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LE ACQUE CONTINENTALI E LE ACQUE MARINE
LA LEZIONE
IL CICLO DELL'ACQUA
L’idrosfera occupa circa i due terzi della superficie terrestre e rappresenta un sistema
molto complesso costituito dalle grandi masse d’acqua come mari e oceani ma anche
da piccoli e piccolissimi bacini come laghi, fiumi, falde acquifere e ghiacciai. Tutti gli
esseri viventi dipendono dall’acqua; già le prime forme di vita comparvero negli oceani
circa 3,5 miliardi di anni fa. L’idrosfera opera inoltre continui scambi con l’atmosfera,
la geosfera e la biosfera. La lezione, divisa in due parti, illustrerà l’idrosfera
continentale e l’idrosfera marina.
Il ciclo globale dell’acqua rappresenta il punto di partenza di questa lezione. La
parola ciclo rimanda ad un insieme di processi che si susseguono l’un l’altro con una
determinata cadenza temporale, ma non solo; il suo significato rappresenta un punto
di contatto importante, quello fra le acque continentali e le acque marine.
Ai fattori naturali che condizionano il ciclo dell’acqua va aggiunto il contributo dato
dall’uomo, che nella stragrande maggioranza dei casi è negativo; esso entra come
protagonista nel ciclo dell’acqua attraverso l’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi, rifiuti
industriali etc.
Le variazioni di risorse di acqua potabile, che possono dipendere anche da cause
naturali (scarse precipitazioni), sono quasi sistematicamente imputabili a cause
antropiche. Le variazioni, in questo secondo caso, diventano vitali ed irreversibili e
sono da ricondurre principalmente ad inquinamento, estrazione eccessiva mediante
pozzi, urbanizzazione e deforestazione etc. L’uomo in questo modo sta influenzando
pesantemente il ciclo dell’acqua giorno dopo giorno. Basti pensare che studi recenti
stanno dimostrando come un ciclo dell'acqua locale sia condizionato dal modo in cui
vengono progettate e realizzate le nostre città. La presenza eccessiva dell’asfalto, ad
esempio, impedisce l’infiltrazione di acqua nel terreno favorendo il ruscellamento
(fig.1).
fig.1 Variazione del ciclo dell’acqua in un’area naturale e urbanizzata
Grandi volumi di acque piovane arrivano al suolo e rapidamente scorrono verso i mari
e gli oceani portando con se tutta una serie di materiali ed elementi dannosi per
l’ambiente e la salute che raccolgono lungo il loro impetuoso cammino.
Il concetto di inquinamento limitato ad un lago o ad un fiume va riconsiderato visto
che questi andranno a far parte di un ciclo che condurrà gli elementi tossici in contatto
con il resto dell’idrosfera, con l’atmosfera e le terre emerse. Le sostanze inquinanti in
tal modo entrano in contato diretto con gli ecosistemi acquatici e terrestri (UNEP e UN
Habitat 2010), compromettendoli in gran parte dei casi in maniera irreversibile, come
sfortunatamente sta già accadendo in zone come i ghiacciai di alta montagna e zone
polari.
La comunità scientifica si sta impegnando in maniera particolare alla tutela dell’acqua.
Diverse normative sono state emanate fra cui la Direttiva quadro sulle acque
2000/60/CE che ha come scopo il miglioramento dello stato delle acque attraverso
la prevenzione e il risanamento, e l’utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo
termine delle risorse idriche disponibili
LE ACQUE DOLCI: IL CICLO DELL’ACQUA E LE ACQUE FOSSILI
Il ciclo dell’acqua insieme al ciclo del carbonio, dell’azoto, del fosforo e dello zolfo
rappresenta uno dei processi fondamentali che avviene sul nostro Pianeta. Il ciclo
dell’acqua chiamato anche ciclo idrologico è un processo di trasferimento in cui
l’acqua, come già detto, subisce diversi passaggi di stato (liquido-solido e aeriforme).
