LE ACQUE CONTINENTALI E LE ACQUE MARINE LA LEZIONE IL CICLO DELL'ACQUA L’idrosfera occupa circa i due terzi della superficie terrestre e rappresenta un sistema molto complesso costituito dalle grandi masse d’acqua come mari e oceani ma anche da piccoli e piccolissimi bacini come laghi, fiumi, falde acquifere e ghiacciai. Tutti gli esseri viventi dipendono dall’acqua; già le prime forme di vita comparvero negli oceani circa 3,5 miliardi di anni fa. L’idrosfera opera inoltre continui scambi con l’atmosfera, la geosfera e la biosfera. La lezione, divisa in due parti, illustrerà l’idrosfera continentale e l’idrosfera marina. Il ciclo globale dell’acqua rappresenta il punto di partenza di questa lezione. La parola ciclo rimanda ad un insieme di processi che si susseguono l’un l’altro con una determinata cadenza temporale, ma non solo; il suo significato rappresenta un punto di contatto importante, quello fra le acque continentali e le acque marine. Ai fattori naturali che condizionano il ciclo dell’acqua va aggiunto il contributo dato dall’uomo, che nella stragrande maggioranza dei casi è negativo; esso entra come protagonista nel ciclo dell’acqua attraverso l’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi, rifiuti industriali etc. Le variazioni di risorse di acqua potabile, che possono dipendere anche da cause naturali (scarse precipitazioni), sono quasi sistematicamente imputabili a cause antropiche. Le variazioni, in questo secondo caso, diventano vitali ed irreversibili e sono da ricondurre principalmente ad inquinamento, estrazione eccessiva mediante pozzi, urbanizzazione e deforestazione etc. L’uomo in questo modo sta influenzando pesantemente il ciclo dell’acqua giorno dopo giorno. Basti pensare che studi recenti stanno dimostrando come un ciclo dell'acqua locale sia condizionato dal modo in cui vengono progettate e realizzate le nostre città. La presenza eccessiva dell’asfalto, ad esempio, impedisce l’infiltrazione di acqua nel terreno favorendo il ruscellamento (fig.1). fig.1 Variazione del ciclo dell’acqua in un’area naturale e urbanizzata Grandi volumi di acque piovane arrivano al suolo e rapidamente scorrono verso i mari e gli oceani portando con se tutta una serie di materiali ed elementi dannosi per l’ambiente e la salute che raccolgono lungo il loro impetuoso cammino. Il concetto di inquinamento limitato ad un lago o ad un fiume va riconsiderato visto che questi andranno a far parte di un ciclo che condurrà gli elementi tossici in contatto con il resto dell’idrosfera, con l’atmosfera e le terre emerse. Le sostanze inquinanti in tal modo entrano in contato diretto con gli ecosistemi acquatici e terrestri (UNEP e UN Habitat 2010), compromettendoli in gran parte dei casi in maniera irreversibile, come sfortunatamente sta già accadendo in zone come i ghiacciai di alta montagna e zone polari. La comunità scientifica si sta impegnando in maniera particolare alla tutela dell’acqua. Diverse normative sono state emanate fra cui la Direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE che ha come scopo il miglioramento dello stato delle acque attraverso la prevenzione e il risanamento, e l’utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili LE ACQUE DOLCI: IL CICLO DELL’ACQUA E LE ACQUE FOSSILI Il ciclo dell’acqua insieme al ciclo del carbonio, dell’azoto, del fosforo e dello zolfo rappresenta uno dei processi fondamentali che avviene sul nostro Pianeta. Il ciclo dell’acqua chiamato anche ciclo idrologico è un processo di trasferimento in cui l’acqua, come già detto, subisce diversi passaggi di stato (liquido-solido e aeriforme). Il sole è il motore di questo ciclo e fornisce l’energia necessaria per l’evaporazione dell’acqua dagli oceani e in minor misura dai continenti. Tale ciclo è in continuo movimento e coinvolge atmosfera, geosfera e biosfera (fig. 2). fig.2 Il ciclo dell’acqua Il vapore acqueo che si forma in seguito ad evaporazione, viene successivamente trasportato dal vento, si raffredda e condensa, dando inizio al processo di formazione delle nuvole, che in determinate condizioni