Semerari vivant* di Raffaele Giampietro "Se, in una immaginaria età di ricorsa barbarie, si decidesse di distruggere tutti i libri di filosofia, salvandone soltanto alcuni, io non esiterei a indicare, tra le opere da salvare ad ogni costo, l'Etica di Spinoza. Ho sempre pensato una cosa del genere. La penso ancora oggi nonostante che la ulteriore maturazione della mia riflessione mi abbia portato a non avere più, nei confronti di Spinoza, la stessa disposizione simpatetica di un tempo. Il punto essenziale è la considerazione del possibile e del contingente, di cui rifiuto l'assunzione spinoziana in termini di "defectus nostri intellectus", manifestazioni della nostra ignoranza della Necessità (Natura naturans o Deus nel linguaggio di Spinoza) che tutto regge e governa proprio nel senso, espressamente escluso da Spinoza, di essenziali "rerum affectiones". Tra noi e Spinoza si frappone un passo della Storia naturale della religione di Hume ove è detto: «Ci troviamo in questo mondo come in un gran teatro, in cui i veri moventi o cause di ogni evento ci sono interamente celati; né abbiamo sufficiente saggezza per prevedere, o potere per prevenire i mali che continuamente ci minacciano. Siamo sempre in bilico tra vita e morte, salute e malattie, ricchezza e miseria, distribuite nella specie umana che cause segrete e sconosciute, che operano spesso in modo inatteso, sempre inesplicabile». Questo passo è uno dei tanti di Hume, che fanno da spartiacque tra il mondo delle irrefragabili, dure, certezze metafisiche, in cui si poteva pensare che «veritas se ipsam patefacit» e a cui apparteneva Spinoza, e il nostro, nel quale ognuno di noi è il "viandante" nicciano che non ha un cammino ______________ * - Questo titolo è un calco evidente del Merleau-Ponty vivant, che Jean Paul SARTRE dedicò su "TEMPS MODERNES", nel '61, all'amico scomparso. Come ogni calco non vale nulla, se non a rinviare a questo pensiero: "... egli non ha mai perduto me, ed è dovuto morire perché io perdessi lui" (J. P. SARTRE, Il filosofo e la politica, Roma, 1965, p. 193). 283 pretracciato da seguire, ma erra nel mutamento e nella transitorietà e al quale può toccare di trovare chiusa la porta della città ove ha sperato di ricevere ospitalità per il riposo notturno. La nostra condizione di viandanti ed erranti non si lascia interpretare e rappresentare dagli e negli schemi della filosofia spinoziana". Ho scelto questa pagina d'esordio della recensione1, che Giuseppe Semerari scrisse per l'edizione dell'Etica curata da Emilia Giancotti, - studiosa alla quale lo legava un sentimento di profonda stima ed affetto - perché mi sembra esemplare sia del rapporto del filosofo con Spinoza, sia di alcuni dei paradigmi essenziali dei suo pensiero. Entro l'arco di una lunga, mai interrotta riflessione su Spinosa2, Semerari ha ormai individuato nella ambiguità3della sua collocazione storico-problematica il confine tra il pensiero definitivamente moderno e quello autenticamente e definitivamente contemporaneo. "Lo spinozismo è un caso di malattia infantile del razionalismo moderno, giacché alla fede nelle possibilità onnirisolventi della ragione si accompagna il non vinto pregiudizio che il fondamento razionale non possa concepirsi altrimenti che nei modi di un ordine in se stesso compiuto e non solo funzionalmente ma pure ontologicamente sottratto alla precarietà e problematicità del reale, al punto da identificarsi e garantirsi con una obiettivazione teologica”4. Malgrado i presentimenti di una concezione del trascendentale relazionistico-fenomenologica, che pure Semerari registra nella organizzazione categoriale dello spinozismo, per lui 1a sostanza di Spinoza rappresenta la formula di risoluzione dell'angoscia come paura di esistere e di scoprirsi gettati nella temporalità ed esposti al gioco imprevedibile del possibile e del contingente"5. Rispondendo, nel 1982, alla domanda di Bruno Maiorea su quale fosse il suo debito verso Spinoza, Semerari affermò, quasi facendo un bilancio anche biografico/intellettuale: "Di Spinoza conservo quello che mi sembra il suo insegnamento fondamentale: essere lo sforzo di preservare il proprio essere l'essenza di ogni ente, segnatamente dell'ente/uomo. A questo sforzo si lega ______________ 1 - "BELFAGOR", XLV (1989), VI, p. 719. 