Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 1 Capitolo 2 Nozioni di base 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 La notazione scientifica Nozioni fondamentali di algebra I sistemi di riferimento cartesiani Il concetto di funzione Proporzionalità diretta e inversa La misura degli angoli Richiami di trigonometria 2.1 La notazione scientifica Spesso, nella risoluzione di problemi di fisica, ci si trova a dover lavorare con numeri molto piccoli o molto grandi. Esempio: il raggio di un atomo di idrogeno è circa pari a 0,000.000.000.053 (m), mentre la distanza che separa la Terra dal Sole è di circa 150.000.000.000 (m). Poiché è assai scomodo effettuare operazioni matematiche con numeri a molte cifre, oltre che essere causa di frequenti errori di calcolo, in tutti questi casi è preferibile utilizzare un metodo alternativo di rappresentazione dei numeri: la notazione scientifica. La notazione scientifica, è una particolare notazione esponenziale o a virgola mobile. Essa consiste nel rappresentare il valore numerico di una grandezza fisica tramite un numero decimale, la cui parte intera è sempre compresa tra 1 e 9 eventualmente seguita da una parte decimale di più cifre, comunemente indicato come la parte significativa del numero, il tutto moltiplicato per una potenza in base 10 avente come esponente un numero intero relativo. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 2 Nozioni di base La notazione scientifica ha quindi la seguente struttura: Parte significativa · Base Esponente Esempio: Consideriamo il numero 2,51 · 10 - 4 • la parte significativa è costituita dal numero decimale 2,51; • la base è 10; • l’esponente è il numero intero relativo - 4. Con questo metodo di rappresentazione dei numeri le due distanze citate in precedenza possono essere rappresentate nel modo seguente: DH = 5,3 · 10 -11 (m); DS = 1,5 · 10 11 (m) Il valore dell’esponente ci dice di quanti posti dobbiamo spostare la virgola della parte significativa, a sinistra se è di segno negativo o a destra se è di segno positivo, per ottenere il corrispondente numero decimale. Esempio: 2,51 · 10 3 = 2.510; 2,51 · 10 -3 = 0,00251 La notazione scientifica semplifica molto i calcoli, tanto da permetterci di ricavare agevolmente il risultato di un'operazione matematica senza fare uso della calcolatrice, e con un'approssimazione in genere accettabile. OPERAZIONE DI ADDIZIONE E SOTTRAZIONE La somma di due esponenziali aventi stessa base e stesso esponente è pari ad un esponenziale che ha per esponente lo stesso esponente e per parte significativa la somma delle parti significative. Esempio: 2,3 · 10 2 + 0,2 · 10 2 = 2,5 · 10 2 Se gli esponenti sono diversi, occorre prima ridurre gli esponenziali agli stessi esponenti, quindi applicare la regola precedente. Esempio: 2,3 · 10 3 + 2,5 · 10 2 = 2,3 · 10 3 + 0,25 · 10 3 = 2,55 · 10 3 LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 3 OPERAZIONE DI MOLTIPLICAZIONE Il prodotto di due esponenziali è pari ad un esponenziale che ha per parte significativa il prodotto delle singole parti significative e per esponente la somma algebrica degli esponenti. Esempio: ( 2,5 · 10 2 ) · ( 2 · 10 3 ) = ( 2,5 · 2 ) ·10 (2+3) = 5,0 · 10 5 (5,1 · 10 3) · (2,2 · 10-2) = (5,1 · 2,2) · 10(3-2) = 11,22 · 10 1 OPERAZIONE DI DIVISIONE Il quoziente di due esponenziali è pari ad un esponenziale che ha per parte significativa il quoziente delle singole parti significative e per esponente la differenza degli esponenti. Esempio: 6 , 4 ⋅ 10 6 2 ⋅ 10 2 6 , 4 ⋅ 10 6 2 ⋅ 10 −2 = 6, 4 ⋅ 10 ( 6− 2) 2 = 3, 2 ⋅ 10 4 = 6, 4 ⋅ 10 ( 6+ 2) 2 = 3, 2 ⋅ 10 8 L'ELEVAMENTO A POTENZA La potenza n-esima di un esponenziale è pari ad un esponenziale che ha per parte significativa la potenza n-esima della parte significativa stessa e per esponente il prodotto degli esponenti. Esempio: (4 • 10 3 )2 = 4 2 • (10 3 )2 = 16 • 10 6 2.2 Nozioni fondamentali di algebra Primo principio di equivalenza dell'algebra Il primo principio di equivalenza dell'algebra afferma che addizionando o sottraendo una stessa quantità ad entrambi i membri di un'equazione, si ottiene un'equazione equivalente a quella iniziale. Esempio: 2 x + 4 = 10 è equivalente a pertanto otteniamo 2 x = 6 2 x + 4 - 4 = 10 -4 ; LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 4 Nozioni di base Applicazioni • In un'equazione è possibile trasportare un termine da un membro all'altro purché gli si cambi il segno. Esempio: da 2 x + 4 = 10 segue 2 x + 4 - 10 = 10 - 10 e quindi 2 x + 4 - 10 = 0, cioè 2 x - 6 = 0 • In una equazione si può eliminare uno stesso termine che compare in ambo i membri. Esempio: dall'equazione 2 x - 3 x + 4 = - 3 x + 10, semplificando il -3 x, otteniamo 2 x + 4 = 10 Secondo principio di equivalenza dell'algebra Il secondo principio di equivalenza dell'algebra afferma che moltiplicando o dividendo per una stessa quantità, diversa da zero, i due membri di un'equazione, si ottiene un'equazione equivalente a quella iniziale. Esempio: data l'equazione 3 x + 1 = 7 con radice x = 2 segue che anche ( 3 x + 1 ) · 3 = 7 · 3 ha come radice il valore x = 2 Applicazioni • In una equazione si può cambiare segno a tutti i termini in quanto ciò equivale a moltiplicare entrambi i membri per - 1. Esempio: l'equazione -2 x + 4 = -10 è equivalente all'equazione 2 x - 4 = 10 Proprietà riflessiva La proprietà riflessiva dell'uguaglianza afferma che scambiando il primo con il secondo membro di una uguaglianza, l'uguaglianza stessa non cambia. Esempio: se è a = b, segue che è anche b = a LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 5 Applicazione delle leggi dell'algebra In fisica succede spesso che, data un'equazione algebrica contenente una variabile incognita, assieme ad altre variabili note, occorre ricavare il valore della variabile incognita. In questo caso il problema consiste spesso nella risoluzione di un'equazione di primo grado nell'incognita cercata. Allora il problema si risolve ricavando la formula inversa che ci permette di esplicitare l'incognita, cioè di portarla a primo membro, isolandola da tutte le altre variabili. Esempio: Supponiamo di avere una qualunque equazione algebrica del tipo: a⋅b d ⋅ e = + g c f e supponiamo di voler ricavare l'incognita e, conoscendo il valore di tutte le altre variabili (grandezze fisiche). Innanzi tutto conviene portare l'incognita e a primo membro, cioè a sinistra dell'uguaglianza, utilizzando la proprietà riflessiva: d⋅e a⋅b + g= f c Quindi, per il primo principio dell'algebra, possiamo portare la variabile g a secondo membro cambiandogli il segno: d ⋅ e a⋅b = − g f c Ora, utilizzando il secondo principio dell'algebra, è possibile ricavare l'incognita e moltiplicando ambedue i f membri per e semplificando. Oppure, più d semplicemente, posiamo fare il seguente ragionamento: la grandezza fisica d, che moltiplica la e, passa al secondo membro, dove va a dividere; la grandezza fisica f, che divide la e, passa al secondo membro, dove va a moltiplicare. Pertanto la formula inversa cercata è la seguente: e= f a⋅ b ⋅ − g d c LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 6 Nozioni di base Nota: Quando spostiamo una grandezza fisica, o un numero, dal primo al secondo membro di un’equazione, o viceversa, occorre cambiare il tipo di operazione che andiamo ad effettuare su di essa: • il segno + diventa – ; • il segno – diventa + ; • il segno x diventa : ; • il segno : diventa x. Le cifre significative Abbiamo detto che una misura non è mai perfetta e che, per quanto ci sforziamo di migliorarla, essa è sempre affetta da una imprecisione dovuta alla presenza di errori accidentali e sistematici. Per cui quando dico che il raggio della Terra è di 6,37 · 10 6 metri, non intendo dire che la sua misura sia esattamente questa. Bensì con quel valore intendo dire che, entro i limiti dell’errore di misura, sono sufficientemente sicuro che la prima cifra decimale dopo la virgola, quindi il 3, sia certa, mentre l'ultima cifra decimale dopo la virgola, il 7, è una cifra incerta, pur essendo quella più vicina alla misura reale. Non conosco invece il valore effettivo delle cifre decimali successive In questo caso possiamo dire che il numero di cifre significative della misura riportata è pari a 3. Possiamo sintetizzare quanto detto affermando che: le cifre significative di una misura sono pari al numero di tutte le cifre certe della misura più la prima cifra incerta. Per ricavare il numero di cifre significative di una qualunque misura è conveniente innanzitutto trasformare la misura in notazione scientifica, quindi avvalersi della definizione seguente: Le cifre significative di un numero espresso in notazione scientifica, è pari al numero di cifre che costituiscono la sua parte significativa. Inoltre è importante osservare che nel calcolo delle cifre significative vanno conteggiati gli eventuali zeri che si trovano a destra della parte significativa del numero, mentre non vanno conteggiati gli zeri presenti alla sua sinistra. