BREVE STORIA DEL TEATRO Introduzione Il teatro ha origini antichissime, è una delle prime manifestazioni culturali dell’uomo. Nelle prime civiltà, infatti, il teatro è legato a questi due termini: rito e mito. Tutti i popoli dell’antichità celebravano feste e riti accompagnandoli spesso con canti, danze e parti recitate. In Occidente la storia del teatro parte dalla Grecia, la culla della nostra civiltà, e in particolar modo nella città di Atene. Le origini del teatro greco classico L’origine probabilmente è legata ad alcune cerimonie che si svolgevano, fin dal VII secolo a.C., in onore di Dioniso, dio della natura e della fertilità della terra. Durante questi riti i partecipanti danzavano, cantavano e recitavano in coro ricoperti con pelli di capra ed erano detti, perciò, “tragoi”, che significa “capri”. Dal rito alla rappresentazione Il termine tragedia (“canto del capro”) deriva, quindi, dai canti rituali (chiamati ditirambi) che venivano intonati durante le processioni in onore del dio Dioniso. In principio i partecipanti al rito erano riuniti in un gruppo, o meglio in un coro, che agiva contemporaneamente. Poi i ruoli hanno cominciato ad essere ben definiti, per cui il rito è diventato gradualmente una rappresentazione, cioè non più qualcosa cui si partecipa agendo in prima persona, ma qualcosa cui si partecipava osservando. Alcuni individui si sono distaccati dal gruppo per assumere dei ruoli più precisi e diventare attori, altri hanno continuato a partecipare da spettatori. La funzione del Coro La funzione del gruppo era così importante che in seguito il coro è rimasto quasi come fosse un solo personaggio. Esso era costituito da un gruppo di attori, spesso guidati da un capo, il corifeo. Il coro rappresentava un vero e proprio personaggio a più voci che dialogava con i protagonisti, esprimeva commenti e riflessioni, raccontava al pubblico alcuni fatti: era, insomma, la voce dell’autore. I primi autori La tradizione attribuisce la rappresentazione teatrale più antica al poeta greco Tespi, il quale avrebbe composto nel 534 a.C. il primo dialogo tra un attore e un coro. Secondo il poeta latino Orazio, Tespi si spostava da una città all’altra dell’Attica con un carro sul quale innalzava un palco; due attori con i visi dipinti cantavano dei cori di argomento storico. Dopo qualche tempo vi aggiunse un terzo attore, il quale separatamente dai cori recitava dei versi. Dopo Tespi, seguirono altri autori come Frinico, Cherilo e Pratina. Le forme del teatro greco: tragedia e commedia Nel teatro greco si rappresentavano due forme di spettacolo: la tragedia, considerata la forma artistica più elevata, e la commedia, che presentava fatti della vita quotidiana con personaggi popolari e si concludeva quasi sempre con un lieto fine. La tragedia La tragedia metteva in scena eventi importanti e drammatici, i cui protagonisti erano figure di altro rango: eroi, principi, re. Le vicende rappresentate spesso si concludevano in modo violento, con la morte del protagonista e di altri personaggi, e avevano lo scopo di suscitare sentimenti di pietà e terrore negli spettatori. Assistendo alle conseguenze dei comportamenti negativi dei personaggi, gli spettatori riflettevano sui misteri dell’esistenza e cercavano di sfogare le passioni umane per raggiungere una più alta serenità. La tragedia si diffuse col diffondersi delle grandi feste in onore del dio Dioniso e inizialmente si svolgevano in uno spazio nei pressi del tempio a lui dedicato. L’etimologia di “tragedia” Per quanto riguarda l’etimologia della parola trago(i)día si distinguono in essa le radici di “capro” (trágos) e “cantare” (á(i)dô), sarebbe quindi il “canto del capro”, forse in riferimento al premio che in origine era consegnato al vincitore dell’agone tragico (per l’appunto, un capretto), o al sacrificio di questo animale, sacro a Dioniso, che spesso accompagnava le feste in onore del dio. Una teoria più recente fa derivare “tragedia” dal vocabolo raro traghìzein, che significa “cambiare voce, assumere una voce belante come i capretti”, in riferimento agli attori. Una terza ipotesi suggerisce che tragoidía significhi più semplicemente “canto dei capri”, dai personaggi satireschi che componevano il coro delle prime azioni sacre dionisiache. Quello che è possibile affermare con certezza è che la radice trag- anche prima di riferirsi al dramma tragico, fu utilizzata per significare l’essere “simile ad un capro”, ma anche la selvatichezza, la libidine, il piacere del cibo, in una serie di parole derivate che si riferiscono al rito dionisiaco. La tragedia greca classica La tragedia fiorì in Grecia tra il VI e il V secolo a.C. I più importanti e riconosciuti autori di tragedie furono Eschilo, Sofocle ed Euripide, che in diversi momenti storici, affrontarono i temi più sentiti della loro epoca. La tragedia greca inizia generalmente con un prologo (da prò e logos, discorso preliminare), che ha la funzione di introdurre il dramma; segue la parodo (pàrodos) che consiste nell’entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi; l’azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commenta, illustra o analizza la situazione che si sta sviluppando sulla scena; la tragedia si conclude con l’esodo (èxodos). Il teatro ad Atene Gli spettacoli erano organizzati dallo Stato come veri riti religiosi e si svolgevano durante le feste Dionisie (dedicate al dio Dioniso) all’inizio della primavera. Lo Stato affidava la messinscena delle tragedie a cittadini ricchi che provvedevano a pagare gli autori, gli attori, i musicisti e i danzatori. La tragedia antica non era solo uno spettacolo, come lo intendiamo oggi, ma piuttosto un rito collettivo della pòlis. Si svolgeva durante un periodo sacro, in uno spazio consacrato (al centro del teatro sorgeva l’altare del dio). Le feste durante le quali avvenivano ad Atene le rappresentazioni teatrali, dunque, erano: 1. Le Lenee, feste popolari che si tenevano in inverno, caratterizzate dalla rappresentazione di commedie e a volte di tragedie. 2. Le Dionisie, che si dividevano in Grandi Dionisie e Dionisie rurali. Le prime erano le feste più importanti, celebrate all’inizio della primavera, in cui venivano messe in scena sia tragedie sia commedie, e a cui potevano assistere i cittadini di tutte le città della Grecia (ad eccezione, si può supporre, delle città nemiche di Atene). Le Dionisie rurali erano invece feste di minore importanza, organizzate durante l’inverno nei paesi attorno ad Atene, aperte solo ai cittadini ateniesi e nelle quali venivano rappresentate solo commedie. La funzione e le forme del teatro ad Atene Il teatro assunse la funzione di cassa di risonanza per le idee, i problemi e la vita politica e culturale dell’Atene democratica: la tragedia parla di un passato mitico, ma il mito diventa immediatamente metafora dei problemi profondi della società ateniese. Durante le Dionisie si svolgeva un agone tragico, cioè una gara tra tre poeti, scelti dall’arconte eponimo (uno dei magistrati più importanti ad Atene) forse sulla base di un copione provvisorio, ognuno dei quali doveva presentare una tetralogia composta di tre tragedie e un dramma satiresco. Spesso l’autore era anche attore, componeva le musiche e dirigeva le danze. Ogni tetralogia veniva recitata nello stesso giorno a partire dal mattino, così che le rappresentazioni tragiche duravano tre giorni, mentre il quarto giorno era dedicato alla messa in scena di tre commedie. Alla fine dei tre giorni di gara si attribuiva un premio al miglior coro, al miglior attore e al miglior poeta. Tutti erano invitati a partecipare: l’ingresso era gratuito e ai cittadini più poveri era offerto un contributo, in sostituzione della paga giornaliera persa per assistere alla rappresentazione. Il pubblico, che assisteva per tutto il giorno alle rappresentazioni, si portava da casa cibo e bevande e manifestava vivacemente il suo giudizio fischiando o battendo mani e piedi. Gli autori tragici Molte opere sono andate perdute o sono giunte fino a noi solo in frammenti. I tre più grandi autori greci di tragedie appartengono al V secolo a.C., quando la città di Atene visse il suo momento di maggiore splendore: l’età di Pericle. Eschilo (545 – 456 a.C.), Sofocle (496 – 406 a.C.) ed Euripide (485 – 406 a.C.) rappresentano nella storia del teatro antico modelli difficilmente ripetibili e le loro tragedie ancora oggi vengono messe in scena nei teatri di tutto il mondo. Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.) viene unanimemente considerato l’iniziatore della tragedia greca nella sua forma matura ed è il primo dei poeti tragici dell’antica Grecia di cui ci siano pervenute opere per intero. Regista, oltre che poeta, a lui viene attribuita l’introduzione di maschera e coturni, inoltre è con lui che prende l’avvio la trilogia, o “trilogia legata”. Le tre opere tragiche presentate durante l’agone erano appunto “legate” dal punto di vista contenutistico. Introducendo un secondo attore, rese possibile la drammatizzazione di un conflitto. Da questo momento fu infatti possibile esprimere la narrazione tramite dialoghi, oltre che monologhi, aumentando il coinvolgimento emotivo del pubblico e la complessità espressiva. Eschilo rimase sempre fedele ad un estremo rigore, alla religiosità quasi monoteistica. Nonostante i personaggi di Eschilo non siano sempre unicamente eroi, quasi tutti hanno caratteristiche superiori all’umano. Sofocle scrisse, secondo la tradizione, ben centoventitré tragedie, di cui ne restano solo sette: Le tragedie di Eschilo Eschilo scrisse probabilmente una novantina di opere, ma di queste ne sono giunte ai giorni nostri solo sette: • I Persiani (rappresentata nel 472 a.C.) • Sette contro Tebe (rappresentata nel 467 a.C.) • Supplici (rappresentata nel 463 a.C.) • Prometeo incatenato (rappresentata tra il 470 e il 460 a.C.). • Orestea - trilogia (rappresentata nel 458 a.C.), costituita da: 1. Agamennone 2. Coefore 3. Eumenidi Infine possediamo circa la metà di un dramma satiresco: I cercatori di tracce (data incerta). Sofocle Sofocle (496 a.C. –406 a.C.) introdusse alcune innovazioni che riguardarono molti aspetti della rappresentazione tragica: fece utilizzare i calzari bianchi e i bastoni ricurvi, abolì l’obbligo della “trilogia legata”, introdusse un terzo attore, che permetteva alla tragedia di moltiplicare il numero dei personaggi possibili, aumentò a quindici il numero dei coreuti, ruppe l’obbligo della trilogia, rendendo possibile la rappresentazione di drammi autonomi, introdusse l’uso di scenografie, ridusse il ruolo del coro, che si defila dall’azione, partecipa sempre meno attivamente e diventa piuttosto spettatore e commentatore dei fatti, introdusse il monologo, che permetteva all’attore di mostrare la sua abilità e al personaggio di esprimere compiutamente i propri pensieri. Le tragedie di Sofocle Antigone (442 a.C.); Aiace (intorno al 445 a.C.); Trachinie (data incerta); Edipo Re (circa 430 a.C.); Elettra (data incerta); Filotette (409 a.C.); Edipo a Colono (406 a.C., ma rappresentata postuma nel 401 a.C.); Euripide Euripide (480 a.C. –406 a.C.) è il terzo grande tragediografo greco. Le caratteristiche delle tragedie euripidee sono la ricerca di sperimentazione tecnica e la maggiore attenzione che egli pone nella descrizione dei sentimenti, di cui analizza l’evoluzione che segue il mutare degli eventi narrati. La novità assoluta del teatro euripideo è comunque rappresentata dal realismo con il quale il drammaturgo tratteggia le dinamiche psicologiche dei suoi personaggi. L’eroe descritto nelle sue tragedie non è più il risoluto protagonista dei drammi di Eschilo e Sofocle, ma spesso una persona problematica ed insicura, non priva di conflitti interiori. Le protagoniste femminili dei drammi sono le nuove figure tragiche di Euripide, il quale ne tratteggia sapientemente la tormentata sensibilità e le pulsioni irrazionali che si scontrano con il mondo della ragione. Le tragedie di Euripide Di Euripide si conoscono novantadue drammi; sopravvivono diciotto tragedie e un dramma satiresco. I drammi superstiti sono: Alcesti (438 a.C.); Medea (431 a.C.); Gli Eraclidi (data incerta, forse 430 a.C. circa); Ippolito ( 428 a.C.); Troiane ( 415 a.C.); Andromaca (data incerta, forse 423 a.C. circa); Ecuba ( 423 a.C.); Supplici ( 414 a.C.); Ifigenia in Tauride (data incerta, forse 414 a.C. o 411 a.C. o 409 a.C.); Elettra (data incerta, forse 413 a.C.); Elena ( 412 a.C.); Eracle (data incerta); Fenicie (410 a.C. circa); Ifigenia in Aulide (410 a.C.); Ione (data incerta, forse 410 a.C.); Oreste (408 a.C.); Le Baccanti (406 a.C.); Ciclope (data incerta, dramma satiresco); Reso (data incerta, probabilmente apocrifo). Il dramma satiresco Il dramma satiresco era una delle forme, insieme alla tragedia e alla commedia, in cui si articolava il teatro greco classico. Riconducibile nella sfera del culto del dio Dioniso, si caratterizzava per una struttura abbastanza semplice in cui il coro era costituto da elementi travestiti da satiri caprini che si muovevano sulla scena alternando momenti di recitazione teatrale a momenti di vivace danza chiamata sìkinnis. In una felice simbiosi, presentava la struttura della tragedia e il colorito farsesco della commedia. Le storie erano di tipo comico, a volte addirittura parodie di episodi mitologici, che presentavano i satiri nelle situazioni più disparate. A noi è pervenuto un solo dramma satiresco integro, ossia il Ciclope di Euripide. Abbiamo però anche parte di due drammi satireschi di Eschilo (i Pescatori con la rete e gli Spettatori o atleti ai giochi istmici) e di uno di Sofocle (I cercatori di tracce), oltre a vari frammenti. La commedia Una commedia è un componimento teatrale dalle tematiche leggere o atto a suscitare il riso, perlopiù a lieto fine. La commedia, nella sua forma scritta, ha origine in Grecia nel VI secolo a.C. e assunse una struttura autonoma durante le feste dionisiache. La prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche come le farse di Megara, composte di danze e scherzi, e simili spettacoli si svolgevano alla corte del tiranno Gerone in Sicilia, di cui non ci sono pervenuti i testi. Secondo Aristotele, che nella Poetica attribuisce ai siciliani Formide ed Epicarmo i primi testi teatrali comici, la commedia siracusana precedette quella attica. Di Epicarmo ci restano pochi frammenti di un’opera comica (mimo). L’etimologia di “commedia” La parola greca “comodìa”, composta di “kòmos” (corteo festivo) e “odè” (canto), indica come questa forma di drammaturgia sia lo sviluppo in una forma compiuta delle antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci. Periodi della commedia greca I commentatori antichi distinsero perciò tre fasi della commedia greca: 1. commedia antica (archàia), nel periodo che va dalle origini fino al IV secolo a.C.; 2. commedia di mezzo (mese), fino all’inizio dell’Ellenismo (323 a.C.); 3. commedia nuova (nea), che coincide con l’età ellenistica. Dopo quest’ultima fase il genere comico non scomparve, ma si ‘trasferì’ a Roma, all’interno della cultura latina, con i commediografi latini di palliatae, cioè commedie latine di argomento greco. La commedia antica Con l’espressione commedia antica s’intende la prima fase della commedia attica che va dalle origini fino al IV sec. a.C. e ha come massimo esponente Aristofane. La commedia nasce cinquant’anni dopo la tragedia, ma si afferma solo quando essa è già decaduta. Si divide in 5 parti: Prologo, recitato da una divinità che spiegava agli spettatori quale era l’azione scenica Parodos, cioè l’ingresso nel coro Agone, cioè l’introduzione del fulcro della narrazione Parabasi, cioè quando l’attore andava verso le prime file del teatro, dove solitamente sedevano i personaggi politici e illustri, e incominciava a scherzare su di loro e a fargli delle domande calde Esodo, cioè l’uscita del coro e la conclusione Aristofane Aristofane (450 a.C. circa – 388 a.C. circa) è l’unico commediografo di cui ci siano pervenute alcune opere complete. Di straordinaria fantasia creativa, mescolò abilmente tutte le forme del comico (allusioni scurrili, insulti, travestimenti, disquisizioni accademiche ecc.) dandoci così uno dei massimi esempi di quell’ampia libertà di parola (in greco parresía), che fu l’essenza stessa della commedia antica, comprensibile solo all’interno del clima culturale della democrazia ateniese. Le sue due prime commedie sono state rappresentate nel 427. In quegli anni Atene combatteva Sparta nella Guerra del Peloponneso per mantenere l’egemonia sulla Grecia. Le commedie di Aristofane Delle oltre quaranta commedie da lui scritte, solo undici sono giunte intere sino a noi. Acarnesi (425 a.C.) I cavalieri (424 a.C.) Le nuvole (423 a.C.) Vespe (422 a.C.) Pace (421 a.C.) Uccelli (414 a.C.) Lisistrata (411 a.C.) Tesmoforiazuse (411 a.C., titolo che significa “Le donne alla festa di Dèmetra”) Ecclesiazuse (393 a.C., “Le donne a parlamento”) Rane (405 a.C.) Pluto (388 a.C.) I temi di alcune commedie di Aristofane Tra le commedie più note citiamo: Gli Acarnesi, in cui un cittadino, stanco della guerra del Peloponneso che sembra non finire mai, riesce a stipulare una pace personale con Sparta; Le nuvole (423 a.C.), l’opera più significativa del grande commediografo, offre, attraverso la grottesca satira del filosofo Socrate, una spassosa caricatura degli eccessi della scuola socratica, chiamata in modo irriverente il “Pensatoio” e volutamente confusa con quella dei sofisti; Uccelli in cui due ateniesi stanchi delle liti in Atene fondano una città tra la terra e il cielo, disturbando perfino la tranquilla esistenza degli dei; Lisistrata, in cui le donne proclamano lo sciopero del sesso per far terminare la guerra del Peloponneso. Gli altri autori della commedia antica Tra gli autori della commedia antica annoveriamo: Epicarmo (524 a.C. circa – 435 a.C. circa), al quale erano attribuite più di quaranta commedie, di cui ci restano solo alcuni titoli: prediligeva la parodia di temi mitologici, episodi dell’epos omerico e personaggi della realtà quotidiana. Cratino (dopo il 520 a.C. – dopo il 423 a.C.), cui sono attribuite trentuno commedie, non pervenuteci, e il cui stile, pur ancora molto legato al passato, ricorreva all’ingiuria diretta e spesso pesante nei confronti dei propri avversari: per la qual cosa viene considerato il fondatore della commedia politica Eupoli (446 a.C. circa – 411 a.C. circa), che scrisse quattordici commedie, di cui restano soltanto brevi frammenti: in esse l’autore levava la sua voce di critica nei confronti della