BREVE STORIA DEL TEATRO
Introduzione
Il teatro ha origini antichissime, è una delle prime
manifestazioni culturali dell’uomo. Nelle prime
civiltà, infatti, il teatro è legato a questi due termini:
rito e mito.
Tutti i popoli dell’antichità celebravano feste e riti
accompagnandoli spesso con canti, danze e parti
recitate.
In Occidente la storia del teatro parte dalla Grecia, la
culla della nostra civiltà, e in particolar modo nella
città di Atene.
Le origini del teatro greco classico
L’origine probabilmente è legata ad alcune cerimonie
che si svolgevano, fin dal VII secolo a.C., in onore di
Dioniso, dio della natura e della fertilità della terra.
Durante questi riti i partecipanti danzavano,
cantavano e recitavano in coro ricoperti con pelli di
capra ed erano detti, perciò, “tragoi”, che significa
“capri”.
Dal rito alla rappresentazione
Il termine tragedia (“canto del capro”) deriva,
quindi, dai canti rituali (chiamati ditirambi) che
venivano intonati durante le processioni in onore del
dio Dioniso.
In principio i partecipanti al rito erano riuniti in un
gruppo, o meglio in un coro, che agiva
contemporaneamente.
Poi i ruoli hanno cominciato ad essere ben definiti,
per cui il rito è diventato gradualmente una
rappresentazione, cioè non più qualcosa cui si
partecipa agendo in prima persona, ma qualcosa cui
si partecipava osservando.
Alcuni individui si sono distaccati dal gruppo per
assumere dei ruoli più precisi e diventare attori, altri
hanno continuato a partecipare da spettatori.
La funzione del Coro
La funzione del gruppo era così importante che in
seguito il coro è rimasto quasi come fosse un solo
personaggio. Esso era costituito da un gruppo di
attori, spesso guidati da un capo, il corifeo.
Il coro rappresentava un vero e proprio personaggio a
più voci che dialogava con i protagonisti, esprimeva
commenti e riflessioni, raccontava al pubblico alcuni
fatti: era, insomma, la voce dell’autore.
I primi autori
La tradizione attribuisce la rappresentazione teatrale
più antica al poeta greco Tespi, il quale avrebbe
composto nel 534 a.C. il primo dialogo tra un attore e
un coro.
Secondo il poeta latino Orazio, Tespi si spostava da
una città all’altra dell’Attica con un carro sul quale
innalzava un palco; due attori con i visi dipinti
cantavano dei cori di argomento storico.
Dopo qualche tempo vi aggiunse un terzo attore, il
quale separatamente dai cori recitava dei versi.
Dopo Tespi, seguirono altri autori come Frinico,
Cherilo e Pratina.
Le forme del teatro greco: tragedia e commedia
Nel teatro greco si rappresentavano due forme di
spettacolo: la tragedia, considerata la forma artistica
più elevata, e la commedia, che presentava fatti della
vita quotidiana con personaggi popolari e si
concludeva quasi sempre con un lieto fine.
La tragedia
La tragedia metteva in scena eventi importanti e
drammatici, i cui protagonisti erano figure di altro
rango: eroi, principi, re.
Le vicende rappresentate spesso si concludevano in
modo violento, con la morte del protagonista e di
altri personaggi, e avevano lo scopo di suscitare
sentimenti di pietà e terrore negli spettatori.
Assistendo alle conseguenze dei comportamenti
negativi dei personaggi, gli spettatori riflettevano sui
misteri dell’esistenza e cercavano di sfogare le
passioni umane per raggiungere una più alta serenità.
La tragedia si diffuse col diffondersi delle grandi
feste in onore del dio Dioniso e inizialmente si
svolgevano in uno spazio nei pressi del tempio a lui
dedicato.
L’etimologia di “tragedia”
Per quanto riguarda l’etimologia della parola
trago(i)día si distinguono in essa le radici di “capro”
(trágos) e “cantare” (á(i)dô), sarebbe quindi il
“canto del capro”, forse in riferimento al premio che
in origine era consegnato al vincitore dell’agone
tragico (per l’appunto, un capretto), o al sacrificio di
questo animale, sacro a Dioniso, che spesso
accompagnava le feste in onore del dio.
Una teoria più recente fa derivare “tragedia” dal
vocabolo raro traghìzein, che significa “cambiare
voce, assumere una voce belante come i capretti”, in
riferimento agli attori.
Una terza ipotesi suggerisce che tragoidía significhi
più semplicemente “canto dei capri”, dai personaggi
satireschi che componevano il coro delle prime
azioni sacre dionisiache.
Quello che è possibile affermare con certezza è che
la radice trag- anche prima di riferirsi al dramma
tragico, fu utilizzata per significare l’essere “simile
ad un capro”, ma anche la selvatichezza, la libidine,
il piacere del cibo, in una serie di parole derivate che
si riferiscono al rito dionisiaco.
La tragedia greca classica
La tragedia fiorì in Grecia tra il VI e il V secolo a.C.
I più importanti e riconosciuti autori di tragedie
furono Eschilo, Sofocle ed Euripide, che in diversi
momenti storici, affrontarono i temi più sentiti della
loro epoca.
La tragedia greca inizia generalmente con un prologo
(da prò e logos, discorso preliminare), che ha la
funzione di introdurre il dramma; segue la parodo
(pàrodos) che consiste nell’entrata in scena del coro
attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi; l’azione
scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso
tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli
stasimi, degli intermezzi in cui il coro commenta,
illustra o analizza la situazione che si sta sviluppando
sulla scena; la tragedia si conclude con l’esodo
(èxodos).
Il teatro ad Atene
Gli spettacoli erano organizzati dallo Stato come veri
riti religiosi e si svolgevano durante le feste Dionisie
(dedicate al dio Dioniso) all’inizio della primavera.
Lo Stato affidava la messinscena delle tragedie a
cittadini ricchi che provvedevano a pagare gli autori,
gli attori, i musicisti e i danzatori.
La tragedia antica non era solo uno spettacolo, come
lo intendiamo oggi, ma piuttosto un rito collettivo
della pòlis.
Si svolgeva durante un periodo sacro, in uno spazio
consacrato (al centro del teatro sorgeva l’altare del
dio).
Le feste durante le quali avvenivano ad Atene le
rappresentazioni teatrali, dunque, erano:
1. Le Lenee, feste popolari che si tenevano in
inverno, caratterizzate dalla rappresentazione
di commedie e a volte di tragedie.
2. Le Dionisie, che si dividevano in Grandi
Dionisie e Dionisie rurali.
Le prime erano le feste più importanti, celebrate
all’inizio della primavera, in cui venivano messe in
scena sia tragedie sia commedie, e a cui potevano
assistere i cittadini di tutte le città della Grecia (ad
eccezione, si può supporre, delle città nemiche di
Atene).
Le Dionisie rurali erano invece feste di minore
importanza, organizzate durante l’inverno nei paesi
attorno ad Atene, aperte solo ai cittadini ateniesi e
nelle quali venivano rappresentate solo commedie.
La funzione e le forme del teatro ad Atene
Il teatro assunse la funzione di cassa di risonanza per
le idee, i problemi e la vita politica e culturale
dell’Atene democratica: la tragedia parla di un
passato mitico, ma il mito diventa immediatamente
metafora dei problemi profondi della società
ateniese.
Durante le Dionisie si svolgeva un agone tragico,
cioè una gara tra tre poeti, scelti dall’arconte
eponimo (uno dei magistrati più importanti ad Atene)
forse sulla base di un copione provvisorio, ognuno
dei quali doveva presentare una tetralogia composta
di tre tragedie e un dramma satiresco.
Spesso l’autore era anche attore, componeva le
musiche e dirigeva le danze.
Ogni tetralogia veniva recitata nello stesso giorno a
partire dal mattino, così che le rappresentazioni
tragiche duravano tre giorni, mentre il quarto giorno
era dedicato alla messa in scena di tre commedie.
Alla fine dei tre giorni di gara si attribuiva un premio
al miglior coro, al miglior attore e al miglior poeta.
Tutti erano invitati a partecipare: l’ingresso era
gratuito e ai cittadini più poveri era offerto un
contributo, in sostituzione della paga giornaliera
persa per assistere alla rappresentazione.
Il pubblico, che assisteva per tutto il giorno alle
rappresentazioni, si portava da casa cibo e bevande e
manifestava vivacemente il suo giudizio fischiando o
battendo mani e piedi.
Gli autori tragici
Molte opere sono andate perdute o sono giunte fino a
noi solo in frammenti.
I tre più grandi autori greci di tragedie appartengono
al V secolo a.C., quando la città di Atene visse il suo
momento di maggiore splendore: l’età di Pericle.
Eschilo (545 – 456 a.C.), Sofocle (496 – 406 a.C.) ed
Euripide (485 – 406 a.C.) rappresentano nella storia
del teatro antico modelli difficilmente ripetibili e le
loro tragedie ancora oggi vengono messe in scena nei
teatri di tutto il mondo.
Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.) viene unanimemente
considerato l’iniziatore della tragedia greca nella
sua forma matura ed è il primo dei poeti tragici
dell’antica Grecia di cui ci siano pervenute opere per
intero.
Regista, oltre che poeta, a lui viene attribuita
l’introduzione di maschera e coturni, inoltre è con
lui che prende l’avvio la trilogia, o “trilogia legata”.
Le tre opere tragiche presentate durante l’agone
erano appunto “legate” dal punto di vista
contenutistico.
Introducendo un secondo attore, rese possibile la
drammatizzazione di un conflitto. Da questo
momento fu infatti possibile esprimere la narrazione
tramite dialoghi, oltre che monologhi, aumentando il
coinvolgimento emotivo del pubblico e la
complessità espressiva.
Eschilo rimase sempre fedele ad un estremo rigore,
alla religiosità quasi monoteistica.
Nonostante i personaggi di Eschilo non siano sempre
unicamente eroi, quasi tutti hanno caratteristiche
superiori all’umano.
Sofocle scrisse, secondo la tradizione, ben
centoventitré tragedie, di cui ne restano solo sette:
Le tragedie di Eschilo
Eschilo scrisse probabilmente una novantina di
opere, ma di queste ne sono giunte ai giorni nostri
solo sette:
• I Persiani (rappresentata nel 472 a.C.)
• Sette contro Tebe (rappresentata nel 467 a.C.)
• Supplici (rappresentata nel 463 a.C.)
