Metafore dello sviluppo. Indagine sulla relazione tra visioni ingenue e scientifiche dello sviluppo espresse attraverso testi di matricole universitarie. Sabrina Minozzi – Romeo Lucioni 1. Contesto teorico di riferimento Questo lavoro di ricerca ha come scopo quello di scoprire se esiste nella mente di giovani matricole universitarie un’immagine dello sviluppo, e dunque una sorta di teoria ingenua dell’evoluzione dell’individuo, espressa per mezzo di metafore e ricollegabile a teorie psicologiche dello sviluppo esistenti. Sono pertanto almeno tre i campi di interesse che si embricano in questa ricerca: le teorie ingenue di cui ci avvaliamo per conoscere la realtà fisica e sociale che ci circonda; le metafore nella nostra quotidiana costruzione narrativa del reale, cui concorrono anche le teorie ingenue; il graduale passaggio da una psicologia detta evolutiva ad una psicologia dello sviluppo, ridefinizione non solo nominale, ma più profondamente teoretica ed epistemologica. 1.1.Teorie ingenue Ogni individuo utilizza una forma di psicologia ingenua sviluppatasi sin dall’infanzia ed avente lo scopo di permetterci di comprendere e prevedere il comportamento altrui. Senza l’ausilio di questo strumento, a tutti gli effetti cognitivo, saremmo non solo in difficoltà, ma in determinate situazioni perfino in pericolo (Meini, 2001). Questo genere di riflessioni ha portato la psicologia evoluzionistica ad ipotizzare lo sviluppo di detto strumento mediante processi evolutivi di tipo darwiniano: la capacità di prevedere e comprendere le azioni dei "conspecifici" sarebbe, per il suo carattere adattivo, il risultato della selezione naturale. Inoltre tale funzione esplicativa e predittiva dell’altrui comportamento per l’autrice possiede le seguenti caratteristiche: - sembra essere universale: ogni essere umano produce spiegazioni intenzionali, aventi peraltro caratteristiche simili, dei comportamenti altrui; - si osservano nei bambini delle fasi precise di sviluppo di tale capacità esplicativa e predittiva; - lo sviluppo di questa psicologia ingenua sembra essere indipendente dall’insegnamento o dalle differenze individuali; - in una patologia ben precisa, la Sindrome di Asperger, si osserva l’assenza di questa modalità rappresentativa dell’altrui psicologia. Le quattro caratteristiche di cui sopra suggeriscono ai ricercatori che si occupano di psicologia evoluzionistica che l’ipotesi dell’esistenza di un “organo” deputato alla creazione di metarappresentazioni sia fondata. Il punto di partenza delle ricerche è l’idea che la natura abbia selezionato una struttura mentale adatta all’ambiente in cui l’uomo vive. Si può supporre che per i nostri antenati la 3 conoscenza delle intenzioni altrui fosse importante almeno quanto lo è oggi per ogni essere umano. Tale capacità ci permette, e si può ritenere permettesse anche in un lontano passato, di evitare i pericoli della vita comunitaria come di trarre vantaggi dalla stessa. In breve, la psicologia ingenua offrirebbe un vantaggio adattivo. Seguendo le argomentazioni di tipo evoluzionistico condotte da Meini (ibid.), si nota come vi siano due tipi di rappresentazioni delle intenzioni: quelle relative a se stessi, che vengono definite alla prima persona, e quelle relative agli altri, alla terza persona. Sebbene la conoscenza di se stessi e la rappresentazione dei propri stati mentali ed intenzioni sia certamente importante e presumibilmente di antica origine filogenetica, l’idea sostenuta in ambito evoluzionistico è che le metarappresentazioni degli stati mentali altrui siano più rilevanti. Se si assume come presupposto della selezione naturale la sopravvivenza e se si considera il valore adattivo dell’essere capaci di prevedere e comprendere le azioni altrui, si può verosimilmente ipotizzare che “la necessità di costruire rappresentazioni di secondo ordine insorga in primo luogo alla terza persona” (ibid., pagg. 126-127). Un passaggio interessante dell’argomentazione evoluzionistica dell’Autrice è che in una società primitiva potesse essere sufficiente una rappresentazione di primo ordine dei propri stati mentali, non dunque una metarappresentazione. L’ipotesi è che in una società poco complessa fossero sufficienti i dati propriocettivi e cinestesici per informare i nostri antenati sui loro stati corporei ed emotivi, senza dunque la necessità di una rappresentazione di ordine superiore, ossia senza la necessità di attribuire stati intenzionali a se stessi. Tali semplici rappresentazioni sono perciò ritenute sufficienti a garantire competenza sociale, ma non a garantire la sopravvivenza in una comunità in cui il comportamento altrui potrebbe rappresentare una minaccia. L’autrice ritiene dunque che il comportamentismo implicito nelle rappresentazioni di primo ordine alla prima persona, se consente di rispondere in modo adeguato agli stimoli sociali, non garantisce altresì dalle minacce insite nella convivenza. Solo conoscendo, o presumendo, le intenzioni altrui, l’uomo può vivere, e sopravvivere, in comunità. Per tali ragioni viene sostenuta l’ipotesi che i nostri antenati abbiano in primo luogo sviluppato una forma di ragionamento intenzionale alla terza persona, mantenendo comunque aperti i canali propriocettivi necessari per la consapevolezza delle proprie azioni e stati mentali. Solo in un secondo tempo, una volta garantita la sicurezza personale per mezzo dell’attribuzione di intenzioni agli altri, si può presumere si sia sviluppata la capacità di analizzare e rappresentare i propri stati mentali rendendo così più fluide ed efficaci le strategie interattive. Forse questa evoluzione potrebbe essere avvenuta in concomitanza con i cambiamenti, nell’ottica della complessità, avvenuti nelle società primitive. A poco a poco dette società divennero sempre più ampie e verosimilmente strutturate al punto da richiedere maggiore coscienza di sé e delle proprie intenzioni. Se dunque l’approccio evoluzionistico offre un’interpretazione interessante, ma non verificabile, a sostegno della necessità della psicologia ingenua per l’essere umano, potremmo ora chiederci come i teorici della cognizione ipotizzino funzioni detto strumento cognitivo. Un esempio di Teoria della mente elaborata al fine di descrivere e comprendere le strutture cognitive implicate nell’elaborazione di teorie ingenue è il modello di Leslie (1987, 1994) e Baron-Cohen (1994, 1995) caratterizzato da “un’architettura cognitiva composta da quattro sottoinsiemi, ognuno dei quali si occupa 4 dell’analisi di una specifica classe di rappresentazioni” (Meini, 2001, pag. 128). Essi si