Interventi didattici integrativi
Appunti di Fisica
II
1
Capitolo 2
Nozioni di base
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
La notazione scientifica
Nozioni fondamentali di algebra
I sistemi di riferimento cartesiani
Il concetto di funzione
Proporzionalità diretta e inversa
La misura degli angoli
Richiami di trigonometria
2.1 La notazione scientifica
Spesso, nella risoluzione di problemi di fisica, ci si trova a dover
lavorare con numeri molto piccoli o molto grandi.
Esempio: il raggio di un atomo di idrogeno è circa pari a
0,000.000.000.053 (m), mentre la distanza che separa la
Terra dal Sole è di circa 150.000.000.000 (m).
Poiché è assai scomodo effettuare operazioni matematiche con
numeri a molte cifre, oltre che essere causa di frequenti errori di
calcolo, in tutti questi casi è preferibile utilizzare un metodo
alternativo di rappresentazione dei numeri: la notazione scientifica.
La notazione scientifica, è una particolare notazione esponenziale
o a virgola mobile. Essa consiste nel rappresentare il valore numerico
di una grandezza fisica tramite un numero decimale, la cui parte
intera è sempre compresa tra 1 e 9 eventualmente seguita da una parte
decimale di più cifre, comunemente indicato come la parte
significativa del numero, il tutto moltiplicato per una potenza in base
10 avente come esponente un numero intero relativo.
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Nozioni di base
La notazione scientifica ha quindi la seguente struttura:
Parte significativa · Base
Esponente
Esempio: Consideriamo il numero 2,51 · 10 - 4
• la parte significativa è costituita dal numero decimale 2,51;
• la base è 10;
• l’esponente è il numero intero relativo - 4.
Con questo metodo di rappresentazione dei numeri le due distanze
citate in precedenza possono essere rappresentate nel modo seguente:
DH = 5,3 · 10 -11 (m);
DS = 1,5 · 10 11 (m)
Il valore dell’esponente ci dice di quanti posti dobbiamo spostare
la virgola della parte significativa, a sinistra se è di segno negativo o a
destra se è di segno positivo, per ottenere il corrispondente numero
decimale.
Esempio: 2,51 · 10 3 = 2.510;
2,51 · 10 -3 = 0,00251
La notazione scientifica semplifica molto i calcoli, tanto da
permetterci di ricavare agevolmente il risultato di un'operazione
matematica senza fare uso della calcolatrice, e con
un'approssimazione in genere accettabile.
OPERAZIONE DI ADDIZIONE E SOTTRAZIONE
La somma di due esponenziali aventi stessa base e stesso esponente
è pari ad un esponenziale che ha per esponente lo stesso esponente e
per parte significativa la somma delle parti significative.
Esempio: 2,3 · 10 2 + 0,2 · 10 2 = 2,5 · 10 2
Se gli esponenti sono diversi, occorre prima ridurre gli
esponenziali agli stessi esponenti, quindi applicare la regola
precedente.
Esempio: 2,3 · 10 3 + 2,5 · 10 2 = 2,3 · 10 3 + 0,25 · 10 3 = 2,55 · 10 3
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OPERAZIONE DI MOLTIPLICAZIONE
Il prodotto di due esponenziali è pari ad un esponenziale che ha
per parte significativa il prodotto delle singole parti significative e per
esponente la somma algebrica degli esponenti.
Esempio: ( 2,5 · 10 2 ) · ( 2 · 10 3 ) = ( 2,5 · 2 ) ·10 (2+3) = 5,0 · 10 5
(5,1 · 10 3) · (2,2 · 10-2) = (5,1 · 2,2) · 10(3-2) = 11,22 · 10 1
OPERAZIONE DI DIVISIONE
Il quoziente di due esponenziali è pari ad un esponenziale che ha
per parte significativa il quoziente delle singole parti significative e
per esponente la differenza degli esponenti.
Esempio:
6 , 4 ⋅ 10 6
2 ⋅ 10
2
6 , 4 ⋅ 10 6
2 ⋅ 10
−2
=
6, 4
⋅ 10 ( 6− 2)
2
= 3, 2 ⋅ 10 4
=
6, 4
⋅ 10 ( 6+ 2)
2
= 3, 2 ⋅ 10 8
L'ELEVAMENTO A POTENZA
La potenza n-esima di un esponenziale è pari ad un esponenziale
che ha per parte significativa la potenza n-esima della parte
significativa stessa e per esponente il prodotto degli esponenti.
Esempio: (4 • 10 3 )2 = 4 2 • (10 3 )2 = 16 • 10 6
2.2
Nozioni fondamentali di algebra

