Il GUSTO E L’ODORATO: UN DIALOGO TRA LA CHIMICA E LA GENETICA DEI SENSI PROGETTO DI DIDATTICA DI GENETICA MOLECOLARE ANNO 2013-14 in collaborazione con COOP LIGURIA QUADRO GENERALE DELL’ATTIVITA’ MODULO DI GENETICA MOLECOLARE: MATERIALE: - Laboratorio di bioinformatica - Laboratorio di Genetica molecolare - Copie del testo - Testi in PP TECNICHE UTILIZZATE IN LABORATORIO ADATTA PER - Estrazione di DNA dalle cellule della mucosa boccale - PCR - Digestione con Enzimi di restrizione - Elettroforesi - Scuola Sec.Sup. CONCETTI CHIAVE TEMPO DI REALIZZAZIONE - DNA/mRNA Gene/Locus/Allele Polimorfismo allelico Aplotipo Meccanismi di trasduzione del segnale 2 moduli di 4 ore LABORATORIO DIDATTICO Centro Biotecnologie Avanzate Università-IST-S.Martino Genova ATTIVITA’ WEBSITE http://learn.genetics.utah.edu http:// www.dnalc.org http://www.ncbi.org PREREQUISITI 1 Struttura del DNA. 2. Duplicazione del DNA 3. Trascrizione del mRNA. Traduzione 4. Maturazione degli mRNA 5. Struttura dei geni 6. Dal DNA al cromosoma 7. Aploidia/Diploidia 8. Gene/Locus/Allele 9. Genotipo/Fenotipo 10. Polimorfismi 2 GUIDA PER IL DOCENTE A. B. C. D. Obiettivi Conoscenze da fornire allo studente Argomento correlato all’attività sperimentale di laboratorio Strategia d’insegnamento A. OBIETTIVI: In questa attività si studia la condizione nota come “Percezione del gusto amaro” correlata con il gene TAS2R38 che codifica per un recettore dell’amaro. Tre SNPs sono implicati nella espressione fenotipica che identifica soggetti “taster” e “non taster”; gli studenti potranno identificare in laboratorio uno dei tre SNPs, associati ai fenotipi AVI/AVI, PAV/AVI e PAV/AVI. Lo studio fenotipico comprende anche il test per l’odorato per una valutazione più ampia ed approfondita delle abitudini alimentari. B. CONOSCENZE DA FORNIRE ALLO STUDENTE 1. Struttura del DNA 2. Classi del DNA 3. Struttura del RNA 4. Dogma centrale 5. Trascrizione negli eucarioti 6. Maturazione del mRNA 7. Struttura ed espressione dei geni 8. Dal DNA ai cromosomi 9. Concetto di genotipo e fenotipo 10. Concetto di variabilità e polimorfismo 11. Polimorfismi a singolo nucleotide o SNP 12. Aplotipi 13. I recettori di membrana 14. Meccanismi di trasduzione del segnale 15. Leggi di Mendel pag. 5 pag.14 C. ARGOMENTO CORRELATO ALL’ATTIVITÀ SPERIMENTALE DI LABORATORIO: “Il Gusto e l’Odorato: un dialogo tra la Chimica e la Genetica dei sensi” I sensi chimici. Il Gusto e l’ Odorato pag. 16 Olfatto Introduzione Anatomia del sistema olfattivo I recettori olfattivi Trasduzione olfattivi Gusto Introduzione I recettori gustativi Trasduzione gustativa Stimolo gustativo La percezione dell’amaro Genetica del gusto amaro. La famiglia TAS2R 3 D. STRATEGIA D’INSEGNAMENTO: 1. Attività di Bioinformatica: Abstract: Gli studenti navigano in Internet utilizzando il Modulo ”Percorso di Bioinformatica” per compiere una ricerca web sui siti utilizzati dai ricercatori e per imparare l’approccio metodologico di un lavoro sperimentale. Materiale: Computers con accesso a Internet Concetti chiave: Geni, alleli, SNP 2. Laboratorio di Genetica Molecolare Abstract: Il DNA genomico viene estratto dalle cellule della mucosa buccale. Il polimorfismo C/G è identificato mediante PCR e successiva digestione enzimatica. La corsa elettroforetica evidenzierà la lunghezza dei frammenti e permetterà di definire le varianti alleliche. Materiale: Kit, strumenti Concetti chiave: Lo studio del carattere “Percezione del gusto amaro”, mediante l’analisi di uno dei tre SNPs, introduce al concetto di polimorfismo allelico. Recettori gustativi e olfattivi. Trasduzione del segnale Durata dell’attività: 2 mezze giornate 4 1. STRUTTURA DEL DNA La molecola del DNA è un polimero, ossia è un insieme di tanti monomeri: i nucleotidi. Ogni nucleotide è costituito da tre componenti: un gruppo fosfato, uno zucchero (desossiribosio) e una base azotata (adenina/ guanina/citosina/ timina). La molecola di DNA è formata da due catene polinucleotidiche avvolte l’una intorno all’altra con andamento destrorso (scala a chiocciola). Lo scheletro è costituito dallo zucchero (2-desossiribosio) e dal fosfato, gli “scalini della chiocciola” dalle basi azotate. Le basi delle due catene sono unite tra loro mediante legami a idrogeno. Le basi sono complementari e il loro appaiamento è: A=T Adenina–Timina G =C Guanina-Citosina Le due catene sono antiparallele, cioè i due singoli filamenti sono orientati uno in direzione 5’->3’ e l’altro 3’->5’. L’informazione genetica risiede nella sequenza di basi. 2. REPLICAZIONE DEL DNA NEGLI EUCARIOTI La replicazione del DNA in tutte le cellule viventi, dai batteri all’uomo, è un processo complesso, che richiede l’intervento di diversi enzimi. La replicazione comincia in corrispondenza di siti detti origine di replicazione. La replicazione è semiconservativa: ogni emi-elica (singolo filamento) della molecola madre serve da stampo per la sintesi di un nuovo filamento, per cui ogni doppia elica figlia sarà costituita da un filamento vecchio e da un filamento nuovo. Le molecole risultanti sono copie esatte dell’originale. Da una doppia elica madre derivano due doppie eliche figlie uguali tra loro e uguali alla molecola madre. Nella replicazione alcuni enzimi (elicasi) srotolano la doppia elica di DNA rompendo i legami a idrogeno tra le basi dei filamenti complementari. Le Dna polimerasi sintetizzano i nuovi filamenti copiando i filamenti preesistenti (filamenti di stampo) secondo la legge della complementarietà: esempio: 3’ATCCCGGAA5’ (stampo) 5’TAGGGCCTT3’ (filamento neosintetizzato). L’allineamento e unione tra loro dei nucleotidi ad opera della DNA POLIMERASI procede solo in direzione 5’-> 3’, ovvero l’enzima lega, all’-OH del C3 dello zucchero dell’ultimo nucleotide, l’acido fosforico legato al C5 del successivo nucleotide (legame fosfodiesterico), secondo la legge della complementarietà. La DNA polimerasi, per iniziare il processo, ha anche bisogno di un innesco (o primer ), costituito da una corta sequenza di nucleotidi, a cui attaccarsi e procedere con la polimerizzazione. Poiché la DNA Polimerasi può sintetizzare il DNA in una sola direzione (5’->3’) ed i due filamenti di DNA procedono in direzioni opposte, la sintesi del nuovo filamento di DNA procederà in modo continuo e veloce su un filamento (filamento principale) a partire da un innesco iniziale, e in modo discontinuo sull’altro filamento (filamento lento) a partire da più inneschi. I brevi tratti di DNA sintetizzati ( frammenti di Okazaki) verranno poi uniti tra loro dalla DNA ligasi. . 5 3. LE CLASSI DEL DNA Nei cromosomi il DNA non presenta una organizzazione uniforme, bensì è composto da diverse classi : 1. DNA ripetuto in tandem: sequenze ripetute di DNA concentrate in specifiche regioni dei cromosomi (cluster o raggruppamenti) che non codificano per nessuna proteina (Dna satellite, DNA minisatellite, DNA microsatellite ) 2. DNA ripetuto interdisperso : sequenze di DNA ripetuto disperse lungo i cromosomi non codificante 3. DNA non ripetitivo: sequenze di DNA che costituiscono il gene e che codificano per l’ mRNA. 4. STRUTTURA DELL’RNA A differenza del DNA, l’RNA è costituito da una singola catena polinucleotidica. I nucleotidi che costituiscono gli RNA sono formati da uno zucchero (ribosio), da un gruppo fosfato, e da una base azotata ( adenina, guanina, citosina, uracile). Gli RNA costituiscono una famiglia di molecole molto più numerosa ed eterogenea rispetto al DNA. La maggior parte di essi fa parte del “macchinario” cellulare per la sintesi delle proteine : gli RNA ribosomiali (rRNA) ed gli RNA di trasferimento (tRNA). Un altro tipo di RNA trasferisce l’informazione relativa alla sequenza degli amminoacidi di ciascuna delle proteine sintetizzate dalla cellula dal DNA al macchinario deputato alla sintesi delle proteine, “programmandolo” di volta in volta, a sintetizzare una o l’altra proteina necessarie alla cellula. Questo RNA è chiamato pertanto messaggero (mRNA). Esistono inoltre piccoli RNA nucleari (snRNA) coinvolti nel processo di maturazione degli mRNA, dei piccoli RNA citoplasmatici (scRNA) coinvolti nello smistamento delle proteine in corso di sintesi verso la loro destinazione finale, dei microRNA (miRNA), coinvolti nella regolazione dell’espressione genica. 