2 - Per limitarsi ai primi anni Cinquanta, si ricordino I problemi dello spinozismo, Trani, 1952 e l'edizione del Breve Trattato su Dio, l'uomo e la sua felicità, Firenze, 1953. 3 - G. SEMERARI, L'ambiguità di Spinoza, in "GIORNALE DELLA FILOSOFIA ITALIANA", XLIII (1964), pp. 428-438. 4 - Ivi, p. 431. 5 - Ivi, p. 437. 284 l'esigenza che le scienze, l'intera enciclopedia scientifica siano finalizzate alla realizzazione di una condizione esistenziale stabile e armonica da Spinoza detta felicità: il problema del significato e del valore della scienza per la esistenza umana è ancora urgente, forse più urgente oggi di quanto non fosse al tempo di Spinosa”6. Ma questa "spia" di quello che credo fosse anche il bisogno originario di spinozismo del giovane Semerari, allievo di Carabellese ed educato alla critica di ogni storicismo idealistico - si potrebbe dire indifferentista,7 - che trasforma ogni pezzo di "roccia" del vissuto umano in "sabbia"8, - questa "spia" - dicevo - non toglie che la cifra, credo, definitiva9, del rapporto dei filosofo con lo spinozismo sia pur sempre quella rivelata dalla magnifica relazione al Congresso di Urbino dell'82, tutta imperniata sulla analisi della ontologia della sicurezza10; in quelle pagine, la filosofia di Spinoza si configura come la strutturazione di un programma, perfetto come un cristallo sicuro (sorglos) ed a-situazionato (situationslos), - il lessico è di Ertist Bloch - che è "non il mondo secondo Spinoza, bensì il modello (teorico) secondo cui Spinoza pensa possa essere data sicurezza al mondo del tempo, della storia, dello sviluppo e del soggetto”11. Semerari in questi anni incontra, infatti, nella forma più compiuta, il pensiero della Insecuritas, che significa, - egli tiene a dirci, - letteralmente, Non senza cura", la quale ultima è sì Cura della favola di Igino fino ad Heidegger, ma soprattutto è la condizione essenziale dell'uomo, che non-può- ______________ 6 - B. MAIORCA, Filosofi italiani contemporanei, Bari, 1983, p. 124. 7 - Il rapporto di Semerari con lo storicismo è già delineato negli importanti studi di Storicismo e ontologismo critico. Saggi sul problema della storia nella filosofia di Pantaneo Carabellese, Manduria, 1953. 8 - Per restare al titolo e alla metafora del libro che l'allievo volle dedicare al mai dimenticato maestro: G. SEMERARI, La sabbia e la roccia. L'ontologia critica di Pantaleo Carabellese, Bari, 1982. 9 - In senso teoretico; in senso cronologico, va tenuto conto dell'importante studio, Husserl e Spinoza, che è in F. DE NATALE - G. SEMERARI, Skepsis: studi husserliani, Bari, 1989, pp. 201-225. 10 - G. SEMERARI, L'ontologia della sicurezza in Spinoza, in “PARADIGMI", I (1983), 1, pp. 33-55; ma già molti anni prima Semerari aveva sottolineato analogie tra fenomenologia e lo spinozismo (ad esempio, tra la epoché e il concetto di la rigenerazione): cfr. Rigenerazione e comunione in Spinoza, uscito per la prima volta in “Il PENSIER”, IV (1959), pp. 294-312. 11 - Ivi, p. 35. 12 - G. SEMERARI, Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Milano, 1982. p. 7. Il saggio di interesse spinoziano, Vivere in sicurezza e in buona salute, (pp. 53- 285 essere-senza-cura, selbstständig, - sempre esposto, come egli è, ai pericoli che gli possono venire dal proprio Corpo, dalla Natura, dagli Altri. La filosofia, come bisogno di garanzia - il senso vero di ogni ricerca del Fondamento -è un linguaggio di legittimazione trascendentale di quelle vere e proprie Tecniche di Rassicuramento che sono la Scienza, la Politica, la Religione, la Filosofia. Non poteva non essere il Freud analista del "disagio della civiltà" a sorreggere questa ricognizione de Le strategie del rassicuramento umano 13 ; in realtà, qui è un terreno privilegiato per misurare il programma filosofico di Semerari, che ha scelto da sempre la filosofia come lavoro di fondazione e verifica permanente di qualsiasi paradigma precostituito, come vigilanza mai intermessa sulle tecniche della ragione scientifica, della cultura, della civiltà, che si presentino con la pretesa della definitività e della assolutezza: la magagna - come non cessava di avvertire Semerari - dei sostanzialismi e di ragionalismi astratti, delle tecniche che hanno perso la loro intenzionalità, che non tollerano processi di riappropriazione di senso, può essere mortale per l'uomo. Il rapporto con l'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano, l'elaborazione di una concezione originale del relazionismo, il rapporto intellettuale (oltre che di profonda amicizia) con Enzo Paci, il ruolo attivo nella "HusserlRenaissance italiana", il contributo ad una rilettura antidogmatica del marxismo, - vicende importanti, queste, della cultura filosofica italiana contemporanea, su cui non possiamo certo soffermarci oggi - contribuiscono a costituire l'articolazione teoretica14di un atteggiamento morale ed intellettuale, di ______________ 80) ne riproduce due precedentemente pubblicati: La teoria spinoziana dell'immaginazione e L'idea della scienza in Spinoza. 