Leonarth Fuchs
De historia stirpium
PRESENTAZIONE E COMMENTO
DELL’EDITORE
Aboca Museum Edizioni
A cura di Duilio Contin e Alessandro Menghini
Centro Studi Aboca Museum
© Aboca Museum Edizioni, 2003
C
on la pubblicazione in copia anastatica dell’opera di
Leornardo Fuchs, De Historia stirpium, le Edizioni Aboca
Museum continuano l’attività di valorizzazione del grande
patrimonio letterario del passato. L’intendimento è di proporre all’amatore ed allo specialista le riproduzioni di alcuni testi tra i più
interessanti e rari della botanica, in modo particolare di quel gruppo che si caratterizza per l’impronta medico-farmaceutica. Con queste opere aggiunte, beninteso, alle pubblicazioni di carattere tecnico-scientifico, edite sempre dall’azienda e fondate sull’impiego razionale delle piante medicinali, vogliamo fornire al lettore anche dati
originali di carattere storico, in modo ch’egli possa avere completo il
quadro delle conoscenze sull’uso delle piante.
Lo staff del Centro Studi di Aboca Museum ha effettuato la scelta tra le opere più pregevoli contenute nella Biblioteca antiqua dello
stesso Museo ed oggi sottopongono all’attenzione degli studiosi un
erbario della prima metà del Cinquecento, il De istoria stirpium di
Leonarth Fuchs.
La scelta del lavoro del Fuchs (Fuchsius, quando c’era la moda di
latinizzare i nomi, in italiano Fuchsio) è stata suggerita dall’importanza che questo Autore ha avuto nella storia della medicina e della
botanica durante il Cinquecento e dagli innovativi aspetti scientifici ed iconografici dell’opera stessa.
Il De historia stirpium utilizzato per la ristampa è un esemplare
originale risalente alla prima edizione, che venne stampata nel
1542 presso l’Officina Isingriniana di Basilea, in Svizzera. La colorazione all’acquerello dei disegni delle piante è contemporanea e
ben conservata. Il testo è corredato di 517 tavole silografiche di
buona fattura, con incisione semplice e ben marcata, su una carta di
medio peso in buono stato di conservazione.
La perfetta riproduzione, racchiusa in custodia rigida, è stata
realizzata mantenendo la misura in folio dell’originale, su carta vergata tipo corolla-book premium white, che riproduce fedelmente il
volume originale a colori.
Pregevole è anche la copertura in similpelle rosso bordeaux, rinforzata da sette nervi sul dorso, con rilievi a secco riproducenti, sul
davanti, il ritratto del Fuchs e, sul retro, le figure dei tre collaboratori di cui egli si avvalse per la preparazione delle tavole. Questa
copertura è stata progettata ex-novo, in sostituzione di quella cartonata, di fattura molto semplice di fine Ottocento che correda l’esemplare utilizzato per la ristampa.
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Nel frontespizio e nelle pagine dedicatorie, l’opera originale di
Aboca presenta qualche restauro e qualche imperfezione: abbiamo
preferito non intervenire e non apportare ulteriori modifiche per
lasciare, anche alle copie riprodotte, il fascino che sprigiona l’esemplare originale.
Fornite queste brevi ma necessarie notizie sul lavoro realizzato, ci
sembra doveroso ed utile fornire al lettore, sebbene in modo molto sintetico, un inquadramento storico, scientifico e letterario dell’epoca del
Fuchs. Passeremo poi ad approfondire alcuni aspetti artistici di un’opera come il De historia stirpium, che gli studiosi ritennero fondamentale per lo sviluppo della botanica, in quanto, lo accenniamo fin
d’ora, gettò le basi per nuovi criteri iconografici e tassonomici.
Gli erbari a stampa tra Quattrocento e Cinquecento
L’erbario è un testo di botanica che oltre alla descrizione delle singole specie è corredato anche dalle illustrazioni di ciascuna di esse.
Lo scopo è evidente: evitare la confusione in cui può incorrere il lettore che basa il riconoscimento delle specie sulle sole descrizioni,
non sempre chiare fino ai dettagli e fonte, spesso, di erronee interpretazioni.
Non è facile stabilire una data d’origine degli erbari. Possiamo solo
ritenere che la loro creazione fosse un’esigenza molto sentita da parte
degli studiosi e degli utilizzatori già nel mondo antico, dove però le
forme di espressione erano molteplici. Se, al limite, possiamo ritener
tali le rappresentazioni vegetali che si trovano in alcuni templi egizi, il
primo vero e proprio erbario scritto di cui parla la storia sarebbe stato
quello preparato da Crateva per Mitridate, re del Ponto.
Gli erbari a stampa, però, hanno tutta un’altra storia. Ed è a questa tipologia che vogliamo riferirci in particolare, tenendo conto che
alla categoria appartiene il Fuchs da noi qui riproposto. Infatti, l’intensa attività editoriale, conseguita all’invenzione della stampa a
caratteri mobili, tra i tanti libri presi in considerazione non trascurò certo gli erbari.
Per dare un plausibile ordine cronologico alla produzione degli
erbari a stampa (ci riferiamo, beninteso, solo a quelli illustrati), possiamo rifarci alle indicazioni di Agnes Arber, studiosa del settore,
che, nel 1912, ha pubblicato Herbals, their origin and evolution, un
testo-catalogo dove traccia un preciso elenco dei primissimi erbari
pubblicati. Gli incunaboli erano, in ordine cronologico:
- Puch der natur… di Konrad von Megemberg, editore Bamler,
Auspurg, 1475.
- De viribus herbarum di Macer Floridus, stampatore Bachelier,
Parigi, 1482.
- Incipit herbarium Apulei Platonici…, stampatore De Lignamine
Roma, 1481.
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- Erbario latino, stampatore Shoffer, Mainz, 1484.
- Erbario tedesco, stampatore Shoffer, Mainz, 1485.
- Le grand Herbier, stampatore Metlinger, Besancon, 1486.
- Hortus sanitatis, Magonza, 1491 (impresso anche a Venezia nel
1511).
Come abbiamo detto l’obbiettivo primario degli erbari era quello
di permettere l’identificazione delle piante e, quindi, l’aspetto iconografico ne costituiva la parte preponderante. In altri termini, il
valore degli erbari era tanto maggiore quanto più elevata in qualità
era la riproduzione delle piante.
Le silografie inserite nei trattati citati, sono molto semplici, con
tratti rappresentativi di tipo che potremmo definire ancora medioevale. Le matrici in legno, una volta utilizzate, il più delle volte venivano vendute ad altri editori che le utilizzavano per altre edizioni
della stessa opera o addirittura per altri erbari: è il caso, finanche
troppo evidente, delle tavole de Le Grand Herbier, del 1486, che sono
esattamente le stesse utilizzate poi per l’opera The Grete Herball, editore Treveris, Londra, nel 1526. Ne conseguiva il risultato che erbari
pubblicati da editori diversi ed in tempi diversi contenevano le stesse
illustrazioni. Non solo, ma c’era il rischio di avere edizioni di qualità
peggiori, essendosi le tavolette deformate o consumate nel corso dell’uso.
Il primo trentennio del Cinquecento corrisponde ad un periodo di
inattività nella produzione iconografica botanica, che tuttavia riprese vitalità con la pubblicazione dell’Herbarium da parte di Otto
Brunfels nel 1532.
