2.5) La flora - Lions Club Domodossola

La flora
Cesarina Masini Chieu
Le condizioni altimetriche e morfologiche dell’Ossola, il suo clima di tipo continentale temperato, offrono
all’osservatore una successione di zone di vegetazione,
giustificata via via dall’altitudine, dall’esposizione dei
versanti, dall’insolazione, dal vento, dall’umidità, dalle precipitazioni nevose, dalle condizioni fisiche, chimiche e biotiche del suolo.
I paesaggi tanto diversi di cui si compone la fisionomia
dell’Ossola sono improntati da forme caratteristiche di
vegetazione: alberi, boschi, fiori, erbe e prati, ora educati sapientemente dalla mano dell’ uomo, ora lasciati
crescere in selvaggia libertà, ad arricchire di bellezza e di
colori le prospettive del piano, dei colli, delle cime.
Al piano basale fino a 400 m. di altitudine appartengono terreni ricchi di seminativi e di colture agricole,
come vari cereali, alberi da frutta e pingui prati. Fra i
cereali soprattutto la Segale, Secale Cereale, una Graminacea la cui coltivazione era diffusa in tutta l’ Ossola ,
da sempre cibo delle popolazioni più povere e isolate; la
pianta rustica per il suo grande adattamento alle avversità climatiche e alla povertà dei terreni, può essere coltivata fino a 1300 - 1500 m. di altitudine. Quando nel
paesaggio alpino si alternavano come in una scacchiera il verde dei prati e il giallo delle spighe alte e bionde,
erano tempi in cui nei piccoli “campi” gli Ossolani basavano la loro economia su una agricoltura che potesse
assicurare le necessità primarie come il Pane. Tuttora a
Coimo, in Valle Vigezzo, si fa un buon pane di “seila”,
oggi oggetto di tradizione.
Segale e patate furono la ricchezza del montanaro, anche in tempi di guerra e di carestie. La Patata Solanum
Tuberosum una Solanacea che giunse sulle mense ossolane solamente dopo il 1770, il tubero dal grande valore nutritivo, si adatta ad ogni tipo di clima e fruttifica
anche fino a 1500 m. di altitudine, è tenuta in grande
considerazione nella gastronomia locale, tanto da venire perfino festeggiata a Montecrestese con una sagra popolare che si tiene in autunno.
Erano altri tempi quelli in cui veniva coltivata la Canapa, Cannabis sativa, per ottenere una buona fibra da cui
si ricavava la preziosa “tela da ca’”, prodotto artigianale
a livello domestico adatto a soddisfare le esigenze familiari di indumenti e biancheria; ora Canapa, Tabacco e
Frumento non si coltivano più .
Particolare fu in tutti i tempi addirittura da millenni,
la cura dedicata alla Vite, Vitis vinifera, una Vitacea
coltivata dal piano alle pendici solatie dei monti, anche su terrazzamenti, realizzati con muretti di sostegno
fino verso i 1000 m.. La pianta che si adatta facilmente
alle difficoltà del clima, richiede un terreno abbastanza
profondo e una buona esposizione al sole per maturare un frutto ricco di zuccheri in modo da ottenere poi
un buon vino, e in seguito, dall’attività dell’ alambicco,
una profumata grappa.
Un’essenza preziosa che l’uomo ha da sempre coltivata
per goderne tutte le parti: corteccia, legno, foglie, mallo
e seme, è il Noce, Juglans Regia famiglia delle Juglandacee. Si trovano anche Noci cresciuti lontani dalle abitazioni, non piantati dall’ uomo, ma disseminati da corvi, gazze, ghiandaie, e da roditori come scoiattoli e topi,
infatti la riproduzione avviene per seme . Il Noce ha esigenze di terreno morbido e fresco, profondo per affondare il suo robusto apparato radicale, abbisogna di molto spazio disponibile per sviluppare una folta chioma di
ampie foglie lucide. E’ una pianta dioica che fiorisce in
primavera, a giugno mostra il frutto verde e a ottobre lo
regala maturo, ricco di sostanze grasse e zuccherine.
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Fino agli 800 m. è la zona detta fascia submontana,
propria delle caducifoglie, o latifolie eliofile, piante cioè
a riposo invernale, con foglie a lamina larga, adatte a vivere in ambiente ad elevata luminosità, quali l’Acero, la
Betulla, il Frassino, il Salice, il Sambuco, la Robinia, il
Nespolo. Grandi, altissimi alberi distendono i loro rami
nel cielo e sprofondano le radici nel terreno, accanto ad
arbusti, piante, pianticelle, erbe, che si nascondono nell’umido, e all’ ombra delle grandi e dell’ ombra e con
l’ombra vivono.
L’ Acero più diffuso è il Campestre, una Aceracea presente dalla pianura alla collina, alla bassa montagna,
dove non supera i 1500 m. di altitudine; ma il grande
albero che arriva anche ad una altezza di 30 m., è l’Acero Montano, che si spinge fino quasi a 2000 m. nella
zona del Faggio e dell’ Abete, il più longevo, la cui vita
può arrivare fino a 150 –200 anni. Essenza preziosa in
silvicoltura per la formazione dell’ humus forestale dolce e poroso, in quanto le sue foglie sono ricche di azoto e povere di cellulosa, sbocciano in maggio numerosi fiori riuniti in grappoli, che attirano gli insetti a cui è
affidata l’impollinazione, singolare per i suoi frutti alati detti “samare”, che contengono due semi ciascuna e
che il vento d’autunno porterà lontano favorendo così
la disseminazione.
Fiorisce fra maggio e giugno dal piano fin a 1000 m.
di altitudine la Robinia Pseudoacacia albero delle Leguminose dai rami un po’ tortuosi, dalla bella chioma ricca di foglie che sono appetite dai conigli selvatici e dai cervi; i grappoli di fiori bianchi profumatissimi bottinati dalle api che hanno funzione di insetti
impollinatori, ai fiori succedono i frutti , legumi lunghi 5-8 cm., pendenti, bruno nerastri che contengono 4 - 11 semi neri, tossici per l’uomo, che cadranno
alla fine dell’inverno. Oltre ad essere una pianta pioniera, consolidante del suolo, presenta fra le sue radici dei tubercoli dovuti a un batterio che fissa nel terreno l’azoto atmosferico rendendolo più fertile. La Robinia è una delle sedi prescelte dal Vischio, ma soffre di questa forma di parassitismo, fino a morirne.
Quando si dice Salice si pensa a un albero dai rami ele120
gantemente spioventi amico dell’acqua e del fresco, che
già in marzo mette le foglie e le lascia cadere per ultimo,
nel tardo autunno. Ancor prima delle foglie compaiono
le infiorescenze, amenti diritti, setosi a cui viene dato il
nome di “gattini” : all’impollinazione provvedono gli
insetti come calabroni e certe farfalle come la Vanessa Antiopae, la Nymphalis Antiopa, la Catocala Electa
con abitudini notturne; alla dispersione dei minuscoli
semi, provvisti ciascuno di un ciuffo di peli, provvederà il vento. Nella corteccia, nelle foglie, negli amenti, è
presente un glucoside, la salicina, da cui per idrolisi si
ottiene acido salicilico, lo stesso che si trova nell’ “aspirina”, dalle proprietà analgesiche e febbrifughe, che furono note anche agli antichi. Per le condizioni ambientali favorevoli, sono presenti in Ossola 18 specie, lungo
i torrenti nelle valli Vigezzo, Anzasca, Divedro, nei luoghi umidi fino ai dintorni di Macugnaga, e al Sempione; la specie detta “Retusa” dal portamento strisciante arriva fino al limite dei ghiacciai. Appartengono tutte alla famiglia delle Salicacee.
Pianta altrettanto comune è il Sambuco, una Caprifogliacea a forma di cespuglio o piccolo albero, dai rami
ricadenti e dalle vistose profumate ombrelle di piccoli
fiori che in agosto- settembre si trasformano in bacche
di colore nero rossastro, piene di succo zuccherino, avidamente ricercate dagli uccelli soprattutto dai merli, responsabili poi della disseminazione.
