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Insegnamenti da trarre
e prospettive
per l’avvenire
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CAPITOLO 4
Il Capitolo 4 è dedicato alle possibili urgenze di sanità pubblica di portata
internazionale ( USPPI), la più temuta delle quali rimane l’influenza pandemica. A
questa minaccia è già stata data una risposta preventiva, e ciò ha costituito un’opportunità quasi
irripetibile per prepararsi a una pandemia, e probabilmente per impedire che tale minaccia
prendesse corpo.
Il RSI (2005) fornisce il quadro di riferimento per questo approccio rafforzando le
capacità
nazionali di base e appellandosi a una risposta collettiva alle urgenze di sanità pubblica di portata
internazionale. Nel presente capitolo si esaminano gli insegnamenti tratti dalle prime esperienze
nell’applicazione del RSI (2005) durante l’allarme per l’influenza pandemica, cos’ come le
applicazioni potenziali del RSI (2005) in situazioni come quella provocata dalla tubercolosi
ultraresistente (XDR-TB) in Africa australe, e la minaccia di diffusione internazionale della
poliomielite.
Queste due ultime situazioni sono degli esempi di emergenze di sanità pubblica che
evocherebbero l’uso dello allo strumento di decisione del RSI (2005) per valutare la necessità di
notificare alla OMS una emergenza di sanità pubblica di portata internazionale ( vedere il capitolo
5) e che, se ritenuto necessario, esigerebbe una azione collettiva di salute pubblica.
INFLUENZA PANDEMICA:
LA MINACCIA PIU’ TEMUTA
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In chiaro contrasto con le misure adottate praticamente “a posteriori” in occasione del
focolaio di SARS nel 2003, la risposta alla minaccia di una nuova pandemia influenzale è
stata lanciata molto più precocemente, grazie, in particolare, all’entrata in vigore anticipata
del RSI (2005). Si è trattato di una opportunità unica per impedire a una minaccia di
diventare una realtà, utilizzando al meglio i meccanismi di allerta precoce e mettendo alla
prova un modello di pianificazione e di preparazione in vista di una pandemia.
La minaccia di influenza pandemica, tuttavia, non sarebbe stata presa appieno in
considerazione se prima non si fosse capito il suo legame con l’influenza stagionale. Ogni
anno l’influenza umana si propaga velocemente in tutto il mondo causando epidemie
stagionali che provocano generalmente dai 3 ai 5 milioni di casi gravi, e tra i 250.000 e i
500.000 esiti letali.
Nei paesi industrializzati la maggior parte dei decessi imputabili all’influenza
riguardano persone con più di 65 anni. I virus responsabili dell’influenza stagionale si
suddividono in due gruppi: A e B. L’influenza di tipo A possiede due sottotipi di virus
stagionali importanti per l’uomo, conosciuti come A(H3N2) e A (H1N1), il primo dei quali
è responsabile attualmente del maggior numero di decessi.
I virus dell’influenza stagionale subiscono frequentemente delle piccole
modificazioni del loro patrimonio genetico, conosciute sotto il nome di “deriva
antigenica”. Queste variazioni richiedono una riformulazione annuale dei vaccini
antinfluenzali destinati a proteggere le popolazioni nelle differenti regioni del mondo. I
vaccini più efficaci contro l’influenza stagionale sono quelli specifici contro il virus che
circola in quel momento nella comunità.
I focolai di influenza stagionale solitamente compaiono per la prima volta ad est
per poi viaggiare verso ovest. I virus individuati in Asia vengono quindi analizzati e
utilizzati per aggiornare i componenti da utilizzare per la preparazione dei vaccini per la
stagione influenzale successiva.
Nel corso degli ultimi 50 anni, una vasta rete di sorveglianza ( la Global
Influenza Surveillance Network) gestita dalla OMS ha raccolto, per mezzo del libero
interscambio di virus tra i paesi, le informazioni genetiche relative ai ceppi virali circolanti
e in continua mutazione,
così come le tendenze epidemiologiche dell’infezione
influenzale. Questa rete è attualmente costituita da oltre 118 centri nazionali di lotta contro
l’influenza in più di 89 paesi, e da 4 Centri Collaboratori OMS situati in Australia,
Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d ‘America (figura 4.1). I centri nazionali di lotta
contro l’influenza garantiscono che gli isolamenti virali rappresentativi siano inviati ai
Centri Collaboratori per l’immediata identificazione dei ceppi.
