Elementi - Dipartimento di Matematica

Gli Elementi di Euclide
Questo trattato, in tredici libri, abbraccia vari argomenti della
matematica pura. Esso, tra l’altro, contiene la prima sistemazione
assiomatica che sia mai stata data ad una branca della matematica,
che, in questo caso, è la geometria.
L’opera fu composta ad Alessandria, intorno al 300 a.C.. Lo
straordinario merito del suo autore è messo in luce da due fatti di
capitale importanza. In primo luogo va ricordato che i primi tentativi
degni di nota di dare un’analoga sistemazione all’aritmetica furono
compiuti solo alla fine dell’Ottocento. In secondo luogo si tenga
presente che gli Elementi di Euclide furono la principale opera di
riferimento per la geometria fino all’Ottocento. In essa troviamo una
trattazione onnicomprensiva, che contempla simultaneamente quelle
che oggi chiamiamo geometria affine, geometria metrica e geometria
conforme.
Euclide rivolge la sua attenzione agli enti geometrici come oggetti che
possono essere costruiti, con riga e compasso. La questione del
disegno pare sia centrale nella geometria greca: i famosi tre problemi
di duplicazione del cubo, quadratura del cerchio e trisezione
dell’angolo riguardano, appunto, la possibilità di tracciare figure
che possiedano esattamente certe misure assegnate.
L’opera di Euclide unisce l’interesse per l’applicazione pratica al rigore
del ragionamento matematico astratto: essa comprende infatti sia
proposizioni (enunciati dimostrabili) sia risoluzioni di problemi.
Tutte le citazioni si riferiscono alla traduzione di Frajese e Maccioni
del testo ricostruito da Heiberg.
Il contenuto dell’opera
Il Libro I si apre con l’introduzione dei fondamenti della geometria
euclidea:
 le Definizioni – 23 in tutto – presentano gli enti geometrici
elementari, prima di tutti il punto (“il punto è ciò che non ha parti”)
e la linea (“linea è lunghezza senza larghezza”). Seguono le nozioni
di retta, superficie, angolo, figura, cerchio, triangolo, quadrilatero,
e di parallelismo tra rette;
 i Postulati – che sono 5 – contenenti le proprietà fondamentali del
punto, delle rette e del cerchio. L’ultimo dei postulati, noto anche
come postulato delle parallele, darà da pensare ai matematici
delle epoche successive. Per secoli sopravvisse il sospetto, nutrito
dallo stesso Euclide, che esso fosse, in realtà, già contenuto nei
primi quattro. Molti cercarono, invano, di
dimostrarlo. Solo
nell’Ottocento, grazie ai contributi di Gauss, Bolyai e
Lobachevsky, giunse la prova che il quinto postulato è, in realtà,
indipendente dagli altri, e con essa la creazione delle prime
geometrie non euclidee;
 le Nozioni comuni – 8 enunciati – che esprimono principi
elementari sul confronto tra le aree di figure. Citiamo, ad esempio
l’ottava nozione: “Il tutto è maggiore della parte”.
La rimanente parte del Libro I è un elenco di proposizioni, ciascuna
accompagnata dalla sua dimostrazione.
L’imbarazzo provato da Euclide di fronte al problema, irrisolto, del
quinto postulato emerge chiaramente dal fatto che egli ne rinvia l’uso
all’ultima parte del Libro I, utilizzandolo per la prima volta per
provare la proposizione 29.
È da notare che Euclide utilizza il termine “proposizione” non soltanto
nella moderna accezione di “teorema”. La Proposizione 1, ad
esempio, così recita:
“Su una retta terminata data costruire un triangolo equilatero”,
e, analogamente, la Proposizione 46:
“Descrivere un quadrato su una retta data.”
Per Euclide “retta” o “retta terminata” significa “segmento”. In questi
due esempi, il testo si presenta dunque come l’enunciato di un
problema di costruzione. La “dimostrazione” è, in questo caso, la
descrizione del procedimento risolutivo. In realtà, anche quando
Euclide dimostra una proposizione che si presenta sotto forma di un
asserto vero e proprio, egli effettua una costruzione: aggiungendo, agli
oggetti dati in partenza, opportuni punti e linee, egli realizza un
disegno a cui può efficacemente applicare i postulati o le proposizioni
stabilite in precedenza.