Primo principio di equivalenza dell'algebra
Il primo principio di equivalenza dell'algebra afferma che
addizionando o sottraendo una stessa quantità ad entrambi i
membri di un'equazione, si ottiene un'equazione equivalente a quella
iniziale.
Esempio: 2 x + 4 = 10
è equivalente a
pertanto otteniamo 2 x = 6
2 x + 4 - 4 = 10 -4 ;
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Nozioni di base
Applicazioni
•
In un'equazione è possibile trasportare un termine da un
membro all'altro purché gli si cambi il segno.
Esempio: da 2 x + 4 = 10 segue 2 x + 4 - 10 = 10 - 10 e quindi
2 x + 4 - 10 = 0, cioè 2 x - 6 = 0
•
In una equazione si può eliminare uno stesso termine che
compare in ambo i membri.
Esempio: dall'equazione 2 x - 3 x + 4 = - 3 x + 10, semplificando il
-3 x, otteniamo 2 x + 4 = 10

Secondo principio di equivalenza dell'algebra
Il secondo principio di equivalenza dell'algebra afferma che
moltiplicando o dividendo per una stessa quantità, diversa da zero, i
due membri di un'equazione, si ottiene un'equazione equivalente a
quella iniziale.
Esempio: data l'equazione 3 x + 1 = 7 con radice x = 2 segue che
anche ( 3 x + 1 ) · 3 = 7 · 3 ha come radice il valore x = 2
Applicazioni
•
In una equazione si può cambiare segno a tutti i termini in
quanto ciò equivale a moltiplicare entrambi i membri per - 1.
Esempio: l'equazione -2 x + 4 = -10 è equivalente all'equazione
2 x - 4 = 10
Proprietà riflessiva
La proprietà riflessiva dell'uguaglianza afferma che scambiando il
primo con il secondo membro di una uguaglianza, l'uguaglianza stessa
non cambia.
Esempio: se è a = b, segue che è anche b = a
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Applicazione delle leggi dell'algebra
In fisica succede spesso che, data un'equazione algebrica
contenente una variabile incognita, assieme ad altre variabili note,
occorre ricavare il valore della variabile incognita.
In questo caso il problema consiste spesso nella risoluzione di
un'equazione di primo grado nell'incognita cercata. Allora il problema
si risolve ricavando la formula inversa che ci permette di esplicitare
l'incognita, cioè di portarla a primo membro, isolandola da tutte le
altre variabili.
Esempio: Supponiamo di avere una qualunque equazione algebrica
del tipo:
a⋅b d ⋅ e
=
+ g
c
f
e supponiamo di voler ricavare l'incognita e, conoscendo il
valore di tutte le altre variabili (grandezze fisiche).
Innanzi tutto conviene portare l'incognita e a primo
membro, cioè a sinistra dell'uguaglianza, utilizzando la
proprietà riflessiva:
d⋅e
a⋅b
+ g=
f
c
Quindi, per il primo principio dell'algebra, possiamo
portare la variabile g a secondo membro cambiandogli il
segno:
d ⋅ e a⋅b
=
− g
f
c
Ora, utilizzando il secondo principio dell'algebra, è
possibile ricavare l'incognita e moltiplicando ambedue i
f
membri per
e semplificando. Oppure, più
d
semplicemente, posiamo fare il seguente ragionamento: la
grandezza fisica d, che moltiplica la e, passa al secondo
membro, dove va a dividere; la grandezza fisica f, che
divide la e, passa al secondo membro, dove va a
moltiplicare.
Pertanto la formula inversa cercata è la seguente:
e=
f  a⋅ b

⋅
− g
d  c

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Nozioni di base
Nota:
Quando spostiamo una grandezza fisica, o un numero, dal
primo al secondo membro di un’equazione, o viceversa,
occorre cambiare il tipo di operazione che andiamo ad
effettuare su di essa:
• il segno + diventa – ;
• il segno – diventa + ;
• il segno x diventa : ;
• il segno : diventa x.