La OMS per mezzo di Internet gestisce FluNet, un sistema di informazione
geografica con una componente di introduzione remota dei dati, che permette di accedere
in tempo reale a tutte le informazioni specifiche sui ceppi circolanti e le tendenze
epidemiologiche di ogni paese. Lanciato del 1997, FluNet contribuisce alla sorveglianza
internazionale dell’influenza offrendo ai ricercatori e ai soggetti interessati uno strumento
elettronico di accesso alle informazioni sulle sindromi influenzali (1).
Oltre a consigliare in merito alla composizione annuale dei vaccini stagionali
raccomandati, la Rete Mondiale di Sorveglianza dell’Influenza e FluNet funzionano come
un sistema mondiale di allerta rapida nel caso compaiano varianti o nuovi ceppi
influenzali. La rete è affidabile e sufficientemente reattiva per individuare ogni nuova
variante di virus influenzale potenzialmente pandemico, così come qualunque focolaio
epidemico insolitamente grave e di rapida propagazione. Ha svolto un ruolo determinante
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nell’individuazione, lo studio e il rapido contenimento del focolaio epidemico di influenza
aviaria H5N1 sugli esseri umani a Hong Kong (Regione Amministrativa a Statuto speciale
della Cina (SAR)).
I primi casi umani e i primi decessi riferibili all’influenza aviaria H5N1 furono
registrati nella SAR di Hong Kong nel 1997. Il 6 giugno 2007, il numero complessivo dei
casi umani notificati alla OMS ammontava a 310 e quello dei morti a 189. Benché le cifre
siano relativamente basse, sono l’immagine di una malattia epidemica emergente che
rappresenta una seria minaccia per la vita, l’economia e la sicurezza. Anche se non è
possibile preconizzare né quando ci sarà, né la sua gravità, il mondo ha beneficiato del
vantaggio senza precedenti di poter essere avvertiti in anticipo sulla possibile imminenza
di una pandemia. Questo vantaggio è pienamente messo a profitto per rafforzare la
preparazione mondiale nel quadro del RSI (2005).
Anche se il H5N1 fu isolato per la prima volta negli uomini nel 1997, è la
sorveglianza intensificata nel 2003 e nel 2004 temendo un possibile ritorno della SARS che
permise di individuare in un ospedale pediatrico di Hanoi ( Viet Nam) un gruppo di
bambini piccoli che erano stati infettati dal H5N1 con conseguenti gravi affezioni
respiratorie e numerosi decessi. Contemporaneamente a quel focolaio di casi umani di
influenza aviaria provocato dal virus H5N1 altamente patogeno, si manifestarono
rilevanti focolai nel pollame. Fu un segnale di ciò che sarebbe potuto succedere in seguito.
Immediatamente dopo il focolaio di SARS, la prospettiva di una possibile pandemia
influenzale mise immediatamente,e a giusto titolo, il mondo intero in apprensione. Ben
più contagiosa, trasmissibile attraverso la tosse e gli starnuti, con un periodo di
incubazione troppo breve per permettere l’individuazione e l’isolamento dei contatti,
l’influenza pandemica avrebbe potuto portare in pochi mesi e nei quattro angoli del
mondo conseguenze ben più disastrose di quelle della SARS in Asia e in Canada.
Per di più, se emergesse un virus pienamente trasmissibile, la propagazione della malattia
sarebbe inevitabile. Perfino una misura draconiana come il divieto totale dei viaggi
intercontinentali ritarderebbe a mala pena, e solo di qualche settimana, l’arrivo del virus in
un paese.
Basandosi sull’esperienza di precedenti pandemie, alcuni esperti prevedono che la
malattia colpirebbe il 25% della popolazione mondiale - che equivale a un miliardo e
mezzo di persone- superiore cioè alla somma del numero di abitanti di Cina e Stati Uniti
d’America. Se questo calcolo si dimostrasse corretto, potremmo facilmente immaginare
l’impatto che la prima pandemia influenzale di questo secolo avrebbe sulla salute pubblica
nazionale e internazionale, così come sulla sicurezza economica e politica. Perfino se il
virus provocasse solo sintomi relativamente lievi, sarebbero gravissime le perturbazioni
economiche e sociali originate dalla presenza concomitante di tante persone ammalate in
ogni parte del mondo.