13 - In “PARADIGMI", VI, (1984), pp. 409-431. 14 - Non posso fare più che un cenno ad un altro suo interesse fondamentale in sede storico -critica, ma dotato, come sempre in Semerari, di forti implicanze teoretiche: quello per Schelling, che risale alla importante Interpretazione di Schelling (Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1958): di questo libro, che fu in Italia molto discusso, Helmut Höfling sottolineò come esso fosse inserito coraggiosamente ("in mutiger Weise") nella messa in discussione - avviata a partire da Dilthey, N. Hartmann e H. Knittermeyer - dello Schellingbild hegeliano. Ecco il giudizio finale del critico di Friburgo: "Die Lektüre dieses Werkes lohnt sich. In ihr zeigt sich Semerari als einer der besten und gedankenreichsten Kenner der Schellingschen Werke und der europäischen Schellingliteratur" (H. HÖFLING, in "PHILOSOPHISCHE RUNDSCHAU", VIII (1960), 2-3, pp. 213-215. 286 una passione razionale che io ritengo proprie della figura scientifica e morale di Giuseppe Semerari15. Vorrei ora ricordare un episodio che, credo, bene esemplifichi il suo profondo fastidio per la “retorica” in quanto tale e soprattutto per ogni retorica del “progresso” che tradisca lo statuto ontologico della condizione umana. Qui a Pisa, nella primavera del 1967, si tenne il XXI Congresso della Società Filosofica Italiana, dedicato a ‘L’uomo e la macchina’. Semerari, che non aveva potuto preparare la comunicazione scritta per ragioni di salute, fu invitato ad intervenire, nella sede della Domus Galilaeana, da Augusto Guzzo; la passione filosofica trasparente nelle parole - improvvisate - di Semerari fu una esperienza intellettuale alta, e non solo per noi allievi che, in piccolo numero, lo avevamo accompagnato, ma - ne ricordo i commenti - anche per molti dei presenti. Rileggo qui, oggi, solo la pagina finale di quell’intervento, severa diagnosi delle illusioni e dei pericoli della civiltà tecnologica, essendo noi non ancora alla fine degli “ottimistici” anni 60 e mancando appena un anno al 68: “E’ indubbio […] che esiste un problema del futuro delle relazioni tra l’uomo e le macchine, soprattutto gli autonomi. Esso si profila all’orizzonte estremo della presente civiltà. Probabilmente si produrrà la situazione che può essere interpretata con il richiamo a uno dei miti della tradizione occidentale. Mi scuso per la versione che do di questo mito e che forse, anzi certamente, non sarà condivisa da molti di coloro che ora mi ascoltano. Dio, racconta il mito, creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma l’uomo mangiò il frutto dell’albero proibito della scienza e lanciò la sfida a Dio. Per continuare a essere possibile in un universo ormai dominato dalla sfida della scienza dell’uomo, Dio dovette reinventarsi e diventò il Dio-uomo. Alla fine si constatò che Dio, nonostante la umanizzazione e, forse, proprio per la umanizzazione, era morto. Ora l’uomo ha cominciato a costruire macchine a sua immagine somiglianza. Anche le macchine sfidano l’uomo, perché vengono fatte in maniera tale che potranno pensare come l’uomo pensa. Quando le macchine riusciranno a pareggiarlo nel pensiero, l’uomo, per continuare a essere possibile, dovrà, come il Dio del mito, reinventarsi. Come dovrà reinventarsi l’uomo in un mondo dominato dalle macchine? La reinvenzione dell’uomo da parte di se stesso è il tema principale che le macchine e la _______ 15 - Anche nei suoi aspetti “esterni”: di recente, commemorandolo a Bari il 29 novembre 1996, Aldo Masullo ha parlato efficacemente di una sua singolare, specialissima “baldanza” nel tratto umano. 