C Si suole definirle, anche in questo caso molto impropriamente

C
COMPLETIVE INTRODOTTE DA UT/UT NON
INTRODUTTORI:
ut = che, di;
ut non = che non, di non
MODO DEL VERBO: congiuntivo di tutti i tempi secondo le norme
della consecutio temporum.
N.B.: se sono presenti un pronome o un aggettivo o un avverbio negativo,
esso resta immutato (ut nemo, ut nihil, ut numquam e così via).
Si suole definirle, anche in questo caso molto impropriamente,
“completive di natura consecutiva”, ma con le consecutive non hanno
nulla a che vedere (vedi le considerazioni fatte a proposito delle
completive con ut, ne).
Costituiscono il soggetto dei verbi appartenenti alle seguenti categorie:
a. verbi impersonali di avvenimento (fit, accidit, cadit, evenit, est =
accade; futurum est = sta per accadere; fieri potest, non potest = può
accadere, non può accadere; etc.).
Es.: accidit ut milites qui lignationis causa discessissent repentino
hostium adventu interciperentur = accadde che i soldati che si
erano allontanati per far legna furono tagliati fuori
dall’improvviso arrivo dei nemici.
b. verbi e locuzioni impersonali indicanti “seguire, rimanere”
(sequitur, restat, relinquitur, superest, reliquum est = resta, rimane;
proximum est, extremum est = rimane per ultimo; huc accedit = a
questo si aggiunge; etc.).
Es.: restat ut de virtute loquar = resta che io parli della virtù.
c. verbi indicanti “risultare” (ex quo efficitur, hinc efficitur = ne
consegue; facio, efficio, perficio = faccio sì: vedi nota 4 alle
completive con ut, ne; committo = dò motivo; etc.).
Es.: hinc efficitur ut nemo nisi sapiens beatus dici possit = ne
consegue che nessuno, tranne il sapiente, può essere detto felice.
d. espressioni impersonali costituite da un sostantivo o da un aggettivo
neutro in unione con il verbo sum alla 3a persona singolare (mos, lex,
consuetudo, tempus, locus... est; aequum, iustum, rectum, par, verum,
falsum, facile, difficile... est; mihi integrum est = sono in grado, è in
mio potere; etc.).
e.
Es.: aequum est ut humani nihil a nobis alienum putemus = è giusto
che non consideriamo estraneo a noi nulla che riguardi l’uomo
(nulla di umano).
Facio ed efficio si costruiscono con ut, ut non quando significano
“faccio sì che”, “produco come conseguenza che”; con ut, ne quando
invece significano “procuro che”, “mi adopero a che”;
Es.: sapientia ipsa efficit ut philosophus miser non sit = la sapienza
stessa fa sì che il filosofo non sia infelice;
Es.: miles effecit ne consul interficeretur = il soldato si adoperò a che
il console non fosse ucciso.
N.B.:
Alcuni dei verbi e delle espressioni sopra elencati ammettono anche la
costruzione con l’accusativo e l’infinito (proposizione soggettiva).
Es.: mos erat Lacedaemonios binos reges habere (= mos erat ut
Lacedaemonii binos reges haberent) = era costume che gli Spartani
avessero due re.
CONSIGLI PRATICI DI TRADUZIONE:
1) Basta sostituire al verbo della completiva il complemento
corrispondente per rendersi conto della reale funzione di queste
proposizioni: accidit ut venires = “accadde che tu arrivassi” = “si
verificò il tuo arrivo”, dove “il tuo arrivo” è soggetto, e non
conseguenza, di “si verificò”. Evita dunque, se puoi, di tradurre ut
completivo con “in modo che”, “così che” o simili.
1) In italiano alcune di queste completive si traducono con l’indicativo,
altre con il congiuntivo: non esiste una regola precisa. In linea di
massima, però, tradurrai con l’indicativo le proposizioni che
dipendono da un verbo indicante la constatazione oggettiva di un fatto
(“accadde che furono visti”, seppure non sia scorretto dire “accadde
che fossero visti”), mentre opterai per il congiuntivo nei casi in cui sia
presente una sfumatura di dubbio o di soggettività (“può darsi che
siano arrivati”, “è giusto che tu sia lodato”, e così via).
2) Queste frasi si possono tradurre in forma implicita, con di, di non +
infinito, oppure in forma esplicita con che, che non + indicativo o
congiuntivo (cfr. esempi).