svilupperebbero con il tempo per giungere all’integrazione ed alla massima funzionalità testimoniata dal superamento della prova della falsa credenza (Meini, 2001; Battistelli, 1995; Liverta-Sempio e Marchetti 1997; Marraffa 2003). Detto strumento cognitivo modulare si svilupperebbe con il tempo secondo una sequenza abbastanza prevedibile di acquisizioni: - in un’età compresa tra gli 0 ed i 9 mesi i bambini iniziano a mettere in relazione lo sguardo ed i movimenti altrui con obiettivi e desideri (Battistelli, 1995); - verso i 12 mesi il bimbo si mostra in grado di comprendere il gesto di indicare un oggetto (pointing) mostrando così di essere capace di condividere la realtà esterna con l’altro (ibid.); - tra i 9 ed i 18 mesi compare la capacità di mettersi in relazione contemporaneamente con un agente ed un oggetto mediante l’attenzione condivisa (ibid.); - prima dei due anni il bambino mostra la capacità di comprendere l’agency, ossia la natura volontaria e causale del movimento degli esseri animati e l’effetto che esso può avere su altri oggetti. Sempre in questo periodo il bambino dimostra di essere in grado di attirare l’attenzione dell’altro (ibid.); - a due anni circa con la comparsa del gioco di finzione si osserva la capacità di scollegare una rappresentazione dal suo referente reale trasferendola su un oggetto diverso (Battistelli, 1995; Meini, 2001); - a 3 anni e mezzo il bambino mostra solitamente la capacità di comprendere la falsa percezione: la capacità di comprendere, e rappresentare, l’errore percettivo altrui (Battistelli, 1995); - a quattro anni il bambino mostra un comportamento che si può ritenere indice di capacità metarappresentativa della mente: la comprensione della falsa credenza (Battistelli, ibid; Liverta-Sempio e Marchetti, 1997; Meini, 2001). Il test della falsa credenza si può definire con Marraffa (2003) un vero “paradigma sperimentale” attorno al quale si è costituito il settore di ricerca di cui ci stiamo occupando: la psicologia del senso comune. La capacità di comprendere la falsa credenza è ritenuta da diversi studiosi (Battistelli, ibid.; Liverta-Sempio e Marchetti, ibid.; Meini, ibid.) un indicatore essenziale della capacità metarappresentativa, base della psicologia ingenua. Come sintetizzano Liverta-Sempio e Marchetti (ibid.) si potrebbero definire a livello squisitamente cognitivo tre tappe nel progressivo sviluppo della psicologia ingenua: a due anni il bambino è convinto che il motore unico dell’azione altrui siano i desideri; a tre anni accanto ai desideri il bambino inizia a contemplare il potere motivante delle credenze; infine a quattro anni accanto a credenze e desideri il bambino inizia a differenziare e sfumare maggiormente la comprensione del comportamento degli altri grazie alla comprensione e rappresentazione delle false credenze. Anche Gardner (1991) fa riferimento alle teorie ingenue ed al loro sviluppo. L’Autore descrive lo sviluppo concettuale nel bambino a partire da “funzionali teorie del mondo fisico e del mondo delle altre persone” (pag. 16) e definisce il bambino un discente ingenuo. Tra i sette ed i venti anni lo studente tradizionale si appropria gradualmente delle conoscenze codificate dalla società e trasmesse dalla scuola. Infine, senza che vi siano età precise, l’esperto o lo specialista 5 controlla i concetti e le logiche sottese ad una disciplina, tanto da essere in grado di “applicarle correttamente in situazioni nuove” (ibid.). Posto che non tutta la realtà possa essere compresa grazie alla scolarizzazione o per mezzo del padroneggiamento di conoscenze disciplinari specifiche, ciò che emerge da quanto detto dall’Autore è la presenza sin dall’infanzia di una tendenza a costruire le conoscenze relative al mondo fisico e sociale in modo “intuitivo”, ingenuo appunto. Come si è visto la psicologia si è occupata sia delle teorie ingenue che creiamo allo scopo di comprendere e prevedere il comportamento altrui (Battistelli, 1997; Meini, 2001), sia del modo in cui fin dall’infanzia l’individuo organizza e conosce ingenuamente la realtà fisica ed anche sociale. Quelli fin qui descritti non sono che una limitata parte degli studi compiuti, non va infatti dimenticato che anche gli psicologi sociali si sono occupati di psicologia ingenua dando origine ad un proficuo filone di ricerche noto come teoria dell’attribuzione causale che ha tratto grande ispirazione dal lavoro di Heider del 1958, Psicologia delle relazioni interpersonali. 1.2.Metafore Nella storia della scienza sono rinvenibili molte metafore ed infatti con Kuhn possiamo dire che ogni “mutamento di teoria è accompagnato da alcune importanti metafore” (1979, pag. 48). Esse possono assumere valore esegetico, come metafore sostitutive, od anche rappresentare “un ponte che viene offerto all’intuizione” (Gagliasso, 2002, pag. 8) assumendo in questo caso il valore costitutivo di cui parla Black (1954-1955). Le teorie psicologiche offrono molte metafore: il cognitivismo con il modello del computer, la psicoanalisi con un uso anche clinico di questo strumento, e le teorie sistemiche con le descrizioni “triangolari” delle dinamiche familiari, solo per fare alcuni esempi. Se dunque le metafore sono ampiamente utilizzate nel ragionamento scientifico, si assiste negli ultimi anni alla diffusione della prospettiva narrativa nella quale si osserva da parte di molti studiosi non solo l’adozione di un modello scientifico narrativo, ma anche lo sviluppo di molte ricerche sulle modalità narrative di ragionamento che comportano anche il ricorso alle metafore. Con la diffusione di detta prospettiva ad opera di Bruner (1962, 1986, 1990, 1991), Fleisher Feldman (1991) e Smorti (1994), solo per citarne alcuni, si osserva lo sviluppo di una ricca corrente di studi e ricerche centrate su quella forma di pensiero narrativo che pertiene “[…] il dominio ricco e disordinato dell’interazione umana “ (Bruner, 1991, p. 20). Il ragionamento comune è così inteso come narrativo e da autori come JohnsonLaird (1986), Carbonell e Minton (1991) e Lakoff e Johnson (1980) eminentemente metaforico. Secondo Johnson-Laird (ibid.) nella nostra mente non esisterebbe solo una forma di pensiero logico-formale, ma anche la capacità di costruire modelli esplicativi della realtà basati sulla plausibilità di conclusioni provvisorie. Carbonell e Minton (ibid.) ritengono che tale forma di pensiero sia prima di tutto analogica e ci consenta di comprendere aspetti della realtà sulla base di conoscenze ed esperienze pregresse. Si inserisce in questo contesto anche quanto affermato da Beck (1991) circa la