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 7 Esempio: la distanza media della Terra dal Sole è circa 1,5 · 10 11 metri; il numero di cifre significative è pari a 2. Se avessi scritto 1,50 · 10 11 metri il numero di cifre significative sarebbero state 3, in quanto lo zero presente nella parte significativa del numero ci indica che la misura è stata effettuata con uno strumento di misura avente una sensibilità maggiore del precedente. Analogamente, se affermo che il tempo impiegato dalla luce del Sole per arrivare sulla Terra è di circa 5·10 2 secondi, il dato viene fornito con una sola cifra significativa. Quando si effettuano operazioni tra misure, occorre tenere presenti alcune regole fondamentali per determinare il numero di cifre significative da attribuire al risultato. Addizione e sottrazione di misure Innanzitutto occorre valutare, tra tutte le misure da sommare e sottrarre, quale sia la misura avente il minor numero di cifre significative. Quindi si fa in modo che ciascuna misura abbia un numero di cifre decimali uguale a quello della misura precedentemente individuata. Esempio. Vogliamo effettuare la seguente somma: 4,275 m + 2,56 m La misura 4,275 m contiene 4 cifre significative; la misura 2,56 m contiene 3 cifre significative. Il numero di cifre decimali da prendere in considerazione è quello della misura avente il minor numero di cifre significative: 2,56 m. Pertanto, fatte le dovute approssimazioni per eccesso o per difetto, otteniamo: 4,275 m + 2,56 m = 4,28 m + 2,56 m = 6,84 m Moltiplicazione di una misura per un numero Questo è il caso più semplice, in quanto il risultato dell'operazione deve avere lo stesso numero di cifre significative della misura di partenza. Esempio. Vogliamo effettuare il seguente prodotto: 15 · 9,36 m Poiché la misura ha 3 cifre significative, anche il risultato deve avere 3 cifre significative: 15 · 9,36 m = 140,4 m = 140 m LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 8 Nozioni di base Moltiplicazione e divisione di misure Il numero di cifre significativo del risultato dell'operazione deve essere lo stesso di quello della misura avente il minor numero di cifre significative. Esempio. Vogliamo effettuare il seguente calcolo percentuale: 0,05 m ⋅100 15,75 m Il minor numero di cifre significative è quello relativo alla misura 0,05 m. Poiché questa misura ha una sola cifra significativa, il risultato dell'operazione deve anch'esso avere una sola cifra significativa: 0,05 m ⋅100 = 0,317 % = 0,3 % 15,75 m L'ordine di grandezza L'ordine di grandezza di un numero espresso in notazione scientifica è uguale alla potenza in base 10 più vicina al numero assegnato. Per definire correttamente l’ordine di grandezza di una misura occorre innanzitutto analizzare la parte significativa del numero, approssimandola all’intero più vicino: • se la cifra così ottenuta è un numero da 0 a 4 l’ordine di grandezza è pari alla potenza in base 10 avente per esponente lo stesso esponente assegnato, che pertanto resta invariato; • se la cifra così ottenuta è un numero da 5 a 9 l’ordine di grandezza è pari alla potenza in base 10 avente per esponente il valore approssimato per eccesso, cioè aumentato di una unità . Esempi: − La distanza Terra Luna è circa 3,9 · 108 (m). La parte significativa della misura (il valore 3,9) può essere approssimata all’intero 4. Pertanto l'ordine di grandezza è 108 metri. − Il raggio della Terra è di 6,37 · 106 (m). La parte significativa della misura (il numero 6,37) è approssimabile a 6. Poiché questo numero è compreso nell'intervallo da 5 a 9, dobbiamo aumentare di una unità il valore dell'esponente. Ne consegue che l'ordine di grandezza della misura è di 107 metri. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 9 2.3 I sistemi di riferimento cartesiani Per poter individuare la posizione di un punto su di una retta, su un piano, o nello spazio, è necessario servirci di un sistema di riferimento. Un sistema di riferimento è un sistema costituito da uno o più assi coordinati, su ciascuno dei quali è stata definita una unità di misura per la lunghezza dei segmenti, rispetto a cui possiamo definire, istante per istante, la posizione occupata da un punto. Un sistema di riferimento cartesiano può essere: • unidimensionale; • bidimensionale; • tridimensionale. Un sistema di riferimento unidimensionale è costituto da una linea retta orientata R su cui fissiamo un punto arbitrario O, in modo da dividere la retta in due semirette di origine O, e una unità di misura u, come mostrato nella figura 2.1. Figura 2.1 Sistema di riferimento cartesiano unidimensionale. In questo caso la posizione del punto P è individuata dal valore dell'ascissa ad essa corrispondente ed è espressa simbolicamente con la seguente notazione: P ( x ), dove x appartiene all'insieme ℝ dei numeri reali. Si stabilisce così una corrispondenza biunivoca (o biiezione) tra ciascun punto P della retta R e ciascun valore x dell'insieme dei numeri reali ℝ . Esempio: dalla figura 2.1 risulta che il punto P ha ascissa 4. Pertanto la posizione del punto P si indica con: P(4). LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 10 Nozioni di base Un sistema di riferimento bidimensionale è costituto da un sistema di due assi coordinati cartesiani ortogonali orientati x e y, con origine nel punto O, chiamati rispettivamente asse delle ascisse e asse delle ordinate, a ciascuno dei quali si associa una unità di misura ux e uy ; vedi figura 2.2. Figura 2.2 Sistema di riferimento bidimensionale. cartesiano ortogonale La proiezione ortogonale di un punto P sull’asse delle x è il punto P' di intersezione dell’asse x con la retta r passante per P e perpendicolare all’asse x. In modo analogo si ottiene la proiezione ortogonale del punto P sull'asse y. La posizione di un punto P su un piano cartesiano è individuato univocamente da una coppia di numeri reali x e y ottenuti effettuando la proiezione ortogonale del punto P rispettivamente sull'asse delle ascisse e sull'asse delle ordinate. Tale posizione viene espressa simbolicamente con la seguente notazione: P ( x ; y ). Si stabilisce così una corrispondenza biunivoca (o biiezione) tra ciascun punto P del piano p e ciascuna coppia di numeri reali (x; y) appartenenti all'insieme prodotto cartesiano ℝ2 . Esempio: dalla figura 2.2 risulta che il punto P ha come proiezione sull'asse delle ascisse il valore 3 e sull'asse delle ordinate il valore 2. Quindi la posizione del punto P è determinata univocamente dalla coppia di numeri reali 3 e 2. Questo fatto si esprime dicendo che le coordinate di P sono rispettivamente x = 3 e y = 2 e la rappresentazione simbolica del punto è la seguente: P ( 3 ; 2 ). LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 11 Un sistema di riferimento tridimensionale è costituito da un sistema di tre assi coordinati cartesiani ortogonali orientati x, y e z, con origine nel punto O, a ciascuno dei quali si associa una unità di misura ux , uy , e uz ; vedi figura 2.3. Figura 2.3 Sistema di riferimento cartesiano ortogonale tridimensionale. La posizione del punto P in un sistema di riferimento cartesiano ortogonale tridimensionale, quindi nello spazio a tre dimensioni, è individuato univocamente da tre numeri razionali x, y e z ottenuti effettuando la proiezione ortogonale del punto P rispettivamente sull'asse x, sull'asse y e sull'asse z. Tale posizione viene espressa simbolicamente con la seguente notazione: P ( x ; y ; z ). Anche in questo caso si stabilisce una corrispondenza biunivoca (o biiezione) tra ciascun punto P dello spazio S e ciascuna tripletta di numeri reali (x; y; z) appartenenti all'insieme prodotto cartesiano ℝ3 . Esempio: dalla figura 2.3 risulta che il punto P ha come proiezione sull'asse x il valore 2, sull'asse y il valore 3 e sull'asse z il valore 4. Quindi la posizione del punto P è determinata univocamente da un insieme di tre numeri. Questo fatto si esprime dicendo che le coordinate di P sono rispettivamente 2, 3 