• Prometeo incatenato (rappresentata tra il 470
e il 460 a.C.).
• Orestea - trilogia (rappresentata nel 458 a.C.),
costituita da:
1. Agamennone
2. Coefore
3. Eumenidi
Infine possediamo circa la metà di un dramma
satiresco: I cercatori di tracce (data incerta).
Sofocle
Sofocle (496 a.C. –406 a.C.) introdusse alcune
innovazioni che riguardarono molti aspetti della
rappresentazione tragica:
 fece utilizzare i calzari bianchi e i bastoni
ricurvi,
 abolì l’obbligo della “trilogia legata”,
 introdusse un terzo attore, che permetteva alla
tragedia di moltiplicare il numero dei
personaggi possibili,
 aumentò a quindici il numero dei coreuti,
 ruppe l’obbligo della trilogia, rendendo
possibile la rappresentazione di drammi
autonomi,
 introdusse l’uso di scenografie,
 ridusse il ruolo del coro, che si defila
dall’azione,
partecipa
sempre
meno
attivamente e diventa piuttosto spettatore e
commentatore dei fatti,
 introdusse il monologo, che permetteva
all’attore di mostrare la sua abilità e al
personaggio di esprimere compiutamente i
propri pensieri.
Le tragedie di Sofocle







Antigone (442 a.C.);
Aiace (intorno al 445 a.C.);
Trachinie (data incerta);
Edipo Re (circa 430 a.C.);
Elettra (data incerta);
Filotette (409 a.C.);
Edipo a Colono (406 a.C., ma rappresentata
postuma nel 401 a.C.);
Euripide
Euripide (480 a.C. –406 a.C.) è il terzo grande
tragediografo greco.
Le caratteristiche delle tragedie euripidee sono la
ricerca di sperimentazione tecnica e la maggiore
attenzione che egli pone nella descrizione dei
sentimenti, di cui analizza l’evoluzione che segue il
mutare degli eventi narrati.
La novità assoluta del teatro euripideo è comunque
rappresentata dal realismo con il quale il
drammaturgo tratteggia le dinamiche psicologiche
dei suoi personaggi.
L’eroe descritto nelle sue tragedie non è più il
risoluto protagonista dei drammi di Eschilo e
Sofocle, ma spesso una persona problematica ed
insicura, non priva di conflitti interiori.
Le protagoniste femminili dei drammi sono le nuove
figure tragiche di Euripide, il quale ne tratteggia
sapientemente la tormentata sensibilità e le pulsioni
irrazionali che si scontrano con il mondo della
ragione.
Le tragedie di Euripide
Di Euripide si conoscono novantadue drammi;
sopravvivono diciotto tragedie e un dramma
satiresco.
I drammi superstiti sono:
 Alcesti (438 a.C.);
 Medea (431 a.C.);
 Gli Eraclidi (data incerta, forse 430 a.C.
circa);
 Ippolito ( 428 a.C.);
 Troiane ( 415 a.C.);
 Andromaca (data incerta, forse 423 a.C.
circa);
 Ecuba ( 423 a.C.);
 Supplici ( 414 a.C.);
 Ifigenia in Tauride (data incerta, forse 414
a.C. o 411 a.C. o 409 a.C.);










Elettra (data incerta, forse 413 a.C.);
Elena ( 412 a.C.);
Eracle (data incerta);
Fenicie (410 a.C. circa);
Ifigenia in Aulide (410 a.C.);
Ione (data incerta, forse 410 a.C.);
Oreste (408 a.C.);
Le Baccanti (406 a.C.);
Ciclope (data incerta, dramma satiresco);
Reso (data incerta, probabilmente apocrifo).
Il dramma satiresco
Il dramma satiresco era una delle forme, insieme
alla tragedia e alla commedia, in cui si articolava il
teatro greco classico.
Riconducibile nella sfera del culto del dio Dioniso, si
caratterizzava per una struttura abbastanza semplice
in cui il coro era costituto da elementi travestiti da
satiri caprini che si muovevano sulla scena
alternando momenti di recitazione teatrale a momenti
di vivace danza chiamata sìkinnis.
In una felice simbiosi, presentava la struttura della
tragedia e il colorito farsesco della commedia.
Le storie erano di tipo comico, a volte addirittura
parodie di episodi mitologici, che presentavano i
satiri nelle situazioni più disparate.
A noi è pervenuto un solo dramma satiresco integro,
ossia il Ciclope di Euripide. Abbiamo però anche
parte di due drammi satireschi di Eschilo (i Pescatori
con la rete e gli Spettatori o atleti ai giochi istmici) e
di uno di Sofocle (I cercatori di tracce), oltre a vari
frammenti.
La commedia
Una commedia è un componimento teatrale dalle
tematiche leggere o atto a suscitare il riso, perlopiù a
lieto fine.
La commedia, nella sua forma scritta, ha origine in
Grecia nel VI secolo a.C. e assunse una struttura
autonoma durante le feste dionisiache.
La prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad
Atene nel 486 a.C.
In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo
burlesche come le farse di Megara, composte di
danze e scherzi, e simili spettacoli si svolgevano alla
corte del tiranno Gerone in Sicilia, di cui non ci sono
pervenuti i testi.
Secondo Aristotele, che nella Poetica attribuisce ai
siciliani Formide ed Epicarmo i primi testi teatrali
comici, la commedia siracusana precedette quella
attica.
Di Epicarmo ci restano pochi frammenti di un’opera
comica (mimo).
L’etimologia di “commedia”
La parola greca “comodìa”, composta di “kòmos”
(corteo festivo) e “odè” (canto), indica come questa
forma di drammaturgia sia lo sviluppo in una forma
compiuta delle antiche feste propiziatorie in onore
delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai
culti dionisiaci.
Periodi della commedia greca
I commentatori antichi distinsero perciò tre fasi della
commedia greca:
1. commedia antica (archàia), nel periodo che
va dalle origini fino al IV secolo a.C.;
2. commedia di mezzo (mese), fino all’inizio
dell’Ellenismo (323 a.C.);
3. commedia nuova (nea), che coincide con l’età
ellenistica.
Dopo quest’ultima fase il genere comico non
scomparve, ma si ‘trasferì’ a Roma, all’interno della
cultura latina, con i commediografi latini di palliatae,
cioè commedie latine di argomento greco.
La commedia antica
Con l’espressione commedia antica s’intende la
prima fase della commedia attica che va dalle origini
fino al IV sec. a.C. e ha come massimo esponente
Aristofane.
La commedia nasce cinquant’anni dopo la tragedia,
ma si afferma solo quando essa è già decaduta. Si
divide in 5 parti:
 Prologo, recitato da una divinità che spiegava
agli spettatori quale era l’azione scenica
 Parodos, cioè l’ingresso nel coro
 Agone, cioè l’introduzione del fulcro della
narrazione
 Parabasi, cioè quando l’attore andava verso
le prime file del teatro, dove solitamente
sedevano i personaggi politici e illustri, e
incominciava a scherzare su di loro e a fargli
delle domande calde
 Esodo, cioè l’uscita del coro e la conclusione
Aristofane
Aristofane (450 a.C. circa – 388 a.C. circa) è l’unico
commediografo di cui ci siano pervenute alcune
opere complete.
Di straordinaria fantasia creativa, mescolò abilmente
tutte le forme del comico (allusioni scurrili, insulti,
travestimenti, disquisizioni accademiche ecc.)
dandoci così uno dei massimi esempi di quell’ampia
libertà di parola (in greco parresía), che fu l’essenza
stessa della commedia antica, comprensibile solo
all’interno del clima culturale della democrazia
ateniese.
Le sue due prime commedie sono state rappresentate
nel 427. In quegli anni Atene combatteva Sparta
nella Guerra del Peloponneso per mantenere
l’egemonia sulla Grecia.
Le commedie di Aristofane
Delle oltre quaranta commedie da lui scritte, solo
undici sono giunte intere sino a noi.
 Acarnesi (425 a.C.)
 I cavalieri (424 a.C.)
 Le nuvole (423 a.C.)
 Vespe (422 a.C.)
 Pace (421 a.C.)
 Uccelli (414 a.C.)
 Lisistrata (411 a.C.)
 Tesmoforiazuse (411 a.C., titolo che significa
“Le donne alla festa di Dèmetra”)
 Ecclesiazuse (393 a.C., “Le donne a
parlamento”)
 Rane (405 a.C.)
 Pluto (388 a.C.)
I temi di alcune commedie di Aristofane
Tra le commedie più note citiamo:
 Gli Acarnesi, in cui un cittadino, stanco della
guerra del Peloponneso che sembra non finire
mai, riesce a stipulare una pace personale con
Sparta;
 Le nuvole (423 a.C.), l’opera più significativa
del grande commediografo, offre, attraverso
la grottesca satira del filosofo Socrate, una
spassosa caricatura degli eccessi della scuola
socratica, chiamata in modo irriverente il
“Pensatoio” e volutamente confusa con quella
dei sofisti;
 Uccelli in cui due ateniesi stanchi delle liti in
Atene fondano una città tra la terra e il cielo,
disturbando perfino la tranquilla esistenza
degli dei;
 Lisistrata, in cui le donne proclamano lo
sciopero del sesso per far terminare la guerra
del Peloponneso.
Gli altri autori della commedia antica
Tra gli autori della commedia antica annoveriamo:
 Epicarmo (524 a.C. circa – 435 a.C.
circa), al quale erano attribuite più di
quaranta commedie, di cui ci restano solo
alcuni titoli: prediligeva la parodia di temi




mitologici, episodi dell’epos omerico e
personaggi della realtà quotidiana.
Cratino (dopo il 520 a.C. – dopo il 423
a.C.), cui sono attribuite
trentuno
commedie, non pervenuteci, e il cui stile,
pur ancora molto legato al passato,
ricorreva all’ingiuria diretta e spesso
pesante nei confronti dei propri avversari:
per la qual cosa viene considerato il
fondatore della commedia politica
Eupoli (446 a.C. circa – 411 a.C. circa),
che scrisse quattordici commedie, di cui
restano soltanto brevi frammenti: in esse
l’autore levava la sua voce di critica nei
confronti della corruzione del presente,
realtà decaduta rispetto alla grandezza del
passato, e degli uomini politici ateniesi.