capacità della metafora di consentire la comunicazione tra i due livelli di pensiero: 6 quello strutturale, logico e semantico e quello diffuso, analogico e simbolico. Le carenze del sistema logico nel rendere la qualità delle esperienze e degli stessi concetti, vengono così compensate mediante la metafora verbale che “può essere considerata come un dispositivo la cui funzione è di iniettare i risultati di un ragionamento analogico nel dominio semantico” arricchendo quest’ultimo di dati percettivi, non verbali ed affettivi (Beck, 1991, pag. 312). Lakoff e Johnson (1980) descrivono il rapporto con la realtà da parte dell’uomo utilizzando due estremi: oggettivismo v/s soggettivismo. Il primo possiamo identificarlo con l’empirismo scientifico ed il secondo con il romanticismo. Esiterebbe una terza possibilità a metà strada tra oggettivismo e soggettivismo, resa possibile dalla metafora intesa come mezzo che coniuga immaginazione e ragione e viene definita dagli Autori “esperienzialismo”. Gli Autori sostengono che le nostre categorie concettuali sono strutturate metaforicamente, “cioè […] la maggior parte dei concetti è parzialmente strutturata in termini di altri concetti” (ibid., pag. 77). La ricerca della verità va dunque relativizzata, ridimensionata ad aspirazioni meno assolute “dal momento che le categorie del nostro pensiero quotidiano sono ampiamente metaforiche e i nostri ragionamenti quotidiani richiedono implicazioni metaforiche e inferenze, la normale razionalità è quindi per sua stessa natura immaginativa” (ibid., pag. 236). Non esistono più verità assolute da cercare, né ragionamenti oggettivi, imparziali: resta la possibilità di accettare la parzialità e relatività della conoscenza basata su una razionalità immaginativa primariamente metaforica. Alcuni Autori hanno inoltre distinto le metafore in base alle loro caratteristiche. Lakoff e Johnson (1980) parlano di metafore di orientamento, che ci permettono di organizzare le esperienze utilizzando coordinate spaziali; ontologiche, che sono “modi di considerare eventi, necessità, attività, emozioni, idee ecc. come entità e sostanze” (ibid., pag. 46); ed infine le metafore strutturali hanno profonde radici culturali al punto da costituirsi come schemi interpretativi della realtà. La distinzione operata da Carbonell e Minton vede le allegorie distinte in metafore congelate, di uso comune, in metafore nuove capaci di evocare significati inusuali e richiedenti una vera interpretazione, ed infine estese che necessitano di un graduale aumento delle conoscenze e con esso di una proiezione dei significati più volte rielaborata e modificata. Quanto alla distinzione operata da Black (1954-1955) tra metafore sostitutive e costitutive si è già detto all’inizio di questa sezione. Sul versante psicolinguistico si può dire che le metafore vengono utilizzate almeno nei seguenti casi: quando abbiamo necessità argomentative, come mostra la tradizione della Retorica e come evidenzia Cacciari (1991, pag. 25); ogni qualvolta costruiamo storie (Lakoff, Johnson, ibid.; Bruner, 1991; Smorti, 1994) ed autobiografie (Lakoff, Johnson, ibid.; Bruner, 1990); fin da bambini sperimentiamo la realtà sociale dei ruoli e delle situazioni nell’infrangere i copioni e gli schemi con il “far finta che” (Gardner, 1991; Battistelli, 1995); nel ragionamento comune abbiamo bisogno di schemi concettuali inediti per comprendere il “nuovo” (Johnson-Laird, 1986) anche mediante “proiezioni analogiche” (Carbonell e Minton, 1991); 7 nel ragionamento scientifico quando dobbiamo esprimere ciò che ancora non sappiamo altrimenti codificare, e quando desideriamo favorire l’intuizione (Kuhn, 1979; Gagliasso, 2002); cerchiamo di avvicinarci ad una realtà complessa e multidimensionale senza i limiti ed i vincoli dell’acquisizione di prospettive oggettivistiche o soggettivistiche (Lakoff, Johnson, 1980); cerchiamo di capire gli altri (Lakoff, Johnson, ibid) e noi stessi raccontandoci storie (Lakoff, Johnson, ibid; Bruner, 1991); quando la complessità della realtà ci impone di utilizzare strumenti comunicativi-cogniti che come la metafora siano capaci di coniugare immaginazione e logica (Beck, 1991); comunichiamo nella quotidianità e cerchiamo di rendere i nostri discorsi vividi ed espressivi (Cacciari, 1991); dobbiamo esprimere emozioni (Cacciari, ibid.); in ambito educativo cerchiamo di facilitare lo sviluppo di un linguaggio metalinguistico e creativo (Cacciari, ibid..); ci esprimiamo in modo poetico (Cacciari, ibid.). 1.3.Psicologia dell’età evolutiva e psicologia dello sviluppo Dalle prime ricerche di G. Stanley Hall nel 1880 ad oggi, molto è cambiato nel modo di considerare l’infanzia e le trasformazioni che la caratterizzano. Si può certamente affermare che con l’opera di Jean Piaget (opere dal 1923 al 1978) iniziò un lavoro sistematico di analisi e sviluppo teoretico sulle strutture mentali del bambino e sulla loro evoluzione. Fu questo un periodo di grandi ed importanti scoperte sul ruolo attivo del bambino nel processo di evoluzione e sui tempi e modi in cui essa si verifica caratterizzato in massima parte, se si eccettua Erikson (1950, 1959, 1968), dall’attenzione posta dagli studiosi alla sola infanzia e fanciullezza come periodi evolutivi (Petter, 2001). Possiamo individuare almeno due metamodelli di riferimento in tale periodo definibile come di “psicologia dell’età evolutiva”: il metamodello meccanicistico e quello organismico (Miller, 1987). Essi sono intendibili come visioni dell’uomo, della natura, della vita, della società, del funzionamento della realtà nel suo complesso e determinano scelte e punti d’osservazione precisi dai quali partire per sviluppare possibili descrizioni e spiegazioni di una porzione di realtà. Operando all’interno di una precisa weltanshaung, una teoria dello sviluppo si pone quindi come obiettivo quello di comprendere i meccanismi, i processi e gli esiti evolutivi che si verificano nell’essere umano entro dimensioni precise, quali il linguaggio, l’emotività, la cognizione, la competenza relazionale ad esempio, in un periodo di tempo stabilito. “Quello che è critico per una teoria dello sviluppo è che si focalizzi sui cambiamenti nel tempo” (Miller, 1987, pag. 14). La dimensione del cambiamento è dunque centrale in una teoria dello sviluppo che però giungerà a definirlo e specificarlo in modo diverso proprio a seconda di quella sovrastruttura concettuale che abbiamo chiamato metamodello. La visione meccanicistica origina teorie atomistiche nelle quali l’uomo è scomposto in parti e funzioni, comporta la presenza di causalità