TESI Samantha Adinolfi

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Università degli Studi di Salerno
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Fisica
TESI DI LAUREA
Profilo di luminosità della galassia ellittica
M87 e confronto con la legge di Sersic
RELATORE
CANDIDATO
Prof. Valerio Bozza
Samantha Adinolfi
Matr. 552/000021
Anno Accademico 2011/2012
Indice
Indice
Introduzione…………………………………………………….………………......……...1
1 Le galassie: caratteristiche generali……………………………………………….3
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
Classificazione morfologica delle galassie………………………………………3
La sequenza di Hubble…………………………………………………………….4
Effetti dell’ambiente sulla morfologia delle galassie……………………………6
L’altra faccia della semplicità: le galassie ellittiche……………………………..7
Fotometria di galassie ellittiche…………………………………………………...9
Forma delle galassie ellittiche……………………………………………..........15
2 Le galassie: fotometria superficiale e problematiche osservative…………..18
2.1 Il cielo notturno..…..………………...…………………………………………….18
2.2 Effetto del seeing…………………………………………………….…...……….21
2.3 Deproiezione delle immagini………..…………………………….……………..22
3 M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse………………….24
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
Alla scoperta di M87…………………………………………….………...………24
Scopo del nostro studio……………………………………….…………...……..27
Spazi e strumentazione…………………………………….………………...…..28
Dalla teoria alla pratica: acquisizione dei dati……..………………………..….31
Analisi dei dati sperimentali………………………….………………………..…33
Conclusioni…………………………………………….…………………………..36
Bibliografia………………………………………………………………………………..38
i
Introduzione
Introduzione
Quando scelsi di iscrivermi al Corso di Laurea in Fisica non potevo immaginare
quali sarebbero state le difficoltà, ma soprattutto non potevo immaginare quali
sarebbero state le mete che avrei raggiunto e le conoscenze che avrei realmente
acquisito. Credo che la fame di capire sia fondamentalmente il requisito base che
spinge una persona ad intraprendere un percorso del genere.
Alla luce dell’esperienza, mi sono posta una domanda: considerate le difficoltà
incontrate, i sacrifici a cui sono andata incontro, le cose che ho lasciato per strada
nel tentativo di dare le giuste priorità, ne è valsa la pena?
La mia risposta è: sì, ne è valsa la pena, per tutte le cose che ho avuto il privilegio di
apprendere, per i “mondi” che ho potuto scoprire, così lontani dal “mondo” che ero
abituata ad osservare, così distanti eppure, adesso, così familiari.
Questo ultimo passo è servito proprio ad approfondire la conoscenza di uno degli
“abitanti” di questi mondi lontani: la galassia ellittica M87.
Le linee base del nostro percorso sono le seguenti.
Nel Capitolo 1 abbiamo esposto le caratteristiche generali delle galassie, le classi
morfologiche in cui si suddividono, facendo ampio riferimento al diagramma di
Hubble, per poi spiegare brevemente quanto l’ambiente in cui una galassia vive,
possa influenzarne la morfologia. Abbiamo poi introdotto in modo più dettagliato la
categoria di oggetti a cui ci siamo interessati: le galassie ellittiche, illustrandone le
caratteristiche morfologiche, per poi arrivare alla fotometria e spiegare in cosa
consiste un profilo di luminosità e a cosa serve studiarlo.
Nel Capitolo 2 abbiamo spiegato quali sono gli “ostacoli” che si incontrano facendo
delle osservazioni astronomiche, entrando un po’ nel dettaglio di ciò che significa
approcciarsi ad un cielo notturno e considerare l’effetto del seeing, concludendo con
qualche cenno sulla deproiezione delle immagini.
1
Introduzione
Il Capitolo 3 si apre con una descrizione della galassia M87, in modo da “fare la
conoscenza” dell’oggetto del nostro studio. Segue la spiegazione di quello che è
stato lo scopo sperimentale, con illustrazione, quindi, della legge di Sersic. Non
poteva mancare, inoltre, una veloce panoramica sulla struttura e gli strumenti che ci
hanno permesso di realizzare tutto questo. Segue la descrizione del nostro lavoro,
di come sono stati acquisiti i dati sperimentali e l’analisi che ne è stata fatta.
Concludiamo, infine, tirando le somme dei risultati, confrontandoli con quelli ottenuti
da uno studio simile, ma di più ampio respiro, effettuato da John Kormendy, David
B. Fisher, Mark E. Cornell e Ralf Bender,
intitolato Structure and formation of
elliptical and spheroidal galaxies, pubblicato nel 2009.
2
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.1 Classificazione morfologica delle galassie
Capitolo 1
Le galassie: caratteristiche generali
1.1 Classificazione morfologica delle galassie
Le galassie sono oggetti che non fanno parte della nostra quotidianità, pertanto
occorre non perdere di vista alcune considerazioni indispensabili quando andiamo a
classificarle sulla base delle loro immagini.
-
Lunghezze d’onda: una galassia può essere ripresa nelle varie bande, ma le
immagini che otteniamo possono essere molto diverse le une dalle altre, sebbene
stiamo trattando lo stesso oggetto.
-
Confronto immagini: non ha senso mettere a confronto l’immagine di una
galassia in una determinata banda, con l’immagine di un’altra galassia in una banda
diversa.
-
Criterio di classificazione: i criteri usati per assegnare una galassia ad una
classe devono essere tali da permetterne una classificazione univoca. In particolare,
se si utilizza più di un criterio, è importante specificare l’ordine con cui sono stati
applicati, per evitare di posizionare la stessa galassia in più di una classe.
Sistema
Hubble-Sandage
De Vaucouleurs
Yerkes
DDO
Criteri principali
Presenza della barra
Apertura dei bracci
Rapporto disco nucleo
Grado di risoluzione
dei bracci nelle stelle
Presenza della barra
Apertura dei bracci
Rapporto disco nucleo
Anelli o forme ad “s”
Condensazione
centrale della luce
Presenza della barra
Assenza di strutture
particolari
Quantità di stelle
giovani nel disco
Presenza della barra
Qualità e lunghezza
dei bracci
Simboli
E, S0, S, SB, Irr
a,b,c
Esempi
M87 = E1
M31 = Sb
M101 = Sc
LMC = Irr1
E, S0, S, SA, SB, I
a, b,c, d, m, (r), (s)
M87 = E1P
M31 = SA(s)b
M101 = SAB(rs)cd
LMC = SB(s)c
k, g, f, a
E, R, D, S, B, I
M87 = kE1
M31 = kS5
M101 = fS1
LMC = afI2
E, S0, A, S, Ir, B
a, b, c
I, II, …, V
M87 = E1
M31 = Sb I-II
M101 = Sc I
LMC = Ir III-IV
Tabella 1: Schemi di classificazione per le galassie. Evidenziata in rosso M87, oggetto del nostro studio
3
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.2 La sequenza di Hubble
1.2 La sequenza di Hubble
Lo schema di classificazione più usato è quello introdotto da Hubble (1936) nel suo
libro The Realm of the Nebulae, rivisitato e aggiornato a più riprese da Sandage,
fino ad arrivare alla forma finale proposta di seguito:
Fig.1: Diagramma di Hubble.