Cratete (450 a.C. circa – ... ), di cui
restano dieci titoli e vari frammenti,
soprattutto
delle
Bestie,
vivace
esaltazione della vita secondo natura.
Ferecrate (seconda metà V secolo a.C.),
di cui sono rimasti 18 titoli e 250
frammenti.
La commedia di mezzo
I grammatici alessandrini raggrupparono nella
commedia di mezzo tutte quelle opere che, pur
conservando elementi della commedia antica,
anticipavano anche motivi della commedia nuova.
Per il suo carattere di transizione, quindi, e nella
mancanza di un esemplare completo, riesce
particolarmente difficile delineare i caratteri della
mese.
Dei numerosi poeti che la coltivarono - i più famosi
furono Antifane (388 a.C. circa – 311 a.C. circa),
Anassandride (400 a.C. circa - …), Alessi (IV – III
sec. a.C.) e Eubulo (IV sec. a.C.) - a noi sono giunti
solo frammenti, i quali ci possono consentire solo di
cogliere pensieri, riflessioni, scherzi raffinati e spunti
comici, ma data la loro breve estensione sono
scarsamente indicativi per delineare la struttura
drammatica delle singole opere.
Nella commedia di mezzo scomparvero la parabasi e
il coro, a volte presente come semplice ornamento.
Gli argomenti e i personaggi erano tratti dalla vita
comune.
La commedia nuova
Storicamente coincide pressappoco con l’età
ellenistica, in cui il cittadino è ridotto al rango di
suddito, ininfluente dal punto di vista politico.
I temi della commedia si adattano alla nuova realtà,
spostandosi dall’analisi dei problemi politici
all’universo dell’individuo.
I personaggi non riproducono che dei “tipi” secondo
uno schema poi divenuto classico e adattato dalla
commedia romana e, più tardi, dalla commedia
dell’arte: i giovani innamorati, il vecchio scorbutico,
lo schiavo astuto, il crapulone.
Il maggior esponente della commedia nuova
pervenutoci è Menandro. Gli altri commediografi
della nea sono Difilo (342 a.C. -291 a.C.) e
Filemone (361 a.C. – 263 a.C.).
Menandro
Con Menandro (342 a.C. ca. – 291 a.C. ca.) la
commedia perde del tutto la dimensione fantastica e
la natura mordace e satirica della fase più antica, per
assumere, pur nella finzione teatrale, caratteri di
maggiore aderenza alla realtà quotidiana e di più
spiccata attenzione alla psicologia e ai sentimenti dei
personaggi.
Egli fu autore di un centinaio di testi teatrali, dei
quali sono pervenuti soltanto cinque, ma non per
intero
 Aspis (“Lo Scudo”; pervenuta per circa una
metà)
 Dyskolos (Il Misantropo, l’unica opera
pervenuta nella sua interezza)
 Epitrepontes (“L’Arbitrato”; pervenuta in
gran parte)
 Perikeiromene (La ragazza tosata)
 Samia (La donna di Samo)
Gli attori
Solo agli uomini era consentito di recitare e infatti
essi interpretavano anche le parti femminili.
Per dare maggior rilievo ai personaggi e per esser
visti bene anche dagli spettatori più lontani, gli attori
indossavano speciali calzature, i coturni, che li
rendevano più alti.
Siccome potevano andare in scena solo in tre,
recitavano più ruoli e, a tale scopo, indossavano
maschere di cuoio e costumi che rendevano
immediatamente riconoscibili i vari personaggi.
Le maschere avevano la funzione di amplificare la
voce; infatti l’apertura per la bocca era ampia e
costruita come un piccolo megafono.
Anche gli attori delle commedie portavano costumi,
ma, dato il carattere più popolare e buffonesco di
questo tipo di rappresentazione, i travestimenti e le
maschere dovevano accentuare gli aspetti ridicoli e
grotteschi dei personaggi.
Lo spazio scenico
Inizialmente le rappresentazioni avvenivano in uno
spiazzo circolare, l’orchestra, vicino al tempio del
dio Dioniso.
In seguito i pochi sedili di legno, riservati alle
persone più importanti della comunità, furono
aumentati e disposti intorno all’orchestra, sfruttando
talvolta la pendenza naturale delle colline.
Col tempo i sedili vennero sostituiti da gradinate
costruite in muratura lungo i fianchi di una collina, in
modo che tutti potessero vedere e sentire bene (la
cavea).
Di fronte alla cavea, oltre l’orchestra, si trovava il
palcoscenico rialzato dove si muovevano gli attori.
La tragedia romana in età repubblicana
Il processo di aemulatio (consapevole imitazione),
che la letteratura latina operò nei confronti della
letteratura greca, portò i romani ad assumere come
modelli teatrali la tragedia e la commedia greche.
Pochissimi sono però i frammenti delle tragedie
d’argomento romano (fabulae pratextae) o greco
(fabulae cothurnatae) che ci sono rimasti. Sappiamo
tuttavia che molti tra i maggiori autori dell’età
arcaica si cimentarono nel genere tragico: da Livio
Andronico (284 circa a.C. - 204 a.C.) a Gneo Nevio
(270 circa a.C. - 201 circa a.C.) a Quinto Ennio (239
a.C. - 169 a.C. circa) a Pacuvio (220 a.C. - 130 circa
a.C.) ad Lucio Accio (170 a.C. - 85 circa a.C.) .
Lo stile tragico romano
La produzione di questi autori era caratterizzata da
un’estrema solennità nella lingua e nello stile, ed era
sentita come qualcosa di superiore rispetto ad altre
esperienze letterarie contemporanee. Mancavano
però nella Roma repubblicana arcaica strutture
teatrali paragonabili a quelle del mondo greco, fatto
che costrinse i tragici latini fare a meno della
presenza del coro.
La tragedia romana in età imperiale
Le uniche tragedie romane integralmente pervenuteci
sono quelle molto più tarde di Seneca (4 ca. a.C. - 65
d.C.). Basate sul mito greco, hanno come nucleo
drammaturgico la presenza di un dilemma morale e
spesso indugiano su situazioni macabre e
sanguinarie: l’impressione che suscitano è di essere
state scritte per la pubblica declamazione o per la
lettura privata, più che per essere messe in scena.
Di Seneca ci sono pervenute nove tragedie, le uniche
conservate integralmente del teatro latino (di sicura
attribuzione sono Hercules furens, Phaedra,
Troades, Phoenissae, Medea, Oedipus, Agamennon,
Thyestes, forse non autentica Hercules Oeteus): si
richiamano ai miti greci e che attingono
prevalentemente a Euripide. Una decima tragedia,
l’Octavia non è considerata autentica.
La commedia romana
Assai maggiori sono le documentazioni relative alla
commedia romana. Anch’essa annovera drammi
d’argomento romano (fabulae togatae) e greco
(fabulae palliatae), ma è solo di quest’ultimo genere
che abbiamo numerose e importanti testimonianze.
Alla commedia infatti si dedicarono molti dei
“grandi” poeti latini già menzionati, come Livio
Andronico, Gneo Nevio e Quinto Ennio; senza
dubbio, però, i maggiori comici latini furono Plauto,
Cecilio Stazio e Terenzio.
Plauto
Tito Maccio Plauto (254 ca. - 184 a.C.) innestò sul
modello della commedia attica l’esuberanza
espressiva della farsa italica.
Dei 130 testi teatrali attribuitigli, gli studiosi hanno
certificato l’autenticità di ventuno commedie, giunte
complete fino a noi, e parte una, la Vidularia, di cui
resta un solo frammento di un centinaio di versi.
Le trame delle commedie di Plauto erano
direttamente ispirate ai modelli greci (Menandro,
Filemone, Difilo e altri) e rielaborate con assoluta
libertà e con un ritmo comico straordinario,
sottolineato dai tempi ben calibrati del dialogo.
Le commedie di Plauto
Gli intrecci presentano di solito storie d’amore
complicate da tranelli, fraintendimenti ed espedienti
furbeschi. I protagonisti delle commedie plautine
sono generalmente personaggi privi di sfumature
psicologiche: tra i “tipi” più ricorrenti, esemplari
sono il soldato spaccone, il bugiardo, l’avaro, lo
schiavo astuto, il parassita. Fra le sue commedie più
note ricordiamo Amphitruo (Anfitrione), Asinaria
(La commedia degli asini), Aulularia (La commedia
della pentola), Bacchides
(Le Bacchidi),
Menaechmi, Miles gloriosus (Il soldato spaccone),
Pseudolus.
Cecilio Stazio
Cecilio Stazio (230 circa a.C. - 168 a.C.) è un
commediografo latino, nato da una famiglia di galli
insubri e trasferito come schiavo a Roma
verosimilmente nel 222 a.C.
Delle sue opere ci restano 42 titoli di palliatae
(commedie di ambientazione greca) e frammenti per
circa 300 versi.
Sappiamo che la commedia Plocium (La collana)
aveva come modello il Plokion di Menandro.
L’opera di Cecilio Stazio potrebbe essere collocata
tra la commedia più propriamente popolare e amante
del gioco linguistico di Plauto e quella più vicina al
modello
della
commedia
nuova
ateniese
rappresentata da Terenzio.
Terenzio
Publio Terenzio Afro (190 circa a.C. - 159 a.C.)
esordì come autore di teatro nel 166 a.C., e operò con
alterne fortune fino al 160 a.C.
Nel teatro di Terenzio grande rilievo hanno i temi
della comprensione e del rispetto umano, della
disponibilità verso gli altri, quei valori cioè che
venivano riassunti dai latini con il termine
humanitas.
Nei suoi testi importanza ha lo scavo psicologico dei
personaggi; le loro vicende, infatti, sono
moderatamente realistiche ed evocano contesti
tutt’altro che fantastici, rendendo le commedie
terenziane, sulla scia del modello menandreo, dei
veri e propri “drammi borghesi”.
Le commedie di Terenzio
Il suo primo testo teatrale fu Andria, messo in scena
nel 166 a.C.
Seguendo l’artificio retorico della contaminatio
(tipico delle esperienze comiche del teatro classico e
già utilizzato da Plauto) Terenzio attinse per le sue
commedie (sei in tutto, rappresentate fra il 166 e il
160 a.C.) a diversi originali greci della commedia
attica nuova, mescolando spunti narrativi e
personaggi di varie opere.