Le cifre significative
Abbiamo detto che una misura non è mai perfetta e che, per
quanto ci sforziamo di migliorarla, essa è sempre affetta da una
imprecisione dovuta alla presenza di errori accidentali e sistematici.
Per cui quando dico che il raggio della Terra è di 6,37 · 10 6 metri,
non intendo dire che la sua misura sia esattamente questa. Bensì con
quel valore intendo dire che, entro i limiti dell’errore di misura, sono
sufficientemente sicuro che la prima cifra decimale dopo la virgola,
quindi il 3, sia certa, mentre l'ultima cifra decimale dopo la virgola, il
7, è una cifra incerta, pur essendo quella più vicina alla misura reale.
Non conosco invece il valore effettivo delle cifre decimali successive
In questo caso possiamo dire che il numero di cifre significative
della misura riportata è pari a 3.
Possiamo sintetizzare quanto detto affermando che:
 le cifre significative di una misura sono pari al
numero di tutte le cifre certe della misura più la
prima cifra incerta.
Per ricavare il numero di cifre significative di una qualunque
misura è conveniente innanzitutto trasformare la misura in
notazione scientifica, quindi avvalersi della definizione seguente:
 Le cifre significative di un numero espresso in
notazione scientifica, è pari al numero di cifre che
costituiscono la sua parte significativa.
Inoltre è importante osservare che nel calcolo delle cifre
significative vanno conteggiati gli eventuali zeri che si trovano a
destra della parte significativa del numero, mentre non vanno
conteggiati gli zeri presenti alla sua sinistra.
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Esempio: la distanza media della Terra dal Sole è circa 1,5 · 10 11
metri; il numero di cifre significative è pari a 2.
Se avessi scritto 1,50 · 10 11 metri il numero di cifre
significative sarebbero state 3, in quanto lo zero presente
nella parte significativa del numero ci indica che la misura
è stata effettuata con uno strumento di misura avente una
sensibilità maggiore del precedente.
Analogamente, se affermo che il tempo impiegato dalla
luce del Sole per arrivare sulla Terra è di circa 5·10 2
secondi, il dato viene fornito con una sola cifra
significativa.
Quando si effettuano operazioni tra misure, occorre tenere presenti
alcune regole fondamentali per determinare il numero di cifre
significative da attribuire al risultato.
Addizione e sottrazione di misure
Innanzitutto occorre valutare, tra tutte le misure da sommare e
sottrarre, quale sia la misura avente il minor numero di cifre
significative. Quindi si fa in modo che ciascuna misura abbia un
numero di cifre decimali uguale a quello della misura
precedentemente individuata.
Esempio. Vogliamo effettuare la seguente somma:
4,275 m + 2,56 m
La misura 4,275 m contiene 4 cifre significative;
la misura 2,56 m contiene 3 cifre significative.
Il numero di cifre decimali da prendere in considerazione è
quello della misura avente il minor numero di cifre
significative: 2,56 m. Pertanto, fatte le dovute
approssimazioni per eccesso o per difetto, otteniamo:
4,275 m + 2,56 m = 4,28 m + 2,56 m = 6,84 m
Moltiplicazione di una misura per un numero
Questo è il caso più semplice, in quanto il risultato dell'operazione
deve avere lo stesso numero di cifre significative della misura di
partenza.
Esempio. Vogliamo effettuare il seguente prodotto:
15 · 9,36 m
Poiché la misura ha 3 cifre significative, anche il risultato
deve avere 3 cifre significative:
15 · 9,36 m = 140,4 m = 140 m
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8
Nozioni di base
Moltiplicazione e divisione di misure
Il numero di cifre significativo del risultato dell'operazione deve
essere lo stesso di quello della misura avente il minor numero di cifre
significative.
Esempio. Vogliamo effettuare il seguente calcolo percentuale:
0,05 m
⋅100
15,75 m
Il minor numero di cifre significative è quello relativo alla
misura 0,05 m. Poiché questa misura ha una sola cifra
significativa, il risultato dell'operazione deve anch'esso
avere una sola cifra significativa:
0,05 m
⋅100 = 0,317 % = 0,3 %
15,75 m