I padri della botanica tedesca
Nei primi decenni del secolo XVI, il mondo della botanica medica
tedesca vide brillare tre personaggi davvero eccezionali: l’apporto
culturale che le loro opere ebbero sulle generazioni europee del
tempo fu di tale portata che furono chiamati “i padri della botanica”.
Il primo fu Otto Brunfels (1489-1543), testimone e nello stesso
tempo artefice di una nuova tendenza del pensiero scientifico, quella di affidarsi all’osservazione ed alla sperimentazione personale, e
non più solo a quanto lasciato scritto dagli Autori classici. Questo
nuovo modo di interpretare la natura e i suoi fenomeni portò ad un
cambiamento nell’impostazione stessa della rappresentazione delle
piante, e quindi delle immagini di essi, come indica chiaramente il
titolo per esteso della sua opera che, come abbiamo già accennato,
fu pubblicata nel 1532, preceduta da un frontespizio ricco di figure
e di significati simbolici: Herbarium vivae icones. Il suo disegnatore,
Hans Weiditz, era abilissimo nel riprodurre fedelmente e direttamente dal vivo le piante così come le vedeva, compresi, potremmo
dire parafrasando, i pregi e i difetti, per dire che scendeva a ripro5
durre fino i più minuziosi dettagli. Lo stile dei suoi disegni riflette
in pieno l’abbandono del gotico ed il passaggio alle più realistiche e
veritiere immagini degli artisti rinascimentali.
Il secondo personaggio è Hieronymus Bock (1498-1554), che si dedicò interamente allo studio della flora locale ed alla registrazione del
patrimonio di conoscenze fitoterapiche acquisite dalla medicina tradizionale e popolare. Tutte le notizie furono accolte nel New Kreuter
Buch, un erbario pubblicato nel 1539. Il suo disegnatore, David
Kandel, amava caratterizzare le illustrazioni con qualche scena di
costume e questo accorgimento riscosse molto successo. L’obiettivo raggiunto dal Bock nel suo lavoro fu quello di presentare, nell’immagine,
tutti i vari stadi del ciclo vegetativo della pianta, concedendo, così,
molto spazio alla fitografia dei singoli organi. Un metodo tuttora praticato dalle maggiori flore illustrate, emule degli antichi erbari, anch’esse finalizzate a far determinare, con più facilità, i campioni vegetali.
Fra i due autori citati si inserisce il nostro Leonardo Fuchs, che, al
contrario, si sforzò di fornire immagini di piante quasi ideali, perfette
come egli le intendeva, nel “suo” criterio botanico. Per il lavoro che
dovevano compiere i suoi artisti collaboratori, venivano selezionate
solo piante adulte, delle quali, però, veniva parzialmente modificato il
portamento. Infatti, per una migliore identificazione, sia le foglie che i
fiori, spesso sono presentati in una posizione innaturale, un po’ diversa da quella che si registra nella pianta viva. Non per questo, però, i
disegni sono privi di fascino.
E’ opportuno ricordare che, contemporaneamente a questi tre autori, in Europa altri si facevano conoscere, sia per il valore dei loro scritti che per le raccolte iconografiche allegate a corredo delle descrizioni.
Tra i più noti citiamo il medico senese Pietro Andrea Mattioli, che con
i suoi Commentarii (poi, in italiano, Discorsi) gettò una pietra miliare
nella revisione critica della Materia medica di Dioscoride, l’editore
Plantin di Anversa che fornì i legni a Rembertus Dodonaeus ed a
Carolus Clusius, ed i due naturalisti-botanici Konrad Gessner e
Joachim Camerarius, che si erano uniti in una fruttuosa collaborazione per la realizzazione dei loro erbari. Il Gessner, in particolare, con la
collaborazione di diversi corrispondenti dislocati in varie città
d’Europa, ebbe modo di stendere delle interessanti relazioni sulle erborizzazioni compiute in alta montagna, anche se l’opera finale, corredata da fini e dettagliati disegni, rimase incompiuta.
Di sicuro tutti questi studiosi gettarono le basi per lo sviluppo della
botanica in senso moderno.
La vita di Leonardo Fuchs
Leonardo Fuchs nacque a Wemding, città della Baviera, nel 1501.
Rimasto orfano del padre all’età di sei anni, fu spinto agli studi dalla
madre che non fece altro, però, che assecondare la sua naturale pre6
disposizione. I frutti della sua
applicazione non si fecero attendere e molto presto ottenne brillanti risultati e riconoscimenti.
In un primo tempo studiò filosofia e greco all’Università di Ingolstadt. In questo stesso Ateneo
passò poi ad insegnare le stesse
materie e nel 1521, all’età di
appena venti anni, vi ricevette il
diploma di Magister Artium.
Nel 1528 si lasciò allettare
dal Margravio Giorgio di Brandeburgo, che lo chiamò alla corte
di Anbach, in qualità di archiatra. Accettò l’invito, ma insoddisfatto per non avere la possibilità di
insegnare, tornò ad Ingolstad, sebbene per poco. Erano quelli anni di
rovente polemica religiosa, i cui contraccolpi si risentivano anche
nelle Università. Proprio sulla scia di questi mutamenti, la vita di
Leonardo Fuchs ebbe un notevole cambiamento nel 1535: infatti, l’ordinamento del granduca Ulrich von Wurtemberg raccomandava, per
non dire ordinava, a tutti i professori universitari di convertirsi al
nuovo credo ispirato da Martin Lutero. In alternativa, li invitava ad
espatriare. Il Fuchs scelse la prima soluzione.
Tale scelta religiosa gli valse un notevole balzo in avanti nella carriera universitaria, perché divenne professore all’Università di
Tubingen. Qui si applicò con zelo ed energia ad un lavoro di riforma
delle tradizioni, sia religiose sia mediche.
Negli ultimi anni di vita fu anche insignito di un titolo nobiliare.
La fama raggiunta come botanico, dopo la pubblicazione del De isto ria stirpium, fu tale che Cosimo I de Medici, su segnalazione del
grande naturalista ed anatomo Andrea Vesalio, lo invitò a prendere
la direzione dell’Orto Botanico dell’Università di Pisa. Il Fuchs, però,
rifiutò. Si spense il 10 maggio 1556, dopo una malattia dolorosa,
nella quale mostrò molta pazienza e grande spirito di rassegnazione.
Gli interessi scientifici e letterari di Leonardo Fuchs
L’operato di Leonardo Fuchs nel campo della botanica medica fu
decisamente importante. Tanto che lo storico dell’arte iconografica
Carl Nissen, nel Die botanische buchillustration, lo ha definito come
uno dei primi “restauratori dell’arte di guarire in Europa”.
Molteplici furono i campi della medicina e della botanica che
approfondì e che certificò con i suoi scritti, non risparmiando, talvolta, qualche frecciata polemica verso i colleghi che accusava di
essere conservatori.
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Nella sua attività di docente e di medico maturò una notevole
esperienza che gli permise di formulare attenti e circostanziati giudizi sulle sostanze ad azione purgante e sulla maniera di somministrarle. Consigliò l’uso dell’idroterapia per curare diverse malattie
e, soprattutto, le affezioni febbrili. Dimostrò che la sifilide era una
malattia recente importata dal Nuovo Mondo e che nulla aveva a
che vedere con le malattie della pelle descritte dagli antichi. Si interessò alle varie manifestazioni della lebbra ed ai relativi metodi per
curarla, segnalando, peraltro, le caratteristiche distintive della lebbra descritta dai Greci da quella illustrata dagli Arabi.
A Leonardo Fuchs andò la stima e la considerazione di molti colleghi per la sua attività di botanico, per aver centrato in pieno l’obiettivo propostosi di far conoscere le piante usate in terapia.
