprensibile, produce una perdita della ragione. In questo testo, la mente umana vacilla e si confonde: la ragione confusa è forse il tema maggiormente ricorrente nel testo, appellata in svariati modi. Questi momenti servono a Rossini per portare le situazioni e i personaggi ad un punto in cui la confusione genera estasi, stupore, trasfigurazione. Qui è la musica a compiere una ulteriore trasformazione, decisiva: lo scatenamento dell’intelligenza musicale rossiniana “stacca” i personaggi dalla propria condizione individuale trasportandoli in una dimensione più astratta, in cui la musica stessa diventa fatto narrativo, ironico e introspettivo. La Cenerentola di Rossini si apre nel segno dei travestimenti. Tutti i personaggi “travestono” la propria identità, la nascondono, non sanno o non vogliono riconoscerla. Ciò che colpisce, di questa Cenerentola, è il fatto che la sua trasformazione non implichi incantesimi, ma sia un cambiamento interiore. Studiando le tante varianti della favola di Cenerentola di ogni luogo del mondo e di ogni tempo, si scopre una Cenerentola imparentata con personaggi a volte inattesi, come Edipo, Giasone, Filottete. 93 La Cenerentola di Rossini appare come la trasformazione in chiave moderna del tema del monosandalismo, del piede nudo, ovvero della constatazione che è impossibile varcare ritualmente la soglia dell’altro mondo con il passo ordinario, cioè con “tutti e due i piedi”, come ben spiega Carlo Ginzburg in un suo libro. Un passaggio che ci porta a comprendere, per esempio, perché la Cenerentola di Rossini, nel primo atto, manifesti una sorta di perdita di identità. Un personaggio quasi sonnambulistico, che si domanda chi è. Qui Rossini genialmente allude, e solo allude, alla storia tragica di questa giovane orfana lasciata in cattive mani. Ma quando poi il personaggio compie la sua trasformazione, riuscendo a ricomporre il proprio sé confuso, viene fuori un profilo di grande statura. Nessun passaggio patetico, quindi, ma una malinconia che lascia intravedere un trauma, una sofferenza originaria. Questo ci indica l’irruzione, totalmente inaspettata visto il contesto, del tema della morte: “Ella morì”. A quel punto lo stupore arriva ai suoi massimi ed è chiaro che Rossini sta scherzando con temi estremamente seri. In equilibrio geniale convivono nella penna di Rossini due dimensioni: una esistenziale, metafisica e un’altra da commedia, con personaggi anche volgari. Il suo don Magnifico sembra davvero uno zio disegnato da Peppino De Filippo o da Vittorio De Sica, con tutte le esagerazioni che abitano questo genere di personaggi – c’è addirittura il classico “Bestia, maiuscole!”. Insomma, la Cenerentola rossiniana finisce per toccare gli aspetti più alti e tutte le diverse possibilità espressive del comico: di situazione, astratto, surreale: e questa ricchezza genera il linguaggio forse più evoluto delle opere comiche rossiniane. Questi sono i motivi che rendono poco interessante, oggi, una lettura scenica favolistica o realistica. Al contrario, in Rossini c’è tutto il meglio del peggio, e questa Cenerentola ha anche il tono e il senso di una celebrazione comica delle miserie umane. Per questo credo che al palcoscenico vada richiesta la ricerca di un punto di incontro tra l’astratto e il concreto delle situazioni, tale è la varietà degli archetipi attivi nella drammaturgia. Finale: il finale è la fine di un trauma e di una perdita. Il personaggio di Cenerentola giunge ad una nuova nascita e questa nuova nascita comporta l’uscita dal terrore. La “bontà” di Cenerentola vale, nel finale, come istinto vitale di colei che toglie la paura degli altri: “Tergete il ciglio. Perché tremar?” Per avere un ampio respiro. Per camminare in quel passaggio da una dimensione all’altra che marca ogni trasformazione c’é bisogno di respiro e di buon passo. 