5. IL DOGMA CENTRALE L’informazione genetica contenuta nelle sequenze del DNA viene trasferita all’RNA (trascrizione) e dall’RNA al polipeptide corrispondente (traduzione) : DNA-> mRNA-> proteine Questo meccanismo impiega uno stratagemma attraverso il quale un vocabolario formato da 4 parole (i nucleotidi del DNA e poi dell’RNA) viene trasformato in un vocabolario contenente venti parole (i 20 amminoacidi), che variamente combinati formano la proteina. 6. LA TRASCRIZIONE NEGLI EUCARIOTI Nella trascrizione un complesso proteico, comprendente l’enzima RNA POLIMERASI, sintetizza le molecole di RNA utilizzando come stampo il filamento di DNA secondo la legge della complementarietà. L’RNA neosintetizzato avrà quindi la sequenza di basi identica a quella di uno dei due filamenti di DNA (il filamento senso), anche se la base azotata Timina è sostituita dall’Uracile. La RNA polimerasi si lega al sito d’inizio della trascrizione insieme ad altre proteine, dette fattori di trascrizione. Questi fattori, mediante l’interazione con brevi sequenze di DNA presenti nella regione a monte dell’inizio della trascrizione (regione del promotore), servono a posizionare la RNA polimerasi nel sito giusto e a separare i due filamenti di DNA per formare la bolla di trascrizione. Il processo continua fino a che la RNA- 6 polimerasi incontra una sequenza di arresto. A questo punto si stacca e libera la catena di RNA, mentre la bolla di trascrizione si richiude e il DNA riassume la conformazione a doppia elica. Da uno stesso gene possono essere trascritte consecutivamente numerose copie di RNA e il livello di trascrizione dipende da complessi meccanismi (regolazione della trascrizione). I precursori degli RNA neosintetizzati (trascritti primari) subiscono una serie di modificazioni prima di essere trasferiti nel citoplasma. E’ importante ricordare che le cellule eucariotiche possiedono tre tipi di RNA polimerasi: - RNA polimerasi I trascrive i geni degli RNA ribosomiali (rRNA) - RNA polimerasi II trascrive i geni che codificano proteine (mRNA) e alcuni piccoli RNA ( snRNA) - RNA polimerasi III trascrive i geni di tutti gli RNA transfer (tRNA), un RNA ribosomiale e altri piccoli RNA. 7. MATURAZIONE DEGLI mRNA Il processo di maturazione dei trascritti primari in mRNA include le seguenti modificazioni: • Aggiunta all’estremità 5’ di un cappuccio (cap). Al primo nucleotide all’estremità 5’ della molecola di RNA nascente viene rimosso il fosfato terminale e viene aggiunta una molecola di Guanosina monofosfato (GMP) metilata in posizione 7’. Il capping serve per proteggere il trascritto dall’attacco delle esonucleasi che lo degraderebbero, e per facilitare il trasporto dal nucleo al citoplasma. • Rimozione di alcune sequenze che non vengono tradotte (processo di splicing). Quasi tutti i geni eucariotici sono divisi in sequenze codificanti, chiamate esoni, e sequenze non tradotte, dette introni. Questi ultimi vengono rimossi dai trascritti primari mediante il processo di splicing. Gli introni sono quindi sequenze di DNA, situate tra due esoni, le quali sono trascritte ma non tradotte. Salvo rare eccezioni, gli introni iniziano sempre con i nucleotidi GT e terminano con i nucleotidi AG (regola GT-AG). Nel processo di splicing si verifica prima la scissione all’inizio dell’introne (5’), poi l’estremità libera dell’introne si ripiega su se stessa formando una struttura simile ad un laccio e infine avviene il taglio a livello della giunzione 3’ dell’introne. Quindi i due esoni si uniscono mentre l’introne va perso. Una struttura macromolecolare (costituita da varie subunità di molecole di piccoli RNA nucleari, gli snRNP, e da una serie di proteine specifiche) promuove e controlla le reazioni dello splicing. • Aggiunta all’estremità 3’ di una coda poli-A. La maggior parte delle unità di trascrizione hanno una breve sequenza (AATAAA) che specifica il sito di termine della trascrizione. Circa 15-30 nucleotidi a valle di questo sito, l’RNA neosintetizzato viene scisso da un enzima, una endonucleasi, e alla molecola di RNA vengono aggiunti circa 200 residui di Adenosina monofosfato (AMP). Questa coda di poli-A ha lo scopo di stabilizzare le molecole degli mRNA maturi e di facilitare il loro trasporto dal nucleo al citoplasma. 8. STRUTTURA ED ESPRESSIONE DEI GENI Dal punto di vista della Genetica Molecolare per gene s’intende una sequenza di DNA potenzialmente trascrivibile in RNA funzionalmente attivo. Tale RNA può svolgere direttamente una funzione strutturale e/o catalitica (rRNA, tRNA) oppure trasportare l’informazione per la sintesi di una proteina (mRNA). Nel genoma umano si stima che siano presenti circa 23.000 geni codificanti proteine e 1000-2000 geni 7 codificanti RNA strutturali. Da recenti studi emergerebbe però l’esistenza di diverse migliaia (o decine di migliaia) di trascritti non codificanti che potrebbero non avere alcuna funzione o, viceversa, svolgere un ruolo fondamentale nella regolazione della conformazione della cromatina e della trascrizione di geni codificanti proteine. Elementi che costituiscono i geni codificanti negli eucarioti Il primo tratto di DNA, (fatto di 200-300 bp) a partire dal sito di inizio della trascrizione, non è codificante; questo segmento pertanto è trascritto, ma non tradotto e viene indicato come regione 5’UTR ( UnTraslated Region). La regione 5’UTR è importante per l’efficienza della traduzione in quanto facilita il legame dell’mRNA ai ribosomi. La regione tradotta inizia generalmente con la tripletta ATG, nel 1° esone. Il numero degli esoni presenti nei geni umani è altamente variabile. Vi sono geni piccoli costituiti da un singolo esone e altri che possiedono più di 100 esoni. Al contrario degli esoni, la dimensione degli introni è molto variabile. Generalmente i geni piccoli hanno introni piccoli, mentre in quelli più grandi gli introni possono avere anche una lunghezza di 1020 kb. Quasi tutti gli introni cominciano con GT (sito donatore di splicing) e terminano con AG (sito accettore di splicing). Questi dinucleotidi sono circondati da sequenze consenso, altamente conservate nel corso dell’evoluzione e molto simili tra loro. Il processo di splicing deve essere molto preciso dato che lo spostamento anche di un singolo nucleotide determinerebbe lo slittamento del modulo di lettura e quindi la sintesi di una proteina alterata. L’ultimo esone, così come il primo, contiene una sequenza trascritta, ma non tradotta, detta regione 3’UTR. Struttura del Gene codificante per gli mRNA negli eucarioti e meccanismo di splicing 8 9. DAL DNA AL CROMOSOMA Alla molecola di DNA sono associati gli istoni (proteine basiche), essenziali per permettere l’avvolgimento e il ripiegamento del DNA in strutture estremamente compatte, vale a dire i cromosomi, visibili solo durante la