L'ordine di grandezza
L'ordine di grandezza di un numero espresso in notazione
scientifica è uguale alla potenza in base 10 più vicina al numero
assegnato.
Per definire correttamente l’ordine di grandezza di una misura
occorre innanzitutto analizzare la parte significativa del numero,
approssimandola all’intero più vicino:
• se la cifra così ottenuta è un numero da 0 a 4 l’ordine di
grandezza è pari alla potenza in base 10 avente per esponente lo
stesso esponente assegnato, che pertanto resta invariato;
• se la cifra così ottenuta è un numero da 5 a 9 l’ordine di
grandezza è pari alla potenza in base 10 avente per esponente il
valore approssimato per eccesso, cioè aumentato di una unità .
Esempi: − La distanza Terra Luna è circa 3,9 · 108 (m).
La parte significativa della misura (il valore 3,9) può essere
approssimata all’intero 4.
Pertanto l'ordine di grandezza è 108 metri.
− Il raggio della Terra è di 6,37 · 106 (m).
La parte significativa della misura (il numero 6,37) è
approssimabile a 6. Poiché questo numero è compreso
nell'intervallo da 5 a 9, dobbiamo aumentare di una unità il
valore dell'esponente. Ne consegue che l'ordine di
grandezza della misura è di 107 metri.
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2.3 I sistemi di riferimento cartesiani
Per poter individuare la posizione di un punto su di una retta, su un
piano, o nello spazio, è necessario servirci di un sistema di
riferimento.
Un sistema di riferimento è un sistema costituito da uno o più assi
coordinati, su ciascuno dei quali è stata definita una unità di misura
per la lunghezza dei segmenti, rispetto a cui possiamo definire, istante
per istante, la posizione occupata da un punto.
Un sistema di riferimento cartesiano può essere:
• unidimensionale;
• bidimensionale;
• tridimensionale.
Un sistema di riferimento unidimensionale è costituto da una
linea retta orientata R su cui fissiamo un punto arbitrario O, in
modo da dividere la retta in due semirette di origine O, e una unità di
misura u, come mostrato nella figura 2.1.
Figura 2.1 Sistema di riferimento cartesiano unidimensionale.
In questo caso la posizione del punto P è individuata dal valore
dell'ascissa ad essa corrispondente ed è espressa simbolicamente con
la seguente notazione: P ( x ), dove x appartiene all'insieme ℝ dei
numeri reali.
Si stabilisce così una corrispondenza biunivoca (o biiezione) tra
ciascun punto P della retta R e ciascun valore x dell'insieme dei
numeri reali ℝ .
Esempio: dalla figura 2.1 risulta che il punto P ha ascissa 4. Pertanto
la posizione del punto P si indica con: P(4).
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Nozioni di base
Un sistema di riferimento bidimensionale è costituto da un
sistema di due assi coordinati cartesiani ortogonali orientati x e y,
con origine nel punto O, chiamati rispettivamente asse delle ascisse e
asse delle ordinate, a ciascuno dei quali si associa una unità di misura
ux e uy ; vedi figura 2.2.
Figura 2.2 Sistema di riferimento
bidimensionale.
cartesiano
ortogonale
La proiezione ortogonale di un punto P sull’asse delle x è il punto
P' di intersezione dell’asse x con la retta r passante per P e
perpendicolare all’asse x. In modo analogo si ottiene la proiezione
ortogonale del punto P sull'asse y.
La posizione di un punto P su un piano cartesiano è individuato
univocamente da una coppia di numeri reali x e y ottenuti effettuando
la proiezione ortogonale del punto P rispettivamente sull'asse delle
ascisse e sull'asse delle ordinate. Tale posizione viene espressa
simbolicamente con la seguente notazione: P ( x ; y ).
Si stabilisce così una corrispondenza biunivoca (o biiezione) tra
ciascun punto P del piano p e ciascuna coppia di numeri reali (x; y)
appartenenti all'insieme prodotto cartesiano ℝ2 .
Esempio: dalla figura 2.2 risulta che il punto P ha come proiezione
sull'asse delle ascisse il valore 3 e sull'asse delle ordinate il
valore 2. Quindi la posizione del punto P è determinata
univocamente dalla coppia di numeri reali 3 e 2. Questo
fatto si esprime dicendo che le coordinate di P sono
rispettivamente x = 3 e y = 2 e la rappresentazione
simbolica del punto è la seguente: P ( 3 ; 2 ).
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Un sistema di riferimento tridimensionale è costituito da un
sistema di tre assi coordinati cartesiani ortogonali orientati x, y e z,
con origine nel punto O, a ciascuno dei quali si associa una unità di
misura ux , uy , e uz ; vedi figura 2.3.
Figura 2.3 Sistema di riferimento cartesiano
ortogonale tridimensionale.
La posizione del punto P in un sistema di riferimento cartesiano
ortogonale tridimensionale, quindi nello spazio a tre dimensioni, è
individuato univocamente da tre numeri razionali x, y e z ottenuti
effettuando la proiezione ortogonale del punto P rispettivamente
sull'asse x, sull'asse y e sull'asse z. Tale posizione viene espressa
simbolicamente con la seguente notazione: P ( x ; y ; z ).
Anche in questo caso si stabilisce una corrispondenza biunivoca
(o biiezione) tra ciascun punto P dello spazio S e ciascuna tripletta
di numeri reali (x; y; z) appartenenti all'insieme prodotto cartesiano