Hubble originariamente pensò (in modo erroneo) che il diagramma potesse essere
interpretato come una sequenza evolutiva delle galassie. Di conseguenza, chiamò
gli oggetti a sinistra del diagramma early – type e quelli a destra late – type.
Sebbene oggi sia chiaro che non si tratti di uno schema evolutivo, la suddetta
terminologia è ancora di largo uso, per cui partendo dalle early – type fino alle late –
type, troviamo rispettivamente:
•
Galassie ellittiche: senza particolari strutture, variano, nella forma, da
circolari a molto allungate, divisione basata sull’ ellitticità, є, delle galassie
stesse. Un oggetto del genere è indicato con En, dove n descrive il rapporto
assiale apparente (b/a), tramite la formula
= 10є
con є = (1 − )
4
(1)
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.2 La sequenza di Hubble
L’intervallo delle ellittiche va da una distribuzione sferica di stelle, indicata
con E0, ad una distribuzione molto appiattita, indicata con E7. Per cui una
galassia che appare circolare in cielo, sarà indicata con E0, e una il cui asse
maggiore è il doppio di quello minore, sarà indicata con E5.
•
Galassie lenticolari: si dividono in due tipi, indicati con S0 e SB0.
-
S0: sono caratterizzate da una parte centrale (nucleo), simile ad una
galassia ellittica, circondata da un’ampia regione (inviluppo), la cui
luminosità diminuisce in modo piuttosto netto. Tra il nucleo e
l’inviluppo, molte galassie lenticolari posseggono strutture che ne
permettono un’ulteriore suddivisione (S01, S02, S03), in base alla
quantità di polveri assorbita dai loro dischi.
-
SB0: sono galassie lenticolari barrate e si dividono in tre tipi (SB01,
SB02, SB03), secondo la predominanza della barra.
•
Galassie a spirale
-
Normali: comprendono una parte centrale, detta nucleo, (simile ad
una ellittica) luminosa, localizzata al centro di un disco, dal quale
partono i bracci a spirale. Si dividono in tre tipi: Sa, Sb, Sc, in base
alla distanza tra bracci successivi.
-
Barrate: sono simili alle precedenti, ma all’interno dei bracci hanno
una
barra,
contenente
canali
scuri,
prodotti
probabilmente
dall’assorbimento di luce da parte delle polveri.
•
Una classe a parte è data inoltre dalle galassie irregolari, che Hubble divise
in due categorie: Irr I e Irr II.
Le prime sono oggetti a bassa simmetria, senza bracci ben definiti e che
mostrano zone luminose contenenti stelle di classe O e B.
Le Irr II sono oggetti completamente asimmetrici che non hanno evidenti
strutture locali.
5
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.3 Effetti dell’ambiente sulla morfologia delle galassie
1.3 Effetti dell’ambiente sulla morfologia delle galassie
Il largo intervallo di morfologie galattiche è lo specchio della varietà di cause che
portano a queste diversità. Un aspetto importante per dare una spiegazione a
queste osservazioni, è dato dallo studio degli ambienti in cui le galassie si trovano.
E’ stato dedotto, in particolare, che negli ammassi, è molto più probabile che ci
siano ellittiche e lenticolari, anche se ogni ammasso è diverso da un altro.
Oemler (1974) trovò che circa il 40% delle galassie in alcuni ammassi sono
ellittiche, mentre in altri ammassi questa percentuale diminuisce al 15%.
La frazione ellittica, ƒ(E), fu scoperta essere legata alla morfologia dell’ammasso:
uno con un grande valore di ƒ(E) appariva regolare e simmetrico, mentre un piccolo
valore di ƒ(E) era indice di un aspetto generalmente asimmetrico.
Lo studio di Oemler mostrò, inoltre, che la densità numerica di galassie in un
ammasso a concentrazione centrale, diminuisce in modo monotono con il raggio R,
ma che la densità prevista di spirali aumenta con R nelle parti più interne dello
stesso ammasso, cioè la frazione di spirali, ƒ(Sp), in questi sistemi aumenta con R.
Questo è consistente con le osservazioni che mostrano sostanzialmente un’assenza
di galassie a spirale nelle parti centrali degli ammassi regolari e che quelle
osservate vivono, probabilmente, a grandi distanze dal centro dell’ammasso.
Questa scoperta fornisce il primo esempio di relazione morfologia-raggio.
Melnick & Sargent (1977) confrontarono il rapporto tra la densità di galassie a
spirale e quella delle lenticolari, per diversi ammassi, e trovarono che le S0
dominavano su piccoli raggi.
Tutto ciò dovrebbe portare a differenze misurabili tra la cinematica dei vari tipi di
galassie. La ragione per cui le spirali si trovano piuttosto lontano dal centro di un
ammasso, rispetto a quanto facciano le ellittiche, risiede nel fatto che le prime
seguono orbite più energetiche.
Quindi, ad una data distanza dal centro di un ammasso, le galassie a spirale
dovrebbero avere velocità casuali più elevate rispetto alle ellittiche.
6
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.4 L’altra faccia della semplicità: le galassie ellittiche
Il primo studio su larga scala fu fatto da Dressler (1980), che ottenne la morfologia
di circa 6000 galassie in 55 ammassi, confermando le osservazioni secondo cui,
insieme al raggio, aumentava ƒ(Sp).
Egli concluse che le relazioni fondamentali non sono quelle che includono R e che il
tipo di galassia è dettato dalla densità galattica locale. Questo significa che le
relazioni base sono quelle morfologia – densità, tra la densità galattica locale e le
frazioni ƒ(Sp) e ƒ(S0).
1.4 L’altra faccia della semplicità: le galassie ellittiche
Sebbene la divisione di Hubble descriva bene una grande varietà di parametri fisici
per le galassie late – type, lo stesso non può dirsi per le early – type, la cui
classificazione è stata fatta in base alla sola ellitticità. Questo criterio rende difficile
una categorizzazione in termini di altre caratteristiche.
E’ quindi necessario
distinguere le galassie ellittiche in sottotipi, indipendenti
dall’ellitticità, ma basati su caratteri morfologici, quali le dimensioni, la magnitudine
assoluta e la brillanza superficiale.
Prima che tutto ciò fosse preso in esame, le ellittiche apparivano come i tipi di
galassie più semplici da descrivere, mentre oggi sappiamo che sono uno degli
oggetti più complessi e diversificati.
Parte della loro complessità sembra dovuta ad una forte evoluzione ambientale,
provocata da interazioni o fusioni con galassie vicine.
Le classi morfologiche in cui possiamo distinguere le galassie ellittiche sono:
•
Galassie cD: si tratta di oggetti molto grandi e luminosi, che raggiungono
anche 1 Mpc di larghezza e si trovano solo nei pressi del centro di grandi e
densi ammassi di galassie. Le loro magnitudini assolute vanno da -22 mag a
-25 mag e hanno masse che variano tra 10
e 10
⊙.
Le galassie cD sono caratterizzate da regioni centrali con una grande
brillanza superficiale,
compresa tra 26 e 27 (
≈ 18 (
)
)
.
7
, e inviluppi diffusi e molto estesi, con µ
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.4 L’altra faccia della semplicità: le galassie ellittiche
Inoltre queste galassie sono note per avere un alto rapporto massa –
luminosità, arrivando anche a 750
materia oscura.
•
⊙
⨀
, evidenziando una grande quantità di
Galassie ellittiche normali: sono oggetti condensati nella zona centrale, con
una brillanza superficiale relativamente alta.