e 4 e la rappresentazione simbolica del punto è la seguente: P ( 2 ; 3 ; 4 ). LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 12 Nozioni di base 2.4 Il concetto di funzione In fisica ci troviamo spesso a dover lavorare con delle variabili, ovvero con delle grandezze fisiche che possono assumere valori diversi a seconda della posizione e dell'istante in cui esse vengono misurate. Le variabili possono essere di due tipi: • indipendenti; • e dipendenti. Una variabile si dice indipendente quando essa può essere espressa da un qualsiasi numero, scelto arbitrariamente tra quelli appartenenti ad un determinato insieme I. Esempio: 3, 8, e 15,3 sono variabili indipendenti dell'insieme dei numeri reali ℝ . Una variabile si dice dipendente quando il suo valore numerico dipende dal valore assunto da una o più variabili indipendenti. In particolare quando i valori assunti dalla variabile y dipendono dai valori di un'altra variabile x, si dice che y è funzione di x; ciò si indica simbolicamente nel modo seguente: y=f(x) (2.1) e si legge: y è uguale a effe di x. In questa funzione, la x è la variabile indipendente, in quanto essa può assumere qualsiasi valore numerico appartenente all'intervallo I definito in ℝ , mentre la y è la variabile dipendente, in quanto il suo valore dipende da quello assegnato alla variabile x ed è esso stesso appartenente all'intervallo I dell'insieme ℝ . Con la lettera f si intende invece l'insieme delle operazioni che, applicate alla variabile indipendente x, ci permettono di ricavare il corrispondente valore della variabile dipendente y. Esempio: data la funzione del tipo y = f ( x ), ad esempio y = 5 x + 3, possiamo constatare come ad ogni valore assunto dalla variabile indipendente x corrisponda uno e un solo valore della variabile dipendente y. Non sempre, però, ad un valore della variabile indipendente corrisponde un solo valore della variabile dipendente. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 13 Una funzione si dice univoca o monodroma quando a ciascun valore della variabile indipendente corrisponde uno e un solo valore della variabile dipendente, e viceversa. Una funzione si dice, invece, polidroma quando a ciascun valore della variabile indipendente corrispondono più valori della variabile dipendente, e viceversa. La funzione inversa della funzione y = f ( x ) è quella funzione che ad ogni valore della variabile y fa corrispondere il relativo valore della variabile x; essa si indica nel modo seguente: x = f -1 ( y ) (2.2) e si legge: x uguale a effe alla meno uno di y. Esempio: la funzione inversa della funzione y = 3 x - 2 è la seguente: x= 1 3 y+ 2 3 L'intervallo di definizione di una funzione è l'insieme dei valori di x per i quali le operazioni fissate dalla funzione f sono ben definite. Esempio: data la funzione y = x − 6 essa ha delle soluzioni reali solo per valori di x ≥ 6 . Infatti nel campo dei numeri reali non esiste la radice quadrata di un numero minore di zero. Allora si dice che l'intervallo di definizione della suddetta funzione è dato da x ≥ 6. Le funzioni lineari sono tutte le funzioni che possono essere rappresentate in un grafico cartesiano mediante una retta. Esse sono dette anche funzioni di primo grado in quanto l'esponente della variabile indipendente x è sempre 1. Esempio: una funzione del tipo y = 2 x + 3 è una funzione lineare, infatti l'esponente della x è 1 e la sua rappresentazione grafica è una retta. Le funzioni, da un punto di vista fisico, possono essere suddivise in due grandi categorie: • matematiche; • empiriche. Le funzioni matematiche sono tutte quelle funzioni esprimibili tramite formule matematiche. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 14 Nozioni di base Le funzioni empiriche sono quelle funzioni in cui il valore della variabile dipendente può essere determinato solo in base all'osservazione e all'esperienza. Esempio: la funzione y = 3 x + 7 è una funzione matematica. Al contrario, la valutazione del peso di una persona in rapporto all'età si può effettuare solo in base all'osservazione di più individui; comunque non è possibile individuare una funzione matematica valida in tutti i casi, ma solo una funzione empirica, dettata dall'esperienza. Le funzioni matematiche possono essere: • crescenti; • decrescenti. Una funzione è crescente quando, all'aumentare del valore della variabile indipendente, aumenta anche il valore della variabile dipendente. Esempio: nella funzione y = 3 x all'aumentare di x aumenta anche y. Una funzione è decrescente quando, all'aumentare del valore della variabile indipendente, il valore della variabile dipendente decresce. Esempio: nella funzione y = - 3 x, il valore di y decresce all'aumentare di x. 2.5 Proporzionalità diretta e inversa Due grandezze fisiche, l'una funzione dell'altra, possono essere tra loro: • direttamente proporzionali; • inversamente proporzionali. Due grandezze fisiche sono direttamente proporzionali quando il loro rapporto è costante: y = cos t x (2.3) In questo caso, la rappresentazione grafica della funzione y =f (x) è data da una retta uscente dall'origine delle coordinate e di equazione y = m x ; vedi figura 2.4. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 15 Figura 2.4 Diagramma cartesiano relativo a una relazione di proporzionalità diretta. Il valore della pendenza della retta rispetto all'asse x, dato dal rapporto y/x, è detto coefficiente angolare della retta e viene indicato con la lettera m. Esempio: nella funzione y = 25 x, la variabile y è direttamente proporzionali alla x , infatti il rapporto y x è costante e pari a 25. C'è da notare inoltre che al crescere del valore della variabile x cresce anche il valore della y e che il valore del coefficiente angolare della retta è proprio m = 25. Nel caso più generale di una retta generica, non passante per l’origine, l’equazione della retta contiene un coefficiente q che rappresenta il valore in corrispondenza del quale la retta interseca l'asse delle ordinate, in altre parole l’ordinata del punto di intersezione della retta con l’asse y. In questo caso l'equazione esplicita della retta generica è del tipo seguente: y=m x+q (2.4) e la relazione esistente tra le variabili x e y non è più di proporzionalità diretta, bensì una relazione di linearità. Due grandezze sono inversamente proporzionali quando il loro prodotto è costante: x⋅y =k (2.5) LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 16 Nozioni di base In questo caso l'equazione esplicita della retta generica è del tipo seguente: k y= (2.6) x Mentre la rappresentazione grafica è una curva chiamata iperbole equilatera, vedi figura 2.5. Essa è caratterizzata dal fatto che per piccoli valori di x la curva si avvicina sempre più all'asse y, mentre per grandi valori di x si avvicina sempre più all'asse x. Esempio: nella funzione y = 25 , x la variabile y è inversamente proporzionali alla x, infatti il prodotto y x è costante e pari a 25. Ciò significa, anche, che all'aumentare del valore della variabile x il valore di y decresce. Figura 2.5 Diagramma cartesiano relativo a una relazione di proporzionalità inversa. 2.6 La misura degli angoli L'angolo è una grandezza fisica supplementare che, a seconda se sia riferito al piano o allo spazio, può essere di due tipi: • angolo piano; • angolo solido. In ambedue i casi il vertice dell'angolo è l'origine dell'angolo stesso. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 17 L’angolo piano è definito come una parte di piano compresa tra due semirette aventi la stessa origine. L'angolo giro esprime la rotazione completa che una semiretta deve compiere intorno alla sua origine per tornare nella sua posizione di partenza, ed è definito come l'angolo concavo che ha i lati coincidenti. In fisica ci si trova spesso a dover operare con figure geometriche piane o spaziali costituite dall'insieme di due o più segmenti di retta la cui intersezione dà origine ad un angolo. In tutti questi casi la misura dell'angolo ci permette di individuare in modo univoco lo spazio compreso tra le due semirette prese in considerazione e aventi l'origine in comune. Gli angoli possono essere misurati in: • gradi sessagesimali; • gradi decimali; • radianti. La misura degli angoli in gradi sessagesimali Nella misura degli angoli in gradi sessagesimali l'angolo giro viene suddiviso in 360 parti uguali, ciascuna delle quali ha ampiezza pari ad un grado. Il grado viene a sua volta suddiviso in 60 parti uguali, ciascuna delle quali ha