Andria, Heautontimorúmenos, Eunuchus e
Adélphoi derivano perlopiù da commedie di
Menandro, mentre Phormio ed Hécyra sono
modellate su originali di Apollodoro di Caristo.
Il teatro plautino
Il contributo più originale della commedia romana
sta nell’evidente destrutturazione del modello
formale della commedia menandrea.
Nel teatro di Plauto, infatti, si osserva una rinnovata
importanza della dimensione musicale, ottenuta
accostando a parti recitate (diverbia) altre cantate
(cantica), nonché una rottura della ormai canonica
divisione in cinque atti.
Sul teatro plautino ebbero influsso anche forme
teatrali preletterarie tipicamente italiche, come i
fescennini e l’atellana, il che ne spiega la natura assai
composita e difficilmente canonizzabile.
Il teatro terenziano
Al clima fantastico e chiassoso delle commedie
plautine Terenzio sostituì invece drammi assai più

realistici e raffinati, in cui l’introspezione psicologica
dei personaggi ricorda da vicino quella di
Menandro.
Con Terenzio il teatro da grande momento di
intrattenimento popolare divenne cassa di risonanza
dei nuovi valori espressi dal circolo degli Scipioni.
Successivamente il teatro comico a Roma decadde,
lasciando maggior spazio al mimo, genere che ebbe
notevole successo in età cesariana - della quale si
ricordano i mimografi Decimo Laberio (106 a.C. 43 a.C.), Publilio Siro (data incerta, I secolo d.C.) e
Gneo Mazio (fine del II secolo a.C. – inizio del I
secolo a.C.) - e anche in età romana imperiale.
Il teatro nel Medioevo
Nel Medioevo, la tragedia e la commedia, come
quasi tutti i generi letterari classici, scompaiono,
travolti in parte dal crollo del mondo greco-romano,
in parte dalla diffidenza della Chiesa nei confronti
delle opere di carattere “pagano”. Non scompare,
però, e non poteva essere diversamente, il teatro,
inteso come azione scenica, cioè come
rappresentazione di eventi, anche di breve durata. Il
dramma di carattere religioso, quello che farà
rinascere il teatro, nasce in occasione di particolari
festività religiose (in particolare i riti della settimana
di Pasqua) al fine di spiegare meglio il messaggio
cristiano al popolo che non comprendeva il latino.
Gli autori sono spesso anonimi, ma non mancano
interessanti figure di letterati, come la monaca
tedesca Rosvita (935 ca. - 973 ca.) e Jacopone da
Todi (1236 circa –1306).
Gli aspetti fondamentali del teatro medioevale furono
la drammatizzazione, i motivi teatrali religiosi, una
componente liturgica e didattica e uno sviluppo di
una forma drammatica in volgare.
Il teatro nel Rinascimento
Il Rinascimento fu l’età dell’oro del teatro per molti
paesi europei (in particolare in Italia, Spagna,
Inghilterra e Francia), rinascita preparata dalla lunga
tradizione teatrale medioevale.
In questo periodo si assiste ad un fenomeno di
rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione
teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti,
nelle piazze e nelle università in molteplici forme,
dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte
quattrocentesche.
La commedia rinascimentale in Italia
Autori di commedie in Italia furono:
 Niccolò Machiavelli (1469 –1527), che
scrisse La Mandragola e Clizia;







il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena
(1470 – 1520), che scrisse La Calandria;
Donato Giannotti (1492 – 1573);
Annibal Caro (1507 – 1566), che scrisse Gli
Straccioni;
Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca
(1503 – 1584;
il nobile senese Alessandro Piccolomini
(1508 – 1579);
Pietro Aretino (1492 – 1556), che scrisse La
Cortigiana;
Ludovico Ariosto (1474 – 1533);
Angelo Beolco detto Ruzante (1496 – 1542).
.
La tragedia rinascimentale in Italia
Composero tragedie di carattere epico:
 Gian Giorgio Trissino (1478 – 1550), che
scrisse Sofonisba;
 Giambattista Giraldi Cinzio (1504 – 1573),
che scrisse l’Orbecche;
 Sperone Speroni (1500 – 1588), che scrisse
la Canace;
 Torquato Tasso (1544 – 1595), che scrisse
l’Aminta e Re Torrismondo;
 Giovan Battista Guarini (1538 - 1612), che
scrisse il Pastor fido.
In questo periodo si assiste ad un fenomeno di
rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione
teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti,
nelle piazze e nelle università in molteplici forme,
dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte
quattrocentesche.
La svolta cinquecentesca
La commedia cinquecentesca subì una svolta nel
1582, quando a Parigi venne pubblicato Il Candelaio
di Giordano Bruno ricco di caratteristiche anomale
e trasgressive.
Con la ripresa del teatro si cominciarono a costruire
anche degli spazi atti a contenere scenografie, alle
volte anche molto complesse: in questo periodo
vennero costruiti nuovi teatri, l’esempio più eclatante
è il Teatro Olimpico di Andrea Palladio che si trova
a Vicenza dove ancora oggi viene conservata la
scenografia originale cinquecentesca di Vincenzo
Scamozzi dell’Edipo re di Sofocle, opera con la
quale fu inaugurato il teatro nel 1585.
Il teatro nel XVII secolo: Francia
Il Seicento fu un secolo molto importante per il
teatro.
In Francia nacque e si consolidò il teatro classico
basato sul rispetto delle tre unità aristoteliche di
tempo, di luogo e d’azione).
La grandiosa opera drammatica di Pierre Corneille
(1606 - 1684) già delineò un gusto teatrale francese e
aprì le porte al siècle d’or, ben rappresentato dalla
commedia di Molière (1622 - 1673), di costume ma
soprattutto di carattere, frutto di un’acuta
osservazione e rappresentazione della natura umana e
dell’esistenza, e dalla tragedia alta, umana e
tormentata di Jean Racine (1639 - 1699).
Pierre Corneille
Pierre Corneille (1606 –1684) agli inizi della
carriera teatrale si dedica esclusivamente cosiddetta
“commedia eroica”. Nel 1629, il primo e il più
intricato dei suoi drammi, Mélite, è rappresentato a
Parigi con successo. Seguono Clitandre (1631), La
vedova (1632), La galleria del palazzo (1633), La
serva (1634) e La Place Royale (1634).
Nel 1635 esordisce nel genere tragico con Medea,
ma non tralascia però la commedia, nella quale si
prova nuovamente con L’illusione comica (1636),
uno dei suoi capolavori.
Le Cid, rappresentato all’inizio del 1637, ritenuto
tuttora il suo capolavoro assoluto, lo consacra
maggior poeta di teatro del suo tempo.
Una delle sue migliori commedie, Le Menteur (Il
bugiardo), scritta nel 1643, influenzerà Goldoni e
Molière. Seguono molte tragedie, tra cui Rodoguna
(1644) e Nicomede (1650), entrambe coronate da
successo.
Dopo questo periodo, la sua vena si esaurisce,
lasciando sazio al suo giovane rivale Jean Racine.
Molière
Molière, pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin
(1622 - 1673), attore e allo stesso tempo
drammaturgo, ricercò uno stile di scrittura e
recitazione meno legato alle convenzioni dell’epoca,
e proteso verso una naturalezza realistica, che
descrivesse al meglio le situazioni e la psicologia dei
personaggi.
Queste idee, che si realizzeranno in seguito nel teatro
borghese, cominciano ad emergere con forza ne La
scuola delle mogli (1662) e ne Il misantropo (1666) .
Un nuovo stile che Molière accompagna con una
critica feroce della morale dell’epoca, cosa che
impedì a lungo alla commedia Il tartufo (1664) di
essere rappresentata in pubblico.
La sua acuta osservazione della realtà fu spesso per
Molière fonte di guai, specialmente quando i nobili
oggetto delle sue satire si riconoscevano nei suoi
personaggi.
L’aspirazione di Molière fu quella di dedicarsi a
sviluppare un nuovo tipo di commedia, che porterà in
seguito alla nascita della commedia di costume
moderna, ispirata agli accadimenti quotidiani, scritta
in prosa e che obbedisca alla verosimiglianza.
Tra le altre opere famose annoveriamo Le preziose
ridicole (1659), La scuola dei mariti (1662), L’avaro
(1668), Il borghese gentiluomo (1670), Le furberie
di Scapino (1671) e Il malato immaginario (1673).
Jean Racine
Jean Racine (1639 - 1699) nel 1664 rappresentò la
sua prima tragedia, Tebaide o i fratelli nemici e
l’anno seguente Alessandro il Grande, mentre due
anni dopo rappresentò al Louvre Andromaca.
Nell’arco di dieci anni Racine scrisse opere
immortali: Berenice (1670), Mitridate (1673),
Ifigenia in Aulide (1674),
Fedra (1677),
considerato il suo capolavoro.
Dopo anni di silenzio, nel 1689, compose un dramma
sacro, Esther, e nel 1691 la sua ultima opera, Atalia.
Nel teatro di Racine l’azione si sviluppa secondo la
logica delle passioni; l’amore che si trasforma in odio
e in furore costituisce il tema predominante.
Il teatro nel XVII secolo: Spagna
Non meno significativa fu l’impronta lasciata dal
teatro seicentesco spagnolo, dalla imponente
produzione del maestro Lope de Vega (1562 - 1635),
fondatore di una scuola che ebbe in Tirso de Molina,
pseudonimo di Gabriele Téllez (1579 - 1648) con il
suo L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra,
e in Pedro Calderón de la Barca (1600 - 1681) con
le sue vette poetiche immerse nella realtà, nel sogno
e nella finzione, i migliori discepoli.
La Commedia dell’Arte in Italia
In Italia il teatro dei professionisti, i comici della
Commedia dell’arte, soppiantò il teatro erudito
rinascimentale.
Per circa due secoli la commedia italiana rappresentò
il “Teatro” per il resto d’Europa.
Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti,
erano tenute all’aria aperta con una scenografia fatta
di pochi oggetti. Gli spettacoli erano gratuiti e
finanziati tramite donazioni. Le compagnie erano
composte di dieci persone: otto uomini e due donne.
Le maschere principali erano: Arlecchino,
Balanzone, Brighella, Colombina, Pantalone,
Pulcinella e Stenterello.
Sempre in Italia c’erano già delle prove di
tragediografi come Federico Della Valle e Carlo de’
Dottori e anche commediografi ancora legati alle
corti come Jacopo Cicognini alla corte fiorentina dei
Medici.
