Terenzio Maccabelli 1. L`economia newtoniana in due recenti

Terenzio Maccabelli
ECONOMIA SCIENZA NEWTONIANA?
NOTE SUI RAPPORTI TRA LA METODOLOGIA
DELLA FISICA DI NEWTON E L’ECONOMIA POLITICA
1.
L’economia newtoniana in due recenti ricostruzioni ........ pag. 3
2.
L’«ontologia della regione natura» nella fisica di Newton.."
3.
Lo schema concettuale della fisica di Newton applicato
alla scienza economica........................................................." 11
4.
Il tradimento del paradigma newtoniano: l’influsso della
tradizione aristotelica nell’economia politica ......................" 14
8
Bibliografia .........................................................................." 19
2
1.
L’economia newtoniana in due recenti ricostruzioni
I celeberrimi versi di Pope, posti tra le pagine dell’Essay on Man,
rappresentano una delle più importanti testimonianze del prestigio assunto nel
‘700 da Isaac Newton e dalla fisica newtoniana:
Nature and nature’s law lay hid in night:
God said, Let Newton be! and all was light!
Questa immagine della natura, finalmente svelata nelle sue leggi universali, ha
accompagnato, quasi come un miraggio, l’evoluzione delle cosiddette «scienze
sociali»: il sogno che la società, il mondo politico, l’economia, tutto quanto
insomma concerne l’attività degli esseri umani, potesse un giorno trovare il suo
Newton, capace di svelare le leggi sociali, appare come un punto di riferimento
costante nella storia del pensiero economico, sociologico, e politico. Si sono così
succeduti senza sosta, negli ultimi tre secoli, tentativi di promuovere, anche nel
campo delle scienze sociali, un rinnovamento ed un superamento di antiche
opinioni giudicate mitiche e pre-scientifiche, a favore di una conoscenza
finalmente scientifica del mondo sociale. L’idea di ispirarsi, in questo ambizioso
progetto, alla rivoluzione operata da Newton nel campo delle scienze naturali, non
poteva naturalmente mancare. Del modo in cui è avvenuto, e in parte tuttora
avviene, questo tentativo di innescare nel solco tracciato dalla rivoluzione
newtoniana le scienze sociali, si parla ampiamente in due recenti volumi di I.B.
Cohen, Scienza della natura e scienza sociale, e di C.M.A. Clark, Economic
Theory and Natural Philosophy.
Anche se in entrambi i casi l’obiettivo fondamentale appare quello di definire
le caratteristiche dell’economia politica, o delle discipline sociali in genere, quali
scienze newtoniane, esistono profonde differenze nelle finalità che animano i due
libri: il lavoro di Cohen, il cui oggetto è lo studio di alcuni casi storici
particolarmente significativi di «interazioni fra le scienze della natura e le scienze
sociali», si pone decisamente in una prospettiva storica, senza preoccupazione
diretta di intervenire nel dibattito attuale sui rapporti tra i due ambiti disciplinari.
Clark è invece direttamente proiettato nell’attualità: la ricostruzione storica svolge
certo un ruolo determinante, ma è esclusivamente finalizzata a dimostrare come il
persistente tentativo di prendere a modello le scienze della natura abbia portato le
scienze umane, in particolare l’economia, a fallire l’obiettivo di descrivere in
modo adeguato i fenomeni sociali ed economici (Clark, 1992, p. 3-4). Non è
nostra intenzione discutere in queste note il radicale scetticismo espresso da Clark
sulla possibilità delle scienze sociali di imitare proficuamente i metodi ed i
procedimenti delle scienze fisiche; le note che seguono hanno un obiettivo più
limitato, ed è quello di proporre una riflessione, stimolata dalle ricostruzioni di
Clark e di Cohen, sull’effettivo grado di penetrazione dello schema concettuale di
derivazione newtoniana nelle scienze sociali, ed in particolare nella economia
politica. Non è dunque nostra intenzione discutere quanto effettivamente abbia
giovato all’economia il tentativo di farne una scienza analoga alle scienze fisiche;
Economia scienza newtoniana?
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ma se e in che termini c’è stata nella economia politica una effettiva assimilazione
dello schema concettuale newtoniano.
Il richiamo a Newton e alla sua metodologia scientifica non è naturalmente
l’unica forma di interazione storicamente avvenuta tra scienze naturali e scienze
sociali. Gli esempi riportati nel libro di Cohen mostrano alcuni tra i diversi
tentativi attuati da filosofi sociali di usare concetti e principi delle scienze naturali
di origine non newtoniana. Così ad esempio si può dire di James Harrington, le
cui idee esposte in Oceana sono espressamente fondate «sulla base della nuova
fisiologia di Harvey»; oppure dei tentativi di emulare la matematica nella
creazione di una nuova scienza sociale compiuti durante il Seicento da Grozio,
Leibniz e Spinoza. Ma a parte questi casi è comunque la fisica newtoniana che ha
costituito il modello storicamente più significativo quale forma di interazione tra
scienze sociali e scienze naturali. Il prestigio assunto da Newton e dalla sua opera
ha avuto infatti l’effetto di porre le scienze della società in un complesso di
inferiorità rispetto alla fisica newtoniana, in virtù dell’alto grado di certezza e di
precisione matematica che questa stava raggiungendo. Da qui è sorta la
convinzione, presso molti filosofi sociali, che l’economia politica, la sociologia o
la scienza politica avrebbero potuto dichiararsi «scienze» a tutti gli effetti solo se
fossero riuscite ad organizzare i loro argomenti ed i loro apparati concettuali
«nello stesso modo in cui i Principia di Newton avevano organizzato le scienze
fisiche» (Cohen, 1993, p. 59).
Ma in che modo prendere a modello la fisica newtoniana? Come utilizzare
concetti, principi, teorie e modelli di pertinenza di un campo d’indagine così
diverso? Si tratta di interrogativi non certamente nuovi, ma sui quali i lavori di
Cohen e di Clark gettano senza dubbio nuova luce.