La costruzione è, per Euclide, unicamente quella effettuabile col solo
ausilio di una riga (non graduata) e/o di un compasso. Non a caso
questi sono spesso chiamati strumenti euclidei.
Le proposizioni del Libro I riguardano le prime proprietà e le
costruzioni elementari relative a rette perpendicolari e parallele, ad
angoli fra rette, a lati ed angoli di triangoli e parallelogrammi.
Vi sono contenute tutte le costruzioni fondamentali, vale a dire:
(a) bisecare un angolo (Proposizione 9);
(b) bisecare un segmento (Proposizione 10);
(c) condurre la perpendicolare ad una retta data da un punto della
retta (Proposizione 11);
(d) condurre la perpendicolare ad una retta data da un punto esterno
alla retta (Proposizione 12);
(e) costruire un triangolo i cui lati siano uguali a tre segmenti dati
(Proposizione 22);
(f) condurre una parallela ad una retta data per un punto esterno
dato (Proposizione 31).
Più avanti Euclide mostrerà che la costruzione (b) può essere
generalizzata: è possibile, infatti, dividere un segmento in un numero
qualunque di parti uguali, usando solo riga e compasso (Libro VI,
Proposizione 10). Ciò non vale, invece, per la costruzione (a). La
trisezione dell’angolo è irrealizzabile con gli strumenti euclidei, come
ci assicura la moderna teoria di Galois.
Molti teoremi stabiliscono confronti tra figure e tra grandezze,
esprimendo uguaglianze, oppure disuguaglianze del tipo “è maggiore
di” o “è minore di”.
La Proposizione 4, ad esempio, contiene un ben noto criterio di
congruenza fra triangoli:
“Se due triangoli hanno due lati rispettivamente uguali a due lati ed
hanno uguali gli angoli compresi fra i lati uguali, avranno anche la base
uguale alla base, il triangolo sarà uguale al triangolo, e gli angoli
rimanenti [del primo], opposti ai lati uguali, saranno uguali ai rispettivi
angoli rimanenti [del secondo].”
Questo enunciato così lungo e complesso si compone di tre parti:
- due triangoli aventi in comune le lunghezze di due lati e l’ampiezza
dell’angolo compreso fra gli stessi due lati hanno in comune anche
la lunghezza del terzo lato (che Euclide chiama base);
- nelle stesse ipotesi, inoltre, i loro angoli sono ordinatamente uguali;
- i due triangoli [sono congruenti, e quindi] hanno la stessa area (v.
Nozione Comune VII)
Un altro criterio di congruenza si trova più avanti:
Proposizione 26
“Se due triangoli hanno due angoli uguali rispettivamente a due angoli
ed un lato uguale ad un lato, o quello [adiacente] agli angoli uguali o
quello che è opposto ad uno degli angoli uguali, essi avranno anche i
lati rimanenti uguali rispettivamente ai lati rimanenti, e l’angolo
rimanente uguale all’angolo rimanente.”
C
A
B
In sostanza, l’enunciato
afferma che il
triangolo
della figura è univocamente
determinato
una
volta
assegnati gli angoli in A e
in B ed uno dei lati.
La Proposizione 6 stabilisce invece uguaglianze tra angoli e lati di
uno stesso triangolo:
“Se in un triangolo due angoli sono uguali fra loro, anche i lati opposti
agli angoli uguali saranno uguali fra loro.”
Ne seguono altre che, invece, stabiliscono disuguaglianze. Ne
riportiamo alcune:
Proposizione 16
“In ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l’angolo esterno è
maggiore di ciascuno dei due angoli interni ed opposti.”
Proposizione 17
“In ogni triangolo la somma di due angoli, comunque presi, è minore di
due retti.”
Proposizione 18
“In ogni triangolo, a lato maggiore è opposto angolo maggiore.”
Proposizione 20
“In ogni triangolo, la somma di due lati, comunque presi, è maggiore del
lato rimanente.”
Quest’ultima è detta disuguaglianza triangolare.
Proposizione 24
“Se due triangoli hanno due lati uguali rispettivamente a due lati, ma
hanno l’angolo compreso dai lati uguali maggiore dell’angolo
corrispondente, avranno anche la base maggiore della base.”
Questa proposizione si ricava dalla prima parte della Proposizione 4
sostituendo l’uguaglianza con una maggiorazione. L’enunciato non va
oltre, perché la maggiorazione non si estende alle aree, né agli angoli
alla base, che, anzi, diminuiscono all’aumentare dell’angolo opposto.