Spontaneo sotto forma di arbusto o di alberello alto da
2 a 3 m., dove sono i boschi radi, non oltre i 1000 di
altitudine, cresce molto lentamente il Nespolo Mespilus Germanica che appartiene alla famiglia delle Rosacee. Il fusto legnoso ha un andamento tortuoso con numerosi rami e le foglie ovali lunghe fino a 12 cm. ; fiorisce da maggio a giugno con grandi fiori bianchi solitari,
preziosa fonte di polline per le api; il frutto è una bacca
verde- bruna che maturando acquista una consistenza
pastosa e un sapore asprigno, ma gradevolmente zuccherino. Il frutto una volta tolto dalla pianta nel tardo
autunno, deve essere riposto nella paglia dove subisce
un processo di fermentazione: modo di maturare detto “ ammezzire”. I frutti più grossi e succosi si raccolgono sui pendii assolati di Montecrestse e Oira in Valle
Raro rododendro bianco.
Antigorio. La Quercia, è la Cupolifera millenaria compagna dell’uomo, è uno degli alberi più robusti maestosi per il portamento: è alto da 30 a 40 m. molto ramificato, ha grande espansione della chioma, il tronco caratteristico per la corteccia bruno - nerastra screpolata, le foglie verdi scure e lucide sopra, ovali, con bordi
a festoni arrotondati. E’ una pianta dioica in primavera compaiono gli amenti maschili giallastri, penduli,e
quelli femminili a squame; il frutto sarà una ghianda
ovale con la cupola a scaglie. Offre all’uomo la sua ombra, il legno pesante e duro, adatto a molti usi, la scorza per il contenuto in tannino, le foglie e le ghiande per
il nutrimento degli animali; cresce lentamente, molto
tempo deve trascorrere prima che maturino i frutti, ma
è pianta longeva e raggiunge i 2000 anni. Sono presenti
in Ossola la Quercus Robur o Farnia, che supera raramente i 1000 m., la Rossa o Rubra che cresce in un vivaio della Guardia Forestale nei pressi del Lusentino, la
Sessiliflora o Rovere, la più diffusa, presente fino a 1500
m. su terreno soffice e leggero. Il nome dialettale generico è “Rugul”.
Cresce sulla Quercia affondando nel tronco i suoi austo-
ri succhiatori un semiparassita, il Vischio, una Lorantacea, che essendo priva di radici si rifornisce di acqua e di
sali minerali sfruttando la linfa delle piante ospiti, mentre ha la sua funzione clorofilliana per la presenza di numerose piccole foglie verdi con le quali può sintetizzare gli idrati di carbonio. Quando la pianta ospite perde
le foglie, il Vischio diventa evidente, un piccolo arbusto
a forma di ciuffo rotondo sempreverde orientato verso
nord perché è igrofilo, cioè ha bisogno di molta umidità
per la germinazione dei suoi semi. I fiori compaiono in
primavera, poco vistosi, alla fine dell’autunno compaiono i frutti, bacche sferiche, bianche traslucide che contengono un grosso seme immerso in una sostanza viscida, collosa e gelatinosa. Tordi, merli, cinciallegre si nutrono di questi frutti e inconsapevolmente, o pulendosi
il becco, o con gli escrementi, favoriscono la disseminazione della pianta, in quanto i semi rivestiti del liquido
appiccicoso, si attaccano ai tronchi degli alberi e il ciclo ricomincia. La pianta è molto tossica per l’uomo e la
sua tossicità varia a seconda della specie arborea parassitata, cresce generalmente sugli alberi da frutto, ma anche su Pioppi, Olmi, Betulle, Salici e Castagno, se cresce sulla Quercia, o sul Pero, è più ricca di principi at121
penduli e quelli femminili riuniti in spighe compaiono
in febbraio, sarà il vento a provocare l’ impollinazione.
In autunno prima della caduta delle foglie, maturano i
frutti, secchi e chiusi, di solito riuniti a gruppi da una a
quattro. Le nocciole sono protette da un guscio legnoso
liscio e duro e da grandi brattee verdi, contengono un
unico seme dalla polpa bianca e dolce, di elevato potere nutritivo. Roditori come scoiattoli, ghiri e topi campagnoli, uccelli come le ghiandaie sono ghiotti consumatori di questi frutti, quelli che non verranno raccolti, caduti a terra germineranno in primavera e daranno
origine ad altre piante.
L’Edelweiss o Stella alpina.
tivi, quindi più tossica; la corteccia della Quercia è tanto consistente che anche se parassitata dal Vischio, non
ne viene danneggiata.
Nel sottobosco del Querceto crescono numerose piante legnose e arbustive, con esigenze meno eliofile, come
il Ciliegio selvatico, la “cerisa”, una Rosacea che in primavera, quando le altre piante dormono ancora, mostra grappoli fitti di fiori candidi, ancor prima dello sviluppo delle foglie. In Val Vigezzo quelli risparmiati dalle alluvioni crescono in riva al torrente Melezzo e in Val
Anzasca si spingono fino a Macugnaga. Sugli alberi da
frutta e in modo particolare sul Ciliegio, vive il fungo Pholiota squarrosa che parassita la pianta fino a farla morire.
Un’altra pianta Cupolifera, pioniera, molto diffusa fino
a 1800 m. di altitudine, è il Nocciolo Corylus Avellana, altro antico tenace amico dell’uomo che trova nutrimento nel suo frutto, utilità nel suo legno, sollievo dalle sue proprietà medicinali. L’arbusto non di grande taglia è alto da 2 a 6 m., con la chioma che si allarga per i
molti polloni che partono da un’unica ceppaia, con numerosi rami flessibili, la pianta è monoica: gli amenti maschili presenti già nell’autunno, sono giallastri e
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L’ habitat del Biancospino, Crataegus Oxyacantha, libero e selvaggio è la macchia, la siepe, la scarpata dal piano fino a 1600 m., in un sottobosco luminoso dove fra
aprile e giugno compaiono i suoi bianchi e profumati corimbi e in seguito le drupe rosse, ovali, velenose.
Spesso in comune con la Rosa selvatica o Rosa di macchia, è presente in tutte le valli dal piano fino 1800 m.
in parecchie varietà. Il fungo che lo parassita è l’ Entoloma clipeato che vive sugli alberi da frutta della famiglia
delle Rosacee, lo visitano farfalle come la Aporia Crataegi e la Iphiclides Podalirius.
Trovano qui il loro ambiente nel sottobosco ricco di
humus e umido il Rovo, l’Agrifoglio con i frutti globosi color rosso vivo e le foglie di un verde lucente, il Ligustro dai fiori bianchi e profumati, il Maggiociondolo
con i fiori riuniti in grappoli dorati. Le bacche, i frutti di molti arbusti, provvidenziale e sostanzioso nutrimento invernale per molti uccelli, che essendo refrattari alle sostanze tossiche presenti, se ne nutrono favorendo in seguito la disseminazione, sono per l’uomo insidiosi veleni.
Perché i veleni? Quale la loro funzione nella pianta? I
veleni vegetali consistono generalmente in alcaloidi e in
glucosidi ad elevato potere tossico. Gli alcaloidi sono
composti organici azotati di natura basica, prodotti ed
elaborati da piante dicotiledoni, originati nelle radici
ed accumulati nelle altre parti, come foglie, frutti, semi.
Escrezioni o secrezioni? Secrezioni, cioè sostanze elaborate da particolari ghiandole, o escrezioni, cioè sostanze che una volta elaborate vengono espulse, oppure so-
stanze aventi funzione di difesa? Diversi chimicamente
sono i glucosidi, composti costituiti da uno zucchero,
solitamente il glucosio legato a sostanze di varia natura
che si scindono per idrolisi per azione di enzimi, solitamente già presenti nello stesso tessuto vegetale in cui si
trova il glucoside. Quale la funzione fisiologica del glucoside? Da alcuni autori è considerato materiale nutritivo di riserva giustificato dalla presenza dello zucchero, secondo altri si tratterebbe di un prodotto finale del
metabolismo della pianta.
Le chiome degli alberi formano una volta protettiva che
regola la penetrazione della luce e dell’acqua piovana e
poiché durante l’inverno le latifoglie sono nude, grande è la quantità di luce che giunge al suolo e permette la
vita di molte piante erbacee ora umili, ora appariscenti,
che caratterizzano questo tipo di bosco.