Tenendo conto di tali poste in gioco: i focolai epidemici nei volatili da cortile e negli
esseri umani in Viet Nam, seguiti alcuni giorni dopo da altri casi in Tailandia, dettero
impulso a una febbrile attività di ricerca a cui parteciparono epidemiologi, medici,
virologi e veterinari. I ricercatori passarono al setaccio le precedenti pandemie alla ricerca
di elementi in grado di farci chiaramente capire ciò che dovremmo attenderci e il modo
migliore per prepararvisi. L’industria farmaceutica accelerò i suoi sforzi per mettere a
punto un vaccino pandemico e per accrescere la propria capacità produttiva del principale
farmaco antivirale, l’oseltamivir. La rete mondiale di sorveglianza dell’influenza gestita
dalla OMS proseguì l’identificazione di infezioni umane causate dal virus dell’influenza
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aviaria. Benché le infezioni umane da virus H5N1 predominassero, furono identificate
anche altre infezioni umane causate dai sottotipi virali influenzali H7 e H9 (Figura 4.2). La
nota instabilità genetica dei virus influenzali rende impossibile prevedere quale di tali
virus dell’influenza aviaria, sempre che si tratti di uno di quelli, sarà responsabile della
prossima pandemia e, in tal caso, quando la pandemia potrà verificarsi.
Alla fine del 2004, era evidente quanto il H5N1 fosse un virus particolarmente
tenace nella popolazione dei volatili. In molti paesi, parte della strategia di controllo era
consistita nell’abbattimento preventivo di decine di milioni di animali da cortile. In ampie
zone dell’Asia dove il virus era fortemente radicato si è stimò in almeno una decina
d’anni il tempo per eliminarlo. Tuttavia la minaccia di una pandemia, probabilmente per
tutto quel periodo, sarebbe persistita.
Riguardo agli esseri umani, alla fine del 2004 era deceduto il 72% delle persone
infettate dal H5N1 era deceduto alla fine del 2004, pur restando l’infezione circoscritta al
Viet Nam e alla Tailandia. Il profilo anagrafico dei casi era preoccupante, in quanto i
soggetti maggiormente infettati, a seguito del contatto con polli malati o morti erano
bambini e adolescenti fino ad allora in buona salute. La maggior parte degli ammalati
gravi morì per una polmonite virale primaria, e non per infezioni batteriche secondarie
che costituiscono le più frequenti complicanze dell’ influenza stagionale.
Nel 2005 si iniziò a osservare quella che venne chiamata “trasmissione a relais” del
H5N1. Questo virus altamente patogeno iniziò a passare dal pollame agli uccelli selvatici e
viceversa, acquisendo la capacità di spostarsi su lunghe distanze. Nel luglio 2005 partì
dal suo luogo di origine in Asia sud orientale, iniziando ad estendersi e raggiungere il
continente africano, l’Asia centrale, l’Europa e la Regione del mediterraneo orientale. Una
volta coinvolti gli uccelli selvatici nel ciclo di trasmissione, la prospettiva di un
contenimento rapido del virus cominciò ad apparire sempre più remota.
La OMS seguì e verificò le notizie su casi umani, il cui numero iniziò a superare i 30
giornalieri. Agli uffici OMS nei vari paesi fu inviato materiale di indagine raccolto sul
posto, e fu intensificata la formazione in materia di attività di indagine e di risposta. Si
attivò il meccanismo del GOARN per sostenere in 10 paesi il dispiegamento di squadre di
risposta della OMS, mentre oltre 30 squadre di valutazione esaminarono la situazione in
altri paesi.
Nel settembre del 2006, la OMS organizzò una riunione di esperti, impegnati nelle
ricerche sul virus H5N1, per sapere se questo virus o un altro virus dell’influenza aviaria
avrebbero conservato il loro eccezionale potere letale nel caso avessero acquisito la
capacità di trasmettersi da uomo a uomo. La conclusione fu che se un virus pandemico
emergesse a seguito di un “processo di riassortimento” - che comporta lo scambio di
materiale genetico tra virus umani e aviari-, perderebbe con certezza una parte del suo
potere patogeno. Al contrario, se il virus patogeno restasse totalmente aviario, acquisendo
però, per mutazione, la capacità di trasmettersi da uomo a uomo, potrebbe sicuramente
conservare il suo attuale potere letale. Il tasso di mortalità durante l’epidemia influenzale
del 1918- 1919 fu nell’ordine del 2,5%. Al 1° maggio 2007, il tasso complessivo di mortalità
tra i casi umani d’infezione da H5N1 era superiore al 50%.
