Biologia molecolare: per chi, per cosa

EMATOLOGIA
1
direttori della collana
Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati
BIOLOGIA MOLECOLARE:
PER CHI, PER COSA
Giuseppe Cimino
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia
Università “La Sapienza”, Roma
10
EMATOLOGIA
DIRETTORI DELLA COLLANA
Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia
Università “La Sapienza”, Roma
ACCADEMIA NAZIONALE DI MEDICINA
REDAZIONE
P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova
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INDICE
INTRODUZIONE
1
LE METODOLOGIE DELLA BIOLOGIA MOLECOLARE
2
ONCOGENI E GENI SOPPRESSORI
3
LEUCEMOGENESI
4
SIGNIFICATO DELLA BIOLOGIA MOLECOLARE
NELLE LEUCEMIE ACUTE
5
LA LEUCEMIA ACUTA PROMIELOCITICA
E IL GENE IBRIDO PML/RARa
6
LA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA E IL GENE IBRIDO BCR/ABL
7
LE LESIONI MOLECOLARI NEI LINFOMI NON-HODGKIN
8
LE METODICHE MOLECOLARI NELLO STUDIO DEL CHIMERISMO
DOPO TRAPIANTO DI CELLULE EMOPOIETICHE
STAMINALI ALLOGENICHE
9
CONCLUSIONI
10
BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA
11
LE DIAPOSITIVE
ABBREVIAZIONI
ATRA
BL
DLC
DNA
FISH
GVHD
HLF
HOX
Ig
IMB
LA
LAP
LLA
LMA
LMC
LNH
MPO
M-bcr
m-bcr
PCR
RC
REAL
RNA
RT-PCR
STR
TCR
TMO
VNTR
acido all-trans retinoico
LNH tipo Burkitt
LNH diffusi a grandi cellule
acido desossiribonucleico
fluorescence in situ hybridization
graft vs host disease
hepatic leukemia factor
homeobox
immunoglobuline
LNH immunoblastici
leucemia acuta
leucemia acuta promielocitica
leucemia linfoide acuta
leucemia mieloide acuta
leucemia mieloide cronica
linfomi non Hodgkin
mieloperossidasi
major breakpoint cluster region
minor breakpoint cluster region
polymerase chain reaction
remissione completa
Revised European American Lymphomas classification
acido ribonucleico
reverse transcriptase-PCR
short tandem repeat
T-cell receptor
trapianto di midollo allogenico
numero variabile di tandem repeat
1
INTRODUZIONE
Tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo di un individuo adulto
sono contenute in una singola cellula: lo zigote. In particolare, essa
contiene i dati indispensabili allo sviluppo, al controllo della proliferazione e differenziazione cellulare, all’assemblaggio delle singole cellule
nei tessuti e all’organizzazione di questi ultimi in organi.
1.1
IL DNA E IL CODICE GENETICO
È straordinario considerare come l’informazione di tutto è contenuta nei
polinucleotidi dell’acido desossiribonucleico (DNA). Quest’ultimo è costituito dal ripetersi alternato di solo quattro basi che sono: adenina (A),
guanina (G), timina (T), citosina (C). Inoltre, il DNA ha una conformazione
a doppia elica nella quale l’adenina è sempre appaiata alla timina e la
citosina alla guanina. Proprio l’esatto ripetersi di questo appaiamento
costituisce il principale meccanismo con il quale avviene l’accurata replicazione del codice genetico.
La sequenza delle basi nucleotiche della catena del DNA determina la
corrispondente sequenza aminoacidica delle proteine. Venti differenti
aminoacidi concorrono alla formazione delle proteine, e ciascun aminoacido è codificato da una o più triplette di nucleotidi (Figura 1).
L’assemblaggio degli aminoacidi nelle proteine, tuttavia non avviene
direttamente dal DNA, ma attraverso un meccanismo che interessa un
secondo polinucleotide che è l’acido ribonucleico (RNA). Quest’ultimo è
sintetizzato sulla sequenza del DNA che funge da templato, come una
sorta di stampino (trascrizione). Successivamente, dopo l’eliminazione
dall’RNA di quelle regioni che non danno luogo a sequenze aminoacidiche, l’RNA messaggero è translato nella sequenza aminoacidica.
Come si vede, con questo meccanismo, che è schematizzato nella
Figura 2, l’ordine della sequenza aminoacidica della proteina rispecchia
fedelmente l’ordine della sequenza nucleotidica del DNA.
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Figura 1 • Il codice genetico
Seconda base
UUU
UUC
UUA
UUG
Prima base
U
C
CUU
CUC
CUA
CUG
A
AUU
AUC
AUA
AUG
Phe
Leu
Leu
Ile
Met
GUU
GUC
GUA
GUG
G
Val
G
A
C
U
UCU
UCC
UCA
UCG
Ser
CCU
CCC
CCA
CCG
Pro
ACU
ACC
ACA
ACG
Thr
GCU
GCC
GCA
GCG
Ala
UAU
UAC
UAA
UAG
CAU
CAC
CAA
CAG
Tyr
TERM
His
Gln
AAU
AAC
AAA
AAG
Asn
GAU
GAC
GAA
GAG
Asp
Lys
Glu
UGU
UGC
UGA
UGG
Cys
TERM
Trp
CGU
CGC
CGA
CGG
Arg
AGU
AGC
AGA
AGG
Ser
Arg
GGU
GGC
GGA
GGG
Gly
Phe = Fenilalanina; Leu = Leucina; Ile = Isoleucina; Met = Metionina; Val = Valina; Ser = Serina;
Pro = Prolina; Thr = Treonina; Ala = Alanina; Tyr = Tirosina; His = Istidina; Gln = Glutamina;
Asn = Asparagina; Lys = Lisina; Asp = Aspartato; Glu = Glutammato; Cys = Cisteina;
Trp = Triptofano; Arg = Arginina; Gly = Glicina; TERM = codone di fine trascrizione.
Figura 2 • Rappresentazione schematica della sintesi proteica
regione
regolatoria
esone
introne
esone
introne
esone
regione
fiancheggiante
gene
5’
3’
5’
mRNA
precursore
AAAA-A processazione mRNA
nucleo
citoplasma
5’
A U C
U AG
Ribosoma
UGG
ACC
UUC
AAG
UAA
AAAA-A trasduzione della
proteina
RNA di trasporto
Aminoacido
Costruzione
catena aminoacidica
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Catena aminoacidica
completata
LE METODOLOGIE DELLA
BIOLOGIA MOLECOLARE
2.1
CLONAGGIO DEL DNA
Il clonaggio del DNA è la metodica principe della biologia molecolare,
attraverso cui è possibile amplificare innumerevoli volte un singolo frammento di DNA. Questo processo è reso possibile dall’impiego di vettori
di DNA quali i batteriofagi e/o i plasmidi, che normalmente si replicano
ad alta velocità all’interno del batterio. Quando un frammento “estraneo”
di DNA viene inserito all’interno di un plasmide o di un fago, esso pure
viene amplificato per replicazione, tanto da poter essere estratto e purificato per essere successivamente analizzato.
2.2
“POLYMERASE CHAIN REACTION”
Lo sviluppo della tecnica di “polymerase chain reaction” (PCR) ha permesso in molti casi di superare il problema del clonaggio. Infatti, questa metodica consente di ottenere milioni di copie del DNA in esame.
Tuttavia, essa presuppone la conoscenza della sequenza del gene o
del frammento di DNA in studio. Infatti, per innescare la reazione di
PCR è necessario costruire due oligonucleotidi (primer), complementari alla sequenza delle due porzioni di DNA che delimitano il tratto da
amplificare. Dal momento che la sensibilità del test è molto elevata, la
PCR può essere utilizzata in ematologia sia per fini diagnostici sia nel
monitoraggio della malattia minima residua per il controllo della risposta terapeutica.