Ecco le Primule, precoci e gentili annunciatrici della
primavera, le varie specie di Viole a fiori più o meno
violacei e bianchi, il Geranio sanguigno dai grandi fiori rosso scuri, la precocissima Anemone epatica: le sue
corolle azzurre costellano le foglie morte del sottobosco non ancora rinverdito, nel periodo da febbraio ad
aprile; il velenoso Elleboro o Rosa di Natale, che ancora
nel freddo inverno apre i grandi fiori bianchi; Orchidee
selvatiche dalle spighe bianche, rosse e gialle, come le
Sambucine, leggermente profumate di Sambuco, fiorite da maggio a giugno. A queste si accompagnano molto di frequente le Campanelline di primavera, e il Dente di cane; qui sparge il suo grato profumo il rosso fiore
velenoso della Daphne mezereum e fioriscono le corolle
azzurrissime delle Genziane, rappresentanti di una flora tipicamente alpina.
Propria dei grandi spazi, nella solitudine selvaggia dei
pascoli, si erge austera con la sua fioritura solare colorata di giallo intenso la Genziana Lutea o Maggiore: una
rappresentante della famiglia delle Genzianacee. Arbusteti dal substrato calcareo, luoghi solitari e franosi, ricchi di torba, bene esposti al sole, sono il suo habitat, fra
gli 800 e 2500 m. di altitudine: frequente nei boschi di
Rosereccio in Valle Anzasca e sui pendii del Moncucco.
Il suo rizoma cilindrico, lungo e grosso dal colore bruno giallastro, è la parte apprezzata dall’uomo, per la pre-
senza di principi attivi amari, sotto forma di glucosidi .
Il prof. Rossi naturalista botanico ha elencato 17 varietà
di Genziane presenti nelle Valli Ossolane, il loro habitat e l’epoca di fioritura ; fra queste le più comuni sono
la G. Acaulis cosidetta per il fusto brevissimo, dall’intenso azzurro delle corolle tubulose, con riflessi metallici; la G. Verna o genziana di primavera fiorisce da marzo ad agosto nei prati umidi della Val Formazza e alle
falde del Monte Rosa da 800 fino a 3500 m. di altitudine dove i piccoli fiori dall’azzurro intenso e brillante
riuniti a chiazze spiccano sui pascoli ancora rinsecchiti dal gelo.
E’ ancora questo l’orizzonte di una profumata Liliacea
il Mughetto, messaggero della primavera. Con la bianca
e profumata fioritura abbellisce il sottobosco nelle Valli Vigezzo, Anzasca, Antigorio e Bognanco; i glucosidi
presenti, ad azione cardioattiva sono mortalmente velenosi per l’uomo.
Nel sottobosco fresco e ombreggiato a volte anche nel
prato soleggiato e scoperto, su terreno calcareo, ricco di
Gli alti boschi ai piedi del Monte Cistella.
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humus fino ad un’altitudine da 300 a 2200 m. in tutte le Valli Ossolane trova il suo habitat una Primulacea
il Ciclamino, Cjclamen purpurescens, dal solitario fiore rosso violaceo, profumato, presente da giungo a ottobre; nel tubero sta il suo veleno , il glucoside detto ciclamina e alcune saponine, il tutto è tossico e fortemente anemizzante.
Dal piano fino a 2000 m. cresce la Betulla, Betula Alba,
famiglia delle Betulacee dalla caratteristica corteccia
bianco argentea e dalla chioma rada e luminosa, formata da giovani rami flessibili, e da fogliame leggero e
brillante. In primavera compaiono i fiori maschili sotto forma di lunghi amenti gialli tremuli e ricadenti, che
differiscono dai femminili, più corti con gli stigmi rossi, il frutto sarà un piccolo achenio alato
Presente nell’Ossola nelle sue tre varietà: B. alba, B. pubescens, e B.verrucosa, è pianta adatta ad insediarsi anche in terreni inospitali e poveri, a resistere alle oscillazioni di temperatura e di umidità, al congelamento del
suolo: è una pianta pioniera, anche perché ha grandi
capacità di disseminazione e di riproduzione. Sulle vecchie Betulle ammalate vive un fungo Poliporo, il Piptoporus betulinus, che ne favorisce il disfacimento, fungo
parassita annuale che necessita della linfa della Betulla per sopravvivere, e scompare alle prime gelate. Altri
funghi compagni della Betulla sono il Boletus albidus e
il Paxillus involutus, il Cortinarius armillato.
Molteplici sono gli usi dei prodotti di questa essenza:
dalla corteccia come combustibile ed isolante, alla linfa per ricavarne zuccheri e bevande, dal legname nell’industria dei compensati, o per piccole attività artigianali, al tannino che si estrae dai suoi tessuti.
E’ questo l’habitat anche di una Cupolifera dal medio
portamento, il Carpino, che ama terreni silicei anche
aridi. Si presenta con un tronco dalla corteccia grigia e
liscia, la chioma folta, le radici superficiali, fiori maschili e femminili, il frutto è un achenio con un seme protetto da una membrana. E’ un’essenza di interesse forestale.
Abbastanza diffusa nei piani collinari, fino a 1000 m,
non avendo predilezioni di terreno, è una Tiliacea, il
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Tiglio, Tilia Cordata. Albero alto, dalla chioma notevolmente espansa, a crescita lenta, assai longevo, fino
a 1000 anni di età. Giugno è il suo mese: pendono dai
rami i fiori di colore giallastro, riuniti in radi corimbi,
intensamente profumati per la presenza una essenza, il
farnesolo che attira le api, che oltre a bottinare polline in abbondanza, svolgono anche funzione pronuba.
Del Tiglio è prezioso il legno tenero usato per utensili e la corteccia da cui si separa una fibra per funi rustiche e resistenti.
Ancora l’orizzonte sub montano è la sede del Castagneto: bosco luminoso, con le fronde chiare e, nel periodo della fioritura, a giugno, con le chiome dorate degli
amenti. Il Castagno è una Cupolifera, «l’arbul» quando è da frutto, «ul salvag» quando è ceduo, per la produzione del legname, è maestoso, raggiunge anche i 30
m di altezza e può vivere secoli; è moderatamente termofilo, legato ad un terreno acido. Prezioso alleato dell’uomo nella lotta per l’esistenza, produce buoni frutti,
legname ottimo e robusto, foglie per lettiera nella stalla, ombra tenue e riposante che ospita un ottimo pascolo ed una buona produzione di funghi: Boletus edulis
o porcino, il Cantharellus cibarius o gallinaccio, Russula Vesca che, intimamente legati agli alberi, sviluppano il loro micelio fino a contatto delle giovani radici vivendo in simbiosi detta micorrizica; di funghi si nutrono piccoli animali micofagi, come lumache, chiocciole, insetti. Quale la funzione del fungo nel sottobosco?
E nell’equilibrio della natura? Il suo ruolo in collaborazione con Batteri, è quello di decomporre gran parte della materia organica distruggendo residui vegetali
e restituendo alla terra cellulosa, lignina, cheratina per
trasformarla in Humus ed elementi e minerali semplici
che saranno riutilizzati dai vegetali superiori.
Il Fungo che vediamo spuntare fuoriterra è solamente
il corpo fruttifero che ha funzione di diffondere le spore per la riproduzione, il corpo vegetativo vive nel terreno o nel legno sotto forma di filamenti sottili, le Ife
che con il loro intreccio costituiscono il Micelio. Il Fungo è un vegetale eterotrofo che mancando di clorofilla è incapace di fare la fotosintesi ed è destinato a procurarsi il nutrimento sotto forma di composti organici
già sintetizzati da piante superiori, se le sostanze sono
assunte direttamente da altri organismi viventi, siamo
in presenza di Funghi parassiti, che forniti di ramificazioni dette “ austori “ penetrano nelle cellule dell’ospite per sottrarne le sostanze, causando alterazioni, malattie ed anche morte. Se il nutrimento è fornito da substrati morti, i Funghi si dicono saprofiti, sono invece
simbionti quelli in rapporti mutualistici con gli esseri da cui ricavano il nutrimento. La riproduzione può
avvenire per frammentazione del Micelio, e viene detta
vegetativa; la riproduzione sessuata avviene per mezzo
delle spore, formazioni leggerissime della misura di millesimi di millimetro, che portate dal vento, una di sesso
maschile e una femminile e germinando accanto, troveranno le condizioni necessarie per lo sviluppo di un micelio. Le spore sono situate sotto il cappello del Fungo
o fra le lamelle,o in piccolissimi tubuli.