Altre proposizioni (14,15, 27–30) riguardano le rette parallele e gli
angoli formati da rette incidenti.
L’ultima parte del Libro I è dedicata al confronto tra le aree di
quadrilateri e triangoli.
L’enunciato della Proposizione 35 è il seguente:
“Parallelogrammi che siano [posti] sulla stessa base e fra le stesse
parallele sono uguali fra loro.”
Con il moderno linguaggio della geometria, diremmo, più in generale,
che le aree vengono lasciate invariate da certe trasformazioni affini.
La Proposizione 44 propone una costruzione:
“Applicare ad una retta data, in un dato angolo rettilineo, un
parallelogramma uguale ad un triangolo dato.”
Se l’angolo dato è un angolo retto, e quindi il parallelogramma cercato
è un rettangolo, la relativa costruzione fornisce la risoluzione
geometrica dell’equazione di primo grado:
ax = A,
dove a è la lunghezza del segmento (“retta”) dato, e A è l’area del
triangolo. Questo problema è detto applicazione parabolica. Altri
problemi di area si tradurranno, nel Libro II, in equazioni di secondo
grado.
La Proposizione 47 è il Teorema di Pitagora, la Proposizione 48 è il
suo inverso:
“Se in un triangolo il quadrato di uno dei lati è uguale alla somma dei
quadrati dei rimanenti due lati del triangolo, l’angolo che è compreso
dai due rimanenti lati del triangolo è retto.”
Questo teorema verrà generalizzato nel Libro II.
Il Teorema di Pitagora in Euclide:
pagina tratta dal progetto grafico
“Euclid in colors”
I libri successivi al primo sono articolati in due parti: Definizioni e
Proposizioni.
Il Libro II contiene 14 proposizioni sulle aree dei rettangoli. Alcune di
queste si traducono in identità algebriche di secondo grado. Le
corrispondenti costruzioni geometriche vennero in effetti utilizzate da
molti autori, fino al Medio Evo, per risolvere le equazioni quadratiche.
Ne forniscono un esempio i metodi del matematico arabo AlKhuwarizmi. Nella sua opera principale al-jabr w’al-muqabala egli
effettua il completamento del quadrato, ossia applica la formula
(a+b)2 = a2 + 2ab + b2,
(*)
nella sua traduzione geometrica, data dalla Proposizione 4:
“Se si divide a caso una linea retta, il quadrato di tutta la retta è uguale
alla somma dei quadrati delle parti e del doppio del rettangolo
compreso dalle parti [stesse].”
A
C
H
B
G
D
K
F
E
La retta dell’enunciato è il segmento AB, che viene diviso nei
segmenti AC e CB. Il quadrato di tutta la retta è ABED, i quadrati
delle parti sono HGFD e CBKG, i rettangoli ACGH e GKEF coincidono
col rettangolo delle parti. Ponendo a=AC e b=CB ed uguagliando
opportunamente le aree, si ottiene la (*).
Il poligono ABEFGH prende il nome di gnomone: questa figura è
ricorrente in tutto il Libro II. Essa ricompare, ad esempio, nella
Proposizione 5:
“Se si divide una retta in parti uguali e disuguali, il rettangolo compreso
dalle parti disuguali della retta, insieme col quadrato della parte
compresa fra i punti di divisione, è uguale al quadrato della metà della
retta.”
L’enunciato richiede di suddividere il segmento AB mediante due
punti C e D, ove C è il suo punto medio. L’uguaglianza tra le aree è
messa in evidenza dal disegno, ove DB=BE.
A
C
D
B
E
Se si pone a=AC e b=CD, si ottiene la nota identità algebrica:
(a+b)(a–b) = a2 – b2. (**)
a
b
a–b
a–b
b
Essa permette di risolvere il problema della cosiddetta applicazione
ellittica: determinare un rettangolo di cui siano note l’area A e la
somma delle lunghezze dei lati. Detta s la somma dei lati e detta x la
lunghezza di uno dei lati, e posto a = s/2, b = s/2 – x, dalla (**) si
ricava:
(s–x)x = (s/2)2 – (s/2 – x)2,
ove il primo membro è pari ad A. Sostituendo si trova facilmente la
formula risolutiva:
x = s/2 +(s/2)2 – A
La Proposizione 6, di contenuto analogo, corrisponde al disegno
s/2
s/2
x
x
s/2
ed alla formula:
(s+x)x = (s/2 + x)2 – (s/2)2,
che risolve il problema dell’applicazione iperbolica. Questa chiede di
determinare un rettangolo di cui siano note l’area e la differenza delle
lunghezze dei lati; s indica questa differenza, x uno dei lati incogniti,
in modo che s+x sia l’altro. Allora A=(s+x)x. La formula risolutiva e
quindi
x = – s/2 +(s/2)2 – A
Fibonacci si servì dell’applicazione ellittica per risolvere l’equazione
4x – x2 = 3,
e dell’applicazione iperbolica per risolvere
x2 + 4x = 140.