In questo gruppo sono include le giganti (gE), le ellittiche a luminosità
intermedia (E) e le compatte (cE).
Le magnitudini assolute variano da -15 mag a -23 mag, le masse vanno da
10 e 10
⊙,
i diametri da meno di 1 kpc a circa 200 kpc, mentre il
rapporto massa – luminosità spazia da 7 a più di 100
•
⊙
⨀
.
Galassie ellittiche nane (dE): rappresentano una classe di oggetti
fondamentalmente diversi dalla sequenza normale di ellittiche.
La loro brillanza superficiale tende ad essere, a parità di magnitudine
assoluta, molto inferiore rispetto a quella delle compatte.
Le magnitudini assolute delle galassie ellittiche nane cadono nell’intervallo
tra -13 e -19 mag, hanno masse che variano tra 10! e 10"
diametri vanno da 1 kpc a 10 kpc.
•
⊙
, e i loro
Galassie nane sferoidali (dSph): si tratta di oggetti a bassa luminosità e
scarsa brillanza superficiale, che sono state rivelate solo nei pressi della Via
Lattea.
Le loro magnitudini assolute, infatti, spaziano soltanto da -8 a -15 mag, le
masse sono comprese tra 10! e 10
kpc.
•
⊙
, e i diametri vanno da 0.1 kpc a 0.5
Galassie blue nane compatte (BCD): sono galassie piccole, insolitamente
blu. Questa caratteristica corrisponde a stelle di sequenza principale di
classe spettrale A, quindi si tratta di galassie che sono sede di una notevole
formazione stellare.
Le loro magnitudini assolute cadono in un intervallo che va da -14 a -17
mag, le masse sono dell’ordine di 10"
8
⊙
, e i diametri sono inferiori a 3 kpc.
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.5 Fotometria di galassie ellittiche
1.5 Fotometria di galassie ellittiche
Quando otteniamo immagini di corpi celesti da un telescopio, ci sono domande (ad
esempio: quanto è lontano quel dato oggetto? Quanta energia emette? Qual è la
sua temperatura?) alle quali ci interessa fornire una risposta concreta.
L’informazione più fondamentale che possiamo trarre da misure su oggetti celesti al
di là del nostro sistema solare consiste nella misura dell’ammontare di energia, sotto
forma di radiazione elettromagnetica, ricevuta dall’oggetto nell’unità di tempo.
Chiameremo flusso questa quantità di energia, mentre la tecnica che si occupa di
misurarlo è chiamata fotometria.
La misura di flusso, messa in relazione alla stima della distanza di un oggetto, ci
può fornire informazioni riguardanti l’energia totale emessa dallo stesso oggetto
(luminosità),la sua temperatura, le sue dimensioni ed altre proprietà fisiche.
Quando i nostri studi si concentrano sulle galassie, stiamo parlando di fotometria
superficiale, nel senso che l’intensità della sorgente è distribuita su una superficie.
Il luogo dei punti in cui l’intensità luminosa è costante è detto isofota.
Ogni isofota è caratterizzata da una propria brillanza superficiale #$ , cui corrisponde
un raggio isofotale %& .
Fig.2: isofote e raggio isofotale.
La magnitudine totale di una galassia deve essere sempre riferita ad un raggio
isofotale (per esempio al raggio r25 dell’isofota corrisponde
µ = 25
ottiene integrando il flusso all’interno della superficie di raggio *$ .
9
'()
((*+,-+).
) e si
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.5 Fotometria di galassie ellittiche
Cos’è un profilo di luminosità di una galassia e perché lo si studia?
Esso rappresenta l’andamento della variazione dell’intensità superficiale I in
funzione della distanza r dal centro della sorgente e fornisce informazioni
fondamentali sulla struttura della galassia, in particolare ci dà indicazioni sul suo
processo di formazione.
Con buona approssimazione, le galassie ellittiche possono essere considerate
trasparenti, per cui la loro luminosità non risulta attenuata dalla notevole presenza di
singole stelle.
La Fig. 3 mostra la luminosità superficiale come una funzione della distanza R lungo
l’asse maggiore della galassia ellittica gigante NGC 1700.
Fig. 3: Profilo di luminosità della galassia NGC 1700, lungo il suo asse maggiore, graficato in funzione del logR (a
sinistra) e di / 1 (a destra)
0
.
Nella parte sinistra dell’immagine,
2
è graficata in funzione del 34)5, mentre nella
6
parte destra la variabile indipendente è 57 . Se
2
variasse come una potenza di R,
i punti a sinistra starebbero lungo una linea retta, mentre invece si dispongono su
6
una retta se scegliamo 57 come ascissa.
Per i raggi più piccoli e per quelli più grandi, i dati possono essere grossolanamente
fittati da linee diritte, dalle cui pendenze si deduce che 8~/ :;. per piccoli R e che
8~/:
.!
per grandi R.
10
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.5 Fotometria di galassie ellittiche
Questo indica che
che
2
0
= = − >/ 1 , dove x e y sono costanti positive e quindi si ha
8 ∝ 10:;.
@A
6
∝ 10:;.
0
BC1
(2)
La formula è nota come Legge 57 di de Vaucouleurs.
Convenzionalmente è scritta come:
8(/) = 8 10
0
G
EFG I1 : JK
D: .
H
=8
0
C 1
L=M N−7.67 PFC I
H
− 1QR
(3)
dove / è il raggio effettivo e il fattore numerico 3.33 è scelto in modo tale che, se
l’immagine della galassia fosse a simmetria circolare e se la formula fosse valida
per tutti i raggi (va ricordato che la sua validità è stata stabilita solo per un intervallo
ristretto di raggi), la metà della luce totale del sistema sarebbe emessa all’interno di
/ . Quindi la luminosità totale della galassia è legata ai parametri 8 e / dalla
seguente relazione:
C
^
2 T; H 8(/)2U/V/ = T; 8(/)2U/V/ =
! XYZ(!.[!)
(U/ ] 8
(!.[!)\
) = 7.22U/ ] 8
(4)
Il parametro 8 rappresenta la luminosità superficiale a / = / .
Dall’equazione (4) segue che la luminosità superficiale media all’interno del raggio
effettivo è ⟨8⟩ = 3.618 .
A meno che la galassia non abbia una simmetria circolare esatta, saranno ottenuti
diversi valori del raggio effettivo dal fit della (3) per i profili di luminosità della
galassia stessa, lungo i suoi assi maggiore e minore, b e c rispettivamente. I raggi
effettivi presi in considerazione sono, solitamente, la media geometrica di questi due
0
valori, per cui risulta / = (b c ) .
11
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.5 Fotometria di galassie ellittiche
Con questa definizione, metà della luce totale è prevista essere contenuta in
un’ellisse isofotale con area pari a U/ ].
Poiché contiene solo due parametri liberi, 8 e / , la legge di de Vaucouleurs
fornisce un fit considerevolmente buono per i profili di luminosità di molte galassie
ellittiche, nonostante possano esserci deviazioni apprezzabili rispetto al profilo del
6
best-fit 57 .
In gran parte, queste deviazioni dipendono dalle luminosità delle galassie: quando
6
grafichiamo µ in funzione di 57 , i profili di galassie a scarsa luminosità tendono a
6
curvare verso il basso per tutti i valori di 57 , mentre i profili delle galassie più
6
luminose curvano verso l’alto in intervalli significativi di 57 .