divisione cellulare. I cromosomi umani sono costituiti di cromatina. La cromatina è un complesso sovra-molecolare di acidi nucleici (DNA e RNA) e proteine, una struttura altamente dinamica, il cui grado di organizzazione o compattazione o “condensazione” varia: • da cellula a cellula, • durante il ciclo vitale della cellula • tra zone diverse dei nuclei interfasici La cromatina può essere osservata in due diverse forme : 1. eucromatina - dispersa, debolmente colorata, comprende i geni funzionalmente attivi, cioè trascrivibili 2. eterocromatina - molto compattata, colorata marcatamente, ed inattiva, cioè non trascrivibile. Il cromosoma: Unità strutturale e colorabile che porta i geni disposti in modo lineare. E’ considerato anche come un insieme di geni - o gruppo di associazione - organizzati secondo una successione lineare che tendono ad essere ereditati insieme Ogni cromosoma e’ costituito da una successione lineare di geni o loci. Il locus è la posizione occupata da un gene su un cromosoma. I cromosomi sono presenti in coppie nelle cellule somatiche e i membri di una coppia sono i cromosomi omologhi. I cromosomi , dopo la duplicazione del DNA , sono formati da due cromatidi detti fratelli uniti dal centromero. Ogni coppia di cromosomi omologhi contiene un cromosoma di origine paterna (P) e un cromosoma di origine materna (M) P' M' centromero' '''''''''''''Fase'S' REPLICAZIONE'DEL' DNA' Cromosomi'omologhi' Croma:di'fratelli' Per allele si intende la forma alternativa di uno stesso gene , che occupa la stessa posizione su una coppia di cromosomi omologhi. 9 Nell'immagine accanto, i due cromosomi omologhi sono rappresentati in nero. Il locus genico è in turchese. Le forme diverse dello stesso gene, gli alleli, sono raffigurate in diversi colori. Gli alleli possono essere uguali o diversi nei due cromosomi. Se gli alleli sono uguali sui due membri della coppia di cromosomi omologhi, l'individuo è detto omozigote per quel particolare gene, se invece gli alleli sono diversi l'individuo è eterozigote. Cromosomi omologhi (contengono forme alternative degli stessi geni) Replicazione+ del+DNA++ centromero cromatidi fratelli (sono identici) cromatidi fratelli (sono identici) Rappresentazione degli alleli nei cromosomi omologhi dopo la replicazione del DNA 10. CONCETTO DI FENOTIPO E GENOTIPO GENOTIPO: : costituzione genetica di un organismo FENOTIPO: l’aspetto (fisico, biochimico e fisiologico) di un organismo, che è dovuto all’interazione dei geni con l’ambiente. I geni determinano la possibilità di realizzare delle caratteristiche; queste capacità potenziali tuttavia sono spesso influenzate da interazioni con altri geni e con l’ambiente. Quindi individui con lo stesso genotipo possono manifestare fenotipi diversi e individui con lo stesso fenotipo possono avere genotipo diverso. 11. CONCETTO DI VARIABILITÀ E POLIMORFISMI Tutti gli organismi appartenenti ad una stessa specie differiscono relativamente alla sequenza delle basi del loro genoma. L’esistenza quindi di differenze tra individui, sia a livello del DNA sia a livello delle proteine prodotte, rientra nel concetto generale di polimorfismo, il cui significato letterale è “esistenza di forme diverse”. In Genetica si definisce polimorfismo l’esistenza – ad un dato locus – di due o più alleli, ciascuno dei quali mostri una frequenza di almeno 1%. In una popolazione esiste quindi grande variabilità genetica, da cui consegue l’unicità genetica di ogni individuo. I polimorfismi possono riguardare: √ √ un tratto di DNA codificante una proteina (polimorfismo allelico) un tratto di DNA non codificante (polimorfismo di sequenza) Dato che più del 98% del DNA umano è DNA non codificante, e che quindi la maggior parte di queste differenze è localizzata in sequenze non codificanti, i polimorfismi di sequenza sono molto più frequenti dei polimorfismi allelici e non sono rilevabili a livello del fenotipo. Queste variazioni sono sparse in tutto il genoma umano e, in quando ereditabili, costituiscono dei marcatori genetici utilissimi. Sulla base del tipo di variazione osservata e della distribuzione lungo il genoma, i polimorfismi possono essere classificati in: 1. Polimorfismi di Lunghezza dei Frammenti di Restrizione, o RFLP: cioè polimorfismi di lunghezza di frammenti di DNA prodotti dal taglio con enzimi di restrizione 10 2. Polimorfismi di ripetizioni in tandem: cioè polimorfismi dovuti alla presenza di un numero variabile di sequenze ripetute. Possono essere distinti in : - Variable Number of Tandem Repeats o VNRT o minisatelliti - Short Tandem repeats o STR o microsatelliti 3. Polimorfismi del Singolo Nucleotide, o SNP I polimorfismi del DNA sono utili come identificatori di individualità in: • • • • controllo relazioni parentali in famiglie con malattie mendeliane Genetica di popolazione Indagini di paternità Indagini di medicina legale 12. POLIMORFISMO A SINGOLO NUCLEOTIDE o SNP Un polimorfismo a singolo nucleotide (o Single Nucleotide Polymorphism o SNP) è un polimorfismo (cioè una variazione a livello di una sequenza di acidi nucleici) che si presenta tra individui della stessa specie, caratterizzato da una differenza a carico di un unico nucleotide C T A A/G G T A SNP Gli SNPs sono sostituzioni in un singolo nucleotide di una base con un’altra. Naturalmente, possiamo avere 4 versioni per ogni SNP, una per ogni nucleotide, A, C, G, T e la distribuzione nella popolazione potrebbe risultare in una delle seguenti combinazioni. Sono stati individuati molti SNPs nella sequenza del DNA e la sfida per la ricerca è identificare gli SNPs correlati con un particolare effetto nel fenotipo. Gli SNP si verificano nella popolazione con una frequenza maggiore all’1%. Nel genoma umano si verificano SNPs all’incirca uno ogni 300 paia di basi. Questo significa che su 3 miliardi di nucleotidi presenti nel genoma umano avremo circa 10 milioni di SNPs. Gli SNPs costituiscono il 90% di tutte le variazioni genetiche umane. Un polimorfismo noto è quello dei gruppi sanguigni, ~20 loci. Non bisogna confondere una mutazione puntiforme con uno SNP !!! Anche se si assomigliano, non sono la stessa cosa: √ una mutazione è una variazione della sequenza nucleotidica rispetto ad una sequenza di riferimento – può avere effetti evolutivi => mutazione neutra, vantaggiosa, svantaggiosa – può essere patologica => determina insorgenza di una malattia √ molte mutazioni si trovano all’interno delle regioni codificanti del gene o in quelle regolatorie e quindi interessano la proteina corrispondente a quel gene. √ sia le mutazioni che gli SNP sono differenze di singoli nucleotidi, ma per parlare di SNP bisogna che questo sia presente in almeno l’1% della popolazione. 11 In base a quanto detto possiamo distinguere gli SNPs in due principali categorie: 1. Linked SNPs non si trovano all’interno dei geni e non alterano la funzione della proteina . 