Le diagnosi difficili. Per diagnosticare una malattia bisogna rilevarne

Le diagnosi difficili.
Per diagnosticare una malattia bisogna rilevarne gli elementi caratteristici. Questi si
possono ottenere con l’ascolto attento dei sintomi, l’esame obiettivo e la richiesta di
alcuni esami indicativi selezionati in base al sospetto diagnostico. Acquisiti i dati,
scartandone alcuni e avvalorandone altri, si procede a definire la diagnosi con un
ragionamento logico deduttivo. In medicina generale non sempre è necessario
completare questo percorso diagnostico rigoroso. A volte è sufficiente la presenza di
alcuni sintomi, che il paziente stesso riconosce perché può averli già sperimentati, per
giungere facilmente alla diagnosi. Altre volte i sintomi riferiti da un malato sono
simili a quelli che altri malati riferiscono nello stesso periodo di tempo, come per
esempio quando c’è l’epidemia dell’influenza. Il medico li riconosce perché li sta
osservando ripetutamente ed è in grado di definirli anche senza l’aiuto di ulteriori
accertamenti In questi casi le diagnosi possono essere addirittura telefoniche. Altre
volte è l’osservazione di alcuni segni cosiddetti patognomonici o la presenza di un
esame alterato che consente di definire la malattia. Le indagini non sempre sono
proposte dal medico nell’ambito di uno screening scientificamente approvato: é lo
stesso paziente che le suggerisce attingendole dalla sua personale idea di routine,
frequente oggetto di controversie o di estenuanti negoziati. Il medico di medicina
generale non possiede le conoscenze teoriche e pratiche necessarie per poter
affrontare alcune patologie complesse né è in grado di utilizzare particolari strumenti
tecnologici più o meno sofisticati. In questo caso si avvale dell’aiuto di esperti: gli
specialisti. Quando i disturbi di difficile interpretazione appartengono ad una sola
malattia, una volta individuato lo specialista competente viene affidato a lui l’incarico
di condurre le ricerche adeguate. Non sempre. Talvolta sia il medico sia il paziente
hanno bisogno di sentire il parere di un altro specialista per una conferma. Può
accadere infine che i sintomi siano disomogenei e confusi, che i segni siano variabili
e confondenti, che gli esami richiesti non siano quelli indicativi o diano risultati
controversi e che gli specialisti consultati esprimano pareri discordanti. Che fare per
capire? Il medico di medicina generale è spesso chiamato ad organizzare le ricerche e
a dirigere gli attori coinvolti nella diagnosi e nella cura di malattie di difficile
interpretazione proprio perché è lui che può raccogliere e valutare i molteplici
elementi che le caratterizzano, seguendole nella loro evoluzione. Uno degli strumenti
che può utilizzare è la ricostruzione degli eventi riordinandoli in un percorso
cronologico costituito da dati clinici e da interpretazioni mediche che dovrebbero
essere integrate dalle interpretazioni del paziente, da considerare come consulente
esperto di se stesso. In questo modo il caso diagnostico si trasforma in una storia,
medica ben s’intende. Per comprendere meglio cosa accade in una storia il medico di
medicina generale può rifletterci sopra, studiandola. Può anche raccontarla ad altri
medici per sentire il loro parere, trasferendo e ricevendo nel contempo conoscenza.
Narrerò la storia di due malati che hanno avuto la stessa malattia e la cui diagnosi è
stata difficoltosa e tardiva per la presenza di molteplici fattori confondenti.
La prima storia.
Anselmo è un ragazzotto impulsivo che non tollera i mali, di qualsiasi gravità si
presentino. Appena sente un disturbo si catapulta da me o al Pronto Soccorso. Come
alcuni mesi fa. Da qualche giorno aveva febbre intermittente, mal di gola e
dolorabilità al dorso e ai lombi. Dopo le mie visite, in cui avevo adottato una strategia
d’attesa, lui per tutta risposta andò al Pronto Soccorso. Per precauzione suggerirono
l’amoxicillina che confermai. Alla visita successiva si palpavano numerosi linfonodi
al collo, alle ascelle e agli inguini. Sospettai la mononucleosi e prescrissi gli esami
principali per le febbri di origine sconosciuta. Una settimana dopo ritornò al Pronto
Soccorso perché la pelle si era coperta di macchie pruriginose. Il dermatologo
diagnosticò: verosimile pitiriasi lichenoide. C’era leucopenia con prevalenza di
neutrofili e PCR molto alta. Dopo altri dieci giorni di febbre si aggiunse rinite
mucopurulenta e dolore lombare destro, Giordano positivo. Lo inviai in Malattie
Infettive. La risposta: probabile virosi in accertamento. La febbre non cessava, era a
38,5 gradi al mattino e si attenuava la sera. Venne la tosse insistente ma sia la visita
che i raggi al torace risultavano negativi. Ormai era di casa al Pronto Soccorso e mi
portava le risposte senza diagnosi, solo febbre di natura da determinare di possibile
origine psicosomatica. Per alcune settimane lo persi di vista. Era stato finalmente
ricoverato in un piccolo ospedale di provincia. Ritornò accompagnato dai genitori,
pieno di vergogna. Mi consegnarono la lettera: “Guardi cosa ha combinato…”. Aveva
nascosto a tutti il sintomo e segno fondamentale e come se l’era procurato.