Fig. 4: Profili di luminosità caratteristici per galassie ellittiche di diverse luminosità, basati su una fotometria di 261
oggetti. (Schombert, 1986).
12
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.5 Fotometria di galassie ellittiche
I due casi limite sono rappresentati dai profili di luminosità dalle galassie cD e delle
ellittiche nane.
•
Profili di luminosità delle galassie cD
Le galassie cD sono quelle che mostrano i profili di luminosità più
nettamente curvati verso l’alto. Sono oggetti molto luminosi che si trovano in
regioni di densità galattica particolarmente alta, come al centro di un
ammasso di galassie (Beers & Geller, 1983) o di un gruppo compatto
(Morgan, Kayser & White, 1975).
Fig. 5: Profilo di luminosità della galassia cD che si trova al centro dell’ammasso Abell 1413. La linea
mostra il miglior fit dei punti, effettuato con la legge di de Vaucouleurs.
[Dati forniti da J. Schombert, basati sul lavoro svolto da Oemler (1976)].
Lo spostamento dei profili di luminosità di queste galassie, per grandi raggi,
6
al di sopra del fit che si ottiene con la legge 57 , è interpretato come la
conseguenza del fatto che la galassia si trova all’interno di un esteso alone
luminoso.
E’ conveniente pensare che questo alone appartenga
all’ammasso circostante, piuttosto che alla galassia stessa (Merritt, 1985).
13
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.5 Fotometria di galassie ellittiche
L’ellitticità delle galassie cD, generalmente aumenta verso l’esterno e gli assi
principali delle isofote più esterne sono sempre allineati agli assi principali
delle isoplete (le curve a densità numerica di galassie costante)
dell’ammasso circostante (Carter & Metcalfe 1980, Rhee & Katgert 1987).
Questo fenomeno avvalora l’ipotesi secondo cui gli aloni delle galassie cD
appartengono all’ammasso invece che alla galassia.
•
Profili di luminosità delle galassie ellittiche nane
La maggior parte delle galassie del Gruppo Locale (cioè il gruppo di galassie
a cui appartiene la Via Lattea) sono ellittiche a bassa luminosità,
appartenenti alle classi dE (ellittiche nane) e dSph (sferoidali nane).
Probabilmente questi tipi di galassie sono i più comuni in tutti gli ambienti,
ma quel che è certo è che esiste un gran numero di queste galassie in
ammassi vicini, come quello della Vergine e della Fornace (Bingelli et al.
1985, Wirth & Gallagher 1984). A causa delle loro basse luminosità, questi
oggetti non sono stati studiati in maniera ampia, come è accaduto per le
giganti ellittiche, ma è stato ugualmente possibile realizzare una sorta di
categorizzazione.
Si vede, infatti, che le ellittiche nane si dividono in due categorie: le compatte
e le diffuse (Kormendy & Djorgovski 1989).
Nel Gruppo Locale troviamo una sola ellittica nana compatta, M32, che si
trova molto vicina alla compagna gigante della Via Lattea, M31. In generale,
comunque, nei pressi degli ammassi di galassie, è stato trovato un certo
numero di galassie dE compatte che non si trovano vicino a compagne di
alcuna galassia gigante.
I profili di luminosità di queste galassie sono ben riprodotti dalla legge di de
Vaucouleurs, mentre quelli delle dE diffuse seguono la legge esponenziale
d(5) = de -fg F−
5
I,
5e
dove il parametro 5e è detto scala di lunghezza del
disco e de è la luminosità in corrispondenza di 5e .
14
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.6 Forme delle galassie ellittiche
Un altro punto di applicazione importante per i profili di luminosità, è stato lo studio
dei centri delle galassie ellittiche.
Il motivo di tanto interesse è legato all’esistenza di massicci buchi neri, che hanno
catalizzato un gran numero di tentativi di studio, finalizzati alla comprensione di
queste regioni. Inizialmente questo lavoro è stato molto complicato, poiché le
galassie ellittiche più vicine (come M32) sono sistemi relativamente piccoli. Il
problema della distanza dei sistemi più interessanti ai fini dello studio, sono stati
superati con il lancio del telescopio spaziale di Hubble (HST).
1.6 Forme delle galassie ellittiche
La forma delle isofote è caratterizzata dall’ellitticità є, che a volte aumenta, andando
dal centro verso le zone esterne (come accade per le galassie cD), mentre in altri
casi varia in modo non monotono come una funzione del raggio. Segue che non c’è
una regola generale per stabilire la variazione di h(/), e non è chiaro quale
significato fisico corrisponda alle variazioni osservate. Ciò che, però, è evidente, è
che la maggior parte delle ellittiche non rappresenta un rotatore puramente oblato o
puramente prolato con due assi, ma è triassiale, il che significa che non c’è un
singolo asse di rotazione privilegiato.
Questa situazione di casualità sembra evidente in molte delle ellittiche più grandi,
nelle quali del materiale, in forma di gas, polveri, ammassi globulari o galassie nane,
è stato catturato nell’istante della formazione galattica.
Quando misuriamo le velocità rotazionali delle galassie ellittiche, troviamo che
quelle più luminose hanno velocità rotazionali medie molto minori delle loro
dispersioni di velocità. Questo significa che le forme di queste galassie non
dipendono dal moto di rotazione, ma da moti casuali, anisotropi, delle stelle nelle
galassie.
Nel 1988 Ralf Bender, Jean-Luc Nieto e i loro collaboratori, avanzarono l’ipotesi che
le caratteristiche delle galassie ellittiche potessero essere capite in termini del grado
di boxiness o disckiness delle loro superfici isofotali.
15
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.6 Forme delle galassie ellittiche
Per quantificare la deviazione da un’ellisse, la forma di un contorno isofotale
(definito per qualche valore specifico di µ) è scritto in coordinate polari come una
serie di Fourier della forma:
b(i) = b; + b] cos(2i) + b cos(4i) +. ..
(5)
dove b è il raggio del contorno e l’angolo i è misurato in senso antiorario, a partire
dall’asse maggiore dell’ellissoide.
Il primo termine dell’espansione rappresenta la forma di un cerchio perfetto, il
secondo termine corrisponde alla “quantità” di ellitticità, e il terzo termine è
associato al grado di boxiness: se b < 0, la superficie isofotale appare tendente al
tipo boxy, mentre se b > 0 la superficie tende ad essere disky.
Fig. 6: Due esempi di galassie con є = 0.4. La linea solida rappresenta una galassia boxy (b < 0), mentre quella
tratteggiata rappresenta una galassia disky (b > 0),
Risulta chiaro, quindi, che due galassie appartenenti allo stesso tipo nella
classificazione di Hubble, potrebbero avere caratteristiche molto differenti quando
vengono presi in esame altri parametri fisici. Per esempio, date due galassie E4
(cioè con є = 0.4), una potrebbe apparire di tipo disky (b > 0) e l’altra di tipo boxy
(b < 0).
In realtà, anche altre caratteristiche sembrano associate a questo tipo di distinzione:
si osserva che spesso le galassie boxy contengono nuclei controrotanti, cosa che
16
Capitolo 1 - Le galassie: caratteristiche generali
1.6 Forme delle galassie ellittiche
raramente accade per le disky. Inoltre queste ultime hanno generalmente simmetrie
rotazionali oblate, mentre le galassie boxy tendono ad essere triassiali.