Il sole è il motore di questo ciclo e fornisce l’energia necessaria per l’evaporazione
dell’acqua dagli oceani e in minor misura dai continenti. Tale ciclo è in continuo
movimento e coinvolge atmosfera, geosfera e biosfera (fig. 2).
fig.2 Il ciclo
dell’acqua
Il vapore acqueo che si forma in seguito ad evaporazione, viene successivamente
trasportato dal vento, si raffredda e condensa, dando inizio al processo di formazione
delle nuvole, che in determinate condizioni di pressione atmosferica daranno origine
alle precipitazioni. L’acqua tornerà in mare o al suolo sotto forma di pioggia, neve o
grandine. Nel primo caso il ciclo avrà termine e ne potrà iniziare un altro, nel secondo
invece si avvierà un percorso più articolato. L’acqua giunta sulle terre emerse, in parte
scorrerà in superficie (ruscellamento o deflusso superficiale) ed in parte filtrerà nel
terreno giungendo in profondità (percolazione o deflusso profondo). L’acqua che
scorre in superficie convoglierà nei corsi d’acqua già esistenti e permanenti, costituiti
da piccoli torrenti, fiumi o laghi, o ne andrà a costituire nuovi stagionali per poi
tornare lentamente in mare. Una porzione di precipitazioni evaporerà direttamente
mentre una parte sarà assorbita dalle radici delle piante per poi essere rilasciata in
atmosfera attraverso il fenomeno dell’evapotraspirazione. L’acqua che si infiltrerà
nel terreno andrà a creare le riserve di questa preziosa risorsa; tali giacimenti
sotterranei prendono il nome di falde idriche (acquifere e artesiane).
Il ciclo dell’acqua, considerato rinnovabile e inesauribile, in determinate condizioni può
durare anche molto tempo come nel caso delle falde acquifere o dei ghiacciai che
hanno lunghi periodi di immobilità al suolo prima di rendere l’acqua di nuovo
disponibile alla fase aerea.
Un esempio è rappresentato da alcune falde idriche che possono rimanere del tutto
isolate rispetto al ciclo dell’acqua a causa di movimenti tettonici così da andare a
costituire quelle che vengono definite le acque fossili. Nell’area di Mena fra Arabia
Saudita, Libia e Algeria vi è una vasta riserva di acqua fossile (il 98,5% falde fossili
nel mondo), sfruttate soprattutto per l’agricoltura. L’acqua in questo caso è
considerata una risorsa esauribile.
IL BILANCIO IDROLOGICO
Il bilancio idrologico globale è un sistema in equilibrio perfetto fra la quantità di acqua
che precipita e quella che ritorna in atmosfera. La formula semplificata del bilancio
idrologico in un determinato bacino riporta che la quantità di precipitazioni P è uguale
alla somma fra l’evapotraspirazione Ev (dagli specchi di acqua, dal terreno, dalla
copertura vegetale), il ruscellamento R e l’infiltrazione I.
Formula semplificata del bilancio idrologico: P = Ev+ R + I
Tale bilancio se considerato a scala regionale o locale, ad esempio in un bacino, può
essere invece in eccesso o in difetto a seconda della quantità di precipitazioni. Il
bilancio idrologico varia nelle diverse zone del Pianeta Terra e ciò è dovuto alle
differenti condizioni climatiche: le zone equatoriali sono caratterizzate da abbondanti
precipitazioni e minore evaporazione, mentre le zone desertiche al contrario sono
caratterizzate da scarse precipitazioni e forti evaporazioni.
L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE SUPERFICIALI: FIUMI E TORRENTI
L’uomo dipende fortemente dai corsi d’acqua e li utilizza per diversi scopi come ad
esempio il trasporto, l’irrigazione e la produzione di energia. Il fiume è definito come
un corso d’acqua perenne, le cui acque derivano da sorgenti, piogge, scioglimento
delle nevi e dei ghiacci. Esso come visto nel ciclo idrologico raccoglie le acque che
giungono al suolo, e che non vengono assorbite dal terreno o dalle piante e le riporta
verso il mare attraverso un fenomeno definito ruscellamento (v.fig.2). Il
ruscellamento inizia con una prima fase in cui le precipitazioni, cadono al suolo
ricoprendolo in maniera uniforme. In seguito l’acqua viene incanalata attraverso i
solchi naturali presenti nel terreno e convogliata dapprima in piccoli ruscelli e
successivamente nei fiumi. I fiumi porteranno l’acqua verso il mare attraverso la forza
di gravità. Tale viaggio dipenderà dalla velocità delle acque, ovvero da parametri quali
il gradiente, le caratteristiche geometriche dell’alveo e la portata. Il gradiente è
definito come il rapporto fra il dislivello esistente fra la sorgente e la foce del fiume, e
la lunghezza del suo percorso (fig.3).