di pressione atmosferica daranno origine alle precipitazioni. L’acqua tornerà in mare o al suolo sotto forma di pioggia, neve o grandine. Nel primo caso il ciclo avrà termine e ne potrà iniziare un altro, nel secondo invece si avvierà un percorso più articolato. L’acqua giunta sulle terre emerse, in parte scorrerà in superficie (ruscellamento o deflusso superficiale) ed in parte filtrerà nel terreno giungendo in profondità (percolazione o deflusso profondo). L’acqua che scorre in superficie convoglierà nei corsi d’acqua già esistenti e permanenti, costituiti da piccoli torrenti, fiumi o laghi, o ne andrà a costituire nuovi stagionali per poi tornare lentamente in mare. Una porzione di precipitazioni evaporerà direttamente mentre una parte sarà assorbita dalle radici delle piante per poi essere rilasciata in atmosfera attraverso il fenomeno dell’evapotraspirazione. L’acqua che si infiltrerà nel terreno andrà a creare le riserve di questa preziosa risorsa; tali giacimenti sotterranei prendono il nome di falde idriche (acquifere e artesiane). Il ciclo dell’acqua, considerato rinnovabile e inesauribile, in determinate condizioni può durare anche molto tempo come nel caso delle falde acquifere o dei ghiacciai che hanno lunghi periodi di immobilità al suolo prima di rendere l’acqua di nuovo disponibile alla fase aerea. Un esempio è rappresentato da alcune falde idriche che possono rimanere del tutto isolate rispetto al ciclo dell’acqua a causa di movimenti tettonici così da andare a costituire quelle che vengono definite le acque fossili. Nell’area di Mena fra Arabia Saudita, Libia e Algeria vi è una vasta riserva di acqua fossile (il 98,5% falde fossili nel mondo), sfruttate soprattutto per l’agricoltura. L’acqua in questo caso è considerata una risorsa esauribile. IL BILANCIO IDROLOGICO Il bilancio idrologico globale è un sistema in equilibrio perfetto fra la quantità di acqua che precipita e quella che ritorna in atmosfera. La formula semplificata del bilancio idrologico in un determinato bacino riporta che la quantità di precipitazioni P è uguale alla somma fra l’evapotraspirazione Ev (dagli specchi di acqua, dal terreno, dalla copertura vegetale), il ruscellamento R e l’infiltrazione I. Formula semplificata del bilancio idrologico: P = Ev+ R + I Tale bilancio se considerato a scala regionale o locale, ad esempio in un bacino, può essere invece in eccesso o in difetto a seconda della quantità di precipitazioni. Il bilancio idrologico varia nelle diverse zone del Pianeta Terra e ciò è dovuto alle differenti condizioni climatiche: le zone equatoriali sono caratterizzate da abbondanti precipitazioni e minore evaporazione, mentre le zone desertiche al contrario sono caratterizzate da scarse precipitazioni e forti evaporazioni. L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE SUPERFICIALI: FIUMI E TORRENTI L’uomo dipende fortemente dai corsi d’acqua e li utilizza per diversi scopi come ad esempio il trasporto, l’irrigazione e la produzione di energia. Il fiume è definito come un corso d’acqua perenne, le cui acque derivano da sorgenti, piogge, scioglimento delle nevi e dei ghiacci. Esso come visto nel ciclo idrologico raccoglie le acque che giungono al suolo, e che non vengono assorbite dal terreno o dalle piante e le riporta verso il mare attraverso un fenomeno definito ruscellamento (v.fig.2). Il ruscellamento inizia con una prima fase in cui le precipitazioni, cadono al suolo ricoprendolo in maniera uniforme. In seguito l’acqua viene incanalata attraverso i solchi naturali presenti nel terreno e convogliata dapprima in piccoli ruscelli e successivamente nei fiumi. I fiumi porteranno l’acqua verso il mare attraverso la forza di gravità. Tale viaggio dipenderà dalla velocità delle acque, ovvero da parametri quali il gradiente, le caratteristiche geometriche dell’alveo e la portata. Il gradiente è definito come il rapporto fra il dislivello esistente fra la sorgente e la foce del fiume, e la lunghezza del suo percorso (fig.3). fig.3 Il profilo longitudinale e trasversale di un fiume dalla sorgente alla foce in