ampiezza di un primo. Ciascun primo viene poi suddiviso in 60 secondi. Pertanto possiamo dare le seguenti definizioni: • un grado sessagesimale è la trecentosessantesima parte dell'angolo giro, e si indica con 1 ° ; • un primo è la sessantesima parte del grado, e si indica con 1 ' ; • un secondo è la sessantesima parte del primo, e si indica con 1 ''. Casi particolari di angoli sessagesimali sono: • l'angolo retto, che misura 90 °; • l'angolo piatto, che misura 180 °; • l'angolo giro, che misura 360°. La misura degli angoli in gradi decimali Nella misura degli angoli in gradi decimali l'angolo giro viene suddiviso in 360 parti uguali, ciascuna delle quali ha ampiezza pari ad un grado. Il grado viene a sua volta suddiviso in decimi, centesimi e millesimi, secondo la normale rappresentazione decimale dei numeri reali. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 18 Nozioni di base Nelle calcolatrici scientifiche l'utilizzo dei gradi decimali viene attivato tramite la selezione dell'opzione «DEG». Esempio: l’angolo sessagesimale α = 60° 30’ corrisponde all’angolo decimale 60,5 (deg). Spesso è necessario convertire un angolo espresso in gradi sessagesimali in uno espresso in gradi decimali. Per fare ciò basta ricordare che ciascun grado è costituito da sessanta primi ciascuno dei quali, a sua volta è costituito da sessanta secondi. Quindi: ' ' ' deg =° (2.7) 60 60⋅60 Esempio: Trasformare l’angolo sessagesimale α = 30° 45’ 15'' in gradi decimali. 45 ' 15' ' =30 ° =30,7542 deg 60 60⋅60 La misura degli angoli in radianti Effettuare operazioni matematiche con gli angoli sessagesimali è alquanto complicato in quanto si tratta di una grandezza in base sessanta, e non in base dieci. Per ovviare a tale inconveniente è stata definita una nuova unità di misura per gli angoli: il radiante, il cui simbolo è il rad. Per poter definire il radiante occorre considerare un sistema di riferimento cartesiano ortogonale e tracciare, con centro nell'origine O del sistema, una circonferenza di raggio unitario detta anche cerchio goniometrico, vedi figura 2.6. Figura 2.6 Cerchio goniometrico. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 19 L'origine dell'arco è il punto A di intersezione del cerchio goniometrico con l'asse delle ascisse. Un punto P che si muove sulla circonferenza può percorrerla sia in verso antiorario, detto anche sinistrorso o positivo, sia in verso orario, detto anche destrorso o negativo. L'estremo dell'arco è la posizione raggiunta dal punto P al termine della sua rotazione lungo il cerchio goniometrico. Si definisce radiante l'angolo piano al centro che intercetta, sulla circonferenza, un arco di cerchio la cui lunghezza è uguale a quella del raggio del cerchio. Se andiamo a calcolare quante volte il raggio r del cerchio entra nell'intera lunghezza della sua circonferenza C, otteniamo un valore costante, convenzionalmente indicato con la notazione 2π, pari a circa 6,28 volte. Ciò vuol dire che il raggio del cerchio è contenuto 6,28 volte nella lunghezza dell'intera circonferenza C e che, pertanto, il valore della costante π è pari a 3,14: C r = 2 π = 2 · 3,14 = 6,28 (2.8) Per convertire la misura di un angolo da gradi decimali a radianti e viceversa, possiamo impostare la seguente proporzione: 360 (deg) : 2 π (rad) = α (deg) : β (rad) (2.9) (leggi: α alfa e β beta). Pertanto si ha che: 360 deg deg = 2 rad rad e quindi: deg 180 deg = rad rad Pertanto per trasformare una misura da gradi sessagesimali in radianti usiamo la seguente formula: rad = ⋅deg (2.10) 180 e per trasformare una misura da radianti in gradi sessagesimali usiamo quest'altra formula: 180 deg = ⋅rad (2.11) LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 20 Nozioni di base Esempio: trasformare 60 ° 30 ' in radianti. Trasformiamo prima i 30' in una frazione di grado utilizzando la proporzione: α ' : 60 ' = β° : 1° da cui β ° = 1° 30 ' ' = = = 0,5 °. 