corruzione del presente, realtà decaduta rispetto alla grandezza del passato, e degli uomini politici ateniesi. Cratete (450 a.C. circa – ... ), di cui restano dieci titoli e vari frammenti, soprattutto delle Bestie, vivace esaltazione della vita secondo natura. Ferecrate (seconda metà V secolo a.C.), di cui sono rimasti 18 titoli e 250 frammenti. La commedia di mezzo I grammatici alessandrini raggrupparono nella commedia di mezzo tutte quelle opere che, pur conservando elementi della commedia antica, anticipavano anche motivi della commedia nuova. Per il suo carattere di transizione, quindi, e nella mancanza di un esemplare completo, riesce particolarmente difficile delineare i caratteri della mese. Dei numerosi poeti che la coltivarono - i più famosi furono Antifane (388 a.C. circa – 311 a.C. circa), Anassandride (400 a.C. circa - …), Alessi (IV – III sec. a.C.) e Eubulo (IV sec. a.C.) - a noi sono giunti solo frammenti, i quali ci possono consentire solo di cogliere pensieri, riflessioni, scherzi raffinati e spunti comici, ma data la loro breve estensione sono scarsamente indicativi per delineare la struttura drammatica delle singole opere. Nella commedia di mezzo scomparvero la parabasi e il coro, a volte presente come semplice ornamento. Gli argomenti e i personaggi erano tratti dalla vita comune. La commedia nuova Storicamente coincide pressappoco con l’età ellenistica, in cui il cittadino è ridotto al rango di suddito, ininfluente dal punto di vista politico. I temi della commedia si adattano alla nuova realtà, spostandosi dall’analisi dei problemi politici all’universo dell’individuo. I personaggi non riproducono che dei “tipi” secondo uno schema poi divenuto classico e adattato dalla commedia romana e, più tardi, dalla commedia dell’arte: i giovani innamorati, il vecchio scorbutico, lo schiavo astuto, il crapulone. Il maggior esponente della commedia nuova pervenutoci è Menandro. Gli altri commediografi della nea sono Difilo (342 a.C. -291 a.C.) e Filemone (361 a.C. – 263 a.C.). Menandro Con Menandro (342 a.C. ca. – 291 a.C. ca.) la commedia perde del tutto la dimensione fantastica e la natura mordace e satirica della fase più antica, per assumere, pur nella finzione teatrale, caratteri di maggiore aderenza alla realtà quotidiana e di più spiccata attenzione alla psicologia e ai sentimenti dei personaggi. Egli fu autore di un centinaio di testi teatrali, dei quali sono pervenuti soltanto cinque, ma non per intero Aspis (“Lo Scudo”; pervenuta per circa una metà) Dyskolos (Il Misantropo, l’unica opera pervenuta nella sua interezza) Epitrepontes (“L’Arbitrato”; pervenuta in gran parte) Perikeiromene (La ragazza tosata) Samia (La donna di Samo) Gli attori Solo agli uomini era consentito di recitare e infatti essi interpretavano anche le parti femminili. Per dare maggior rilievo ai personaggi e per esser visti bene anche dagli spettatori più lontani, gli attori indossavano speciali calzature, i coturni, che li rendevano più alti. Siccome potevano andare in scena solo in tre, recitavano più ruoli e, a tale scopo, indossavano maschere di cuoio e costumi che rendevano immediatamente riconoscibili i vari personaggi. Le maschere avevano la funzione di amplificare la voce; infatti l’apertura per la bocca era ampia e costruita come un piccolo megafono. Anche gli attori delle commedie portavano costumi, ma, dato il carattere più popolare e buffonesco di questo tipo di rappresentazione, i travestimenti e le maschere dovevano accentuare gli aspetti ridicoli e grotteschi dei personaggi. Lo spazio scenico Inizialmente le rappresentazioni avvenivano in uno spiazzo circolare, l’orchestra, vicino al tempio del dio Dioniso. In seguito i pochi sedili di legno, riservati alle persone più importanti della comunità, furono aumentati e disposti intorno all’orchestra, sfruttando talvolta la pendenza naturale delle colline. Col tempo i sedili vennero sostituiti da gradinate costruite in muratura lungo i fianchi di una collina, in modo che tutti potessero vedere e sentire bene (la cavea). Di fronte alla cavea, oltre l’orchestra, si trovava il palcoscenico rialzato dove si muovevano gli attori. La tragedia romana in età repubblicana Il processo di aemulatio (consapevole imitazione), che la letteratura latina operò nei confronti della letteratura greca, portò i romani ad assumere come modelli teatrali la tragedia e la commedia greche. Pochissimi sono però i frammenti delle tragedie d’argomento romano (fabulae pratextae) o greco (fabulae cothurnatae) che ci sono rimasti. Sappiamo tuttavia che molti tra i maggiori autori dell’età arcaica si cimentarono nel genere tragico: da Livio Andronico (284 circa a.C. - 204 a.C.) a Gneo Nevio (270 circa a.C. - 201 circa a.C.) a Quinto Ennio (239 a.C. - 169 a.C. circa) a Pacuvio (220 a.C. - 130 circa a.C.) ad Lucio Accio (170 a.C. - 85 circa a.C.) . Lo stile tragico romano La produzione di questi autori era caratterizzata da un’estrema solennità nella lingua e nello stile, ed era sentita come qualcosa di superiore rispetto ad altre esperienze letterarie contemporanee. Mancavano però nella Roma repubblicana arcaica strutture teatrali paragonabili a quelle del mondo greco, fatto che costrinse i tragici latini fare a meno della presenza del coro. La tragedia romana in età imperiale Le uniche tragedie romane integralmente pervenuteci sono quelle molto più tarde di Seneca (4 ca. a.C. - 65 d.C.). Basate sul mito greco, hanno come nucleo drammaturgico la presenza di un dilemma morale e spesso indugiano su situazioni macabre e sanguinarie: l’impressione che suscitano è di essere state scritte per la pubblica declamazione o per la lettura privata, più che per essere messe in scena. Di Seneca ci sono pervenute nove tragedie, le uniche conservate integralmente del teatro latino (di sicura attribuzione sono Hercules furens, Phaedra, Troades, Phoenissae, Medea, Oedipus, Agamennon, Thyestes, forse non autentica Hercules Oeteus): si richiamano ai miti greci e che attingono prevalentemente a Euripide. Una decima tragedia, l’Octavia non è considerata autentica. La commedia romana Assai maggiori sono le documentazioni relative alla commedia romana. Anch’essa annovera drammi d’argomento romano (fabulae togatae) e greco (fabulae palliatae), ma è solo di quest’ultimo genere che abbiamo numerose e importanti testimonianze. Alla commedia infatti si dedicarono molti dei “grandi” poeti latini già menzionati, come Livio Andronico, Gneo Nevio e Quinto Ennio; senza dubbio, però, i maggiori comici latini furono Plauto, Cecilio Stazio e Terenzio. Plauto Tito Maccio Plauto (254 ca. - 184 a.C.) innestò sul modello della commedia attica l’esuberanza espressiva della farsa italica. Dei 130 testi teatrali attribuitigli, gli studiosi hanno certificato l’autenticità di ventuno commedie, giunte complete fino a noi, e parte una, la Vidularia, di cui resta un solo frammento di un centinaio di versi. Le trame delle commedie di Plauto erano direttamente ispirate ai modelli greci (Menandro, Filemone, Difilo e altri) e rielaborate con assoluta libertà e con un ritmo comico straordinario, sottolineato dai tempi ben calibrati del dialogo. Le commedie di Plauto Gli intrecci presentano di solito storie d’amore complicate da tranelli, fraintendimenti ed espedienti furbeschi. I protagonisti delle commedie plautine sono generalmente personaggi privi di sfumature psicologiche: tra i “tipi” più ricorrenti, esemplari sono il soldato spaccone, il bugiardo, l’avaro, lo schiavo astuto, il parassita. Fra le sue commedie più note ricordiamo Amphitruo (Anfitrione), Asinaria (La commedia degli asini), Aulularia (La commedia della pentola), Bacchides (Le Bacchidi), Menaechmi, Miles gloriosus (Il soldato spaccone), Pseudolus. Cecilio Stazio Cecilio Stazio (230 circa a.C. - 168 a.C.) è un commediografo latino, nato da una famiglia di galli insubri e trasferito come schiavo a Roma verosimilmente nel 222 a.C. Delle sue opere ci restano 42 titoli di palliatae (commedie di ambientazione greca) e frammenti per circa 300 versi. Sappiamo che la commedia Plocium (La collana) aveva come modello il Plokion di Menandro. L’opera di Cecilio Stazio potrebbe essere collocata tra la commedia più propriamente popolare e amante del gioco linguistico di Plauto e quella più vicina al modello della commedia nuova ateniese rappresentata da Terenzio. Terenzio Publio Terenzio Afro (190 circa a.C. - 159 a.C.) esordì come autore di teatro nel 166 a.C., e operò con alterne fortune fino al 160 a.C. Nel teatro di Terenzio grande rilievo hanno i temi della comprensione e del rispetto umano, della disponibilità verso gli altri, quei valori cioè che venivano riassunti dai latini con il termine humanitas. Nei suoi testi importanza ha lo scavo psicologico dei personaggi; le loro vicende, infatti, sono moderatamente realistiche ed evocano contesti tutt’altro che fantastici, rendendo le commedie terenziane, sulla scia del modello menandreo, dei veri e propri “drammi borghesi”. Le commedie di Terenzio Il suo primo testo teatrale fu Andria, messo in scena nel 166 a.C. Seguendo l’artificio retorico della contaminatio (tipico delle esperienze comiche del teatro classico e già utilizzato da Plauto) Terenzio attinse per le sue commedie (sei in tutto, rappresentate fra il 166 e il 160 a.C.) a diversi