Sebbene sia probabile che il grado di boxiness tra le galassie rappresenti un
continuo, più che due classi distinte di oggetti, apparentemente circa il 90% delle
ellittiche hanno una natura disky. Si è pensato, dunque, che le galassie disky
potessero semplicemente rappresentare un’estensione della sequenza di galassie
S0 (lenticolari) verso oggetti con rapporti disco-nucleo via via sempre minori, e che
alcune di esse fossero effettivamente classificate in modo erroneo come lenticolari.
Le galassie boxy, invece, potrebbero essere una prova di qualche livello di
evoluzione
ambientale,
come
le
interazioni
17
di
marea
o
le
fusioni.
Capitolo 2 - Le galassie: fotometria superficiale e problematiche osservative
2.1 Il cielo notturno
Capitolo 2
Le galassie: fotometria superficiale e
problematiche osservative
Un passo fondamentale
per affrontare la morfologia delle galassie su basi
quantitative, consiste nella misura della distribuzione della loro luminosità
superficiale. In realtà, però, effettuare questa misura significa superare due grandi
ostacoli, legati a difficoltà osservative: il cielo notturno che non è mai
completamente scuro e l’atmosfera che non è completamente trasparente.
2.1 Il cielo notturno
La luminosità di un cielo notturno, privo di luce lunare, è data da quattro contributi:
•
Il
calore
prodotto
dai
processi
fotochimici
nella
parte
superiore
dell’atmosfera. Questa componente ha uno spettro molto irregolare, ma è la
più consistente su lunghezze d’onda maggiori.
La sua intensità varia da punto a punto in modo irregolare, mentre, in media,
aumenta di un fattore due, andando da latitudini di 20° a latitudini di 70°.
Esso varia in ampiezza di circa il 20% su scale temporali che possono
essere più brevi di dieci minuti.
Per molti osservatori, questa componente è aumentata dalla linea di
radiazioni del sodio e mercurio dovute ai lampioni delle città vicine.
•
La luce zodiacale, che è luce solare dispersa da materiale particolato nel
sistema solare.
•
Stelle deboli e irrisolte nella nostra Galassia.
•
Luce extragalattica diffusa, proveniente da galassie irrisolte, deboli e distanti.
18
Capitolo 2 - Le galassie: fotometria superficiale e problematiche osservative
2.1 Il cielo notturno
Le proporzioni di queste componenti e l’intensità totale che, messe tutte
insieme, producono, variano da un sito osservativo ad un altro.
Generalmente, la luce zodiacale è la maggiore sorgente di luminosità, seguita
dalla componente termica e dalla luce galattica diffusa, mentre la luce
extragalattica, di solito, porta il contributo minore. Queste componenti, nella loro
totalità, emanano sulla superficie terrestre più luce di tutte le stelle risolte, le
nebulose e le galassie messe insieme.
Le osservazioni fotometriche di una galassia, quindi, necessitano di un processo
di riduzione, che consiste in:
I.
Determinare la sensibilità di ogni pixel del dispositivo usato per creare
l’immagine.
II.
Misurare le attenuazioni delle immagini verso il bordo del campo visivo
del telescopio, cioè ciò che si chiama la vigenttatura del campo.
Il processo di correzione è detto flat-fielding, e di solito gli errori
provenienti da questo passaggio, sono quelli che portano un contributo
maggiore.
Dopo aver effettuato il flat-fielding, si deve sottrarre il contributo del fondo cielo al
flusso misurato. Questo contributo, generalmente, sembra essere maggiore di
quello della galassia stessa. Inoltre la luminosità del cielo nella zona che ospita la
galassia, non può essere misurata direttamente, ma deve essere dedotta per
estrapolazione dalle porzioni di cielo vicine. A questo scopo è preferibile usare un
rivelatore che copra un’area più grande possibile di cielo.
19
Capitolo 2 - Le galassie: fotometria superficiale e problematiche osservative
2.1 Il cielo notturno
La figura 7 mostra come i profili di luminosità di una galassia, il cui reale andamento
0
segue la legge / 1 , dipenderanno dalle luminosità del cielo scelte.
Fig.7: Profili di luminosità di una galassia, caratterizzati da un fondo cielo diverso, uno per ogni riquadro.
Partendo da sinistra, abbiamo il profilo ottenuto con un livello di fondo cielo troppo
basso: esso segue una legge esponenziale decrescente fino ad un certo valore di µ,
in corrispondenza del quale il profilo si appiattisce.
Al centro troviamo il profilo ottenuto sovrastimando il livello del fondo cielo: esso
decresce rapidamente fino ad azzerarsi in corrispondenza di un certo valore di R.
Infine, a destra, abbiamo il profilo ottenuto con la stima corretta del fondo cielo: esso
segue l’andamento della legge di de Vaucouleurs.
La figura 7 mostra che un livello di fondo sovrastimato, contrariamente a quanto
accade per uno sottostimato, dà luogo ad un profilo di luminosità superficiale
plausibile per la galassia, anche se un profilo del genere non può essere
considerato come un’evidenza del fatto che la galassia in questione non abbia
materiale luminoso al di sotto di quel particolare valore di r.
Risulta evidente, quindi, che piccoli errori nella luminosità del cielo possono essere
causa, per grandi valori di r, di conseguenze negative vistose nel profilo di
luminosità superficiale derivato.
20
Capitolo 2 - Le galassie: fotometria superficiale e problematiche osservative
2.2 Effetto del seeing
2.2 Effetto del seeing
Il seeing è la condizione in cui si osserva il cielo, ed è influenzato fortemente dalla
turbolenza atmosferica, a bassa e ad alta quota.
La prima è dovuta principalmente a fenomeni convettivi di scambio di calore fra il
terreno e l’aria: il Sole, durante il giorno, scalda il terreno, che accumula calore;
durante la notte questo calore viene restituito all’aria, causando la formazione di
“colonne d’aria” agitata che pregiudicano l’osservazione.
La turbolenza di alta quota, invece, è dovuta alla presenza di zone di scambio di
masse d’aria a diversa temperatura e pressione. Anche in questo caso i flussi d’aria
(generalmente orizzontali, a differenza dei precedenti) disturbano il passaggio della
luce.
Il risultato è che la turbolenza causa delle immagini a “macchie”, frutto delle
fluttuazioni nella fase del fronte d’onda che attraversa il telescopio.
Diventa naturale, quindi, chiedersi in che modo il seeing influenzi le misure della
luminosità superficiale delle galassie.
Il seeing è caratterizzato da una funzione, detta point-spread function (PSF), P(d),
che dà la densità di probabilità che un fotone colpisca il dispositivo di acquisizione
dell’immagine in un punto che si trova a distanza d dal punto che il fotone colpirebbe
in assenza di seeing.
Se, in assenza di seeing, la luminosità superficiale nella posizione / s è 8(/ s ), allora
la luminosità misurata nel punto / sarà:
8(/) = T V] / s t(/ − / s )8(/ s )
(6)
Il caso più semplice che si possa considerare è quello di una distribuzione di
luminosità a simmetria circolare 8(% s ) e una PSF Gaussiana.