Per la prima equazione egli pose A=3 e s=4 e trovò x=3, per la seconda
pose A=140 e s=4, e trovò x=10.
Altri enunciati si riferiscono a problemi algebrici di secondo grado. Ne
ricordiamo solo un altro ancora: la Proposizione 14, che richiede di
“Costruire un quadrato uguale ad una figura rettilinea data”
dove per “figura rettilinea” si intende poligono. Questa, che sfrutta e
completa la Prop.44 del Libro I, viene applicata nella Géométrie di
Descartes, per l’estrazione geometrica della radice quadrata di un
numero reale positivo fissato.
La Proposizione 7 corrisponde alla formula
(a–b)2 = a2 – 2ab + b2,
la Proposizione 8 combina quest’ultima con la Proposizione 4: la
sua traduzione algebrica è
4ab + (a–b)2 = (a+b)2 .
Analoghe costruzioni geometriche con gnomoni furono impiegate da
Cardano, Ferrari, Tartaglia e Bombelli per la risoluzione di
equazioni algebriche di terzo e quarto grado.
Al termine del Libro II Euclide dimostra due proposizioni, che
estendono il Teorema di Pitagora al caso di triangoli aventi un angolo
ottuso e due acuti (triangoli ottusangoli) e al caso di triangoli aventi
tre angoli acuti (triangoli acutangoli):
Proposizione 12
“Nei triangoli ottusangoli il quadrato del lato opposto all’angolo ottuso è
maggiore, rispetto alla somma dei quadrati dei lati comprendenti
l’angolo ottuso, del doppio del rettangolo compreso da uno dei lati che
contengono l’angolo ottuso e dalla proiezione dell’altro su esso.”
H
A
B
C
In simboli: BC2 = AB2 + AC2 + 2 AB  AH.
Proposizione 13
“Nei triangoli acutangoli il quadrato del lato opposto all’angolo acuto è
minore, rispetto alla somma dei quadrati dei lati comprendenti l’angolo
acuto, del doppio del rettangolo compreso da uno dei lati che
contengono l’angolo acuto e dalla proiezione dell’altro su esso.”
H
A
B
C
In simboli: BC2 = AB2 + AC2 – 2 AB  AH.
Il triangolo rettangolo rappresenta il caso limite fra triangolo
ottusangolo e triangolo acutangolo. Il fattore correttivo 2 AB  AH,
che nel triangolo ottusangolo ha segno positivo e nel triangolo
acutangolo ha segno negativo, nel triangolo rettangolo è nullo. D’altra
parte, se l’angolo in A è retto, allora il punto H coincide con A, per
cui AH ha lunghezza nulla.
Le Proposizioni 12 e 13 si possono riassumere in un’unica formula,
nota come teorema del coseno:
BC2 = AB2 + AC2 – 2 AB  AC  cos CAB.
Il Libro III (37 proposizioni) riguarda il cerchio. Vengono studiate le
proprietà delle intersezioni tra cerchi e tra cerchi e rette, così come le
relazioni tra le misure degli angoli (al centro e alla circonferenza),
degli archi, delle corde e le aree dei segmenti circolari.
Tuttavia il lettore degli Elementi non dovrà aspettarsi dal Libro III il
calcolo dell’area del cerchio o costruzioni di figure equivalenti, come
invece avviene nel libro precedente per i triangoli ed i quadrilateri. Il
motivo dovrebbe essere chiaro, alla luce di quanto osservato all’inizio
sugli strumenti euclidei: la formula dell’area del cerchio comprende il
numero π, che non può in alcun modo essere costruito con riga e
compasso. Euclide forse lo immaginava, ma la dimostrazione di
questo fatto – l’impossibilità di quadrare il cerchio – fu data solo nel
1882 da Lindemann. Una determinazione numerica approssimata
dell’area del cerchio, basata su metodi geometrici, sarà data da
Archimede.