lineare nei fenomeni osservati e di un’influenza ambientale predominante nella 8 determinazione del comportamento, e conseguentemente implica una piena prevedibilità degli esiti evolutivi. La prospettiva organismica invece adotta un’unità di analisi non scomponibile, l’organismo “le cui parti devono venire intese come componenti di una totalità integrata” (Ford, Lerner, 1992, pag. 11). In tale visione i fattori ambientali e quelli ereditari tendono ad essere compresenti nel quadro complessivo della causazione, riponendo però nelle caratteristiche genetico-ereditarie un ruolo causale di maggior rilievo e la prevedibilità in questo caso è affidata alla presenza di caratteristiche biologiche in grado di determinare in modo atteso l’evoluzione. Come osserva Bonino (2001) entrambi i metamodelli presuppongono in definitiva una visione unicausale, o implicante al massimo poche cause, e deterministica, basata sulla causalità lineare nella spiegazione del comportamento dell’uomo. Il meccanicismo si sofferma sulle cause antecedenti esterne e misurabili, mentre la visione organismica attesta la propria attenzione su caratteristiche e processi intrinseci e meno quantificabili (Miller, ibid.). Rispetto alla fondante dimensione del cambiamento i due metamodelli differiscono nel considerarlo di natura quantitativa - aumento di grado, quantità o frequenza - la visione meccanicistica e qualitativa - trasformazioni di genere o tipo - quella organismica. Il comportamentismo con il suo modello S → R offre un esempio di teoria fondata sulla prospettiva meccanicistica. Come nota Miller “chiedersi se il cambiamento sia quantitativo o qualitativo significa chiedersi se lo sviluppo sia o meno di tipo stadiale” (ibid., pag. 30, corsivo nostro), ed una teoria che ben esemplifica un approccio organismico, qualitativo e stadiale è quella di Jean Piaget (opere dal 1923 al 1978). Il costrutto di stadio, l’idea di meta universale, di progressione sequenziale e lineare entro un quadro biologicamente determinato e dunque in parte prevedibile, caratterizzano tale approccio teorico all’evoluzione nell’infanzia e fanciullezza. Sempre entro questo metamodello si colloca anche la teoria dello sviluppo psicosessuale di Sigmund Freud (opere dal 1895 al 1938), caratterizzata ancora da una concezione stadiale, inscritta nella biologia e vertente verso una meta comune a tutti gli individui. Con l’avvento di nuove impostazioni epistemologiche e nuovi metamodelli, si è diffusa a partire dagli anni ’80 del secolo scorso una teoria nota come ciclo della vita che considera lo sviluppo un percorso senza mai fine. Va ricordato però quanto accennato in precedenza riguardo al lavoro di Erik Erikson (1950, 1959, 1968) che si pone come ponte tra la psicologia dell’età evolutiva e quella dello sviluppo. Come nota Silvia Bonino “l’età evolutiva era valutata dal punto d’osservazione della tappa d’arrivo, vale a dire l’età adulta” (2001, pag. 43). Con la psicologia dello sviluppo l’età ha perso la sua funzione di demarcazione tra lo sviluppo ed il non sviluppo, tra l’acquisizione e la perdita. Essa rimane un elemento certamente importante nella punteggiatura di un’esistenza e nello stabilire a livello scientifico dei punti di riferimento, oggi però relativi e non più assoluti e soprattutto non limitati entro una porzione della vita. Come propongono Ford e Lerner (1992) si può parlare di un altro metamodello al quale la psicologia dello sviluppo fa riferimento: il contestualismo evolutivo basato su importanti assunzioni derivate dalla Teoria dei Sistemi. Il contestualismo evolutivo si pone come un superamento dei metamodelli meccanicistico ed organismico considerati troppo rigidi e deterministi al fine di descrive e comprendere adeguatamente lo sviluppo del sistema aperto uomo. 9 Tale visione è anche però un’integrazione dei due metamodelli poiché in determinati momenti evolutivi possono verificarsi cambiamenti tanto nella quantità quanto nella qualità. In questa prospettiva si afferma la non negazione delle “fasi evolutive” considerate momenti “naturali” dello sviluppo, ma non per questo determinanti e determinate. L’unità di analisi è lo “organismo attivo in un contesto attivo” (Ford e Lerner, ibid., pag. 38) per il quale i percorsi evolutivi sono diversi e non illimitati, poiché dipendenti dal particolare rapporto dinamico e circolare tra ambiente e uomo. La causalità è reciproca e vede uomo ed ambiente in interdipendenza. Il singolo fenomeno evolutivo, episodio o frammento di vita può ancora essere compreso in un’ottica lineare, ma la complessità della vita intera, specie poi se contestualizzata, può essere compresa solo mediante una visione multilivello e complessa. Da tutto ciò discende la non prevedibilità completa degli esiti evolutivi e dunque l’adozione di una prospettiva multicausale e probabilistica (Bonino, 2001). Accanto alla dimensione del cambiamento si pone anche il mantenimento della stabilità mediante retroazioni in grado di contenere trasformazioni eccessive. Se le fasi della vita possono essere associate a stati stazionari nei quali importanti trasformazioni si consolidano, entro un tale metamodello probabilistico non trova posto neppure il concetto di meta teleologica, bensì quello di meta probabile (Ford e Lerner, ibid.). Vi sono certamente segmenti di sequenze, ma la loro prevedibilità e certezza diviene perfino meno importante, oltre che non realizzabile. Questo modello non ha come finalità quella di stabilire delle schematizzazioni valide in ogni tempo e per ogni individuo, bensì “di identificare le condizioni organismiche e contestuali entro cui si manifesta un qualsiasi caso particolare di continuità e di discontinuità (Baltes, 1987; Ford, 1987; Lerner, 1984)” (Ford e Lerner, 1992, pag. 37). La prospettiva life-span può così ben armonizzarsi con detto metamodello, specie alla luce di quanto affermato dai due Autori: le possibilità evolutive accompagnano l’intero corso della vita” (ibid., pag. 70). I principi che caratterizzano tale approccio teorico vennero descritti da Baltes (1987) e Baltes, Reese, Lipsitt (1980): lo sviluppo è un processo che continua per tutta la vita; è determinato dall’interazione tra individuo e ambiente; è un processo radicato nel contesto storico e culturale; è multidimensionale e multidirezionale; è plastico; svilupparsi significa anche acquisire e perdere; per comprendere lo sviluppo è necessaria l’adozione di una prospettiva multidisciplinare. Questo modo di intendere l’uomo in continua crescita presuppone l’abbandono del costrutto di stadio e delle relative implicazioni