2. Causative SNPs alterano il funzionamento di una proteina, correlando con una malattia o con un tratto fenotipico. Si distinguono ancora 2 tipi di Causative SNPs: - Coding SNPs, localizzati nella regione codificante del gene, cambiano la sequenza di amminoacidi nella proteina. - Non Coding SNPs, situati nella regione regolatoria del gene, cambiano la quantità di proteina prodotta 13. APLOTIPI Un aplotipo è una combinazione di alleli a diversi siti polimorfici sullo stesso cromosoma. I siti possono essere SNPs, microsatelliti o qualsiasi tipo di polimorfismo Esempio: consideriamo una serie di SNPs su un segmento di DNA: C T/C G A C T A A/G G A C C G/T A SNP SNP SNP Questi tre SNPs possono combinarsi in 23 ( ognuno dei tre SNPs con i due possibili nucleotidi), cioè otto differenti combinazioni C C C C C C C C T T T T C C C C G G G G G G G G A A A A A A A A C C C C C C C C T T T T T T T T A A A A A A A A A A G G A A G G G G G G G G G G T T T T T T T T A A A A A A A A C C C C C C C C C C C C C C C C GA TA GA TA GA TA GA TA POSSIBILI COMBINAZIONI DI SNPs Ogni combinazione di SNPs rappresenta un APLOTIPO. Quindi, possiamo dire che in questa regione di DNA ci sono 8 possibili aplotipi. RICORDA ! Nel mondo della Genetica, ogni cosa è “in paia” Noi riceviamo un aplotipo dalla madre e uno dal padre. Questo significa che abbiamo due aplotipi ( o un paio di aplotipi). SNP PROFILE………….. che cos’è ? LA COPPIA DI APLOTIPI è lo “SNP PROFILE” 12 13 14. I RECETTORI DI MEMBRANA Meccanismi di trasduzione del segnale Per meccanismi di trasduzione si intendono tutti quei sistemi intracellulari che permettono di convertire il segnale extracellulare prodotto da molecole messaggere (ormoni, proteine, diversi composti chimici) in segnale intracellulare mediante l'attivazione di un effettore. Una volta attivato l'effettore e convertito il segnale, la cellula darà la sua risposta biologica. Le proteine che effettuano la trasduzione sono i recettori di membrana: questi, con procedimenti differenti, legano il segnale extracellulare, o ligando, e trasmettono il messaggio alle proteine bersaglio dette mediatori intracellulari o secondi messaggeri. I recettori possono essere classificati in quattro grosse famiglie: 1. RECETTORI DI TIPO 1 O COLLEGATI A CANALI IONICI O IONOTROPICI; 2. RECETTORI DI TIPO 2 O ACCOPPIATI A PROTEINE G O METABOTROPICI; 3. RECETTORI DI TIPO 3 O ACCOPPIATI A TIROSINCHINASI (enzimi); 4. RECETTORI DI TIPO 4 O CITOPLASMATICI, NUCLEARI. RECETTORE DI TIPO 1 O COLLEGATO A CANALI IONICI O IONOTROPICO Il ligando si lega al recettore, che è presente sulla membrana e va a modificare l'effettore che in questo caso è il canale ionico. . L'accoppiamento è diretto; significa che non vi è necessità di alcun mediatore che trasformi il segnale da extracellulare ad intracellulare. Il tempo d'azione di questo recettore per ottenere una risposta è rapidissimo. Il ligando si lega al recettore che si trova in prossimità di un canale ionico. Una volta attivato il recettore, il canale ionico si apre e lascia passare ioni (esempio ioni calcio, potassio, cloro, sodio). In base all'entrata o all'uscita degli ioni, la membrana cellulare può andare incontro ad una depolarizzazione o iperpolarizzazione. Quando si parla di depolarizzazione la membrana viene eccitata, invece quando si parla di iperpolarizzazione la membrana viene inibita. Un segnale ionico che provoca una depolarizzazione della membrana attiva la cellula; viceversa quando il segnale ionico provoca una iperpolarizzazione. RECETTORE DI TIPO 2 O ACCOPPIATO A PROTEINE G O METABOTROPICO I recettori di tipo 2 sono maggiormente presenti nel nostro organismo e sono abbastanza complicati. Necessitano di un intermediario per la trasduzione del segnale e in questo caso l'intermediario è la proteina G. Una volta che il ligando si lega con il recettore attiva la proteina G, che a sua volta attiverà un canale ionico oppure un enzima. Se la proteina G attiva il canale ionico i processi che seguono l'attivazione del canale sono quelli spiegati nei recettori di tipo 1. Se invece la proteina G attiva l'enzima si produrranno dei secondi messaggeri che andranno a generare una serie di effetti cellulari. I principali secondi messaggeri in una cellula sono i nucleotidi ciclici (cAMP e cGMP) e il rilascio di calcio intracellulare. Questi secondi messaggeri vanno ad innescare delle reazioni all'interno della cellula che portano ad una risposta cellulare. Il tempo d'azione di questo recettore per ottenere una risposta è di pochi secondi. Impiega un po' più di tempo perché il recettore deve attivare la proteina G, che a sua volta provvede ad attivare o il canale o l'enzima. La proteina G, oltre a produrre un'attivazione del canale o dell'enzima, può anche inibire quest'ultimi. 14 La proteina G è una proteina trimerica costituita dalle subunità α, ß e γ. Questa proteina ha un'azione GTPasica, perché è in grado di idrolizzare il GTP e trasformalo in GDP. In questo esempio non vengono prese in considerazione le subunità ß e γ. Nello stadio iniziale la proteina G è legata al GDP, quindi è inattiva. Quando il ligando si lega al recettore si ha il distacco del GDP e la subunità α si lega al GTP, di conseguenza viene attivata. Una volta attivata, la proteina G può andare a legarsi con l'effettore producendo delle reazioni sul canale o sull'enzima. Terminata l'azione, la subunità α trasforma il GTP in GDP, ritornando alla situazione iniziale per essere di nuovo attivata. La subunità α va a caratterizzare il suo effettore, quindi parleremo di proteine: • Gs: attivazione dell'effettore che è un adenilato ciclasi (aumento dei secondi messaggeri e cAMP); • Gq : attivazione dell'enzima fosfolipasi C (IP3, DAG); • Gi : inibizione dell'effettore che è un adenilato ciclasi (riduzione dei secondi messaggeri e cAMP). RECETTORE DI TIPO 3 O ACCOPPIATO A TIROSINCHINASI I recettori di tipo 3 sono sempre dei recettori di membrana, accoppiati a delle chinasi. La maggior parte di queste risposte cellulari deriva da fosforilazioni proteiche. Il recettore, una volta attivato dal legame con un ligando (ad esempio fattori di crescita, insulina o citochine), va ad attivare una chinasi che catalizza delle reazioni. In successione a questo evento si vanno a formare una serie di fosforilazioni proteiche, con conseguente modificazione dell’espressione dei geni a livello del DNA. Il tempo d'azione è molto lungo, si parla di ore o di giorni perché il bersaglio è proprio la trascrizione genica a livello del DNA. RECETTORE DI TIPO 4 O CITOPLASMATICO Diversamente dai recettori precedenti, questi recettori di tipo 4 sono dei recettori intracellulari o citoplasmatici. Spesso questi recettori sono utilizzati dagli ormoni steroidei. Il meccanismo d’azione va modificare l'espressione genica, quindi serve molto tempo per vedere delle risposte cellulari, cioè la produzione di proteine indotte dalla modificazione genica apportata dalla sostanza introdotta nella cellula. Ad esempio, l'ormone che si trova all'esterno della cellula, abbandona la proteina che lo sta trasportando e si trasforma in una sostanza molto lipofila. Grazie a questa caratteristica, la sostanza lipofila riesce a passare la membrana cellulare e ad entrare all'interno della cellula. Una volta che la sostanza è entrata nel citoplasma si lega a un sito di riconoscimento (proteina di trasporto) la cui struttura è molto instabile. Di conseguenza, l'ormone entrerà nel nucleo dove andrà ad espletare la sua attività di modificazione della trascrizione genica. 