94 Su Rossini Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica (lezioni tenute dal 1818 al 1829) Per questi aspetti la bellezza veramente musicale risie­de nel fatto che si passa, sì, dal semplicemente melodico al caratteristico, ma che entro questa particolarizzazione il melodico resta conservato come l’anima che dà unità e sostegno; come, per esempio, sempre si conserva il tono della bel­lezza nel caratteristico delle pitture di Raffaello. Il melo­dico è allora pieno di significato, ma pur in ogni determi­natezza esso è l’animazione compenetrante ed unificante, ed il particolare caratteristico appare soltanto come un ri­lievo di lati determinati che per via interna sono ricondotti sempre a questa unità ed animazione. Cogliere a tale pro­posito la giusta misura è nella musica più difficile che in altre arti, perché la musica più facilmente si disgiunge in entrambi questi opposti modi di espressione. Così quasi in ogni epoca il giudizio su opere musicali è diviso; gli uni danno la prevalenza al melodico, gli altri a quel che è più caratteristico. Per esempio, Händel, che anche nelle sue opere ha spesso richiesto per singoli momenti lirici grande rigore di espressione, ebbe da sostenere già al suo tempo molte lotte con i suoi cantanti italiani e alla fine, quando anche il pub­blico si schierò dalla parte di costoro, si diede intieramente a comporre oratori, in cui le sue doti di autore trovarono il più ricco campo. Anche all’epoca di Gluck fu famosa la lun­ga e vivace controversia tra i seguaci di Gluck e quelli di Piccinni. Rousseau, dal 95 canto suo, di contro alla mancanza di melodia dei Francesi antichi, ha preferito di nuovo la musica melodica italiana; e oggi infine si discute alla stessa maniera pro e contro Rossini e la moderna scuola italiana. Gli avversari spacciano infatti la musica di Rossini come un vuoto solletico dell’orecchio. Ma se si entra un po’ nelle sue melodie, questa musica è invece estremamente ricca di sentimento, di spirito, e penetra nell’animo e nel cuore, sebbene poi essa non si abbandoni a quel genere di caratteristica che è preferito specialmente dal rigoroso intelletto musicale tedesco. Infatti anche troppo spesso Rossini è in­fedele al testo e con le sue libere melodie oltrepassa ogni confine, cosicché si ha allora la scelta se restare nell’argo­mento ed essere insoddisfatti della musica che non vi con­corda più, oppure rinunciare al contenuto e senza impedi­menti ricrearsi alle libere invenzioni del compositore e godere con l’anima l’­anima che vi è in esse. (Parte terza. Traduzione di Nicolao Merker e Nicola Vaccaro, Einaudi 1967) Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione (1819) [La musica] non esprime dunque questa o quella singola e determinata gioia, questo o quel turbamento, o dolore, o terrore, o giubilo, o letizia, o serenità; bensì la gioia, il turbamento, il dolore, il terrore, il giubilo, la letizia, la serenità in se stessi, e, potrebbe dirsi, in abstracto, dandone ciò che è essenziale, senza accessori, quindi anche senza i loro motivi. Perciò noi comprendiamo la musica perfettamente, in questa purificata quintessenza. Di là procede che la fantasia venga dalla musica con tanta facilità eccitata, tenti allora di dar forma a quel mondo di spiriti, che direttamente ci parla, invisibile e pur sì vivamente mosso, e di vestirlo con carne e ossa, cioè impersonarlo in un esempio analogo. Questa è l’origine del canto accompagnato da parole, e finalmente dell’opera – la quale appunto perciò non dovrebbe mai abbandonare questa situazione subordinata per salire al primo luogo, ridurre la musica a semplice mezzo della propria espressione; la qual cosa è un grosso errore e una brutta stortura. Imperocché sempre la musica esprime la quintessenza della vita e dei 96 suoi eventi, ma non mai questi medesimi; le cui distinzioni quindi non hanno il minimo influsso sopra di lei. Appunto tale universalità, che a lei esclusivamente appartiene, malgrado la determinatezza più precisa, le dà l’alto valore, ch’ella possiede come panacea di tutti i nostri mali. Se quindi si vuol troppo adattar la musica alle parole, e modellarla sui fatti, ella si sforza a parlare un linguaggio che non è il suo. Da questo difetto nessuno s’è tenuto lontano come Rossini: perciò la musica di lui parla sì limpido e puro il linguaggio suo proprio, da non aver punto bisogno di parole, ed esercitare quindi tutto il suo effetto, anche se eseguita dai soli strumenti. (Libro terzo. Traduzione di P. Savj-Lopez e G. de Lorenzo, Laterza, 1928) 97 Libri all’opera Le pubblicazioni delle Edizioni del Teatro Municipale Valli The Rake’s Progress di Igor Stravinskij, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 120 (contiene: libretto bilingue inglese-italiano; saggio e descrizione della struttura dell’opera di Raffaele Pozzi). Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 113 (contiene: libretto; articoli e saggi di Giorgio Strehler, Maria Grazia Gregori, Giovanna Gronda, Frits Noske). ESAURITO Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Valli, edizione espressamente realizzata per il Teatro Comunale di Modena, 1999. ESAURITO Werther di Jules Massenet, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 100 (contiene: libretto bilingue francese italiano; articoli e saggi di Marco Beghelli, Giorgio Cusatelli, Umberto Bonafini). Andrea Chénier di Umberto Giordano, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 98 (contiene: libretto; saggi di Marcello Conati, Guido Salvetti, Ugo Bedeschi. Falstaff di Giuseppe Verdi, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2000, pp. 106 (contiene: libretto; saggio di Angelo Foletto; testimonianze di Hanslick, Bonaventura, Monaldi, Celli, Mila, De Van, Mula; estratti dal carteggio Verdi-Boito). Otello di Giuseppe Verdi, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2000, pp. 100 (contiene: libretto; saggio di Frits Noske; estratti dal carteggio Verdi-Boito; servizio fotografico di Stefano Camellini). Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2000, pp. 72 (contiene: libretto; articoli e saggi di Donald Sulzen, Harald Braun, Charles Osborne; foto di Alda Tacca). ESAURITO Der fliegende Holländer di Richard Wagner, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2001, pp. 83 (contiene: libretto bilingue; articoli e saggi di Carl Dahlhaus, Alberto Mari e Luisa Rubini; estratti da scritti di Wagner e Friedrich Nietzsche). L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2001, pp. 72 (contiene: libretto; articoli e saggi di Rubens Tedeschi, Giorgio Pestelli, Francesco Bellotto). Il trovatore di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2001, pp. 94 (contiene: libretto; articoli e saggi di Alberto Arbasino, Pierluigi Petrobelli, Sergio Cofferati, Ugo Bedeschi). Tout Rossini, gli atti unici di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2001, pp. 140 (contiene: cinque libretti; saggi di Alessandro Baricco, Piero Mioli; diverse ricette del Maestro). Luciano Pavarotti. 40 anni di canto da Reggio al mondo, vol. rilegato + programma, a cura dell’Ufficio stampa del Teatro Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2001, pp. 90 (contiene: testi; articoli di Umberto Bonafini, Giorgio Gualerzi, Francesco Sanvitale). ESAURITO Maria Stuarda di Gaetano Donizetti, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2002, pp. 82 (contiene: saggi di Luca Zoppelli, Paolo Cecchi; estratti da La reina di Scozia di Federico Della Valle; Sonetto 94 di Shakespeare; fumetto di Casali e Michele Petrucci). L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2002, pp. 113 (contiene: libretto; saggi di Claudio Gallico, Francesco Degrada; un fumetto di Matteo Casali e Grazia Lobaccaro). Il processo di Alberto Colla (prima assoluta), a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2002, pp. 132 (contiene: libretto; note del Compositore; saggi di Quirino Principe, Giovanni Guanti; un fumetto di Casali e Giuseppe Camuncoli; citazioni e disegni di Kafka). Manon Lescaut di Giacomo Puccini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2002, pp. 123 (contiene: libretto; saggi di Jürgen Maehder, Ugo Bedeschi, Umberto Bonafini; estratti dal romanzo Manon Lescaut di Prévost; fumetto di Casali e Werther Dell’Edera). Tancredi di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp. 106 (contiene: libretto; saggi di Philip Gossett, Marco Beghelli; estratti da Le Rossiniane di Giuseppe Carpani; fumetto di Matteo Casali e Michele Petrucci). L’Olimpiade di Giovanni Battista Pergolesi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp. 106 (contiene: libretto; un saggio di Francesco Degrada; la Lettera I su Metastasio di Stendhal; fumetto di Giuseppe Zironi e Yoshiko Kubota). Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Viaghi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp. 112 (contiene: libretto; saggi di Paolo Cecchi, Gianandrea Gavazzeni, Ugo Bedeschi; estratti da romanzi e scritti di James Ellroy, Augusto Illuminati, Jim Garrison; fumetto di Giuseppe Zironi e Antonio Pepe). Mahler Chamber Orchestra. Claudio Abbado. Anna Larrson. Concerto con musiche di Mahler, Beethoven, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp. 82 (contiene: testi; saggi di Arrigo Quattrocchi, Lidia Bramani; un racconto di Achille Giovanni Cagna). ESAURITO Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp. 120 (contiene: libretto; un saggio di Marco Beghelli; estratti da Angelo Arioli, Le Isole Mirabili. Periplo arabo medievale; fumetto di Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli). The Rape of Lucretia di Benjamin Britten, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp. 122 (contiene: libretto bilingue; prefazione all’opera di Benjamin Britten; un saggio di Lidia Bramani; otto illustrazioni di Nicola Carrù). Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp. 154 (contiene: libretto; un saggio di Diego Bertocchi). Orlando di Georg Friedrich Händel, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp. 94 (contiene: libretto; un saggio di Lorenzo Bianconi; estratti dal Furioso di Ludovico Ariosto). Le comte Ory di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp. 108 (contiene: libretto; due saggi di Mario Marica; la ballata popolare Le comte Ory et les nonnes de Formoutiers). Gustav Mahler Jugendorchester. Claudio Abbado. Nona Sinfonia di Mahler. A cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp. 55 (contiene: saggi di Peter Franklin, Arrigo Quattrocchi; antologia di scritti di Claudio Abbado, Theodor W. Adorno, Alban Berg, Pierre Boulez, Luigi Rognoni, Arnold Schönberg, Ulrich Schreiber, Bruno Walter). ESAURITO Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 96 (contiene: libretto; saggi di Franco Bezza, Claudio Gallico; estratto dall’Odissea). Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny di Kurt Weill e Bertolt Brecht, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 207, tavole a colori (contiene: libretto bilingue; saggio di Hartmut Kahnt; contributi di Abbado, Adorno, Benjamin, Berio, Bossini, Brecht, Fabbri, Ferrari, Pestalozza, Sanguineti, Weill). ESAURITO Peter Grimes di Benjamin Britten, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 135 (contiene: libretto; scritti di Benjamin Britten, Peter Pears; saggi di Michele Girardi, Gilles Couderc, Edward Lockspeiser). Die Zaubeflöte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 207 (contiene: libretto bilingue; saggi di Lidia Bramani, Giorgio Agamben; contributi di Luigi Pestalozza, Pier Cesare Bori, Salvatore Natoli, Adriana Cavarero, Francesco Micheli, Fulvio Papi, Marco Beghelli). ESAURITO Orchestra Mozart. Claudio Abbado. Giu- liano Carmignola, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro 2007, pp. 116. La traviata di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi Vighi (contiene libretto, note di regia di Arturo Cirillo, un saggio di Roberto Scoccimarro, un racconto di Giuseppe Montesano), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2008, pp. 125. Valli, 2005, pp. 55 (contiene: saggio di Marco Beghelli; contributi di Francesca Arati, Giulia Bassi). e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 90 (contiene: libretto; note di regia di Irina Brook; saggi di Roberto Verti, Gilles de Van, Catherine Clément, Rodolfo Celletti, Bruno Barilli). West Side Story di Leonard Bernstein, 2 voll. a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 68 (libretto) e pp. 49 (saggi). The Flood di Stravinskij / L’Enfant et les Sortilèges di Ravel, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 81. Le nozze di Figaro / Così fan tutte / Don Giovanni di Mozart (“Le opere italiane di Lorenzo Da Ponte”), 2 voll. a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 189 (libretti) e pp. 88 (saggi). ESAURITO Filarmonica della Scala. Riccardo Chailly (contiene: un saggio di Oreste Bossini), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 55. Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di L’Alidoro di Leonardo Leo, a cura di Fabbi e Fidelio di Ludwig van Beethoven, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, un saggio di Esteban Buch, alcune lettere di Beethoven, un contributo di Hannah Arendt), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2008, pp. 136. Nabucco (Nabucodonosor) di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, 2008, pp. 100. Contiene: libretto; saggi contributi di Gianni Ruffin, Esteban Buch, Vittorio Sermonti, Ugo Bedeschi. Mahler Chamber Orchestra. Claudio Abbado. Margarita Höhenrieder Musiche di Mozart, Beethoven. A cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Valli, 2008, pp. 50. Contiene: saggi di Roberto Favaro, Luigi Magnani. Madama Butterfly di Giacomo Puccini, a cura di Fabbi e Vighi, 2009, pp. 131. Contiene: libretto; saggi contributi di Michele Dall’Ongaro, Marco Capra, Bruno Barilli, Ugo Bedeschi. regia di Graham Vick, saggi di Fabbri, Kerényi, Hilman), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 80. The Blue Planet, di Peter Greenaway e Saskia