2.3
DIGESTIONE DEL DNA CON ENDONUCLEASI DI
RESTRIZIONE E TECNICA DI “SOUTHERN BLOT”
Molti batteri elaborano enzimi, le endonucleasi, che sono in grado di
tagliare il DNA a doppia elica in determinati punti dove sono presenti
determinate sequenze (sequenze palindromiche) lunghe solitamente 4-8
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coppie di basi. Queste sequenze sono specificamente riconosciute
dalle diverse endonucleasi. Diverse centinaia di endonucleasi sono
oggi disponibili. Alcune riconoscono sequenze di soli 4 nucleotidi altre
di almeno 8. Di conseguenza, la dimensione dei frammenti di DNA prodotti dalle prime (endonucleasi ad alta frequenza di taglio) è mediamente più piccola rispetto a quella prodotta dalle seconde (endonucleasi a bassa sequenza di taglio) (Figura 3).
Figura 3 • Enzimi di restrizione
5’
3’
GGCC
CCGG
3’
5’
Hae III
enzima ad alta frequenza di taglio
5’
3’
GGATCC
CCTAGG
3’
5’
Bam HI
enzima a media frequenza di taglio
5’
3’
GCGGCCGC
CGCCGGCG
3’
5’
Not I
enzima a bassa frequenza di taglio
Gli enzimi di restrizione tagliano il DNA a doppia elica riconoscendo specifiche
sequenze di 4, 6 o 8 nucleotidi. Poiché quattro nucleotidi hanno, ovviamente,
una maggiore probabilità di allinearsi in sequenza rispetto a 6 o 8 nucleotidi, la
frequenza di taglio sarà più alta per le endonucleasi che riconoscono, appunto,
sequenze di 4 nucleotidi rispetto a quelle che riconoscono sequenze di 6 o 8
nucleotidi.
La scoperta degli enzimi di restrizione è stata fondamentale per lo studio della configurazione genomica del DNA.
Mediante la digestione del DNA con endonucleasi e/o con combinazioni di endonucleasi è possibile costruire la cosiddetta mappa di restrizione di una determinata porzione genomica. Quest’ultima, non è altro
che la rappresentazione lineare della posizione dei singoli siti di riconoscimento per le varie endonucleasi di restrizione. La conoscenza
della mappa di restrizione è fondamentale per studiare la variabilità
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genetica poiché mutazioni del DNA a livello di singoli nucleotidi possono abolire siti di restrizione o crearne di nuovi, ed è molto importante,
in campo ematologico, per individuare riarrangiamenti genici patologici.
Questi ultimi, inducendo la formazione di un nuovo gene (gene di fusione) determinano conseguentemente una nuova mappa di restrizione.
La metodica di base per studiare questi eventi è l’analisi “Southern
blot”, così denominata dal nome del ricercatore che la mise a punto
nel 1975. Questa tecnica permette di analizzare la dimensione dei
frammenti di DNA prodotti dalla digestione con endonucleasi di restrizione. Dopo digestione, il DNA viene sottoposto a corsa elettroforetica, attraverso un gel di agarosio e, successivamente, trasferito su una
membrana di nitrocellulosa o nylon. La successiva rilevazione di specifici frammenti di DNA è resa poi possibile dall’ibridazione con “probes”
specifici per quel determinato locus genico. Quindi, con questa metodica è possibile evidenziare, dopo digestione con endonucleasi, i nuovi
frammenti di DNA formatisi o per fenomeni di variabilità genetica o per
riarrangiamenti patologici. Dopo ibridizzazione sulla pellicola radiografica, in tutti e due questi casi, si evidenzieranno nuove bande (bande di
riarrangiamento) che avranno peso molecolare differente rispetto a
quello della struttura normale (banda “germline”). Un esempio di quanto detto è illustrato nella Figura 4.
Figura 4 • Enzimi di restrizione
1 kb
B351
XH
Bg EV
B
X EV
Bg
C
1
2
X
Bg B Bg H
3
3.5 kb
Rappresentazione della “breakpoint cluster region” del gene ALL1 localizzato sul
braccio lungo del cromosoma 11 alla banda q23. Lo schema è esemplificativo di
una mappa di restrizione. Esso infatti, rappresenta la posizione lungo la regione
del DNA in esame dei vari siti di restrizione per le seguenti endonucleasi: X=XbaI;
H=Hind III; EV=Eco RV; B=Bam HI; Bg=Bgl II. In basso è raffigurato un esempio
di analisi “Southern blot” ottenuta ibridizzando con il probe B351 un campione di
DNA digerito con l’enzima Bgl II. Come riportato nella mappa di restrizione sopra
raffigurata, il probe B351, nella configurazione genomica normale, identifica una
banda di 3.5 kb delimitata da due siti di restrizione per l’enzima Bgl II (banda
“germline” linee C, 2 e 3 della foto). Nella linea 1 è riportato il risultato dell’esa me “Southern blot” di un campione di cellule leucemiche con un riarrangiamento
del gene ALL1. Come si vede nella foto, in questo caso si evidenzia una nuova
banda patologica di peso molecolare più alto rispetto alla banda germline (banda
di riarrangiamento, evidenziata nella foto dalla freccia) dovuta alla formazione del
nuovo gene di fusione.
2
2.4
SEQUENZA DEL DNA
La moderna tecnologia molecolare ha consentito di avere a disposizione diversi metodi, oggi anche automatizzati, per la sequenza polinucleotidica diretta di frammenti più o meno estesi di DNA. Questa metodica, utile per lo studio della variabilità genetica, è insostituibile per la
conoscenza della sequenza nucleotidica di nuove porzioni di DNA e,
quindi, per la caratterizzazione di nuovi geni.
(Per approfondire l’argomento si rimanda alle referenze n. 1–5).
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ONCOGENI E GENI
SOPPRESSORI
Negli ultimi decenni lo studio delle leucemie acute e croniche ha permesso di acquisire una grande mole di conoscenze genetiche e molecolari. Questi brillanti risultati sono dovuti principalmente a due fattori:
1. la facilità con cui è possibile ottenere materiale biologico “ex vivo”,
dal momento che, nella grande maggioranza dei casi, le cellule
tumorali circolano nel sangue periferico;
2. gli incoraggianti risultati terapeutici ottenuti nelle leucemie acute
(LA) che hanno indirettamente stimolato la ricerca di base in questo
campo.
Nell’uomo, la LA origina da una cellula progenitrice emopoietica già
orientata lungo la linea di differenziazione mieloide o linfoide, o da una
cellula primitiva staminale con capacità differenziative multilineari. Da
un punto di vista etiopatogenetico, è fondamentale ricordare che il 65%
delle LA presentano alterazioni citogenetiche non casuali, dovute ad
alterazioni cromosomiche somatiche acquisite come traslocazioni o
inversioni. Tutti questi fenomeni determinano alterazioni di specifici
geni che, come vedremo, sono direttamente responsabili di differenti
meccanismi patogenetici.
Vi sono due meccanismi, schematizzati nella Figura 5, attraverso cui
un gene acquista capacità carcinogenetiche. Il primo implica la trasformazione di un gene normale (proto-oncogene) in un nuovo gene (oncogene) che codifica per una nuova proteina in grado di trasformare la
cellula ospite in cellula leucemica, mediante l’acquisizione di una
nuova funzione. Il secondo meccanismo prevede la perdita o l’inattivazione di un gene, la cui proteina normalmente controlla in senso negativo la crescita cellulare (gene soppressore - perdita di funzione).
I meccanismi molecolari che portano alla inattivazione genica, di frequente riscontro nei tumori solidi, sono la delezione, con conseguente
perdita di materiale, e/o le mutazioni puntiformi della sequenza nucleotidica e, conseguentemente, della sequenza aminoacidica, in zone funzionalmente rilevanti della proteina.