fig.3 Il profilo longitudinale e trasversale di un fiume dalla sorgente alla foce in cui si
evidenzia la variazione del gradiente
Il gradiente può variare molto anche per lo stesso fiume e pertanto si preferisce
suddividerne il corso in tre parti (fig.3). Il corso superiore corrisponde alla zona
compresa fra sorgente e la prima parte della pianura ed è caratterizzato da una
pendenza elevata; nel corso superiore prevale un’azione di tipo erosivo. Il corso medio
è costituito dalla pianura ed è caratterizzato da un gradiente meno elevato; il fiume
assume un profilo trasversale più ampio e predomina l’erosione ma in questo caso di
tipo laterale. Il corso inferiore è costituito dalla zona della foce in cui il gradiente è
molto basso; in questo tratto l’azione erosiva è bassa o nulla e prevale la
sedimentazione. Le caratteristiche geometriche dell’alveo sono rappresentate
principalmente dalle dimensioni e dalla forma. Lo scorrimento è favorito da un alveo
con dimensioni maggiori e, a parità di dimensioni, che possiede una forma
semicircolare (fig.3).
La portata è definita dalla quantità di acqua che passa in una sezione trasversale del
corso d’acqua nell’unità di tempo; la portata viene calcolata in un punto preciso del
fiume ove è possibile conoscere le caratteristiche geometriche della sezione. E’ il
parametro più studiato dagli idrogeologi per capire l’evoluzione di un corso d’acqua.
Ad esempio, il Nilo e il Rio delle Amazzoni sono due fiumi simili come lunghezza
(rispettivamente 6853 km e 6992 km), ma ben diversi come portata media
(rispettivamente 2830 m3/s e 175000 m3/s). L’area in cui un corso d’acqua scorre è
denominata bacino idrografico o imbrifero e rappresenta la porzione di territorio entro
la quale tutte le acque, originate da piogge o da sorgenti, sono convogliate in sistemi
fluviali (fig.4).
fig.4 Bacino
idrografico e linea
spartiaccque
Il bacino idrografico racchiude al suo interno il sistema fluviale costituito dal corso
d’acqua principale e da corsi secondari; esso è delimitato dalla linea spartiacque, che
separa il bacino idrografico dagli altri adiacenti (fig.4).
Il fiume svolge un azione modellante sul paesaggio, disegnando valli strette con
profilo a “V” nelle zone montane oppure valli ampie con profilo piatto nelle pianure;
può creare, dove l’energia del rilievo lo permette, piccoli e grandi salti come le rapide
e le cascate, o ancora, scavare profonde incisioni come, le gole e le forre. Tale
processo si svolge in maniera diversa a seconda delle caratteristiche geologiche,
geomorfologiche e topografiche della regione attraversata. Una morfologia tipica delle
valli fluviali sono i meandri (fig.5).
fig.5 I meandri del
fiume Civil’ affluente
del Volga
A differenza di un corso fluviale che scorre in un tratto vallivo caratterizzato da terreni
poco erodibili, un corso fluviale che scorre su una piana alluvionale è in grado di
modificare liberamente il proprio percorso. I meandri appaiono come sinuosità
disposte in successione lungo il corso medio o inferiore del fiume.
La loro formazione avviene in un tratto in cui l’azione del fiume è duplice: di tipo
erosivo sul lato concavo e di tipo deposizionale sul lato convesso.
L’asse del fiume inizialmente rettilinea in tal modo passa ad essere perturbata e a
deviare assumendo un aspetto sinuoso. L’erosione laterale e la forza centrifuga
concorrono nell’accelerare tale processo con la formazione di anse che via via
divengono più pronunciate.
Nel tempo i meandri tendono ad allargarsi e a migrare quasi fino a toccarsi nelle loro
parti più pronunciate; via via il setto che li separa tende a divenire sempre più esiguo,
fino a che si verifica il così detto salto del meandro, ossia il ritorno in comunicazione
diretta tra due meandri (fig. 6).
fig.6 Meandri
L’ansa abbandonata rimane in tal modo isolata dal corso del fiume formando uno
stagno, che nel tempo evolverà in una palude. Ancor oggi non è ben chiaro il
complesso processo di formazione dei meandri; gli studiosi hanno evidenziato la
presenza di alcuni parametri come possibili cause: oscillazione trasversale del flusso,
erosione accelerata su una sponda, presenza di un ostacolo, variazione della
profondità dell’alveo.