Nel Libro III Euclide dà anche le costruzioni fondamentali, come
“Trovare il centro di un cerchio dato” (Proposizione 1), oppure
“Condurre da un punto dato una retta che sia tangente ad un cerchio
dato” (Proposizione 17).
La Proposizione 31 contiene il famoso
Teorema di Talete, secondo cui un angolo
alla
circonferenza
inscritto
in
un
semicerchio è sempre retto. Essa stabilisce,
inoltre, che l’angolo è sempre minore
(rispettivamente maggiore) di un retto se è
inscritto in un segmento circolare maggiore
(rispettivamente minore) di un semicerchio.
La Proposizione 35 riguarda i rettangoli costruiti su due corde
incidenti:
“Se in un cerchio due corde si tagliano fra loro, il rettangolo compreso
dalle parti dell’una è uguale al rettangolo compreso dalle parti
dell’altra.”
ab=cd
a
c
d
b
Un altro enunciato sulle corde del cerchio sarà successivamente
scoperto da Tolomeo, che lo riporterà nel suo Almagesto. D’altronde
la parte matematica dell’opera tolemaica è quasi interamente dedicata
al calcolo delle corde in funzione dell’arco sotteso (teoria delle corde).
Il Libro IV (16 proposizioni) mostra come costruire poligoni regolari,
che Euclide chiama “equilateri e equiangoli”, e precisamente:
- il triangolo (Proposizione 2);
- il quadrato (Proposizione 6);
- il pentagono (Proposizione 11);
- l’esagono (Proposizione 15);
- il pentadecagono,
cioè un poligono regolare avente 15 lati
(Proposizione 16).
Si può osservare che il triangolo ed il quadrato erano già stati
costruiti nel Libro I a partire dalla lunghezza dei loro lati,
rispettivamente nelle Proposizioni 1 e 46. Qui il problema viene
posto in maniera diversa: si richiede di inscrivere o circoscrivere un
poligono regolare avente un certo numero di lati ad un cerchio
assegnato. All’epoca non erano note altre costruzioni di poligoni
regolari, a parte quelle che potevano essere ricavate da quelle esistenti
bisecando gli angoli. Così, ad esempio, un decagono regolare poteva
essere realizzato a partire da un pentagono inscritto in un cerchio: i
sui vertici si ottengono, infatti, come punti medi degli archi sottesi ai
lati del pentagono. Ora noi sappiamo che esistono molti altri poligoni
regolari costruibili con riga e compasso: sono quelli verificanti il
criterio di Gauss.
Il Libro V (25 proposizioni) è ancora a contenuto geometrico, ma è di
ispirazione aritmetica: vi viene esposta la teoria delle proporzioni tra
grandezze, che verrà ulteriormente sviluppata nel Libro VIII (27
proposizioni) e nel Libro IX. Il contenuto è in parte tratto da Eudosso
di Cnido.
Euclide così descrive il concetto di proporzione, nella terza delle
definizioni che compaiono all’inizio del Libro V:
“Rapporto fra due grandezze omogenee è un certo modo di comportarsi
rispetto alla quantità.”
La prima serie di proposizioni (1–6) contiene le proprietà fondamentali
dei multipli. Le restanti proposizioni riguardano, invece, più
propriamente, i rapporti (quozienti) tra numeri.
Il linguaggio euclideo è fatto di frasi intere e non di parole miste a
simboli ed abbreviazioni: Nesselmann parlerebbe di algebra retorica.
Per il lettore contemporaneo il testo di alcune proposizioni, in cui le
identità algebriche sono tutte descritte a parole, può risultare
alquanto ostico:
Proposizione 1
“Se si danno quantesivoglia grandezze che siano rispettivamente
equimultiple di altrettante grandezze, una delle prime grandezze è
tante volte multipla della corrispondente delle altre grandezze quante
volte anche la somma delle prime sarà multipla della somma delle
seconde.”
La traduzione in simboli è la seguente: dati un numero intero positivo
m ed altri numeri a1,a2,…,ak, si ha che
ma1 + ma2 + … + mak = m(a1 + a2 + … + ak).