Giustamente, a nostro modesto parere, il Padre francese Charles
Plumier, classificando nel 1703 una specie nuova trovata a Santo
Domingo, secondo una moda del tempo, volle onorarne la memoria,
dedicandola al Fuchs. Il nome Fuchsia oggi contraddistingue ed
identifica un genere ricco di specie molto note e coltivate in tutto il
mondo per la vivacità cromatica del fiore.
Il Fuchs trattò ampiamente dell’impiego farmacologico di piante
ancora oggi molto importanti in fitoterapia, quali, ad esempio, il
rabarbaro, la manna, la cassia, la cicuta, il papavero, l’aloe. Questo
non significa che trascurasse tutte le altre specie o quelle che, in
seguito alle nuove scoperte geografiche, venivano introdotte nel
Vecchio Mondo come curiosità botaniche. Nel cosiddetto Codex
Fuchs, di cui parleremo più avanti, il Fuchs rappresentò in anteprima alcune specie non europee, oggi considerate per lo più ornamentali ma ai suoi tempi ritenute medicinali, quali, ad esempio,
l’Hemerocallis fulva originaria della Cina, la Tagetes erecta, proveniente dal Messico, la Fritillaria imperialis importata
dall’Afganistan, la Cannabis indica.
Anzi, la lista delle piante introdotte dall’America, il nuovo continente delle meraviglie naturali, è piuttosto lunga: comprende, ad
esempio, alcune varietà di pomodoro (Lycopersicum esculentum) e
di zucca (Cucurbita pepo), il tabacco (Nicotiana tabacum), il girasole (Heliantus annuus) ed altre ancora.
Da ricordare che, tra i disegni proposti dal Fuchs, figura anche la
prima immagine del mais che sia mai stata riportata su un erbario.
Per onorare questo evento, abbiamo voluto riportare l’immagine
del Fuchs in prima e in quarta di copertina. A questa specie, due
secoli più tardi, Linneo dette il nome di Zea mays, ma a Fuchs spetta la primogenitura del nome volgare con il quale il mais viene tuttora indicato nella tradizione agraria dei Paesi dove si coltiva: commise, infatti, un grave errore riguardo l’area di origine del prezioso
cereale, chiamandolo Turcicum frumentum, cioè grano turco.
La produzione letteraria e scientifica del Fuchs fu vasta e benefi8
ciò dei supporti e degli scambi di esperienze che a lui venivano dalla
fitta corrispondenza tenuta con numerosi studiosi, anche italiani.
L’aspetto più importante di tutta la sua produzione fu la parte
filologico-critica, dalla quale derivò buona parte della sua competenza nel campo della tassonomica nomenclaturale e delle relative
innovazioni.
La nomenclatura
Per capire l’importanza del discorso critico che il Fuchs portò
avanti, è opportuno analizzare due sue opere giovanili: l’Errata
recentiorum medicorum del 1530 e il Paradoxorum medicinae libri
tres…, dato alle stampe cinque anni dopo. Si tratta, nella sostanza,
della medesima opera, con l’aggiunta, nella seconda, di qualche
approfondimento. Se studiamo il contenuto di ambedue, ci rendiamo
subito conto che l’Autore ha una particolare cultura filologica ed
umanistica, quasi fosse un allievo di Nicola Leoniceno e della scuola
ferrarese dell’inizio del secolo.
Questa scuola tendeva a rivalutare Galeno, Plinio, Dioscoride e,
più in generale, tutti gli scrittori classici, facendo coniugare il recupero critico delle loro opere con le osservazioni e le ricerche descrittive della botanica e delle altre risorse naturali. Lo scopo era di
riportare i testi antichi al loro carattere originario, per loro sicuramente semplice e genuino, convinti che gli Arabi nel tradurli ne
avessero frainteso lo spirito.
Ad esempio, per quanto riguarda Plinio, già il dottissimo Ermolao
Barbaro aveva sentito l’esigenza di uniformare la grande varietà di
vocaboli corrotti dall’uso e riuso della sua Naturalis Historia, pubblicando le Castigationes plinianae. Per quanto riguarda in particolare i medicamenti vegetali, pure lo stesso Leoniceno si cimentò nell’opera di emendare gli scritti dello stesso Plinio (Plinii et aliorum
doctorum, qui de simplicibus medicaminibus scripserunt, errores
notati, 1492), convinto che i medici arabi del Medioevo non erano
stati in grado di tradurre i termini greci nel modo più corretto ed
appropriato: erano, quindi, caduti in errore molte volte.
Quanto al Fuchs, nella doppia opera Errata-Paradoxorum stilò,
operando a pieno campo, una lista di una sessantina di “errori”: iniziò esaminando per primi quelli di carattere botanico-medico, poi
passò a quelli riguardanti la terapia medica ed infine affrontò quelli di anatomia.
Riguardo ai primi, che sono più attinenti al tema che stiamo trattando, elencò numerosi farmaci di origine vegetale che presentavano
nomi errati o falsi; ragion per cui, sostenne il loro impiego in terapia
non poteva corrispondere all’azione farmacologica ad essi attribuita.
Anche qui, come in altri studi, l’esame analitico della situazione culturale dei medici del tempo fu l’occasione per sottolineare la diffusa igno9
ranza della classe medica circa la scarsa conoscenza, in genere, delle
piante medicinali. Tale constatazione lo indusse, è lo stesso Fuchs che
lo scrive, a pensare di mettere insieme un’opera chiarificatrice e didattica, appunto il De Historia stirpium commentarii insignes…: idea brillante, che nel tentativo di accrescere le esistenti cognizioni di materia
medica alla luce delle sue esperienze di botanica, si tradusse, poi, nella
fortunata realizzazione dell’erbario.
Molti sono gli scritti del Fuchs, e quasi tutti trattano di argomenti innovativi ed interessanti nel campo della medicina. Ecco l’elenco dei più importanti:
- Errata recentiorum medicorum LX numero, adjectis eorum confu tationibus, Haguenau, 1530.
- Paradoxorum medicorum libri tres, in quibus multa a nemine hac tenus prodita arabum…, Bale, 1535.
- Medendi methodus, seu ratio compendiaria perveniendi ad veram
solidamque medicinam…, Bale, 1541.
- De sanandis totius humani corporis ejusdemque partium tam
externis quam internis malis…, Bale, 1542.
- Epitome de humani corporis fabrica, ex Galeni et Andreae Vesalii
libris concinnata, Tubingue, 1551.
- Institutionum medicinae, ad Hippocratis, Galeni, aliorumque vete rum scripta..., Tubingue, 1565.
L’impostazione generale del De istoria stirpium
Il De historia stirpium, pubblicato, come abbiamo detto, nel 1542,
si apre, in maniera del tutto originale, con tre figure a mezzo busto,
a colori, riportate tutte e tre sul retro del foglio di ripulitura, nella
pagina contrapposta al frontespizio: sono i ritratti degli artisti che
si assunsero il compito di redigere la parte iconografica dell’opera e
che tanta parte ebbero nel successo della stessa. In alto ci sono i due
Pictores in atto di lavorare, in basso lo Sculptor. Di costoro parleremo più avanti, ma fin d’ora possiamo dire che con la collocazione in
primo piano, il Fuchs volle riconoscere a questi collaboratori una
parte del merito e concedere loro il giusto momento di gloria.