L’11 aprile del 2007, 12 paesi di Asia, Medio Oriente e Africa avevano notificato il
numero totale, già evidenziato nel capitolo, di casi e di decessi umani provocati
dall’infezione H5N1. Ventotto di questi casi -di cui 14 fatali-, sono stati notificati nel corso
dei primi mesi del 2007, la maggior parte in Egitto (20 casi con 4 morti) e in Indonesia (6
casi con 5 morti). I focolai epidemici proseguirono tra i volatili, come pure sporadicamente
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tra gli esseri umani, però non emerse alcun virus pandemico. Ecco allora manifestarsi in
alcuni l’idea che la minaccia pandemica fosse stata sopravvalutata. La OMS cessò di
ricevere regolarmente le informazioni necessarie per valutare il livello del rischio e
allertare il mondo sul da farsi in caso di necessità. A parte tutto però, la minaccia di una
pandemia non è scomparsa.
Sono stati tratti numerosi insegnamenti dalla risposta mondiale allo stato di allerta
pandemico. In primo luogo, la risposta dei paesi infettati dal virus dimostrò il loro senso
di responsabilità e la loro disponibilità a renderne conto alla comunità internazionale. Ciò
è dovuto, senza alcun dubbio, alla consapevolezza che se la cattiva gestione di un focolaio
da parte di un paese sfociasse nell’emergere di un virus pandemico, tutti i paesi del
mondo ne patirebbero le conseguenze.
In secondo luogo, l’incapacità dei paesi colpiti di mantenere per mesi se non per
anni un sistema di emergenza e risposta, è risultata un ostacolo importante per sorvegliare
e valutare adeguatamente il rischio. Quando iniziarono i focolai negli esseri umani e nei
volatili, le strategie di sanità pubblica si basarono su due premesse: che probabilmente
una pandemia non avrebbe tardato a manifestarsi e che delle misure draconiane di
controllo sul pollame ne avrebbero ridotto il rischio.
Anche se non infondate, ambedue le premesse si rivelarono erronee . Praticamente,
nessun paese colpito fu in grado di mantenere la risposta, inizialmente molto intensa, a
un’ emergenza prolungata. Numerosi altri paesi introdussero inizialmente delle misure
appropriate di emergenza, ma non furono in grado di sostenerle nel tempo. In vari casi,
dei paesi con risorse limitate si trovarono rapidamente allo stremo per poter lottare contro
un virus così tenace nei volatili e così perfido per gli uomini. Il bisogno di sorveglianza e
di valutazione tuttavia sussiste. La cooperazione internazionale nell’identificazione di tutti
i casi umani e nello scambio dei campioni di virus che li provocano è importante per poter
valutare la situazione epidemiologica e mantenere la sensibilità del sistema di allerta. Gli
esperti concordano nel pensare che la minaccia di epidemia da H5N1 sia reale e che il
problema che si pone non sia quello di sapere se, ma bensì quando una pandemia
provocata da questo o da un altro virus dell’influenza aviaria si verificherà.
Nel maggio del 2006, la Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato una
risoluzione nella quale chiedeva l’applicazione immediata e volontaria delle disposizioni
del RSI (2005) riguardanti l’influenza aviaria e la relativa minaccia di una pandemia (2).
Anche se il Regolamento avrebbe dovuto entrare legalmente in vigore dal giugno 2007,
quella richiesta mirante ad accelerarne l’applicazione parziale era rivelatrice del grado di
inquietudine suscitato dalla minaccia di pandemia, ma anche del livello di fiducia nelle
nuove possibilità offerte dal Regolamento revisionato.
Da quando si è iniziato ad applicare il Regolamento (2005), sono state messe in atto
numerose attività di preparazione e di riduzione dei rischi. Appare chiaro che la misura
più importante per ridurre i rischi consista nel lottare contro la panzoosi di H5N1–
equivalente a una pandemia tra gli animali- nei volatili da cortile, perchè fino a quando il
virus sarà presente nella popolazioni dei polli, la minaccia pandemica non sparirà.
Lottando contro la pandemia influenzale nei volatili, potranno diminuire anche le
infezioni umane sporadiche.
Tuttavia, il mondo si troverebbe impreparato se le misure di lotta prese per quanto
riguarda i volatili da cortile risultassero inefficaci. In questo caso, se il H5N1 o un altro
virus dell’influenza aviaria – si conoscono oggi 16 sottotipi H e 5 sottotipi N- generassero
per mutazione una forma pandemica, e se l’individuazione precoce di un focolaio di
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trasmissione interumana avvenisse prima che l’infezione si propagasse su larga scala, si
tenterebbe di contenere la pandemia con l’ausilio di un farmaco antivirale. Tra l’altro, la
OMS, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) e gli Stati Uniti
d’America hanno costituito riserve di oseltamivir, farmaco antivirale in grado di inibire la
trasmissione interumana nello stadio iniziale del focolaio.