Ecco un altro esempio, tratto dalla seconda parte:
Proposizione 24
“Se una prima grandezza ha rispetto ad una seconda grandezza lo
stesso rapporto che una terza ha rispetto ad una quarta, e pure una
quinta grandezza ha rispetto alla seconda lo stesso rapporto che una
sesta rispetto alla quarta, anche la somma della prima e della quinta
avrà lo stesso rapporto rispetto alla seconda che la somma della terza e
della sesta rispetto alla quarta.”
Il significato è il seguente:
A:B=C:D
E:B=F:D
}
(A + E) : B = (C + F) : D
Il concetto di proporzione sarà alla base dell’estetica classica e
rinascimentale. L’architetto romano Vitruvio imposterà la sua
dottrina della bellezza su precisi rapporti numerici, imitato, in questo,
dal genio quattrocentesco di Leon Battista Alberti. Pacioli scriverà
il trattato De Divina Proportione. D’altronde nella teoria musicale
pitagorica l’armonia era espressa da determinate proporzioni tra gli
intervalli musicali. Questo principio rimase praticamente inalterato
attraverso i secoli. Lo ritroviamo, ad esempio, in Boezio ed in
Descartes.
Nel Libro VI (33 proposizioni) la teoria delle proporzioni viene
applicata al confronto tra le lunghezze di segmenti ed allo studio delle
figure simili.
La Definizione I dice:
“Sono figure rettilinee simili quante abbiano gli angoli, uno ad uno,
rispettivamente uguali, e proporzionali i lati che comprendono gli angoli
uguali.”
La Proposizione 2 è il noto teorema, dovuto a Talete, sulla
proporzionalità dei segmenti intercettati da rette parallele, che, tra
l’altro, è alla base della prospettiva:
“Se in un triangolo si conduce una retta parallela ad uno dei lati, essa
divide proporzionalmente i [due altri] lati del triangolo; e se due lati di
un triangolo sono divisi proporzionalmente, la retta che congiunge i
punti di divisione sarà parallela al lato del triangolo."
Vengono anche enunciati i principali criteri di similitudine fra
triangoli, come, ad esempio, nella
Proposizione 6
“Se due triangoli hanno un angolo uguale ad un angolo, e proporzionali
i lati comprendenti i due angoli uguali, i triangoli saranno fra loro
equiangoli: avranno cioè rispettivamente uguali gli angoli opposti ai lati
omologhi.”
La traduzione nel nostro linguaggio è: due triangoli sono simili se
hanno due lati proporzionali e hanno uguale l’angolo da essi formato.
Euclide qui sviluppa le intuizioni avute dal matematico e filosofo
presocratico Talete, che pare sia stato il primo a riconoscere lo stretto
legame tra la nozione di “forma” di una figura e la proporzionalità tra
le misure.
Nello stesso libro vengono anche indicati i procedimenti che
consentono di risolvere le proporzioni geometricamente.
I tre principali problemi sono:
(a) la costruzione della quarta proporzionale: a:b = c:x (Prop.12);
(b) la costruzione della media proporzionale: a:x = x:b (Prop.13);
(c) la costruzione della sezione aurea: a:x = x:(a–x) (Prop.30).
Non è difficile vedere che essi equivalgono ad altrettanti problemi di
aree di quadrati e rettangoli: basta trasformare le proporzioni in
uguaglianze fra prodotti. Il problema (a), in particolare, non è che
una riscrittura dell’applicazione parabolica, di cui abbiamo parlato in
relazione al Libro II; gli altri due sono problemi di secondo grado.
Il problema (b) può essere generalizzato attraverso la nozione di
proporzione continuata, che verrà trattata nel Libro VIII e ripresa nel
Libro IX: si tratta di una sequenza di proporzioni tali che il quarto
termine della precedente coincide col primo termine della successiva.
Il più semplice esempio di proporzione continuata è
a:x = x:y = y:z
Le quantità x e y si dicono le due medie proporzionali di a e b. Il
problema di determinarle equivale ad un’equazione di terzo grado:
secondo quanto stabilito dalla teoria di Galois, esso non è dunque
risolubile geometricamente per mezzo degli strumenti euclidei. Esso
equivale al problema della duplicazione del cubo, che, dopo la
trisezione dell’angolo e la quadratura del cerchio, conclude la terna
dei grandi problemi geometrici dell’antichità. Una costruzione,
effettuata con l’ausilio di particolari curve, è riportata da Descartes
nella Géométrie.