Il teatro elisabettiano in Inghilterra
Il teatro elisabettiano è stato uno dei periodi artistici
di maggior splendore del teatro britannico.
Esso viene collocato tradizionalmente fra il 1558 e il
1625, durante i regni dei sovrani britannici
Elisabetta I d’Inghilterra e Giacomo I
d’Inghilterra.
Il teatro di tutto il periodo viene tradizionalmente
associato al drammaturgo William Shakespeare
(1564 - 1616).
Altri esponenti del teatro elisabettiano furono
Christopher Marlowe (1564 - 1593) e Thomas
Kyd (1558 -1594). Il vero rivale di Shakespeare fu
tuttavia Ben Jonson (1572 - 1637), le cui commedie
furono anch’esse influenzate dalla Commedia
dell’Arte.
Marlowe, Kyd e Jonson
Nei drammi di Marlowe si rispecchia il risultato di
una vita così misteriosa ed estrema: i suoi personaggi
risentono di una brama insana di potere (come nel
Tamerlano il grande I e II), una sfrenata sensualità
(Edoardo II), nella sete infinita di potere (Doctor
Faustus).
Della produzione drammaturgica di Kyd rimane un
solo testo, fondamentale per il teatro inglese, La
tragedia spagnola, nel quale Kyd elabora i temi
della tragedia di vendetta. I toni del dramma, in linea
con la produzione inglese dell’epoca, risentono delle
atmosfere cupe e sanguinarie, indice di un gusto per
l’estetica spettacolare assai differente dalla
produzione drammaturgica europea coeva.
Jonson, invece, nel 1598 scrisse la commedia
Ognuno nel suo umore, il suo primo vero successo.
Nel 1616 curò personalmente la pubblicazione delle
sue opere in un unico volume (The Works): Jonson
sarà l’unico drammaturgo elisabettiano ad
intraprendere una simile raccolta.
William Shakespeare
William Shakespeare (1564 - 1616) è il massimo
esponente del teatro elisabettiano ed è considerato
tuttora uno dei maggiori autori teatrali a livello
mondiale.
Si ritiene che sia uno dei pochi scrittori capaci di
eccellere sia nelle tragedie sia nelle commedie, oltre
ad essere uno dei pochi capaci di combinare il gusto
popolare con la complessa caratterizzazione dei
personaggi, poetica e profondità filosofica.
Le sue opere sono state tradotte nelle maggiori lingue
e inscenate in tutto il mondo.
Inoltre è lo scrittore maggiormente citato nella storia
della letteratura inglese e molte delle sue espressioni
linguistiche sono entrate nella lingua quotidiana
inglese.
Le opere teatrali shakespeariane: tragedie
 Romeo e Giulietta (1591 - 1596)
 Macbeth (1603 - 1606)
 Re Lear (1603 – 1606)
 Amleto (1599 - 1600)
 Otello (1603)
 Tito Andronico (1593)
 Giulio Cesare (1599)
 Antonio e Cleopatra (1606)
 Coriolano (1607)
 Troilo e Cressida (1602)
 Timone di Atene (1607)
Le opere teatrali shakespeariane: commedie
 La commedia degli errori (1592)
 Tutto è bene quel che finisce bene (1603)
 La dodicesima notte (1602)
 Come vi piace (1599)
 Sogno di una notte di mezza estate (1595)
 Molto rumore per nulla (1599)
 Misura per misura (1603)
 La tempesta (1611)
 La bisbetica domata (1593)
 Il mercante di Venezia (1596)
 Le allegre comari di Windsor (1597 - 1600)
 Pene d’amore perdute (1594)
 I due gentiluomini di Verona (1594)
 Pericle principe di Tiro (1608)
 Cimbelino (1609)
 Il racconto d’inverno (1594-1610)
Le opere teatrali shakespeariane: drammi storici
 Riccardo III (1592)
 Riccardo II (1595)
 Enrico VI, parte I (1590)
 Enrico VI, parte II (1590)
 Enrico VI, parte III (1590)
 Enrico V (1599)
 Enrico IV, parte I (1597)
 Enrico IV, parte II (1598)
 Enrico VIII (1612)
 Re Giovanni (1596)
Il teatro nel Settecento
Fu un secolo buio per quanto riguarda la Spagna, ben
lontana dai fasti dei periodi precedenti, transitorio per
la produzione britannica ad esclusione delle
legitimate comedy, delle commedie giovanili di
Henry Fielding (1707-1754) e delle innovazioni
tecniche di David Garrick (1717-1779), illuminista
nei drammi tedeschi di Gotthold Ephraim Lessing
(1729-1781), che scrisse le commedie Minna von
Barnhelm (1767), Miss Sara Sampson (1775) e
Nathan il saggio (1779), in cui espone i suoi ideali di
solidarietà e tolleranza, e la tragedia Emilia Galotti
(1772).
In Francia, invece, fu un’età ricca di riforme ed
innovazioni.
Il teatro francese nel Settecento
Nel frattempo in Francia l’arte drammatica si era
evoluta con la comédie larmoyante di Pierre-Claude
Nivelle de La Chaussée (1692 - 1754), “inventata”
dal drammaturgo elisabettiano inglese Thomas
Heywood (1570 circa - 1641), e il dramma
rivoluzionario di Pierre-Augustin Caron de
Beaumarchais (1732 – 1799), l’inventore del
personaggio di Figaro ripreso da Mozart e Rossini.
Il Settecento pose le basi anche dello sviluppo teorico
della recitazione e della funzione dell’arte teatrale
per la società. Il teorico di maggior prestigio fu Denis
Diderot (1713 – 1784), filosofo illuminista, ma
anche autore di tre testi teatrali che s’inseriscono nel
nuovo filone del dramma borghese.
Il teatro italiano nel Settecento: la commedia
La situazione italiana dopo un lungo secolo di
Commedia dell’Arte dedicò l’inizio di questo secolo
all’analisi delle forme teatrali e la riconquista degli
spazi scenici di una nuova drammaturgia che
oltrepassasse le buffonerie del teatro all’improvviso.
All’inizio del XVIII secolo la commedia cortigiana
s’avvale della produzione della scuola toscana della
commedia detta “pregoldoniana” del fiorentino
Giovan Battista Fagiuoli (1660 - 1742) e dei senesi
Girolamo Gigli (1660 - 1722) e Jacopo Nelli (16731767).
Il teatro italiano riprese un ruolo di primo piano
all’interno del panorama europeo, nel melodramma
con Pietro Metastasio (1698-1782) e nella
commedia con Carlo Goldoni (1707-1793).
Carlo Goldoni
Il veneziano Carlo Goldoni (1707-1793) fu un
riformatore e uno sperimentatore, spaziando dalla
commedia di carattere a quella di ambiente, dalla
drammaturgia borghese a quella popolare, dal
commedia dialettale esaustiva alla rappresentazione
della realtà veneziana focalizzata nelle contraddizioni
sociali, politiche e economiche.
La sua carriera da commediografo vanta, oltre a 200
opere teatrali scritte nei dialetti e in italiano, la
responsabilità di una gran riforma del teatro, che
passa dalla Commedia dell’Arte, caratterizzata da
improvvisazione e da maschere, a una commedia
basata su testi interamente scritti e su personaggi che
cominciano a sviluppare una loro individualità.
Le commedie di Carlo Goldoni
Tra le commedie più note annoveriamo:
 Il servitore di due padroni (1745),
 La bottega del caffè (1750),
 La locandiera (1750),
 Il teatro comico (1750),
 Il campiello (1755),
 I rusteghi (1760),
 Il sior Todero brontolon (1762),
 Le baruffe chiozzotte (1762),
 Il ventaglio (1763).
Il teatro italiano nel Settecento: la tragedia
In Italia non era mai esistita una tradizione tragica
alla quale ricondursi, anche il Cinquecento aveva
espresso ben poco oltre Trissino, Guarini e un
Tasso decisamente minore rispetto a quello della
Gerusalemme liberata.
In compenso esisteva un ampio patrimonio tragico
all’interno del melodramma, ma che non rispondeva
certo alle esigenze di coloro che ammiravano il
secolo d’oro francese di Corneille e Racine.
Uno dei migliori tragediografi italiani del Settecento
prima di Vittorio Alfieri (1749 - 1803) furono
Antonio Conti (1677 - 1749), autore di quattro
tragedie di argomento romano (Cesare, Giunio
Bruto, Marco Bruto, Druso) e Scipione Maffei
(1675 - 1755), che scrisse La Merope, la tragedia
italiana più rappresentativa di questo inizio secolo, e
aprì le porte alla tragedia di Alfieri.
Va anche ricordato Pier Iacopo Martello (1665 1727), che si rifà al teatro francese del Seicento.
Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri (1749 - 1803), terminata
l’Accademia militare a Torino, e dopo un lungo
giovanile vagabondare in vari stati dell’Europa, nel
1775 rientra nel capoluogo piemontese e si dedica
allo studio della letteratura; completa così la sua
prima tragedia, Antonio e Cleopatra, che registra un
grande successo; seguiranno poi Antigone, Filippo,
Oreste, Saul, Maria Stuarda, Mirra.
La fama delle sue tragedie è legata alla centralità del
rapporto
libertà-potere
e
all’affermazione
dell’individuo sulla tirannia.
Una profonda e sofferta riflessione sulla vita umana
arricchisce la tematica quando il poeta si sofferma sui
sentimenti più intimi e sulla società che lo circonda.
Il romanticismo in Germania
Il teatro europeo all’inizio dell’Ottocento fu
dominato dal dramma romantico.
Gli ideali romantici vennero esaltati in modo
particolare in Germania.
Nel romanticismo si situano Johann Wolfgang von
Goethe (1749 - 1832) e Friedrich Schiller, che
videro nell’arte la via migliore per ridare dignità
all’uomo.
Degli ideali romantici e neoclassici si nutrirono
molte tragedie di soggetto storico o mitologico.
Di Goethe ricordiamo i drammi Götz von
Berlichingen, Ifigenia in Tauride, Faust - Parte 1 e
Faust - Parte 2.
Schiller è noto per i drammi I Masnadieri, Intrigo e
Amore, Don Carlos, la trilogia Wallenstein, Maria
Stuart, La Pulzella d’Orléans, La sposa di Messina,
Guglielmo Tell.