originali greci della commedia attica nuova, mescolando spunti narrativi e personaggi di varie opere. Andria, Heautontimorúmenos, Eunuchus e Adélphoi derivano perlopiù da commedie di Menandro, mentre Phormio ed Hécyra sono modellate su originali di Apollodoro di Caristo. Il teatro plautino Il contributo più originale della commedia romana sta nell’evidente destrutturazione del modello formale della commedia menandrea. Nel teatro di Plauto, infatti, si osserva una rinnovata importanza della dimensione musicale, ottenuta accostando a parti recitate (diverbia) altre cantate (cantica), nonché una rottura della ormai canonica divisione in cinque atti. Sul teatro plautino ebbero influsso anche forme teatrali preletterarie tipicamente italiche, come i fescennini e l’atellana, il che ne spiega la natura assai composita e difficilmente canonizzabile. Il teatro terenziano Al clima fantastico e chiassoso delle commedie plautine Terenzio sostituì invece drammi assai più realistici e raffinati, in cui l’introspezione psicologica dei personaggi ricorda da vicino quella di Menandro. Con Terenzio il teatro da grande momento di intrattenimento popolare divenne cassa di risonanza dei nuovi valori espressi dal circolo degli Scipioni. Successivamente il teatro comico a Roma decadde, lasciando maggior spazio al mimo, genere che ebbe notevole successo in età cesariana - della quale si ricordano i mimografi Decimo Laberio (106 a.C. 43 a.C.), Publilio Siro (data incerta, I secolo d.C.) e Gneo Mazio (fine del II secolo a.C. – inizio del I secolo a.C.) - e anche in età romana imperiale. Il teatro nel Medioevo Nel Medioevo, la tragedia e la commedia, come quasi tutti i generi letterari classici, scompaiono, travolti in parte dal crollo del mondo greco-romano, in parte dalla diffidenza della Chiesa nei confronti delle opere di carattere “pagano”. Non scompare, però, e non poteva essere diversamente, il teatro, inteso come azione scenica, cioè come rappresentazione di eventi, anche di breve durata. Il dramma di carattere religioso, quello che farà rinascere il teatro, nasce in occasione di particolari festività religiose (in particolare i riti della settimana di Pasqua) al fine di spiegare meglio il messaggio cristiano al popolo che non comprendeva il latino. Gli autori sono spesso anonimi, ma non mancano interessanti figure di letterati, come la monaca tedesca Rosvita (935 ca. - 973 ca.) e Jacopone da Todi (1236 circa –1306). Gli aspetti fondamentali del teatro medioevale furono la drammatizzazione, i motivi teatrali religiosi, una componente liturgica e didattica e uno sviluppo di una forma drammatica in volgare. Il teatro nel Rinascimento Il Rinascimento fu l’età dell’oro del teatro per molti paesi europei (in particolare in Italia, Spagna, Inghilterra e Francia), rinascita preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale. In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quattrocentesche. La commedia rinascimentale in Italia Autori di commedie in Italia furono: Niccolò Machiavelli (1469 –1527), che scrisse La Mandragola e Clizia; il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (1470 – 1520), che scrisse La Calandria; Donato Giannotti (1492 – 1573); Annibal Caro (1507 – 1566), che scrisse Gli Straccioni; Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca (1503 – 1584; il nobile senese Alessandro Piccolomini (1508 – 1579); Pietro Aretino (1492 – 1556), che scrisse La Cortigiana; Ludovico Ariosto (1474 – 1533); Angelo Beolco detto Ruzante (1496 – 1542). . La tragedia rinascimentale in Italia Composero tragedie di carattere epico: Gian Giorgio Trissino (1478 – 1550), che scrisse Sofonisba; Giambattista Giraldi Cinzio (1504 – 1573), che scrisse l’Orbecche; Sperone Speroni (1500 – 1588), che scrisse la Canace; Torquato Tasso (1544 – 1595), che scrisse l’Aminta e Re Torrismondo; Giovan Battista Guarini (1538 - 1612), che scrisse il Pastor fido. In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quattrocentesche. La svolta cinquecentesca La commedia cinquecentesca subì una svolta nel 1582, quando a Parigi venne pubblicato Il Candelaio di Giordano Bruno ricco di caratteristiche anomale e trasgressive. Con la ripresa del teatro si cominciarono a costruire anche degli spazi atti a contenere scenografie, alle volte anche molto complesse: in questo periodo vennero costruiti nuovi teatri, l’esempio più eclatante è il Teatro Olimpico di Andrea Palladio che si trova a Vicenza dove ancora oggi viene conservata la scenografia originale cinquecentesca di Vincenzo Scamozzi dell’Edipo re di Sofocle, opera con la quale fu inaugurato il teatro nel 1585. Il teatro nel XVII secolo: Francia Il Seicento fu un secolo molto importante per il teatro. In Francia nacque e si consolidò il teatro classico basato sul rispetto delle tre unità aristoteliche di tempo, di luogo e d’azione). La grandiosa opera drammatica di Pierre Corneille (1606 - 1684) già delineò un gusto teatrale francese e aprì le porte al siècle d’or, ben rappresentato dalla commedia di Molière (1622 - 1673), di costume ma soprattutto di carattere, frutto di un’acuta osservazione e rappresentazione della natura umana e dell’esistenza, e dalla tragedia alta, umana e tormentata di Jean Racine (1639 - 1699). Pierre Corneille Pierre Corneille (1606 –1684) agli inizi della carriera teatrale si dedica esclusivamente cosiddetta “commedia eroica”. Nel 1629, il primo e il più intricato dei suoi drammi, Mélite, è rappresentato a Parigi con successo. Seguono Clitandre (1631), La vedova (1632), La galleria del palazzo (1633), La serva (1634) e La Place Royale (1634). Nel 1635 esordisce nel genere tragico con Medea, ma non tralascia però la commedia, nella quale si prova nuovamente con L’illusione comica (1636), uno dei suoi capolavori. Le Cid, rappresentato all’inizio del 1637, ritenuto tuttora il suo capolavoro assoluto, lo consacra maggior poeta di teatro del suo tempo. Una delle sue migliori commedie, Le Menteur (Il bugiardo), scritta nel 1643, influenzerà Goldoni e Molière. Seguono molte tragedie, tra cui Rodoguna (1644) e Nicomede (1650), entrambe coronate da successo. Dopo questo periodo, la sua vena si esaurisce, lasciando sazio al suo giovane rivale Jean Racine. Molière Molière, pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin (1622 - 1673), attore e allo stesso tempo drammaturgo, ricercò uno stile di scrittura e recitazione meno legato alle convenzioni dell’epoca, e proteso verso una naturalezza realistica, che descrivesse al meglio le situazioni e la psicologia dei personaggi. Queste idee, che si realizzeranno in seguito nel teatro borghese, cominciano ad emergere con forza ne La scuola delle mogli (1662) e ne Il misantropo (1666) . Un nuovo stile che Molière accompagna con una critica feroce della morale dell’epoca, cosa che impedì a lungo alla commedia Il tartufo (1664) di essere rappresentata in pubblico. La sua acuta osservazione della realtà fu spesso per Molière fonte di guai, specialmente quando i nobili oggetto delle sue satire si riconoscevano nei suoi personaggi. L’aspirazione di Molière fu quella di dedicarsi a sviluppare un nuovo tipo di commedia, che porterà in seguito alla nascita della commedia di costume moderna, ispirata agli accadimenti quotidiani, scritta in prosa e che obbedisca alla verosimiglianza. Tra le altre opere famose annoveriamo Le preziose ridicole (1659), La scuola dei mariti (1662), L’avaro (1668), Il borghese gentiluomo (1670), Le furberie di Scapino (1671) e Il malato immaginario (1673). Jean Racine Jean Racine (1639 - 1699) nel 1664 rappresentò la sua prima tragedia, Tebaide o i fratelli nemici e l’anno seguente Alessandro il Grande, mentre due anni dopo rappresentò al Louvre Andromaca. Nell’arco di dieci anni Racine scrisse opere immortali: Berenice (1670), Mitridate (1673), Ifigenia in Aulide (1674), Fedra (1677), considerato il suo capolavoro. Dopo anni di silenzio, nel 1689, compose un dramma sacro, Esther, e nel 1691 la sua ultima opera, Atalia. Nel teatro di Racine l’azione si sviluppa secondo la logica delle passioni; l’amore che si trasforma in odio e in furore costituisce il tema predominante. Il teatro nel XVII secolo: Spagna Non meno significativa fu l’impronta lasciata dal teatro seicentesco spagnolo, dalla imponente produzione del maestro Lope de Vega (1562 - 1635), fondatore di una scuola che ebbe in Tirso de Molina, pseudonimo di Gabriele Téllez (1579 - 1648) con il suo L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, e in Pedro Calderón de la Barca (1600 - 1681) con le sue vette poetiche immerse nella realtà, nel sogno e nella finzione, i migliori discepoli. La Commedia dell’Arte in Italia In Italia il teatro dei professionisti, i comici della Commedia dell’arte, soppiantò il teatro erudito rinascimentale. Per circa due secoli la commedia italiana rappresentò il “Teatro” per il resto d’Europa. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti, erano tenute all’aria aperta con una scenografia fatta di pochi oggetti. Gli spettacoli erano gratuiti e finanziati tramite donazioni. Le compagnie erano composte di dieci persone: otto uomini e due donne. Le maschere principali erano: Arlecchino, Balanzone, Brighella, Colombina, Pantalone, Pulcinella e Stenterello. Sempre in Italia c’erano già delle prove di tragediografi come Federico Della Valle e Carlo de’ Dottori e anche commediografi ancora legati alle corti come Jacopo Cicognini alla corte fiorentina dei Medici. Il teatro elisabettiano in Inghilterra Il teatro elisabettiano è stato uno dei periodi artistici di maggior splendore del teatro britannico. Esso viene collocato tradizionalmente fra il 1558 e il 1625, durante i regni dei sovrani britannici Elisabetta I d’Inghilterra e Giacomo I d’Inghilterra. Il teatro di tutto il periodo viene tradizionalmente associato al drammaturgo William Shakespeare (1564 - 1616). Altri esponenti del teatro elisabettiano furono Christopher Marlowe (1564 - 1593) e Thomas Kyd (1558 -1594). Il vero rivale di Shakespeare fu tuttavia Ben Jonson (1572 - 1637), le cui commedie furono anch’esse influenzate dalla Commedia dell’Arte. Marlowe, Kyd e Jonson Nei drammi di Marlowe si rispecchia il risultato di una vita così misteriosa ed estrema: i suoi personaggi risentono di una brama insana di potere (come nel Tamerlano il grande I e II), una sfrenata sensualità (Edoardo II), nella sete infinita di potere (Doctor Faustus). Della produzione drammaturgica di Kyd rimane un solo testo, fondamentale per il teatro inglese, La tragedia spagnola, nel quale Kyd elabora i temi della tragedia di vendetta. I toni del dramma, in linea con la produzione inglese dell’epoca, risentono delle atmosfere cupe e sanguinarie, indice di un gusto per l’estetica spettacolare assai differente dalla produzione drammaturgica europea coeva. Jonson, invece, nel 1598 scrisse la commedia Ognuno nel suo umore, il suo primo vero successo. Nel 1616 curò personalmente la pubblicazione delle sue opere in un unico volume (The Works): Jonson sarà l’unico drammaturgo elisabettiano ad intraprendere una simile raccolta. William Shakespeare William Shakespeare (1564 - 1616) è il massimo esponente del teatro elisabettiano ed è considerato tuttora uno dei maggiori autori teatrali a livello mondiale. Si ritiene che sia uno dei pochi scrittori capaci di eccellere sia nelle tragedie sia nelle commedie, oltre ad essere uno dei pochi capaci di combinare il gusto popolare con la complessa caratterizzazione dei personaggi, poetica e profondità filosofica. Le sue opere sono state tradotte nelle maggiori lingue e inscenate in tutto il mondo. Inoltre è lo scrittore maggiormente citato nella storia della letteratura inglese e molte delle sue espressioni linguistiche sono entrate nella lingua quotidiana inglese. Le opere teatrali shakespeariane: tragedie Romeo e Giulietta (1591 - 1596) Macbeth (1603 - 1606) Re Lear (1603 – 1606) Amleto (1599 - 1600) Otello (1603) Tito Andronico (1593) Giulio Cesare (1599) Antonio e Cleopatra (1606) Coriolano (1607) Troilo e Cressida (1602) Timone di Atene (1607) Le opere teatrali shakespeariane: commedie La commedia degli errori (1592) Tutto è bene quel che finisce bene (1603) La dodicesima notte (1602) Come vi piace (1599) Sogno di una notte di mezza estate (1595) Molto rumore per nulla (1599) Misura per misura (1603) La tempesta (1611) La bisbetica domata (1593) Il mercante di Venezia (1596) Le allegre comari di Windsor (1597 - 1600) Pene d’amore perdute (1594) I due gentiluomini di Verona (1594) Pericle principe di Tiro (1608) Cimbelino (1609) Il racconto d’inverno (1594-1610) Le opere teatrali shakespeariane: drammi storici Riccardo III (1592) Riccardo II (1595) Enrico VI, parte I (1590) Enrico VI, parte II (1590) Enrico VI, parte III (1590) Enrico V (1599) Enrico IV, parte I (1597) Enrico IV, parte II (1598) Enrico VIII (1612) Re Giovanni (1596) Il teatro nel Settecento Fu un secolo buio per quanto riguarda la Spagna, ben lontana dai fasti dei periodi precedenti, transitorio per la produzione britannica ad esclusione delle legitimate comedy, delle commedie giovanili di Henry Fielding (1707-1754) e delle innovazioni tecniche di David Garrick (1717-1779), illuminista nei drammi tedeschi di Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), che scrisse le commedie Minna von Barnhelm (1767), Miss Sara Sampson (1775) e Nathan il saggio (1779), in cui espone i suoi ideali di solidarietà e tolleranza, e la tragedia Emilia Galotti (1772). In Francia, invece, fu un’età ricca di riforme ed innovazioni. Il teatro francese nel Settecento Nel frattempo in Francia l’arte drammatica si era evoluta con la comédie larmoyante di Pierre-Claude Nivelle de La Chaussée (1692 - 1754), “inventata” dal drammaturgo elisabettiano inglese Thomas Heywood (1570 circa - 1641), e il dramma rivoluzionario di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732 – 1799), l’inventore del personaggio di Figaro ripreso da Mozart e Rossini. Il Settecento pose le basi anche dello sviluppo teorico della recitazione e della funzione dell’arte teatrale per la società. Il teorico di maggior prestigio fu Denis Diderot (1713 – 1784), filosofo illuminista, ma anche autore di tre testi teatrali che s’inseriscono nel nuovo filone del dramma borghese. Il teatro italiano nel Settecento: la commedia La situazione italiana dopo un lungo secolo di Commedia dell’Arte dedicò l’inizio di questo secolo all’analisi delle forme teatrali e la riconquista degli spazi scenici di una nuova drammaturgia che oltrepassasse le buffonerie del teatro all’improvviso. All’inizio del XVIII secolo la commedia cortigiana s’avvale della produzione della scuola toscana della commedia detta “pregoldoniana” del fiorentino Giovan Battista Fagiuoli (1660 - 1742) e dei senesi Girolamo Gigli (1660 - 1722) e Jacopo Nelli (16731767). Il teatro italiano riprese un ruolo di primo piano all’interno del panorama europeo, nel melodramma con Pietro Metastasio (1698-1782) e nella commedia con Carlo Goldoni (1707-1793). Carlo Goldoni Il veneziano Carlo Goldoni (1707-1793) fu un riformatore e uno sperimentatore, spaziando dalla commedia di carattere a quella di ambiente, dalla drammaturgia borghese a quella popolare, dal commedia dialettale esaustiva alla rappresentazione della realtà veneziana focalizzata nelle contraddizioni sociali, politiche e economiche. La sua carriera da commediografo vanta, oltre a 200 opere teatrali scritte nei dialetti e in italiano, la responsabilità di una gran riforma del teatro, che passa dalla Commedia dell’Arte, caratterizzata da improvvisazione e da maschere, a una commedia basata su testi interamente scritti e su personaggi che cominciano a sviluppare una loro individualità. Le commedie di Carlo Goldoni Tra le commedie più note annoveriamo: Il servitore di due padroni (1745), La bottega del caffè (1750), La locandiera (1750), Il teatro comico (1750), Il campiello (1755), I rusteghi (1760), Il sior Todero brontolon (1762), Le baruffe chiozzotte (1762), Il ventaglio (1763). Il teatro italiano nel Settecento: la tragedia In Italia non era mai esistita una tradizione tragica alla quale ricondursi, anche il Cinquecento aveva espresso ben poco oltre Trissino, Guarini e un Tasso decisamente minore rispetto a quello della Gerusalemme liberata. In compenso esisteva un ampio patrimonio tragico all’interno del melodramma, ma che non rispondeva certo alle esigenze di coloro che ammiravano il secolo d’oro francese di Corneille e Racine. Uno dei migliori tragediografi italiani del Settecento prima di Vittorio Alfieri (1749 - 1803) furono Antonio Conti (1677 - 1749), autore di quattro tragedie di argomento romano (Cesare, Giunio Bruto, Marco Bruto, Druso) e Scipione Maffei (1675 - 1755), che scrisse La Merope, la tragedia italiana più rappresentativa di questo inizio secolo, e aprì le porte alla tragedia di Alfieri. Va anche ricordato Pier Iacopo Martello (1665 1727), che si rifà al teatro francese del Seicento. Vittorio Alfieri Vittorio Alfieri (1749 - 1803), terminata l’Accademia militare a Torino, e dopo un lungo giovanile vagabondare in vari stati dell’Europa, nel 1775 rientra nel capoluogo piemontese e si dedica allo studio della letteratura; completa così la sua prima tragedia, Antonio e Cleopatra, che registra un grande successo; seguiranno poi Antigone, Filippo, Oreste, Saul, Maria Stuarda, Mirra. La fama delle sue tragedie è legata alla centralità del rapporto libertà-potere e all’affermazione dell’individuo sulla tirannia. Una profonda e sofferta riflessione sulla vita umana arricchisce la tematica quando il poeta si sofferma sui sentimenti più intimi e sulla società che lo circonda. Il romanticismo in Germania Il teatro europeo all’inizio dell’Ottocento fu dominato dal dramma romantico. Gli ideali romantici vennero esaltati in modo particolare in Germania. Nel romanticismo si situano Johann Wolfgang von Goethe (1749 - 1832) e Friedrich Schiller, che videro nell’arte la via migliore per ridare dignità all’uomo. Degli ideali romantici e neoclassici si nutrirono molte tragedie di soggetto storico o mitologico. Di Goethe ricordiamo i drammi Götz von Berlichingen, Ifigenia in Tauride, Faust - Parte 1 e Faust - Parte 2. Schiller è noto per i drammi I Masnadieri, Intrigo e Amore, Don Carlos, la trilogia Wallenstein, Maria Stuart, La Pulzella d’Orléans, La sposa di Messina, Guglielmo Tell. Il romanticismo in Italia e Inghilterra Al romanticismo teatrale fecero riferimento anche gli autori italiani come Alessandro Manzoni (1785 1873) con tragedie come l’Adelchi e Il Conte di Carmagnola, oltre a Silvio