287 cibernetica propongono, in prospettiva, all’uomo e alla filosofia, prima che anche dell’uomo si debba dire che è morto”16. Pisa è una città con cui Semerari aveva avuto, all’inizio degli studi universitari, un rapporto ben più stretto: la circostanza non credo sia nota a molti, ma egli fu, per breve tempo, - per qualche mese, sembra, - un “normalista” di Giurisprudenza17. Non sono certe le motivazioni della sua rinuncia al posto; pare che abbiano giocato ragioni personali18. Al concorso pisano aveva partecipato, - è probabile, - su suggerimento del suo professore di liceo, Michele Mascolo, docente di filosofia del Liceo classico di Barletta, exnormalista: la circostanza è degna di nota, non certo per una concessione all’aneddotica legata al luogo nel quale ora siamo, ma perché Semerari stesso, senza citare il nome del suo professore, ne parla in un’occasione consentita da quell’altra singolarità della sua attività intellettuale e di organizzatore di cultura, che è la sezione di “Paradigmi” - la rivista, com’è noto, da lui fondata e diretta dal 1983 - dedicata ai rapporti tra scuola e università ed ai problemi dell’insegnamento della filosofia: Semerari ne parla, dunque, come di colui dal quale aveva imparato a stabilire un rapporto critico col manuale di filosofia, il feticcio dell’educazione filosofica liceale italiana, a confrontarsi in prima persona con il testo ed i testi dei filosofi, a individuarne le motivazioni. Ecco le sue parole: “Prima di tutto il nuovo insegnante, che aveva studiato alla Normale di Pisa, ci abituò a stabilire un rapporto di critica col manuale. Esso non era intangibile: lo si destrutturava, lo si analizzava, si mutava l’ordine di esposizione degli argomenti, si operavano spostamenti interni delle parti del testo sicché risultassero, da tale lavoro, in fondo dissacrante, le motivazioni che avevano ispirato i filosofi, volta a volta studiati, e diventasse chiaro l’ordito logico strutturale dei loro discorsi. Ma il manuale non era egemone, nonostante tutto. Lo studio di esso era messo al servizio della chiarificazione dei problemi filosofici, che l’insegnante ci mostrava nascenti dalle situazioni della vita reale, che ci venivano illustrate con il richiamo e con l’uso di pubblicazioni riguardanti le scienze naturali, la politica, l’economia, la dinamica sociale. Perfino qualche buon articolo della stampa quotidiana diventava lo spunto per l’impostazione o la reimpostazione delle lezioni ________ 16 - L'uomo e la macchina, Atti del XXI CONGRESSO NAZIONALE Di FILOSOFIA, Pisa 22-25 aprile 1967. III. Discorsi, Discussioni, Interventi, Torino, 1968, p. 195. 17 - Allievo, cioè, di quella che oggi è la Scuola Superiore “S. Anna”. 18 - Semerari si laureò poi in Filosofia del diritto, a Bari, con Aldo Moro, prima di avviarsi agli studi filosofici, a Roma, con Carabellese. 288 di filosofia. Si trattava di una pratica didattica inusitata e, per certi aspetti, non agevole. Si richiedeva a noi una partecipazione diretta ed intensa: era in azione una metodologia che arieggiava la maieutica socratica: l’insegnante, provocandoci con determinate domande, aspettava che noi si rispondesse non ripetendo ciò che in precedenza potevamo avere imparato, bensì tentando di risolvere noi stessi la questione tematizzata. Questa didattica, indubbiamente sconcertante se considerata alla luce delle pratiche abituali della nostra scuola, sembrava fatta apposta per conquistare definitivamente alla filosofia chi, per avventura, avesse per essa una disposizione magari ancora latente e non ancora riconosciuta [ ... ] non avrei insistito su questo scorcio autobiografico se la vicenda liceale non avesse lasciato in me tracce profonde, che hanno condizionato il mio impegno didattico di insegnante liceale, prima, e di docente universitario, poi [ ... ] gli anni del secondo e del terzo liceo furono gli anni della scoperta, da parte mia, della mia vocazione. Fu in quegli anni che capii su quale strada la mia vita stava per incamminarsi” 19. Per quanti, ex-normalisti o normalisti che - ne sono certo - proveranno curiosità per la figura di Michele Mascolo, rinvio a quanto ne ha scritto di recente un altro ex-normalista, egli pure pugliese e quasi coetaneo di Semerari, allievo dello stesso liceo negli anni ‘36-39, e cioè Cinzio Violante, l’illustre medievista, che ha fatto un vivace e interessante ritratto di Mascolo, collega di corso, in Normale, anche di Enrico Fermi, come egli amava ricordare20. Non vorrei esagerare, per parte mia, il rilievo di questa didattica certamente non incline ad uno storicismo da vulgata, ma non mi sembra azzardato dire che la critica di Semerari alla religione dello storicismo come mitologia ________ 19 - G. SEMERARI, La filosofia e il suo insegnamento, in “PARADIGMI”, IX (199 1), 27, p. 592. 