L’IDROSFERA CONTINENTALE - I LAGHI
Un lago rappresenta il riempimento di una depressione della superficie terrestre da
parte di acque dolci o salmastre, ed è caratterizzato da forma, ampiezza e profondità
molto variabili. I laghi sono legati ai corsi d’acqua e generalmente mostrano degli
immissari che ne convogliano le acque all’interno ed emissari, che al contrario,
drenano le loro acque verso l’esterno. Nel caso in cui manchi l’immissario lago sarà
alimentato esclusivamente dalle piogge o da acque sotterranee, mentre nel caso in cui
manchi l’emissario l’acqua sarà perduta attraverso l’evaporazione o infiltrazioni
sotterranee. La vita di un lago è contraddistinta da un ciclo e come tale esso è
considerato effimero. Un lago che ad esempio non abbia emissari sarà destinato con il
tempo ad esaurirsi col prevalere dell’evaporazione, al contrario un lago che abbia degli
immissari sarà destinato ad essere riempito dai sedimenti fluviali e quindi interrato.
Un altro esempio di ciclo di vita è rappresentato dai un laghi alpini in cui prevale la
crescita e l’insediamento della vegetazione che lo porteranno a esaurirsi
trasformandolo in una torbiera.
I laghi sono suddivisi in base alla loro origine e in questa lezione sono trattati le
principali tiologie. I laghi di escavazione glaciale hanno origine dall’azione del
ghiacciaio e sono divisi in laghi di circo e glaciali. I primi, rappresentati dai laghi alpini,
occupano le depressioni scavate dal ghiacciaio nelle porzioni superiori, come nel caso
di laghi formatisi in epoche glaciali dell’Era quaternaria. I laghi vallivi sono invece
dovuti dalla escavazione profonda (esarazione) da parte del ghiacciaio nella sua
porzione più bassa, oggi non più visibile. I laghi Maggiore, di Como e di Garda (fig.7)
rappresentano alcuni esempi di laghi glaciali vallivi.
fig.7 Il lago di
Garda di
origine
glaciale
I laghi di sbarramento si originano come dice il termine stesso ad opera di uno
sbarramento naturale di un tratto di valle, a monte del quale si raccolgono le acque.
Lo sbarramento può avvenire a seguito di una frana, come nel caso del lago di Alleghe
(Belluno), o di un deposito morenico. I laghi craterici occupano le depressioni di
vulcani spenti oppure le vaste depressioni crateriche formatesi in seguito ad un’attività
di tipo esplosivo. I laghi di Bolsena, Albano e Nemi (fig.8) ne rappresentano alcuni
esempi.
fig.8 Il lago di
Nemi di origine
vulcanica
I laghi carsici si trovano all’interno di depressioni originate in seguito all’azione
chimica svolta dalle acque meteoriche sulle rocce calcaree. Queste depressioni
presentano un fondo impermeabile costituito da “terre rosse”. Alcuni esempi sono il
lago di Doberdò (Venezia Giulia), del Matese (Isernia), di Canterno (Frosinone). I laghi
di origine tettonica occupano depressioni originate in seguito ad abbassamenti di
porzioni di crosta terrestre per movimenti tettonici. Ne sono un esempio i laghi della
Great Rift Valley in Africa orientale che mostrano un allineamento lungo una grande
fossa tettonica. I laghi relitti, generalmente caratterizzati da acque salate, sono acque
rimaste isolate a seguito di movimenti tettonici o da abbassamento di del livello del
mare. Ne sono un esempio il lago d’Aral e il Mar Caspio. I laghi costieri si formano per
accumulo verso mare di cordoni litoranei di sabbia; i cordoni in alcuni casi provocano
uno sbarramento alle acque provenienti dalla terra emersa, come per i laghi delle
Landes (Francia), in altri isolano una insenatura marina, come per i laghi di Lesina e
Varano (Foggia), (fig.9).
fig.9 Il
Lago di
Varano di
origine
costiera
L’IDROSFERA CONTINENTALE - I GHIACCIAI
L’acqua che sotto forma di neve precipita a quote elevate o a latitudini elevate non è
in grado né di scorrere né di infiltrarsi nel terreno e passando allo stato solido va a
costituire i ghiacciai. La neve si trasforma in ghiaccio attraverso un processo lento e
graduale. Inizialmente si formano i fiocchi di neve, leggeri e ricchi di aria, che dopo
essersi depositati si trasformano in neve granulare, meno densa. Dopo circa uno o due
anni, in condizioni che ne permettono la conservazione, la neve si compatta
originando il firn denso e stabile che accumulandosi fonde e ricristallizza in forme
compatte; col passare degli anni si arriva alla formazione del ghiaccio compatto.