Nelle leucemie, l’alterazione strutturale prevalente è quella della traslocazione bilanciata, che determina l’attivazione in senso oncogenetico
di geni cosiddetti “master”, cioè di quei geni che controllano l’attività
trascrizionale di altri geni funzionalmente importanti nello sviluppo delle
cellule del sangue. Le traslocazioni bilanciate possono determinare
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Figura 5 • Rappresentazione schematica dei due principali meccanismi
attraverso cui un gene acquista capacità carcinogenetiche
Gene di fusione
(nuova funzione)
Proto-oncogeni
traslocazione
bilanciata
(+)
Controllo
ciclo cellulare
Controllo
ciclo cellulare
(-)
delezione e/o
mutazione
puntiforme
Geni soppressori
(perdita di funzione)
l’attivazione di un gene in senso oncogenetico attraverso due differenti
meccanismi. Infatti, come illustrato nella Figura 6, il primo, determina
una alterazione quantitativa dell’espressione della proteina, dovuta alla
giustapposizione del gene in oggetto con le regioni regolatrici dei geni
che codificano per il “T-cell receptor“ (TCR) o per le molecole delle
Figura 6 • Rappresentazione schematica dei due meccanismi di attivazione oncogenetica legati alle traslocazioni bilanciate
Geni Ig o TCR
R
Proto-oncogene
Proto-oncogene
Proto-oncogene
(Fattore di trascrizione)
(Fattore di trascrizione)
(Fattore di trascrizione)
R
Codif.
R
Codif.
Codif.
R
R
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Codif.
Codif.
Codif.
Oncogene
Oncogene
Aumentata
espressione
Nuovo fattore di
trascrizione chimerico
R = regione regolatoria; Codif. = regione codificante.
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R
Codif.
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immunoglobuline (Ig). Il secondo meccanismo, invece, conduce a
un’alterazione qualitativa, poiché, per effetto della traslocazione, due
geni, normalmente distanti tra loro, si vengono a fondere in un unico
gene strutturalmente e funzionalmente nuovo.
Esempi del primo meccanismo, cioè di quello che determina un’alterazione quantitativa della proteina, sono rappresentati dal riarrangiamento del gene c-MYC con il gene della IgH nella t(8;14), presente nelle
leucemie linfoidi acute (LLA) a morfologia L3, e dalla maggior parte
delle traslocazioni delle LLA-T.
Riarrangiamenti genici che invece conducono alla formazione di un
nuovo gene chimerico (secondo meccanismo - alterazione qualitativa)
si riscontrano sia nelle leucemie mieloidi acute (LMA) che nelle LLA.
Esempi sono i geni ibridi PML/RARa e BCR/ABL, di cui si tratterà più
diffusamente avanti, e AML1/ETO, CBFb/MYH11 e TEL/AML1 che originano rispettivamente dalla t(8;21)(q22;q22), inv16(p13;q22) e dalla
t(12;21)(p12;q22). Queste tre ultime alterazioni molecolari, significativamente associate rispettivamente alle forme di LMA M2, M4 Eos e
alle LLA-B del bambino coinvolgono i geni AML1 (denominato anche
CBFa) e CBFb codificanti le due subunità proteiche che dimerizzano il
complesso “core binding factor”. Il dimero proteico che ne risulta riconosce una sequenza nucleotidica specifica, detta “core” localizzata
sulle regioni regolatorie di geni importanti per la mielopoiesi, come
quelli che codificano per IL-3, G-CSF, GM-CSF, TCR, mieloperossidasi
(MPO) ed elastina dei neutrofili. Come schematizzato nella Figura 7, la
Figura 7 • Il complesso “core binding factor”
A
+/-
CBFb
GM-CSF
TCRb
IL-3
MPO/EN
CBFa o AML1
TGTcGGT
t(8;21)(q22;q22)
B
CBFb
AML1/ETO
inv16(p13;q22)
GM-CSF
TCRb
+/IL-3
MPO/EN
C
+/-
CBFb/MYH11
CBFa o AML1
GM-CSF
TCRb
IL-3
MPO/EN
TGTcGGT
TGTcGGT
A: il complesso “core binding factor”, B: il gene di fusione AML1/ETO, C: il gene di fusione
CBF b /MYH11, derivati rispettivamente dalla t(8;21)(q22;q22) e inv16(p13;q22).
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deregolazione di questo sistema, dovuto alle traslocazioni, gioca un
ruolo importante nella patogenesi delle LA con tali alterazioni.
Il gene AML1 o CBFa è un gene promiscuo, poichè può fondersi a
diversi geni partner dando luogo a differenti geni ibridi quali TEL-AML1
della t(12;21) e AML1/ETO della t(8;21). L’identificazione del trascritto
ibrido TEL-AML1 ha avuto conseguenze molto importanti nella diagnostica molecolare delle LLA. Infatti questo trascritto di fusione è presente in circa 1/3 delle forme LLA-common del bambino e individua in
questo vasto gruppo di pazienti un sottotipo leucemico a prognosi
significativamente migliore. Inoltre, la t(12;21) è difficile da identificare
all’esame cariotipico classico poichè è un’alterazione citogenetica
“criptica”. Pertanto, in questo caso più che in altri, l’impiego di metodiche molecolari ha contribuito moltissimo alla diagnosi di questa
anormalità genica, che è così risultata essere presente nel 20–30%
delle LLA del bambino.
Il gene di fusione AML1/ETO è presente nel 10% delle LMA ed è associato nel 90% dei casi al fenotipo mielomonocitico M4 della classificazione FAB. Generalmente queste forme mostrano una grossa componente eosinofila e, frequentemente, i pazienti presentano localizzazione
di malattia extramidollare.
L’inv16 (p13;q22) dà luogo alla fusione del gene ibrido CBFb/MYH11.
Questa alterazione molecolare è presente nell’8–10% dei casi di LMA
ed è consistentemente associata con il sottotipo FAB M4 Eos.
Dati preliminari su studi clinici retrospettivi, sembrano indicare come
queste ultime due forme di LMA sono associate a una buona prognosi.
Tuttavia, questi risultati debbono ancora trovare conferma da studi
prospettici multicentrici condotti su un grosso numero di pazienti trattati omogeneamente.
(Per un approfondimento dell’argomento si rimanda alle referenze n.
9–16).
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4
LEUCEMOGENESI
Le traslocazioni bilanciate sono alterazioni strutturali cromosomiche
attraverso le quali vengono attivati gli oncogeni a livello delle cellule
emopoietiche staminali primordiali, cioè dei progenitori cellulari che
possiedono sia la capacità di differenziamento che quella di automantenimento. Queste alterazioni geniche interferiscono con i meccanismi
di differenziazione e proliferazione cellulare. Tra questi ultimi, uno tra i
più importanti è quello imperniato sul controllo dei geni “homeobox”
(HOX). Nell’uomo, essi costituiscono un gruppo di 39 geni divisi in
quattro sottogruppi. I geni HOX sono caratterizzati dalla presenza
di una struttura di 183 nucleotidi, denominata “homeobox” che è
altamente conservata tra le specie. Tali geni, nella Drosofila così
come nell’uomo, guidano il corretto sviluppo embrionale (geni
omeotici). Di conseguenza anche lo sviluppo e la differenziazione del
tessuto emopoietico è sotto il diretto controllo dei geni HOX, tanto che
la loro espressione nei diversi progenitori emopoietici segue un programma rigidamente prefissato.
Il coinvolgimento delle proteine HOX nel processo di leucemogenesi è stato suggerito da numerosi studi sul topo transgenico.
Inoltre, un’alterazione diretta di un gene HOX è stata dimostrata nelle
LMA con t(7;11) che determina la giustapposizione del gene HOXA9 al
gene NUP98. Tuttavia, siccome è generalmente dimostrato che nelle
LA si ha un’alterazione contemporanea di diversi gruppi di proteine
HOX, è più probabile ipotizzare un’alterazione di uno o più geni posti a
monte o a valle del sistema di controllo dei geni HOX stessi. Un esempio di quest’affermazione è dato dal gene ALL1, denominato anche
MLL o HRX, che è alterato nella stragrande maggioranza delle LLA o
LMA che presentano alterazioni citogenetiche coinvolgenti il cromosoma 11 alla banda q23. Questo gene presenta forti analogie con il gene
“trithorax”, che nella Drosofila attiva proprio la trascrizione dei geni
HOX. Pertanto, è molto probabile che un’alterazione del gene ALL1
determini una disregolazione dell’espressione di uno o più geni HOX.