Clark apre il suo volume discutendo brevemente il ruolo svolto dall’analogia e
dalla metafora nel processo di diffusione della conoscenza scientifica. Egli
richiama la nota tesi per cui l’interazione tra scienze della natura e scienze sociali
è avvenuta attraverso l’utilizzo di metafore e di analogie, cioè l’applicazione di
idee e concetti sviluppati con successo in un determinato campo di indagine in
nuove situazioni (Clark, 1992, p. 10). Cohen, in modo più specifico e dettagliato,
individua nell’analogia, l’omologia, la metafora e l’identità, le forme concrete di
interazione tra i due ambiti disciplinari. Nonostante il diverso grado di
disarticolazione delle categorie utilizzate per studiare le forme di interazione,
l’apparato concettuale utilizzato da Clark e da Cohen è comunque piuttosto
simile.
L’analogia e l’omologia corrispondono secondo Cohen rispettivamente ad una
«somiglianza di funzione» e ad una «somiglianza di forma» (Cohen, 1993, p. 41).
La prima avviene allorché, in una determinata disciplina, si riesce ad individuare
un principio che svolge la medesima funzione di un principio di un altra
disciplina: è questo il caso di Hume, il quale «sostenne di avere scoperto nel
principio psicologico dell’«associazione» ‘una specie di attrazione, la quale (...) si
trova ad avere nel mondo mentale, non meno che in quello naturale, effetti
straordinari, mostrandosi in forme non meno numerose e svariate’» (p. 45).
Nell’esporre il principio di associazione, Hume non arrivò però a formulare una
legge che avesse «una controparte diretta» nella legge gravitazionale di Newton;
semplicemente si limitò a segnale una analogia di funzione tra i due principi. La
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Economia scienza newtoniana?
storia delle scienze sociali è però ricca di esempi di vere e proprie omologie,
tentativi cioè di introdurre anche in queste discipline leggi della stessa forma di
quella delle scienze naturali. L’economista e sociologo americano H.C. Carey, ad
esempio, presentò una legge sociale della stessa forma della legge di Newton:
«L’uomo - scriveva Carey - tende di necessità a gravitare verso il suo simile». E
fino qui potrebbe rimanere nell’ambito dell’analogia. Carey continua però
affermando che «quanto più è il numero [di uomini] raccolti in un dato spazio
tanto maggiore è la forza di attrazione che ivi si esercita» (p. 42). L’omologia tra
la legge di gravitazione e la legge di Carey è palese: «una forza viene posta come
proporzionale al prodotto di due variabili»; anche se, come rivela Cohen, «manca
un esatta corrispondenza» poiché, nella legge di Carey «la forza è inversamente
proporzionale alla distanza, mentre in Newton è inversamente proporzionale al
quadrato della distanza» (p. 43).
Anche Jevons adottò una omologia della legge di gravitazione universale di
Newton, cioè la legge dell’utilità. Questa veniva definita dall’economista inglese
nient’altro che «un’attrazione fra un essere che ha bisogno di qualcosa e ciò di cui
egli ha bisogno», dichiarando che essa era «esattamente» come «la forza di
gravitazione di un corpo materiale» (p. 74).
Le altre due forme di interazione segnalate da Cohen sono la metafora e
l’identità. L’identità è la forma più estrema di comparazione e si riscontra in
quegli autori che affermano esplicitamente, ad esempio, l’identità tra società e
«organismo», oppure tra società e «macchina». Su questo punto i concetti di
Cohen trovano una contropartita piuttosto simile in quelli di Clark, anche se
quest’ultimo introduce una forma di identità che, non trovando equivalenti nelle
scienze naturali, non viene considerata da Choen. Clark, seguendo la
classificazione di Wernert Stark, individua tre forme di equivalenti, o identità, del
concetto di società: il primo, attraverso l’identificazione con l’organismo,
permette di concepire la società come una entità singola, e non come una
collezione di entità (Clark, 1992, pp. 25-26). La seconda, sottolinea la
generazione meccanica della società, in quanto composta dall’interazione di
individui concepiti come atomi. La terza concepisce invece la società come l’esito
dell’interazione tra individui e istituzioni sociali, sottolineando che si tratta di un
processo dove entrambe le parti si influenzano vicendevolmente (p. 29). E’
evidente, in quest’ultimo caso, che non si tratta di una identità posta tra la nozione
di società e una nozione di un campo disciplinare diverso, in quanto si tratta di
una definizione che non prende a prestito dall’esterno le proprie categorie
concettuali. Solo le prime due definizioni, la società come organismo e la società
come macchina, adattano una forma di comparazione quale quella dell’identità.
La seconda, in particolare, si colloca nell’ottica del paradigma newtoniano che
stiamo discutendo, in quanto comporta «la credenza che il sistema sociale sia un
sistema meccanico operante sotto gli stessi principi» che governano il mondo
fisico.
Il livello della metafora è invece più debole e consiste nell’«assegnazione di
un termine descrittivo a un qualche oggetto a cui esso non sarebbe a rigore
applicabile» (p. 57). L’esempio classico in questa direzione è rappresentato
dall’utilizzo della nozione di equilibrio nell’economia, termine preso a prestito
dalle scienze naturali. Il confine con l’analogia è naturalmente molto debole, in
Economia scienza newtoniana?
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quanto l’idea di equilibrio comporta presso molti autori anche la convinzione che
esso svolga una funzione analoga a quella svolta nel mondo fisico. Tuttavia,
alcune scuole di pensiero adottano solo in senso metaforico la nozione di
equilibrio, senza credere nell’analogia tra equilibrio dei corpi meccanici ed
equilibrio dei fenomeni economici-sociali. Così si potrebbe intendere la nozione
haiekiana di equilibrio, come semplice metafora, che appunto per non generare
confusione è stata sostituita dall’autore con la nozione di «ordine».
Una forma di interazione simile alla metafora è quella che Cohen ha definito
«stile newtoniano», cioè una metodologia di ricerca fondata sul metodo di
Newton. L’utilizzo dello «stile newtoniano» non consiste in una trasmissione di
concetti o di tecniche d’analisi direttamente dalla fisica al mondo economicosociale; si riferisce al contrario «agli stadi di interazione contrappuntistiche fra
sistemi immaginati o ideali e quelli osservati nella natura fisica» (p. 59).
Caratteristica di questo metodo è la consapevolezza che la teoria perviene alla
costruzione di un mondo ideale ed astratto, rispetto a cui si pongono i problemi
derivanti dal fatto che le «condizioni ideali differiscono dal mondo
dell’esperienza» (p. 60). La scienza naturale non diventa in questo caso fonte di
analogie o di omologie, ma di un metodo di ricerca che metaforicamente si può
chiamare «stile newtoniano».