Ciò che si vede è che le luminosità superficiali reali delle galassie tendono a
divergere per / → 0 come una potenza negativa di /, cioè per piccoli raggi, si ha
8~/:v , 0< w < 1.
21
Capitolo 2 - Le galassie: fotometria superficiale e problematiche osservative
2.3 Deproiezione delle immagini
Se denotiamo con σ la dispersione della PSF, per / ≤ y la luminosità misurata è
minore di quella osservata, mentre per / ≥ y la luminosità superficiale misurata è
maggiore di quella reale, dal momento che la luce rimossa a raggi più piccoli, deve
riemergere a raggi leggermente più grandi.
L’effetto totale del seeing è di introdurre, nel profilo, una parte centrale apparente, a
luminosità costante. Poiché alcuni modelli galattici, di interesse teorico, posseggono
zone simili, si è stati portati a pensare, fino a tempi recenti, che queste zone centrali
nei profili di luminosità superficiale apparente, fossero il riflesso di zone
effettivamente presenti nei profili di luminosità reale, piuttosto che un artefatto
introdotto dal seeing.
2.3 Deproiezione delle immagini
Ciò che otteniamo dalla fotometria di una galassia è la sua distribuzione di
luminosità superficiale, 8(/), che è un’immagine bidimensionale, dalla quale
possiamo dedurre la densità di luminosità tridimensionale, {(%).
Se 8(/) è a simmetria circolare, è ragionevole pensare che {(%) sia a simmetria
sferica. Pur essendo la legge di de Vaucouleurs (3) il modo ideale per descrivere la
brillanza superficiale dei dati sperimentali, la forma analitica più semplice per legare
la luminosità e la sua densità è data dalla coppia di formule:
8(/) =
dove 8; = 2%; {;.
|}
G
~F I
•}
↔ {(%) =
•}
•
•}
„
‚ ~F I ƒ
(7)
Il profilo di luminosità dato dalla (7) è noto come Legge di Hubble modificata, a
causa della sua somiglianza con la Legge di Hubble:
8(/) =
|}
G
•}
F ~ I
(8)
Evidentemente la differenza tra le espressioni (7) e (8) sta nel fatto che la quantità
è quadrata rispettivamente prima e dopo averle sommato l’unità.
22
C
}
Capitolo 2 - Le galassie: fotometria superficiale e problematiche osservative
2.3 Deproiezione delle immagini
†|
La conseguenza è che il gradiente centrale di luminosità superficiale, … ‡
†C
Cˆ;
, è
diverso da zero secondo la legge di Hubble, ma è nullo secondo la legge di Hubble
modificata.
Se, invece, 8(/) non è a simmetria circolare, la galassia non può avere simmetria
sferica, ma potrebbe essere assialsimmetrica.
In questo caso, assumendo che la linea di vista della galassia sia sul piano
equatoriale galattico, 8(/) e {(%) saranno ancora legate da un’equazione integrale
risolvibile.
In generale, però, la linea di vista sarà inclinata di un certo angolo rispetto al piano
equatoriale galattico. In questo caso, come mostrò Rybicki (1987), l’immagine non
contiene informazioni sufficienti per ricostruire la densità luminosa tridimensionale.
Supponiamo che l’inclinazione della galassia sia data da i, l’angolo tra la normale al
piano equatoriale e la linea di vista. La quantità di informazione mancante aumenta
progressivamente da ‰ = 90° a ‰ = 0°. In quest’ultimo caso, si vede che molte
densità di luminosità differenti proiettano la stessa distribuzione di luminosità
superficiale. Di conseguenza, in principio, per ‰ < 90°, non è possibile determinare
la vera forma di una galassia a partire dalla sola fotometria.
Ciò che si sa, comunque, è che molte galassie non sono assialsimmetriche, dunque
supponiamo che una data galassia sia triassiale, nel senso che abbia i tre piani di
simmetria ortogonali, e assumiamo anche, per semplicità, che la densità j sia
costante sulle superfici ellissoidali.
Stark (1977) mostrò che, quando una galassia del genere viene proiettata nel cielo,
le sue isofote saranno ellissi coassiali simili, e sia il rapporto tra gli assi, sia
l’orientazione delle ellissi, dipenderanno dalla direzione della linea di vista.
23
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.1 Alla scoperta di M87
Capitolo 3
M87: un faro acceso sul palcoscenico del
nostro interesse.
3.1 Alla scoperta di M87
Prima di entrare nel vivo del nostro studio, facciamo una breve panoramica sulla
galassia presa in esame: M87.
Fig.8: Immagine dell’ammasso della Vergine, in cui è ben visibile la galassia M87, situata proprio nel
cuore
dell’ammasso.
Scoperta nel 1781 da Charles Messier, la galassia ellittica gigante Messier 87 (M87,
NGC 4486), chiamata anche Virgo A, è uno degli oggetti più importanti del cielo. E'
forse la galassia dominante, situata nel cuore del più grande ammasso vicino a noi,
quello della Vergine.
24
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.1 Alla scoperta di M87
Ad una distanza di circa 60 milioni di anni luce, e un diametro di circa 7’,
corrispondente ad un'estensione lineare di 120.000 anni luce, supera di gran lunga
le dimensioni del disco della Via Lattea. Inoltre, essendo M87 di tipo E1 (o E0),
occupa un volume molto più grande rispetto alla nostra galassia, e quindi contiene
molte più stelle.
M87, con una magnitudine assoluta di circa -22, si presenta come un oggetto
estremamente luminoso.
Secondo studi effettuati presso l’ Anglo-Australian Observatory, M87 si estende
ulteriormente: le sue parti esterne non sono più circolari ma significativamente
allungate.
Le
sue
zone
esterne
appaiono
notevolmente
distorte,
molto
probabilmente a causa delle interazioni gravitazionali con altri membri dell’ammasso
della Vergine, e perché contengono materiale di galassie perturbate, che sono state
incorporate in M87 durante incontri ravvicinati.
M87 è famosa per due caratteristiche che la rendono forse unica nel suo genere:
un enorme sistema di ammassi globulari (visibili in immagini ad esposizione lunga)
e un getto spettacolare (meglio visto su riprese di esposizione di breve durata):
Sistema di ammassi globulari
Questa galassia è forse quella con più ammassi globulari noti. Mentre la
nostra Via Lattea ne contiene circa 150-200, M87 possiede un sistema
notevole di diverse migliaia di questi oggetti: alcune stime indicano un
numero di almeno 4000 (Burnham, 1976),
mentre valori più aggiornati
salgono a 15.000 ammassi, che circondano questa galassia gigante in un
alone ben visibile.
La funzione di luminosità degli ammassi globulari (che descrive la
percentuale di globulari in certi intervalli di luminosità) è stata usata
ripetutamente in passato per stimare la distanza di M87. Più recentemente,
tale stima è stata eseguita da B.C. Whitmore, W.B. Sparks, R.A. Lucas, F.D.
Macchetto e J.A. Berretta (ApJ 454, L73 [1 Dicembre 1995]) utilizzando
osservazioni HST, ottenendo una distanza di circa 55 milioni di anni luce.
25
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.1 Alla scoperta di M87
Getto proveniente da M87
Il getto gigante è stato scoperto da H.D. Curtis del Lick Observatory nel
1918. Questo fenomeno si estende per migliaia di anni luce ed è costituito
da materiale gassoso espulso dal nucleo della galassia.