Un simile meccanismo di disregolazione dell’espressione dei geni HOX
è stato suggerito anche per altri geni di fusione consistentemente alterati nelle LA, quali quelli che coinvolgono i geni RARa (PML/RARa,
PLZF/RARa e NPM/RARa nella LAP), AML1 (AML1/ETO, TEL-AML1,
AML1-EVI1) e CBFb (CBFb/MYH11).
In alcune LA pre-B dei bambini la t(1;19) determina la proteina di fusione PBX/EA2. Il gene PBX è la controparte umana del gene “extradenti-
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cle” (exd) della Drosofila e agisce controllando l’espressione dei geni
HOX, a livello però della parte terminale di questa supposta cascata. È
quindi verosimile che, anche in questo caso, il gene di fusione
PBX/EA2 provochi una deregolazione dei geni HOX. Infatti, questa ipotesi è avvalorata da dati sperimentali che dimostrano come nella patogenesi delle leucemie indotte dal gene di fusione PBX/EA2, un ruolo
essenziale sia svolto proprio da quella parte strutturale del gene PBX
coinvolta nelle interazioni con i geni HOX.
Un altro importante meccanismo di leucemogenesi è quello che
interferisce con il processo di morte programmata cellulare. Una
fase importante dello sviluppo fisiologico del sistema emopoietico è
rappresentata dall’eliminazione dei progenitori linfoidi B e/o T che non
hanno dato luogo a riarrangiamenti funzionalmente attivi dei geni per i
recettori antigenici, attraverso un programma di morte cellulare denominato apoptosi. L’ipotesi che un’alterazione dell’apoptosi cellulare
possa indurre, a sua volta, una trasformazione neoplastica della cellula
è stata negli ultimi anni confermata dalla identificazione del protooncogene BCL2, che, nei linfomi follicolari, è alterato dalla t(14;18).
Infatti, si è visto che un’aumentata espressione della proteina BCL2,
conseguente alla traslocazione, determina un blocco del meccanismo
di apoptosi e, di conseguenza, un accumulo patologico di cellule che
altrimenti sarebbero morte.
In ultimo, è da ricordare che nelle LLA a fenotipo pre-B, il gene denominato “hepatic leukemia factor” (HLF), coinvolto nel gene di fusione
EA2/HLF scaturito dalla t(17;19) è un altro oncogene con attività antiapoptotica.
(Per approfondire l’argomento si rimanda alle referenze n. 9, 17).
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SIGNIFICATO DELLA
BIOLOGIA MOLECOLARE
NELLE LEUCEMIE ACUTE
Il 40-60% delle LA hanno un’alterazione genetica (Figure 8 e 9).
Questa osservazione ha una notevole rilevanza clinica perché consente un
approccio classificativo su base molecolare. Rispetto ai sistemi classificativi tradizionali, basati su caratteristiche clinico-biologiche quali il numero dei
globuli bianchi alla diagnosi, il fenotipo immunologico dei blasti leucemici,
ecc., le singole alterazioni molecolari sembrano definire in maniera molto
più specifica i differenti sottotipi leucemici. Ad esempio, nell’ambito del
sottogruppo di LLA con fenotipo CD10 positivo, i geni di fusione
TEL/AML1 della t(12;21), E2A/PBX della t(1;19) e BCR/ABL della t(9;22)
Figura 8 • Le alterazioni genetico-molecolari delle LMA
Random
Nessuna
36%
19%
NUP98-HOXA9
AML1/ETO
t(8;21)
t(7;11)
12%
FUS-ERG
1%
t(16;21)
CBFb/MYH11
12%
inv(16)
DEK-CAN
10%
Alterazioni del gene ALL1
t(9;11)
t(6;11)
t(11;19)
Mieloblastica
Promielocitica
B I O L O G I A
7% PML/RARa
EVI1
t(3;v)
1%
NPM-MLF1
1%
t(3;5)
1%
t(6;9)
3%
PLZF-RARa
NPM-RARa
t(15;17)
t(11;17)
t(5;17)
Mielomonocitica
Monoblastica
Mielodisplasie e altre
M O L E C O L A R E
:
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13
5
Figura 9 • Le alterazioni genetico-molecolari delle LLA pediatriche
4%
HOX11 LYL1
LMO1 TAL1
LMO2 TAL2
MYC
MYC
t(8;14), t(2;8), t(8;22)
14q11/TCRad
E2A/PBX1
or 7q35/TCRb
t(1;19)
3%
Nessuna
2%
5%
E2A-HLF
30%
t(17;19)
1%
Alterazione del gene ALL1
t(4;11), t(1;11), t(11;19)
6%
TEL/AML1
t(12;21)
Random
20%
BCR/ABL
25%
t(9;22)
LLA-T
Early PRE-B
4%
B Maturo
PRE-B
individuano forme di malattia a prognosi significativamente differente.
Da queste osservazioni e dalle strette correlazioni che più volte si sono
osservate tra alterazione molecolare e specifiche presentazioni cliniche e
biologiche, deriva lo sforzo di dar vita a un sistema classificativo delle LA
basato sulle alterazioni molecolari. A questo proposito, è importante sottolineare come questi schemi classificativi, di cui un esempio è riportato
in Tabella 1, siano importanti non solo dal punto di vista descrittivo, ma
anche da un punto di vista prognostico. Infatti, nella LLA i geni ibridi
BCR/ABL e MLL/AF4 sono associati a una prognosi estremamente sfavorevole tanto da costituire, per i pazienti che li esprimono, la principale
indicazione al trapianto di cellule staminali emopoietiche durante la fase
di prima remissione clinica di malattia. Un gruppo a prognosi sfavorevole
è pure quello dei bambini con LLA pre-B i cui blasti leucemici esprimono
il gene chimerico E2A/PBX. Al contrario il gene di fusione TEL/AML1,
presente nel 20% circa delle LLA dell’età pediatrica, è associato a un’alta
probabilità di sopravvivenza e di guarigione.
I risultati terapeutici delle LMA sono purtroppo meno soddisfacenti
rispetto a quelli ottenuti nelle LLA del bambino. Questo fatto rende molto
più arduo identificare tra le LMA le variabili significative da un punto di
vista prognostico. Comunque, la presenza del trascritto ibrido
E
14
M
A
T
O
L
O
G
I
A
5
PML/RARa, presente nel 100% dei casi con LAP, caratterizza un sottotipo leucemico particolarmente sensibile all’azione differenziante dell’acido
all-trans-retinoico (ATRA), tanto che l’impiego di questo composto in
unione ai farmaci antraciclinici ha sensibilmente migliorato la prognosi di
questi pazienti permettendo l’ottenimento di un’altissima percentuale di
RC e di un’elevata probabilità di sopravvivenze libere da malattia.
Al contrario, non è stato ancora sufficientemente definito il significato
prognostico di altri marker molecolari delle LMA, quali AML1/ETO,
CBFb/MYH11 e alterazioni del gene MLL/ALL1.