Metafora, analogia, omologia e identità rappresentano dunque secondo Cohen
quattro livelli di discorso implicanti la comparazione che è utile tenere distinti.
Metafora e identità si collocano ai livelli estremi di una ipotetica scala, con
l’analogia e l’omologia posti ai livelli intermedi (p. 60). L’utilizzo di metafore
non implica la credenza che le leggi del mondo economico e sociale siano
analoghe, o addirittura omologhe, alle leggi fisiche. L’emulazione della
matematica, o della meccanica razionale, condusse, ad esempio tra gli autori
marginalisti, a collegare l’economia alle scienze naturali. «Questa associazione si
fondò su una metafora»; ma non necessariamente avrebbe dovuto condurre
all’utilizzo di analogie e omologie. E’ anche vero, tuttavia, che al tempo stesso
«la meccanica razionale fornì concetti, principi e persino equazioni per cui
sembrava ci fossero controparti utili - sia analogie sia omologie nell’economia»1.
La convinzione di Cohen sembra essere che l’interazione tra scienze sociali e
scienze della natura sia stata produttiva finché è rimasta al livello della metafora,
come ad esempio attraverso l’uso dello «stile newtoniano»; ma che abbia prodotto
risultati insoddisfacenti quando è arrivata ad utilizzare analogie, omologie o
addirittura identità tratte dal mondo fisico. «Nonostante le speranze di molti
specialisti di scienze sociali, - scrive Cohen - la fisica di Newton, ossia la fisica
qual’è esposta da Newton nei Principia, non ha mai fornito un’analogia utile per
l’economia, la scienza politica o la sociologia (...) La ragione va vista, secondo
me, nel fatto che il sistema newtoniano è costruito su un insieme di astrazioni e
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6
Cohen, 1993, p. 62. In un articolo del 1909 Walras, in effetti, richiama le tradizionali
metafore tratte dalla meccanica razionale per spiegare il significato dell’equilibrio
economico, in quanto simile alle relazioni matematiche che esistono tra i corpi celesti.
Ma nello stesso tempo supera il livello della metafora quando afferma che le equazioni
dell’equilibrio economico sono esattemente le stesse di quelle del mondo fisico (cfr.
Mirowski, 1990, p. 220).
Economia scienza newtoniana?
condizioni che non sono realizzabili nel mondo dell’esperienza (...) La
documentazione storica mostra che la fisica di Newton, nonostante secoli di
speranze e di sforzi, non ha fornito un’analogia appropriata per le scienze sociali»
(pp. 104-105).
E’ dunque opinione di Cohen che, nonostante gli sforzi di numerosi autori del
passato, l’economia e le scienze sociali in genere non siano riuscite nel tentativo
di emulare in modo significativo la fisica di Newton. Non è questa invece la
convinzione di Clark, secondo cui il progetto sarebbe stato perseguito fino in
fondo e con successo, come dimostra l’esito della moderna teoria dell’equilibrio
economico generale. Quale è allora la posizione più corretta? Si deve affermare
che l’economia ha alla fine raggiunto i crismi, dopo successivi affinamenti, di una
scienza «newtoniana», come con rammarico sostiene Clark? O invece, come
sostiene Cohen, che l’economia non è riuscita a superare le insormontabili
difficoltà che nascono dal tentativo di introdurre metafore, analogie, omologie ed
identità del sistema di Newton?
I volumi di Clark e di Cohen offrono uno stimolo senza dubbio rilevante per
ripensare il significato - se significato esiste - di «economia newtoniana».
L’opinione di chi scrive, d’accordo con Clark, è che si possa a ragione parlare di
«economia newtoniana»; tuttavia, nel fare questa affermazione, non bisogna
dimenticare che molto spesso il paradigma newtoniano viene utilizzato per
qualificare scuole e indirizzi di ricerca profondamente diversi tra loro, con la
conseguenza che il richiamo a Newton diviene talvolta un’affermazione
generalissima, senza un preciso contenuto. Il tentativo di costruire una scienza
«newtoniana» è stato certamente perseguito con successo da numerosi
economisti, a cui però vanno affiancati molti altri per i quali non si può certo dire
che abbiano contribuito, anche volontariamente, ad edificare una economia
«newtoniana». Ma che cosa significa «scienza newtoniana»? Sono sufficienti i
richiami proposti da Cohen e da Clark all’uso di metafore, analogie, omologie e
identità per qualificare l’idea di una scienza economica newtoniana? Questi
interrogativi ci hanno portato a leggere i contributi di Clark e di Cohen
domandandoci se dietro l’uso di metafore e analogie tratte dal mondo newtoniano
vi sia effettivamente sempre la volontà di costruire una scienza dell’economia
simile nelle procedure alla fisica; o se, invece, perché questo possa avvenire siano
necessari dei pre-requisiti concettuali che non tutti gli economisti del passato, più
o meno recente, sembrano aver fatto propri. Proveremo a riflettere su questi
interrogativi ricorrendo alla proposta di Giulio Preti di guardare all’«ontologia
della regione natura» propria di Newton, in quanto utile strumento per capire se
l’uso di metafore e analogie implichi la volontà di costruire una «ontologia
regionale» della scienza economica simile a quella della fisica newtoniana.
2.
L’«ontologia della regione natura» nella fisica di Newton
Che cosa intende Preti per «ontologia della regione natura»? Per introdurre
questa nozione di origine husserliana è opportuno richiamare alcune concetti tratti
dalla «teoria degli schemi» proposta da Arbib e Hesse. Secondo i due filosofi, in
ogni disciplina scientifica la conoscenza del mondo reale è mediata da un insieme
Economia scienza newtoniana?
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di strutture, di schemi o di codici grazie ai quali viene organizzato in forma
sistematica un determinato oggetto di studio2. Questo presupposto permette di
mettere in discussione la tradizionale ontologia naturalistica secondo cui la
percezione del mondo esterno avviene in modo passivo, cioè come un semplice
riflesso di quanto esiste al di fuori della mente; al contrario l’aspetto
fondamentale può dirsi proprio il ruolo attivo svolto dalla percezione nella
costituzione del mondo esterno. Può dirsi così di ogni ambito della realtà che, in
quanto costruito in schemi mentali e mediato da codici interpretativi, può essere
descritto in una varietà di modi3. La nozione fondamentale è dunque quella di
«schema di pensiero», intesa come forza attiva che determina la percezione del
mondo esterno: sono quindi «i nostri schemi correnti [che] determinano ciò che
noi prendiamo dall’ambiente»4.