ℝ3 .
Esempio: dalla figura 2.3 risulta che il punto P ha come proiezione
sull'asse x il valore 2, sull'asse y il valore 3 e sull'asse z il
valore 4. Quindi la posizione del punto P è determinata
univocamente da un insieme di tre numeri. Questo fatto si
esprime dicendo che le coordinate di P sono
rispettivamente 2, 3 e 4 e la rappresentazione simbolica del
punto è la seguente: P ( 2 ; 3 ; 4 ).
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Nozioni di base
2.4 Il concetto di funzione
In fisica ci troviamo spesso a dover lavorare con delle variabili,
ovvero con delle grandezze fisiche che possono assumere valori
diversi a seconda della posizione e dell'istante in cui esse vengono
misurate.
Le variabili possono essere di due tipi:
• indipendenti;
• e dipendenti.
Una variabile si dice indipendente quando essa può essere
espressa da un qualsiasi numero, scelto arbitrariamente tra quelli
appartenenti ad un determinato insieme I.
Esempio: 3, 8, e 15,3 sono variabili indipendenti dell'insieme dei
numeri reali ℝ .
Una variabile si dice dipendente quando il suo valore numerico
dipende dal valore assunto da una o più variabili indipendenti.
In particolare quando i valori assunti dalla variabile y dipendono
dai valori di un'altra variabile x, si dice che y è funzione di x; ciò si
indica simbolicamente nel modo seguente:
y=f(x)
(2.1)
e si legge: y è uguale a effe di x.
In questa funzione, la x è la variabile indipendente, in quanto essa
può assumere qualsiasi valore numerico appartenente all'intervallo I
definito in ℝ , mentre la y è la variabile dipendente, in quanto il
suo valore dipende da quello assegnato alla variabile x ed è esso
stesso appartenente all'intervallo I dell'insieme ℝ .
Con la lettera f si intende invece l'insieme delle operazioni che,
applicate alla variabile indipendente x, ci permettono di ricavare il
corrispondente valore della variabile dipendente y.
Esempio: data la funzione del tipo y = f ( x ), ad esempio y = 5 x + 3,
possiamo constatare come ad ogni valore assunto dalla
variabile indipendente x corrisponda uno e un solo valore
della variabile dipendente y.
Non sempre, però, ad un valore della variabile indipendente
corrisponde un solo valore della variabile dipendente.
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Una funzione si dice univoca o monodroma quando a ciascun
valore della variabile indipendente corrisponde uno e un solo valore
della variabile dipendente, e viceversa.
Una funzione si dice, invece, polidroma quando a ciascun valore
della variabile indipendente corrispondono più valori della variabile
dipendente, e viceversa.
La funzione inversa della funzione y = f ( x ) è quella funzione che
ad ogni valore della variabile y fa corrispondere il relativo valore della
variabile x; essa si indica nel modo seguente:
x = f -1 ( y )
(2.2)
e si legge: x uguale a effe alla meno uno di y.
Esempio: la funzione inversa della funzione y = 3 x - 2 è la seguente:
x=
1
3
y+
2
3
L'intervallo di definizione di una funzione è l'insieme dei valori di
x per i quali le operazioni fissate dalla funzione f sono ben definite.
Esempio: data la funzione y = x − 6 essa ha delle soluzioni reali solo
per valori di x ≥ 6 . Infatti nel campo dei numeri reali non
esiste la radice quadrata di un numero minore di zero.
Allora si dice che l'intervallo di definizione della suddetta
funzione è dato da x ≥ 6.
Le funzioni lineari sono tutte le funzioni che possono essere
rappresentate in un grafico cartesiano mediante una retta. Esse sono
dette anche funzioni di primo grado in quanto l'esponente della
variabile indipendente x è sempre 1.
Esempio: una funzione del tipo y = 2 x + 3 è una funzione lineare,
infatti l'esponente della x è 1 e la sua rappresentazione
grafica è una retta.
Le funzioni, da un punto di vista fisico, possono essere suddivise in
due grandi categorie:
• matematiche;
• empiriche.
Le funzioni matematiche sono tutte quelle funzioni esprimibili
tramite formule matematiche.
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14
Nozioni di base
Le funzioni empiriche sono quelle funzioni in cui il valore della
variabile dipendente può essere determinato solo in base
all'osservazione e all'esperienza.
Esempio: la funzione y = 3 x + 7 è una funzione matematica.
Al contrario, la valutazione del peso di una persona in
rapporto all'età si può effettuare solo in base
all'osservazione di più individui; comunque non è possibile
individuare una funzione matematica valida in tutti i casi,
ma solo una funzione empirica, dettata dall'esperienza.
Le funzioni matematiche possono essere:
• crescenti;
• decrescenti.
Una funzione è crescente quando, all'aumentare del valore della
variabile indipendente, aumenta anche il valore della variabile
dipendente.
Esempio: nella funzione y = 3 x all'aumentare di x aumenta anche y.
Una funzione è decrescente quando, all'aumentare del valore della
variabile indipendente, il valore della variabile dipendente decresce.
Esempio: nella funzione y = - 3 x, il valore di y decresce all'aumentare
di x.
2.5 Proporzionalità diretta e inversa
Due grandezze fisiche, l'una funzione dell'altra, possono essere tra
loro:
• direttamente proporzionali;
• inversamente proporzionali.
 Due grandezze fisiche sono direttamente proporzionali quando
il loro rapporto è costante:
y
= cos t
x
(2.3)
In questo caso, la rappresentazione grafica della funzione y =f (x)
è data da una retta uscente dall'origine delle coordinate e di
equazione y = m x ; vedi figura 2.4.
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Figura 2.4 Diagramma cartesiano relativo a una relazione di
proporzionalità diretta.
Il valore della pendenza della retta rispetto all'asse x, dato dal
rapporto y/x, è detto coefficiente angolare della retta e viene indicato
con la lettera m.
Esempio: nella funzione y = 25 x, la variabile y è direttamente
proporzionali alla x , infatti il rapporto
y
x
è costante e pari
a 25. C'è da notare inoltre che al crescere del valore della
variabile x cresce anche il valore della y e che il valore del
coefficiente angolare della retta è proprio m = 25.
Nel caso più generale di una retta generica, non passante per
l’origine, l’equazione della retta contiene un coefficiente q che
rappresenta il valore in corrispondenza del quale la retta interseca
l'asse delle ordinate, in altre parole l’ordinata del punto di
intersezione della retta con l’asse y. In questo caso l'equazione
esplicita della retta generica è del tipo seguente:
y=m x+q
(2.4)
e la relazione esistente tra le variabili x e y non è più di
proporzionalità diretta, bensì una relazione di linearità.
 Due grandezze sono inversamente proporzionali quando il loro
prodotto è costante:
x⋅y =k
(2.5)
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16
Nozioni di base
In questo caso l'equazione esplicita della retta generica è del tipo
seguente:
k
y=
(2.6)
x
Mentre la rappresentazione grafica è una curva chiamata iperbole
equilatera, vedi figura 2.5.
Essa è caratterizzata dal fatto che per piccoli valori di x la curva si
avvicina sempre più all'asse y, mentre per grandi valori di x si
avvicina sempre più all'asse x.
Esempio: nella funzione y =
25
,
x
la variabile y è inversamente
proporzionali alla x, infatti il prodotto y x è costante e pari a
25. Ciò significa, anche, che all'aumentare del valore della
variabile x il valore di y decresce.
Figura 2.5 Diagramma cartesiano relativo a una relazione di
proporzionalità inversa.
2.6 La misura degli angoli
L'angolo è una grandezza fisica supplementare che, a seconda se
sia riferito al piano o allo spazio, può essere di due tipi:
• angolo piano;
• angolo solido.
In ambedue i casi il vertice dell'angolo è l'origine dell'angolo
stesso.
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L’angolo piano è definito come una parte di piano compresa tra
due semirette aventi la stessa origine.
L'angolo giro esprime la rotazione completa che una semiretta
deve compiere intorno alla sua origine per tornare nella sua posizione
di partenza, ed è definito come l'angolo concavo che ha i lati
coincidenti.
In fisica ci si trova spesso a dover operare con figure geometriche
piane o spaziali costituite dall'insieme di due o più segmenti di retta la
cui intersezione dà origine ad un angolo. In tutti questi casi la misura
dell'angolo ci permette di individuare in modo univoco lo spazio
compreso tra le due semirette prese in considerazione e aventi
l'origine in comune. Gli angoli possono essere misurati in:
• gradi sessagesimali;
• gradi decimali;
• radianti.
La misura degli angoli in gradi sessagesimali
Nella misura degli angoli in gradi sessagesimali l'angolo giro viene
suddiviso in 360 parti uguali, ciascuna delle quali ha ampiezza pari ad
un grado. Il grado viene a sua volta suddiviso in 60 parti uguali,
ciascuna delle quali ha ampiezza di un primo. Ciascun primo viene
poi suddiviso in 60 secondi.
Pertanto possiamo dare le seguenti definizioni:
• un grado sessagesimale è la trecentosessantesima parte
dell'angolo giro, e si indica con 1 ° ;
• un primo è la sessantesima parte del grado, e si indica con 1 ' ;
• un secondo è la sessantesima parte del primo, e si indica con 1 ''.
Casi particolari di angoli sessagesimali sono:
• l'angolo retto, che misura 90 °;
• l'angolo piatto, che misura 180 °;
• l'angolo giro, che misura 360°.
La misura degli angoli in gradi decimali
Nella misura degli angoli in gradi decimali l'angolo giro viene
suddiviso in 360 parti uguali, ciascuna delle quali ha ampiezza pari ad
un grado. Il grado viene a sua volta suddiviso in decimi, centesimi e
millesimi, secondo la normale rappresentazione decimale dei numeri
reali.
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Nozioni di base
Nelle calcolatrici scientifiche l'utilizzo dei gradi decimali viene
attivato tramite la selezione dell'opzione «DEG».
Esempio: l’angolo sessagesimale α = 60° 30’ corrisponde all’angolo
decimale 60,5 (deg).
Spesso è necessario convertire un angolo espresso in gradi
sessagesimali in uno espresso in gradi decimali. Per fare ciò basta
ricordare che ciascun grado è costituito da sessanta primi ciascuno dei
quali, a sua volta è costituito da sessanta secondi. Quindi:
'
' '
 deg =°  
(2.7)
60 60⋅60
Esempio: Trasformare l’angolo sessagesimale α = 30° 45’ 15'' in gradi
decimali.
45 ' 15' '
=30 ° 