Il limite delle nevi persistenti è la quota al disopra della quale neve e ghiaccio
persistono anche durante la stagione estiva, portando così ad un accumulo lento e
graduale della neve che si trasforma in ghiaccio. Tale limite è variabile a seconda della
latitudine, presso l’Equatore è molto elevato mentre avvicinandosi alle zone polari si
abbassa. I fattori che contribuiscono all’accumulo di ghiaccio sono altitudine,
latitudine, esposizione a nord dei versanti, vento etc.
Un ghiacciaio è una vasta massa di ghiaccio che si muove sotto l’azione del proprio
peso (fig.10).
fig.10 Schema di un ghiacciaio
All’interno di un ghiacciaio possiamo distinguere due zone: il bacino collettore e il
bacino ablatore. Il bacino collettore, generalmente a forma di ferro di cavallo, è l’area
di accumulo della neve, ovvero la zona di alimentazione del ghiacciaio. Il bacino
ablatore, invece, è l’area dove avviene la fusione del ghiaccio, e si trova sotto il limite
delle nevi perenni. La parte terminale del ghiacciaio prende il nome di fronte. I
ghiacciai sono divisi in continentali (o polari), e di montagna. I ghiacciai di tipo
continentale sono: le calotte glaciali (inlandsis), e i ghiacciai di tipo scandinavo,
alaschiano, himalayano. Le calotte glaciali ricoprono l’Antartide e la Groenlandia e in
parte Canada e Islanda; essi sono caratterizzati dalla presenza di icebergs, enormi
blocchi di ghiaccio che si distaccano dal ghiacciaio principale (fig.11).
fig.11
Esempio di
iceberg
I ghiacciai di tipo scandinavo sono caratterizzati da una zona di accumulo e nella parte
terminale da diverse diramazioni che scendono verso valle. I ghiacciai di tipo
alaschiano sono caratterizzati da colate glaciali distinte che tendono a congiungersi
verso valle. I ghiacciai di tipo himalayano sono ghiacciai che scendono da alte catene
e sono distinti in più valli.
I ghiacciai di tipo montano possono essere alpini e pirenaici. I ghiacciai alpini si
accumulano in una concavità ad alta quota (circo) e scendono verso valle con una
lingua ben sviluppata (fig.12).
fig.12 Un esempio di
ghiacciaio alpino, la
Marmolada
I ghiacciai pirenaici sono ridotti rispetto a quelli alpini e non presentano una lingua
ben sviluppata.
I movimenti dei ghiacciai dipendono da diversi fattori. L’agente principale è la forza di
gravità; altri fattori sono: la plasticità del ghiaccio e i moti intergranulari, la rugosità
del fondo e la presenza di ostacoli, le stagioni e le condizioni climatiche.
La velocità di un ghiacciaio è molto variabile: è molto bassa nelle calotte glaciali e
aumenta in quelli di tipo himalayano. Tale velocità varia anche all’interno dello stesso
ghiacciaio: maggiore nella parte centrale e superiore, dove l’attrito con l’aria è basso,
e minore verso l’esterno e sul fondo, dove l’attrito con le pareti e il fondo è alto.
Pertanto un ghiacciaio possiede al suo interno un movimento differenziale che provoca
la formazione di crepacci, ovvero profondi tagli orizzontali, verticali, e seracchi, ovvero
blocchi isolati di ghiaccio che formano torri e guglie.