La OMS ha creato gruppi di lavoro regionali al fine di predisporre le misure da
prendere per contenere rapidamente un focolaio nel caso fosse possibile intervenire, pur
ammettendo che queste misure potrebbero risultare inefficaci per bloccare o anche solo
rallentare la propagazione iniziale di una pandemia.
La strategia proposta dalla OMS è vincolata alle sei fasi dell’allerta pandemica. Il
mondo si trova attualmente nella fase tre, caratterizzata da una trasmissione tra esseri
umani molto limitata o inesistente. Il passaggio ad un’altra fase avviene in funzione di
diversi fattori, tra i quali il comportamento epidemiologico della malattia e le
caratteristiche dei virus circolanti. Il passaggio della fase tre alla fase quattro si
tradurrebbe nell’adozione delle misure di contenimento rapido descritte in precedenza.
La produzione inadeguata di vaccini antinfluenzali è un’altra delle ragioni dell’
insufficiente preparazione del mondo di fronte a un’eventuale pandemia. Oggi, la capacità
produttiva massima annuale di vaccino trivalente contro l’influenza stagionale è di 500
milioni di dosi, sufficiente a soddisfare l’attuale domanda. Una capacità produttiva
superiore sarebbe indispensabile se fosse necessario un vaccino antipandemico. La OMS
ha quindi elaborato un Piano di Azione Mondiale per Vaccini contro l’Influenza
Pandemica, con lo scopo di incrementare la capacità produttiva mondiale, che sarebbe
perciò disponibile nel caso servisse un vaccino antipandemico contro H5N1 o altri virus
influenzali aviari.
Attualmente, l’ industria farmaceutica sta sviluppando vaccini contro il virus H5N1
basati sui ceppi di H5N1 che sono stati selezionati dalla OMS. La già citata Rete Mondiale
di sorveglianza, permette di selezionare questi virus grazie al facilitato scambio di
campioni non solo del virus dell’influenza stagionale, ma anche del virus H5N1 e di altri
virus dell’influenza aviaria che infettano l’uomo.
Il libero scambio dei campioni dei virus influenzali H5N1 permette di caratterizzarli
geneticamente per determinare il tipo di ceppo e la sua prevalenza tra gli esseri umani; di
sviluppare test diagnostici non commerciali per i laboratori della sanità pubblica in tutto il
mondo, miranti a garantire la diagnosi dell’infezione da virus H5N1 ; e fornire i virus più
importanti ai produttori dei vaccini e alle agenzie di regolamentazione farmaceutica per
sviluppare vaccini anti H5N1.
Inoltre, il libero scambio di campioni dei virus H5N1 è fondamentale per la
valutazione e la gestione dei rischi secondo quanto previsto dal RSI (2005), in quanto la
loro mancanza comprometterebbe l’efficacia della preparazione e della sicurezza sanitaria
mondiale. Una volta di più viene chiaramente dimostrata l’importanza della
collaborazione in un mondo interconnesso.
Si stanno raccogliendo dati per stabilire se i vaccini H5N1 che sono in fase di
sviluppo conferiscano una immunità molto estesa nei confronti di tre famiglie H5N1 che
infettano oggi gli esseri umani, e che sono tutte frutto di mutazioni del virus originale.
La OMS sta analizzando questi e altri dati scientifici per stabilire, in primo luogo, se
i vaccini contro il virus H5N1 potranno essere impiegati a scopo preventivo allo stesso
modo degli attuali vaccini contro l’influenza stagionale; in secondo luogo, se questi tipi di
vaccino potrebbero avere una qualche utilità nelle prevenzione dell’infezione o di
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manifestazioni cliniche gravi nel caso che un virus pandemico si sviluppasse partendo dal
H5N1; e in terzo luogo, se sia opportuno somministrare questi vaccini
contemporaneamente ai farmaci antivirali, per tentare di contenere un focolaio iniziale di
trasmissione interumana (Riquadro 4.1)
Piano di azione strategico della OMS
contro l’influenza pandemica
Con lo scopo di aiutare i paesi a prepararsi in vista di una incombente pandemia di
influenza, la OMS ha elaborato un piano di azione strategico contro l’influenza pandemia
e collabora con loro per valutare i bisogni in materia di preparazione e risposta. Il piano
indica chiaramente cinque campi di azione:
 Ridurre l’esposizione umana al virus H5N1
 Rafforzare il sistema di allerta precoce
 Intensificare le operazioni di contenimento rapido
 Rafforzare la capacità di fare fronte a una pandemia
 Coordinare i lavori di ricerca e di sviluppo su scala mondiale.