Classificazione delle LA rispetto alle alterazioni molecolari
Tabella 1
Fenotipo
Anomalia
leucemico citogenetica
LLA
LMA
Geni
coinvolti
Incidenza
(%)
Rischio
prognostico
t(12;21)(p12;q22)
TEL/AML1
LLA CD10+ del bambino
LLA adulto
20
rara
basso
t(1;19)(q23;p13)
EA2/PBX1
LLA cIg+ del bambino
LLA adulto
25
rara
intermedio
t(8;14)(q24;q11)
MYC/IgH
LLA sIg+
t(9;22)(q34;q11)
BCR/ABL
t(4;11)(q21;q23)
ALL1/AF4
2
alto
LLA del bambino
LLA dell’adulto
4
30
molto alto
LLA del neonato
LLA del bambino
LLA dell’adulto
70
6
6
100
100
t(15;17)(q22;q11)
PML/RARa
LAP del bambino
LAP dell’adulto
t(8;21)(q22;q22)
AML1/ETO
LMA M2
basso
20–40
intermedio
inv (16)
CBFb/MYH11 LMA M4
LMA M4Eos
10
70–90
intermedio
alterazioni 11q23
ALL1/MLL/HRX LMA
LMA M4-M5
10
20–30
?
(Per approfondire l’argomento si rimanda alle referenze n. 17–28).
B I O L O G I A
molto alto
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LA LEUCEMIA ACUTA
PROMIELOCITICA E IL
GENE IBRIDO PML/RARa
La leucemia acuta promielocitica (LAP) rappresenta il 10–15% delle
forme con fenotipo mieloide. Rispetto a queste ultime, le LAP si differenziano per specifiche caratteristiche clinico-biologiche. Infatti, la LAP
è una malattia che colpisce soprattutto i giovani adulti. Alla diagnosi la
maggioranza dei pazienti presenta leucopenia. Nella maggior parte dei
casi, i blasti leucemici hanno una morfologia caratteristica ipergranulare (forma classica), mentre nel 20% circa dei casi possono avere un
aspetto microgranulare, caratteristico delle forme cosidette varianti.
Nella quasi totalità dei pazienti alla diagnosi è presente una coagulopatia ad etiologia complessa, spesso aggravata dall’uso della chemioterapia, che può rappresentare una delle principali cause di morte
delle prime fasi di malattia.
Tuttavia, questo sottotipo leucemico è caratterizzato soprattutto dalla
presenza nel 100% dei casi di LAP del gene ibrido PML/RARa e dalla
capacità di rispondere alla terapia differenziante indotta da un composto derivato dalla vitamina A: l’acido all-trans retinoico (ATRA). La prognosi di questi pazienti è infatti radicalmente mutata da quando sono
stati introdotti schemi terapeutici in cui questo composto viene associato con farmaci antraciclinici. Queste moderne modalità terapeutiche
hanno consentito di ridurre significativamente il numero delle morti
precoci e di migliorare sensibilmente la risposta terapeutica sia in termini di ottenimento di remissioni complete che di sopravvivenza libera
da malattia.
6.1
IL GENE IBRIDO PML/RARa
Il gene ibrido PML/RARa è espresso nei blasti leucemici di tutti i
pazienti con LAP. Esso si forma per effetto della traslocazione bilanciata t(15;17)(q22;q11). Come schematizzato nella Figura 10, le rotture cromosomiche a livello della banda 17q11 sono costantemente concentrate all’interno del secondo introne del gene RARa. Al contrario
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6
Figura 10 • Rappresentazione schematica del gene di fusione PML/RARa e
delle sue isoforme
PML/RARa
PML (crom. 15q22)
RARa (crom. 17q11)
5’
3’
1
2
3
4
5
6
bcr3
5’
3’
1
7
2
3
4
5 6
bcr2 bcr1
3
4
5
3
4
5
3
6
6
3
bcr1
3
bcr2
3
bcr3
nelle regione 15q22, le rotture sono localizzate all’interno di tre differenti regioni. Pertanto si formano tre diverse isoforme denominate
rispettivamente, bcr1, bcr2 e bcr3, a seconda che la rottura del gene
PML cada all’interno dell’introne 6 (bcr1), dell’esone 6 (bcr2) o dell’introne 3 (bcr3). Le due isoforme più frequenti sono la bcr1, detta anche
“long transcript”, e la bcr3, o “short transcript”, presenti, rispettivamente, nel 55-60% e nel 35% dei pazienti con LAP. Il trascritto bcr3 è
significativamente associato alla forma variante.
In rarissimi casi di LAP invece della t(15;17) si può riscontrare la
t(11;17) o la t(5;17), che danno luogo rispettivamente ai geni ibridi
PLZF/RARa e NPM/RARa. È importante sottolineare come queste
forme di LAP non sono sensibili ai trattamenti con ATRA.
Malgrado i numerosissimi studi sperimentali condotti sull’argomento, il
meccanismo con il quale la proteina chimerica PML/RARa induce nel
clone leucemico il blocco di differenzazione, e come quest’ultimo
venga rimosso dalla somministrazione di ATRA, non è ancora completamente chiarito.
6.2
Significato clinico del trascritto ibrido PML/RARa
La RT-PCR costituisce la metodica di scelta per la dimostrazione della
presenza del gene PML/RARa. Infatti, l’analisi di Southern blot è una
E
18
M
A
T
O
L
O
G
I
A
tecnica poco sensibile, che, inoltre, nel caso della LAP, richiede molto
tempo. Infatti, a causa dell’eterogeneità della localizzazione dei punti
di rottura sul gene PML, lo studio completo della configurazione genomica dei geni PML e RARa richiede l’impiego di cinque differenti probes e di due diverse digestioni enzimatiche. Al contrario, la metodica
di RT-PCR è rapida, precisa e molto sensibile, tanto da poter essere
impiegata anche per il monitoraggio della malattia minima residua.
L’importanza diagnostica del gene ibrido PML/RARa è stata recentemente sottolineata da diversi studi clinici, primo fra tutti quello del
gruppo cooperatore italiano GIMEMA-AIEOP. Infatti, poichè l’azione
differenziativa dell’ATRA è strettamente correlata alla presenza di
PML/RARa, e poichè, soprattutto nei casi con morfologia di variante, è
possibile un errore diagnostico pari al 10–15%, ne consegue che la
dimostrazione del trascritto ibrido ha un indiscusso valore predittivo
per quanto riguarda la risposta terapeutica a trattamenti con ATRA.
Invece, per quanto riguarda il monitoraggio della malattia minima residua diversi studi hanno indipendentemente e contemporaneamente
dimostrato che la persistente positività della PCR per il trascritto
PML/RARa è inevitabilmente associata alla successiva comparsa di
recidiva di malattia, mentre un test ripetutamente negativo correla con
una lunga sopravvivenza libera da malattia.
In conclusione, nella LAP l’analisi di RT-PCR ha un significato clinico
molto importante sia nella fase diagnostica che durante la fase di
remissione completa. In quest’ultimo caso, il risultato della PCR è
determinante per guidare la scelta della più opportuna terapia, ad
esempio nel caso di pazienti che persistono PCR positivi anche dopo
la fase di consolidamento, oppure, può contribuire a riconoscere precocemente una recidiva di malattia e, quindi, permettere d’iniziare il
trattamento della recidiva precocemente in presenza di malattia ancora
minima.
(Per approfondire l’argomento si rimanda alle referenze n. 29–32).
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7
LEUCEMIA MIELOIDE
CRONICA E IL GENE
IBRIDO BCR/ABL
La leucemia mieloide cronica (LMC) è una malattia mieloproliferativa
caratterizzata da un’espansione clonale emopoietica, che però mantiene una completa capacità differenziativa. Clinicamente, la LMC presenta nella fase iniziale un andamento cronico della durata anche di
diversi anni, che evolve inesorabilmente in un’acutizzazione del quadro
clinico. In questa seconda fase il clone leucemico perde la capacità
differenziativa e i blasti appaiono sia morfologicamente che fenotipicamente bloccati in una fase differenziativa precoce mieloide o linfoide.