Nel 1957, Giulio Preti ha proposto una lettura della fisica newtoniana
utilizzando la categoria husserliana di «ontologia regionale» (Preti, 1957), che
possiamo qui rielaborare utilizzando l’idea degli schemi di pensiero.
Anche per Preti l’«ontologia regionale» assume il significato di un insieme di
strutture o di forme a priori sottostanti ai processi cognitivi che permetton di
organizzare in forma sistematica una parte della realtà. E’, in altre parole, la
modalità attraverso cui un campo d’esperienze entra a far parte di un determinato
universo del discorso, attraverso la mediazione semantica di simboli, concetti, e
nozioni5.
La fisica newtoniana è al riguardo uno dei principali schemi di pensiero che ha
guidato le metodologie scientifiche «lungo tutto il corso del Sette ed Ottocento»
(Preti, 1957, p. 418). Che cosa significa intendere la fisica newtoniana come
«schema di pensiero»? Significa guardare ad essa come un insieme di simboli,
codici e concetti attraverso i quali viene letta e organizzata nel pensiero la
«regione natura». «Natura» che potrebbe essere letta in altri modi diversi, ad
esempio come avveniva tramite l’utilizzo dello schema aristotelico. Come noto,
infatti, la fisica classica, con Galileo prima e con Newton poi, ha prodotto una
frattura decisiva rispetto al passato, in quanto ha contribuito a superare l’antica
concezione fisica. «Questo in modo molto radicale, in quanto creava, per la
scienza della natura, un differente universo del discorso, diversamente strutturato,
e quindi stabiliva una differente ontologia regionale della natura: una diversa
nozione di spazio, una diversa nozione di moto, una diversa definizione di
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«L’‘oggettivazione’ può venire ora interpretata come la proiezione universale sul
mondo dei presupposti classificatori delle teorie scientifiche che trasporta non solo
queste classificazioni ma anche le ontologie teoriche delle entità fondamentali e delle
loro proprietà» (Arbib, Hesse, 1986, p. 245).
Arbib, Hesse, 1986, p. 97; Prodi, 1982, p. 217.
Arbib, Hesse, 1986, p. 100. Cfr. anche Prodi, 1982, p. 218: Col termine «schema» non
si intende evidentemente «quanto succede nella oggettività, ma quanto succede in un
sistema proposizionale che tenta di rappresentarsi l’oggettività».
La funzione di questi ultimi, in particolare, sulla scia di Dewey, viene sottolineata da
Preti: essa «consiste, da una parte, nel predeterminare le linee di sistemazione e
connessione delle esperienze; dall’altra nella scelta stessa, entro il complesso delle
esperienze, di quelle che sono significative in e per quel dato universo di discorso»
(Preti, 1957, p. 415).
Economia scienza newtoniana?
elemento fisico, etc.» (p. 419-420). Questa struttura, sottolinea inoltre Preti, non è
per nulla stata accantonata dalla scienza contemporanea. Al contrario essa è il
presupposto su cui ancora la fisica determina il proprio oggetto d’indagine, anche
dopo la rivoluzione einsteniana. Per questo, scrive Preti, «l’Ontologia della
regione ‘natura’ operante nella scienza moderna [è] tuttora la newtoniana» (p.
420).
Attraverso la fisica newtoniana, o meglio lo schema di pensiero newtoniano, è
dunque possibile descrivere una ontologia naturale, ancora operante nella scienza
moderna, che ha sostituito, anche se non in tutti i sensi, la precedente ontologia
della natura di stampo aristotelico. Sono infatti le categorie di Aristotele,
anch’esse produttrici di un ben preciso schema di pensiero, che Galileo e Newton
hanno di fatto rivoluzionato. Quali sono al riguardo i principali motivi di
differenziazione tra i due schemi di pensiero?
L’universo aristotelico è, come noto, un universo gerarchico. Al gradino più
alto Aristotele pone il mondo celeste, rispetto al quale il mondo sublunare, o
terrestre, si trova separato da una barriera insormontabile. Gli elementi costitutivi
dei due mondi sono irriducibilmente diversi, e questo spiega la contrapposizione
aristotelica tra l’eternità degli esseri collocati nel mondo celeste e la corruttibilità
di quelli appartenenti al mondo sublunare. Questi motivi spingono Aristotele ad
assegnare uno status diverso alle rispettive leggi, introducendo una differenza
radicale tra le leggi che governano i fenomeni fisici e le leggi che governano i
fenomeni astronomici che solo la rivoluzione scientifica di Newton e Galilei
contribuirà a mettere in discussione. Inoltre, alle leggi celesti e alle leggi del
mondo fisico, Aristotele affianca una terza tipologia di leggi, frutto di una
ulteriore differenziazione, che porta ad attribuire un carattere specifico alle leggi
che regolano i rapporti tra gli esseri umani, per le quali nessuno criterio di
certezza matematica è ammissibile (il cosiddetto ambito della filosofia «pratica»).
Newton contribuisce ad abbattere questa visione di un universo gerarchico.
Come osserva anche Cohen nel libro che stiamo discutendo, il mutamento
fondamentale avvenuto tramite la rivoluzione newtoniana e galileana consiste
nella «distruzione del cosmo aristotelico, il ripudio del concetto tradizionale della
natura gerarchica dello spazio, e l’introduzione delle nuove idee dello spazio
isotropo, della fisica inerziale e di un universo infinito, o almeno illimitato»
(Cohen, 1993, pp. 118-119). Al posto dell’universo gerarchico, con cielo e terra
posti su livelli ontologici diversi, trova quindi spazio l’idea di un universo
indifferenziato, un mondo cioè che ha perso ogni tipo di ordine valutativo. In esso
vale l’assioma dell’unicità della legge di natura, in quanto legge soggetta al
«principio della monotonia (unità) della natura e al principio del determinismo
naturale» (p. 424). Vedremo che questo aspetto avrà un’importanza decisiva per
l’introduzione del paradigma newtoniano nell’economia: un punto fondamentale
concerne infatti la possibilità di rompere, oltre la distinzione tra leggi celesti e
leggi terrene, anche la distinzione tra leggi naturali, ormai assunte ad universali, e
leggi riguardanti il mondo umano.