Il romanticismo in Italia e Inghilterra
Al romanticismo teatrale fecero riferimento anche gli
autori italiani come Alessandro Manzoni (1785 1873) con tragedie come l’Adelchi e Il Conte di
Carmagnola, oltre a Silvio Pellico (1789 - 1854)
con la tragedia Francesca da Rimini.
Molto importante fu anche il teatro romantico inglese
fra i maggiori rappresentanti ci furono Percy Bysshe
Shelley (1792 - 1822), John Keats (1795 - 1821) e
Lord George Gordon Byron (1788 -1824).
Anticonformismo e innovazione
L’Ottocento è anche il secolo degli anticonformisti
sia a livello artistico sia nella giustizia sociale, ben
rappresentati dal society drama portato in scena da
Oscar Wilde (1854 - 1900), di cui ricordiamo le
commedie Il ventaglio di Lady Windermere, Una
donna senza importanza, Un marito ideale,
L’importanza di chiamarsi Ernesto, e degli
innovatori come Georg Büchner (1813 - 1837),
autore della tragedia La morte di Danton e della
commedia Leonce e Lena, che precorsero il dramma
novecentesco.
Il teatro naturalista e verista
In Inghilterra, in Francia ed in Italia, in concomitanza
con la nascita del naturalismo e del verismo (perenne
ricerca della realtà in maniera oggettiva), intorno alla
metà del secolo le grandi tragedie cedettero il posto
al dramma borghese, caratterizzato da temi
domestici, intreccio ben costruito e abile uso degli
espedienti drammatici.
Il maggiore esponente del teatro naturalista fu Victor
Hugo (1802 - 1885), che scrisse Cromwell, Hernani,
Lucrezia Borgia, Ruy Blas, I Burgravi. Il teatro
verista fu rappresentato da Giovanni Verga (1840 1922), che scrisse I nuovi tartufi, La lupa, Mastrodon Gesualdo, Cavalleria rusticana, Dal tuo al mio.
In America Latina l’argentino Florencio Sánchez
(1875 - 1910), che scrisse La straniera, In famiglia,
Giù per la china, seguì la loro scuola e si mise in
evidenza.
Il primo Novecento
Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana
della centralità dell’attore.
Il teatro della parola si trasforma in teatro dell’azione
fisica, del gesto, dell’emozione interpretativa
dell’attore con il lavoro teorico di Kostantin
Sergeevič Stanislavskij (1863 - 1938) e dei suoi
allievi, tra cui Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d
(1874 - 1940).
Il Novecento aprì anche una nuova fase che portò al
centro dell’attenzione una nuova figura teatrale,
quella del regista che affiancò le classiche
componenti di autore e attore.
Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati
l’austriaco Max Reinhardt (1873 - 1943), il francese
Jacques Copeau (1879 - 1949)e l’italiano Anton
Giulio Bragaglia (1890 - 1960).
Panoramica del primo Novecento
Nacquero nuove forme di teatro come il teatro della
crudeltà di Antonin Artaud (1896 - 1948), la
drammaturgia epica di Bertolt Brecht (1898 - 1956)
e, nella seconda metà del secolo, il teatro
dell’assurdo di Samuel Beckett (1906 - 1989) e
Eugene Ionesco (1909 - 1994) modificarono
radicalmente l’approccio alla messa in scena e
determinano una nuova via al teatro, una strada che
era stata aperta anche con il contributo di autori del
calibro di Jean Cocteau (1889 - 1963), Robert
Musil (1880 - 1942), Hugo von Hofmannsthal
(1874 - 1929), gli scandinavi August Strindberg
(1849 - 1912) e Henrik Ibsen (1828 - 1906); ma
coloro che spiccarono tra gli altri, per la loro
originalità furono Frank Wedekind (1864 –1918)
con la sua Lulù e Alfred Jarry (1873 - 1907),
l’inventore del personaggio di Ubu Roi.
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht (1898 - 1956) è considerato il più
influente drammaturgo, poeta e regista teatrale
tedesco del XX secolo.
Il teatro di Brecht fu all’inizio molto influenzato
dall’Espressionismo, ma le sue opinioni politiche lo
portarono a sviluppare la teoria di un “teatro epicodidascalico”, in cui lo spettacolo era messo al
servizio dello spettatore che non doveva
immedesimarsi nella rappresentazione, ma veniva
stimolato a tenere una distanza critica per riflettere su
quello che si vedeva in scena. Per questo tutto nello
spettacolo doveva creare un effetto di straniamento,
un distacco critico che permettesse allo spettatore di
imparare.
Il suo teatro offriva una grande varietà di storie e casi
umani, oppure rivisitazioni di drammi storici che
sapevano incantare il pubblico per la loro arguzia,
modernità e impostazione scenica.
Tra le opere più note citiamo Tamburi nella notte
(1922), L’Opera da tre soldi (1928), Ascesa e caduta
della città di Mahagonny (1929), Madre Coraggio e
i suoi figli (1939), Vita di Galileo (1938-43).
Samuel Beckett
L’opera di Samuel Beckett (1906 - 1989) è
caratterizzata da un immagine profondamente
pessimistica della condizione dell’uomo nell’odierna
civiltà e il suo stile è essenziale e attraversato da
lampi di tragico umorismo.
Aspettando Godot (1953) è senza dubbio la più
celebre opera teatrale di Samuel Beckett nonché uno
dei testi più noti del teatro del Novecento.
Altri suoi testi sono Desideri umani (1937),
Eleutheria (1947), Finale di partita (1957),
L’ultimo nastro di Krapp (1958), Giorni felici
(1961), Commedia (1963), Passi (1975).
Nel 1969 ha vinto il premio Nobel per la letteratura.
Eugene Ionesco
Attraverso il teatro Eugène Ionesco (1909 - 1994),
scrittore e drammaturgo francese di origini rumene,
si interroga sulla vita e sulla morte, esplora il reale.
Debuttò come commediografo con La cantatrice
calva (1950), commedia in un atto e 11 scene,
definita dallo stesso autore “anticommedia”.
Seguirono gli atti unici La lezione (1951), Le sedie
(1952), Vittime del dovere (1953) e le prime
commedie in tre atti: Amédée o come sbarazzarsene
(1954), e Jacques o la sottomissione (1955).
Ionesco mostra la società umana come priva di realtà
e ne rappresenta gli aspetti fenomenici solo per far
vedere il nulla che sta sotto di essa.
In Sicario senza paga (1957) e Il rinoceronte
(1959), la sua commedia forse di maggior successo,
il messaggio si fa esplicito, ma intellettualizzandosi
perde il fascino dell’ambiguità e la forza
rappresentativa.
Atmosfere più autentiche sono nei lavori successivi:
Il re muore (1962), La sete e la fame (1966),
Macbeth (1972).
Jean Cocteau e Robert Musil
Jean Cocteau (1889 - 1963) è stato un poeta,
romanziere e drammaturgo francese. Fu anche
designer, regista, sceneggiatore e attore.
La sua versatilità, la sua originalità e la sua enorme
capacità espressiva gli portarono il plauso
internazionale.
Tra le sue opere teatrali ricordiamo quelle dedicate al
teatro classico: Antigone (1922), 1924 Roméo et
Juliette (1924), Orphée (1926), ma anche I parenti
terribili (1938).
Di Robert Musil (1880 - 1942) ricordiamo le
commedie I fanatici (1921) e Vinzenz e l’amica
degli uomini importanti (1923).
Hugo von Hofmannsthal
Hugo von Hofmannsthal (1874 - 1929) dal 1901 si
volse esclusivamente al teatro, attraverso una serie di
rielaborazione in chiave moderna di tragedie greche:
Elettra (1904) e Edipo e la Sfinge (1906). In
Ognuno, il dramma della morte del ricco (1911) vi è
l’influenza dei misteri medievali e del teatro barocco.
Da segnalare anche Il cavaliere della rosa 1911) e
Arianna a Nasso (1912), prototipi di una nuova
forma di dramma musicale, in cui il testo letterario ha
una
sua
autonoma
validità
poetica.
Del 1921 è L’uomo difficile, imperniato sulla figura
di un aristocratico il cui destino appare legato a
quello della monarchia asburgica ormai alla fine.
Il problema della responsabilità sociale del singolo è
affrontato ne Il gran teatro salisburghese del mondo
(1922) e La torre (1925) ispirati al teatro di
Calderón de la Barca.
August Strindberg
Per la vastità e la rilevanza della produzione lo
svedese August Strindberg (1849 - 1912) è all’apice
della tradizione letteraria scandinava e raggiunge per
riconoscimento unanime un seggio tra i massimi
artisti letterati del mondo.
Dopo aver esordito come poeta e romanziere, si
dedicò al teatro con la pièce Il padre (1887) e altri
drammi critici delle realtà sociali come La signorina
Giulia ( 1888), Delitto e delitto (1899) Danza di
morte (1901), Il sogno (1902) e L’isola dei morti
(1907).
Henrik Ibsen: i primi drammi
Henrik Ibsen (1828 - 1906), scrittore e drammaturgo
norvegese, è considerato il padre della drammaturgia
moderna, per aver portato nel teatro la dimensione
più intima della borghesia ottocentesca, mettendone a
nudo le contraddizioni e il profondo maschilismo.
Gli uomini e le donne creati da Ibsen, pronti a
sacrificare tutto per perseguire il proprio ideale e a
esprimere con impeto la propria personalità, restano
sorprendentemente vivi a più di un secolo di
distanza, poiché traducono con forza le grandi
angosce del nostro tempo.
Ibsen debutta con drammi storici, Catilina (1850) e
Il Tumulo del guerriero (1854).
La Signora Inger di Østråat (1855), La festa a
Solhaug (1856), Olaf Liliekrans (1856), sono
drammi ispirati alle vecchie saghe nazionali, cosi
come le saghe islandesi gli ispirano I guerrieri a
Helgeland (1858).
La commedia dell’amore (1862) denuncia la
“menzogna vitale” sulla quale si baserebbe ogni
amore coniugale e I pretendenti al trono (1863)
esalta simultaneamente la fedeltà alla vocazione e la
dimensione selvaggia del destino.
Brand (1866) è un poema più che un dramma in
versi, mentre Peer Gynt (1867) attinge al folclore ed
al romanticismo nazionalistico per stigmatizzare il
sogno e l’ipocrisia, ai quali oppone il senso del
dovere e la realtà.