15 I SENSI CHIMICI INTRODUZIONE. GUSTO E ODORATO. Il gusto è un’analisi sensoriale praticata in una postazione ben localizzata (la bocca) e “si attiva” essenzialmente solo in occasione del processo alimentare. Tendenzialmente introduciamo qualcosa in bocca con l’intenzione di mangiarlo, o almeno di valutare empiricamente la sua commestibilità. A differenza dell’olfatto, con il quale collabora contestualmente durante la valutazione organolettica dell’alimento, nel momento della sua assunzione, il gusto ha però il grande vantaggio di essere in grado di percepire molecole tipicamente non volatili. Tre sono le categorie speciali: • Molecole nutritive • Molecole tossiche • Molecole “sociali” I carboidrati semplici (le più diffuse molecole in natura responsabili del gusto dolce), gli alcaloidi (le più abbondanti e rischiose molecole dal gusto amaro, in molti casi veri veleni naturali diffusi ne vegetali), i sali ed infine la maggior parte degli acidi carbossilici (specie quelli policarbossilici e/o ad alto peso molecolare come quelli diffusi nella frutta immatura) sono infatti tipici esempi di molecole poco o per nulla volatili, che non contribuiscono alla percezione olfattiva di un alimento. I sensi chimici devono riconoscere tutte le molecole con le quali vengono a contatto. Una molecola non viene riconosciuta in toto, ma ciascuno dei suoi gruppi funzionali viene riconosciuto da un recettore diverso. Ad uno stadio successivo i segnali dei recettori vengono integrati e viene definita l’identita’ della molecola. COSA E’ UN ODORE? Gli odori sono piccole molecole organiche, che si differenziano tra loro per numerosi parametri tra cui la struttura stereochimica della catena idrocarburica, il tipo e la posizione dei gruppi funzionali laterali, le dimensioni e la carica. La percezione di un dato odore dipende dalla struttura della molecola odorosa, ma è influenzata anche da altri parametri quali la concentrazione della sostanza odorosa e la variabilità soggettiva. “Nasi” allenati distinguono 5.000-10.000 odori diversi!! Come distinguere due molecole tra loro? Mediante: - Gruppi funzionali (ottanolo: arancio; acido ottanoico: rancido) - Lunghezza della catena (ottanolo: arancio; eptanolo: violetta) - Stereoselettivita’: (L-carvone: carruba; D-carvone: inodore) Effetti della concentrazione!! • Indolo a basse concentrazioni ha odore floreale - Indolo concentrato ha odore putrido • Amilacetato ha profumo di frutta a concentrazioni tra 0.1 mM e 10 mM Infine… Per gli effetti della storia e/o dell’ambiente: • Misture di odori diversi non sono scomponibili negli odori costituenti • La risposta neuronale ad un odore cambia dopo la prima esposizione Odori sociali Sono i Feromoni: sostanze escrete nell’urina o altri secreti. Modulano o segnalano fattori socialmente importanti: • Accoppiamento • Gravidanza • Aggressivita’ • Comportamento materno L’ Odotipo individuale: complesso MHC, feromoni, ormoni, patologie, etc..Non ancora caratterizzati nell’uomo. Ci sono effetti olfattivi sul comportamento riproduttivo umano ( es. sincronizzazione del ciclo mestruale) COSA E’ UN SAPORE? Il sapore è dato dall’insieme gusto + odore del cibo • La componente olfattiva fornisce informazioni sull’identita’ del cibo • La componente gustativa fornisce informazioni sul potere nutritivo o sulla possibile tossicita’ del cibo • Recettori gustativi danno la stessa risposta a stimoli anche molto diversi 16 OLFATTO INTRODUZIONE I mammiferi sono in grado di riconoscere e distinguere migliaia di odori diversi nell’ambiente anche a bassissime concentrazioni, che influenzano il loro comportamento e forniscono informazioni essenziali per la loro sopravvivenza. Il sistema olfattivo è coinvolto infatti in molteplici meccanismi fisiologici, quali risposte emozionali( ansia, paura, piacere), funzioni riproduttive (comportamenti sessuali e materni) e relazioni sociali (riconoscimento degli individui della stessa specie o famiglia). Numerose, affascinanti e per così dire “interdisciplinari” sono pertanto le relazioni fra l’olfatto e la vita dell’uomo , sia nei suoi aspetti più biologici che in quelli più emozionali, per esempio in relazione ai ricordi, alla capacità di evocare o rievocare sensazioni apparentemente sepolte nella memoria, di indurre stati fisiologici specifici (da qui le applicazioni aromaterapiche, che in aggiunta ad ogni possibile meccanicismo farmaceutico agiscono spesso in modo almeno in parte emozionale), fino a supportare i comportamenti e le reazioni più istintive, specie fra gli animali dalla corteccia frontale cerebrale meno sviluppata. Risulta infatti che la zona del cervello preposta alla percezione olfattiva nell’uomo sia la stessa preposta alla gestione delle emozioni e risulti nettamente più sviluppata nei vertebrati più antichi, quelli per i quali l’istintualità su base olfattiva doveva probabilmente coprire una ben specifica funzione pre-razionale dalla quale dipendeva la sopravvivenza stessa dell’individuo L’olfatto è corresponsabile di una parte sostanziale e spesso preponderante della percezione organolettica di un alimento nel momento stesso in cui lo mastichiamo: le sostanze volatili contenute nel cibo, ed ulteriormente liberate per l’azione meccanica della masticazione in presenza della saliva, giungono alle cavità nasali dove sono presenti i recettori olfattivi secondo un percorso “retronasale”, ovvero passando dal palato e risalendo il condotto dall’interno, ovvero in direzione opposta rispetto quella che si avrebbe nell’atto dell’inspirazione. La percezione di un profumo dall’ambiente esterno attraverso le narici (ad esempio quando si odora un fiore) prende invece il nome di “ortonasale”: lo stesso prodotto, magari costituito da una miscela complessa di molecole, potrebbe generare due sensazioni olfattive anche fortemente differenti a seconda dei due percorsi. Gusto fisso a parte, ovvero escludendo le 4-5 sensazioni forti, ma molto grossolane, recepite dalla lingua, ecco spiegata la ragione per la quale un cibo che annusato nel piatto mostrava un certo profumo, una volta messo in bocca per l’assaggio può manifestarne uno anche molto differente! Resta da chiarire la relazione esistente fra la struttura molecolare di una molecola e la sua impressione olfattiva in grado di generare nell’uomo, ovvero: perché alcune molecole hanno un certo odore ed altre ne hanno uno differente? Che cosa hanno in comune le molecole accomunate da un odore simile? le correlazioni fra la struttura molecolare tridimensionale e la descrizione olfattiva che il valutatore umano può fare della stessa molecola sono ben al di sotto di quanto ci si potrebbe aspettare. ANATOMIA DEL SISTEMA OLFATTIVO La percezione olfattiva ha inizio nei neuroni sensoriali olfattivi (NSO) presenti nell’epitelio nasale. Questi neuroni trasmettono poi il segnale al bulbo olfattivo principale e da qui passa alla corteccia cerebrale. I neuroni sensoriali olfattivi rappresentano il 70-80% della popolazione cellulare dell’epitelio olfattivo e rigenerano costantemente durante la vita di un organismo con una emivita di 60-90 giorni. Essi hanno una tipica morfologia bipolare , con un assone che proietta al bulbo olfattivo del cervello, e con un unico dendrite non arborizzato, che si conclude con un nodo olfattivo dal quale si dipartono numerose cilia immerse nel muco nasale che funge da mezzo di cattura e diffusione degli odoranti e da un assone. Ciascun neurone olfattivo è separato da quello adiacente da cellule di supporto. Gli assoni entrano nel bulbo olfattivo aggregandosi in piccoli fascetti ricoperti da cellule olfattive di sostegno, che formano nel loro complesso il nervo olfattivo (I), il primo nervo cranico. Nel bulbo olfattivo gli assoni delle cellule olfattive sinaptano con i dendriti di altri neuroni formando strutture dette glomeruli. Tutti i neuroni che esprimono lo stesso recettore convergono sullo stesso glomerulo. La posizione dei glomeruli corrispondenti a un dato recettore è conservata tra individui e tra specie, ma non fissa. La posizione del neurone non è significativa, quella del glomerulo si. 17 Tra tutti i sistemi sensoriali, l'olfatto è l'unico a non prevedere vie provenienti direttamente