Esposizioni polarimetriche di questo getto hanno dimostrato che la sua luce
è fortemente polarizzata, come è tipico per la radiazione di sincrotrone.
Presenta uno spettro continuo, e appare blu.
Le osservazioni hanno mostrato un moto apparente superluminale di nubi di
gas, probabilmente un'illusione causata dal fatto che il getto sia rivolto verso
di noi.
Fig.9: Getto espulso dal centro di M87. L’immagine mostra l’evoluzione di HST-1 (il secondo nucleo
brillante da sinistra in ciascun riquadro), nel corso di sette anni di osservazioni con il telescopio spaziale
Hubble.
26
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.2 Scopo del nostro studio
Dagli studi effettuati con il telescopio spaziale Hubble, è stato possibile
vedere più in dettaglio il nucleo attivo di questa galassia, in modo da rivelare
un enorme buco nero di circa 6 miliardi di masse solari.
M87 è la più grande galassia dell'universo “vicino” e si ritiene che si sia
formata in seguito alla fusione di un centinaio di galassie più piccole. Anche
il suo buco nero si deve essere formato attraverso la fusione di diversi buchi
neri.
Sebbene si trovi a più di 50 milioni di anni luce dalla Terra, da un punto di
vista cosmologico questo buco nero può essere considerato un nostro
“vicino”, e proprio per questa sua relativa vicinanza e per le sue eccezionali
dimensioni potrebbe rappresentare il candidato naturale a diventare il primo
buco nero ad essere realmente "visto", dato che finora non esistono prove
osservative dirette.
3.2 Scopo del nostro studio
Lo scopo del nostro studio è quello di ottenere il profilo di luminosità della galassia
ellittica M87 e di confrontarlo con un fit della legge di Sersic.
In cosa consiste la Legge di Sersic?
Un profilo di luminosità di una galassia ellittica, tipicamente, segue la legge di de
Vaucouleurs (3):
8(/) = 8 10
D: .
0
C 1
EFC I : JK
H
/
= 8 L=M Œ−7.67 •Ž • − 1•‘
/
Come si vede, la legge (3) contiene due parametri liberi, 8 e / , mentre per
ottenere un buon fit su un insieme più ampio di galassie, è auspicabile utilizzare
funzioni con più di due parametri liberi.
27
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.3 Spazi e strumentazione
Una possibilità è quella di sostituire l’esponente
’
con , dove
,della legge di de Vaucouleurs,
è restituito dal fit dei dati. Si parla, in questo caso di legge di de
Vaucouleurs generalizzata o legge di Sersic.
0
Legge di Sersic (o profili del tipo % “ ):
8(%) = 8 10
•
0
D: “ EF I“ : JK
•H
(9)
dove c’ è scelto in modo tale che metà della luminosità totale predetta dalla legge,
sia compresa in un raggio % < % (Sersic 1968, Ciotti 1991).
Graficando
0
in funzione di / 1 , per
< 4, l’equazione (9) predice un profilo di
luminosità che curva verso il basso, mentre per
> 4, il modello curva verso l’alto.
Dunque quando utilizziamo la legge di Sersic per fittare i dati di una galassia ellittica
a bassa luminosità, dobbiamo aspettarci, come best fit, un valore di
se si tratta di una galassia ellittica molto luminosa.
< 4; viceversa
3.3 Spazi e strumentazione
Poter eseguire uno studio come quello proposto, significa, ovviamente, avere degli
spazi e delle attrezzature adatte, possibilità che non tutti gli Atenei offrono.
Ci siamo quindi accomodati nella schiera dei fortunati, avendo a disposizione
l’Osservatorio del Dipartimento di Fisica. Vale la pena, dunque, elencare
sinteticamente le caratteristiche tecniche della nostra strumentazione.
28
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.3 Spazi e strumentazione
-
La Cupola (Sirius University Observatory), con un diametro di 6.7 m, è stata
montata il 30 Aprile 2010, ed è la prima cupola di questo tipo installata in Italia.
Fig. 10: Cupola dell’Osservatorio dell’Università degli studi di Salerno.
-
Il telescopio, un Celestron C-14, con un diametro di 0.35m e un rapporto focale
f/11, è stato installato il 14 Novembre 2010.
Fig. 11: Telescopio Celestron in dotazione all’Osservatorio dell’Università degli studi di Salerno.
29
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.3 Spazi e strumentazione
-
La CCD è una SBIG ST-2000XM con una risoluzione di 1600 x 1200 pixel e un
campo visivo di 14’ x 11’, grazie ad un riduttore focale a f/7.9. E’ dotata di un
Microfocheggiatore e di una ruota porta filtri con un set di filtri UBVRI di Johnson,
filtri H - alpha e O – III, e un reticolo di diffrazione per la spettroscopia.
Fig. 12: CCD del telescopio Celestron, in dotazione alla nostra Facoltà.
L’Osservatorio è utilizzato sia per scopi didattici, sia per scopi scientifici: ricordiamo
la partecipazione attiva al progetto scientifico “TRansiting ExoplanetS and CAndidates”,
che studia di pianeti extrasolari con il metodo dei transiti.
Inoltre sono portate avanti osservazioni di eventi di microlensing per l'individuazione
di pianeti extrasolari verso il nucleo della nostra galassia.
30
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.4 Dalla teoria alla pratica: acquisizione dei dati
3.4 Dalla teoria alla pratica: acquisizione dei dati
Il primo passo effettuato per il nostro studio, è stato, ovviamente, quello di acquisire
le immagini tramite il telescopio in dotazione all’osservatorio della facoltà.
Si tratta del seguente materiale:
- Tre immagini (raw) della galassia M87, ognuna delle quali ha richiesto un tempo
di esposizione pari a dieci minuti.
- Tre dark (cioè riprese ad obiettivo chiuso), in modo da ottenere immagini del solo
rumore strumentale (circuiti elettronici, pixel difettosi etc.). Tempo di esposizione:
dieci minuti ognuna, esattamente come fatto per la galassia.
-
Cinque immagini flat per
correggere la risposta non uniforme dei pixel del
sensore e difetti ottici, come la vignettatura. Questa immagine si ottiene puntando il
sensore su una superficie uniformemente illuminata o, come nel nostro caso, il
naturale cielo del crepuscolo.
- Cinque immagini dark flat, con metodologia e scopo simili ai precedenti dark.
Riduzione delle immagini
Tramite CCDSoft, abbiamo effettuato la media dei raw, dei flat e dei rispettivi dark,
ottenendo l’immagine finale raw, il master flat e i master dark.
s
Sia /&• l’immagine della galassia, ”&• il suo dark, •&• il flat e ”&•
il dark flat. La
riduzione consiste nell’ottenere l’ immagine finale della galassia, privata del rumore
termico e dei difetti ottici. Tecnicamente si tratta di eseguire le seguenti operazioni:
/&• − ”&•
s
s ⟨•&• − ”&• ⟩ = –&•
•&• − ”&•
dove –&• è l’immagine scientifica finale della galassia.
Di seguito il risultato ottenuto.
31
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.4 Dalla teoria alla pratica: acquisizione dei dati
Fig. 13: la galassia M87 ripresa dal nostro telescopio durante le osservazioni.