Per ritornare all’ontologia naturale di Newton, dobbiamo ancora dire che
perché si affermi il principio della monotonia e della unità sistematica della
scienza della natura è necessario concepire gli elementi che entrano nelle
implicazioni causali - cioè nelle «leggi di natura» - nelle loro qualità costanti ed
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omogenee: la conseguenza è che «tutte le quantità fenomeniche, sensibili, devono
per questo venir riportate a disposizioni costanti». Da qui proviene una delle
caratteristiche essenziali del modello di Newton, sul quale «si fonda la distinzione
(fondamentale per tutta la moderna Ontologia della natura) tra questioni primarie
e secondarie. Distinzioni che ha le note origini storiche (Democrito, Galilei,
Gassendi, Boyle), ma in Newton trova una precisa fondazione empiristica (ricerca
di elementi empiricamente costanti)» (p. 426).
La possibilità di stabilire una relazione diretta tra ontologia della natura e
linguaggio matematico è altresì, come noto, «uno dei caratteri teoricamente e
storicamente più notevoli dell’ontologia della natura». Nel momento stesso in cui
Newton decide di scegliere come linguaggio privilegiato quello della matematica,
egli «introduce eo ipso nella scienza della natura le strutture e i tipi d’ordine
matematico» (p. 427). Ma perché la struttura matematica possa sostituirsi
all’universo fisico, perché cioè «tutto il qualitativo offerto dall’esperienza possa
ridursi alle proprietà comuni e costanti della materia (estensione, durezza,
impenetrabilità, mobilità, inerzia) occorre dissecare naturam, ridurre i fenomeni
materiali e le «sostanze» che in essi intervengono alle loro parti e alle sostanze di
queste: e così nasce la concezione corpusculare o particellare o atomica» (p. 431).
E’ facile capire, in base a queste considerazioni, il motivo per cui, come spesso
si dice, la scienza classica «ha sostituito a un mondo di qualità un mondo di
quantità: come già Aristotele sapeva perfettamente, non vi sono infatti qualità nel
mondo dei numeri, né in quello delle figure geometriche. Le qualità non trovano
posto nel regno dell’ontologia matematica» (Koyré, 1965, p. 8).
Le relazioni d’ordine matematico che descrivono i fenomeni naturali trovano
infine nello spazio e nel tempo lo scenario rispetto ai quali essi vengono misurati:
«si può dire in un certo senso che i fenomeni e le cose naturali non sono spazio e
tempo, ma avvengono nello spazio e nel tempo. D’altra parte ogni cangiamento
interpretato matematicamente va riferito a tali parametri: è cangiamento nello
spazio e nel tempo, quindi moto, misurato da una distanza (o sistema di distanze)
in un tempo (o in tempi)» (Preti, 1957, p. 428). Lo spazio diventa pertanto un
concetto astratto e geometrico, in cui i «luoghi» sono tutti assolutamente identici
ed equivalenti. All’interno di questo spazio omogeneo ed indifferenziato, che non
distingue tra cielo e terra, «un unico ed identico apparato di leggi regola i
movimenti dell’universo infinito: sia quello di una mela che cade al suolo sia
quello dei pianeti che si muovono intorno al sole» (Koiré, 1965, p. 16).
3.
Lo schema concettuale della fisica di Newton applicato alla scienza
economica
L’economia, allo stesso modo della fisica, ha una propria «ontologia
regionale». E’ nostra impressione che proprio la categoria di «ontologia
economica» possa essere un valido strumento per indagare il grado di
penetrazione, all’interno dell’economia, del paradigma newtoniano. Può essere
infatti utile cercare di rispondere al quesito, suggerito da Preti, se «l’estensione
del metodo scientifico alle «scienze morali»» abbia percorso «le stesse linee»
della fisica newtoniana, fino «a costituire le rispettive regioni in maniera analoga
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Economia scienza newtoniana?
o identica alla regione «natura»» (Preti, 1957, p. 434). Potrebbe essere questa una
strada per capire se le metafore e le analogie tratte dal mondo fisico, alle quali
molti autori sono ricorsi, si inseriscono in un disegno complessivo volto alla
costituzione di una ontologia «economica» simile quella della «natura» proposta
da Newton.
Proveremo di seguito a fornire una descrizione molto schematica di una
possibile ontologia economica che presenta tratti significativi di contatto con
l’ontologia regionale della fisica newtoniana descrittaci da Preti. Cercheremo poi
di individuare, molto schematicamente, quali indirizzi di pensiero possiedono
degli schemi concettuali in sintonia con l’ontologia economica così descritta.
Quali sono gli elementi essenziali del discorso economico che possono aiutarci
nel definirne l’ontologia? Anche per l’economia il punto fondamentale riguarda il
problema della distinzione, variamente risolto dalle diverse scuole di pensiero, tra
qualità primarie e qualità secondarie. E’ infatti la progressiva espulsione dal
ragionamento economico di una serie di elementi definiti come qualità secondarie
che ha portato ad una drastica limitazione delle variabili oggetto di studio, alla
ricerca di elementi empiricamente costanti. Si può leggere in questo modo la
comparsa, all’interno del discorso economico, dell’ipotesi di un soggetto
economico individuale mosso esclusivamente dal proprio interesse personale,
sganciato da ogni determinazione storica e culturale. Questo ha reso possibile, da
un lato, l’introduzione di una concezione atomistica dell’universo umano;
dall’altro, l’attribuzione di una proprietà primaria e costante suscettibile di
misurazione quantitativa (escludendo quindi dall’universo del discorso tutte le
motivazioni umane non quantificabili).
Un secondo aspetto riguarda la concezione del contesto entro cui avvengono i
fenomeni economici, cioè le azioni economiche degli individui. Anche qui si può
assistere ad un progressivo venir meno delle determinanti storiche e istituzionali,
fino ad individuare nel mercato l’unico elemento determinante nelle relazioni e
nella scelta dei comportamenti dei soggetti. Il mercato si può per certi versi
assimilare alla concezione newtoniana dello spazio assoluto: come per Newton lo
spazio è lo scenario entro il quale avvengono i fenomeni naturali (senza che lo
spazio, ed il tempo, siano essi stessi fenomeni naturali), così il mercato assume la
veste di scenario sullo sfondo del quale avvengono e si misurano le relazioni
economiche. Gli unici aspetti significativi per l’economia sono gli scambi di
mercato, governati dalle decisioni individuali di raggiungere il massimo interesse
personale.