Alla data del 1° maggio 2007, quasi ogni paese aveva già elaborato un proprio piano
di preparazione alla pandemia aviaria e umana, basato sugli assi prioritari definiti dal
piano della OMS. Si trattava di una reazione eccezionale e incoraggiante. A ciò si
aggiungono le oltre 50 missioni, intraprese dalla OMS, per andare in aiuto di paesi che
devono confrontarsi con focolai di casi umani di influenza aviaria e per collaborare alle
prove di laboratorio e alla raccolta dei campioni, all’indagine epidemiologica, alla
sorveglianza e alla valutazione del rischio, alla mobilitazione sociale e alla diffusione di
notizie in caso di focolai, alle cure cliniche e al controllo delle infezioni, nonché alla
logistica.
La coordinazione e la collaborazione tra organismi del sistema delle Nazioni Unite
sono elementi cruciali dell’assistenza ai paesi. Il fatto che oltre il 70% delle malattie nuove
e emergenti provengano da animali esige una più stretta collaborazione tra i settori della
sanità veterinaria e della salute umana a livello nazionale e internazionale. Nel 2005 fu
creato il Sistema di Coordinamento delle Nazioni Unite per l’Influenza (UNSIC) con il
proposito di rafforzare la coerenza della preparazione all’influenza aviaria e a una
potenziale pandemia di influenza umana.
La principale responsabilità dell’UNSIC è di dare una risposta ai governi che
chiedono un aiuto internazionale coordinato e continuo per realizzare i loro programmi di
lotta contro l’influenza umana, prestando particolare attenzione alla sinergia dei contributi
individuali forniti dagli organismi delle Nazioni Unite (3).
LA TUBERCOLOSI A FARMACORESISTENZA ESTESA
L’emergenza della tubercolosi estremamente resistente ai farmaci (XDR-TB) illustra
con chiarezza la necessità di disporre di sistemi sanitari efficienti per migliorare la
sicurezza della salute pubblica, poiché si tratta essenzialmente di un problema causato
dall’uomo. Ciò avviene prima di tutto a causa di sistemi sanitari poco efficaci e
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dell’insufficiente gestione dei programmi che ne consegue, in particolare l’inquadramento
sbagliato del personale sanitario e la cattiva gestione dei percorsi terapeutici dei pazienti,
l’interruzione dell’approvvigionamento dei farmaci, e l’inadeguata presa in carico clinica.
Tutti fattori che possono impedire ai malati di riuscire a concludere il loro ciclo di cure.
Tra gennaio 2005 e marzo 2006, sono stati identificati 221 casi di tubercolosi
multiresistente (MDR-TB) nell’ospedale del distretto di Tutela Ferry nella provincia
sudafricana di Zwa Zulu-Natal. Dei 53 pazienti in cui fu in seguito diagnosticata la
tubercolosi XDR: 44 risultarono infetti anche da HIV, e la metà di loro non aveva ricevuto
alcuna cura per la tubercolosi. Il tasso di mortalità fu altissimo, perchè 52 pazienti
morirono in media 16 giorni dopo la raccolta iniziale di muco; due di loro erano operatori
sanitari e 15 stavano seguendo una terapia antivirale contro l’HIV (4)
La vasta diffusione dell’HIV crea un terreno fertile per la trasmissione di tutte le
forme tubercolari. In assenza di misure sufficienti di lotta contro la propagazione di
infezioni trasmesse per via aerea, la concentrazione di persone infette da HIV negli
ospedali e particolarmente nei programmi di terapia antiretrovirale, aumenta il rischio di
contrarre forme di tubercolosi sia farmacosensibili che farmacoresistenti. La reticenza
degli operatori sanitari a rivelare la propria sieropositività ai superiori può mettere la loro
vita in pericolo. In presenza di HIV, una tubercolosi non curata diventa una sicura
sentenza di morte entro poche settimane. La forma resistente, anche se viene trattata con
farmaci di prima linea, può in effetti essere considerata incurabile. Questa fu la causa
dell’altissima mortalità rilevata nella provincia di KwaZulu- Natal.