Terminata la fase di riduzione delle immagini, tramite il Mathematica, è stato
possibile, prima ancora di iniziare l’analisi dei dati, dedurre i luoghi dei punti in cui
l’intensità luminosa è costante: le isofote della nostra galassia.
Fig. 14: Isofote della galassia M87, dedotte dai dati osservativi raccolti nel nostro studio. La scala di intensità è
espressa in ADU (unità da analogico a digitale), mentre le coordinate x e y sono espresse in primi d’arco.
32
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.5 Analisi dei dati sperimentali
3.5 Analisi dei dati sperimentali
L’analisi dei dati, eseguita con il Mathematica, prevede:
-
Calcolo del baricentro, da prendere come punto di partenza (r=0) per il profilo di
luminosità.
-
Conversione dei dati relativi alla luminosità da ADU a magnitudini.
-
Profilo di luminosità e confronto con la legge di Sersic.
Una volta importato il file contenente i dati sperimentali, individuiamo un’area di
raggio 20 pixel, centrata su un punto iniziale (x0,y0) che ci sembra possa essere il
centro della galassia, per cui fissiamo % = 20. Si effettua un ciclo per il calcolo del
baricentro, utilizzando il metodo di calcolo:
–— = ˜ =& 8 =& , >&
&
… –B = ˜ >& 8 =& , >&
&
–| = ˜ 8 =& , >&
&
•
›
›
⟶ =;s =
œ
›
›
š
–B
–—
; >;s =
–|
–|
dove =;s e >;s sono le coordinate del baricentro cercate.
Le coordinate coinvolte nel ciclo, sono quelle che soddisfano la condizione:
−% ≤ =; ≤ % e −% ≤ >; ≤ %.
Ottenuto il baricentro, calcoliamo la distanza di ogni pixel dell’immagine da esso:
%=
= − =′0
]
33
+ > − >′0
]
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.5 Analisi dei dati sperimentali
Dividendo la galassia in tante corone circolari di spessore pari ad 1 pixel, calcoliamo
il valor medio dell’intensità in ciascuna corona circolare.
Otteniamo così il profilo di luminosità di Fig. 15.
Fig. 15: Profilo di luminosità, in scala lineare, della galassia ellittica M87.
Il grafico è stato ottenuto senza sottrarre il contributo del background e gli errori
riportati sono di tipo Poissoniano.
Quello che vogliamo ottenere è, in realtà, un grafico delle magnitudini in funzione
della radice quarta di %, in modo da poter effettuare un confronto con un fit dei dati
sperimentali tramite la legge di Sersic.
A questo scopo, abbiamo ricalcolato il profilo di luminosità utilizzando come ascissa
%
¢
espresso in b%£¤L£
¢
anziché la distanza lineare %, tenendo presente il
fattore di conversione 1M‰=L¥ = 0.54′′.
Abbiamo poi espresso la brillanza superficiale in
.
Inoltre abbiamo stimato il contributo del background e lo abbiamo sottratto ai nostri
dati.
34
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.5 Analisi dei dati sperimentali
In ultima analisi, abbiamo effettuato un fit con la legge di Sersic, che meglio descrive
il profilo di luminosità di una galassia ellittica.
Il fit avviene sulla base di quattro parametri: I; , B; , ¨, , luminosità, costanti e indice
di Sersic rispettivamente. L’indice utilizzato è
= 11.8, con riferimento allo studio
effettutato da Kormendy et al.
Il risultato ottenuto è il seguente:
Fig. 16: Profilo di luminosità della galassia ellittica M87 e confronto con la legge di Sersic, con n=11.8.
Anche in questo caso, l’errore è di tipo Poissoniano. Va inoltre specificato che la
brillanza superficiale non è calibrata (si tratta di magnitudini strumentali).
Come si vede, la zona centrale del profilo, ovvero quella che comprende
approssimativamente 1.9 ≤ % 1 ≤ 3.0, è ben fittata dalla legge di Sersic.
0
Le zone più estreme del profilo, invece, si distanziano molto dal fit, anche se per
ragioni diverse: la parte iniziale è regolata dalla PSF, mentre quella finale è affetta
da errori maggiori, a causa del background.
35
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.6 Conclusioni
3.6 Conclusioni
Quali conferme e osservazioni possiamo dedurre dai nostri risultati?
L’indice di Sersic utilizzato per effettuare il fit dei dati sperimentali, è stato scelto
basandoci su uno studio fotometrico svolto da Kormendy et al., per cui risulta
interessante confrontare il profilo ottenuto con quello di riferimento:
Fig. 17: Profilo di luminosità della galassia M87, ottenuto da Kormendy et al., per il quale si evince un indice di
Sersic pari a 11.8.
La nostra scala delle ascisse comprende valori (1 ≤ %
¢
≤ 4) che costituiscono la
parte centrale del grafico di Fig. 17, essendo esso esteso a raggi anche maggiori.
Rispetto a questo intervallo, quindi, possiamo asserire che i risultati sperimentali
ottenuti dal nostro studio, trovano una loro sostanziale conferma nel lavoro portato
avanti da Kormendy et al., relativamente alla parte di fotometria di cui ci siamo
occupati.
36
Capitolo 3 – M87: un faro acceso sul palcoscenico del nostro interesse
3.6 Conclusioni
Come previsto dalla legge di Sersic (9), una galassia con indice
> 4, ha un profilo
che tende a curvare verso l’alto, che in termini fisici si traduce nell’affermare che si
tratta di una galassia ellittica molto luminosa.
La classe di ellittiche più luminose è rappresentata dalle galassie cD; dunque
possiamo affermare che M87 sia proprio un oggetto del genere?
Negli ammassi più ricchi, galassie simili sono tipicamente delle cD, cioè ellittiche
giganti che mostrano luce extra per grandi raggi, visibile in un esteso alone,
appartenente più all’ammasso che alla galassia centrale, formato da stelle perse da
altre galassie durante le collisioni (Gallagher & Ostriker 1972; Richstone 1976).
Che M87 sia una galassia cD, non è così certo. Il profilo di M87 mostra, in effetti,
luce extra per grandi raggi, rispetto al fit delle zone più interne, ma questo vale per
tutte le galassie con indice di Sersic
> 4. L’evidenza che quello di M87 possa
essere un alone cD, è più indiretta.
Supportati dallo studio svolto da Kormendy et al., possiamo osservare che la legge
di Sersic esegue un fit sull’intero profilo, trovando un indice,
= 11.8, piuttosto alto
anche per una galassia molto luminosa. Quando restringiamo l’intervallo del fit a
valori di %~900′′, n diminuisce sensibilmente, arrivando a
= 8.9, che è più
consistente con i valori ottenuti per altre giganti ellittiche nell’ammasso della
Vergine. Se si adotta questo fit, la galassia mostra ugualmente un alone di luce
extra a grandi raggi, simile ma più debole rispetto agli aloni di tipo cD.
Questo suggerisce, ma resta un’interpretazione, che M87 sia una galassia cD
debole. Questi risultati sono consistenti con la conclusione di Oemler (1976),
secondo cui l’inviluppo luminoso di una cD dipende fortemente dalla luminosità
dell’ammasso a cui appartiene.
La luminosità totale della Vergine appartiene, infatti, al limite inferiore dell’intervallo
di luminosità ricoperto dagli ammassi contenenti galassie cD.
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