cui si evidenzia la variazione del gradiente Il gradiente può variare molto anche per lo stesso fiume e pertanto si preferisce suddividerne il corso in tre parti (fig.3). Il corso superiore corrisponde alla zona compresa fra sorgente e la prima parte della pianura ed è caratterizzato da una pendenza elevata; nel corso superiore prevale un’azione di tipo erosivo. Il corso medio è costituito dalla pianura ed è caratterizzato da un gradiente meno elevato; il fiume assume un profilo trasversale più ampio e predomina l’erosione ma in questo caso di tipo laterale. Il corso inferiore è costituito dalla zona della foce in cui il gradiente è molto basso; in questo tratto l’azione erosiva è bassa o nulla e prevale la sedimentazione. Le caratteristiche geometriche dell’alveo sono rappresentate principalmente dalle dimensioni e dalla forma. Lo scorrimento è favorito da un alveo con dimensioni maggiori e, a parità di dimensioni, che possiede una forma semicircolare (fig.3). La portata è definita dalla quantità di acqua che passa in una sezione trasversale del corso d’acqua nell’unità di tempo; la portata viene calcolata in un punto preciso del fiume ove è possibile conoscere le caratteristiche geometriche della sezione. E’ il parametro più studiato dagli idrogeologi per capire l’evoluzione di un corso d’acqua. Ad esempio, il Nilo e il Rio delle Amazzoni sono due fiumi simili come lunghezza (rispettivamente 6853 km e 6992 km), ma ben diversi come portata media (rispettivamente 2830 m3/s e 175000 m3/s). L’area in cui un corso d’acqua scorre è denominata bacino idrografico o imbrifero e rappresenta la porzione di territorio entro la quale tutte le acque, originate da piogge o da sorgenti, sono convogliate in sistemi fluviali (fig.4). fig.4 Bacino idrografico e linea spartiaccque Il bacino idrografico racchiude al suo interno il sistema fluviale costituito dal corso d’acqua principale e da corsi secondari; esso è delimitato dalla linea spartiacque, che separa il bacino idrografico dagli altri adiacenti (fig.4). Il fiume svolge un azione modellante sul paesaggio, disegnando valli strette con profilo a “V” nelle zone montane oppure valli ampie con profilo piatto nelle pianure; può creare, dove l’energia del rilievo lo permette, piccoli e grandi salti come le rapide e le cascate, o ancora, scavare profonde incisioni come, le gole e le forre. Tale processo si svolge in maniera diversa a seconda delle caratteristiche geologiche, geomorfologiche e topografiche della regione attraversata. Una morfologia tipica delle valli fluviali sono i meandri (fig.5). fig.5 I meandri del fiume Civil’ affluente del Volga A differenza di un corso fluviale che scorre in un tratto vallivo caratterizzato da terreni poco erodibili, un corso fluviale che scorre su una piana alluvionale è in grado di modificare liberamente il proprio percorso. I meandri appaiono come sinuosità disposte in successione lungo il corso medio o inferiore del fiume. La loro formazione avviene in un tratto in cui l’azione del fiume è duplice: di tipo erosivo sul lato concavo e di tipo deposizionale sul lato convesso. L’asse del fiume inizialmente rettilinea in tal modo passa ad essere perturbata e a deviare assumendo un aspetto sinuoso. L’erosione laterale e la forza centrifuga concorrono nell’accelerare tale processo con la formazione di anse che via via divengono più pronunciate. Nel tempo i meandri tendono ad allargarsi e a migrare quasi fino a toccarsi nelle loro parti più pronunciate; via via il setto che li separa tende a divenire sempre più esiguo, fino a che si verifica il così detto salto del meandro, ossia il ritorno in comunicazione diretta tra due meandri (fig. 6). fig.6 Meandri L’ansa abbandonata rimane in tal modo isolata dal corso del fiume formando uno stagno, che nel tempo evolverà in una palude. Ancor oggi non è ben chiaro il complesso processo di formazione dei meandri; gli studiosi hanno evidenziato la presenza di alcuni parametri come possibili cause: oscillazione trasversale del flusso, erosione accelerata su una sponda, presenza di un ostacolo, variazione