Il frontespizio è adornato dal disegno, a colori, di un albero di
agrifoglio rappresentato nella sua interezza, dalle radici ai rami. Si
tratta, chiaramente, di una marca editoriale, come fa ben intendere
anche il nome di ISING(RIANA). Fu Michael Isingrin, infatti, che
pubblicò l’opera. La marca è accompagnata, in alto, dal titolo, piuttosto lungo, e da una serie di pezzi stampati inseriti a colofone, cioè
tutti centrati nella pagina e degradanti a losanga nelle righe più
basse. Sono finalizzati a scopi diversi.
Il titolo, in linea con lo stile del tempo, è una sorta di lungo discorso che spiega come il De istoria stirpium si identifichi con dei
«Commentarii insigni sulla storia delle piante». Contiene qualche
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venatura di sana pubblicità (che però non guasta), soprattutto
quando le parole assumono toni patetici, laddove dicono che i commentari sono stati «elaborati con enormi sacrifici e zelo», e quando
diventano celebrative sia del lavoro («immagini mai espresse in
maniera più artistica») o della persona dell’Autore («medico illustrissimo del nostro tempo»).
Il pezzo che segue, di cinque righe impostate sempre a colofone, ha
finalità ancora “pubblicitarie”. Muovendo da considerazioni di carattere pratico e cioè che per andare a studiare le piante (la materia) nei
Paesi stranieri e allargare le proprie conoscenze occorre tempo e dispendio di energia e spesso implica pericolo di vita, l’Autore (e l’Editore)
si rivolgono direttamente al lettore per fargli capire come, leggendo
l’erbario, può conoscere tutta la botanica senza rischi e pericoli e finanche con risparmio di soldi. E’ in questo pezzo che viene data una definizione bellissima dell’erbario, che possiamo condividere in pieno, perché il libro viene paragonato ad «un giardino naturale e assai florido»,
dal quale non può venire che «grande piacere».
Le due righe successive spiegano che nell’opera è contenuta la expli catio vocum difficilium & obscurarum, cioè il il glossario dei termini
difficili ed astrusi, un’aggiunta davvero utile e preziosa essendo molti
i termini tecnici usati nel testo.
Viene messa ancora in evidenza, su altre tre righe, la presenza di
un quadruplice indice analitico, uno per i termini greci, uno per quelli
latini, uno per le voci di officina e di spezieria, il quarto, infine, per i
nomi in tedesco.
Sotto la pianta, infine, sempre a colofone, è stampata la dichiarazione che sull’opera esiste la riserva dei diritti editoriali, oggi diremmo
il copyright. Chiude la ragione sociale dell’Editore e l’anno di pubblicazione.
Sul retro del frontespizio, è riportata l’immagine dell’autore,
ripreso in piedi, “a 41 anni di età”, paludato in un mantello rosso
impellicciato, segno distintivo dei dottori, mentre tiene in mano in
atteggiamento pensoso, una piantina a foglie opposte e fiori rossi.
La dedica
La dedica al principe Gioacchino di Brandeburgo è lunghissima,
ben quattordici pagine: in esse, posta come verità di fede l’origine
divina delle “stirpi” (si tratta delle attuali specie), l’Autore fa una
lunga disquisizione storica sulla botanica, sulla conoscenza delle
specie e della maniera di rappresentarle.
Rimane fondamentale, come criterio alla base dell’opera, la convinzione dell’Autore sull’origine divina delle specie. Questo criterio
è esposto nelle prime righe, con chiaro riferimento al ruolo medicoapplicativo della botanica: «Sebbene tutta la medicina per alcuni sia
da ritenersi gloriosa e divina, tuttavia in questo sommo splendore
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gode di sempre maggior lode, ammirazione ed importanza quella
parte di essa che si occupa di ricercare ed indagare con cura i caratteri essenziali delle piante.
Ciò è in parte dovuto al fatto che, essendo [la botanica] antichissima, ha goduto sempre di grandissima autorità e rispetto e, mentre in altre campi, [le qualità] furono scoperte dopo che l’uomo fu
creato da Dio supremo a sua immagine, e le conoscenze migliorate
dall’operosità di molti, le sole erbe, invece, le possiedono da poco
dopo che furono creati i primi elementi e, poiché l’uomo fino allora
non esisteva, da quando, spinte da Dio, emersero dai recessi della
terra, grazie anche alla forza divina».
Il Fuchs mostra tutta l’ampia cultura classica, rifacendosi in
modo piuttosto dettagliato alla storia ed all’origine della medicina
così come era concepita nel mondo classico. Non meraviglia più di
tanto, quindi, la citazione del pensiero dei poeti greci Omero ed
Esiodo, che attestano ambedue l’origine divina delle piante. Il poeta
latino Ovidio, da parte sua, mette in bocca ad Apollo queste parole:
«L’invenzione della medicina è mia e io ne sono l’artefice in nome del
mondo intero! Così affermo e aggiungo che l’efficacia delle erbe è
nelle nostre mani».
Si dilunga ancora a fare alcune considerazioni sull’utilitas e sulla
necessitas della botanica medicina e, quasi a voler rimarcare che la
conoscenza delle proprietà delle piante è una scienza nobile, oseremmo dire regale, riporta l’elenco di antichi regnanti, che non disdegnarono di occuparsi di questa materia e che furono grandi conoscitori delle piante: la loro bravura fu tale che a molti fu dedicata
una pianta, attribuendo ad essa il nome del regnante stesso.
Che dire poi di poeti e filosofi che hanno sempre invitato gli uomini allo studio e all’uso delle piante: Omero, Virgilio, Ovidio,
Pitagora, Aristotele, Crisippo, tutti nelle loro opere sono stati dei
veri e propri fautori della botanica.
Come tutti gli studiosi del tempo, non può non lodare i grandi
botanici dell’antichità: Teofrasto, Dioscoride, Plinio e Galeno. Ci
sono anche riferimenti ad altri Autori recenti come Ermolao
Barbaro, Giovanni Ruellio, Marcello Virgilio Fiorentino, Otto
Brunfels, Valerio Cordo ed il tipografo Egenolfo. Per ognuno ci sono
da parte del Fuchs apprezzamenti e critiche, ma quello che colpisce
è la completa conoscenza degli studiosi della materia.
Insomma, i medici antichi, e non solo loro, tenevano in grandissima considerazione lo studio delle piante. Tutto il contrario di quelli
odierni, sembra sfogarsi il Fuchs quando, puntando il dito contro i
suoi colleghi accusati di trascurare lo studio delle piante medicinali, dice: «Medici nostri a studio indagandarum herbarum aborrent».
Ed ancora, rincarando la dose di aver lasciato la botanica medica
nelle mani della plebe ignorante ed impreparata: «Herbariam medi cinam est in manu imperitae plebis».
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L’Explicatio vocum e gli indici
Il testo è preceduto dal glossario (explicatio vocum), dall’indice
dei nomi greci, dei nomi latini, dei nomi usati in officina, dei nomi
tedeschi e da due piccole appendici, curiosamente inserite in questa
parte del testo, una sulla colutea ed una sul trifoglio, con relative
pagine di rimando.
Il glossario occupa quattro pagine intere e pur non essendo eccessivamente ricco di voci (circa 125), si caratterizza per la precisione
con cui vengono illustrate. D’altronde il Fuchs è chiaro, intende
riportare solo alcune voci che si trovano qua e là nel testo e di fronte alle quali il lettore poco esperto si sarebbe potuto trovare in difficoltà. Rimandando il lettore alla lettura diretta del testo, ci limitiamo qui a pochissime esemplificazioni per mettere in evidenza la
vasta cultura “a pieno campo” posseduta dal Fuchs.