Nel 1960, Nowell e Hungerford identificarono nelle cellule di pazienti
con LMC il cromosoma Philadelphia (Ph). Questa alterazione è stata la
prima anormalità citogenetica a essere significativamente associata a
una neoplasia umana, tanto che oggi essa costituisce un’indispensabile elemento diagnostico. Il cromosoma Ph è formato dalla traslocazione bilanciata t(9;22)(q34;q11) ed è presente nel 95% dei pazienti con
LMC, nel 2% dei pazienti con LMA, nel 5% dei bambini con LLA, e in
una percentuale compresa tra il 15 e il 30% dei pazienti adulti con
LLA. Negli anni ‘80 è stato identificato il difetto molecolare determinato dalla t(9;22) che è schematizzato nella Figura 11. Per effetto di
questa translocazione la parte 3’ terminale del gene ABL, localizzata
sul cromosoma 9, viene a giustapporsi alla parte 5’ terminale del gene
BCR, localizzato sul cromosoma 22, dando luogo al nuovo gene di
fusione BCR/ABL. Sul gene ABL i punti di rottura sono localizzati in
prossimità dell’esone 2a. Tuttavia in alcuni casi il gene BCR può fondersi all’esone 3a del gene ABL, per delezione dell’esone 2a.
Virtualmente in tutti i casi di LMC e in più del 50% dei casi con LLA
Ph + dell’adulto il gene ABL sul cromosoma 9 viene a unirsi al gene BCR
sul cromosoma 22 in una zona ben circoscritta, denominata “major
breakpoint cluster region” (M-bcr) che comprende gli esoni e12 - e16
(storicamente conosciuti anche come b1-b5). Da questo tipo di fusione
origina una proteina di 210 kD che prende appunto il nome di p210.
Nel 50% dei casi di LLA dell’adulto Ph + le rotture sul gene BCR cadono in una regione più centromerica rispetto a M-bcr, denominata
“minor breakpoint cluster region” (m-bcr) che porta alla fusione dell’e-
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Figura 11 • Rappresentazione schematica del gene di fusione BCR/ABL e
delle sue isoforme
Cromosoma 22q11
Cromosoma 9q34
BCR
ABL
3’
5’
e1
e2
b1-b5
e19
3’
1b
1a a2 a3
a11
m-bcr
M-bcr
m-bcr
5’
e1a2
b2a2
b3a2
p190
p210
p230
e19a2
sone e1 del gene BCR con con l’esone a2 del gene ABL, dando luogo
a una proteina di fusione di 190 kD denominata p190. Infine, sul gene
BCR è stata recentemente identificata una terza regione di rottura,
localizzata 3’ rispetto a M-bcr, denominata “micro breakpoint cluster
region” (m-bcr). Quest’ultima alterazione porta alla fusione dell’esone
e19 del gene BCR con l’esone a2 del gene ABL. Ne deriva una proteina di 230 kD denominata p230. Quest’ultimo tipo di proteina di fusione
è stata associata a una forma di LMC a prognosi molto favorevole
denominata LMC Ph + con neutrofili (N-LMC).
Lo studio citogenetico convenzionale non è in grado di documentare la
presenza del cromosoma Ph nella totalità dei casi, dal momento che
metodiche di biologia molecolare hanno permesso di rivelare la presenza del trascritto ibrido di fusione BCR/ABL anche in casi citogenicamente negativi per il cromosoma Ph. Queste metodiche, tra cui le
più importanti sono la RT-PCR e la FISH, sono quindi obbligatorie
per la diagnosi di tutti quei casi in cui vi sia un fondato sospetto
clinico di LMC senza che l’esame citogenetico classico dimostri
la presenza del cromosoma Ph.
Per quanto riguarda il significato clinico di questi marker molecolari è
opportuno ricordare che nell’ambito delle LLA dell’adulto e del bambino la presenza del trascritto ibrido BCR/ABL caratterizza una malattia
a prognosi nettamente peggiore rispetto alle forme senza cromosoma
Ph. Invece, nell’ambito delle forme Ph + tutto da chiarire è il significato
clinico della presenza della proteina p210 e/o p190. Infatti, i dati
E
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M
A
T
O
L
O
G
I
A
disponibili in letteratura non sembrano dimostrare chiare differenze
nella presentazione clinica e nella prognosi dei pazienti rispetto al differente punto di rottura sul gene BCR. Tuttavia, i pazienti affetti da
LLA con p190 possono avere una sopravvivenza libera da malattia più lunga rispetto a quelli con p210. Infine, alcuni studi sembrano dimostrare che dopo allotrapianto di midollo osseo, i pazienti affetti
da LLA Ph + hanno un differente andamento clinico in rapporto al tipo
di trascritto. Infatti, contrariamente a quanto accade per la proteina
p210, la ricomparsa del trascritto di fusione p190 è significativamente
correlato a un più elevato rischio di recidiva.
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7
LE LESIONI MOLECOLARI
NEI LINFOMI NON HODGKIN
I linfomi non Hodgkin (LNH) costituiscono un gruppo estremamente eterogeneo di tumori ematologici. Possiamo identificare tale eterogeneità a
vari livelli. In primo luogo, esiste una variabilità di carattere anatomico
(organi interessati e aree coinvolte nel linfonodo, es. centro germinativo,
mantello, zona marginale, ecc.). Un secondo livello di eterogeneità è di
tipo biologico-funzionale. In questo contesto sono da considerare i diversi momenti maturativi dello stipite linfoide (fasi di differenziazione: antigene-indipendente e antigene-dipendente) e le diverse linee (B o T) che
possono essere bersaglio della trasformazione. Infine, come noto, è
estremamente variabile l’andamento clinico dei LNH. La difficoltà di
inquadramento nosologico è testimoniata in maniera assai esplicita dalle
numerose proposte di classificazione, le quali hanno via via tenuto conto
di criteri diversi (morfologia, fenotipo, pattern di crescita follicolare o diffuso, grado di aggressività clinica) e ognuna delle quali presenta sicuramente vantaggi e svantaggi.
Le alterazioni genetiche dei LNH costituiscono un ulteriore livello
di diversità, che in parallelo alle variabili morfologiche e cliniche,
potrebbero a prima vista contribuire a ingarbugliare un puzzle già
complesso. In realtà, vedremo come un’analisi attenta delle più importanti lesioni molecolari dei LNH ci consenta oggi di identificare dei marcatori assai utili da un punto di vista clinico. Significativo è, a questo proposito, lo spazio che viene dato alle aberrazioni genetiche nella più recente
classificazione dei LNH (REAL) formulata dal gruppo cooperativo europeo-americano.
In questo capitolo passeremo in rassegna le principali alterazioni genetico-molecolari dei LNH, con particolare attenzione alle associazioni con i
diversi istotipi e al ruolo clinico-patologico di tali anomalie. Per semplificare l’esposizione verrà seguito uno schema di suddivisione dei LNH in
forme a basso grado e a grado intermedio-alto di malignità (Tabella 2).
8.1
LINFOMI A BASSO GRADO
In questo gruppo sono compresi i linfomi follicolari, il linfoma cosiddetto mantellare e il linfoma linfocitico ben differenziato. Le prime due
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8
Distribuzione e incidenza delle lesioni genetiche nei B-LNH
Tabella 2
BCL-1
BCL-2
BCL-6
c-MYC
p53
–
–
–
70%
–
70–90%
70–90%
–
–
8%
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
Linfomi a grado intermedio
Follicolare a grandi cellule
Diffuso a piccole cellule
Diffuso misto
Diffuso a grandi cellule
–
–
–
–
70–90%
20%
20%
20%
–
–
20%
35%
–
10%
10%
10%
–
–
–
–
Linfomi ad alto grado
Immunoblastico
Linfoblastico
Burkitt
–
–
–
–
–
–
30%
–
–
20%
–
100%
–
–
30%
Linfomi “trasformati”
–
90%
–
10%
73%
Linfomi a basso grado
Linfocitico ben differenziato
Follicolare a piccole cellule
Follicolare misto
Linfoma mantellare
forme sono caratterizzate da lesioni genetiche ormai ben caratterizzate
anche a livello molecolare. In particolare, la traslocazione t(14;18) che
dà origine al riarrangiamento tra il gene BCL-2 e il locus delle catene
pesanti delle immunoglobuline (IgH) si riscontra nel 70-90% dei LNH di
tipo follicolare. BCL-2 codifica fisiologicamente per una proteina che
possiede un’azione inibente l’apoptosi.