Nell’ambiente fresco e umido del castagneto il sottobosco non è tipico, ma varia a seconda della luminosità,
delle caratteristiche del suolo, dell’altitudine, dell’esposizione. Si incontrano cespi di Felci, zolle di Paglietta
odorosa; tappeti di Muschi, come il Politrico; graminacee come la Festuca ovina, la Betonica officinale, arbusti di Ginestra e di Brugo e nelle zone più fresche il
Mirtillo nero.
Non si può pensare a un bosco di montagna senza pensare alle Felci. Delle Felci, Crittogame prive di fiori, di
frutti e di semi, sporgono dal suolo solamente le fronde verdi che hanno la duplice funzione, la clorofilliana
e la riproduttiva; vive nel terreno un rizoma orizzontale
da cui partono numerose radichette. Il segreto della riproduzione sta infatti sulla pagina inferiore delle fronde, su cui al momento opportuno, cioè verso la metà
dell’ estate, compaiono piccole sfere di color ruggine,
i sori nel cui interno stanno i minuscoli sporangi che
a loro volta contengono le spore che verranno lanciate
lontano anche portate dal vento e cadendo su un terreno sufficientemente umido produrranno una piccolissima lamina di colore verde detta protallo su cui si svilupperanno gli organi sessuali, gli anteridi e gli archegoni:
quando saranno maturi sarà indispensabile una goccia
d’acqua perché elementi maschili e femminili si uniscano per dare origine a una nuova pianta.
Della famiglia delle Leguminose è la Ginestra, Spartium Junceum, la pianta pioniera per la grande capacità
di colonizzazione su substrati poveri e aridi, sulle scarpate degradate dove cresce come arbusto dai grandi fiori gialli, alti sui rami, da cui prendono origine i frutti,
legumi di colore nero che contengono 12- 18 semi lucidi, marroni, velenosi, ma tutta la pianta , anche corteccia e radice è velenosa, per la presenza di un alcaloide
tossico, la citisina. Simile è la Ginestra detta dei carbonai, Citisus Scoparium dalla cui sommità fiorita si ricava la sparteina alcaloide ad azione cardioattiva.
Si nutrono dei suoi nettari farfalle come la Callistege
mi, la Callophryis rubi.
Il Brugo è il nome celtico dell’Erica, Calluna Vulgaris, che dà il nome alla sua famiglia: Ericacee. Tipica
dei terreni acidi, piccola pianta molto ramificata, dalle foglioline persistenti, spesso simili a scaglie e fiorellini bianchi o rosei molto ricercati dalle api e dalla farfalla Argo, Plebeius argo. Nelle Brughiere, su terreno siliceo crescono funghi come il Cortinarius armillato e la
Calvatia Utriformis o Vescia di lupo, saprofita che vive
a spese di resti organici.
Sempre nel sottobosco del Castagneto il Mirtillo Nero,
Vaccinium Myrtillus, piccolo arbusto che copre intere
aree fresche dei boschi anche di Conifere e Faggi, fiorisce a maggio giugno con piccoli fiori penduli rosa verdastri che forniscono un ottimo banchetto di nettare
per insetti dalla lunga proboscide, come le api, men125
tre larve di svariate farfalle si nutrono delle foglie. In
autunno le dolci bacche nere dalle delicate pruine blugrigie, ricche di vitamine e zuccheri offrono un ricco
raccolto all’uomo e agli uccelli. Nel passato dal suo succo si ricavava il colore viola da usare per tingere carta
e tessuti. Cresce sotto gli arbusti di Mirtilli un Fungo,
l’Amanita Virosa che ama terreni silicei.
Invece su terreno di preferenza calcareo cresce il Sorbo
Selvatico o Sorbus Aucuparia, famiglia delle Rosacee,
alberello dai fiori bianchi, riuniti in corimbi e da frutti
vistosi di colore rosso scarlatto appetiti dagli uccelli che
diffondono poi i semi nelle località più impensate a volte anche inaccessibili.
Superata la zona delle Querce e del Castagno, nella fascia detta montana, dove l’ambiente acquista carattere
un po’ più alpino e si incontrano i primi boschi di Faggio, Fagus Silvatica, famiglia delle Cupolifere.
La Faggeta esposta solitamente sul versante nord è la vegetazione caratteristica di un ambiente ben definito tra
i 900 e 1500 m con condizioni climatiche equilibrate;
con oscillazioni di temperatura poco accentuate, elevata umidità, poco ventilato, suolo a carattere sciolto permeabile e fresco, quando la Faggeta cresce indisturbata per lungo tempo, diventa per la sua maestosità una
tra le più belle foreste del mondo, anche ultrasecolari; può essere pura, cioè costituita esclusivamente da alberi di Faggio, o mista, per la presenza di Abete Bianco e Rosso.
Il Faggio è un albero imponente che raggiunge anche
30 – 40 m di altezza, il fusto è diritto, la corteccia è
grigia, spesso con macchie scure dovute a fitte colonie
di Licheni o di Muschi lungo il lato più umido, le foglie ovali, ondulate, rossastre. In primavera compaiono i fiori maschili, amenti biancastri e quelli femminili eretti protetti da un involucro; il frutto sarà la faggiola, racchiusa in una cupola coriacea spinosa. Molto utile all’uomo per il legname usato come combustibile ed
anche in falegnameria, per le foglie che servono per il
bestiame come lettiera, per il frutto, prezioso alimento
di animali selvatici, per il seme da cui si estrae un olio
utile per la fabbricazione dei saponi.
Il sottobosco non è molto ricco perché dove la faggeta è rigogliosa e fitta, l’ombra impedisce l’insediamen126
to di molte specie vegetali, è migliore invece dove il bosco è misto.
Fra gli arbusti si trovano il Maggiociondolo; i cespugli di Brugo, di Mirtillo, l’Erba Ginestrina. Fra le piante erbacee l’Acetosella dai fiori bianco rosati, l’Asperula dorata o Stellina odorosa, la Viola silvestre non profumata e pallida, l’Anemone epatica. Soffici tappeti di
Muschi tappezzano le radici che affiorano ed emergono
dallo strame di foglie morte, ed in autunno, al limitare
del bosco di Faggio, abbondano i Funghi come il gustoso Boleto, l’Agarico saponaceo e quello viscoso, il Pluteo Cervino in gruppi numerosi sulle ceppaie, il Cantharellus cinereus che vive in gruppi più o meno fitti
esclusivamente sotto i Faggi, le Colombine, le Rossole,
le velenose Amanite, l’Hygrophorus marzuolus, la tossica Inocybe.
Nel verde del bosco, da aprile a giugno spiccano i grappoli dorati dei fiori del Maggiociondolo, o Cjtisus Laburnum famiglia delle Leguminose che cresce fino ad
un’altitudine di 2000 m. meglio su terreno calcareo. E’
un arbusto alto da 5 a 7 m., la sua chioma consta solamente di pochi rami eretti e di numerosi getti laterali molto corti che terminano con un ciuffo di foglie da
cui fra aprile e giugno partirà l’infiorescenza spiovente, a forma di grappolo, composto da 10 a 30 fiori dalla
corolla papilionacea, nettariferi, visitati da insetti pronubi. Dai fiori prenderanno origine i frutti, maturi in
ottobre, legumi di colore bruno, lunghi 5-6 cm. contenenti 7 semi scuri, duri e molto tossici, che se ingeriti
causano vomito violento con presenza di sangue. Mentre conigli, pecore e capre si cibano impunemente delle
foglie, tutta la pianta è pericolosa per l’uomo per la presenza di citisina, alcaloide fortemente neurotossico che
dà effetti simili a quelli della stricnina, prima eccitanti,
poi paralizzanti.