La seconda storia.
Il signor Zenobio ha 50 anni, è sposato, non ha figli. Fa il portiere di notte in un
albergo. E’ ipocondriaco e frequenta parossisticamente l’ambulatorio, perciò ogni suo
nuovo disturbo viene spontaneo ritenerlo psicosomatico. Così è per la pressione alta o
bassa a seconda delle circostanze, la pancia gonfia e dolente, la stanchezza
recidivante, le strane vertigini, i ronzii, i doloretti migranti. Qualche tempo fa per
rilassarsi andò con alcuni amici a festeggiare il Carnevale in Brasile, a Rio. Ritornò
con la febbre e la diarrea, poche scariche semiliquide. Aveva già iniziato la
ciprofloxacina da dieci giorni ma i disturbi continuavano. Alla prima di una lunga
serie di visite l’obiettività era negativa. Gli dissi di continuare l’antibiotico e
prescrissi una prima serie di esami. VES, PCR e immunoglobuline risultarono
elevate, c’era microematuria con proteinuria, negativa la coprocoltura. La diarrea si
attenuò, non la febbre, accompagnata da stanchezza e da tosse fastidiosa. Altri esami:
Salmonella tiphi O 1:40 e H 1:160. Una febbre tifoide? Raggi al torace: infiltrato
sottoclaveare sin. Polmonite interstiziale? TBC? Richiesi il ricovero per accertamenti.
Girò per alcuni ospedali ma nessuno volle ricoverarlo. Infettivologo e pneumologo
chiesero altri esami. La TAC al torace non confermò i raggi: negativa. Agitato,
disperato, riprese le frequenze assidue in ambulatorio, a tutte le ore. Parlammo a
lungo in cerca delle possibili cause dei suoi mali. Trovai strano che non si facesse
accompagnare dalla moglie. Nel timore di qualche malattia tropicale di cui non sono
competente lo inviai al centro delle malattie tropicali ma non rilevarono nulla di loro
competenza. Non mi restavano più risorse cliniche ed ero già passato a discutere di
possibili disturbi psicologici quando un giorno si infilò tra due visite e mi mostrò le
mani con i palmi chiazzati. Un sospetto tardivo: invio al dermatologo con urgenza per
non farsi scappare questo nuovo elemento. Mi suggerì un esame che mancava.
Positivo. Insiste nel dire che è stato contagiato dall’acqua sporca della piscina.
Analisi delle storie.
L’analisi di queste due storie mediche può essere facilitata se si tengono separati gli
aspetti diagnostici dalle azioni rivolte ad organizzare gli eventi ed infine dalle
interazioni di relazione tra i numerosi protagonisti delle storie.
Il percorso diagnostico.
La sifilide ha tre stadi evolutivi: primaria, secondaria e terziaria. La progressione
della malattia può essere interrotta con le cure adeguate già al primo stadio. In questo
stadio la diagnosi è di per sé semplice: il paziente riferisce al medico la presenza sul
pene di una lesione non dolente, il medico identifica la papula ulcerata caratteristica
della malattia e indaga sul comportamento sessuale del malato. Nelle donne e negli
omosessuali il sifiloma primario è meno rilevabile. Nei due casi narrati la diagnosi
giunge in ritardo per una serie di omissioni. I due pazienti non informano il medico
curante e gli specialisti. I medici d’altro canto nell’anamensi non prendono in
considerazione le malattie sessualmente trasmesse e neppure estendono l’esame
obiettivo agli organi genitali. Nella sifilide secondaria la diagnosi diventa complicata.