Come abbiamo già visto, la giustapposizione del gene in vicinanza
degli elementi regolatori delle IgH provoca una disregolazione dell’espressione e conseguentemente una iperattività antiapoptotica con
sopravvivenza cellulare prolungata. Nella maggior parte dei casi, i
punti di rottura sul cromosoma 18 sono localizzati in una ristretta zona
di circa 2.8 kb, nota come M-bcr, mentre in casi più gravi si sono
osservate rotture più distanti al 5’ in una zona denominata “m-bcr”.
La traslocazione t(14;18) è documentabile per mezzo della PCR usando oligomeri specifici per le regioni IgH e BCL-2. La sensibilità di questa metodica permette in questi casi un’accurata valutazione della
malattia minima residua. Tuttavia il significato clinico della PCR nei
linfomi follicolari rimane piuttosto controverso, essendo stata
riscontrata la presenza del riarrangiamento BCL-2/IgH in
pazienti lungo sopravviventi. Infatti, quest’ultima osservazione suggerisce che, in queste forme indolenti, l’eradicazione del clone neopla-
E
26
M
A
T
O
L
O
G
I
A
stico non è necessariamente un obiettivo terapeutico, in quanto una
persistenza minima di malattia si accompagna sovente a una lunga
sopravvivenza.
Ben altro significato si attribuisce in genere al riarrangiamento BCL-2/IgH
che si può osservare nel 20% dei LNH a grado intermedio-alto di malignità. Infatti, si suppone che tali forme siano in realtà progredite da
linfomi follicolari (linfomi trasformati) e che abbiano una prognosi peggiore rispetto alle forme “de novo”. La progressione da una forma
indolente come il linfoma follicolare a un tumore più aggressivo
si accompagna spesso a una documentata trasformazione istologica, con pattern di crescita di tipo diffuso. Recenti studi biomolecolari hanno evidenziato, in questi casi, il coinvolgimento
del gene p53 attraverso meccanismi di delezione e/o mutazioni
puntiformi, nella fase di evoluzione istologica verso il linfoma
diffuso.
Il linfoma linfocitico ben differenziato deriva dalla proliferazione di cellule B mature e ha un decorso clinico indolente simile a quello della
sua controparte leucemica (leucemia linfoide cronica a cellule B). Fino
a oggi non conosciamo lesioni genetiche specifiche per questa forma,
che rimane probabilmente la più indecifrata per quanto riguarda la
patogenesi molecolare.
Il linfoma mantellare origina dalla zona del mantello che circonda i centri follicolari; poiché deriva da cellule B CD5 positive, questa forma è
stata spesso confusa in passato con la LLC-B o con il linfoma linfocitico. All’incirca un 50% dei linfomi mantellari presenta un’anomalia
citogenetica caratteristica, la traslocazione t(11;14), nella quale
il locus IgH si riarrangia con il gene BCL-1 (denominato anche
PRAD-1 o Cyclin-D1). Quest’ultimo codifica per una proteina coinvolta nel ciclo cellulare. Una deregolazione di BCL-1 potrebbe quindi contribuire alla esaltata crescita cellulare e al fenotipo neoplastico.
Recentemente è stata riportata la overespressione di questo gene
nella maggior parte dei LNH mantellari, anche in assenza di traslocazione o di riarrangiamento genico.
8.2
LINFOMI A GRADO INTERMEDIO E ALTO
In questa sezione prenderemo in considerazione soltanto le forme più
importanti nelle quali siano state identificate alterazioni genetiche consistenti, e cioè i LNH diffusi a grandi cellule (DLC), gli immunoblastici
(IMB), il LNH tipo Burkitt (BL) e i LNH anaplastici. I DLC costituiscono
certamente il gruppo più importante di LNH per incidenza e mortalità.
Infatti essi rappresentano circa il 30-35% delle diagnosi iniziali di LNH
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8
e, come si è detto sopra, possono costituire lo stadio di evoluzione
finale dei LNH follicolari trasformati. Considerati insieme, i DLC de
novo e i DLC trasformati rendono conto di un 80% della mortalità da
LNH. Per quanto concerne le alterazioni genetiche e molecolari dei
LNH da oltre un decennio conosciamo quelle che si associano al BL,
mentre molto più recenti sono le conoscenze sulle anomalie dei DLC.
Il proto-oncogene c-MYC è interessato da alterazioni strutturali
(riarrangiamenti e/o mutazioni puntiformi) nel 100% dei casi di BL.
Nei casi che presentano la più frequente anomalia cariotipica, e cioè la
t(8;14), il punto di rottura su c-MYC è localizzato al 5’ ed è centromerico rispetto al gene che si riarrangia con il locus IgH. Nelle varietà citogenetiche più rare, t(8;22) e t(2;8), il gene c-MYC è giustapposto ai
geni che codificano per le catene leggere Igl e Igk, rispettivamente.
Oltre a essere coinvolto in riarrangiamenti, c-MYC è frequentemente
interessato nei BL da mutazioni puntiformi nelle sequenze regolatorie
al 5’ del gene. La conseguenza fisiopatologica di tali alterazioni è la
deregolazione del gene e l’espressione costitutiva della proteina da
esso codificata. Recentemente, infine, è stata descritta un’alta incidenza di mutazioni del gene oncosoppressore p53 nei BL.
Due alterazioni molecolari importanti nei LNH sono stati identificati di
recente, prendendo spunto dallo studio cariotipico. Queste lesioni
riguardano la regione cromosomica 3q27 e il gene BCL-6 nei DLC, e i
cromosomi 2 e 5 dove si trovano i geni NMP e ALK dei LNH anapastici
CD30 + .
Nella regione 3q27 è stato clonato un gene, denominato BCL-6 o LAZ3, che codifica per un fattore di trascrizione e contiene regioni omologhe a diversi altri membri della famiglia di proteine “zinc fingers”.
Questo gene è interessato da riarrangiamenti strutturali con diversi
cromosomi partner in circa il 30-35% dei DLC e dei linfomi IMB. I punti
di rottura si localizzano in una ristretta zona (2-3 kb) in prossimità del
primo esone non codificante e vicino alle regioni regolatorie. Come
conseguenza della traslocazione, il gene (intatto nella sua parte codificante) viene posto sotto il controllo di elementi regolatori nuovi.
Pertanto ciò induce a pensare che, così come avviene per c-MYC e
BCL-2, anche BCL-6 sia attivato attraverso una deregolazione trascrizionale.
Da un punto di vista clinico, i linfomi DLC che presentano il gene
BCL-6 riarrangiato sono caratterizzati da frequente presentazione
extranodale, mentre il midollo osseo è raramente compromesso.
Recentemente è stata caratterizzata a livello molecolare la t(2;5),
descritta come alterazione ricorrente dei LNH anaplastici CD30 positivi. Attraverso il clonaggio dei punti di rottura di questa traslocazione, è
stato possibile identificare i due geni coinvolti. Questi ultimi codificano
per una proteina nucleare detta nuclefosfamina (sul cromosoma 5q35),
e una tirosinachinasi detta ALK sul derivativo 2 p23. È interessante
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notare che questa traslocazione dà luogo a una proteina di fusione,
evento assolutamente eccezionale per i LNH. Ciò consente di amplificare tramite PCR (previa trascrittasi inversa per produrre il c-DNA) l’alterazione t(2;5) a scopi diagnostici e/o di monitoraggio della malattia
minima residua.
(Per approfondire l’argomento si rimanda alle referenze n. 34–42).