Pellico (1789 - 1854) con la tragedia Francesca da Rimini. Molto importante fu anche il teatro romantico inglese fra i maggiori rappresentanti ci furono Percy Bysshe Shelley (1792 - 1822), John Keats (1795 - 1821) e Lord George Gordon Byron (1788 -1824). Anticonformismo e innovazione L’Ottocento è anche il secolo degli anticonformisti sia a livello artistico sia nella giustizia sociale, ben rappresentati dal society drama portato in scena da Oscar Wilde (1854 - 1900), di cui ricordiamo le commedie Il ventaglio di Lady Windermere, Una donna senza importanza, Un marito ideale, L’importanza di chiamarsi Ernesto, e degli innovatori come Georg Büchner (1813 - 1837), autore della tragedia La morte di Danton e della commedia Leonce e Lena, che precorsero il dramma novecentesco. Il teatro naturalista e verista In Inghilterra, in Francia ed in Italia, in concomitanza con la nascita del naturalismo e del verismo (perenne ricerca della realtà in maniera oggettiva), intorno alla metà del secolo le grandi tragedie cedettero il posto al dramma borghese, caratterizzato da temi domestici, intreccio ben costruito e abile uso degli espedienti drammatici. Il maggiore esponente del teatro naturalista fu Victor Hugo (1802 - 1885), che scrisse Cromwell, Hernani, Lucrezia Borgia, Ruy Blas, I Burgravi. Il teatro verista fu rappresentato da Giovanni Verga (1840 1922), che scrisse I nuovi tartufi, La lupa, Mastrodon Gesualdo, Cavalleria rusticana, Dal tuo al mio. In America Latina l’argentino Florencio Sánchez (1875 - 1910), che scrisse La straniera, In famiglia, Giù per la china, seguì la loro scuola e si mise in evidenza. Il primo Novecento Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana della centralità dell’attore. Il teatro della parola si trasforma in teatro dell’azione fisica, del gesto, dell’emozione interpretativa dell’attore con il lavoro teorico di Kostantin Sergeevič Stanislavskij (1863 - 1938) e dei suoi allievi, tra cui Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d (1874 - 1940). Il Novecento aprì anche una nuova fase che portò al centro dell’attenzione una nuova figura teatrale, quella del regista che affiancò le classiche componenti di autore e attore. Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l’austriaco Max Reinhardt (1873 - 1943), il francese Jacques Copeau (1879 - 1949)e l’italiano Anton Giulio Bragaglia (1890 - 1960). Panoramica del primo Novecento Nacquero nuove forme di teatro come il teatro della crudeltà di Antonin Artaud (1896 - 1948), la drammaturgia epica di Bertolt Brecht (1898 - 1956) e, nella seconda metà del secolo, il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett (1906 - 1989) e Eugene Ionesco (1909 - 1994) modificarono radicalmente l’approccio alla messa in scena e determinano una nuova via al teatro, una strada che era stata aperta anche con il contributo di autori del calibro di Jean Cocteau (1889 - 1963), Robert Musil (1880 - 1942), Hugo von Hofmannsthal (1874 - 1929), gli scandinavi August Strindberg (1849 - 1912) e Henrik Ibsen (1828 - 1906); ma coloro che spiccarono tra gli altri, per la loro originalità furono Frank Wedekind (1864 –1918) con la sua Lulù e Alfred Jarry (1873 - 1907), l’inventore del personaggio di Ubu Roi. Bertolt Brecht Bertolt Brecht (1898 - 1956) è considerato il più influente drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco del XX secolo. Il teatro di Brecht fu all’inizio molto influenzato dall’Espressionismo, ma le sue opinioni politiche lo portarono a sviluppare la teoria di un “teatro epicodidascalico”, in cui lo spettacolo era messo al servizio dello spettatore che non doveva immedesimarsi nella rappresentazione, ma veniva stimolato a tenere una distanza critica per riflettere su quello che si vedeva in scena. Per questo tutto nello spettacolo doveva creare un effetto di straniamento, un distacco critico che permettesse allo spettatore di imparare. Il suo teatro offriva una grande varietà di storie e casi umani, oppure rivisitazioni di drammi storici che sapevano incantare il pubblico per la loro arguzia, modernità e impostazione scenica. Tra le opere più note citiamo Tamburi nella notte (1922), L’Opera da tre soldi (1928), Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1929), Madre Coraggio e i suoi figli (1939), Vita di Galileo (1938-43). Samuel Beckett L’opera di Samuel Beckett (1906 - 1989) è caratterizzata da un immagine profondamente pessimistica della condizione dell’uomo nell’odierna civiltà e il suo stile è essenziale e attraversato da lampi di tragico umorismo. Aspettando Godot (1953) è senza dubbio la più celebre opera teatrale di Samuel Beckett nonché uno dei testi più noti del teatro del Novecento. Altri suoi testi sono Desideri umani (1937), Eleutheria (1947), Finale di partita (1957), L’ultimo nastro di Krapp (1958), Giorni felici (1961), Commedia (1963), Passi (1975). Nel 1969 ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Eugene Ionesco Attraverso il teatro Eugène Ionesco (1909 - 1994), scrittore e drammaturgo francese di origini rumene, si interroga sulla vita e sulla morte, esplora il reale. Debuttò come commediografo con La cantatrice calva (1950), commedia in un atto e 11 scene, definita dallo stesso autore “anticommedia”. Seguirono gli atti unici La lezione (1951), Le sedie (1952), Vittime del dovere (1953) e le prime commedie in tre atti: Amédée o come sbarazzarsene (1954), e Jacques o la sottomissione (1955). Ionesco mostra la società umana come priva di realtà e ne rappresenta gli aspetti fenomenici solo per far vedere il nulla che sta sotto di essa. In Sicario senza paga (1957) e Il rinoceronte (1959), la sua commedia forse di maggior successo, il messaggio si fa esplicito, ma intellettualizzandosi perde il fascino dell’ambiguità e la forza rappresentativa. Atmosfere più autentiche sono nei lavori successivi: Il re muore (1962), La sete e la fame (1966), Macbeth (1972). Jean Cocteau e Robert Musil Jean Cocteau (1889 - 1963) è stato un poeta, romanziere e drammaturgo francese. Fu anche designer, regista, sceneggiatore e attore. La sua versatilità, la sua originalità e la sua enorme capacità espressiva gli portarono il plauso internazionale. Tra le sue opere teatrali ricordiamo quelle dedicate al teatro classico: Antigone (1922), 1924 Roméo et Juliette (1924), Orphée (1926), ma anche I parenti terribili (1938). Di Robert Musil (1880 - 1942) ricordiamo le commedie I fanatici (1921) e Vinzenz e l’amica degli uomini importanti (1923). Hugo von Hofmannsthal Hugo von Hofmannsthal (1874 - 1929) dal 1901 si volse esclusivamente al teatro, attraverso una serie di rielaborazione in chiave moderna di tragedie greche: Elettra (1904) e Edipo e la Sfinge (1906). In Ognuno, il dramma della morte del ricco (1911) vi è l’influenza dei misteri medievali e del teatro barocco. Da segnalare anche Il cavaliere della rosa 1911) e Arianna a Nasso (1912), prototipi di una nuova forma di dramma musicale, in cui il testo letterario ha una sua autonoma validità poetica. Del 1921 è L’uomo difficile, imperniato sulla figura di un aristocratico il cui destino appare legato a quello della monarchia asburgica ormai alla fine. Il problema della responsabilità sociale del singolo è affrontato ne Il gran teatro salisburghese del mondo (1922) e La torre (1925) ispirati al teatro di Calderón de la Barca. August Strindberg Per la vastità e la rilevanza della produzione lo svedese August Strindberg (1849 - 1912) è all’apice della tradizione letteraria scandinava e raggiunge per riconoscimento unanime un seggio tra i massimi artisti letterati del mondo. Dopo aver esordito come poeta e romanziere, si dedicò al teatro con la pièce Il padre (1887) e altri drammi critici delle realtà sociali come La signorina Giulia ( 1888), Delitto e delitto (1899) Danza di morte (1901), Il sogno (1902) e L’isola dei morti (1907). Henrik Ibsen: i primi drammi Henrik Ibsen (1828 - 1906), scrittore e drammaturgo norvegese, è considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver portato nel teatro la dimensione più intima della borghesia ottocentesca, mettendone a nudo le contraddizioni e il profondo maschilismo. Gli uomini e le donne creati da Ibsen, pronti a sacrificare tutto per perseguire il proprio ideale e a esprimere con impeto la propria personalità, restano sorprendentemente vivi a più di un secolo di distanza, poiché traducono con forza le grandi angosce del nostro tempo. Ibsen debutta con drammi storici, Catilina (1850) e Il Tumulo del guerriero (1854). La Signora Inger di Østråat (1855), La festa a Solhaug (1856), Olaf Liliekrans (1856), sono drammi ispirati alle vecchie saghe nazionali, cosi come le saghe islandesi gli ispirano I guerrieri a Helgeland (1858). La commedia dell’amore (1862) denuncia la “menzogna vitale” sulla quale si baserebbe ogni amore coniugale e I pretendenti al trono (1863) esalta simultaneamente la fedeltà alla vocazione e la dimensione selvaggia del destino. Brand (1866) è un poema più che un dramma in versi, mentre Peer Gynt (1867) attinge al folclore ed al romanticismo nazionalistico per stigmatizzare il sogno e l’ipocrisia, ai quali oppone il senso del dovere e la realtà. Henrik Ibsen: il teatro sociale La fase del teatro sociale di Ibsen iniziò con i drammi L’unione dei giovani (1869) e I pilastri della