Salendo fino al limite di 2000 m. ci si trova nelle Pinete,
boschi ora bui, ora luminosi, sempre profumati di resina: qui l’essenza principale è il Pino Silvestre, uno degli
alberi più comuni e familiari presente in tutta l’Ossola,
dove crescono le più belle fustaie del Piemonte. Mentre il Faggio cresce sul versante nord, alla stessa altitudine, sul versante sud, cresce il Pino, anche su terreni de-
nudati e rupestri, resistente ai venti dissecanti e ai geli
tardivi. La Conifera dalla caratteristica chioma conica,
dal tronco diritto, dalla corteccia squamosa bruno rossastra da giovane, poi color cenere, ha una poderosa radice a fittone e le laterali molto allungate, apparato radicale così espanso che lo rende resistente all’impeto dei
venti. Diventa alto fino a 40 m., e tanto longevo che
può superare 5 secoli di età. Le foglie aghiformi brevi,
persistenti per 2- 3 anni sono appaiate a due a due, le
infiorescenze maschili assomigliano a piccole pannocchie di stami gialli che per mezzo del vento diffondono abbondante polline, che si poserà sui fiori femminili. Nella primavera successiva il piccolo cono femminile
fecondato crescerà assumendo la forma di pigna, dapprima verde, poi dopo il secondo inverno le squame diventeranno scure e infine legnose; quando la pigna sarà
matura le squame si apriranno per liberare i semi che il
vento porterà lontano: disseminazione anemofila.
E’ il più prezioso dei Pini, ricco di olii essenziali, dalle screpolature della corteccia o da incisioni, cola una
oleo-resina da cui si ricava la trementina poi per distillazione si ottiene l’acquaragia. Nelle Pinete il sottobosco
può assumere aspetto quasi di steppa con piante frugalissime adatte all’aridità dell’ambiente, come Graminacee Cespitose: tappeti di Festuca ovina, buona foraggiera da pascolo, l’Erica carnea, cespugli di Ononide,
una leguminosa infestante dai fiori rosati e fusti spinosi,
Muschi, e tra i Funghi il Boletus luteus, l’Agarico detto color di terra, il Cantharellus cibarius o Gallinaccio
dal dolce profumo e dalla polpa soda e saporita, l’Hygrophorus pustulatus, Russole e Amanite, l ’Agarico rutilante esclusivo sui vecchi ceppi di Conifere che colonizza contribuendo alla loro decomposizione.
Il micelio di tutti i Boleti vive in simbiosi con le radici degli alberi, ragione per cui essi spuntano solamente nei boschi o al loro margine. Dove è più puro e più
caratteristico, questo bosco ospita la Rosa Canina con i
rossi Cinnorodi; il Crespino Berberis Vulgaris, arbusto
con fiori gialli a grappoli, frutti a forma di bacca bislunga, ricco di alcaloidi.
Il Ginepro, Juniperus Communis, è l’arbusto pioniere
proprio dei prati incolti, dei pascoli secchi, delle radure e delle brughiere fino anche al limite della vegetazio-
ne arborea, resistentissimo ai climi freddi e ventosi delle
località di alta quota, fino a 2500 m. di altitudine, dove
in condizioni quasi estreme di vita, il cespuglio assume
forma prostrata. E’ anch’esso una Conifera dalle fitte
foglie aghiformi dioica con fiori su piante maschili diverse da quelle femminili che impollinati assumeranno
l’aspetto sferico di un pisello e matureranno dopo due
anni delle pseudo-bacche dette coccole, sugose, di colore verde bluastro ghiotto cibo per gli uccelli come tordi e gallocedroni che provvederanno così alla dispersione dei semi. Uccelli, lepri, insetti, i mille deboli del bosco trovano fra i cespugli asilo e cibo.
Nell’intrigo del bosco vive anche il Juniperus Sabina:
la pianta è velenosa in tutte le sue parti, è un Ginepro
che differisce dagli altri per le foglie squamiformi, piccolissime, appiattite e per i frutti detti galbuli, di colore nero bluastro.
Ad un’altitudine di 1400 m. ambientato fin quasi a
2000. Sempre sul versante nord, cresce una Conifera
maestosa, l’ Abete Bianco, Abies Alba dal tronco diritto,
cupola conica con rami quasi orizzontali, aghi semplici,
di colore verde scuro, persistenti da 8 a 11 anni; fiorisce
in aprile-maggio con amenti maschili gialli e coni femminili verdastri, da cui origineranno pigne erette lunghe fino a 16 cm. che si distinguono per questo da quelle pendule dell’ Abete rosso. La pianta è longeva, ha le
esigenze climatiche simili a quelle del Faggio e può vivere fino a 800 anni, raggiungendo 50 m. di altezza. Gli
estesi fittissimi boschi della Valle Vigezzo sono formati
da Abete Bianco; nel suo sottobosco, detto Pecceta, crescono piante ombrivaghe come il Poliporo o Spugnola,
l’Amanita Phalloide , la specie più pericolosa di tutta la
flora fungina, l’Amanita Panterina, il Lactarius Rufus.
Una specie ancora più montana è l’Abete rosso Picea
Abies, conifera propria della fascia subalpina, sul versante nord fra 1400 e 2300 m. di altitudine. Pur essendo una pianta mesofila, resiste anche ad una siccità moderata, tollera basse temperature invernali, gelate primaverili. Il suo nome deriva dal colore rosso bruno della corteccia; una delle sue caratteristiche è la chioma
conica costituita da rami lunghi interamente coperti di
piccoli aghi verde scuro e da cui pendono pigne affuso127
late lunghe circa 10 cm. I semi alati sono affidati al vento, e per questo l’ albero si diffonde con facilità. Il tronco è diritto e solido come una colonna; i rami spesso ricadenti si caricano di Licheni dalle lunghe barbe, grigi,
neri, e gialli: barbe di Usnea o barba di bosco, ciocche
di Alectoria jubata, sui tronchi cespuglietti di Evernia
grigia e gialla, e di Pseudoevernia furfuracea.
L’Abete rosso è l’albero più longevo nell’altitudine compresa fra 800 e 1800 m ed anche il più produttivo per
il suo pregevole legname. Riunito in boschi, le Peccete,
forma uno degli ambienti più caratteristici e suggestivi
del paesaggio vegetale alpino.
I Licheni, famiglia delle Parmeliacee, Crittogame striscianti, senza rami, né fusto, né foglie, né fiori, con il
corpo vegetativo formato da un’Alga e da un Fungo in
perfetta simbiosi, cioè in una convivenza stretta di organismi diversi che traggono entrambi un vantaggio. In
questo caso le ife del Fungo si localizzano fra le cellule
dell’Alga, all’Alga verde il compito della fotosintesi clorofilliana e la formazione di carboidrati, al Fungo quello di fornire all’Alga l’ambiente umido e l’assunzione di
acqua e di sali minerali disciolti: è così che il Lichene
vive dove Alga e Fungo isolati non vivrebbero.
Diversi nell’aspetto per colore e per forma e per habitat, pionieri per eccellenza, si insediano anche sulle rocce più impervie e con la presenza di enzimi provocano
il disfacimento superficiale delle rocce iniziando così la
formazione dell’humus che permetterà in seguito l’insediamento di piante più esigenti. La riproduzione può
avvenire in tre modi: o per via vegetativa per distacco
di parti del tallo, o conidiale, per la presenza sul tallo di
picnidi nel cui interno si formano microconidi.
Importanti nell’economia del bosco perché rappresentano il cibo per molti animali, dai piccolissimi invertebrati, fino alle renne, caribù, alci nei paesaggi artici.
A causa della longevità e crescita assai lenta alcuni Licheni possono servire a datare i substrati su cui crescono, il più indicato a questa indagine è un Lichene rupicolo che cresce cioè su un substrato roccioso il Lichene
detto Geografico, il Rhizocarpum Geographicum, caratteristico per il colore giallo, con il tallo che cresce di
mezzo millimetro all’anno in forma circolare: misurando il diametro dei talli si può risalire alla loro età e al
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momento del loro insediamento sul substrato roccioso.
Il sottobosco è talora quasi desertico solo ricoperto da uno
strato di aghi secchi, oppure dallo spesso e soffice tappeto di aghi spuntano, dove penetra il sole, il Mirtillo nero,
il Mirtillo rosso, il Rododendro, il Lampone, il Rovo.