dai recettori primari che proiettino al talamo prima di raggiungere una specifica porzione della neocorteccia. Gli odori si dissolvono nel muco dell’epitelio olfattivo per raggiungere e legarsi ai recettori olfattivi presenti sulle ciglia ed innescare una catena di segnali intracellulari, che culmina con la generazione del potenziale d’azione e la trasmissione del segnale al bulbo olfattivo nel cervello RECETTORI OLFATTIVI I recettori olfattivi sono recettori associati a proteine G (GPCRs, g-protein coupled receptors) e come tali possiedono sette domini idrofobici transmembrana, un dominio di legame sulla superficie extracellulare ed un dominio di interazione con una specifica proteina G in quello intracellulare, costituito di norma dalla porzione C-terminale. Questi recettori appartengono ad una grande famiglia multigenica che nei mammiferi comprende più di 1000 membri. Nell'uomo esistono circa 950 recettori olfattivi diversi i cui geni sono distribuiti su tutti i cromosomi (particolarmente sui cromosomi 1, 6, 9, 11, 14 e 19) tranne 20 e Y; un numero simile a quello del microscopico nematode Caenorabditis elegans e poco più della metà rispetto a quelli presenti nel topo. Malgrado ciò, sono la famiglia di geni più vasta dell'intero genoma umano (circa il 4% dei geni). I geni che codificano per i recettori olfattivi nei mammiferi non possiedono introni a differenza di quelli degli invertebrati. Alcuni geni codificanti per i recettori olfattivi, sebbene presenti e funzionali, non sono trascritti. Nell'uomo il loro numero raggiunge il 60% dei geni codificanti per recettori olfattivi, ciò significa che all'incirca solo 400 dei 950 geni sono trascritti. Non è noto il motivo per cui il numero di geni codificanti per recettori olfattivi vari notevolmente tra le varie specie (fino a 2.000 in alcuni roditori, circa 60 in Drosophila melanogaster) né il motivo per cui in alcune specie, fra le quali l'uomo, buona parte di essi non sia trascritto. Sembra che nell'epitelio olfattivo umano un determinato tipo di recettori olfattivi sia espresso preferenzialmente in una determinata area dell'epitelio e che questa area sia simmetrica nelle due cavità nasali. Ogni neurone olfattivo esprime un solo tipo di recettore olfattivo cosicchèciascun neurone sensoriale è distinto funzionalmente ed identificato molecolarmente dal tipo di recettore espresso, dando luogo alla regola: un recettore-un neurone. TRASDUZIONE OLFATTIVA La trasduzione olfattiva avviene nelle ciglia dei neuroni olfattivi. Le cilia sono utili per aumentare la superficie di contatto della cellula con gli odoranti catturati o disciolti nel muco. Un odorante si lega al suo specifico recettore sulla superficie esterna di un ciglio in modo diretto oppure con un meccanismo ancora poco chiaro che coinvolge alcune proteine di legame specifiche per alcuni odoranti che trasportano queste molecole dal muco verso il recettore. Il legame dell'odorante con il recettore (GPCR) per esso specifico, scatena una serie di reazioni a cascata che portano ad un consumo di ATP, con produzione di un gran numero di molecole di cAMP che a loro volta si legano a canali del Ca2+ e del Na+. Questi canali si aprono 18 provocando un flusso di ioni Ca2+ e Na+ nel citoplasma. Gli ioni Ca2+ si legano ai canali del cloro (Cl-), aprendoli e permettendo l'uscita di Cl- dal citoplasma allo spazio extracellulare, facendo divenire il potenziale interno ancora più positivo (depolarizzazione).La depolarizzazione porta all’insorgenza di un potenziale di azione. Le condizioni iniziali si ripristinano mediante alcuni meccanismi di adattamento che fanno chiudere i canali Ca2+/Na+, infine la cellula espelle il Ca2+ in eccesso e recupera il Na+ perso tramite uno scambiatore Ca2+/Na+, facendo tornare il potenziale negativo. Il Ca2+ ha inoltre una azione inibitoria sull’adenilato ciclasi, bloccando la sintesi di cAMP, ed una azione attivatoria sulle fosfodiesterasi, aumentando la degradazione di cAMP. La trasduzione può avvenire anche mediante un’altra via che utilizza altri messaggeri. È importante notare come il numero di potenziali d'azione scatenati da un neurone olfattivo, così come il suo periodo di latenza e la durata della risposta, cambi in base alla concentrazione dell'odorante. I meccanismi di adattamento di un neurone olfattivo alla continua presenza dello stesso odorante, che lo portano a scatenare un minor numero di potenziali d'azione, spiegano il motivo per cui quando si entra in un ambiente pervaso da un odorante (per esempio un profumo o il fumo di sigaretta) lo si avverte facilmente, ma dopo un certo periodo di tempo lo si percepisce sempre di meno. 19 IL GUSTO INTRODUZIONE E’ un organo di senso in grado di discernere essenzialmente solo una manciata di sensazioni diverse: dolce, amaro, acido e salato, umami (spesso inteso come sapidità e ben rappresentato soprattutto dal sodio glutammato, noto additivo alimentare molto usato nella cucina orientale). Piccante ed allappante sono talvolta citati come ulteriori tipologie di percezione gustativa ma non possono essere portate sullo stesso piano delle altre: mentre il piccante sembra che derivi da una semplice stimolazione dei recettori sensibili al calore, quindi di tipo tattile, il gusto allappante, anche detto “tannico”, tipico dei polifenoli e degli alimenti che ne contengono elevate concentrazioni sembra essere correlati direttamente alla denaturazione delle proteine naturalmente presenti nella bocca dell’assaggiatore, da quelle della ptialina della saliva a quelle eventualmente più superficiali appartenenti ai recettori del gusto: questo spiega anche la ragione per la quale un forte gusto allappante, come d’altronde neppure uno molto piccante, a differenza degli altri sapori non può essere facilmente allontanato con qualche sorso d’acqua. ANATOMIA DEL SISTEMA GUSTATIVO Nei mammiferi la percezione gustativa si realizza attraverso i bottoni gustativi, unità morfologiche e funzionali specializzate, che sono localizzate in tutto l’epitelio orale, sulla lingua, sul palato e sulla faringe. I bottoni gustativi, a seconda delle specie, contengono aggregazioni di 50–150 cellule, includendo cellule precursori, cellule di supporto e cellule recettrici del gusto. Sulla lingua, i bottoni gustativi sono localizzati su specifiche protrusioni, le papille, che vengono generalmente classificate in tre tipi morfologici con proprietà funzionali distinte. Si riconoscono papille circumvallate, fungiformi e foliate. Le papille circumvallate si trovano prevalentemente nella zona posteriore della lingua, in un numero di circa 1000 nell’uomo e sono particolarmente sensibili alle sostanze amare. Le papille foliate sono localizzate nella porzione latero-posteriore della lingua, contengono da dozzine a centinaia di bottoni gustativi e sono sensibili al salato e all’amaro. Le papille fungiformi contengono singoli o pochi bottoni gustativi , localizzati nella porzione anteriore della lingua e sembrano mediare la percezione di composti dolci. Nella figura sono evidenziate le regioni specializzate per definiti stimoli gustativi (amaro, aspro, dolce e salato). Si nota che mentre differenti aree della lingua presentano forti preferenze per specifiche modalità gustative, esiste anche una significativa sovrapposizione tra le varie reazioni. I tre tipi di papille gustative sono mostrate ingrandite e ne è mostrata la localizzazione nelle rispettive regioni . RECETTORI GUSTATIVI Le cellule deputate al riconoscimento di stimoli gustativi recettori gustativi o