La Proposizione 8 riguarda i triangoli simili:
“Se in un triangolo rettangolo si conduce la perpendicolare dall’angolo
retto sulla base, la stessa perpendicolare divide il triangolo in due
triangoli simili a tutto quanto il triangolo e fra loro.”
A
B
H
C
I triangoli ABC, ABH, AHC sono simili. Essi hanno dunque i lati
ordinatamente proporzionali, per cui:
BC : AB = AB : BH
BC : AC = AC : HC
Se ne ricavano le identità
AB2 = BC  BH
AC2 = BC  HC,
che oggi vanno sotto il nome di Primo Teorema di Euclide.
Analogamente si prova il Secondo Teorema di Euclide:
AH2 = BH  HC.
Il Libro VII (39 proposizioni) riguarda le proprietà di divisibilità fra
numeri interi. Le Definizioni del Libro VII costituiscono una sorta di
breve dizionario aritmetico.
La trattazione comprende le nozioni di massimo comune divisore,
minimo comune multiplo e di numero primo. I principali risultati
sono:
- la Proposizione 2, che presenta l’algoritmo euclideo per la
determinazione del massimo comune divisore di due numeri;
- la Proposizione 31, che asserisce che “ogni numero composto ha
per divisore un numero
primo” (v. teorema fondamentale
dell’aritmetica);
- la Proposizione 33, che si riferisce al procedimento di riduzione di
una frazione ai minimi termini;
- la Proposizione 34, che mostra come determinare il minimo
comune multiplo di due numeri.
È probabile che il contenuto di questo libro sia stato in parte tratto
dagli studi di Archita di Taranto.
Il Libro IX (36 proposizioni) contiene la dimostrazione che esistono
infiniti numeri primi (Proposizione 20), oltre ad un criterio per
trovare numeri perfetti (Proposizione 36).
Il Libro X è il più lungo e complesso dell’opera. Consta di ben 115
proposizioni sulla commensurabilità ed incommensurabilità di
numeri e grandezze geometriche: secondo la definizione riportata da
Euclide, due quantità sono dette commensurabili se il loro rapporto è
un numero razionale. Alla difficoltà dell’argomento trattato si
aggiunge un’esposizione alquanto ostica, come anche il Fibonacci
rilevò in uno dei suoi opuscoli. Simone Stevin, un matematico
olandese del 1500, definì questo libro addirittura “la croce dei
matematici”.
L’esistenza di grandezze incommensurabili (noi diremmo: irrazionali)
era già nota alla scuola di Pitagora: fu uno dei suoi membri a scoprire
che il lato e la diagonale del quadrato sono incommensurabili. La
dimostrazione di ciò è implicitamente contenuta nella Proposizione
2.
Il Lemma I dà la formula per trovare tutte le terne pitagoriche: esso
si basa essenzialmente sulla Prop. 8 del Libro II e sulle Prop. 1,2 del
Libro IX.
Le grandezze incommensurabili studiate da Euclide nel Libro X sono
essenzialmente riconducibili a 13 tipi diversi, e sono tutte esprimibili
in termini di radici quadrate e delle quattro operazioni. Esse sono
tutte costruibili con riga e compasso. Ne citiamo solo due, che
ricompariranno in seguito: la terza dell’elenco è l’apotome di a e b,
esprimibile nella forma a – b, la nona è la minore di a e b, data da
a –b
L’ultima parte dell’opera
solida.
è dedicata principalmente alla geometria
Gli argomenti del Libro XI (39 proposizioni) sono: le posizioni
reciproche di rette e piani nello spazio, gli angoli solidi e le proprietà
dei prismi.
Il Libro XII (18 proposizioni) ed il Libro XIII (18 proposizioni)
riguardano, per la maggior parte, i volumi di piramidi, coni, cilindri e
sfere. Queste grandezze vengono confrontate, ancora una volta, dal
punto di vista delle proporzioni e della commensurabilità.
Nel caso dei solidi di rotazione, non potendo far intervenire il numero
le seguenti
proposizioni:
Proposizione 10
“Ogni cono è la terza parte del cilindro che abbia la sua stessa base ed
uguale altezza”. (dimostrazione)
Proposizione 18
“Le sfere stanno fra loro in ragione triplicata rispetto a quella dei propri
diametri.”
Quest’ultimo enunciato, in linguaggio moderno, si traduce come: “il
rapporto tra i volumi di due sfere è pari al rapporto fra i cubi dei loro
diametri”.