Il Mirtillo rosso, Vaccinium Vitis Idaea, famiglia delle
Ericacee è un piccolo arbusto alto da 10 a 20 cm. che
vive su terreni poveri, meglio se acidi, nel sottobosco
delle conifere fino a 3000 di altitudine formando tappeti anche molto estesi di colore verde cupo. Dai fiori bianchi e rosei riuniti in piccoli mazzi all’apice del
ramo, prenderanno origine i frutti, bacche rosse dal sapore acidulo. Volano sulle piantine di Mirtillo due specie di farfalle, la Lasiocampa Quercus e la Zigaena Exulanas che hanno effetto pronubo.
Il Rododendro, Rhododendron ferrugineum, famiglia
delle Ericacee, è molto frequente su terreni acidi, nei
pascoli ricchi di humus e anche su rocce, su burroni
sassosi, purchè ben soleggiati, sono gli arbusti contorti tipici del piano subalpino e della fascia alpina in versanti con nevi abbastanza persistenti, che invadono velocemente anche i pascoli abbandonati. La pianta è legnosa a forma di cespuglio, con pochi rami e robuste
radici, piccole foglie coriacee resistenti, di colore verde
cupo nella pagina superiore, e color ruggine sotto. In
estate compaiono i fiori di colore roseo tendente al rosso, riuniti in un corimbo alla sommità dei rami; dai fiori prenderà origine il frutto, una capsula allungata contenente numerosi piccoli semi. La pianta è velenosa in
tutte le sue parti e in modo particolare lo sono le foglie, con azione narcotica. Gli acidi speciali che produce rendono impossibile lo sviluppo alle erbacee circostanti, è invece chiamata “balsamo alpino” per la ricchezza delle sostanze volatili contenute nelle sue foglie,
e anche “rosa delle Alpi” per la bellezza della sua fioritura. Sulle foglie possono essere presenti le Galle, secrezioni rotondeggianti che si formano in seguito ad una
azione irritante provocata da un fungo, l’Exobasibium
Rhododendri, o da parassiti; sono formazioni dannose per la pianta.
Chiamati dagli Ossolani “ratagin” i Rododendri sono
molto comuni fino a coprire vaste zone di praterie alpi-
Una varietà di sassifraga.
ne come al Passo del Sempione, sulle sponde del lago di
Codelago in Alpe Devero, o su quelle del lago formato
dalla diga di Cheggio in Valle Antrona, rodoreti in Val
Vigezzo all’alpe Campra, in Valle Anzasca all’Alpe Rausa, in Valle Antigorio i “Rater” della Colmine , in Val
Bognanco i “Ratagin” dell’Alpe San Bernardo. Il prof.
Rossi nel suo studio sulla Flora ossolana cita la presenza
di due specie: il R: Hirsutum presente i Val Divedro e
qualche esemplare alla Cascata del Toce e il R. Ferrugineum il più frequente, legato al substrato siliceo. Molto più rara è la varietà Albiflora presente sul Sempione
e in Devero. Si nutre sul Rododendro una farfalla diurna, la Zigaena Exulans che può vivere fino a 3000 m.
di altitudine.
Fra le scarse piante erbacee è ospite una graziosa fragile
pianticella fiorita di campanelline rosate che per la sua
diffusione assai notevole nelle selve della Svezia, fu dedicata al botanico Linneo: la Linnea Borealis. (Linneo
naturalista svedese 1707-1778).
Abbastanza comune sono il Rovo, Rubus Fruticosus,
e il Lampone, Rubus Idaeus, famiglia delle Rosacee.
Sono arbusti con stoloni serpeggianti e rami flessuosi e
ricadenti, spinosi, che formano dei grovigli: dopo la fioritura estiva compaiono abbondanti i frutti: rosso vivo,
un po’ pelose le drupeole del Lampone, dal delizioso
profumo e dal dolce sapore; rosso-brunastre e acidule le
more del Rovo pronte da cogliere da luglio a settembre.
I Muschi sono tallofite che per la presenza di piccole foglie verdi sono autotrofe, e compiendo la funzione clorofilliana, non sono mai dei parassiti, ma quando ricoprono il suolo con fitto intreccio diventano dannosi alle piante erbacee e quando vivono sui tronchi degli
alberi, recano danno perché ricoprono le lenticelle della corteccia ostacolando il ricambio di aria e di umidità. Il loro ambiente è il sottobosco, dove hanno la loro
La Pecceta con il terreno ombreggiato e ricco di humus
è il paradiso delle Crittogame: assumono grande importanza la copertura di Muschi e la presenza di numerose specie di Funghi a terra o sulla corteccia, che vivono in simbiosi con le piante forestali: qui il Cortinarius
Traganus, la Psalliota Silvatica o Agarico dei boschi, lo
Strobilus esculenta sulle pigne interrate dell’ Abete rosso, l’Amanita Muscaria.
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importanza nell’economia della natura, talora piccolissimi, talora alti fino a 10 cm. più o meno muniti di rizoidi che hanno funzioni simili a quelli delle radici delle piante superiori, e di minuscole foglie, essi assorbono acqua in tutto corpo, trattenendone fino a 6-7 volte il loro peso secco e limitano così i dilavamenti dovuti
alle impetuose piogge. Costituiscono un microcosmo
cui si collegano fauna e flora microscopiche, sono diffusi con una infinità di forme, fino alle regioni glaciali,
comprendono circa 12000 specie, dagli Sfagni che vivono in estesissime formazioni e costituiscono le torbe,
ad altri come il Polytricum che formano nelle zone artiche le immense distese delle tundre. Ogni tipo di substrato e di roccia ha i propri Muschi che funzionano anche come indicatori dell’acidità del substrato. La riproduzione avviene o per via vegetativa per distacco di vari
rametti o di frammenti di fusto su cui si formano piccole gemme che produrranno nuove piante, oppure per
spore che raccolte nel sacco sporigeno vengono disseminate da movimenti igroscopici.
Rara nell’Ossola è la presenza del Pino Cembro Pinus
cembra sul versante sud della fascia subalpina, ma esemplari si trovano fino ai ghiacciai del Sempione, in Valle
Anzasca, in Val Formazza, nei luoghi più aspri dove non
crescono altre specie.
Infatti questa conifera non teme né le altitudini, né i rigori dell’inverno, cresce lentamente con radici profonde e vigorose, tronco diritto o contorto, alto fino a 20
m, porta strobili eretti, grossi alla sommità dei rami. La
gazza nocciolaia è il valido agente disseminatore: nasconde i pinoli per cibarsene ed alcuni, nel frattempo,
germinano.
Se la Cembreta è insediata su terreno calcareo, nel suo
sottobosco prevalgono i Ginepri, i Rododendri irsuti,
la Vitalba o Clematide alpina, l’Erica carnea, la Dafne
Striata, il dorato Eliantemo, cespuglio delle Cistacee dai
fiori gialli disposti a grappolo.
Ma l’albero alpino per eccellenza è il Larice, Abies Larix, una Conifera che raggiunge le più elevate altitudini, fino a 2500 m, sopportando inverni rigidi e prolungati. Amante della grande luce e degli spazi incontrastati, cresce proteso verso il cielo e solidamente abbarbica130
to al terreno, con le radici spesso insinuate nelle fessure
della roccia.
È l’unica Conifera che perde le foglie in autunno, difendendosi così dalla perdita di acqua per traspirazione
fogliare e resistendo ad inverni freddissimi e prolungati,
ma tollerando bene anche temperature estive abbastanza elevate. Quasi fiabesco è l’aspetto autunnale dei larici, che appaiono soffusi di un tenue colore giallo e tutto
il sottobosco si copre di uno strato soffice e fine di aghi
dorati; forse per queste note di colore il Larice è stato
chiamato il «sorriso della montagna».
Caratteristico per le sue esigenze di luce, raggiunge 40
m di altezza e due metri di diametro; ha chioma piramidale leggera e rada, tra il cui verde tenero spiccano in
primavera i giovani coni femminili, rossi. A settembre
sono mature piccole pigne diritte, marroni, con squame
circolari che custodiscono due semi tondi alati. Cresce
sulla corteccia la Letharia vulpina, un Lichene velenoso,
di colore fra il giallo intenso e il verde. Essenza molto
utile all’uomo come valido riparo per le valanghe, il suo
legname viene usato anche per la travatura delle baite.