di prevedibilità ed unidirezionalità. Sugarman (2001) propone di raccogliere gli stadi, le fasi, le crisi entro un nuovo costrutto: le trame narrative. La narrazione che normalmente l’uomo utilizza come strumento cognitivo capace di dare senso e coerenza alle esperienze permette la fusione del presente, passato e futuro, come accade con il costrutto stadiale, ma se nel secondo tutto sembra già definito, nella narrazione la 10 soggettività e la relatività si mostrano più adeguate a riflettere le dinamiche probabilistiche che caratterizzano il ciclo evolutivo individuale. Dal punto di vista epistemologico, l’adozione di una prospettiva life-span presuppone l’abbandono dell’oggettivismo che ha caratterizzato sia il metamodello meccanicistico che quello organismico, a favore di un soggettivismo non in grado di cogliere leggi universali, ma, forse, più idoneo a permetterci di comprendere un oggetto di studio unico e particolare come l’uomo. L’epistemologia della complessità ci ricorda quanto l’uomo sia inserito in un sistema di interdipendenze, quanto il ricercatore stesso faccia parte del sistema osservato, quanto il cambiamento dell’uomo avvenga non secondo linee evolutive prefissate, ma ridefinite di volta in volta da una rete di causazioni personali, storiche e culturali. L’immagine di scienza che ne deriva è quella di una ricerca di senso e coerenza nella consapevolezza della variabilità dello strumento e dell’oggetto di studio. Forse in questo calderone di grandi cambiamenti filosofici si può collocare il passaggio dalla psicologia dell’età evolutiva a quella dello sviluppo. Da una visione dell’uomo prevista, unicausale, teleologicamente orientata, unilineare, dotata di capacità progressiva costante e fluida, ad una intrinsecamente dinamica e complessa, priva di traguardi universali, determinata entro un campo causale in cui uomo e contesto sono legati bidirezionalmente, e relativa a variabili di volta in volta non prevedibili. 2. La ricerca 2.1 Obiettivi Partendo dall’evoluzione vissuta dalla psicologia dello sviluppo negli ultimi decenni dovuta alla diffusione di nuovi e differenti modelli teorico/esplicativi, obiettivo specifico è quello di analizzare qualitativamente le rappresentazioni “ingenue” dello sviluppo che emergono dalle metafore prodotte da matricole universitarie iscritte, in differenti anni e Facoltà, a corsi di Psicologia dello Sviluppo. Tale obiettivo si articola in differenti punti: individuare i soggetti che hanno scelto di rappresentare tali metafore sotto forma di “testi scritti” e confrontarli con il campione totale sulla base del genere, dell’età, della scuola di provenienza, del corso di laurea frequentato, dell’anno accademico in cui si è svolta la rilevazione e della sede dell’Ateneo; analizzare i contenuti delle metafore e delle immagini dello sviluppo prodotte in forma testuale categorizzandole secondo i modelli teorici di riferimento; verificare l’esistenza di relazioni tra le immagini dello sviluppo emerse ed il genere, l’età dei soggetti, la scuola di provenienza, il corso di laurea di appartenenza, l’anno accademico e la sede dell’Ateneo. I risultati sono stati analizzati anche qualitativamente al fine di comprendere le tendenze delle matricole rispetto a dimensioni epistemologiche della scienza e dello studio dello sviluppo in rapporto anche alla loro trasformazione nel tempo. 11 2.2. Metodologia 2.2.1. Rilevazione dei dati Il materiale raccolto riguarda le risposte dei soggetti alla consegna: qual’è la mia metafora preferita per rappresentare il concetto di “sviluppo umano”. La metafora può essere illustrata sia attraverso un disegno, accompagnato da una legenda, sia attraverso una frase o entrambi. Gli elaborati sono stati raccolti nel corso di diversi anni accademici durante la prima lezione del corso di Psicologia dello Sviluppo. 2.2.2. Campione generale e campione specifico La raccolta dati ha inizialmente riguardato un gruppo di 793 matricole in seguito selezionate in base alla tipologia di elaborato utilizzato, il testo. Di seguito una tabella riassume le diverse distribuzioni di frequenze, rispetto alle variabili contestuali e temporali, dei due campioni: ANNO CITTA’ FACOLTA’ Numero totale ‘92/’93 ‘93/’94 ‘94/’95 Palermo Torino Torino Genova Torino Torino Psicologia Sc. Educazione Psicologia Isef Psicologia Psicologia 84 59 243 88 98 221 793 ‘96/’97 ‘98/’99 Totale Numero produzioni testuali 10 42 96 59 50 175 432 Tab. 1. Distribuzioni di frequenze campione generale e specifico. 2.2.2. Elaborazioni effettuate Analisi quantitativa: Distribuzioni di frequenze del campione generale rispetto alle variabili: genere, età, facoltà, sede, anno accademico, scuole di provenienza e tipologia di elaborato. Distribuzioni di frequenze del campione specifico approfondito rispetto alle variabili: genere, età, facoltà, sede, anno accademico e scuole di provenienza. Analisi delle relazioni tra la variabile elaborato ed il genere, l’età, la facoltà e la sede, l’anno accademico e la scuola di provenienza (raggruppata in aree tematiche) utilizzando il Test Chi-quadrato ed il Monte Carlo. Distribuzioni di frequenze delle metafore rinvenute nel campione specifico approfondito. Distribuzioni di frequenze delle immagini dello sviluppo evocate dalle metafore del medesimo campione. Analisi delle relazioni tra la variabile immagine dello sviluppo ed il genere, l’età, la facoltà e la sede, l’anno accademico e la scuola di provenienza (raggruppata in aree tematiche) utilizzando il Test Chi-quadrato ed il Monte Carlo. 12 Analisi qualitativa L’analisi effettuata è qualitativa del contenuto e mi ha vista impegnata nell’individuazione di categorie che potessero raggruppare e descrivere il materiale raccolto secondo le seguenti dimensioni: Metafora: rappresentazione dello sviluppo emergente dagli elaborati. Questa categoria è stata creata ad hoc sulla base delle risposte fornite dai soggetti sperimentali. Immagine dello sviluppo: concezioni dello sviluppo evocate dalle metafore rispetto alle dimensioni della presenza di cambiamento, dell’immagine di cambiamento quantitativa e/o qualitativa e di un’idea stadiale e/o del ciclo della vita, o ancora non definibili in base ai criteri adottati perché riferite a modelli teorici diversi da quelli considerati, o esprimenti criticità verso il cambiamento o infine non comportanti alcuna idea di cambiamento. Le diverse modalità individuate si basano su alcune immagini dello sviluppo individuate in letteratura ed in questa sede considerate di riferimento. Nel compiere le analisi sull’immagine dello sviluppo evocata