I sintomi sono di difficile interpretazione perché sono molteplici, la loro frequenza è
variabile, la malattia si estende a più organi e apparati con manifestazioni
proteiformi. (Vedi tabella I) La pelle può presentare eruzioni di vario aspetto che
possono trarre in inganno, gli occhi pure, ci può essere un interessamento epatico,
renale, gastroenterico, meningeo, articolare. Nei casi descritti si erano associati
disturbi non attinenti alla patologia luetica come la tosse accompagnata da rinorrea
nel primo paziente e nel secondo un infiltrato polmonare e una probabile infezione
intestinale. Nella richiesta di esami si è dimenticata la sierologia per la lue, VDRL e
TPHA, anche se si trova nelle linee guida per la diagnosi della febbre di origine
sconosciuta. I medici non trovando risposte si sono orientati verso una patologia
psicosomatica.
Gli aspetti organizzativi.
Quando il paziente presenta sintomi molteplici e persistenti che non fanno parte dei
suoi disturbi abituali, come la febbre che non scende, consulta per primo il suo
medico curante. Se la visita non conduce ad una definizione diagnostica il medico
imposta alcuni esami di base. Nella febbre di origine sconosciuta le ricerche si
orientano verso alcune malattie infettive, neoplastiche e immunologiche. (Vedi
tabella II) In seguito suggerisce gli specialisti da consultare e, se è il caso, predispone
il ricovero ospedaliero del paziente. Non sempre è così, come si nota dalle storie
raccontate. I tempi delle indagini sono troppo lunghi, ancor di più le attese per le
visite specialistiche e il ricovero viene quasi sempre respinto. La conseguenza
inevitabile è il disorientamento del paziente che tende a fare da sé. Di frequente si
reca, anche più volte, al Pronto Soccorso che non è la sede più indicata per affrontare
patologie complesse e di rado dà risposte esaurienti. Qualche volta per abbreviare i
tempi vengono consultati specialisti privati che poche volte riescono ad identificare la
causa dei disturbi del malato. Spesso ripondono che non sono di loro competenza. Il
medico di famiglia è costretto ben presto a prendere delle decisioni tra una
moltitudine di esami confondenti, diagnosi non formulate o escluse o errate, pareri
divergenti. Il medico di medicina generale dovrebbe essere il coordinatore delle
consulenze ma la comunicazione con gli specialisti è spesso difficoltosa sia per
lettera che per telefono e direttamenete a tu per tu. Manca il tempo e se si riesce a
trovarlo non sempre si trova il collega pronto a rispondere. Purtroppo questa
mancanza di tempo sottintende molte volte la poca disponibilità al confronto tra
medico curante e specialista. L’ideale serebbe soffermarsi insieme ad approfondire i
problemi del malato ‘condiviso’ nel rispetto delle reciproche professionalità. C’era
una soluzione, il Day Hospital, che facilitava la cooperazione tra curante e specialista,
ma è stato abolito non si sa bene perché. L’ultima risorsa è sperare nel ricovero in un
reparto adeguato “raccomandando” il paziente.
Gli aspetti relazionali.
Il primo ostacolo che ha impedito una diagnosi tempestiva è stato di natura
relazionale. I due pazienti hanno vergogna per il loro comportamento sessuale, lo
nascondono ai familiari per la paura che vengano a sapere: Lo nascondono anche al
medico forse per l’imbarazzo a trattare argomenti intimi, forse perché non si fidano
più di tanto: potrebbe muovere le acque chiedendo indagini e consulenze che
insospettirebbero la famiglia. La prima decisione del paziente è tacere, negare e
attendere. Alla vergogna del paziente si aggiunge spesso il pudore del medico. Se non
viene richiamata la sua attenzione da segni palesi è improbabile che il medico si
metta a visitare le parti intime tanto più se il paziente è dell’altro sesso. Il pudore di
violare l’intimità del malato è ancor più evidente nel medico di famigia perché è
considerato di casa, talvolta anche amico. L’amico accade spesso che si scordi
nell’anamnesi di chiedere cose private. La vicinanza affettiva al malato si
contrappone alla giusta distanza professionale. Eppoi il medico essendo medico di
famiglia è coinvolto nel gioco di alleanze e conflitti tra i vari componenti della
famiglia con il rischio di schierarsi. Il malato peccatore potrebbe pensare che i suoi
segreti siano poco conservati dal medico famigliare. Un altro aspetto della relazione è
il paziente che ritorna, più volte, insoddisfatto. Il medico, pressato dal paziente e
frustrato dalla mancanza o eccesso di risposte, è facile si rifugi nella comoda diagnosi
omnicomprensiva di disturbo psicosomatico. Nelle nostre storie è l’unica diagnosi
condivisa. Dai medici. Quando il paziente è stressante e noioso bisognerebbe riuscire
a fermarlo nel suo errare sconclusionato. Come? Una delle risorse del medico è
interessarsi ai problemi del paziente dedicandogli una bella visita, senza limiti di
tempo. Una visita chiarificatrice che cerchi di stimolare il paziente ad eprimere i soui
dubbi e i suoi significati. Nel contempo anche il medico può esprimere i suoi dubbi e
i suoi significati. Questa è la base per un’alleanza terapeutica che potrebbe
incoraggiare il malato ad aprirsi. Un ultimo aspetto suggerito dalle storie è la
difficoltà di relazione tra i medici coinvolti. Di relazione non ce n’è proprio. Forse
sarebbe auspicabile incentivare corsi di aggiornamento non sulle malattie ma sulle
relazioni tra medico e malato e tra medico e medico. Credo aumenterebbe l’efficacia
delle cure.