Boddeke, a cura di Fabbi e Vighi, 2009, pp. a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di regia di Graham Vick, saggi di Foletto, Bedeschi, contributi di Komarova, Musorgskij, Nori, Raffaini), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2007, pp. 80. A Midsummer Night’s Dream, di Benjamin Britten, a cura di Parmiggiani e Vighi, 2009, pp. Boris Godunov di Modest Musorgskij, Progetto Miracolo a Milano (prima assoluta) Totò il buonooo di Daniele Abbado. Miracolo a Milano di Giorgio Battistelli. Petrolio: Ken Saro-Wiwa poeta e martire di Boris Stetka, a cura di Fabbi e Vighi (contiene copioni e libretti, interviste a Daniele Abbado e Giorgio Battistelli, contributi di Yorgure, De Curtis, Nori, Gianolio), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2007, pp. 105. ESAURITO Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di regia di Giorgio Gallione, saggi di Ruffin, Petrobelli, Zoppelli documenti a cura di Conati), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 137. Contiene: libretto; saggi contributi di Peter Greenaway, Saskia Boddeke. 137. Contiene: libretto; saggi contributi di Benjamin Britten, Philipp Brett. La vera costanza, di Franz Joseph Haydn, a cura di Parmiggiani e Vighi, 2009, pp. 156. Contiene: libretto; saggi contributi di Elio De Capitani, Jessica Waldoff. Idomeneo, di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Parmiggiani e Vighi, 2009, pp. 132. Contiene: libretto; saggi contributi di Francesco Degrada, Davide Livermore, Jean Starobinski. Fondazione Consiglio di Amministrazione Presidente Graziano Delrio Vice Presidente Giuseppe Gherpelli Giorgio Allari Enrico Baraldi Maria Brini Annusca Campani Antonio Cioccolani Giampiero Grotti Elena Montecchi Clementina Santi Paola Silvi Collegio dei Revisori Carlo Reverberi presidente Gianni Boni Roberto Davoli Direttore artistico Daniele Abbado Consulente per la Danza e RED Fabrizio Grifasi Comitato di Indirizzo Marco Bindocci Giorgio Cucchi Sandra De Pietri Alessandro Di Nuzzo Silvia Grandi Alessandro Panizzi Loretta Piccinini Emanuela Vercalli Pasquale Versace Gigliola Zecchi Balsamo Fondazione Segreteria artistica e organizzativa Marina Basso Costanza Casula Lorella Govi coordinatore di produzione Segretario generale Daniela Spallanzani Amministrazione Paola Azzimondi Wilma Meglioli Elisabetta Miselli Personale G. Paolo Fontana capo settore Luisa Simonazzi Copia e protocollo Sabrina Burlamacchi Federica Mantovani Maria Carla Sassi Archivio Biblioteca Editoria Susi Davoli capo settore Liliana Cappuccino Stampa, comunicazione e promozione Mario Vighi capo ufficio stampa Paola Bagni Veronica Carobbi Roberto Fabbi Lorenzo Parmiggiani Francesca Severini Biglietteria Cinzia Trombini Luca Cagossi Usai Concorso “Premio Paolo Borciani” Mario Brunello direttore artistico Francesca Zini Servizi tecnici di palcoscenico Andrea Gabbi direttore tecnico Federico Bianchi Mauro Farina Brunella Spaggiari Tecnici elettricisti Luciano Togninelli Gianluca Antolini cabinista Marino Borghi Luca Cattini fonico Ousmane Diawara Fabio Festinese Guido Prampolini Roberto Predieri Tecnici macchinisti Giuseppe Botosso Gianluca Baroni Maurizio Bellezza Carmine Festa Massimo Foroni Gianluca Foscato Renzo Grasselli Alan Monney Luca Prandini Andrea Testa Sartoria Monica Salsi Servizi generali Maria Grazia Conforte Mariella Gerace Giuseppina Grillo Lorena Incerti Claudio Murgia Sergio Petretich Massimo Valentini Patrizia Zanon Soci fondatori originari istituzionali Soci fondatori Soci fondatori ordinari GRUPPO BPER Sostenitori Partner Annalisa Pellini Amici del Teatro Giuliana Allegri, Paola Benedetti Spaggiari, Enea Bergianti, Franco Boni, Gemma Siria Bottazzi, Gabriella Catellani Lusetti, Achille Corradini, Donata Davoli Barbieri, Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Umbra Manghi, Grande Ufficiale Gr. Croce llario Amhos Pagani, Comm. Donatella Tringale Moscato Grazia Maria di Mascalucia Pagani, Ivan Sacchetti, Paola Scaltriti, Mauro Severi, Corrado Spaggiari, Corrado Tirelli, Deanna Ferretti Veroni, Vando Veroni, Gigliola Zecchi Balsamo Cittadini del Teatro Gianni Borghi, Vanna Lisa Coli, Andrea Corradini, Ennio Ferrarini, Milva Fornaciari, Giovanni Fracasso, Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Franca Manenti Valli, Ramona Perrone, Viviana Sassi, Alberto Vaccari Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono realizzate con il contributo e la collaborazione della Fondazione Manodori