dalle metafore raccolte, ho utilizzato un livello di esame basato sul contenuto. I testi prodotti sono stati considerati in base al tipo di descrizione realizzata ed anche al lessico utilizzato. Ho cercato di individuare le idee emergenti associabili agli indicatori basandomi sulle parole scelte, sul loro significato in associazione alla presenza di particolari elementi linguistici (verbi, avverbi e preposizioni) e sul significato complessivo delle proposizioni (vedi allegato 1 per alcuni esempi di metafore e le relative analisi linguistiche e del contenuto sull’immagine evocata). Per ciascuna modalità sono stati definiti indicatori linguistici che hanno guidato l’assegnazione delle metafore alle diverse categorie. Esse sono sinteticamente descritte nel diagramma seguente. Immagini dello sviluppo. Il Cambiamento è definito come passaggio da uno stato a un altro, sulla base di criteri derivati dal confronto tra modelli meccanicistici, organismici e dinamici dello sviluppo . Cambiamento quantitativo- meccanicistico Cambiamento Qualitativo Cambiamento di quantità, frequenza o grado. Cambiamento di struttura e di organizzazione Causalità lineare Temporalità e trasformazione processuale Es. Ago della bilancia Stadiale Ciclico Meta Meta non prevedibile/universale prevedibile Più direzioni Es. Bruco→ farfalla Diff. indiv. Es. Viaggio Misto stadio-ciclo Ciclo ma con tappe prevedibili Es. Sole che sorge e tramonta Es. Sole che nasce e tramonta Composito Sia accrescimento quantitativo che trasformazione qualitativa. Es. Raccolta di beneficienza Immagini dello sviluppo non definibili sulla base dei criteri adottati Criticità o assenza di passaggio da uno Altri modelli culturali o disciplinari stato ad un altro Es. Zen Figura 1. Diagramma di rappresentazione delle categorie “Immagine dellobuio Sviluppo” Es. Vuoto e scuro; Es. È una pianta. 13 2.3. Risultati principali 2.3.1. Campione generale, scelta del mezzo rappresentativo Avendo concentrato l’analisi sul campione specifico approfondito, peraltro non dissimile nelle frequenze osservabili in relazione alle variabili contestuali e temporali, socio-anagrafiche e relative alla formazione pregressa da quello generale, riporterò solo i dati relativi al mezzo espressivo scelto dal campione totale. Riguardo alla tipologia di elaborato,il 54,5% dei soggetti ha scelto la modalità rappresentativa testuale, mentre il 26,2% il disegno ed il 19,3% il disegno accompagnato da testo. 2.3.2. Campione specifico approfondito I soggetti che hanno espresso le metafore dello sviluppo mediante testi mostrano le seguenti caratteristiche: Prevalentemente di sesso femminile e di età compresa tra i 19 ed i 21 anni (rispettivamente 81,5% e 82,3% del totale). In maggioranza provenienti dalla Facoltà di psicologia di Torino negli anni accademici ‘94/’95, ‘96/’97 e ‘98/’99 (con il 74,3%). La formazione precedente vede gli studenti del liceo scientifico presenti in modo consistente (30,2%), mentre i ragazzi del classico rispetto alla precedente scuola risultano dimezzati (14,5%). Si segnala anche una discreta presenza di giovani provenienti da Istituti tecnici e professionali (13%). 2.3.3. Relazioni tra la variabile elaborato e le variabili genere, età, facoltà, sede, anno accademico e scuola di provenienza Sembra che la scelta di un particolare mezzo espressivo dipenda dall’età (X² = 39,005 Sig. asint. = ,001 Sig. Monte Carlo = ,001 df = 12). Si potrebbe dire che la scelta dei ragazzi con età fino a 19 anni ricada non casualmente sull’uso del disegno come mezzo rappresentativo, mentre nei ragazzi con età compresa tra i 20 ed i 23 anni si nota un’inclinazione maggiore all’uso del testo. Infine dai 24 anni fino ad oltre i 25 si osserva più frequentemente la tendenza all’uso di forme miste testo/disegno. Una seconda relazione significativa (Chi – quadrato =79,336, Sig. asint. = ,000, Sig. Monte Carlo = ,000) emerge tra il tipo di elaborato e la facoltà e sede di appartenenza. In particolare, benché scelto in modo diffuso, il testo appare rappresentativo delle matricole della facoltà torinese di Scienze dell’Educazione ed anche di quelle dell’Isef di Genova, meno incisiva la scelta pur sempre preferenziale operata dai ragazzi iscritti a Psicologia nella città di Torino. Si osserva, invece, una maggiore inclinazione all’uso dei disegni presso la facoltà di Psicologia di Palermo ove si registra anche un interessante ricorso alla modalità espressiva mista. Una terza ed ultima relazione è stata individuata tra l’elaborato e l’anno accademico (X² = 177,866, Sig. Asint. = ,000; Sig. Monte Carlo = ,000). I dati mostrano come gli a.a. ‘92/’93 e ‘94/’95 siano stati caratterizzati da una prevalenza di disegni, gli a.a. ‘93/’94 e‘98/’99 si distinguono per un utilizzo piuttosto ampio di testi ed il testo disegno rimane una modalità 14 espressiva non troppo utilizzata, ma comunque, sembra, preferita nel corso dell’anno accademico ‘96/’97. 2.3.4. Distribuzione di frequenze delle metafore Tra le metafore più frequentemente utilizzate ritroviamo l’albero in crescita verso una meta (con il 13%), in crescita continua per tutta la sua vita (12%) ed il fiume (8,7%), mentre la scala, l’attività dello scalare e la metamorfosi bruco-farfalla si presentano con la medesima frequenza (il 7,6%). Le restanti rappresentazioni hanno una percentuale compresa tra il 5,4 ed il 2,7%. Si nota come l’albero sia la metafora più diffusa ed utilizzata anche in modi differenti, che nel mio lavoro hanno richiesto classificazioni diversificate. Distribuzione di frequenze delle immagini dello sviluppo Tra le immagini chiaramente classificabili secondo modelli diffusi nella psicologia dello sviluppo c’è prevalenza di cambiamento qualitativo, in particolare qualitativo stadiale (26,4%). Anche le idee cicliche (18,5%) mostrano una discreta frequenza e si rileva anche una buona presenza di modelli compositi, sia rispetto alla natura del cambiamento (qualitativo e quantitativo con il 18,3%) sia rispetto alla direzione ed alla prevedibilità (stadiale e ciclico con l’11,8%). Tale diffusione suggerisce un'apertura verso una complessità che sembrerebbe essere ancor meglio rappresentata dalle metafore che non rientrano nei modelli considerati ma si avvalgono di paradigmi e simbologie al di fuori della tradizione teorica psicologica evolutiva qui considerata come riferimento (16,9%). In linea con tale apertura appare infine significativa la scarsità di metafore che non prevedono cambiamento (3,2%). Relazioni tra la variabile immagine dello sviluppo e le variabili genere, età, facoltà, sede, anno accademico e