L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE PROFONDE
Le acque profonde o sotterranee sono molto importanti poiché costituiscono le riserve
di acqua potabile fondamentali per la vita dell’uomo. L’acqua che non viene trattenuta
in prossimità della superficie, ad esempio dalle radici delle piante, penetra in
profondità (infiltrazione) e va a costituire il sistema delle acque sotterranee (fig.13).
fig.13 Il
sistema
delle acque
sotterranee
Le rocce devono avere una caratteristica proprietà ossia devono essere permeabili,
devono cioè permettere all’acqua di infiltrarsi nel sottosuolo attraverso gli interstizi fra
i granuli che le compongono o la loro fratturazione. In tal modo l’acqua può
raggiungere la zona di saturazione, ovvero la zona in cui tutti gli spazi vuoti nei
sedimenti e nelle rocce sono pieni di acqua. L’acqua presente in questa zona
costituisce la falda acquifera ed è sostenuta nella parte sottostante da uno strato
impermeabile di terreno. La falda, detta anche freatica, è sormontata da una zona
superiore chiamata di aerazione, in cui non si ha saturazione del terreno. La quantità
di acqua immagazzinata è variabile e dipende dal tipo di substrato presente, più
precisamente dalla sua porosità. La porosità è la percentuale del volume totale di
spazi vuoti di roccia o di sedimento potenzialmente occupabile dall’acqua.
fig.14 Visualizzazione grafica del concetto di porosità
L’acqua sotterranea in profondità non è immobile ma si sposta lentamente attraverso
passaggi tortuosi e stretti, rappresentati dai pori, dalle fessure e dalle fratture.
Nell’immaginario comune si pensa che essa in profondità si trovi sotto forma di laghi o
fiumi, in realtà è più esatto, anche se più difficile da immaginare, parlare di acquiferi
ovvero strati di rocce e sedimenti che si imbibiscono di acqua e ne permettono anche
la sua migrazione sotterranea.
Le sorgenti sono i punti in cui una superficie freatica raggiunge la superficie terrestre,
ossia dove una falda viene a giorno si formano naturalmente danno vita a quelle che
noi tutti conosciamo come sorgenti di acque potabili, minerali, termali e
termominerali. Le riserve di acqua sotterranea possono essere raggiunte dall’uomo
attraverso la realizzazioni di passaggi verticali, i pozzi.
L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE DI TRANSIZIONE
Le acque di transizione come dice il termine stesso rappresentano le zone intermedie
fra il dominio fluviale (acqua dolce) e quello marino (acque salate) e sono costituite
da: foce del fiume, lago costiero, laguna.
Nella zona della foce di un fiume avviene il mescolamento fra acque dolci e acque
salate con differenze in salinità, densità, e influenza da parte delle maree. La zona
della foce prende il nome di delta o di estuario. Nella zona della foce a delta avviene la
deposizione dei sedimenti trasportati dal fiume che si accumulano sul fondale fino ad
emergere in superficie (fig.15); la foce del Nilo, del Mississippi, del Danubio e del Po
ne sono alcuni esempi.
fig.15 La foce a delta del
fiume Lena (Russia)
Nella zona della foce ad estuario non avviene una regolare deposizione dei sedimenti
per via delle forti correnti o delle intense maree ed si ha una tipica forma ad imbuto
(fig.16); il Rio delle Amazzoni, del Congo e del Tamigi ne sono alcuni esempi.
fig.16 La foce
ad estuario del
Rio della Plata
(Sud America)
I laghi costieri sono zone in cui si mescolano acque marine e dolci separate da un
tratto di terra che può essere un cordone sabbioso, un tombolo etc. Esse possono
essere separate completamente dal mare o essere collegate mediante piccoli canali.
Le lagune sono zone di acque distaccate dal mare in cui però arrivano sia le acque
marine che continentali. Esse si sono formate in seguito all’azione dei fiumi che hanno
trasportato una grande quantità di sedimenti che depositandosi parallelamente alla
costa le hanno confinate. A differenza dei laghi costieri queste zone fortemente
assoggettate all’azione delle maree.
L’IDROSFERA MARINA - LE ACQUE MARINE
Occupano la stragrande maggioranza della superficie del nostro pianeta, basti pensare
che il 71% della superficie terrestre è coperto da oceani o da mari e solo il restante
29% da terre emerse. Tuttavia gli oceani non sono distribuiti in modo omogeneo sul
globo: l’emisfero settentrionale è coperto in minor misura (circa 61%), mentre
l’emisfero meridionale in misura maggiore (circa 81%). Il confronto fra i tre grandi
oceani porta ad identificare l’oceano Pacifico come il più vasto, seguito dall’oceano
Atlantico e dall’oceano Indiano. Leggendo la curva ipsografica, la curva che mette in
relazione attraverso un sistema cartesiano le diverse quote della superficie terrestre e
l’area che si trova al di sopra della quota considerata, è possibile scoprire che la
profondità media degli oceani è di circa 3800 metri, mentre il punto più profondo è di
circa 11022 metri (Fossa delle Marianne). Ma come si presenta la terra sotto il mare?