Riguardo agli acetabula, ad esempio, dice che l’origine più comune sembra essere quella dall’aceto, sebbene, aggiunge, altri ritengano che siano chiamati così dall’espressione “ciò che deve essere
preso”. Da qui, il fatto che si scrivano anche “acceptabula”. Questi,
speiga, erano dei vasetti rotondi, concavi, privi di un bordo largo
che, pieni di aceto, erano utilizzati per gli intingoli. Da ciò, l’espressione fu usata, in chiave metaforica, per indicare ogni altra cosa che
possedesse una simile concavità. Di conseguenza diedero il nome
alle parti concave nei tentacoli dei polipi, grazie ai quali questo animale si muove e si alza usandoli come sostegni. La definizione fu
anche trasferita ad indicare i genitali femminili e furono chiamati
acetabula anche le imboccature delle vene e delle arterie che, aperte, conducono all’utero. Infine questo nome fu trasferito ad un’erba
che, per questa ragione, fu chiamata Acetabolo, dal momento che ha
foglie ruotate in circolo, disposte a simulare una cavità concava che
inganna i sensi.
Così, a proposito dell’acino, chiarisce che il termine indica tutto il
frutto intero, parte carnosa e buccia inclusa e non il solo seme.
Evidentemente ce l’ha con qualche botanico che era di questa opinione e, per dare forza alla sua ipotesi, chiama in causa la testimonianza di Galeno, citando la fonte. Oggi questo tipo di frutto è chiamato
bacca, ma il problema, alla voce omonima, se l’era posto anche il
Fuchs, che differenzia i due tipi di frutti dal modo di crescere, aggregati in grappoli gli acini, isolate le bacche.
Molti termini riguardano gli aspetti fitografici delle piante.
Spiega, ad esempio, che le alae sono le cavità tra il fusto e i rami da
cui nascono i nuovi germogli, così create sul modello delle ascelle
dell’uomo. Così come, pur non avendo chiaro il concetti di stami e di
stili, dice che gli apices sono i fili che spuntano nel mezzo del calice
e che crescono nella parte più nascosta del fiore. Con chiarissimo
riferimento alle antere, alcuni apices, chiarisce, spessissimo hanno
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sulla sommità una parte più grossa (quella che oggi chiamiamo
antera) da cui, per somiglianza, presero il nome.
Altre voci interessano gli oggetti e le suppellettili da laboratorio
e da spezieria. Gli alabastra, dice, sono dei vasetti per conservare gli
odori, fatti di un materiale solidissimo e freschissimo, di alabastro
per l’appunto, il cui nome fa risalire ai Greci per il fatto che a causa
della loro levigatezza non possono essere agevolmente afferrati e
tenuti con le mani.
Certo, il glossario risente della cultura del tempo, del modo di
vedere e di pensare dell’uomo rinascimentale, ma certo non si può
fare una colpa eccessiva al Fuchs se gli amuleta sono dei potenti
rimedi contro i veleni e le fatture che, dice «alcuni sono soliti lanciare tramite bacchette e oggetti appesi al collo». Ben altre sono le
informazioni e le definizioni di carattere botanico che dobbiamo
prendere dalla sua opera.
I quattro indici sono stampati su otto pagine, su quattro colonne
per ogni pagina. Sono inseriti uno dietro l’altro senza interruzione,
a scorrimento successivo, prima i nomi greci, poi i latini, quindi
quelli di officina ed infine i tedeschi. L’inizio di ognuno è messo in
evidenza da un capolettera.
La metà dell’ultima pagina degli indici, evidentemente rimasta
libera, è stata utilizzata per l’inserimento di due appendici, la prima
relativa alla Colutea e l’altra al Trifoglio odorato, con la raccomandazione di aggiungerle ai rispettivi capitoli.
L’erbario
Il testo vero e proprio inizia e si qualifica, in particolare, per la qualità dei disegni. Le stirpi [=specie] esaminate sono 343.
Sul lato sinistro di ogni figura è riportata la denominazione latina,
per lo più binomia e su quello destro il nome volgare in tedesco. La
prima figura è quella dell’assenzio, l’ultima “stirpe” illustrata è l’ ocimastro.
Le illustrazioni sono a piena pagina e, a fronte, con inizio marcato da un elegante capolettera, vengono riportate la schede descrittive corrispondenti (che il Fuchs chiama capitoli). Ogni scheda tratta,
in successione, dei nomina (i nomi di quella specie in varie lingue),
dei genera (aspetti sistematici), della forma (caratteri fitografici),
del locus (habitat ed areale geografico), del tempus (il tempo balsamico, cioè il miglior periodo dell’anno per la raccolta) ed del tempe ramentum, cioè le qualità possedute da quella specie in base alla
teoria umorale. Alla fine vengono trattate le vires, cioè le proprietà
farmacologiche ovvero le indicazioni terapeutiche della pianta in
questione, secondo l’esperienza dello stesso Fuchs ma più ancora
desunte dai testi degli autori classici (ex Galeno, ex Plinio, ex
Teophrasto, e così via).
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17
Per l’illustrazione delle singole specie, rimandiamo il lettore alla
lettura delle schede. Qui ci limitiamo a considerare solo alcuni
esempi relativi alle varie voci, presi qua e là in ordine sparso, per far
capire quanto dettagliata e circostanziata fosse la descrizione delle
piante medicinali operata dal Fuchs.
Cominciando, come primo esempio, proprio dall’assenzio e prendendo in esame le particolari vires del “vino ex Dioscoride”, il Fuchs
scrive che questo prodotto «cibum non appetentibus & stomacho
male affectis & longis praecordium distensionibus ac inflationibus,
rotundis lumbricis & suppressis mentis auxiliatur». Alle proprietà fa
poi seguire la descrizione della confectio, con la quale suggerisce
come preparare e conservare il vino nelle varie forme, ed un’ appen dix dove in genere tratta di curiosità e che nel caso specifico rriguarda l’uso che viene fatto, dell’assenzio, dal popolo dei Santonici
(Galli Aquitani) : «ad lumbricis ex corpore pellendos».
Se prendiamo in esame, come scheda tipo, il “capitolo” dedicato al
Larice, ci rendiamo subito conto che il Fuchs approfondisce ampiamente alcune parti descrittive, come quelle fitografiche e quelle dei
relativi prodotti che se ne ottengono, mettendo in guardia contro
possibili sofisticazioni delle stesse.
Dopo averlo chiamato con il nome greco Laris, con i nomi latini
Larix o Larex, dedica molto spazio alla descrizione dell’habitus di
questa specie, entrando finanche in merito alle proprietà del legno.
«Il larice», scrive, « è un grande albero, simile al Pino selvatico, più
grosso e con la corteccia più liscia, con una foglia villosa a forma di
pettine, fitta e compatta e dalla curvatura flessibile, di una materia
resistente, rosseggiante e di odore acre.
Da ciò Dioscoride e Plinio testimoniano che emette un liquido del
colore e della densità del miele, liquido che non si indurisce mai. Il
larice possiede inoltre una resina che chiamano Larigna, oppure
Laricina o ancora Laricea, che oggi quasi tutte le officine usano erroneamente al posto del Terebinto. Il Terebinto, infatti, è di colore
chiaro, brillante, ceruleo e profumato e di un certo colore vitreo.