Ci si può chiedere come Euclide abbia potuto dimostrare risultati di
questo tipo senza ricorrere alle formule esatte per i volumi. L’idea è
quella di ricondursi a volumi di solidi di poliedri opportunamente
scelti.
Per la Proposizione 18, ad esempio, Euclide immagina di inscrivere,
nelle due sfere, due poliedri simili: egli dimostra poi che il rapporto
tra i volumi delle sfere è uguale al rapporto fra i volumi dei poliedri, e
conclude utilizzando le proprietà di questi ultimi.
Il Libro XIII si apre con una serie di proposizioni relative alla sezione
aurea, prosegue con lo studio di alcune grandezze legate ai poligoni
regolari, e si chiude con la Proposizione 18, che stabilisce i rapporti
tra gli spigoli dei cinque poliedri regolari. Si ha la viva sensazione
che questo enunciato sia una sorta di traguardo finale dell’opera,
che tutto quanto lo precede ne sia la preparazione. In effetti in esso
confluisce il materiale di un po’ tutti i libri. Anche l’oscuro Libro X vi
è presente: il rapporto tra lo spigolo del dodecaedro ed il diametro
della sfera circoscritta è pari all’apotome
5
1

12
12
l’analogo rapporto per l’icosaedro è la minore
1
1

2
20
La fortuna dell’opera
Quanto a numero di edizioni, gli Elementi di Euclide sono secondi
solo alla Sacra Bibbia. È proprio grazie alle numerose trascrizioni
succedutesi nei secoli anteriori all’invenzione della stampa se il
trattato ci è pervenuto nella sua integrità: un destino toccato,
purtroppo, solo a poche altre opere scientifiche dell’antichità. È pur
vero che il testo di cui disponiamo ha subito varie modifiche
successive da parte dei commentatori. Le principali fonti sono:
– i manoscritti tratti dalle lezioni di Teone di Alessandria, su cui si
basa la prima edizione in greco che abbia visto la luce in Europa, a
Basilea, nel 1533;
– alcune traduzioni in arabo, da cui furono tratte, a partire dal sec.
XII, le prime versioni latine. La prima di cui si abbiano notizie certe
è quella del dotto inglese Adelardo di Bath, effettuata intorno al 1120
d.C., e basata su testi da lui rinvenuti durante i suoi viaggi in
Spagna e nel Vicino Oriente Un’altra traduzione, dovuta a Giovanni
Campano, è contenuta nella prima edizione a stampa degli Elementi,
che fu realizzata a Venezia nel 1482.
Nel 1505 appare, sempre a Venezia, un’altra versione latina, ad
opera di Bartolomeo Zamberti, cui segue, nel 1509, la versione di
Luca Pacioli. La più importante traduzione latina è quella di
Commandino da Urbino (1572), che ne trasse una versione italiana
(1575).
Non esistono, invece, traduzioni di epoca romana: gli Elementi non
godettero di grande favore presso i Romani, che prediligevano i
manuali di carattere pratico. Non a caso le prime versioni di cui si
abbia notizia risalgono agli ultimi anni dell’Impero, in cui il declino
politico coincide con il risveglio dell’interesse per le scienze. Pare che
anche Boezio ne abbia scritta una: ma di essa sono rimaste soltanto
alcune tracce apocrife.
La prima edizione in volgare italiano è l’Euclide Megarense (1543) del
Tartaglia: questi, come la maggior parte dei precedenti autori,
commise un errore storico confondendo Euclide con il filosofo Euclide
di Megara.
Nel corso dei secoli si susseguirono molte altre versioni nelle
principali lingue europee: esse rappresentano le tappe di una lunga
ricerca filologica compiuta dai vari autori per riavvicinarsi,
progressivamente, al testo originale. In Italia Vitale Giordano
pubblicò l’Euclide Restituto, Gerolamo Saccheri, nel 1733, diede
alle stampe l’Euclides ab omni naevo vindicatus, che, tra l’altro,
comprendeva un tentativo di dimostrare il postulato delle parallele.
Nell’Ottocento Enrico Betti e Francesco Brioschi pubblicano una
versione didattica dell’opera, in cui le proposizioni di Euclide
vengono prese come spunto per numerosi esercizi.
Le costruzioni di Mascheroni
Le costruzioni di Steiner
Gli “Elementi” di Pascal
Gli Elementi nell’arte:
Gli Elementi di Pittura di L.B. Alberti
Punto linea superficie di W. Kandinsky