Se immaginiamo di togliere tutta l’acqua contenuta nei mari e negli oceani ci
accorgiamo che esiste una topografia variegata, caratterizzata da rilievi, valli e
pianure. Studiando la carta dei fondali oceanici (fig.17) e la curva ipsografica emerge
che tutti gli oceani hanno un profilo comune.
fig.17 La carta dei fondali oceanici
Partendo da riva e procedendo verso il mare aperto sono visibili una piattaforma
continentale, una scarpata e un fondo oceanico (fig.18).
fig.18 Profilo
longitudinale
della piattaforma
continentale,
scarpata e
fondale oceanico
La piattaforma è il primo tratto compreso fra zero e 200 m. Essa è caratterizzata da
una debole pendenza e da una estensione variabile, maggiore nelle zone continentali
pianeggianti e minore nelle zone montuose. La scarpata è la zona compresa fra la
piattaforma e una profondità di 2000 m. Essa è caratterizzata da una forte pendenza e
una piccola estensione. Il fondo oceanico è la zona compresa fra la scarpata e una
profondità di 6000 m, e occupa la porzione più grande della superficie sottomarina. Le
fosse oceaniche sono depressioni che si trovano oltre i 6000 m di profondità e si
trovano al margine di rilievi emersi (isole) e sottomarini.
Il valore di salinità media è di 35g/l. NaCl è il maggior costituente fra i Sali disciolti
con una percentuale pari circa al 78%.
Le acque degli oceani sono in continuo movimento, ne sono esempio il moto ondoso,
le correnti e le maree. Il vento è il principale responsabile dell’attivazione del moto
ondoso; esso applicando una pressione sull’interfaccia mare-aria genera dapprima
delle piccole increspature che man mano aumentano in funzione dell’intensità del
vento e del fenomeno della risonanza fino a divenire onde (onde forzate). Tali onde
continuano a propagarsi arrivando anche in zone prive di vento (onde libere). Il moto
ondoso assume caratteristiche diverse se avviene in mare aperto o in vicinanza della
costa. Nel primo caso le onde non risentono dell’attrito col fondale e le onde che si
generano sono chiamate onde di oscillazione. In prossimità di un fondale invece si
generano le così dette onde di traslazione, che oltre alla semplice componente
oscillatoria consentono un trasporto trasversale di acqua rispetto alla linea di costa. In
prossimità della costa infatti l’onda nella porzione inferiore risulterà in ritardo a causa
dell’attrito con il fondale rispetto alla porzione superiore libera; il risultato sarà
un’onda che si rovescerà in avanti sotto forma di frangente di spiaggia. Le onde
modellano in questo modo la linea di costa, attraverso un’azione erosiva, la costa
infatti rappresenta il punto dove si incontrano mare e terraferma e dove il secondo
rappresenta un ostacolo. In una singola onda è possibile distinguere: la cresta, la
parte più rilevata, e il ventre, la parte più depressa, l’altezza, la distanza sulla
verticale tra cresta e ventre, la lunghezza, la distanza orizzontale tra due creste o due
ventri. Così come avviene per qualsiasi tipo di onda, da quella sonora a quella
elettromagnetica anche per studiare il moto ondoso è importante valutare alcuni
importanti parametri fra cui ricordiamo: la velocità di propagazione, lo spazio percorso
da un’onda nell’unità di tempo e il periodo, l’intervallo di tempo che intercorre fra due
passaggi consecutivi di una cresta o di un ventre.
Le maree sono oscillazioni periodiche del livello marino che corrispondono ad un
ritmico innalzamento (flusso) e abbassamento (riflusso) provocati dall’azione
gravitazionale della Luna e del Sole sulle masse d’acqua presenti sul pianeta Terra.