Henrik Ibsen: il teatro sociale
La fase del teatro sociale di Ibsen iniziò con i
drammi L’unione dei giovani (1869) e I pilastri
della società (1877), che tratta dello smascheramento
della menzogna e dell’importante ruolo della donna
in questa operazione sociale.
La donna riveste una posizione centrale anche nel
dramma Casa di bambola (1879) dove la
protagonista non esita a lasciare la famiglia per
riacquistare una propria identità.
Gli altri lavori di Ibsen in questo periodo sono: Gli
spettri (1881), Un nemico del popolo (1882),
L’anitra selvatica (1884), Villa Rosmer (1886), La
donna del mare (1888), Hedda Gabler (1890).
In questo periodo si inseriscono anche il dramma Il
costruttore Solness (1892), che oscilla tra l’allegoria
e l’autobiografia, e Il piccolo Eyolf (1894), dramma
sulle responsabilità umane, in cui il protagonista è
vittima del contrasto tra i genitori.
Segnano la fine dell’attività ibseniana i drammi John
Gabriel Borkmann (1896) e Quando noi morti ci
destiamo (1899)
Frank Wedekind
Il drammaturgo tedesco Frank Wedekind (1864 1918) spesso interpretò e curò la regia delle proprie
opere.
Il suo primo lavoro teatrale fu il dramma Risveglio di
primavera (1891). Seguì poi il dittico Lo spirito
della terra (1895) e Il vaso di Pandora (1904),
chiamata “Lulu”
Opera minore, ma interessante è l’atto unico Il
cantante da camera (1897).
Tra le altre opere si ricordano Il marchese di Keith
(1901), Re Nicolò ovvero Così è la vita (1902),
Danza macabra (1906), nota anche con il titolo
Morte e diavolo (1909), e Franziska (1912).
Alfred Jarry
Alfred Jarry (1873 – 1907) è stato uno scrittore e
drammaturgo francese, la cui commedia più famosa è
l’Ubu Re (1896), considerata caposaldo e vera e
propria pietra miliare del Teatro dell’assurdo.
I testi di Jarry sono considerati tra i primi sul tema
dell’assurdità dell’esistenza ed hanno a che fare con
il grottesco e il fraintendimento.
Ricordiamo I minuti di sabbia. Memoriale (1894),
Cesare anticristo (1899), L’amore assoluto (1899),
Messalina (1901), Il supermaschio (1902) Gesta e
opinioni del dottor Faustroll patafisico, uscito
postumo nel 1911.
I drammaturghi russi
I drammaturghi russi occupano un osto articolare
nella produzione teatrale ottocentesca.
Tra tutti occorre ricordare Michail Lermontov (1814
- 1841), Aleksandr Puškin (1799 - 1837), che
scrisse Boris Godunov nel (1825) e Anton Čechov
(1860 –1904), autore di drammi quali Il gabbiano
(1895), Zio Vanja (1897), Tre sorelle (1900) e Il
giardino dei ciliegi (1903).
Il primo Novecento in Italia
Contemporaneamente il teatro italiano fu dominato,
per un lungo periodo, dalle commedie di Luigi
Pirandello (1867 - 1936), dove l’interpretazione
introspettiva dei personaggi dava una nota in più al
dramma borghese che divenne dramma psicologico.
Mentre per Gabriele D’Annunzio (1863 - 1938) il
teatro fu una delle tante forme espressive del suo
decadentismo e il linguaggio aulico delle sue tragedie
va dietro al gusto liberty imperante.
Una figura fuori dalle righe fu quella di Achille
Campanile (1899 - 1977) il cui teatro anticipò di
molti decenni la nascita del teatro dell’assurdo.
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello (1867 - 1936), insignito del premio
Nobel per la letteratura nel 1934, divenne famoso
proprio grazie al teatro che chiama teatro dello
specchio, perché in esso viene raffigurata la vita vera,
quella nuda, amara, senza la maschera dell’ipocrisia
e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore
si guardi come in uno specchio così come realmente
è, e diventi migliore.
Dalla critica viene definito come uno dei grandi
drammaturghi del XX secolo. Scriverà moltissime
opere, alcune della quali rielaborazioni delle sue
stesse novelle, che vengono divise in base alla fase di
maturazione dell’autore:
 Prima fase - Il teatro siciliano
 Seconda fase - Il teatro umoristico
 Terza fase - Il teatro nel teatro (metateatro)
 Il teatro dei miti
Pirandello e il teatro siciliano
Nella fase del Teatro Siciliano Pirandello è alle
prime armi e ha ancora molto da imparare.
Anch’essa come le altre presenta varie caratteristiche
di rilievo e in questo caso abbiamo il fatto che esso è
scritto tutto, interamente in dialetto siciliano perché
considerato dall’autore più vivo dell’italiano ed
esprime di più l’aderenza alla realtà.
Appartengono a questo periodo le seguenti opere:
 Lumìe di Sicilia (1910);
 Il dovere del medico (1913);
 Se non è così (1915);
 Cecè, (1915);
 Pensaci, Giacomino (1916);
 Liolà (1916).
Pirandello e il teatro umoristico
Mano a mano che l’autore si distacca dal verismo e si
avvicina al decadentismo si ha l’inizio della seconda
fase con il teatro umoristico con numerosi paradossi.
In questa fase Pirandello presenta personaggi che
spezzano le certezze del mondo borghese
introducendo la versione relativistica della realtà in
cui lui vorrebbe trovare la dimensione autentica della
vita al di là della maschera.
Lo scopo del drammaturgo è quello di “denudare le
maschere”.
Lui stesso definirà il suo teatro “Teatro dello
specchio” perché rappresenta la vita nuda con le sue
realtà, dove si ci riflette con una maschera che
nasconde l’ipocrisia e tutti gli aspetti delle persone.
 Così è (se vi pare) (1916);
 Il berretto a sonagli (1917);
 La giara (1917);
 Il piacere dell’onestà (1917);
 La patente (1918);
 Ma non è una cosa seria (1918);
 Il giuoco delle parti (1918);
 L’innesto (1919);




L’uomo, la bestia e la virtù (1919);
Tutto per bene (1920);
Come prima, meglio di prima (1920);
La signora Morli, una e due (1920).
Pirandello e il teatro nel teatro
Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano
radicalmente, per Pirandello il teatro deve parlare
anche agli occhi non solo alle orecchie, a tal scopo
ripristinerà una tecnica teatrale di Shakespeare, il
palcoscenico multiplo, in cui vi può per esempio
essere una casa divisa in cui si vedono varie scene
fatte in varie stanze contemporaneamente; inoltre il
teatro nel teatro fa sì che si assista al mondo che si
trasforma sul palcoscenico.
Pirandello abolisce anche il concetto della quarta
parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e
pubblico: in questa fase, infatti, Pirandello tende a
coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che
rispecchia la propria vita in quella agita degli attori
sulla scena.
 Sei personaggi in cerca d’autore (1920);
 Enrico IV (1922);
 All’uscita (1922);
 L’imbecille (1922);
 Vestire gli ignudi (1922);
 L’uomo dal fiore in bocca (1923);
 La vita che ti diedi (1923);
 L’altro figlio (1923);
 Ciascuno a suo modo (1924);
 Sagra del signore della nave (1925);
 Diana e la tuda (1927);
 L’amica delle mogli (1927);
 Bellavita (1927);
 O di uno o di nessuno (1929);
 Come tu mi vuoi (1930);
 Questa sera si recita a soggetto (1930);
 Sogno, ma forse no (1931);
 Trovarsi (1932);
 Quando si è qualcuno (1933);
 La favola del figlio cambiato (1934);
 Non si sa come (1935).
Pirandello e il teatro dei miti
Solo tre opere della produzione pirandelliana
appartengono al teatro dei miti:
 La nuova colonia (1928),
 Lazzaro (1929),
 I giganti della montagna (1932).
I capolavori di Pirandello
Indubbiamente le opere principali di Luigi
Pirandello sono state:
•
Pensaci, Giacomino (1916),
•
Liolà (1916),
•
Così è (se vi pare) (1916),
•
Il berretto a sonagli (1917),
•
La patente (1918),
•
L’uomo, la bestia e la virtù (1919),
•
Sei personaggi in cerca d’autore (1920),
•
Enrico IV (1922),
•
Vestire gli ignudi (1922),
•
L’uomo dal fiore in bocca (1923),
•
Questa sera si recita a soggetto (1930);
•
I giganti della montagna (1932).
Tra esse merita una menzione speciale Sei
personaggi in cerca d’autore, probabilmente il
dramma più famoso di Pirandello, rappresentato per
la prima volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di
Roma, ma con un esito tempestoso, perché molti
spettatori contestarono la rappresentazione al grido di
“Manicomio! Manicomio!”; fu importante, per il
successivo successo di questo dramma, la terza
edizione, del 1925, in cui l’autore aggiunse una
prefazione nella quale chiariva la genesi, gli intenti e
le tematiche fondamentali del dramma.
Gabriele D’Annunzio
Tutta la produzione drammaturgica di Gabriele
D’Annunzio (1863 - 1938) va interpretata in senso
antietico rispetto al teatro di ispirazione verista e
borghese, sia nei contenuti che nella forma
dell’espressione.
Attraverso la tragedia in versi egli riuscì a creare un
teatro fortemente lirico, costruito su un lessico
ricercato, e in grado di dar vita a suggestioni sceniche
assai vicine allo spirito della tragedia antica.
Nello stile e nello svolgimento dei temi il
D’Annunzio drammaturgo si mosse in un contesto
europeo nell’affiancarsi al simbolismo francese e
all’estetismo inglese.
L’accostarsi dell’autore alla materia teatrale si fece
intenso grazie soprattutto alla sua relazione con la
grande attrice Eleonora Duse, la quale gli svelò i
segreti del palcoscenico.
Tra le opere più note ricordiamo: La città morta
(1899). Francesca da Rimini (1902), La figlia di
Iorio (1904), che è la più nota tra le opere
dannunziane, e La fiaccola sotto il moggio (1905).
Achille Campanile
Achille Campanile (1899 - 1977) è stato uno
scrittore, giornalista e drammaturgo italiano, celebre
per il suo umorismo surreale e i giochi di parole.
Molti critici hanno elevato lo scrittore a “classico”
del Novecento.