Il suo legno è quasi inattaccabile dal fuoco, non brucia e non si
riduce in carbone; inoltre non si consuma in nessun altro modo con
il vigore del fuoco poiché non tollera né la fiamma, né produce carbone, ma brucia lentamente e per un lungo periodo di tempo. I suoi
rami sono a guisa di pannocchia e da questi pendono dei frutti a
forma di noce, caratteristiche che questo dipinto mostra in maniera
molto chiara».
Dalla descrizione del locus, non solo ricaviamo interessanti indicazioni sull’origine delle piante, ma abbiamo anche la conferma,
potremmo dire la certezza, che il Fuchs ricevesse disegni di piante
da amici studiosi e da corrispondenti di tutto il mondo. «Il Larice, di
cui ci parla Vitruvio», aggiunge, «nasce vicino alla riva del fiume
Padus (il Po) e sulle spiagge del Mar Adriatico. Germoglia abbon18
dantemente in Silesia, terra da
cui proviene il mio illustrissimo
Signore, Principe Giorgio Marchio di Brandeburgo, che si interessò di molti alberi di cui ragionevolmente mi inviò a Tubinga il
disegno a cui qui mi riferisco. In
Silesia con il legno di quest’albero
vengono edificati gli ipocausti,
data la massiccia presenza di
questa pianta in questi luoghi».
La parte dedicata al tempo, al
contrario, spesso è molto sintetica, come nel caso dello stesso larice: «Il Larice non è abbellito dalla
fioritura di alcun fiore, ma, gonfiandosi, produce solo frutti».
Le proprietà che concludono la
descrizione sono una bella testimonianza delle conoscenze che il
Fuchs aveva degli Autori antichi.
Cominciamo con Dioscoride: «La
corteccia di questa pianta è
astringente e giova alle escoriazioni da sfregamento e alle ulcere
che colpiscono la superficie della
cute e alle scottature, unita ad un
po’ di litargirio e un pizzico di
incenso. L’ulcerazione nei corpi
giovani porta alla formazione di
una cicatrice. Sfregata con il solfato di rame tiene lontani i serpenti. Con l’esalazione fa abortire
il feto con la placenta. La bevanda che se ne ricava aiuta la stitichezza e stimola l’enuresi. Le
foglie triturate e applicate alleviano le infiammazioni e preservano le ferite dall’infiammazione.
Triturate e cotte nell’aceto, in
verità, con una lavanda bollente
leniscono il dolore ai denti.
La resina di questa pianta,
come molte altre, mitiga, scalda,
scioglie e risana. Si confà a coloro che hanno la tosse, da sola o
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assunta con il miele risana i problemi del torace. Stimola l’urina, fa
maturare e ammorbidisce gli escrementi. Cicatrizza i peli sulle palpebre. E’ applicata con la ruggine, il solfato di rame e il nitro contro
la lebbra. E’utile per il pus alle orecchie con il miele e l’olio e per il prurito agli organi genitali. Viene anche mescolata con impiastri, unguenti e con lenitivi. Applicata e spalmata guarisce la pleurite». Ed anche
da Galeno: «La sua corteccia ha un’efficacia astringente a tal punto che
guarisce le escoriazioni in maniera straordinaria e rafforza l’intestino.
Cicatrizza gli ustionati. Sulle foglie dell’albero, dato che sono molto più
umide della corteccia, è presente una sostanza che rimargina le ferite.
La sua resina asciuga e scalda». Infine Plinio: «Le foglie del Larice tritate e cotte nell’aceto giovano al mal di denti».
Altre volte il Nostro manifesta dubbi ed indecisioni sulla nomenclatura delle piante: è il caso dell’Eupatorio adulterino: «Confesso francamente che non mi è ancora chiaro se quest’erba fosse nota agli antichi
Greci e Latini e con quale nome fosse chiamata da costoro. Tuttavia,
quasi tutti i laboratori utilizzano, erroneamente, il nome Eupatorio,
come se fosse quello originale, nonostante non sia corretto. Da qui, non
essendoci altro nome con cui definirla, ci sembra opportuno chiamarla
“Eupatorio adulterino”. In dialetto germanico l’erba è chiamata di
Santa Cunegonda».
La descrizione dell’aspetto è più precisa: «Possiede un fusto rotondo, purpureo, nodoso, duro e spinoso, attorno al quale si aprono le
ascelle (si tratta delle curvature in fuori dei rami, la voce aloe è spiegata da lui nel glossario); ha lunghe foglie d’odore acre, simili a quelle
della Cannabis. I pochi fiori sono raggruppati nella parte più alta e, dal
colore bianco, si tingono di porpora, trasformandosi infine in pappi di
colori tenui. Possiede una radice con molti filamenti, pelosa e nociva.
Si sbagliano senza dubbio coloro che ritengono che quest’erba sia
l’Hydropiper di Dioscoride. Infatti, sebbene l’aspetto globale della
pianta, tolti i fiori, risponda al disegno dell’Hydropiper, tuttavia è assolutamente priva di odore acre sia nelle foglie che nei fiori e quindi non
c’è motivo per cui venga chiamata Hydropiper».
Le proprietà sono ampiamente descritte: «Senza dubbio quest’erba
asciuga, guarisce e scioglie quella densità che si crea nelle vene: per
questo motivo stimola l’enuresi e il flusso mestruale; è inoltre efficace
nell’eliminare il pus dal torace e dai polmoni. Possiede altre proprietà
dovute al suo gusto amaro, proprietà di cui parla Galeno. Può, pertanto, sciogliere i calcoli del fegato e della milza e di tutte le altre parti del
corpo. Tra gli studiosi più recenti ci sono coloro che tramandano questa erba sotto il nome di Vulneraria, e non a torto: infatti, la secchezza
di questa pianta testimonia che si possa trattare proprio della medesima pianta. Gli stessi studiosi scrivono inoltre che l’odore di questa erba
è in grado di tenere lontano le bestie da caccia. Inoltre, è noto, senza
alcun dubbio, che questa pianta sia efficace contro i veleni».
Ci colpisce anche la scheda della viola matronale, particolar20
mente per l’onestà nomenclaturale («Non abbiamo ancora la certezza del fatto che le viole che oggi sono chiamate “matronali”, per
il fatto che sono solite raccoglierle le matrone, fossero conosciute
dagli antichi Latini e Greci. Usiamo, per questo motivo, un nome
comune e consueto, fino a quando non verrà inventata una dicitura più precisa») e per le proprietà indicate, perfettamente in
linea con l’uso tradizionale («Possiedono efficacia per l’alito nella
masticazione e nella digestione. Perciò la radice o le foglie, cotte
nell’acqua, sono d’aiuto per coloro che hanno le convulsioni, per
coloro che hanno difficoltà a respirare e per la tosse sedimentata.
Stimolano la diuresi e il flusso mestruale e hanno la proprietà di
aumentare la sudorazione»
Merita ricordare, anche, il particolare interesse che il Fuchs ebbe
per le orchidee. Nell’orto botanico della sua abitazione di Tubingen, il
Nostro non riusciva, quasi sicuramente, a coltivare le orchidee perché
esse necessitano di opportuni
funghi micorrizici, ma da queste
piante, che in primavera sui
prati si mostrano con i loro bellissimi fiori dalla forma inusuale,
era decisamente affascinato.
Tanto che ne descrisse un buon
numero e diverse le inserì nel suo
erbario. I disegni delle tavole
erano realizzati copiando dal
vero gli esemplari secchi o da
altri bozzetti schizzati dai collaboratori in rete epistolare.