La luce che penetra calda e riposante fra le chiome, permette e ravviva un ricco sottobosco erbaceo, utilizzato
per il pascolo; la Festuca, il Nardo, il Trifolium montanum con fiori bianco giallastri, il Trifolium alpinum
con fiori odorosi rosso porporini, ottimo foraggio ricercato dai camosci, mentre le marmotte si nutrono volentieri delle grosse radici dal sapore dolce di liquirizia. Fra
gli arbusti a cespuglio: la Rosa pendulina dalle rosse corolle prive di spine, il Lampone, la Clematide alpina dai
grandi fiori cerulei, la Dafne striata con rossi mazzetti,
Mirtilli, Rododendri, Erica carnea, molti Muschi e Licheni o corticicoli o pendenti dai rami.
Numerose le piante erbacee fiorite: risaltano con particolare evidenza le Genziane, gialle, punteggiate, rosse,
porporine, azzurre, il Giglio martagone, con l’eleganza
dei suoi fiori, l’Arnica dorata, che pur se velenosa trova
molte applicazioni nella medicina popolare.
Il suolo ricco di humus ospita funghi: varie specie di
Boleti, Lattari, l’Hygrophorus lucorum, sulle cortecce
l’Agarico bianco.
Con un graduale diradarsi di alberi, i boschi lasciano il
posto alla fascia alpina, tipica di vegetazione detta delle
piante legnose contorte, in cui la boscaglia si riduce ad
arbusti, ad una vegetazione ipsofila, amante cioè dell’altitudine, che può giungere fino a 3000 m.
E’ questa la zona del Pino montano di cui si trovano
esemplari al Sempione. È la conifera più differenziata nel comportamento, infatti dalle forme arboree alte
fino a 25 m si passa alla forma cespugliosa ed alla forma strisciante e tortuosa, a significare la lotta incessante
contro le impetuose avversità del clima. Nel sottobosco
dense compagini di Erica carnea, di Juniperus sabina
e Juniperus nana con foglie rigide e pungenti e bacche
aromatiche, crescono nelle zone più soleggiate, dove le
nevi sono meno persistenti appiattendosi al suolo per
raccogliere il calore irradiato dalla roccia del substrato.
Altro tipico bosco in miniatura è quello dovuto all’Ontano, Alnus Glutinosa, una Betulacee.
Alto circa 150 cm con folti rami e foglie che spuntano
presto, al primo sciogliersi delle nevi, ama molto l’umidità e si insidia preferibilmente sulle ripide pendici silicee, soprattutto sui versanti a nord, dove scendono le
acque dei ghiacciai e nevai disciolti.
Cresce lungo canaloni, su detriti scoperti, su greti di
torrenti, con funzione pioniera, proteggendo ed arrestando i detriti, non teme infatti la caduta di slavine,
perché i suoi rami elastici si piegano, poi risorgono indenni. E’ una essenza monoica con amenti maschili e
femminili sulla medesima pianta; le sue radici presentano delle nodosità prodotte da uno schizomicete, l’Actinomyces alni batterio che permette all’albero di fissare
direttamente l’azoto atmosferico. Il tronco è diritto con
corteccia grigiastra, screpolata, grande espansione della chioma verde fino all’autunno. Dopo l’impollinazione le infiorescenze femminili si ingrossano rapidamente originando coni tozzi, verdi, di 6 mm. di diametro,
che in autunno diverranno scuri e duri, con rigide scaglie che si apriranno per disperdere i semi. Il sottobosco
ha caratteri di provvisorietà con alte erbe: Lattuga alpina ispida fiorita intensamente di azzurro, Aconito Napello dal decorativo elevato racemo fiorifero color indaco cupo, e dalla sua pericolosa velenosità, la rara Aquilegia Alpina.
Una vegetazione frugale, altamente specializzata, incapace di vivere fuori di questo ambiente di isolamento,
esiste sulle rupi e sui detriti e sulle più aspre pietraie, e ai
margini dei nevai perenni come le Stelle Alpine e le Artemisie del Ginepì, Artemisia Spicata e Artemisia Laxa,
Semprevivi e Sassifraghe, Papaveri Alpini, Primule Alpine come la Hirsuta, Miosotide nana, e il Ranunculus
Glacialis detto Erba dei Camosci, che può giungere alla
massima altitudine di m. 4272 (per curiosità: nelle Alpi
Bernesi). Sulle rocce nude si trovano le Crittogame, microscopiche Alghe azzurre, Licheni crostosi, tappeti di
piccolissimi Muschi.
Sono vegetali che hanno trovato sistemi di difesa abilissimi: gli arbusti si fanno striscianti, con rami contorti
seguono le asperità del suolo, con robuste radici si salvano dalla furia del vento, si ricoprono frettolosamente
di neve per proteggersi dai geli invernali, protezione che
ottengono anche aumentando la quantità di zuccheri
presenti nelle cellule in modo che, con la densità, subiscano più difficilmente il congelamento: così ad esempio la Silene Acaule che vive anche a 15° sotto zero, la
Genziana Brachyphilla e alcune Androsacee che tollerano anche i meno 30°.
Un’altra difficoltà è rappresentata dalla scarsità di acqua
che d’inverno è solidificata sotto forma di ghiaccio, e in
estate evapora rapidamente sulle rocce roventi o si disseca per il vento, in questo caso la difesa consiste nel ridurre la traspirazione rimpicciolendo le foglie, rendendole impermeabili con cuticole o con lanuggini, immagazzinando liquidi in speciali organi di riserva.
Sotto la neve vengono preparate le gemme fiorali, perché l’estate sarà breve, e i fiori avranno colori molto vistosi per richiamare i pochi insetti pronubi presenti, saranno i colori azzurri a difendere dalla intensità dei raggi ultravioletti, e le superfici lucide a riflettere i raggi del
sole. Durerà poco un fiore, sarà sufficiente un acquazzone o una gelida pioggia a distruggerlo per cui non sempre il ciclo riproduttivo si compirà, anche perché i semi
potranno venire dispersi dal vento o dalle tempeste.
E più in alto nulla?
Finisce qui la vita vegetale appariscente, ma vivono sulle nevi numerose Alghe microscopiche come Diatomee
e Cloroficee che costituiscono il “Crioplancton” o Plancton dei ghiacciai.
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Per la vegetazione così impoverita, la quota massima
raggiungibile dipende dalla resistenza propria della singola specie e dalla possibilità e fortuna di trovare una
nicchia accogliente, dalla capacità di sopravvivere e riprodursi al di sopra del limite delle nevi perenni, che il
sole estivo non riesce a disciogliere. Trovano la più eccelsa e gelida dimora a queste altitudini specie simili o
addirittura le stesse delle terre polari artiche: delle 47
Fanerogame segnalate alla Capanna Vincent sul Monte Rosa (m. 3158), 10 sono comuni allo Spitzberg, arcipelago del Mar Glaciale Artico, 14 alla Lapponia; alla
Punta Gnifetti (m.4559) persistono ancora 12 specie di
Licheni, e alla Dufour (4630), ancora 6 specie, fra cui
il Rhizocarpum Geograficum.
(Queste ultime notizie sono tratte dal volume: Conosci
l’Italia : La Flora. T.C.I.)
I prati
Sul fondo delle vallate, seguendo il corso dei fiumi e dei
torrenti si estendono paesaggi aperti e luminosi, gioiosamente ricchi di fiori: le praterie che, a seconda dell’altitudine, dell’umidità, della natura e della coerenza del
substrato, presentano profonde differenze, di aspetto,
di composizione, di valore economico. Infatti servono
all’uomo essenzialmente per la nutrizione del bestiame,
secondo le esigenze, le stagioni, le consuetudini locali,
le specie di animali presenti.