della profondità dell’alveo. L’IDROSFERA CONTINENTALE - I LAGHI Un lago rappresenta il riempimento di una depressione della superficie terrestre da parte di acque dolci o salmastre, ed è caratterizzato da forma, ampiezza e profondità molto variabili. I laghi sono legati ai corsi d’acqua e generalmente mostrano degli immissari che ne convogliano le acque all’interno ed emissari, che al contrario, drenano le loro acque verso l’esterno. Nel caso in cui manchi l’immissario lago sarà alimentato esclusivamente dalle piogge o da acque sotterranee, mentre nel caso in cui manchi l’emissario l’acqua sarà perduta attraverso l’evaporazione o infiltrazioni sotterranee. La vita di un lago è contraddistinta da un ciclo e come tale esso è considerato effimero. Un lago che ad esempio non abbia emissari sarà destinato con il tempo ad esaurirsi col prevalere dell’evaporazione, al contrario un lago che abbia degli immissari sarà destinato ad essere riempito dai sedimenti fluviali e quindi interrato. Un altro esempio di ciclo di vita è rappresentato dai un laghi alpini in cui prevale la crescita e l’insediamento della vegetazione che lo porteranno a esaurirsi trasformandolo in una torbiera. I laghi sono suddivisi in base alla loro origine e in questa lezione sono trattati le principali tiologie. I laghi di escavazione glaciale hanno origine dall’azione del ghiacciaio e sono divisi in laghi di circo e glaciali. I primi, rappresentati dai laghi alpini, occupano le depressioni scavate dal ghiacciaio nelle porzioni superiori, come nel caso di laghi formatisi in epoche glaciali dell’Era quaternaria. I laghi vallivi sono invece dovuti dalla escavazione profonda (esarazione) da parte del ghiacciaio nella sua porzione più bassa, oggi non più visibile. I laghi Maggiore, di Como e di Garda (fig.7) rappresentano alcuni esempi di laghi glaciali vallivi. fig.7 Il lago di Garda di origine glaciale I laghi di sbarramento si originano come dice il termine stesso ad opera di uno sbarramento naturale di un tratto di valle, a monte del quale si raccolgono le acque. Lo sbarramento può avvenire a seguito di una frana, come nel caso del lago di Alleghe (Belluno), o di un deposito morenico. I laghi craterici occupano le depressioni di vulcani spenti oppure le vaste depressioni crateriche formatesi in seguito ad un’attività di tipo esplosivo. I laghi di Bolsena, Albano e Nemi (fig.8) ne rappresentano alcuni esempi. fig.8 Il lago di Nemi di origine vulcanica I laghi carsici si trovano all’interno di depressioni originate in seguito all’azione chimica svolta dalle acque meteoriche sulle rocce calcaree. Queste depressioni presentano un fondo impermeabile costituito da “terre rosse”. Alcuni esempi sono il lago di Doberdò (Venezia Giulia), del Matese (Isernia), di Canterno (Frosinone). I laghi di origine tettonica occupano depressioni originate in seguito ad abbassamenti di porzioni di crosta terrestre per movimenti tettonici. Ne sono un esempio i laghi della Great Rift Valley in Africa orientale che mostrano un allineamento lungo una grande fossa tettonica. I laghi relitti, generalmente caratterizzati da acque salate, sono acque rimaste isolate a seguito di movimenti tettonici o da abbassamento di del livello del mare. Ne sono un esempio il lago d’Aral e il Mar Caspio. I laghi costieri si formano per accumulo verso mare di cordoni litoranei di sabbia; i cordoni in alcuni casi provocano uno sbarramento alle acque provenienti dalla terra emersa, come per i laghi delle Landes (Francia), in altri isolano una insenatura marina, come per i laghi di Lesina e Varano (Foggia), (fig.9). fig.9 Il Lago di Varano di origine costiera L’IDROSFERA CONTINENTALE - I GHIACCIAI L’acqua che sotto forma di neve precipita a quote elevate o a latitudini elevate non è in grado né di scorrere né di infiltrarsi nel terreno e passando allo stato solido va a costituire i ghiacciai. La neve si trasforma in ghiaccio attraverso un processo lento e graduale. Inizialmente si formano i fiocchi di neve, leggeri e ricchi di aria, che dopo essersi depositati si trasformano in neve granulare, meno