L’idea che il mercato sia l’unico regolatore delle relazioni economiche
introduce un radicale mutamento rispetto alle concezioni precedenti. Rispetto
all’universo gerarchico, l’idea di mercato si presenta come uno spazio
indifferenziato. Per esso vale, come per il mondo fisico, il principio dell’unicità
della legge di natura6; non vi sono pertanto eccezioni, ambiti cioè dove vigono
norme e leggi differenti. La conseguenza è che le proprietà dell’universo
economico vengono ad essere le stesse dell’universo fisico. Scompaiono così le
differenziazioni tra le leggi fisiche, universali ed assolutamente certe, e le leggi
6
Cfr. Bianchini, 1995.
Economia scienza newtoniana?
11
sociali, il cui essere soggette alla variabilità che caratterizza la condotta umana,
non è più visto come un motivo che rende impossibile l’universalità e la certezza.
Ricondotte le forze economiche unicamente a quelle che promanano dagli
individui, sia come produttori che come consumatori, coordinate da uno scenario
non istituzionale, il mercato, l’ontologia economica si può tradurre entro una
struttura matematica. Tutto il qualitativo offerto dall’esperienza comune viene
ridotto alle uniche proprietà costanti dell’individuo-atomo: a partire da esso si
misurano le forze che mettono in moto il sistema degli scambi. Innanzitutto
dall’insieme delle sue preferenze, da cui trarre, una volta data la distribuzione
iniziale delle risorse, le schede di domanda; quindi dalle sue decisioni di
produzione, vincolate dallo stato della tecnologia. L’equilibrio che scaturisce
dall’insieme delle relazioni economiche non è soggetto a mutamento fino a che
non cambiano le determinanti delle forze economiche: fino a quando cioè non
mutano le preferenze degli individui, o fino a quando non mutano le condizioni
della produzione. Rimanendo costanti tali forze, l’equilibrio economico non è
soggetto a variazioni.
Ci sembra che una rappresentazione siffatta dell’ontologia economica,
senz’altro eccessivamente stilizzata, presenti comunque in qualche modo singolari
analogie con la descrizione dell’ontologia naturale della fisica newtoniana
fornitaci da Preti. E questo ci permette in parte di rispondere al quesito sul grado
di effettiva penetrazione dello schema newtoniano all’interno della scienza
economica. Non vi sono dubbi che una rappresentazione come quella sopra
descritta si adatti abbastanza bene ai teorici dell’equilibrio economico generale,
da Walras fino a quelli più recenti; questi autori, quindi, avrebbero perseguito fino
in fondo il progetto di costituire l’ontologia economica in maniera analoga a
quella della regione natura. La stessa cosa non ci sembra si possa poter dire per
altre scuole di pensiero, rispetto a cui il paradigma newtoniano non appare così
determinante.
Il punto fondamentale va ricercato nel fatto che la fisica newtoniana - ma
anche quella di Galileo - poneva una frattura insanabile con la concezione antica,
in particolare aristotelica. Tutti i concetti subivano una trasformazione radicale,
producendo un diverso universo del discorso e una diversa rappresentazione del
mondo reale. La stessa cosa non si può dire per le scienze sociali in genere, e in
particolare anche per l’economia, per le quali l’universo aristotelico ha continuato
a rimanere un punto di riferimento privilegiato nell’organizzazione del discorso e
nella formazione delle categorie concettuali. Nessuna rivoluzione ha scalzato
definitivamente questa eredità, che al contrario, con poche eccezioni, ha inciso e
incide ancora profondamente nello schema di pensiero di diverse scuole
economiche.
Gli esempi sono naturalmente innumerevoli, ma possiamo qui limitarci ad
alcuni soltanto.
In primo luogo la scuola classica, di cui è noto il frequente richiamo al ruolo
svolto dal «newtonianesimo» nella sua formazione, diventato quasi un luogo
comune. Secondo un punto di vista largamente condiviso, il metodo che Newton
introduce con successo nello studio dei fenomeni naturali avrebbe avuto effetti
dirompenti nell’evoluzione dell’economia politica. «Non si sottolineerà mai
abbastanza - ha scritto recentemente S. Zamagni - l’influenza decisiva della
12
Economia scienza newtoniana?
meccanica newtoniana sull’elaborazione teorica dei classici e di Smith in
particolare» (Zamagni, 1988, p. 90). Verso la fine del XVIII secolo, l’idea «di
applicare ai fenomeni economici e sociali» il paradigma newtoniano
«dell’universo ordinato da leggi meccaniche» poteva ormai dirsi un dato acquisito
dalla cultura europea (Screpanti, Zamagni, 1989, p. 68). L’implicazione più
vistosa della scienza newtoniana sarebbe da leggersi così nel processo di
«ristrutturazione» nel campo delle scienze morali, il cui esito più vistoso sarebbe
stato il costituirsi di un nuovo campo disciplinare, l’economia politica appunto,
diventata finalmente una «scienza sperimentale» ed autonoma (Cremaschi, 1992,
pp. 41-42).
Come si vede, il costituirsi dell’economia politica come disciplina scientifica
non viene solitamente disgiunto da un quadro concettuale il cui punto di
riferimento privilegiato è costituito dalla scienza newtoniana. Sia che si sottolinei
il carattere meccanicistico, oppure semplicemente la tradizione metodologica,
Smith appare come fondatore di un’economia politica classica di stampo
newtoniano, ritenuta pertanto uno tra i più significativi casi storici di interazione
tra scienze sociali e scienze della natura.
In verità ci sembra che a partire dallo stesso Smith, citato il più delle volte
come principale esponente di una corrente newtoniana, una ontologia quale quella
sopra definita non sia mai riuscita ad affermarsi. Molte delle considerazioni di
Cohen e di Clark possono aiutarci ad esporre questo aspetto.
4.
Il tradimento del paradigma newtoniano: l’influsso della tradizione
aristotelica nell’economia politica
La teorizzazione dei prezzi naturali viene indicata molto spesso come una
prova inoppugnabile del ragionamento newtoniano seguito da Smith.