scuola di provenienza La relazione tra la sede e l’immagine dello sviluppo (X2 pari a 29,682, con Sig. asint. = ,003 Sig. Monte Carlo = ,006 e df = 12) suggerita dai valori riportati va commisurata all’elevato valore dei gradi di libertà ed al fatto che l’84% dei soggetti del campione provengono dalla città di Torino. Tale mancanza di un’adeguata stratificazione del campione influisce sulla distribuzione e potrebbe avere un’influenza anche sulla natura della relazione. All’interno della dimensione del cambiamento Genova offre immagini meno strutturate e complesse di tipo quantitativo-meccanicistico, Palermo e Torino sembrano invece più inclini a rappresentazioni qualitative rispettivamente stadiali e miste la prima e cicliche la seconda che mostra anche un numero interessante di rappresentazioni composite. Al di fuori dei modelli di riferimento, Genova esprime maggiore criticità o assenza di cambiamento, mentre ancora Torino realizza immagini anche complesse poiché basate su contesti discplinari-culturali diversi dalla psicologia dello sviluppo. 15 La presenza di una relazione significativa (X2 = 62,589 Sig. asint. = ,000 Sig. Monte Carlo = ,000 df = 24) tra il periodo in cui gli elaborati sono stati raccolti ed il tipo di immagine dello sviluppo ci porta ad osservare come l’anno accademico ‘94/’95 offra un numero maggiore di rappresentazioni quantitative - meccanicistiche, ma anche, assieme al ‘92/’93 e ‘93/’94, immagini di tipo qualitativo stadiale. Questi ultimi due a.a. mostrano anche una significativa presenza di forme miste, nelle quali, va ricordato, è inclusa assieme a quella ciclica ancora la visione stadiale. La rappresentazione ciclica è più presente durante l’ultimo anno di rilevazione, e mostra in aggiunta una rappresentazione composita che caratterizza anche l’anno ‘96/’97. Ancora il ‘94/’95 ci offre un numero interessante di rappresentazioni in cui vi sia criticità od assenza di cambiamento e l’ultimo anno di rilevazioni oltre a distinguersi per la numerosità degli elaborati di tipo ciclico, si caratterizza anche per le immagini complesse e non riconducibili ai criteri di analisi adottati. La distribuzione del ‘93/‘94 sembra rappresentativa prevalentemente dell’Isef-Genova. Si osserva in generale uno spostamento verso la multidirezionalità ed imprevedibilità, testimoniata dall’aumento delle rappresentazioni cicliche, verso le forme composite qualitative e quantitative oltre che verso altri modelli culturali e disciplinari. Tra le rappresentazioni più “evolute” per complessità o per la presenza di direzionalità e prevedibilità dello sviluppo, sembrano comparire prima le immagini composite qualitative e quantitative, e in un secondo momento la visione ciclica e le immagini basate su altri modelli culturali. 2.4. Discussione 2.4.1. Aspetti quantitativi Il cuore della ricerca ha riguardato l’analisi delle immagini dello sviluppo espresse mediante testi. In ciascuno degli incroci realizzati relativi alla variabile “immagine dello sviluppo” si possono osservare, anche ove non vi sia una relazione certificata, tendenze che potrebbero costituire lo spunto per nuove ricerche. Le relazioni significative sembrano rimandare più ad aspetti temporali e contestuali (anno accademico, città, facoltà) che a variabili socio anagrafiche (genere, età) o relative alla formazione pregressa (scuola frequentata). In generale: Nella maggior parte dei casi si osserva la presenza della dimensione del cambiamento nelle metafore raccolte. Le frequenze delle immagini dello sviluppo mostrano un’idea quantitativameccanicistica poco presente, ma costante nel tempo. La direzione generale assunta dalle immagini dello sviluppo è quella qualitativa: il cambiamento inteso come ristrutturazione è ancora nella maggior parte dei casi descritto come stadiale, ma tale concezione nel tempo mostra un andamento decrescente. Accanto ad essa si nota una presenza interessante di immagini cicliche che invece aumentano la loro 16 presenza con il passare degli anni, ed anche miste stadiali e cicliche per le quali si osserva lo stesso andamento decrescente dell’idea stadiale. Si osserva anche un aumento delle rappresentazioni non classificabili utilizzando gli strumenti di cui mi sono dotata perché esulanti dal contesto disciplinare di riferimento. La multisciplinarità, la permeabilità dei confini concettuali presenti in questi ultimi elaborati assieme alla diminuzione nel tempo di rappresentazioni stadiali, sebbene siano ancora la maggioranza, e la parallela crescente diffusione di idee cicliche, tracciano in modo interessante e significativo una linea di tendenza verso una visione sempre più orientata alla complessità. Rispetto al contesto universitario: I ragazzi iscritti all’Isef sembrano mostrare, pur non potendo parlare di relazione, una tendenza a rappresentare lo sviluppo in modo più rigido e meccanico ed anche critico e privo della dimensione del cambiamento. Le matricole di Scienze dell’educazione producono molte immagini stadiali e composite (quantitative e qualitative). I futuri psicologi sembrano invece distinguersi per il ricorso ad immagini cicliche e miste stadiali e cicliche. Si potrebbe supporre, pur non avendo una letteratura a sostegno di tale riflessione, che vi possano essere delle aspettative in relazione al corso di studi affrontato e che esse si riflettano nell’immagine poi metaforizzata. Rispetto alla formazione pregressa: Si nota la tendenza, ma non vi è relazione, dei ragazzi con formazione umanistica-artistica a produrre testi correlati a modelli culturali e disciplinari differenti da quelli scelti in questa sede, ed anche testi che esprimono criticità od assenza di cambiamento. I ragazzi con alle spalle un percorso di tipo tecnico scientifico sembrano tendere verso le immagini quantitative-meccanicistiche, cosa che intuitivamente collimerebbe con la scuola frequentata, ma anche cicliche e miste stadiali cicliche. Infine le materie psico-pedagogiche sono associate ad una tendenza alla rappresentazione dello sviluppo di tipo stadiale e composita quantitativaqualitativa. I ragazzi delle scuole con materie psico-pedagogiche si può supporre che abbiano studiato psicologia dello sviluppo e si potrebbe solo congetturare dai dati a disposizione, che nelle loro scuole di provenienza fosse ancora piuttosto diffuso un modello stadiale. Ancora potrebbe, solo sul piano intuitivo, stupire la presenza di varie rappresentazioni cicliche e miste nei ragazzi con una formazione tecnica scientifica. Rispetto alla sede: 17 Si nota l’associazione frequente tra Genova (Isef) e le rappresentazioni