densa. Dopo circa uno o due anni, in condizioni che ne permettono la conservazione, la neve si compatta originando il firn denso e stabile che accumulandosi fonde e ricristallizza in forme compatte; col passare degli anni si arriva alla formazione del ghiaccio compatto. Il limite delle nevi persistenti è la quota al disopra della quale neve e ghiaccio persistono anche durante la stagione estiva, portando così ad un accumulo lento e graduale della neve che si trasforma in ghiaccio. Tale limite è variabile a seconda della latitudine, presso l’Equatore è molto elevato mentre avvicinandosi alle zone polari si abbassa. I fattori che contribuiscono all’accumulo di ghiaccio sono altitudine, latitudine, esposizione a nord dei versanti, vento etc. Un ghiacciaio è una vasta massa di ghiaccio che si muove sotto l’azione del proprio peso (fig.10). fig.10 Schema di un ghiacciaio All’interno di un ghiacciaio possiamo distinguere due zone: il bacino collettore e il bacino ablatore. Il bacino collettore, generalmente a forma di ferro di cavallo, è l’area di accumulo della neve, ovvero la zona di alimentazione del ghiacciaio. Il bacino ablatore, invece, è l’area dove avviene la fusione del ghiaccio, e si trova sotto il limite delle nevi perenni. La parte terminale del ghiacciaio prende il nome di fronte. I ghiacciai sono divisi in continentali (o polari), e di montagna. I ghiacciai di tipo continentale sono: le calotte glaciali (inlandsis), e i ghiacciai di tipo scandinavo, alaschiano, himalayano. Le calotte glaciali ricoprono l’Antartide e la Groenlandia e in parte Canada e Islanda; essi sono caratterizzati dalla presenza di icebergs, enormi blocchi di ghiaccio che si distaccano dal ghiacciaio principale (fig.11). fig.11 Esempio di iceberg I ghiacciai di tipo scandinavo sono caratterizzati da una zona di accumulo e nella parte terminale da diverse diramazioni che scendono verso valle. I ghiacciai di tipo alaschiano sono caratterizzati da colate glaciali distinte che tendono a congiungersi verso valle. I ghiacciai di tipo himalayano sono ghiacciai che scendono da alte catene e sono distinti in più valli. I ghiacciai di tipo montano possono essere alpini e pirenaici. I ghiacciai alpini si accumulano in una concavità ad alta quota (circo) e scendono verso valle con una lingua ben sviluppata (fig.12). fig.12 Un esempio di ghiacciaio alpino, la Marmolada I ghiacciai pirenaici sono ridotti rispetto a quelli alpini e non presentano una lingua ben sviluppata. I movimenti dei ghiacciai dipendono da diversi fattori. L’agente principale è la forza di gravità; altri fattori sono: la plasticità del ghiaccio e i moti intergranulari, la rugosità del fondo e la presenza di ostacoli, le stagioni e le condizioni climatiche. La velocità di un ghiacciaio è molto variabile: è molto bassa nelle calotte glaciali e aumenta in quelli di tipo himalayano. Tale velocità varia anche all’interno dello stesso ghiacciaio: maggiore nella parte centrale e superiore, dove l’attrito con l’aria è basso, e minore verso l’esterno e sul fondo, dove l’attrito con le pareti e il fondo è alto. Pertanto un ghiacciaio possiede al suo interno un movimento differenziale che provoca la formazione di crepacci, ovvero profondi tagli orizzontali, verticali, e seracchi, ovvero blocchi isolati di ghiaccio che formano torri e guglie. L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE PROFONDE Le acque profonde o sotterranee sono molto importanti poiché costituiscono le riserve di acqua potabile fondamentali per la vita dell’uomo. L’acqua che non viene trattenuta in prossimità della superficie, ad esempio dalle radici delle piante, penetra in profondità (infiltrazione) e va a costituire il sistema delle acque sotterranee (fig.13). fig.13 Il sistema delle acque sotterranee Le rocce devono avere una caratteristica proprietà ossia devono essere permeabili, devono cioè permettere all’acqua di infiltrarsi nel sottosuolo attraverso gli interstizi fra i granuli che le compongono o la loro fratturazione. In tal modo l’acqua può raggiungere la zona di saturazione, ovvero la zona in cui