Fondamentale al riguardo è l’analogia con il concetto della gravitazione
universale. La celebre affermazione della gravitazione dei prezzi di mercato verso
i prezzi naturali7, è stata da sempre uno dei principali argomenti posti a sostegno
del carattere newtoniano dell’economia politica di Smith. Clark, ad esempio, nel
volume che stiamo qui discutendo, afferma esplicitamente che Smith adotta
nell’occasione il principio della gravitazione di Newton, con l’obiettivo di
costituire una fisica sociale (Clark, 1992, p. 69). Le osservazioni di Cohen,
invece, gettano dei dubbi su questa conclusione: «l’uso della nozione di
gravitazione da parte di Smith in relazione al prezzo naturale differisce dalla
gravitazione newtoniana o fisica sotto un aspetto importante». Nella fisica
newtoniana «non solo ‘tutti’ i corpi gravitano verso un qualche corpo centrale, ma
(...) ‘gravitano’ reciprocamente anche l’uno verso l’altro. Anche il corpo centrale,
quindi, deve ‘gravitare’ verso tutti gli altri corpi del sistema. Perché dunque
l’economia di Smith sia una replica completa ed accurata della teoria fisica della
gravitazione di Newton, tutti i prezzi devono ‘gravitare’ l’uno verso l’altro e il
7
«The natural price, therefore, is, as it were, the central price, to which the price of all
commodities are continually gravitang» (cit. in Clark, 1992, p. 75).
Economia scienza newtoniana?
13
‘prezzo naturale’ dovrebbe gravitare in modo analogo verso i ‘prezzi di tutti le
merci’» (Cohen, 1993, p. 99).
In verità appare lo stesso concetto di «prezzo naturale» a non avere alcun
equivalente nella fisica newtoniana. Esso sembra invece più vicino all’idea
aristotelica di «luogo naturale», inteso come luogo «verso cui dovrebbe dirigersi
un corpo in caduta» (p. 100). La nozione di «luogo naturale» comporta che,
«nell’Universo, le cose sono (o debbono essere) distribuite e disposte in un modo
ben determinato; che essere qui o là non sia loro indifferente, ma, al contrario,
ciascuna cosa possieda, nell’Universo, un luogo proprio conforme alla propria
natura. Un posto per ogni cosa, e ogni cosa al suo posto: la nozione di «luogo
naturale» traduce questa esigenza teorica della fisica «aristotelica»» (Koyré, 1966,
p. 13). Ora, la teoria smithiana dei prezzi naturali non comporta, come per i
teorici dell’equilibrio generale, l’indifferenza rispetto al prezzo che prevale nel
mercato: il prezzo naturale, nell’accezione smithiana, comporta anche un «dover
essere», non essendo limitato a rappresentare «ciò che sarebbe in assenza di
interferenze umane»8. Quando, infatti, si dirà che i prezzi di mercato hanno
raggiunto il loro «luogo naturale»? Quando essi saranno in grado di remunerare ai
loro valori naturali lavoratori, proprietari di capitale e proprietari terrieri, dove,
anche per le rimunerazioni di queste classi, esiste un «prezzo naturale», che
impone ai prezzi di mercato di approssimarsi ad esso.
L’analogia con la gravitazione universale di Newton non toglie dunque che
fondamentale rimanga in Smith l’idea di un luogo naturale - idea tipicamente
aristotelica - verso cui i prezzi dovrebbero gravitare. Un «luogo naturale» che
interessa allo stesso modo, ed anzi ne è il fondamento, le rimunerazioni delle
classi sociali. E qui troviamo un ulteriore elemento che pone in discussione la
struttura newtoniana del ragionamento di Smith, e degli economisti classici in
genere: cioè il permanere all’interno dello schema smithiano della fondamentale
concettualizzazione per classi sociali, presa come modello da tutti gli economisti
classici successivi. Si tratta di uno schema di pensiero tipicamente aristotelico che
è del tutto incompatibile con una rappresentazione più radicalmente
individualistica, e quindi atomistica, quale quella dei teorici dell’equilibrio
economico generale. Mentre per questi ultimi il soggetto economico è un puro
atomo portatore di forze che derivano dalle sue preferenze e dalle sue decisioni
come produttore, per Smith, e gli economisti classici in genere, gli individui, e i
loro comportamenti, si definiscono solo in quanto appartenenti ad una determinata
classe sociale. La classe quindi come categoria prioritaria rispetto ai soggetti
economici individuali.
Ma poi ancora, come questa volta ha messo in evidenza Clark, in Smith è
fondamentale l’approccio storico-istituzionale, che lascia poco spazio all’utilizzo
di una metodologia newtoniana.
Questo punto occupa un ruolo del tutto fondamentale nella ricostruzione di
Clark: ad esso sono dedicati i due capitoli centrali del libro, poiché da Smith
Clark muove nel delineare il processo che ha portato l’economia a costituirsi in
modo progressivo come scienza newtoniana. In verità, accanto allo Smith seguace
di Newton, Clark affianca un immagine diversa, con la prima in parte
8
Si veda, su questo aspetto, la discussione in Hutchison, 1966, pp. 14-17.
14
Economia scienza newtoniana?
incompatibile. Si tratta della concezione smithiana della «società come processo»,
dove la considerazione dei fattori storici-istituzionali assume un ruolo di assoluto
primo piano. E’ naturalmente questo lo Smith che Clark predilige, in quanto
questa impostazione teorica, se fosse prevalsa, avrebbe potuto portare ad una
teoria economica molto più realistica ed utile (Clark, 1992, p. 88). Tuttavia,
ritiene Clark, questa possibilità è stata soffocata dalla preponderanza
dell’elemento newtoniano, e in Smith e negli economisti che l’hanno seguito.
Ecco allora riproporsi un secondo Adam Smith problem: «Smith’s research
program was the search for natural laws, while his method of discovering these
laws included the use of history and istitutional observations» (p. 74).
L’interpretazione di Clark, dunque, nel momento in cui mette in luce i caratteri
istituzionali del pensiero smithiano, è costretto ad ammettere che essi non hanno
potuto realizzarsi pienamente: arrivando per questo a rafforzare la tradizionale
immagine dello Smith newtoniano.