Considerazioni finali.
Il Medico di Medicina Generale nella molteplicità delle sue competenze è talvolta
chiamato a valutare sintomi e segni di difficile interpretazione. Per orientarsi si
avvale della conoscenza storica del malato e della sua famiglia che non è solo
anamnestica, orientata all’estrazione di notizie e dati utili per definire una diagnosi.
Quella che conosce è una storia complessa dove alle sue interpretazioni mediche si
aggiungono le interpretazioni, le idee, le priorità, i significati del malato. Questo tipo
di conoscenza può essere di aiuto ma può trasformarsi in un ostacolo. I rischi possono
essere multiformi. Spaziano dai pregiudizi sul paziente alla sua difesa protettiva, dalla
sottovalutazione alla stima acritica, dall’indifferenza all’eccessiva confidenza. Le
diagnosi difficili in medicina generale escono dall’ambito strettamente professionale
coinvolgendo il medico come persona umana e fragile. Soffre le mancate risposte, le
attese, gli errori, l’incomunicabilità quasi come fosse lui stesso il paziente. Questa
umanizzazione d’altra parte consente al medico di essere accolto dal malato come
guida affidabile, famigliare. Alla complessità delle diagnosi consegue la complessità
delle relazioni. Il medico in questo caso è chiamato al rispetto delle giuste distanze.
Queste hanno sì un margine di variabilità ma dentro precisi confini. Il buon medico
dovrebbe trovare l’equilibrio tra il suo essere uomo di scienza, uomo che organizza e
uomo, solamente uomo.
Verona, 28 marzo 2008
Silvano Biondani
Tabella I
Manifestazioni cliniche della sifilide.
Sifilide primaria
Sifiloma: papula non dolente che in breve va incontro ad erosione.
Localizzato di solito al pene nei maschi eterosessuali.
Non facilmente rilevabile nelle donne e negli omosessuali.
Linfodanite satellite: linfonodi duri, non fluttuanti e non dolenti.
Sifilide secondaria
Lesioni mucocutanee localizzate o diffuse.
Iniziali: macule rosa simmetriche non pruriginose.
Successive: papule spesso ai palmi delle mani e alle piante dei piedi.
Sintomi generali.
Febbre (5-8%)
Malessere (25%)
Anoressia (2-10%)
Calo ponderale (2-20%)
Faringodinia (15-30%)
Cefalea (10%)
Meningismo (5%)
Complicanze.
Epatite.
Nefropatia.
Disturbi gastroenterici.
Artrite.
Problemi oculari.
Tabella II
Esami da richiedere per la febbre di origine sconosciuta.
Da: Rousset H, La Revue du Praticien, 2002; 52: 176
Esami di primo livello.
VES, PCR, emocromo, protidogramma, transaminasi, ALP, gGT, creatinina, glicemia, Ca, Na, K, LDH, PT, PTT,
esame urine, urocultura, emoculture, HIV, PPD, Vidal Wright, Lue.
RX torace.
Eco addome.
Esami di secondo livello.
Yersinia, Borrelia, ANA, Reuma Test, crioglobuline, TSH, markers tumorali.
Da: Longoni P e Caimi V, Medicina Generale, 2003; 27: 326
Esami richiesti dal MMG:
VES, emocromo con formula, transaminasi, gGT, ALP, cretinina, esame urine e urinocoltura, FT3, FT4, TSH, Reuma
test, ANA, HIV.
Tine test, Micobatterio nell’espettorato.
RX torace, RX seni paranasali,.
ECO addome, Ecocardiografia.
Esami richiesti dal MMG e/o dallo specialista infettivologo:
Sierologia virale per EBV, CMV, epatite A B e C.
Sierologia batterica per Salmonella e Brucella, Chlamydie, Borrellia, Francisella, Coxiella, Yersinia, Listeria.
Sierologia protozoaria per Toxoplasma e Leishmania.
Coprocoltura pe Salmonella, Campylobacter e Yersinia.