Oltre che all’analogia con alcuni dei percorsi
pirandelliani in tema di convenzioni, Campanile è
stato variamente accostato alle ricerche sull’assurdo
di Ionesco (accostamento che respinse) ed al
surrealismo, ma secondo alcune visioni costituirebbe
un unicum, un caso pienamente a sé e di non
vantaggiosa comparazione.
Tra le opere più famose ricordiamo Centocinquanta
la gallina canta (1924), L’inventore del cavallo
(1927), Il Povero Piero (1961), Tragedie in due
battute (1978).
Le altre tendenze europee
La Germania della Repubblica di Weimar fu un
terreno di sperimentazione molto proficuo, oltre al
già citato Brecht molti artisti furono conquistati
dall’ideale comunista e seguirono l’influenza del
teatro bolscevico, quello dell’agit-prop di Vladimir
Majakovskij (1893 - 1930), fra questi Erwin
Piscator (1893 - 1966), direttore del Teatro
Proletario di Berlino, e Ernst Toller (1893 –1939), il
principale esponente teatrale dell’espressionismo
tedesco.
Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura
di Federico García Lorca (1898-1936) che scrisse le
tragedie Nozze di sangue (1933), Yerma (1934) e La
casa di Bernarda Alba (1936), ma le sue ambizioni
furono presto represse nel sangue dalla milizia
franchista che lo fucilò vicino Granada.
Il teatro nel secondo dopoguerra
Nel secondo dopoguerra il teatro occidentale si
arricchisce di nuovi stimoli.
Torna ad assumere grande importanza, dopo un
periodo di supremazia della parola, l’azione fisica, il
gesto. Si sviluppano metodi che mettono l’accento
sull’emozione interpretativa dell’attore (con l’utilizzo
del metodo Stanislavskij rielaborato in seguito da
Lee Strasberg) e sull’ allenamento fisico (il training
dell’attore).
La ricerca degli anni ‘60 e ‘70 tenta di liberare
l’attore dalle tante regole della cultura in cui vive
(seconda natura), per mettersi in contatto con la
natura istintiva, quella natura capace di rispondere in
modo efficiente e immediato.
L’obiettivo di perfezionamento dell’arte dell’attore
diventa insieme momento di crescita personale.
Il secondo Novecento in Italia
Molti anche in Italia parteciparono a questa
maturazione sia fra i drammaturghi come Eduardo
De Filippo (1900 - 1984) che con lo sperimentale
teatro di Carmelo Bene (1937 - 2002), sia con
l’apporto fondamentale di grandi registi come
Giorgio Strehler (1921 - 1997) e Luchino Visconti
(1906 - 1976).
Eduardo De Filippo
La spontaneità del teatro di Eduardo De Filippo
(1900 - 1984) è alimentata dalla tradizione
ottocentesca su cui si innestano istanze della poetica
neorealista, dando vita ad una rappresentazione
popolare vivace, in cui l’uso del dialetto colora
ambienti dominati da una dolorosa miseria e dai
problemi di sopravvivenza precaria.
Altro grande merito di De Filippo è quello di aver
saputo rivitalizzare l’eterna maschera di Pulcinella,
donandole un volto realistico: l’uomo comune,
costantemente alle prese con le sofferenze e con le
difficoltà della vita, che riesce ad aggirare
efficacemente attraverso accomodamenti e sotterfugi.
Ma l’uomo comune-Pulcinella è caratterizzato anche
da una incoercibile umanità, che alla fine riesce ad
avere la meglio sull’incertezza della quotidianità, a
dominare la precarietà e l’inquietudine che
accompagnano l’agire dell’individuo.
In questa dimensione si colloca la sua produzione più
valida, a scapito del carattere meno convincente dei
testi in cui prevalgono intenzioni di denuncia sociale
o l’astratta ricerca di soluzioni pirandelliane più
legate ai motivi dell’illusione e della follia.
La sensibilità acutissima di De Filippo seppe in ogni
modo dosare finemente ciascuna di queste
componenti riuscendo ad elaborare la misura che tra
tutte risultò la più efficace:l’equilibrio tra tutte queste
diverse istanze.
Tra i titoli più importanti troviamo:
Natale in casa Cupiello (1931), Napoli milionaria
(1945), Filumena Marturano e Questi fantasmi
(1946), Le voci di dentro (1948), Mia famiglia e
Bene mio e core mio (1955), De Pretore Vincenzo
(1957), Sabato domenica lunedi (1959), Il sindaco
del rione Sanità (1960), Il figlio di Pucinella (1962),
L’arte della commedia (1965), Il contratto (1967), Il
monumento (1970) e Gli esami non finiscono mai
(1973).
Natale in casa Cupiello
Natale in casa Cupiello, la più famosa opera di De
Filippo, nasce nel 1931 come atto unico in cui si
racconta sostanzialmente di un pranzo natalizio
turbato dal dramma della gelosia.
Nel giro di appena un anno è già un dramma famoso
ma Eduardo De Filippo vuole far conoscere meglio
i suoi personaggi e, anziché allungare la storia, la fa
cominciare due giorni prima aggiungendo un atto,
che diventerà il primo, nel quale si racconta, in forma
di riuscitissima farsa familiare, il risveglio di Luca
nella fredda mattina del ventitré dicembre.
Dopo due anni De Filippo aggiunge la terza parte
conclusiva scrivendo il terzo ed ultimo atto contro il
parere di suo fratello Peppino che lo riteneva inutile
perché troppo scontato.
A questo punto Natale in casa Cupiello ha
finalmente la forma che tutti conosciamo e che portò
Eduardo stesso a definirlo “un parto trigemino con
una gravidanza durata quattro anni”.
Carmelo Bene
Carmelo Bene (1937 - 2002), reinventando il
linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco,
manifesta il suo genio di attore, perché non si limita a
recitare (citare una cosa) e comincia così il suo
“massacro dei classici”.
È considerato un affabulatore e un presuntuoso
“massacratore” dalla critica, mentre gli intellettuali
italiani degli anni Sessanta e Settanta lo ritengono un
genio.
Un genio che si scaglia contro il teatro di testo, per
un teatro da lui definito “scrittura di scena”; un teatro
del dire e non del detto, perché per Bene il teatro del
già detto non dice, appunto, niente di nuovo, è solo
un citare a memoria parole scritte altrove.
Il secondo Novecento in Europa
In Germania fu fondamentale l’apporto di Botho
Strauss (1944) e Rainer Werner Fassbinder (1945
- 1982); in Francia Louis Jouvet (1887 - 1951) e i
testi estremi di Jean Genet (1910 - 1986).
Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del ‘900
all’evoluzione del teatro europeo con autori come
Friedrich Dürrenmatt (1921 - 1990), di cui citiamo
La visita della vecchia signora (1956) e I fisici
(1962), e Max Frisch (1911 - 1991).
Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella
concezione di una messinscena grazie a Tadeusz
Kantor (1915 - 1990), pittore, scenografo e regista
teatrale tra i maggiori teorici del teatro del
Novecento.
Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le
opere fondamentali della storia del teatro.
Le sperimentazioni novecentesche
L’influenza di questi maestri sul movimento teatrale
del dopoguerra è immenso, basti pensare all’Odin
Teatret di Eugenio Barba (1936), al teatro povero di
Jerzy Grotowski (1933 - 1999), al teatro fisico del
Living Theatre di Julian Beck (1925 - 1985) e
Judith Malina (1926), fino alle applicazioni
“commerciali” dell’Actor’s Studio di Stella Adler
(1901 - 1992) e Lee Strasberg (1901 - 1982).
Il Novecento americano
Tra gli autori novecenteschi negli USA annoveriamo
Eugene O’Neill (1888 - 1953), autore di opere
straordinarie quali In viaggio per Cardiff (1916),
Oltre l’orizzonte (1920), Imperatore Jones (1920),
Desiderio sotto gli olmi (1924), Strano interludio
(1928), Il lutto si addice ad Elettra (1931) e Lungo
viaggio verso la notte (1940).
Da ricordare anche Tennessee Williams (1911 1983), che scrisse Lo zoo di vetro (1944), Un tram
che si chiama desiderio (1947), La gatta sul tetto
che scotta (1956), Improvvisamente l’estate scorsa
(1958), e Arthur Miller, autore di Erano tutti miei
figli (1947) e Morte di un commesso viaggiatore
(1949).
I drammaturghi contemporanei
La drammaturgia contemporanea continua a vivere
una florida vita culturale grazie ad autori come
Harold Pinter (1930 - 2008), di cui ricordiamo Il
compleanno (1957), Il calapranzi (1957), Vecchi
tempi (1970), Terra di nessuno (1974), Victoria
Station (1982), Party Time (1991) e Anniversario
(1999), Edward Albee (1928), autore di Chi ha
paura di Virginia Woolf (1962), e Tony Kushner
(1956), che ha scritto Angels in America: a Gay
Fantasia on National Themes (1995).
L’ultimo grande autore italiano: Dario Fo
Dario Fo (1926) è un regista, drammaturgo, attore e
scenografo italiano, vincitore del Premio Nobel per la
letteratura nel 1997.
I suoi lavori teatrali fanno uso degli stilemi comici
dell’antica commedia dell’arte italiana e sono
rappresentati con successo in tutto il mondo.
Tra le sue opere principali ricordiamo Gli arcangeli
non giocano a flipper (1960), Aveva due pistole con
gli occhi bianchi e neri (1961), Chi ruba un piede è
fortunato in amore (1962), Isabella, tre caravelle e
un cacciaballe (1963), Settimo: ruba un po' meno
(1964), La colpa è sempre del diavolo (1965), La
signora è da buttare (1967), Mistero Buffo (1969),
Morte accidentale di un anarchico (1970), Morte e
resurrezione di un pupazzo (1971), Johan Padan a
la descoverta de le Americhe (1991), Il diavolo con
le zinne (1997), L'anomalo bicefalo (2004).
Il teatro postcoloniale africano
L’indipendenza ottenuta alla metà del Novecento ha
provocato una nuova svolta nel corso del teatro
africano.
Tra gli autori più apprezzati vi è il nigeriano Wole
Soyinka (1934), insignito del Premio Nobel per la
letteratura nel 1986, l’ugandese Robert Serumaga
(1939-1980) e la ghanese Efua Sutherland (1924 1996).
In questa fase storica rilevanti sono state le
collaborazioni in Sudafrica di artisti bianchi e neri,
sfidanti l’ancora vigente apartheid, e la nascita di
temi e contenuti legati ai problemi sociali e
quotidiani.