tutti gli spazi vuoti nei sedimenti e nelle rocce sono pieni di acqua. L’acqua presente in questa zona costituisce la falda acquifera ed è sostenuta nella parte sottostante da uno strato impermeabile di terreno. La falda, detta anche freatica, è sormontata da una zona superiore chiamata di aerazione, in cui non si ha saturazione del terreno. La quantità di acqua immagazzinata è variabile e dipende dal tipo di substrato presente, più precisamente dalla sua porosità. La porosità è la percentuale del volume totale di spazi vuoti di roccia o di sedimento potenzialmente occupabile dall’acqua. fig.14 Visualizzazione grafica del concetto di porosità L’acqua sotterranea in profondità non è immobile ma si sposta lentamente attraverso passaggi tortuosi e stretti, rappresentati dai pori, dalle fessure e dalle fratture. Nell’immaginario comune si pensa che essa in profondità si trovi sotto forma di laghi o fiumi, in realtà è più esatto, anche se più difficile da immaginare, parlare di acquiferi ovvero strati di rocce e sedimenti che si imbibiscono di acqua e ne permettono anche la sua migrazione sotterranea. Le sorgenti sono i punti in cui una superficie freatica raggiunge la superficie terrestre, ossia dove una falda viene a giorno si formano naturalmente danno vita a quelle che noi tutti conosciamo come sorgenti di acque potabili, minerali, termali e termominerali. Le riserve di acqua sotterranea possono essere raggiunte dall’uomo attraverso la realizzazioni di passaggi verticali, i pozzi. L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE DI TRANSIZIONE Le acque di transizione come dice il termine stesso rappresentano le zone intermedie fra il dominio fluviale (acqua dolce) e quello marino (acque salate) e sono costituite da: foce del fiume, lago costiero, laguna. Nella zona della foce di un fiume avviene il mescolamento fra acque dolci e acque salate con differenze in salinità, densità, e influenza da parte delle maree. La zona della foce prende il nome di delta o di estuario. Nella zona della foce a delta avviene la deposizione dei sedimenti trasportati dal fiume che si accumulano sul fondale fino ad emergere in superficie (fig.15); la foce del Nilo, del Mississippi, del Danubio e del Po ne sono alcuni esempi. fig.15 La foce a delta del fiume Lena (Russia) Nella zona della foce ad estuario non avviene una regolare deposizione dei sedimenti per via delle forti correnti o delle intense maree ed si ha una tipica forma ad imbuto (fig.16); il Rio delle Amazzoni, del Congo e del Tamigi ne sono alcuni esempi. fig.16 La foce ad estuario del Rio della Plata (Sud America) I laghi costieri sono zone in cui si mescolano acque marine e dolci separate da un tratto di terra che può essere un cordone sabbioso, un tombolo etc. Esse possono essere separate completamente dal mare o essere collegate mediante piccoli canali. Le lagune sono zone di acque distaccate dal mare in cui però arrivano sia le acque marine che continentali. Esse si sono formate in seguito all’azione dei fiumi che hanno trasportato una grande quantità di sedimenti che depositandosi parallelamente alla costa le hanno confinate. A differenza dei laghi costieri queste zone fortemente assoggettate all’azione delle maree. L’IDROSFERA MARINA - LE ACQUE MARINE Occupano la stragrande maggioranza della superficie del nostro pianeta, basti pensare che il 71% della superficie terrestre è coperto da oceani o da mari e solo il restante 29% da terre emerse. Tuttavia gli oceani non sono distribuiti in modo omogeneo sul globo: l’emisfero settentrionale è coperto in minor misura (circa 61%), mentre l’emisfero meridionale in misura maggiore (circa 81%). Il confronto fra i tre grandi oceani porta ad identificare l’oceano Pacifico come il più vasto, seguito dall’oceano Atlantico e dall’oceano Indiano. Leggendo la curva ipsografica, la curva che mette in relazione attraverso un sistema cartesiano le diverse quote della superficie terrestre e l’area che si trova al di sopra della quota considerata, è possibile scoprire che la profondità media degli oceani è di circa 3800 metri, mentre