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LE METODICHE MOLECOLARI
NELLO STUDIO DEL
CHIMERISMO DOPO
TRAPIANTO DI CELLULE
STAMINALI EMOPOIETICHE
ALLOGENICHE
Negli ultimi decenni l’impiego del trapianto di midollo allogenico (TMO) si
è sempre più affermato nel trattamento di malattie ematologiche sia neoplastiche che non neoplastiche. Infatti, il TMO è a tutt’oggi l’unica procedura terapeutica in grado di eradicare la LMC ed è divenuto la migliore
terapia di consolidamento post-remissionale delle LA ad alto rischio di
recidiva. Inoltre, il miglioramento delle terapie immunosoppressive per il
controllo della GVHD e la disponibilità di fonti di cellule staminali emopoietiche alternative a quelle del donatore familiare, come quelle di donatori di midollo non correlato o di sangue di cordone ombelicale, hanno
sensibilmente aumentato la percentuale di pazienti ematologici potenzialmente candidati a questa procedura. Conseguentemente, è notevolmente cresciuto l’interesse dei clinici trapiantologi per il monitoraggio delle
varie fasi del trapianto, mediante lo studio del chimerismo. Numerosi
metodi sono stati impiegati per tale valutazione tra cui i più importanti
sono la citogenetica nei casi in cui vi sia un “mismatch” di sesso tra
donatore e ricevente, lo studio del fenotipo eritrocitario, lo studio del
polimorfismo di alcune proteine, ecc. Tuttavia, la scarsa sensibilità di tutti
questi metodi limitano il loro uso soprattutto nelle prime fasi dopo il trapianto. Recentemente, invece, le nuove conoscenze di biologia molecolare hanno permesso di impiegare tecniche molto più sensibili rispetto a
quelle precedentemente citate. In particolare, l’amplificazione tramite
PCR di regioni polimorfiche di DNA, come quelle formate da un numero
variabile di “tandem repeat” (VNTR) o di “short repeat” (STR) ha permesso di incrementare la sensibilità dell’analisi fino alla possibilità di rilevare,
rispettivamente, lo 0.1% e lo 0.01% di DNA individuo-specifico. Il polimorfismo di queste regioni ipervariabili di DNA, denominate rispettiva-
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mente, minisatelliti e microsatelliti, è dovuto alla presenza di numerosi
alleli per ciascun locus, alleli che differiscono tra loro per il numero delle
coppie di “repeats” nucleotidici da cui sono formati.
Questi “markers” sono ereditati nel singolo individuo in maniera Mendeliana e possono essere informativi, se donatore e ricevente esprimono
alleli a diverso peso molecolare. Ovviamente la percentuale d’informazione sarà tanto più alta quanto più elevato sarà il numero di alleli disponibili
per un singolo locus genico.
In ambito allotrapiantologico lo studio del chimerismo permette di
valutare e monitorare importanti eventi clinici, quali l’attecchimento emopoietico delle cellule staminali trapiantate, il rigetto e la
recidiva leucemica. Queste situazioni sono strettamente correlate non
solo al tipo e alla fase di malattia del paziente al momento del trapianto
ma anche alle diverse procedure trapiantologiche impiegate.
Lo studio del chimerismo delle varie componenti emopoietiche ha facilitato la comprensione degli eventi biologici di volta in volta implicati nelle
diverse situazioni cliniche. Infatti, la presenza di un chimerismo misto
nella componente emopoietica del paziente sottoposto ad allotrapianto di midollo può avere un significato diverso in relazione alle
diverse procedure trapiantologiche impiegate e ai diversi comparti
emopoietici analizzati. Ad esempio, la presenza di un chimerismo
misto in pazienti sottoposti a trapianto di midollo con T-deplezione è predittiva di recidiva di malattia. Al contrario, in pazienti trapiantati con
midollo da donatore non correlato, il chimerismo misto generalmente è
transitorio e non è predittivo di recidiva o di rigetto di trapianto.
Recentemente, infine, la valutazione del chimerismo ha assunto un
valore clinico importante nel trattamento con infusione di linfociti
del donatore delle recidive di LMC dopo allotrapianto. Infatti, gli
studi del chimerismo hanno dimostrato due fatti importanti:
1. la persistenza in tutti i pazienti di una quota linfocitaria del donatore,
2. la possibile persistenza nel compartimento emopoietico di una quota
residua del donatore.
Queste due osservazioni, mentre da una parte testimoniano lo stato di
immunotolleranza, che è il presupposto biologico su cui si basa l’immunoterapia con linfociti del donatore, dall’altra dimostrano che la perdita
della componente emopoietica del donatore è significativamente associata alla comparsa di aplasia midollare grave e irreversibile. Pertanto, la
documentazione, prima della trasfusione di linfociti del donatore,
di un’assenza di chimerismo nel compartimento midollare emopoietico di questi pazienti rappresenta un’indicazione assoluta alla
necessità di infondere insieme ai linfociti, le cellule staminali del
donatore, garantendo in tal modo il ripopolamento midollare.
Da un punto di vista metodologico la regione ipervariabile viene amplificata tramite PCR con una strategia che è schematizzata nella Figura 12,
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dove sono anche riportati due esempi esplicativi che raffigurano il monitoraggio dell’attecchimento ematopoietico dopo allotrapianto di midollo
osseo in due pazienti che, rispettivamente, hanno presentato attecchimento o rigetto delle cellule staminali infuse.
Figura 12 • Amplificazione per PCR delle regioni ipervariabili VNTR
Minisatellite D1S80
er
im
Pr
5’
GAAGACCACCGGAAAG
M
Ricevente
+35gg
+60gg
+100gg
+120gg
Donatore
®
Primer
3’
M
a)
b)
Amplificazione per PCR delle regioni ipervariabili VNTR, impiegate quali marker individuali
per lo studio del chimerismo nei pazienti sottoposti a trapianto di midollo di cellule stamina li allogeniche. Nelle foto in basso sono rappresentati due esempi di monitoraggio del chi merismo in pazienti con attecchimento stabile (a) o con perdita di attecchimento delle cellu le allotrapiantate (b).
(Per approfondire l’argomento si rimanda alle referenze n. 43–46).
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CONCLUSIONI
La biologia molecolare è ormai entrata prepotentemente in tutti i campi
della medicina e, in particolare, in quello ematologico. Infatti, le sue tecniche, sempre più perfezionate, hanno permesso non solo di ampliare le
nostre conoscenze nel campo della patogenesi, ma anche di fornire uno
strumento utile per un miglior inquadramento classificativo delle diverse
forme morbose.
Inoltre, la biologia molecolare ormai interessa tutti i campi dell’ematologia
tanto che, alla domanda per chi sono utili gli studi molecolari, credo si
possa serenamente rispondere: per tutti i pazienti ematologici, siano essi
affetti da forme neoplastiche o non neoplastiche.
Per quanto concerne gli scopi (per cosa?) delle ricerche molecolari, l’obiettivo più importante è sicuramente quello di pervenire a un nuovo
schema classificativo delle varie entità morbose basato sulla presenza
delle varie lesioni molecolari. Infatti, queste ultime, meglio degli altri parametri biologici oggi a disposizione, permettono non solo di descrivere le
singole forme morbose, ma hanno anche un significato prognostico
migliore e possono guidare la scelta terapeutica. Quanto detto, è già una
realtà per la LAP, dove, rispetto al gruppo delle LAM, la presenza dell’alterazione molecolare è un fattore con significato prognostico positivo, e
soprattutto, predice l’ottima sensibilità a trattamenti con ATRA. La speranza di tutti noi è che quanto oggi è valido per la LAP, lo diventi presto
anche per le altre neoplasie ematologiche.
Ancora, l’elevata sensibilità di queste tecniche permette in tutti i pazienti
con marcatore molecolare una migliore valutazione della risposta terapeutica e della malattia minima residua.
In prospettiva, poi, le sempre migliori conoscenze dei meccanismi molecolari implicati nella patogenesi delle diverse patologie apriranno nuovi
affascinanti scenari quali, ad esempio, quello della terapia genica, che
porteranno a un miglioramento delle strategie terapeutiche e della qualità
di vita dei nostri pazienti.
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