Al di là delle conseguenze immediate per le persone colpite, l’inquietudine per la
salute pubblica mondiale si spiega con il fatto che la tubercolosi XDR è trasmissibile
quanto le forme curabili della malattia. In tutti i casi, è di importanza capitale che tutte le
infezioni da TBC vengano individuate e trattate prontamente e che i pazienti seguano
compiutamente lo schema posologico individuale. Al 1° maggio 2007, 37 paesi avevano
confermato la presenza di casi di tubercolosi XDR, compresi tutti i membri del G8.
Diventa essenziale curare le forme moderate di farmacoresistenza. Se i farmaci
cosiddetti di “ seconda linea” impiegati contro la tubercolosi resistente non vengono
utilizzati correttamente, la trasformazione di una tubercolosi MDR in XDR diventa solo
una questione di tempo. E’ essenziale contare su equipe specificamente formate nella cura
delle farmacoresistenze, che lavorino in ospedali specializzati o in reparti di isolamento
infettivo all’interno degli ospedali generali, così come di disporre di un sufficiente numero
di posti letto, nonché di un regolare rifornimento di farmaci di seconda linea di qualità.
E’ possibile che il fatto di non avere prestato attenzione alla tubercolosi come causa
rilevante di morbilità e di mortalità abbia contribuito ad ampliare questa minaccia per la
sicurezza sanitaria. Altri fattori sono le politiche mondiali e nazionali in materia di
ambiente, la buona o cattiva qualità dei programmi nazionali di lotta contro la tubercolosi
( soprattutto in materia di presa in carico dei casi e di messa in opera di misure di
controllo dell’infezione) e la prevalenza dell’infezione da l’ HIV.
Nessuno di questi problemi si limita geograficamente al Sudafrica. Nondimeno, la
presenza in quella zona della tubercolosi XDR rappresenta un segnale di allarme rivolto a
tutti i paesi, specialmente a quelli africani, affinché vigilino che la lotta antitubercolare di
base si adegui ai criteri internazionali e comincino a rafforzare il trattamento delle forme
farmacoresistenti della malattia. La preparazione per contrastare la tubercolosi XDR
presuppone di poter contare su dei laboratori in grado di procedere a test di
farmacosensibilità, cosa che esige la formazione di personale clinico e di laboratorio, così
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come di poter assicurare una diagnosi precoce e l’approvvigionamento di farmaci di
seconda linea di buona qualità. Le indagini per stabilire la propagazione geografica della
tubercolosi MDR e di quella XDR sono fondamentali, in quanto presentano l’ulteriore
vantaggio di fornire ai governi e ai media delle informazioni che permettono di diffondere
notizie pertinenti e opportune, all’attenzione sia del pubblico che del personale sanitario,
con lo scopo di favorire una corretta presa in carico, invece di imporre intempestive
misure di quarantena e di isolamento.
Il caso della tubercolosi XDR è sintomatico di un problema più vasto che affligge
molti paesi: il fatto di dover simultaneamente affrontare numerose minacce per la
sicurezza sanitaria. In questo caso, non è solo la debolezza dei programmi di lotta che
aggrava la crisi provocata dalla tubercolosi. Esiste un accresciuto rischio di coinfezione da
HIV tra i pazienti e gli operatori sanitari che si trovano a stretto contatto in cliniche e
ospedali che, a loro volta, soffrono la carenza di personale clinico e di laboratorio oltre
che di attrezzature. Queste difficoltà sono comuni a numerosi paesi e riflettono le
molteplici carenze dei sistemi sanitari, particolarmente nei paesi in via di sviluppo. In tali
circostanze, i problemi locali di sicurezza sanitaria diventano rapidamente nazionali,
regionali e internazionali. Sul piano internazionale la necessità di combattere
energicamente e urgentemente la multifarmacoresistenza è stata riconosciuta nel Piano
globale per la lotta alla TBC 2006-2015, ma gli eventi recenti hanno dato impulso a chi
opera nel campo della tubercolosi ad accelerare la loro risposta mondiale alla
farmacoresistenza, in particolare in Africa.
Mentre l’epidemia di tubercolosi XDR persiste, un nuovo meccanismo, il RSI (2005),
rivestirà un ruolo sempre più di spicco, dato che valuterà la sua gravità come emergenza
di salute pubblica di importanza internazionale, e la potenziale risposta collettiva.