cellule gustative sono cellule epiteliali specializzate. I bottoni gustativi contengono alcune decine di recettori gustativi, oltre ad elementi cellulari immaturi (cellule basali). La porzione apicale dotata di microvilli delle cellule gustative primarie entra in contatto con la saliva che bagna la superficie epiteliale mediante un canalicolo (poro gustativo). Tramite la porzione basale, i recettori gustativi stabiliscono contatti sinaptici di tipo chimico con le terminazioni di fibre afferenti primarie. Ogni recettore gustativo è innervato da più fibre afferenti. ( 20 TRASDUZIONE GUSTATIVA I meccanismi di trasduzione sono diversi a seconda del tipo di sostanza chimica. La maggior parte dei meccanismi di trasduzione determina la depolarizzazione della membrana della cellula gustativa (potenziale del recettore), che a sua volta determina aumento della concentrazione di Ca++ per apertura di canali voltaggio-dipendenti o per mobilizzazione da riserve intracellulari. L’aumento del Ca++ provoca l’esocitosi del mediatore chimico e la conseguente trasmissione del segnale alle fibre afferenti gustative primarie. Le fibre nervose eccitate conducono lo stimolo, via talamo, ai centri corticali del gusto, dove l’informazione è integrata e processata. Schema di recettore gustativo. La superficie apicale contiene sia canali sia recettori accoppiati a proteine G che sono attivati da stimoli chimici. La superficie baso-laterale contiene canali al Na, K e Ca voltaggio dipendenti, come pure un apparato per la trasmissione sinaptica mediata dalla serotonina. Salato e Acido La stimolazione gustativa prodotta dall’NaCl è caratterizzata dal passaggio dello ione Na+ attraverso canali ionici amiloride-sensibili, canali permeabili anche agli ioni H+; quindi la trasduzione delle sostanze che vengono percepite come aspre è dovuta ad un ingresso di questi ioni attraverso i canali Na+ amiloridesensibili. Acido e salato, in relazione alle loro concentrazioni nella saliva, interferiscono in parte tra loro a livello periferico. Dolce La trasduzione dei segnali evocati dai composti dal sapore dolce comporta l’attivazione di recettori accoppiati a proteine G (GPCR) presenti sulla superficie apicale delle cellule gustative. 21 Umami Il gusto umami, verrebbe trasdotto da un particolare tipo di recettore del glutammato che viene anche espresso in alcune regioni cerebrali. Grassi Le grosse molecole lipidiche sono scisse dalla lipasi linguale in molecole di minor peso molecolare, capaci di stimolare i recettori gustativi. Inoltre, le membrane apicali dei bottoni gustativi contengono trasportatori degli acidi grassi, molecole che permettono l’entrata degli acidi grassi nelle cellule. Amaro I composti dal sapore amaro comprendono molte classi chimiche distinte. Alcune di queste sono alcaloidi come il chinino che, bloccando i canali al K+, determina la depolarizzazione delle membrana. Altri, come la caffeina, gli L-amminoacidi, l’urea e anche sali come l’MgSO4 non utilizzano gli stessi recettori o le stesse vie di trasduzione del segnale. Il gusto amaro viene trasdotto quindi secondo almeno tre vie possibili: nella prima, sostanze come la chinina determinano il blocco dei canali apicali del K+ con conseguente depolarizzazione della membrana. Un secondo meccanismo coinvolge recettori accoppiati a proteine G che attivano la Fosfodiesterasi. La fosfodiesterasi riduce la concentrazione intracellulari di cAMP e cGMP causando la chiusura dei canali attivati da questi nucleotidi ciclici. Il terzo consiste sempre nell'attivazione di una proteina G la quale attiva una fosfolipasi C che fa aumentare la concentrazione di IP3 (Inositolo –tri-fosfato), che a sua volta determina liberazione di ioni calcio dai depositi intracellulari, depolarizzando la cellula. LO STIMOLO GUSTATIVO La sensibilità gustativa per un determinato stimolo varia grandemente tra gli individui e condiziona la scelta del cibo e quindi lo stato nutrizionale dell’individuo. Il sapore di un cibo o di una bevanda è infatti, fondamentale nel determinarne la commestibilità e l’appetibilità; il rifiuto di un cibo a causa del suo sapore sgradevole è importante per la sopravvivenza di molte specie animali. Di norma, le sostanze dolci, fonte di energia per l’organismo, provocano una sensazione piacevole e l’innesco di riflessi di salivazione, di deglutizione e di preparazione del tubo digerente alla digestione e all’assorbimento. Il sapore amaro provoca sovente il rifiuto del cibo o della bevanda e, se molto intenso, stimola il riflesso del vomito: questo è presumibilmente in relazione al fatto che la maggior parte delle sostanze tossiche presenti in natura ha sapore amaro. La sensibilità gustativa è normalmente alta per il gusto amaro, in accordo con quanto detto sulla funzione di monitoraggio della presenza di sostanze potenzialmente tossiche rispetto a quelle invece che possono essere utili per l’organismo. Il grado di piacevolezza di un sapore è tuttavia soggettivo e può essere influenzato dall’esperienza e dalle necessità nutrizionali. Sia l’animale che l’uomo tendono a rifiutare un cibo dal quale in passato siano stati intossicati. Lo stesso cibo può essere avvertito come molto gradevole e desiderabile all’inizio del pasto e sgradevole quando viene raggiunta la sazietà. In base alle informazioni gustative e olfattive si ha la capacità di operare una scelta tra diversi cibi e preferire quello che fornisce l’apporto nutritivo più consono alle esigenze dell’organismo. È interessante ricordare che il sapore può essere in relazione alla concentrazione. Ad esempio, il sale da cucina a bassa concentrazione viene percepito come dolce, ad alta concentrazione come amarognolo. La sensibilità gustativa può variare grandemente anche in funzione dell’età e del sesso dell’individuo. È noto che le donne mostrano una maggiore sensibilità rispetto agli uomini per gli stimoli dolci e salati, e una sensibilità minore per gli stimoli acidi. E’ noto che anche l’invecchiamento può determinare modificazioni della sensibilità gustativa che possono essere dovute anche a fattori diversi dalle sole modificazioni dell’invecchiamento delle strutture coinvolte. Non è stato infatti dimostrato che il numero dei calici gustativi e delle papille diminuisca con l’invecchiamento. In realtà, molti dei farmaci che sono assunti dai soggetti anziani alterano la percezione gustativa e influiscono negativamente sull’output salivare (peggiorando ulteriormente il senso del gusto). Anche la perdita delle capacità olfattive, legata all’età o a patologie, può giocare un ruolo importante nel diminuire la sensibilità gustativa. 