Tali oscillazioni avvengono due volte al giorno nelle quali la fase corrispondente al
massimo sollevamento prende il nome di alta marea, mentre quella corrispondente al
massimo abbassamento bassa marea. La differenza fra l’alta e la bassa marea prende
il nome di ampiezza di marea. Il movimento delle maree è molto complesso, in ogni
caso è possibile affermare che l’attrazione esercitata dalla Luna è di gran lunga più
influente rispetto a quella del Sole, nonostante la massa del Sole sia maggiore.
Pertanto le maree dipendono essenzialmente dai movimenti lunari. È importante
notare come l’alta marea presente in un punto del globo lo sia anche al suo antipodo e
ciò non è spiegabile con la sola attrazione Terra-Luna. Ciò che interviene oltre
all’attrazione lunare è la forza centrifuga dovuta al moto di rivoluzione del sistema
Terra Luna. Le zone di bassa marea sono situate a 90 gradi rispetto a quelle di alta
marea. Esistono due tipi di marea: le maree vive e quelle morte. Le maree vive sono
caratterizzate dalle massime ampiezze e si verificano quando Sole, Terra e Luna sono
allineati (Luna piena o Luna nuova). Le maree morte invece si presentano con minori
ampiezze e si hanno quando le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna formano un
angolo retto (Luna al primo o all’ultimo quarto). Nel corso di un mese le ampiezze
delle maree mutano a causa delle variazioni delle posizioni reciproche di Terra, Luna e
Sole.
Uno dei luoghi più famosi dove osservare questo straordinario fenomeno è la cittadina
di Mont Saint Michel nella costa settentrionale della Francia in cui si verificano delle
maree eccezionali (fig.19).
fig.19 La cittadina di Mont
San Michelle durante la
bassa marea
Un elemento determinante costituente gli oceani sono le correnti oceaniche,
spostamenti orizzontali di masse di acqua che possiedono caratteristiche, quali la
salinità e la temperatura, differenti dalle masse di acqua circostanti e mostrano una
velocità propria ed una direzione quasi costante. La circolazione oceanica è molto
complessa (fig.20) ed in questa lezione verrà trattata in maniera semplificata.
fig.20 La circolazione delle correnti oceaniche
Le correnti oceaniche sono influenzate dai venti e dalla morfologia dei bacini marini e
si distinguono in correnti orizzontali (superficiali e profonde) e verticali (ascendenti e
discendenti).
Le correnti marine superficiali sono formate dalle acque poco profonde (superiori a
200 metri) e sono principalmente influenzate dai venti. Tali correnti molto importanti
per la navigazione, in quanto la loro conoscenza permette di ridurre in termini di
tempo gli spostamenti via mare delle imbarcazioni; sono inoltre fondamentali per il
clima, in quanto insieme ai venti trasportano gran parte del calore dalle regioni che ne
hanno in eccesso a quelle che ne hanno in difetto. L’effetto mitigatore delle correnti
sul clima è ben noto: un esempio è la corrente Nord atlantica che rende più calde le
zone della Gran Bretagna e di gran parte dell’Europa nordoccidentale rispetto a quanto
ci si aspetta per quelle latitudini; allo stesso modo le correnti fredde mitigano alle
medie latitudini le zone tropicali. Se non ci fosse la rotazione terrestre vedremmo che
in entrambi gli emisferi in superficie un movimento costante di acque calde e tropicali
dirette verso le alte latitudini e in profondità un movimento di acque fredde verso
l’Equatore. La forza di Coriolis le devia dal loro percorso originario, e le correnti
tendono a formare dei circuiti chiusi nei singoli emisferi, in senso orario nell’emisfero
boreale e in senso antiorario in quello australe (fig.19). Le correnti verticali possono
essere causate dal vento, come ad esempio avviene nelle coste occidentali
dell’America, oppure da differenze di densità, come avviene in prossimità dei poli. Nel
primo caso si genera una corrente ascendente di acqua fredda e profonda ricca di
nutrienti diretta verso il largo quando un forte vento spira dal continente verso
l’oceano (upwelling), mentre si genera una corrente discendente (downwelling)
quando il vento spira dall’oceano verso il continente. Le correnti profonde si generano
a partire dalle correnti discendenti e sono formate da fredde e dense che corrono
orizzontalmente in profondità. Le correnti profonde si formano in prossimità
dell’Antartide e possono permanere in profondità anche per tempi molto lunghi dando
origine alla circolazione profonda (secondo il modello del nastro trasportatore).
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