il punto più profondo è di circa 11022 metri (Fossa delle Marianne). Ma come si presenta la terra sotto il mare? Se immaginiamo di togliere tutta l’acqua contenuta nei mari e negli oceani ci accorgiamo che esiste una topografia variegata, caratterizzata da rilievi, valli e pianure. Studiando la carta dei fondali oceanici (fig.17) e la curva ipsografica emerge che tutti gli oceani hanno un profilo comune. fig.17 La carta dei fondali oceanici Partendo da riva e procedendo verso il mare aperto sono visibili una piattaforma continentale, una scarpata e un fondo oceanico (fig.18). fig.18 Profilo longitudinale della piattaforma continentale, scarpata e fondale oceanico La piattaforma è il primo tratto compreso fra zero e 200 m. Essa è caratterizzata da una debole pendenza e da una estensione variabile, maggiore nelle zone continentali pianeggianti e minore nelle zone montuose. La scarpata è la zona compresa fra la piattaforma e una profondità di 2000 m. Essa è caratterizzata da una forte pendenza e una piccola estensione. Il fondo oceanico è la zona compresa fra la scarpata e una profondità di 6000 m, e occupa la porzione più grande della superficie sottomarina. Le fosse oceaniche sono depressioni che si trovano oltre i 6000 m di profondità e si trovano al margine di rilievi emersi (isole) e sottomarini. Il valore di salinità media è di 35g/l. NaCl è il maggior costituente fra i Sali disciolti con una percentuale pari circa al 78%. Le acque degli oceani sono in continuo movimento, ne sono esempio il moto ondoso, le correnti e le maree. Il vento è il principale responsabile dell’attivazione del moto ondoso; esso applicando una pressione sull’interfaccia mare-aria genera dapprima delle piccole increspature che man mano aumentano in funzione dell’intensità del vento e del fenomeno della risonanza fino a divenire onde (onde forzate). Tali onde continuano a propagarsi arrivando anche in zone prive di vento (onde libere). Il moto ondoso assume caratteristiche diverse se avviene in mare aperto o in vicinanza della costa. Nel primo caso le onde non risentono dell’attrito col fondale e le onde che si generano sono chiamate onde di oscillazione. In prossimità di un fondale invece si generano le così dette onde di traslazione, che oltre alla semplice componente oscillatoria consentono un trasporto trasversale di acqua rispetto alla linea di costa. In prossimità della costa infatti l’onda nella porzione inferiore risulterà in ritardo a causa dell’attrito con il fondale rispetto alla porzione superiore libera; il risultato sarà un’onda che si rovescerà in avanti sotto forma di frangente di spiaggia. Le onde modellano in questo modo la linea di costa, attraverso un’azione erosiva, la costa infatti rappresenta il punto dove si incontrano mare e terraferma e dove il secondo rappresenta un ostacolo. In una singola onda è possibile distinguere: la cresta, la parte più rilevata, e il ventre, la parte più depressa, l’altezza, la distanza sulla verticale tra cresta e ventre, la lunghezza, la distanza orizzontale tra due creste o due ventri. Così come avviene per qualsiasi tipo di onda, da quella sonora a quella elettromagnetica anche per studiare il moto ondoso è importante valutare alcuni importanti parametri fra cui ricordiamo: la velocità di propagazione, lo spazio percorso da un’onda nell’unità di tempo e il periodo, l’intervallo di tempo che intercorre fra due passaggi consecutivi di una cresta o di un ventre. Le maree sono oscillazioni periodiche del livello marino che corrispondono ad un ritmico innalzamento (flusso) e abbassamento (riflusso) provocati dall’azione gravitazionale della Luna e del Sole sulle masse d’acqua presenti sul pianeta Terra. Tali oscillazioni avvengono due volte al giorno nelle quali la fase corrispondente al massimo sollevamento prende il nome di alta marea, mentre quella corrispondente al massimo abbassamento bassa marea. La differenza fra l’alta e la bassa marea prende il nome di ampiezza di marea. Il movimento delle maree è molto complesso, in ogni caso è possibile affermare che l’attrazione esercitata