60' 60 60' Otteniamo così che 60° 30 ' = 60,5 (deg). Quindi trasformando i gradi in radianti otteniamo: 3,14⋅60,5 ⋅deg = =1,055 rad α = 180 180 2.7 Richiami di trigonometria La trigonometria è una branca della matematica che studia le relazioni che intercorrono tra i lati e gli angoli di un triangolo. Nel caso particolare di un triangolo rettangolo queste relazioni sono particolarmente semplici da utilizzare. Immaginiamo di avere un triangolo rettangolo di cui conosciamo solo la lunghezza di un lato e la misura di uno dei suoi angoli. Come possiamo fare per ricavare la lunghezza di tutti i suoi lati senza essere costretti a misurarli uno per uno? Questo è proprio uno dei casi in cui la trigonometria si dimostra indispensabile per la risoluzione del problema. Inoltre, la conoscenza delle nozioni di base di trigonometria ci permette di utilizzare le funzioni trigonometriche implementate nelle calcolatrici scientifiche, tramite l'utilizzo dei tasti [sin] [cos] [tan]. Le funzioni trigonometriche Nello studio della trigonometria piana ci si serve del cerchio trigonometrico, vale a dire di un cerchio di raggio unitario suddiviso in quattro quadranti numerati da 1 a 4, partendo da quello in alto a destra e procedendo in senso antiorario; vedi figura 2.7. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 21 Figura 2.7 Cerchio trigonometrico Gli angoli si misurano a partire dall'asse x del primo quadrante e procedendo sempre in senso antiorario verso il secondo, terzo e quarto quadrante. Il triangolo OAB è un triangolo rettangolo di cui conosciamo l'angolo α e la lunghezza della sua ipotenusa OB = i = 1. L'angolo α può variare tra i seguenti valori: 0 ≤ α ≤ 360 ° oppure 0 ≤ α ≤ 2 π (rad) Nel triangolo OAB i rapporti tra i due cateti o tra un cateto e l'ipotenusa dipendono solo dalle dimensioni dell'angolo α e prendono il nome di seno, coseno, tangente e cotangente dell'angolo α. La definizione delle principali funzioni trigonometriche è la seguente: AB h = =sen OB i (leggi: seno di α); (2.12) OA b = =cos OB i (leggi: coseno di α); (2.13) AB h =CD= =tg OA b (leggi: tangente di α); (2.14) OA =EF =cotg AB (leggi: cotangente di α). (2.15) LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma II 22 Nozioni di base Da queste definizioni segue che: sen cos tg α = (2.16) e cotg α = cos sen (2.17) I valori assunti dalle funzioni trigonometriche al variare dell'angolo α possono essere ricavati da opportune "Tavole dei valori delle funzioni trigonometriche" reperibili in qualsiasi libro di trigonometria. In alternativa, e molto più semplicemente, è possibile utilizzare una calcolatrice scientifica che disponga delle funzioni trigonometriche. Per particolari valori dell'angolo α è facile ricordare a memoria i valori assunti dalle rispettive funzioni trigonometriche. Per maggiore comodità riportiamo tali valori nella seguente tabella: α° 0 30 45 60 90 180 270 360 α (rad) 0 6 4 3 2 π 3 2 2 sen 0 ½ 2 /2 =0,707 3/ 2 =0,866 1 0 -1 0 cos 1 3/ 2 =0,866 2 /2 =0,707 ½ 0 -1 0 1 tg 0 3/3 1 3 ∞ 0 −∞ 0 =0,577 Esempio: sin 30 = 1/2 cos 30 = 3 2 =1,732 cos 45 = 2 2 cos 0 = 1 tg 60 = 3 sin 0 = 0 Triangolo rettangolo In un triangolo rettangolo, nota la lunghezza dei due cateti a e b, è sempre possibile ricavare la lunghezza dell'ipotenusa l tramite l'applicazione del teorema di Pitagora: l = a 2b 2 (2.18) Nel caso in cui conoscessimo la lunghezza di un lato del triangolo e l'ampiezza di un angolo adiacente all'ipotenusa dovremmo applicare le formule trigonometriche viste in precedenza; vedi figura 2.8. LS «G. GIORGI» – Roma – A. S. 2010/2011 – Prof. Emilio Anella – LS «G. GIORGI» – Roma Interventi didattici integrativi Appunti di Fisica II 23 Figura 2.8 Triangolo rettangolo Ricordiamo alcune regole valide per un triangolo rettangolo: • uno degli angoli misura 90 °; • la somma degli angoli interni è sempre uguale a 180 °; • se un angolo acuto misura α l'altro misurerà 90 - α. Inoltre valgono le seguenti definizioni: h = sin a da cui segue h = l · sin α e l b = cos α da cui segue b = l · cos α e l h = tg α da cui segue h = b · tg α e b h ; sin α b l= ; cos α h b= . tg α l= Esempio: un triangolo rettangolo ha l'ipotenusa l = 4,00 (m) e un angolo di 30 °. Calcolare la misura dei cateti e degli angoli. Calcoliamo innanzitutto la lunghezza della base: b = l · cos α = 4,00·cos30= 4,00· 3 2 = 4·0,866 = 3,46 (m) L'altezza è: h = l · sin α = 4,00 · sin 30 = 4 · 1/2 = 2,00 (m) Inoltre l'angolo β , opposto ad α , è uguale a: β = 90 - α = 90 - 30 = 60 ° LS «G. GIORGI» – Roma – A. 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