società (1877), che tratta dello smascheramento della menzogna e dell’importante ruolo della donna in questa operazione sociale. La donna riveste una posizione centrale anche nel dramma Casa di bambola (1879) dove la protagonista non esita a lasciare la famiglia per riacquistare una propria identità. Gli altri lavori di Ibsen in questo periodo sono: Gli spettri (1881), Un nemico del popolo (1882), L’anitra selvatica (1884), Villa Rosmer (1886), La donna del mare (1888), Hedda Gabler (1890). In questo periodo si inseriscono anche il dramma Il costruttore Solness (1892), che oscilla tra l’allegoria e l’autobiografia, e Il piccolo Eyolf (1894), dramma sulle responsabilità umane, in cui il protagonista è vittima del contrasto tra i genitori. Segnano la fine dell’attività ibseniana i drammi John Gabriel Borkmann (1896) e Quando noi morti ci destiamo (1899) Frank Wedekind Il drammaturgo tedesco Frank Wedekind (1864 1918) spesso interpretò e curò la regia delle proprie opere. Il suo primo lavoro teatrale fu il dramma Risveglio di primavera (1891). Seguì poi il dittico Lo spirito della terra (1895) e Il vaso di Pandora (1904), chiamata “Lulu” Opera minore, ma interessante è l’atto unico Il cantante da camera (1897). Tra le altre opere si ricordano Il marchese di Keith (1901), Re Nicolò ovvero Così è la vita (1902), Danza macabra (1906), nota anche con il titolo Morte e diavolo (1909), e Franziska (1912). Alfred Jarry Alfred Jarry (1873 – 1907) è stato uno scrittore e drammaturgo francese, la cui commedia più famosa è l’Ubu Re (1896), considerata caposaldo e vera e propria pietra miliare del Teatro dell’assurdo. I testi di Jarry sono considerati tra i primi sul tema dell’assurdità dell’esistenza ed hanno a che fare con il grottesco e il fraintendimento. Ricordiamo I minuti di sabbia. Memoriale (1894), Cesare anticristo (1899), L’amore assoluto (1899), Messalina (1901), Il supermaschio (1902) Gesta e opinioni del dottor Faustroll patafisico, uscito postumo nel 1911. I drammaturghi russi I drammaturghi russi occupano un osto articolare nella produzione teatrale ottocentesca. Tra tutti occorre ricordare Michail Lermontov (1814 - 1841), Aleksandr Puškin (1799 - 1837), che scrisse Boris Godunov nel (1825) e Anton Čechov (1860 –1904), autore di drammi quali Il gabbiano (1895), Zio Vanja (1897), Tre sorelle (1900) e Il giardino dei ciliegi (1903). Il primo Novecento in Italia Contemporaneamente il teatro italiano fu dominato, per un lungo periodo, dalle commedie di Luigi Pirandello (1867 - 1936), dove l’interpretazione introspettiva dei personaggi dava una nota in più al dramma borghese che divenne dramma psicologico. Mentre per Gabriele D’Annunzio (1863 - 1938) il teatro fu una delle tante forme espressive del suo decadentismo e il linguaggio aulico delle sue tragedie va dietro al gusto liberty imperante. Una figura fuori dalle righe fu quella di Achille Campanile (1899 - 1977) il cui teatro anticipò di molti decenni la nascita del teatro dell’assurdo. Luigi Pirandello Luigi Pirandello (1867 - 1936), insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1934, divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama teatro dello specchio, perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell’ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore. Dalla critica viene definito come uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scriverà moltissime opere, alcune della quali rielaborazioni delle sue stesse novelle, che vengono divise in base alla fase di maturazione dell’autore: Prima fase - Il teatro siciliano Seconda fase - Il teatro umoristico Terza fase - Il teatro nel teatro (metateatro) Il teatro dei miti Pirandello e il teatro siciliano Nella fase del Teatro Siciliano Pirandello è alle prime armi e ha ancora molto da imparare. Anch’essa come le altre presenta varie caratteristiche di rilievo e in questo caso abbiamo il fatto che esso è scritto tutto, interamente in dialetto siciliano perché considerato dall’autore più vivo dell’italiano ed esprime di più l’aderenza alla realtà. Appartengono a questo periodo le seguenti opere: Lumìe di Sicilia (1910); Il dovere del medico (1913); Se non è così (1915); Cecè, (1915); Pensaci, Giacomino (1916); Liolà (1916). Pirandello e il teatro umoristico Mano a mano che l’autore si distacca dal verismo e si avvicina al decadentismo si ha l’inizio della seconda fase con il teatro umoristico con numerosi paradossi. In questa fase Pirandello presenta personaggi che spezzano le certezze del mondo borghese introducendo la versione relativistica della realtà in cui lui vorrebbe trovare la dimensione autentica della vita al di là della maschera. Lo scopo del drammaturgo è quello di “denudare le maschere”. Lui stesso definirà il suo teatro “Teatro dello specchio” perché rappresenta la vita nuda con le sue realtà, dove si ci riflette con una maschera che nasconde l’ipocrisia e tutti gli aspetti delle persone. Così è (se vi pare) (1916); Il berretto a sonagli (1917); La giara (1917); Il piacere dell’onestà (1917); La patente (1918); Ma non è una cosa seria (1918); Il giuoco delle parti (1918); L’innesto (1919); L’uomo, la bestia e la virtù (1919); Tutto per bene (1920); Come prima, meglio di prima (1920); La signora Morli, una e due (1920). Pirandello e il teatro nel teatro Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano radicalmente, per Pirandello il teatro deve parlare anche agli occhi non solo alle orecchie, a tal scopo ripristinerà una tecnica teatrale di Shakespeare, il palcoscenico multiplo, in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si vedono varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente; inoltre il teatro nel teatro fa sì che si assista al mondo che si trasforma sul palcoscenico. Pirandello abolisce anche il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico: in questa fase, infatti, Pirandello tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita degli attori sulla scena. Sei personaggi in cerca d’autore (1920); Enrico IV (1922); All’uscita (1922); L’imbecille (1922); Vestire gli ignudi (1922); L’uomo dal fiore in bocca (1923); La vita che ti diedi (1923); L’altro figlio (1923); Ciascuno a suo modo (1924); Sagra del signore della nave (1925); Diana e la tuda (1927); L’amica delle mogli (1927); Bellavita (1927); O di uno o di nessuno (1929); Come tu mi vuoi (1930); Questa sera si recita a soggetto (1930); Sogno, ma forse no (1931); Trovarsi (1932); Quando si è qualcuno (1933); La favola del figlio cambiato (1934); Non si sa come (1935). Pirandello e il teatro dei miti Solo tre opere della produzione pirandelliana appartengono al teatro dei miti: La nuova colonia (1928), Lazzaro (1929), I giganti della montagna (1932). I capolavori di Pirandello Indubbiamente le opere principali di Luigi Pirandello sono state: • Pensaci, Giacomino (1916), • Liolà (1916), • Così è (se vi pare) (1916), • Il berretto a sonagli (1917), • La patente (1918), • L’uomo, la bestia e la virtù (1919), • Sei personaggi in cerca d’autore (1920), • Enrico IV (1922), • Vestire gli ignudi (1922), • L’uomo dal fiore in bocca (1923), • Questa sera si recita a soggetto (1930); • I giganti della montagna (1932). Tra esse merita una menzione speciale Sei personaggi in cerca d’autore, probabilmente il dramma più famoso di Pirandello, rappresentato per la prima volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma, ma con un esito tempestoso, perché molti spettatori contestarono la rappresentazione al grido di “Manicomio! Manicomio!”; fu importante, per il successivo successo di questo dramma, la terza edizione, del 1925, in cui l’autore aggiunse una prefazione nella quale chiariva la genesi, gli intenti e le tematiche fondamentali del dramma. Gabriele D’Annunzio Tutta la produzione drammaturgica di Gabriele D’Annunzio (1863 - 1938) va interpretata in senso antietico rispetto al teatro di ispirazione verista e borghese, sia nei contenuti che nella forma dell’espressione. Attraverso la tragedia in versi egli riuscì a creare un teatro fortemente lirico, costruito su un lessico ricercato, e in grado di dar vita a suggestioni sceniche assai vicine allo spirito della tragedia antica. Nello stile e nello svolgimento dei temi il D’Annunzio drammaturgo si mosse in un contesto europeo nell’affiancarsi al simbolismo francese e all’estetismo inglese. L’accostarsi dell’autore alla materia teatrale si fece intenso grazie soprattutto alla sua relazione con la grande attrice Eleonora Duse, la quale gli svelò i segreti del palcoscenico. Tra le opere più note ricordiamo: La città morta (1899). Francesca da Rimini (1902), La figlia di Iorio (1904), che è la più nota tra le opere dannunziane, e La fiaccola sotto il moggio (1905). Achille Campanile Achille Campanile (1899 - 1977) è stato uno scrittore, giornalista e drammaturgo italiano, celebre per il suo umorismo surreale e i giochi di parole. Molti critici hanno elevato lo scrittore a “classico” del Novecento. Oltre che all’analogia con alcuni dei percorsi pirandelliani in tema di convenzioni, Campanile è stato variamente accostato alle ricerche sull’assurdo di Ionesco (accostamento che respinse) ed al surrealismo, ma secondo alcune visioni costituirebbe un unicum, un caso pienamente a sé e di non vantaggiosa comparazione. Tra le opere più famose ricordiamo Centocinquanta la gallina canta (1924), L’inventore del cavallo (1927), Il Povero Piero (1961), Tragedie in due battute (1978). Le altre tendenze europee La Germania della Repubblica di Weimar fu un terreno di sperimentazione molto proficuo, oltre al già citato Brecht molti artisti furono conquistati dall’ideale comunista e seguirono l’influenza del teatro bolscevico, quello dell’agit-prop di Vladimir Majakovskij (1893 - 1930), fra questi Erwin Piscator (1893 - 1966), direttore del Teatro Proletario di Berlino, e Ernst Toller (1893 –1939), il principale esponente teatrale dell’espressionismo tedesco. Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura di Federico García Lorca (1898-1936) che scrisse le tragedie Nozze di sangue (1933), Yerma (1934) e La casa di Bernarda Alba (1936), ma le sue ambizioni furono presto represse nel sangue dalla milizia franchista che lo fucilò vicino Granada. Il teatro nel secondo dopoguerra Nel secondo dopoguerra il teatro occidentale si arricchisce di nuovi stimoli. Torna ad assumere grande importanza, dopo un periodo di supremazia della parola, l’azione fisica, il gesto. Si sviluppano metodi che mettono l’accento sull’emozione interpretativa dell’attore (con l’utilizzo del metodo Stanislavskij rielaborato in seguito da Lee Strasberg) e sull’ allenamento fisico (il training dell’attore). La ricerca degli anni ‘60 e ‘70 tenta di liberare l’attore dalle tante regole della cultura in cui vive (seconda natura), per mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura capace di rispondere in modo efficiente e immediato. L’obiettivo di perfezionamento dell’arte dell’attore diventa insieme momento di crescita personale. Il secondo Novecento in Italia Molti anche in Italia parteciparono a questa maturazione sia fra i drammaturghi come Eduardo De Filippo (1900 - 1984) che con lo sperimentale teatro di Carmelo Bene (1937 - 2002), sia con l’apporto fondamentale di grandi registi come Giorgio Strehler (1921 - 1997) e Luchino Visconti (1906 - 1976). Eduardo De Filippo La spontaneità del teatro di Eduardo De Filippo (1900 - 1984) è alimentata dalla tradizione ottocentesca su cui si innestano istanze della poetica neorealista, dando vita ad una rappresentazione popolare vivace, in cui l’uso del dialetto colora ambienti dominati da una dolorosa miseria e dai problemi di sopravvivenza precaria. Altro grande merito di De Filippo è quello di aver saputo rivitalizzare l’eterna maschera di Pulcinella, donandole un volto realistico: l’uomo comune, costantemente alle prese con le sofferenze e con le difficoltà della vita, che riesce ad aggirare efficacemente attraverso accomodamenti e sotterfugi. Ma l’uomo comune-Pulcinella è caratterizzato anche da una incoercibile umanità, che alla fine riesce ad avere la meglio sull’incertezza della quotidianità, a dominare la precarietà e l’inquietudine che accompagnano l’agire dell’individuo. In questa dimensione si colloca la sua produzione più valida, a scapito del carattere meno convincente dei testi in cui prevalgono intenzioni di denuncia sociale o l’astratta ricerca di soluzioni pirandelliane più legate ai motivi dell’illusione e della follia. La sensibilità acutissima di De Filippo seppe in ogni modo dosare finemente ciascuna di queste componenti riuscendo ad elaborare la misura che tra tutte risultò la più efficace:l’equilibrio tra tutte queste diverse istanze. Tra i titoli più importanti troviamo: Natale in casa Cupiello (1931), Napoli milionaria (1945), Filumena Marturano e Questi fantasmi (1946), Le voci di dentro (1948), Mia famiglia e Bene mio e core mio (1955), De Pretore Vincenzo (1957), Sabato domenica lunedi (1959), Il sindaco del rione Sanità (1960), Il figlio di Pucinella (1962), L’arte della commedia (1965), Il contratto (1967), Il monumento (1970) e Gli esami non finiscono mai (1973). Natale in casa Cupiello Natale in casa Cupiello, la più famosa opera di De Filippo, nasce nel 1931 come atto unico in cui si racconta sostanzialmente di un pranzo natalizio turbato dal dramma della gelosia. Nel giro di appena un anno è già un dramma famoso ma Eduardo De Filippo vuole far conoscere meglio i suoi personaggi e, anziché allungare la storia, la fa cominciare due giorni prima aggiungendo un atto, che diventerà il primo, nel quale si racconta, in forma di riuscitissima farsa familiare, il risveglio di Luca nella fredda mattina del ventitré dicembre. Dopo due anni De Filippo aggiunge la terza parte conclusiva scrivendo il terzo ed ultimo atto contro il parere di suo fratello Peppino che lo riteneva inutile perché troppo scontato. A questo punto Natale in casa Cupiello ha finalmente la forma che tutti conosciamo e che portò Eduardo stesso a definirlo “un parto trigemino con una gravidanza durata quattro anni”. Carmelo Bene Carmelo Bene (1937 - 2002), reinventando il linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco, manifesta il suo genio di attore, perché non si limita a recitare (citare una cosa) e comincia così il suo “massacro dei classici”. È considerato un affabulatore e un presuntuoso “massacratore” dalla critica, mentre gli intellettuali italiani degli anni Sessanta e Settanta lo ritengono un genio. Un genio che si scaglia contro il teatro di testo, per un teatro da lui definito “scrittura di scena”; un teatro del dire e non del detto, perché per Bene il teatro del già detto non dice, appunto, niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove. Il secondo Novecento in Europa In Germania fu fondamentale l’apporto di Botho Strauss (1944) e Rainer Werner Fassbinder (1945 - 1982); in Francia Louis Jouvet (1887 - 1951) e i testi estremi di Jean Genet (1910 - 1986). Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del ‘900 all’evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich Dürrenmatt (1921 - 1990), di cui citiamo La visita della vecchia signora (1956) e I fisici (1962), e Max Frisch (1911 - 1991). Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di una messinscena grazie a Tadeusz Kantor (1915 - 1990), pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del teatro del Novecento. Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le opere fondamentali della storia del teatro. Le sperimentazioni novecentesche L’influenza di questi maestri sul movimento teatrale del dopoguerra è immenso, basti pensare all’Odin Teatret di Eugenio Barba (1936), al teatro povero di Jerzy Grotowski (1933 - 1999), al teatro fisico del Living Theatre di Julian Beck (1925 - 1985) e Judith Malina (1926), fino alle applicazioni “commerciali” dell’Actor’s Studio di Stella Adler (1901 - 1992) e Lee Strasberg (1901 - 1982). Il Novecento americano Tra gli autori novecenteschi negli USA annoveriamo Eugene O’Neill (1888 - 1953), autore di opere straordinarie quali In viaggio per Cardiff (1916), Oltre l’orizzonte (1920), Imperatore Jones (1920), Desiderio sotto gli olmi (1924), Strano interludio (1928), Il lutto si addice ad Elettra (1931) e Lungo viaggio verso la notte (1940). Da ricordare anche Tennessee Williams (1911 1983), che scrisse Lo zoo di vetro (1944), Un tram che si chiama desiderio (1947), La gatta sul tetto che scotta (1956), Improvvisamente l’estate scorsa (1958), e Arthur Miller, autore di Erano tutti miei figli (1947) e Morte di un commesso viaggiatore (1949). I drammaturghi contemporanei La drammaturgia contemporanea continua a vivere una florida vita culturale grazie ad autori come Harold Pinter (1930 - 2008), di cui ricordiamo Il compleanno (1957), Il calapranzi (1957), Vecchi tempi (1970), Terra di nessuno (1974), Victoria Station (1982), Party Time (1991) e Anniversario (1999), Edward Albee (1928), autore di Chi ha paura di Virginia Woolf (1962), e Tony Kushner (1956), che ha scritto Angels in America: a Gay Fantasia on National Themes (1995). L’ultimo grande autore italiano: Dario Fo Dario Fo (1926) è un regista, drammaturgo, attore e scenografo italiano, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1997. I suoi lavori teatrali fanno uso degli stilemi comici dell’antica commedia dell’arte italiana e sono rappresentati con successo in tutto il mondo. Tra le sue opere principali ricordiamo Gli arcangeli non giocano a flipper (1960), Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri (1961), Chi ruba un piede è fortunato in amore (1962), Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963), Settimo: ruba un po' meno (1964), La colpa è sempre del diavolo (1965), La signora è da buttare (1967), Mistero Buffo (1969), Morte accidentale di un anarchico (1970), Morte e resurrezione di un pupazzo (1971), Johan Padan a la descoverta de le Americhe (1991), Il diavolo con le zinne (1997), L'anomalo bicefalo (2004). Il teatro postcoloniale africano L’indipendenza ottenuta alla metà del Novecento ha provocato una nuova svolta nel corso del teatro africano. Tra gli autori più apprezzati vi è il nigeriano Wole Soyinka (1934), insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1986, l’ugandese Robert Serumaga (1939-1980) e la ghanese Efua Sutherland (1924 1996). In questa fase storica rilevanti sono state le collaborazioni in Sudafrica di artisti bianchi e neri, sfidanti l’ancora vigente apartheid, e la nascita di temi e contenuti legati ai problemi sociali e quotidiani.