dalla Luna è di gran lunga più influente rispetto a quella del Sole, nonostante la massa del Sole sia maggiore. Pertanto le maree dipendono essenzialmente dai movimenti lunari. È importante notare come l’alta marea presente in un punto del globo lo sia anche al suo antipodo e ciò non è spiegabile con la sola attrazione Terra-Luna. Ciò che interviene oltre all’attrazione lunare è la forza centrifuga dovuta al moto di rivoluzione del sistema Terra Luna. Le zone di bassa marea sono situate a 90 gradi rispetto a quelle di alta marea. Esistono due tipi di marea: le maree vive e quelle morte. Le maree vive sono caratterizzate dalle massime ampiezze e si verificano quando Sole, Terra e Luna sono allineati (Luna piena o Luna nuova). Le maree morte invece si presentano con minori ampiezze e si hanno quando le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna formano un angolo retto (Luna al primo o all’ultimo quarto). Nel corso di un mese le ampiezze delle maree mutano a causa delle variazioni delle posizioni reciproche di Terra, Luna e Sole. Uno dei luoghi più famosi dove osservare questo straordinario fenomeno è la cittadina di Mont Saint Michel nella costa settentrionale della Francia in cui si verificano delle maree eccezionali (fig.19). fig.19 La cittadina di Mont San Michelle durante la bassa marea Un elemento determinante costituente gli oceani sono le correnti oceaniche, spostamenti orizzontali di masse di acqua che possiedono caratteristiche, quali la salinità e la temperatura, differenti dalle masse di acqua circostanti e mostrano una velocità propria ed una direzione quasi costante. La circolazione oceanica è molto complessa (fig.20) ed in questa lezione verrà trattata in maniera semplificata. fig.20 La circolazione delle correnti oceaniche Le correnti oceaniche sono influenzate dai venti e dalla morfologia dei bacini marini e si distinguono in correnti orizzontali (superficiali e profonde) e verticali (ascendenti e discendenti). Le correnti marine superficiali sono formate dalle acque poco profonde (superiori a 200 metri) e sono principalmente influenzate dai venti. Tali correnti molto importanti per la navigazione, in quanto la loro conoscenza permette di ridurre in termini di tempo gli spostamenti via mare delle imbarcazioni; sono inoltre fondamentali per il clima, in quanto insieme ai venti trasportano gran parte del calore dalle regioni che ne hanno in eccesso a quelle che ne hanno in difetto. L’effetto mitigatore delle correnti sul clima è ben noto: un esempio è la corrente Nord atlantica che rende più calde le zone della Gran Bretagna e di gran parte dell’Europa nordoccidentale rispetto a quanto ci si aspetta per quelle latitudini; allo stesso modo le correnti fredde mitigano alle medie latitudini le zone tropicali. Se non ci fosse la rotazione terrestre vedremmo che in entrambi gli emisferi in superficie un movimento costante di acque calde e tropicali dirette verso le alte latitudini e in profondità un movimento di acque fredde verso l’Equatore. La forza di Coriolis le devia dal loro percorso originario, e le correnti tendono a formare dei circuiti chiusi nei singoli emisferi, in senso orario nell’emisfero boreale e in senso antiorario in quello australe (fig.19). Le correnti verticali possono essere causate dal vento, come ad esempio avviene nelle coste occidentali dell’America, oppure da differenze di densità, come avviene in prossimità dei poli. Nel primo caso si genera una corrente ascendente di acqua fredda e profonda ricca di nutrienti diretta verso il largo quando un forte vento spira dal continente verso l’oceano (upwelling), mentre si genera una corrente discendente (downwelling) quando il vento spira dall’oceano verso il continente. Le correnti profonde si generano a partire dalle correnti discendenti e sono formate da fredde e dense che corrono orizzontalmente in profondità. Le correnti profonde si formano in prossimità dell’Antartide e possono permanere in profondità anche per tempi molto lunghi dando origine alla circolazione profonda (secondo il modello del nastro trasportatore).