20 - Eccone un passo, per noi significativo: “Il metodo di insegnamento del prof. Mascolo era abbastanza singolare. Nella spiegazione egli seguiva una ben determinata linea nell’esporre la materia, ma nell’interrogazione ne sceglieva un’altra, ben diversa. Ad esempio, spiegava la filosofia di Platone, seguendone lo sviluppo cronologico a partire dai dialoghi socratici; poi, quando interrogava, ricominciava egli stesso a parlare dell’argomento cambiando strada, facendo del pensiero platonico una esposizione rigorosamente sistematica, per grandi problemi, e a un bel punto, improvvisamente, si arrestava invitando il malcapitato studente a continuare il suo discorso secondo la stessa impostazione” (C. VIOLANTE, Il mio liceo, in “ANNALI DI STORIA DELL’EDUCAZIONE E DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE”, 2 [1995], pp. 299-310, part. 304). 289 moderna aveva certamente, ancor prima del decisivo incontro con Carabellese, un radicamento antico. Quando, nel ‘66, apparve in Italia quel primo scritto di Althusser, tradotto in un importante fascicolo di “Critica marxista”21, in cui i limiti della concezione storicista venivano nettamente individuati, con Semerari ne discutemmo subito in un seminario da noi studenti, in cui la Critica della ragione dialettica satriana, il Merleau-Ponty di Umanesimo e terrore e Le avventure della dialettica furono a tema con quelle pagine di Althusser, che da noi furono accolte senza frettolosi e sospetti entusiasmi, ma anche senza “complessi”, per così dire, specialmente ove si pensi alle relazioni che quelle elaborazioni ebbero allora in ambienti, poniamo, hegelo-marxisti e consimili. Se indugio sulla figura di Semerari professore, sul suo modo di esserlo, è perché credo che non si comprenda la sua figura scientifica, intellettuale e morale, senza tener presente questo decisivo aspetto. La radicalità della presa di coscienza dei problemi filosofici era in lui tradotta senza residui in passione didattica. Nella primavera del 1964, matricola di Lettere (non ancora di Filosofia), entrai - per suggerimento di un amico - in un’aula dell’Istituto di Filosofia dell’Università di Bari. Alle mie spalle c’erano solo il manuale di Michele Federico Sciacca e le mie disordinate letture liceali: udii, ma direi meglio, vidi scomporre e ricomporre la categoria della sostanza, fino ai “sostrati ultimi”, ascoltai un linguaggio a me ignoto e purtuttavia aderente ai fenomeni, in una lettura ardua ma al tempo stesso straordinariamente perspicua, nel senso originario del termine, delle basi precategoriali della logica. Semerari leggeva e faceva scolii, - come il suo “maestro” antico, Spinoza, - a Esperienza e giudizio di Husserl. Ha continuato a parlare, a parlare così, fino a quel seminario del settembre scorso della Scuola di Filosofia di Monte S. Angelo, dell’Istituto di Studi Filosofici di Napoli, dedicato ad Heidegger, critico dell'epoca, senza risparmiarmi mai; ha parlato per cinque giorni, dal 16 al 20 settembre, a giovani, a studenti, a professori di filosofia come lui. L’ultimo giorno, lo hanno visto sbiancare mentre partecipava al dibattito. Ma ha continuato, come sempre, perché il seminario stava per chiudersi e doveva chiudersi bene, come sempre, perché un seminario di filosofia è una cosa seria. Giuseppe Semerari è morto a S. Giovanni Rotondo (Foggia), il 21 settembre 1996. _______ 21 - L. ALTHUSSER, Per un concetto di storia, in “CRITICA MARXISTA”, IV (1966), 1, pp. 110-136. 290 Ecco un frammento - spinoziano ancora una volta - del suo diario del 1963, - diario che teneva dal 30 gennaio 1944, “studente dell’ultimo anno di corso della Facoltà di Giurisprudenza e soldato dell’Esercito Italiano” - e che aveva egli stesso in questi ultimi anni cominciato a pubblicare: “ 1 gennaio. Mi avvio al compimento del quarantunesimo anno d’età. Da ora in poi devo difendermi dall’attaccamento parossistico alla vita, che cresce con l’aumentare dell’età e che toglie serenità di fronte al pensiero e allo spettacolo della morte” 22. ________ 22 - G. SEMERARI, L'anno del Messico, Fasano, 1996, pp. 5 e 9. 291