quantitative-meccanicistiche, meno evolute, ed anche non contemplanti cambiamento oppure caratterizzate da criticità. Potrebbe essere auspicabile un maggior approfondimento in merito alle differenze Nord-Sud. Rispetto all’andamento nel tempo: I ragazzi iscritti nel primo anno di rilevazione, ‘92/’93, sembrano mostrare preferenze per immagini stadiali ed anche miste stadiali e cicliche. Durante l’ultima rilevazione, ‘98/’99, sembrano prevalenti le immagini cicliche ed anche non riconducibili ad alcuno dei modelli considerati. Sembrerebbe quasi che quest’ultimo modello teorico fosse già presente durante le prime rilevazioni e si presentasse miscelato ad idee stadiali, ancora forse piuttosto presenti a livello curricolare, mentre alla fine degli anni ’90 esso potrebbe dirsi più presente e caratterizzato. Rispetto all’età media: I ragazzi con meno di 20 anni mostrerebbero una leggera preferenza verso la rappresentazione di tipo ciclico. Si nota anche un’inclinazione verso immagini stadiali da parte dei ragazzi con più di 20 anni. I ragazzi più grandi dovrebbero essere entrati in contatto con il modello stadiale forse proprio in un periodo in cui era molto diffuso, mentre quelli più giovani, meno di 20 anni, potrebbero aver frequentato scuole nelle quali il costrutto di ciclo era parte più integrante della programmazione didattica. Quanto fin qui discusso riguarda tendenze e solo in due casi (anno * immagine dello sviluppo e sede * immagine dello sviluppo) relazioni effettive. Sarebbe utile condurre ricerche ulteriori allo scopo di verificare in modo più approfondito, anche mediante modelli descrittivi coinvolgenti più di due variabili alla volta, le relazioni individuate e le tendenze evidenziate. 2.4.2. Aspetti qualitativi L’interrogativo principale che mi sono posta riguarda la direzione generale assunta dalle immagini dello sviluppo. Come si è visto nella ricapitolazione dei dati quantitativi, è possibile individuare una tendenza che va nella direzione dello sviluppo inteso qualitativamente ed in quella della complessità. Una categoria - “altri modelli” - che si è rivelata molto interessante riguarda quegli elaborati nei quali sono individuabili cambiamenti qualitativi non esplicitamente riconducibili ai modelli di riferimento. Come si può vedere nell’Esempio n° 6 (allegato 1) gli strumenti di analisi linguistica di cui mi sono dotata ed il contesto teorico utilizzato come riferimento, non si sono rivelati sufficienti al contenimento dell’articolazione dei significati espressi. Il vero problema con questo testo è che vi sono elementi molto diversi: un 18 uso delle parole che a tratti non indica cambiamenti, mentre a tratti lo indica. La presenza di concetti come il travaglio che suggerirebbero un’idea eriksoniana di evoluzione nella crisi, ed anche la circolarità. Si nota anche la caratterizzazione narrativa del testo, a tratti autoriferito, che potrebbe suggerire un indirizzo di ricerca centrato sulle narrazioni autobiografiche. Entro la categoria “criticità o assenza di cambiamento” si collocano due differenti generi di produzioni. Criticità: vi si ritrovano descrizioni prima di tutto introspettive e riferite alle personali difficoltà nel definire il concetto di sviluppo od anche nel viverlo. Come si può vedere nell’esempio n° 7 (allegato 1) coesistono un tentativo di definizione dello sviluppo nel senso dell’opacità, accanto alla dichiarazione della difficoltà sperimentata rispetto anche alla sola definizione. Ciò che appare chiaro, come anche nell’esempio precedente, è la potenzialità proiettiva della consegna. Assenza di cambiamento: rinvenibile nei testi nei quali sia il contenuto che la struttura delle frasi suggeriscono stasi. L’esempio n° 8 (allegato 1) mostra la cristallizzazione della metafora che appare ferma nel tempo presente. Sono state rinvenute anche immagini “pure”, riconducibili cioè in modo abbastanza chiaro alle teorie di riferimento. Nella visione meccanicistica si inseriscono idee come quelle riportate nell’esempio n° 1 (allegato 1). In quella organismica immagini come quella dell’esempio n° 2 (ibid.). Infine nella visione dinamica si può collocare l’esempio n° 3 (ibid.). Mostra invece la compresenza di idee quantitative e qualitative l’esempio n° 5 (ibid.). Ancora vi è coesistenza di concetti stadiali e ciclici nell’esempio n° 4 (ibid.). L’esistenza di immagini “pure”, ma anche miste e composite, o dotate di estrema articolazione e complessità data anche dal riferimento a contesti disciplinari qui non utilizzati come riferimento ed ancora immagini esprimenti criticità soggettiva nonché mancanza di cambiamento, offrono un panorama variegato e ricco di spunti di riflessione. Le indicazioni che si possono trarre da questa ricerca in merito a futuri possibili approfondimenti suggerirebbero l’opportunità di: un’analisi basata sui simboli oltre che sul linguaggio utilizzato; una riflessione e valorizzazione del potenziale proiettivo della consegna; un possibile spunto per ricerche narrative sull’autobiografia; una riflessione sulla presenza e diffusione di metafore “congelate” e “nuove “ (Carbonell e Minton, 1991), paragonabili alle forme pure ed a quelle non precisamente riconducibili ai modelli di riferimento; un’ulteriore approfondimento basato sulla distinzione operata da Gardner (1991) tra discente ingenuo e studente tradizionale per mezzo di un ampliamento del ventaglio di teorie di riferimento allo scopo di distinguere con maggiore precisione la “ingenuità” delle immagini rispetto alla loro, eventuale, derivazione da modelli culturali appresi a scuola. 19 2.5. Conclusione I dati ottenuti da questa ricerca e le riflessioni originate anche dalle limitazioni imposte dalle scelte compiute, mostrano quanto potente sia lo strumento della metafora. Essa si accompagna al progresso scientifico, ma anche al ragionamento comune, al senso comune, alle nostre teorie ingenue. Ogni concetto nel ragionamento comune viene compreso, secondo Carbonell e Minton (1991), attraverso l’inferenza metaforica. Il concetto di “sviluppo” non credo sfugga a questa modalità di elaborazione. Ciò che otteniamo da questo lavoro sono molte domande aperte, molte possibili esplorazioni da compiere affinando gli strumenti, ma anche, personalmente, lo stupore per la creatività con cui l’uomo riesce a rappresentare e rappresentarsi. 20 Bibliografia - BALTES P. B. (1987), «Theoretical proposition of life-span developmental psychology», Developmental Psychology, vol. 23, pagg. 611 – 626. - BALTES P. B., REESE H. W., LIPSITT L. P. 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