=30,7542 deg 
60 60⋅60
La misura degli angoli in radianti
Effettuare operazioni matematiche con gli angoli sessagesimali è
alquanto complicato in quanto si tratta di una grandezza in base
sessanta, e non in base dieci. Per ovviare a tale inconveniente è stata
definita una nuova unità di misura per gli angoli: il radiante, il cui
simbolo è il rad.
Per poter definire il radiante occorre considerare un sistema di
riferimento cartesiano ortogonale e tracciare, con centro nell'origine
O del sistema, una circonferenza di raggio unitario detta anche
cerchio goniometrico, vedi figura 2.6.
Figura 2.6 Cerchio goniometrico.
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L'origine dell'arco è il punto A di intersezione del cerchio
goniometrico con l'asse delle ascisse.
Un punto P che si muove sulla circonferenza può percorrerla sia in
verso antiorario, detto anche sinistrorso o positivo, sia in verso
orario, detto anche destrorso o negativo.
L'estremo dell'arco è la posizione raggiunta dal punto P al termine
della sua rotazione lungo il cerchio goniometrico.
 Si definisce radiante l'angolo piano al centro che intercetta,
sulla circonferenza, un arco di cerchio la cui lunghezza è uguale a
quella del raggio del cerchio.
Se andiamo a calcolare quante volte il raggio r del cerchio entra
nell'intera lunghezza della sua circonferenza C, otteniamo un valore
costante, convenzionalmente indicato con la notazione 2π, pari a circa
6,28 volte. Ciò vuol dire che il raggio del cerchio è contenuto 6,28
volte nella lunghezza dell'intera circonferenza C e che, pertanto, il
valore della costante π è pari a 3,14:
C
r
= 2 π = 2 · 3,14 = 6,28
(2.8)
Per convertire la misura di un angolo da gradi decimali a radianti
e viceversa, possiamo impostare la seguente proporzione:
360 (deg) : 2 π (rad) = α (deg) : β (rad)
(2.9)
(leggi: α alfa e β beta).
Pertanto si ha che:
360 deg  deg 
=
2 rad   rad 
e quindi:
deg  180 deg 
=
 rad   rad 
Pertanto per trasformare una misura da gradi sessagesimali in
radianti usiamo la seguente formula:

 rad =
⋅deg 
(2.10)
180
e per trasformare una misura da radianti in gradi sessagesimali usiamo
quest'altra formula:
180
 deg =
⋅rad 
(2.11)

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Nozioni di base
Esempio: trasformare 60 ° 30 ' in radianti.
Trasformiamo prima i 30' in una frazione di grado
utilizzando la proporzione:
α ' : 60 ' = β° : 1°
da cui β ° =
1°
30
'
' =
=
= 0,5 °.
60'
60
60'
Otteniamo così che 60° 30 ' = 60,5 (deg).
Quindi trasformando i gradi in radianti otteniamo:

3,14⋅60,5
⋅deg =
=1,055 rad 
α =
180
180
2.7 Richiami di trigonometria
La trigonometria è una branca della matematica che studia le
relazioni che intercorrono tra i lati e gli angoli di un triangolo.
Nel caso particolare di un triangolo rettangolo queste relazioni
sono particolarmente semplici da utilizzare.
Immaginiamo di avere un triangolo rettangolo di cui conosciamo
solo la lunghezza di un lato e la misura di uno dei suoi angoli. Come
possiamo fare per ricavare la lunghezza di tutti i suoi lati senza essere
costretti a misurarli uno per uno?
Questo è proprio uno dei casi in cui la trigonometria si dimostra
indispensabile per la risoluzione del problema.
Inoltre, la conoscenza delle nozioni di base di trigonometria ci
permette di utilizzare le funzioni trigonometriche implementate nelle
calcolatrici scientifiche, tramite l'utilizzo dei tasti [sin] [cos] [tan].
Le funzioni trigonometriche
Nello studio della trigonometria piana ci si serve del cerchio
trigonometrico, vale a dire di un cerchio di raggio unitario
suddiviso in quattro quadranti numerati da 1 a 4, partendo da quello
in alto a destra e procedendo in senso antiorario; vedi figura 2.7.
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Figura 2.7 Cerchio trigonometrico
Gli angoli si misurano a partire dall'asse x del primo quadrante e
procedendo sempre in senso antiorario verso il secondo, terzo e quarto
quadrante.
Il triangolo OAB è un triangolo rettangolo di cui conosciamo
l'angolo α e la lunghezza della sua ipotenusa OB = i = 1.
L'angolo α può variare tra i seguenti valori:
0 ≤ α ≤ 360 °
oppure
0 ≤ α ≤ 2 π (rad)
Nel triangolo OAB i rapporti tra i due cateti o tra un cateto e
l'ipotenusa dipendono solo dalle dimensioni dell'angolo α e prendono
il nome di seno, coseno, tangente e cotangente dell'angolo α.
La definizione delle principali funzioni trigonometriche è la
seguente:
AB h
= =sen 
OB i
(leggi: seno di α);
(2.12)
OA b
= =cos 
OB i
(leggi: coseno di α);
(2.13)
AB
h
=CD= =tg 
OA
b
(leggi: tangente di α);
(2.14)
OA
=EF =cotg 
AB
(leggi: cotangente di α).
(2.15)
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Nozioni di base
Da queste definizioni segue che:
sen 
cos 
tg α =
(2.16)
e
cotg α =
cos 
sen 
(2.17)
I valori assunti dalle funzioni trigonometriche al variare dell'angolo
α possono essere ricavati da opportune "Tavole dei valori delle
funzioni trigonometriche" reperibili in qualsiasi libro di
trigonometria. In alternativa, e molto più semplicemente, è possibile
utilizzare una calcolatrice scientifica che disponga delle funzioni
trigonometriche.
Per particolari valori dell'angolo α è facile ricordare a memoria i
valori assunti dalle rispettive funzioni trigonometriche.
Per maggiore comodità riportiamo tali valori nella seguente tabella:
α°
0
30
45
60
90
180
270
360
α (rad)
0

6

4

3

2
π
3

2
2
sen
0
½
 2 /2
=0,707
 3/ 2
=0,866
1
0
-1
0
cos
1
 3/ 2
=0,866
 2 /2
=0,707
½
0
-1
0
1
tg
0
 3/3
1
3
∞
0
−∞
0
=0,577
Esempio: sin 30 = 1/2
cos 30 = 3 2
=1,732
cos 45 = 2 2
cos 0 = 1
tg 60 = 3
sin 0 = 0
Triangolo rettangolo
In un triangolo rettangolo, nota la lunghezza dei due cateti a e b, è
sempre possibile ricavare la lunghezza dell'ipotenusa l tramite
l'applicazione del teorema di Pitagora:
l =  a 2b 2
(2.18)
Nel caso in cui conoscessimo la lunghezza di un lato del triangolo
e l'ampiezza di un angolo adiacente all'ipotenusa dovremmo applicare
le formule trigonometriche viste in precedenza; vedi figura 2.8.
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Figura 2.8 Triangolo rettangolo
Ricordiamo alcune regole valide per un triangolo rettangolo:
• uno degli angoli misura 90 °;
• la somma degli angoli interni è sempre uguale a 180 °;
• se un angolo acuto misura α l'altro misurerà 90 - α.
Inoltre valgono le seguenti definizioni:
h
= sin a da cui segue h = l · sin α e
l
b
= cos α da cui segue b = l · cos α e
l
h
= tg α
da cui segue h = b · tg α e
b
h
;
sin α
b
l=
;
cos α
h
b=
.
tg α
l=
Esempio: un triangolo rettangolo ha l'ipotenusa l = 4,00 (m) e un
angolo di 30 °. Calcolare la misura dei cateti e degli angoli.
Calcoliamo innanzitutto la lunghezza della base:
b = l · cos α = 4,00·cos30= 4,00· 3 2 = 4·0,866 = 3,46 (m)
L'altezza è:
h = l · sin α = 4,00 · sin 30 = 4 · 1/2 = 2,00 (m)
Inoltre l'angolo β , opposto ad α , è uguale a:
β = 90 - α = 90 - 30 = 60 °
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