GESTIRE I RISCHI E LE CONSEGUENZE DELLA
DIFFUSIONE INTERNAZIONALE DELLA POLIOMIELITE
La poliomielite è una delle quattro malattie soggette a notificazione obbligatoria
menzionate specificamente nel RSI (2005). La diffusione internazionale del virus tra il 2003
e il 2006 fu un segnale di allarme per il mondo, che sperava nella scomparsa definitiva
della poliomielite. In quei focolai, un controllo insufficiente agì come catalizzatore (vedere
il Capitolo 2), mentre al contrario, in una situazione futura simile, l’applicazione del RSI
(2005) potrebbe facilitare di molto l’adozione di una risposta opportuna, riducendo
considerevolmente le conseguenze per la salute pubblica.
Con lo scopo di eradicare la poliomielite, è stata creata un’ampia infrastruttura per
permettere la vigilanza settimanale e il controllo dell’efficacia delle prestazioni in tutti i
paesi del mondo, la notifica immediata dei casi di poliomielite confermati, così come uno
studio clinico e virologico standardizzato e continuo dei casi sospetti. Questa struttura si
compone di risorse umane, regole, procedure operative e beni materiali. Attualmente
vengono proposti settimanalmente rapporti ufficiali di sorveglianza di 180 paesi, il 66%
dei quali già partecipa alla notifica sistematica di altre malattie prevenibili con le
vaccinazioni e in grado di provocare delle epidemie. Delle 145 istituzioni che ospitano
laboratori che partecipano alla rete di lotta contro la poliomielite, l’85% esegue analisi
riguardanti altre malattie, quali l’influenza, il morbillo, la meningite, la rosolia e la febbre
gialla.
Tenendo conto dei progressi compiuti sulla strada dell’eradicazione della
poliomielite e del rischio di una sua reintroduzione o ricomparsa una volta eradicata:
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riveste particolare rilievo la sorveglianza a lungo termine dei poliovirus. L’inserimento
della poliomielite nel RSI (2005) contribuirà a prevenire, contenere e interrompere la
propagazione internazionale della malattia nell’eventualità di un focolaio durante
l’eradicazione o successivamente. Con l’entrata in vigore del RSI (2005), i paesi
valuteranno la propria capacità di identificare, verificare e controllare i poliovirus selvaggi
in circolazione.
Il poliovirus ha più volte dimostrato di essere in grado di percorrere grandi
distanze e di penetrare in zone libere da poliomielite servendosi delle vie terrestri,
marittime o aeree (Figura 4.3). Per ridurre il più possibile il rischio di importazioni future e
le relative conseguenze, i paesi, per proteggersi, hanno optato per il mantenimento di un’
alta copertura immunitaria nella popolazione e una stretta vigilanza. I meccanismi di
allerta e di notifica prescritti dal RSI (2005) sono un complemento fondamentale di queste
attività di immunizzazione sistematica, soprattutto per una malattia che può decorrere per
settimane senza dare sintomi, e le cui conseguenze si fanno sentire per tutta la vita.
Questa capacità di mantenersi vigili e di rispondere è indispensabile per eradicare la
poliomielite; e lo sarà ancora di più quando il virus non sarà più presente in natura e il
mondo dovrà guardarsi da ogni eventuale sua fuoriuscita accidentale o deliberata da
strutture dove viene utilizzato a scopo di ricerca e di diagnosi o per la produzione e il
controllo di qualità dei vaccini.
Si può fin d’ora prevedere che le minacce gravi per la sicurezza sanitaria mondiale
che hanno contrassegnato gli ultimi anni del XX secolo e i primi anni di quello in corso
continueranno a manifestarsi, le stesse o le nuove, nella misura in cui il mondo diventerà
più complesso e interconnesso e i microbi modificheranno e adatteranno le loro
caratteristiche di virulenza, le modalità di trasmissione e la loro resistenza ai farmaci in
funzione dei cambiamenti del loro ambiente.
Un mondo più sicuro avrà quindi bisogno di un sistema mondiale basato su delle
infrastrutture e delle rafforzate capacità nazionali di salute pubblica, su una buona
preparazione e sulla riduzione dei rischi legati ad alcune minacce specifiche per la salute,
così come su un efficace sistema internazionale di allerta e risposta.
Molti progressi sono stati compiuti, ma perché possano perpetuarsi saranno
indispensabili notevoli investimenti in infrastrutture di sanità pubblica nazionali, regionali
e mondiali.
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