Le orchidee vennero molto
apprezzate nei secoli successivi:
bisognò attendere il 1732 per
ottenere, nel clima dell’Europa,
la fioritura della prima orchidea
importata dalle Bahamas e, da
allora, il genere fu oggetto di
ricerca per la creazione di ibridi
adattabili ad ogni ambiente.
Le varietà citate dal Fuchs
sono talmente ben riprodotte dal
vero che per il riconoscimento
sarebbero utili anche ai nostri
giorni. E’ il caso di una varietà
che è cambiata solo nel nome, la
Triorchis serapias (pagina 559),
che corrisponde all’attuale Orchis
morio, capolavoro di tratto sem21
plice per silografia. Anche le due pennellate di colore, pur se acquose,
sono caratterizzanti.
La prima monografia scritta sulle orchidee è, forse, il De orchide
di Hartwig (1747) seguita, nell’Ottocento, da una vasta letteratura
di circa 40 lavori, fra i quali ricordiamo quelli di Visiani, Lindley e
Hooker: ci sembra doveroso ricordarle perché tutte citano le stesse
orchidee descritte dal Fuchs duecento anni prima.
Fuchs, al momento della stesura del De Historia stirpium, conosceva cinque gruppi di orchidee. Ad ogni gruppo dedicò un capitolo
particolare e le mise in ordine alfabetico secondo il loro nome greco.
Merita osservare le sei silografie, a colori, del corredo iconografico dell’erbario: la padronanza iconografica con cui sono state realizzate è talmente veritiera da permettere un’identificazione immediata. Esse si riferiscono, secondo la nomenclatura del Fuchs, alle
seguenti “stirpi” o specie:
- Orchis mascula latifoglia (pagina 554);
- Orchis foemina (pagina 556);
- Triorchis serapias (pagina 559);
- Triorchis foemina (pagina 560);
- Ophris (pagina 566);
- Satyrion trifolium (pagina 710).
L’illustrazione botanica
Nella storia dell’illustrazione botanica non era mai successo che
si riconoscesse il merito di chi collabora alla realizzazione di un’opera in modo così palese.
Nel De historia stirpium il pittore, il delineatore e l’incisore sono
raffigurati insieme, nel pieno esercizio della loro attività. Nei quasi
cinque secoli che ci separano dalla pubblicazione dell’erbario, sono
state avanzate varie ipotesi ed interpretazioni sulle azioni che stanno compiendo i tre personaggi illustrati. La più logica è che Mayer,
a destra in alto nella pagina, indicato dal solo nome Albrecth, disegni e colori una pianta dal vivo, che Fullmaurer (in alto a sinistra)
riporti il disegno su una tavoletta di legno e che Speckle sia in attesa per procedere all’incisione sulla stessa tavoletta. Molto si è discusso anche sull’identificazione della pianta riprodotta, che, con
molte probabilità, è il gittaione, una pianta velenosa infestante dei
campi di grano.
L’Autore nella prefazione assicura di aver dato incarico ai suoi
collaboratori di mettere la massima cura nel rappresentare, con la
maggiore verosimiglianza possibile, le radici, gli steli, le foglie, i
semi ed i frutti di ogni pianta e di non lasciarsi andare dietro alle
fantasie.
L’obiettivo principale del loro lavoro era la riproduzione fedele
della pianta in modo che fosse facilmente riconosciuta ed identifica22
ta. Il primo passo, per l’appunto, non poteva che essere quello di
rimanere aderenti alla realtà osservata sulle piante vive.
Pur non essendo d’obbligo, il raffronto con gli erbari tedeschi dell’epoca appare utile ed interessante. Rispetto all’Herbarium vivae
Icones di Brunfels, illustrato dall’eccellente pittore Weiditz, la
prima e più immediata osservazione che si può fare è che l’iconografia del Fuchs è molto più ricca e completa e di conseguenza il suo
erbario è più piacevole e leggibile.
Al contrario, come abbiamo già detto, le illustrazioni del New
Kreuter Buch del Bock sono realizzate con l’intento di dare spazio
alla descrizione delle fasi del ciclo vegetativo completo della pianta,
senza troppo indugiare sul momento della fioritura che, a causa dei
colori dei fiori, era il preferito dai disegnatori. Tenuto conto di questo, bisogna riconoscere all’opera del Bock una certa supremazia
sotto l’aspetto fitografico.
La colorazione
La colorazione del De historia
stirpium, esemplare della prima
edizione originale in latino, conservato presso la Bibliotheca
Antiqua di Aboca Museum, è
tutta realizzata all’acquerello.
Il volume presenta un colore
corposo nelle figure e nelle grandi
foglie, mentre è diluito, acquoso,
talvolta impreciso ma sempre evidente, nel piccolo fogliame e nelle
radici in genere.
Se si esaminano i disegni che
impostano le silografie si nota che
le righe delineatrici sono lunghe e
che non esistono tratteggi trasversali ed obliqui. Questa tecnica favorisce la stesura dell’acquerello, in contrasto con la moda del
tratteggio longitudinale di quegli
anni.
Quest’ultimo, infatti, sarebbe
stata di ostacolo, in quanto i pic tores, essendo obbligati a fermare
la pennellata su ogni riga trasversa, erano costretti ad un
maggior lavoro. Innovazione
inaudita, nel senso di straordina23
ria, l’ha chiamata il bibliofilo Nissen, uno dei massimi storici e commentatori dell’iconografia botanica.
Il fatto che manchi il tratteggio indica, quindi, che c’era sempre
stata nel Fuchs la volontà di realizzare l’opera a colori e molte sue
indicazioni lo confermano. Ad esempio, quando suggerisce i colori da
usarsi nelle varie tavole; oppure quando, in una lettera al
Camerarius, annota che il prezzo di vendita del libro sarebbe stato
di 25 fiorini, decisamente molto alto per l’epoca, ma giustificabile
solo per un’opera colorata.
Le tinte usate sono principalmente il verde di tre intensità, il
marrone scuro o smorzato, il rosso porpora, il nero ed il giallo.
I colori usati nel Cinquecento, oltre a quelli derivanti da piante o
da resine vegetali (toni del verde), provenivano dal mondo animale
(come il rosso porpora del murice) o minerale (come il bianco di calce
diluita o il giallo d’ocra).
Gli artisti
Tornando al De Historia stirpium, che ha come carattere fondamentale la pregevolezza dei disegni, ci sembra doveroso riportare
brevemente i tratti biografici dei tre artisti che hanno collaborato
alla realizzazione dell’opera.
Albrecht Meyer, originario con molte probabilità di Basilea e nato, forse, nel 1510, fu
un pittore di professione piuttosto noto.
Venne citato, infatti, da più autori come
decoratore delle stanze di rappresentanza
del castello ducale di Stoccarda. Anche il
suo anno di morte è incerto: dovrebbe essere scomparso, comunque, dopo il 1561.
Nella rappresentazione grafica dei tre
24
collaboratori di Leonardo Fuchs, ha più o meno l’aspetto di un trentenne, intento a disegnare su un foglio, dal vero, con una penna
d’oca, i tratti di una pianta, che successivamente avrebbe anche
colorato.
Il suo compito, infatti, era questo, stando almeno a quanto sostiene anche Muller-Jahncke, in un articolo del 1984, dove afferma che
Meyer preparava da solo il disegno utile alla silografia.
Dal punto di vista dell’iconografia che lo ritrae, indossa abiti da
nobile pittore, arricchiti di trine ed arricciature; l’espressione è
assorta.