22 IL GUSTO AMARO La capacità di percepire l’amaro ha avuto e sicuramente ha ancora delle notevoli implicazioni e conseguenze, sia positive che negative. Vediamone alcune: a) in passato ha comportato sicuramente un importante vantaggio selettivo permettendo di evitare l’ingestione di cibi amari che spesso in natura sono tossici o velenosi; b) porta a eliminare dalla dieta cibi come le crucifere che, se introdotti in consistenti quantità, interagiscono con il metabolismo dello iodio producendo gozzo, una grave malattia della tiroide c) porta a preferire diete povere in frutta e vegetali (cosa che può tradursi in una ridotta prevenzione di tumori, specie quelli intestinali); d) si associa mediamente a una massa corporea inferiore valutata come indice di massa corporea o BMI (body mass index). e) comporta un numero percentualmente inferiore di carie. GENETICA DEL GUSTO AMARO Gli studi sulla genetica del gusto iniziarono casualmente nel 1931 nel laboratorio del chimico britannico A. F. Fox. Un giorno, durante un esperimento per sintetizzare il composto PTC (feniltiocarbamide), una sostanza di sapore amaro appartenente alla famiglia delle tiouree, avvenne un’esplosione che disperse la sostanza nell’aria. Alcuni colleghi presenti percepirono un forte sapore amaro mentre Fox non percepì assolutamente nulla. A questa prima osservazione sono seguiti diversi studi che hanno dimostrato che l’incapacità di percepire il PTC (o un composto simile chiamato PROP) varia da popolazione a popolazione da un minimo del 3% nell’Africa occidentale a oltre il 40% in India. È interessante notare come circa il 25% della popolazione non percepisce assolutamente il sapore di questo costituente, anche alle alte concentrazioni. Queste persone hanno una particolare insensibilità a questa sostanza veramente amara, diversamente dal restante 75%. La feniltiocarbamide è uno dei composti più amari, la cui soglia di identificazione è 6,5 · 10-8 mole/l (circa 10 mg/l), pertanto sono necessarie circa 1013 molecole/ 1 ml per identificarne il sapore amaro. L'intensità dell'amaro dipende dalla sostanza assaggiata, dalla sua concentrazione e dal tempo di reazione nella bocca. La percezione dell'amaro si sviluppa e raggiunge il suo massimo in pochi secondi, in contrasto con altri gusti che vengono percepiti quasi istantaneamente. Le soluzioni contenenti sostanze amare che vengono degustate a bassa temperatura tendono ad essere riconosciute più amare rispetto a quelle percepite a temperature più alte. Se presente nella soluzione, l'alcol intensifica la percezione dell'amaro, mentre i composti dolci la riducono. I composti amari più noti ed utilizzati nella ricerca come sostanze di riferimento nei test gustativi sono il chinino, la naringina e la caffeina. Tale caratteristica influenza le nostre abitudini alimentari e ci induce a preferire o eliminare dalla dieta determinati cibi. L'amaro è percepito come un avvertimento contro gli alimenti pericolosi, come indicazione della presenza di veleno o di cibi alterati. Viene anche associato ai preparati medicinali e alle erbe terapeutiche. D'altra parte, l'amaro costituisce in molti casi la necessaria componente del gusto in certi tipi di alimenti, consentendone un'estensione del flavor. Nella nostra popolazione il 30% circa è classificato come non taster, mentre il 70% è taster. I taster sono quelli che hanno una percezione molto elevata e che in genere allontanano subito la sostanza amara con repulsione (soglia di circa 1,0 x 10-4 mol al litro), i medium taster e i non taster sono invece quelli che percepiscono molto poco o per nulla l’amaro (soglia maggiore di 2,0 x 10-4 M). I taster, più sensibili all’amaro, non prediligono i cibi come le crucifere ricchi in tiouree (cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles, rape ecc.), quelli contenenti caffeina, chinino, isoumuloni (amaro della birra), naringina (pompelmo); sono inoltre più sensibili alla percezione del piccante (irritante per effetto di sostanze quali la 23 capsaicina del chili, la piperina del pepe nero, e lo zingerone presente nel ginger) e del grasso per una maggiore presenza di terminazioni del nervo trigemino sulla lingua e nel cavo orale. Ovviamente i non taster tendono a comportarsi in maniera completamente opposta. I non-taster consumano una maggiore varietà di cibi e sono associati ad un maggior peso corporeo. E’ stata anche trovata una forte associazione tra lo stato di non taster e una maggiore adiposità nelle donne. Il gusto amaro è mediato da recettori accoppiati a proteine G appartenenti alla sottofamiglia di TAS2R della membrana delle cellule gustative. Questi recettori presentano 7 domini transmembrana ad alfa elica e un residuo amminoacidico conservato. L’uomo possiede circa 25 TAS2R recettori per l’amaro codificati da claster di geni localizzati sui cromosomi 5, 7 e 12. Poichè il numero di composti supera notevolmente il numero di recettori, sembra probabile che i singoli recettori rispondano a più di un tipo di composto chimico dal sapore amaro. Le differenze individuali nella percezione gustativa dell’amaro sono ereditate geneticamente. La genetica variabilità nella sensibilità a sentire il sapore amaro delle tiouree rappresenta il più studiato fenotipo del gusto amaro nell’uomo. TAS2R: 25 geni che mappano in cluster su 3 cromosomi I 25 TAS2R sono codificati da cluster di geni localizzati sui cromosomi: - 15 geni sul cromosoma 12p - 9 sul cromosoma 7q - 1 sul cromosoma 5p 9 geni (TAS2R38,16,3,4,5) 15 geni (TAS2R19,43,44) TAS2R1 12 TAS2R espressi a livelli elevati nel 10% delle cellule recettoriali 6 espressi a livelli moderati nel <5% 7 espressi solo nell’ 1% Alti livelli di variazioni alleliche sono state trovate all’interno dei loci TAS2R nelle popolazioni umane. Questa variabilità correla con l’enorme variabilità nella percezione di composti amari riscontrata nell’uomo. Le diversità nei geni TAS2R potrebbero essere dovuti alla selezione naturale, che può aver favorito alleli maggiormente responsivi a tossine naturali amare prodotte dalle piante TAS2R38 Il TAS2R38 è un esempio di recettore modestamente selettivo in grado di rispondere a composti contenenti il gruppo tiocianato N-C=S delle tiouree (responsabile del loro sapore amaro), come la feniltiocarbammide (PTC) e il 6-n-propiltiouracile (PROP) ma anche a stimoli privi di tale gruppo. Tale recettore è codificato da un gene a singolo esone presente sul braccio lungo del cromosoma 7 che codifica per una proteina di 330 amminoacidi. cromosoma 7 L’abilità a sentire il sapore amaro delle tiouree è associata agli aplotipi del gene TAS2R38 che derivano da combinazione di tre singoli polimorfismi SNPs. I tre SNP sono responsabili di tre sostituzioni aminoacidiche (Pro49Ala, Ala262Val, 296Ile) C / G -> Prolina/alanina PRO -> ALA C /T -> Alanina/Valina ALA-> VAL G /A ->Valina/isoleucina VAL -> ILE (Pro49Ala) (Ala262Val) (Val296Ile) 24 Si conoscono due comuni aplotipi, la variante dominante PAV associata alla elevata sensibilità e la variante recessiva AVI associata a una bassa o nulla sensibilità alle tiouree. Queste varianti danno origine ai Taster (PAV) e ai Non Taster (AVI). AAV,AAI,PVI sono aplotipi più rari con sensibilità intermedia. I genotipi che possono derivare dalla combinazione dei due più comuni aplotipi sono: - PAV/PAV super-taster con alta sensibilità per l’amaro - PAV/AVI medium taster con moderata sensibilità per l’amaro - AVI/AVI non taster non percepiscono l’amaro Gli individui omozigoti o eterozigoti per la variante PAV sono in grado di sentire il sapore amaro delle tiouree anche a basse concentrazioni, mentre gli individui che sono completamente incapaci di sentire le tiouree e quelli che le sentono solo ad alte concentrazioni sono omozigoti per la variante AVI I genotipi del TAS2R38 sono in grado di predire la maggior parte (55-85%), ma non la totalità delle variazioni nel fenotipo del PROP, implicando che altri fattori epigenetici possano essere coinvolti nell’espressione di questo carattere genetico. Nella popolazione caucasica la distribuzione dei tre fenotipi è di circa: • 30% Non-taster AVI/AVI • 45% Medium-taster AVI/PAV • 25% Supertaster PAV/PAV Il TAS2R38 non è l’unico recettore per l’amaro. Il fatto che oggi circa il 30% della popolazione non percepisce l’amaro se stimolato dal PTC significa che evolutivamente c’è stato qualche svantaggio, altrimenti ci sarebbe un equilibrio al 50% tra taster e non taster. 25