Restrizioni nazionali in tema di pubblicità comparativa di Ylenia Maitino Con i termini pubblicità comparativa ci si riferisce a quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli concorrenti, i quali possono essere individuati genericamente (pubblicità comparativa indiretta) o specificamente (pubblicità comparativa diretta: in questo caso i concorrenti sono resi riconoscibili mediante citazione espressa della loro denominazione o marchio). L’articolo 1 della direttiva comunitaria in materia, la 97/55/CE ( 1), pur consentendo espressamente agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni interne più restrittive in tema di pubblicità ingannevole ( 2) dichiara, al comma 9, inapplicabile tale principio per la pubblicità comparativa, sul presupposto che, come si evince dal 18° ‘considerando’, l’obiettivo della disciplina è di fissare le condizioni alle quali la comparazione è consentita. In effetti, poiché si ritiene che la comparazione sia utile e vada favorita, non avrebbe senso che la normativa europea intesa a realizzare un regime uniforme lasciasse ogni Stato membro arbitro di stabilire quali debbano esserne i requisiti. Ciò rischierebbe infatti di aumentare, anziché ridurle, le diversità tra i vari ordinamenti. Quindi ogni Stato dovrà recepire le condizioni di liceità del (1) Direttiva 97/55/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 ottobre 1997 che modifica la direttiva 84/450/CEE relativa alla pubblicità ingannevole al fine di includervi la pubblicità comparativa, pubblicata sulla GUCE. L 290 del 23/10/1997 p..18 -23. (2 ) L’articolo 2/b della direttiva 84/450/CEE fornisce invece la definizione di “pubblicità ingannevole” quale qualsiasi pubblicità, compresa la sua presentazione, che induca in errore o possa indurre in errore le persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, dato il suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il comportamento economico del consumatore o che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente. confronto, quali delineate dall’art 3bis, n°1 della direttiva 97/55/CE ( 3), così come sono fissate nella stessa, astenendosi dall’introdurre nella propria legislazione nazionale eventuali disposizioni che, pur avendo lo scopo di garantire una più ampia tutela dei consumatori, dei concorrenti o del pubblico, abbiano l’effetto di limitare o rendere più difficoltosi i confronti pubblicitari tra imprese o tra prodotti e servizi. Anche la Corte (4) si è recentemente espressa in tal senso, affermando che le disposizioni essenziali che disciplinano la forma e il contenuto della pubblicità comparativa devono essere uniformi e le condizioni per l’utilizzazione della pubblicità comparativa in tutti gli Stati membri devono essere armonizzate (2° ‘considerando’ della direttiva 97/55/CE). Quindi, poiché la liceità o il divieto della pubblicità comparativa a seconda delle diverse legislazioni nazionali può costituire un ostacolo alla libera circolazione di beni e servizi e creare distorsioni alla concorrenza, si esclude l’applicazione alla pubblicità comparativa di disposizioni nazionali più restrittive. 3 ( ) La liceità della pubblicità comparariva è subordinata al verificarsi di diverse condizioni, in particolare: non sia ingannevole ai sensi dell’art 2 punto 2, dell’art 3 e dell’art 7 paragrafo 1della direttiva 84/450/CEE; confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi; confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi; non ingeneri confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente; non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente; per i prodotti recanti denominazione d’origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione; non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni d’origine di prodotti concorrenti; non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati. (4 ) Sentenza “Pippig” dell’8 aprile 2003, causa C-44/01., p.42-44. Infatti, mentre in materia di pubblicità ingannevole la direttiva comunitaria avrebbe compiuto soltanto “un’armonizzazione minima” che consente la sopravvivenza di discipline nazionali più restrittive, per quanto riguarda la pubblicità comparativa le condizioni di liceità sono state fissate esaustivamente a livello comunitario ( 5). Tuttavia, l’articolo 1, comma 9, par 4 della direttiva 97/55/CE permette agli Stati membri che nel rispetto delle disposizioni del Trattato mantengono o introducono il divieto della pubblicità per taluni beni o servizi imposto direttamente o da un ente o da un’organizzazione incaricati, ai sensi della legge degli Stati membri, di non consentire la pubblicità comparativa per tali beni o servizi. In merito a questa disposizione non esiste quindi alcun contrasto tra la normativa italiana e quella europea per i divieti di pubblicità stabiliti dal nostro ordinamento per taluni prodotti. Si pensi, ad esempio, alla proibizione della pubblicità di qualsiasi prodotto da fumo nazionale ed estero (prevista dalla l. 22/2/1983 n°52) che ovviamente impedisce anche messaggi di tipo comparativo a favore di tali generi. Mantengono inoltre efficacia le restrizioni o i divieti disposti da norme europee o nazionali per particolari mezzi di comunicazione, come quello che colpisce la pubblicità televisiva non trasparente (di cui alla direttiva 89/552/CEE (6)), con la differenza che il nostro d. legislativo 74/92 ( 7) (con cui si è recepita la direttiva 84/450/CEE) ritiene ingannevole e quindi illecita non 5 ( ) La stessa interpretazione si trova nella sent. del 25 ottobre 2001, causa C-112/99, Racc. Giur. 2001, pag. I-7945, p. 37, in cui la Corte afferma che le condizioni imposte dalla pubblicità comparativa devono interpretarsi nel senso più favorevole a questa. (6 ) Così come modificata dalla direttiva 97/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997, pubblicata sulla GUCE L 202 del 30 luglio 1997, pag. 60-70 (7) Decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74 (come modificato dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n.67 e dalla legge 6 aprile 2005, n.49) soltanto la pubblicità televisiva non riconoscibile come tale, ma tutta la pubblicità non trasparente, anche se veicolata con un mezzo differente. In conclusione , il principio della liceità della comparazione che risponda ai requisiti fissati dalla direttiva 97/55/CE e dalla legge nazionale di attuazione non è assoluto, ma incontra o può incontrare, come previsto dalla direttiva stessa, alcune deroghe.