Si può quindi considerare il prato come una particolare associazione condizionata dall’intervento periodico o
costante dell’uomo che nel corso dei secoli ha sottratto ampie superfici alla vegetazione naturale, eliminando piante infestanti e favorendo la crescita di foraggiere in una grande varietà di specie: prato che vai, erbe e
fiori che trovi…
La composizione di un prato è quanto mai eterogenea. Piante diverse si associano: alle Graminacee, si accompagnano Leguminose, Ranuncolacee, Composite:
Avena elatior, Erba mazzolina, Paleino odoroso, Coda
di topo con lunghe spighe cilindriche, Coda di volpe,
Piantaggine, Gramigna dei prati, Loglierello, Erba del
cucco o Silene inflata dai fiori bianchi e foglie eduli, Trifoglio pratense che si espande arrossando tutto il prato, Ranuncolacee tutte velenose od irritanti, che danno una gialla nota festosa. Sono presenti la Vulneraria,
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il Mjosotis di cui si trovano fiorite varie specie, a seconda delle altitudini, nei campi incolti e nei pascoli o sulle
rive dei ruscelli, nei prati più freschi la Viola tricolore,
Carota selvatica, Cerfoglio, Tarassaco dalla bella fioritura gialla di cui si raccolgono le giovani foglie e le tenere radici e con i semi sono dispersi dal vento, Campanule dalle corolle violette od azzurrine, Pratoline, Margherite maggiori.
Nei prati e pascoli dove, dopo la fienagione, il bestiame pascola dopo il secondo taglio del fieno, tra i corti
monconi e la più modesta vegetazione autunnale, compare la malinconica fioritura rossoviolacea dei velenosi Colchici.
Dove il prato è più prossimo al bosco fresco ed ombroso, si vedono varietà più montane: ecco il Ranuncolo
di montagna con fiori gialli dorati, la Potentilla grandiflora, la Campanula barbata, la Centaurea montana
con capolini azzurri simili al Fiordaliso, i Gerani violacei, i Carici simili alle Graminacee perchè i riuniti in
spighette.
Nei luoghi più soleggiati, con suolo meno ricco di humus, cresce l’Erba viperina con foglie e fusti ispidi e fiori rossastro azzurrini, l’Assenzio profumatissimo ed aromatico, che cresce fino a 3500 m, la pungente Carlina,
i cuscinetti profumati di Timo, la Camomilla, il Mentastro.
Nei prati più umidi ed acquitrinosi: l’Arnica gialla con
le sue proprietà medicinali, la Coda cavallina, l’Agrostide, gli Eriofori dai fiocchetti serico argentei; cominciano ad abbondare i muschi.
A queste altitudini, fino ai 1200 m esistono ancora insediamenti umani con giardini, campi di segale, di patate. Sui muretti delle mulattiere si arrampicano il Caprifoglio, la Clematide, l’Edera con le sue radici avventizie, la Pervinca e nei luoghi più umidi cresce la Ruta
dei muri, il falso Capelvenere, la Felce dolce o liquirizia
montana, la Veronica persica o scarpetta della Madonna, la Linarja alpina.
L’arrivo della primavera è annunciato da fugaci fioriture: ai margini delle nevi fondenti sbuca impaziente la
Soldanella Alpina per affermare la ripresa della vita vegetale, le fa seguito il Croco, fiorito da febbraio a maggio dai 500 ai 2700 m. Nella fioritura estiva innume-
Cuscini floreali fra le rocce.
revoli specie dai colori più vivi fanno dei prati veri e
propri giardini dagli aspetti molto diversi a seconda del
predominare di una specie o di un’altra che si impone
con i suoi colori: ora è il profumato Narciso che salendo dal basso trova il suo luogo ottimale fra 600 e 2000
m per allietare con le sue corolle stellate i prati montani e freschi; ora è il Botton d’oro o Trollius europeus, di
notevole bellezza per i suoi grossi fiori gialli lievemente
odorosi, fioriti da maggio ad agosto, velenosi per il bestiame, ma più raramente, il Tulipa australis nei prati
umidi, in val Divedro ed Antigorio.
I fiori propri di questi prati sono le varie specie di Anemoni (1000-2700 m), decorativi annunciatori della
bella stagione con le delicate corolle, anche l’Aquilegia
dalla collina fino a 2000 m, i Garofanini, la Nigritella
nigra o vaniglia di montagna dal persistente profumo
di vaniglia, i piccoli gigli di monte, Paradisea liliastrum
candidi ed eleganti.
Nei prati più freschi attorno agli acquitrini si alternano
i bianchi piumini dell’Erioforo, le Primule farinose, la
Calta dorata; presso i ruscelli i vari tipi di Orchidee, le
spighe dense e rosee della Poligonum bistorta.
Intorno a quota 2000, ove sui prati si posano le baite
degli alpeggi, la flora alpina si fa particolarmente pregiata, ricca di fiori e di piante aromatiche e medicinali: l’Aconito, gli Anemoni, le Viole, le Campanule, l’Arnica, il Ranunculus Pjreneus, le Genziane, l’Achillea,
la Pinguicola, la Stella alpina da sempre simbolo della
montagna, l’Aster alpinus, la Viola calcarata profuma-
ta di miele. Le vaste praterie naturali, che si estendono
oltre il limite superiore del bosco, sono i pascoli alpini utilizzati dal bestiame transumante: a questi alpeggi
il bestiame sale dal piano e vi permane durante i mesi
estivi per sfruttare il fieno selvatico. Dove gli animali
sostano a lungo durante la notte, avviene che i liquidi
organici si accumulino sul terreno modificandolo profondamente e determinando condizioni adatte all’insediamento di piante nitrofile, o flora ammoniacale, che
sottrae aree al pascolo, in quanto rifiutata dal bestiame;
così: il Rumex alpinus, il Cardo lanoso, il Cirsio spinescente, l’Urtica dioica. Questi pascoli sono l’ambiente
di Funghi saprofiti e parassiti, sparsi tra le erbe ed i fiori,
o nascosti fra Rododendri e Salici nani: le Vescie, l’Igroforo, l’Agarico laccato.
Nei fondovalle pianeggianti le acque glaciali rallentano il loro corso, formano laghetti o pozze che ospitano una vegetazione acquatica: Sassifraghe, Linarie, Androsacee.
Se le acque ristagnano a lungo si determina la formazione di acquitrini paludosi che col tempo si trasformano
in torbiere dal suolo inzuppato e traballante. Qui fra i
Carici e i Giunchi, affiorano distese di leggeri piumini
dell’Erioforo, cresce l’Utricularia, singolare erba filiforme con foglie adatte a catturare e digerire piccoli insetti, e la Drosera con le sue minute papille protese ad attendere la minuscola preda.
Questa in sintesi molto succinta la descrizione della flora ossolana dalla pianura alle vette più alte. Una visio-
Sottobosco.
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ne simbolica di questa ricchezza, che la natura regala
all’uomo, si ha visitando l’Alpe Veglia, l’Alpe Devero,
l’alta Val Formazza, il Sempione, la selvaggia Valgrande,
veri giardini alpini spontanei di notevole valore scientifico, dove si concentrano le più belle essenze.
E’ meraviglioso scoprire come là dove il clima rigido
rende impossibile l’esistenza dell’Uomo, la vita continui in forme splendide di una flora che, quando viene
raggiunta, incanta.
Secondo un censimento effettuato da ricercatori del
W.W.F., in Italia circa 480 piante superiori, 276 meno
evolute come i Licheni, 367 piante di Muschi, 129 specie di Epatiche, sono vicine all’estinzione.
Scrive Piero Bianucci: Non si tratta di un danno semplicemente estetico o culturale. La perdita di una specie non
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è un dramma esclusivo del poeta o del botanico. Ogni specie è un anello della lunghissima catena di forme viventi
che nel suo insieme costituisce un ambiente. L’evoluzione
ha impiegato milioni di anni per creare ognuna di queste
specie. Ogni estinzione che non rientri nel processo evolutivo naturale è un atto di violenza.
…ogni filo d’erba ha la sua storia da raccontare.
Sembra che una delle piante che non vedremo più sia la
Stella Alpina, il Leontopodium Alpinum: avviciniamola in punta di piedi, con conoscenza e rispetto:
Nella neve la sua vita,
Nel vento la sua canzone,
Nella solitudine il suo mistero,
Breve desolato canto d’amore di cui solo le stelle conoscono il segreto.