Ganzinger, invece, nel suo lavoro sul Fuchs del 1959, ritiene che
i disegni firmati dal Meyer nel manoscritto siano pochi e così pure
quelli utilizzati per il libro a stampa. Gli acquerelli firmati dovrebbero essere 232, tutti realizzati dal 1537 al 1542.
Come abbiamo potuto osservare nel manoscritto originale, conservato presso la Biblioteca di Stato di Vienna, circa 450 disegni
hanno la sovrascritta Mayer con il punto di domanda. Si tratta di
una probabile antica attribuzione, comunque abbastanza credibile
per la coincidenza nei tratti e nel metodo di colorazione. Bisogna
ricordare, a questo punto, che il disegnare piante nel Cinquecento
era considerata un’attività di seconda categoria e non troppo appagante per i pittori importanti.
Lo storico dell’arte Hammerle, in un libretto del 1922, riferisce
che il disegnatore ritrattista W. Kilian (della fine del Cinquecento),
proprio non voleva firmare i disegni delle piante, mentre aveva ben
firmato per esteso i frontespizi dell’Hortus Eystettensis realizzati
per Basilius Besler.
Ma il successo degli erbari, sia in folio sia portatili, aveva fatto
ricredere molti autori, tanto da indurli a lasciare sui lavori molte
firme e monogrammi.
Heinrich Fullmaurer viene ritratto con
espressione attenta ed atteggiamento professionale, tutto concentrato nel riportare il
disegno della pianta sulla tavoletta di legno
destinata all’incisione. E’ famoso per non
aver lasciato mai firme sui suoi lavori. Di
certo, prima di essere fra i protagonisti per le
tavole del De Historia stirpium, aveva collaborato a realizzare quelle dell’Herbarium
vivae icones, l’erbario di Otto Brunfels.
Fullmaurer nacque, probabilmente nel 1500, ad Herremberg,
località del Baden-Wurttemberg, dove aprì, in giovane età, una bottega di pittura. In questa città prestò la sua opera in alcune edifici
ecclesiastici dove ancora si possono ammirare i suoi dipinti; particolarmente riuscita la decorazione del pulpito della chiesa principale.
25
Collaborò con Albrecht Meyer ed altri quattro artisti, che con lui
si erano riuniti in una bottega, a decorare le stanze di rappresentanza del castello ducale di Stoccarda.
Sotto il suo coordinamento, i quattro pittori si cimentarono anche
nella decorazione dell’altare gotico del castello Friedenstein Gotha e
dell’altare di Mompelgard, che adesso è conservato presso il Museo
di Storia dell’Arte di Vienna.
Quest’ultima opera testimonia la grande abilità e la bravura di
questo pittore nel rappresentare il Nuovo Testamento, avendo eseguito 160 immagini singole di gran pregio, e molto moderne, per
quei tempi, nell’affrontare temi religiosi e politici, come insegnava
la riforma luterana che coinvolgeva tutto il mondo artistico tedesco.
Per inquadrare Veyt Rudolff Speckle è
opportuno tener presente quanto su di lui
dice il Fuchs stesso nell’introduzione all’erbario: «Veyt Rudolff Speckle ha uno zelo
eccezionale ed è stato copiato in modo eccellente dai migliori incisori di Strasburgo.
Intaglia i contorni così bene che sembra
fare a gara con i pittori per la gloria e la vittoria». Per la sua bravura fu incaricato
anche di incidere le silografie dell’edizione
del 1545 che fu fatta in quarto, segno tangibile del buon andamento della domanda che chiedeva, però, di
avere un volume più facilmente trasportabile.
Speckle era nato presumibilmente nel 1505 a Strasburgo; dal
matrimonio con Elisabeth Schnell ebbe cinque figli. Lo storico
Eduard Reuss ci riferisce, in un lavoro del 1886, che nell’anno 1544
acquistò una bella casa, che adibì ad abitazione e a studio, probabilmente con i proventi ottenuti dalla prima edizione del De Historia
stirpium pubblicata due anni prima. Lo stesso autore suggerisce la
data del 1550 per la sua morte, avvenuta sempre a Strasburgo.
Questo artista è citato ed elogiato nella bibliografia degli incisori
dal Nagler. Non ci sembra fuor di luogo ricordare anche il pittore
Jerg Ziegler, che aveva realizzato molti disegni del Codex Fuchs e
che si faceva riconoscere con il monogramma “IZ”. Il periodo della
sua vita si può comprendere fra il 1500 ed il 1577.
Codex Fuchs
Dobbiamo ricordare che a partire dal 1536 e almeno fino al 1542
furono realizzati, su commissione ed indicazione del Fuchs, millecinquecentoventinove disegni dal vero di piante, che furono colorati all’acquerello e corredati di didascalie scritte dal Fuchs stesso. Oggi sono
conservati presso la Osterreichische National Bibliothek di Vienna.
26
Questo manoscritto è catalogato sotto il nome di Codex Fuchs.
Dei disegni che contiene, ottocentonovantatre non sono firmati,
mentre gli altri portano la firma del già ricordato Jerg Ziegler.
Tuttavia, come abbiamo già detto, buona parte di quelli non firmati
sono attribuibili al pittore Albrecht Meyer: quasi tutti furono
comunque utilizzati per il libro a stampa del 1542 e per le successive edizioni.
Vi sono rappresentati tutti i gruppi sistematici del regno vegetale: le alghe (quattro disegni), i funghi (due), i licheni (uno), le fanerogame (ben millecinquecentootto rappresentazioni), i muschi (tre
disegni), le felci (ventitre disegni). In qualche caso c’è l’indicazione
manoscritta del luogo d’origine delle piante. Molte di queste venivano inviate all’Autore da tutta Europa, dai colleghi appassionati di
botanica con i quali aveva un nutrito scambio epistolare.
Merita ricordare che fu il botanico italiano Luca Ghini a fargli
conoscere l’Ornithogalum piramidale proveniente dalla Toscana ed
la Pistacia lentiscus, prelevata dai giardini dei Francescani a
Venezia. Abbiamo già citato l’elenco delle nuove piante presentate
dal Fuchs.
Per alcuni disegni, per la prima volta, furono utilizzate anche
delle piante secche e questo risulta evidente osservando le tavole.
Le varie edizioni del De historia stirpium
Il successo che ebbe l’opera di Leonardo Fuchs portò a realizzarne varie altre edizioni, in lingue e formati diversi. Diamo di seguito
il loro elenco.
De historia stirpium Commentarii insignes…(in latino)
Basilea: Isingrin 1542. In folio. 896 pagine, 512 tavole a colori
New Kreuterbuch in welchem nit allein...(in tedesco)
Basilea: Isingrin 1543. In folio. 680 pagine, 518 tavole a colori.
Den Nieuwen Herbarius dat is dboeck... (in olandese)
Basilea: Isingrin 1545. In folio. 556 pagine, 517 piccole tavole.
Histoire des plantes augmentée de plusieurs... (in francese)
Parigi: Byrkman 1549. In ottavo.
Historia de yervas y plantas sacada de... (in spagnolo)
Anversa: Byrkman 1557. In ottavo. 520 pagine, 520 tavole.
De historia stirpium Commentarii insignes… (in latino)
Lione: Arnoullet 1549. In ottavo. 852 pagine, 512 tavole.
Historia plantarum Earum imagines…(in latino)
Lione: Coterius 1567. In dodicesimo. 229 pagine, 636 tavole.
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Finito di stampare nel settembre 2003
da Petruzzi Editore
Città di Castello (PG)