E’ invece nostra impressione, a differenza di quanto sostiene Clark, che in
Smith, anziché esservi un duplice programma di ricerca - uno fondato sul metodo
newtoniano ed un altro istituzionale - vi sia in verità la piena consapevolezza
dell’impossibilità di trasformare l’economia politica in una scienza newtoniana a
tutti gli effetti. Solo alcuni tra gli economisti successivi hanno scelto di percorrere
fino in fondo questa strada.
A questo riguardo la tesi di Clark è che si possa individuare un percorso
lineare che, partendo da Smith, conduce al progressivo affermarsi del paradigma
newtoniano presso tutti gli economisti marginalisti. Il miraggio della fisica
newtoniana, non pienamente dispiegato nell’economia classica, avrebbe infatti
trovato, a parere di Clark, la sua massima realizzazione negli economisti
neoclassici. Le parole di Knight riportate da Clark sintetizzano efficacemente
questo aspetto: «the marginal ‘utility theory should be seen as the culmination
historically and logically ... of the eighteenth-century craving for a principle
which would do for human conduct and society what Newton’s mechanics had
done for the solar system’» (cit. in Clark, 1992, p. 133). Il giudizio di Kinght
trova però in Clark una parziale limitazione: il processo che ha portato alla «fisica
sociale» degli economisti marginalisti non è stato un esito del tutto necessario, in
quanto avrebbe potuto aversi una direzione diversa se solo fosse prevalso il
secondo approccio all’economia presente nei classici.
In Smith, e in parte anche in Mill infatti, come abbiamo ricordato sopra, il
tentativo di costituzione dell’economia come scienza naturale va in parallelo con
l’idea che lo studio dei fenomeni sociali non deve in qualche modo disgiungersi
dallo studio dei fattori storico-istituzionali. Questo approccio dualistico
all’economia politica caratterizza a parere di Clark la scuola classica. Nonostante
il primo aspetto abbia finito per essere il prevalente anche tra gli economisti
classici, la possibilità che l’economia si sviluppasse su basi storiche-istituzionali
era ancora presente. Gli economisti neoclassici avrebbero invece risolto in modo
unilaterale questo esile compromesso: il punto di vista classico dell’esistenza di
leggi naturali anche nei fenomeni economici sarebbe stata l’unico aspetto
ereditato dagli economisti marginalisti (p. 116). La strada che portava ad una
precisa limitazione dei confini della teoria economica, dalla quale escludere ogni
Economia scienza newtoniana?
15
riferimento a categorie storiche ed istituzionali, era ormai del tutto percorsa (p.
135).
Con la rivoluzione marginalista, dunque, l’aspirazione alla costituzione di una
economia politica di stampo newtoniano si sarebbe pienamente realizzata. Nella
prospettiva indicata da Clark, le differenze pur significative riscontrabili tra i
diversi autori neoclassici, perdono di significato. Menger, Walras e Jevons, i tre
promotori della «rivoluzione neoclassica», sarebbero stati portatori di un
medesimo punto di vista: «All three argued at length that the essence of economis
(scientific economics, theoretical economics or pure economics) was essentially
the same as the physical sciences, and that the laws of economics were analogous
ot those of the physical sciences» (p. 127). Clark ritiene perciò che la credenza dei
tre principali economisti neoclassici in una analogia tra le leggi del mondo fisico e
le leggi del mondo economico confermi la comune volontà di realizzare nella
scienza economica il paradigma newtoniano. Ci sembra invece che anche tra gli
economisti che hanno dato vita alla rivoluzione marginalista, l’accettazione di tale
paradigma non sia avvenuta per tutti nello stesso modo. Se per Walras, e anche
per Jevons, può valere l’affermazione di un loro newtonianesimo, non così si può
dire per Menger, e per i rappresentanti in genere della scuola austriaca.
Certamente essi sono propugnatori di un individualismo radicale, come quello dei
teorici dell’equilibrio economico generale. Ma il fatto che non abbiano mai
accettato pienamente l’ipotesi di trasformare la rappresentazione economica in
una struttura matematica dovrebbe mettere in sospetto circa la volontà degli
esponenti della scuola austriaca di volere costituire una ontologia economica
simile a quella naturale. Sono noti infatti i fondamenti aristotelici di molti di essi,
ad esempio Menger, e questo può spiegare la loro peculiarità all’interno della
scuola neoclassica9.
E’ insomma nostra convinzione che si sia alquanto esagerato l’influsso della
metodologia newtoniana nell’economia politica. Solo determinate scuole di
pensiero - in particolare i teorici dell’equilibrio economico generale - hanno
creduto fino in fondo nella possibilità di costruire una scienza economica analoga
alle scienze naturali. Su questo aspetto le nostre convinzioni coincidono con
quelle di Clark. La teoria dell’equilibrio economico generale, nella versione
assiomatica di Debreu, rappresenta infatti certamente l’esito finale della
concezione newtoniana dell’economia: «That modern general equilibrium is built
upon the assumption of a social physics is so obvious it hardly needs any
elaboration» (Clark, 1992, p. 167). La realizzazione attraverso le teoria
dell’equilibrio economico generale del sogno di costituire una ontologia
economica simile a quella naturale va vista però, a nostro parere, solo in parte
guardando alle metafore e alle analogie tratte dalla fisica newtoniana. Più efficace
ci sembra guardare allo schema concettuale attraverso cui viene definita
l’ontologia regionale della scienza economica. Questo può spiegare il contrasto,
ricordato da Cohen, tra Varian e Mirowski10 a proposito dell’analogia proposta da
9
10
Cfr. Smith, 1990.
Le ricerche di Mirowsky, come noto, hanno ampiamente documentato il deliberato
tentativo, operato dagli economisti neoclassici negli ultimi decenni del secolo scorso
di costituire una teoria economica sui presupposti e sui metodi delle scienze naturali
(Cfr. Mirowsky, 1989).
16
Economia scienza newtoniana?
Jevons tra energia e utilità: mentre per Mirowski l’«assenza di leggi di
conservazione in economia» contribuirebbe ad introdurre «un errore irreparabile
nelle fondazioni dell’economia neoclassica», per Varian la critica di Mirowski
servirebbe semplicemente a dimostrare «che l’utilità non è energia», senza per
questo poter dire dell’economia neoclassica che è incoerente11. Questo dimostra in
sostanza, a nostro parere, che non sono le singole metafore o analogie che hanno
contribuito alla formazione di uno schema concettuale di derivazione newtoniana,
quanto una più generale visione filosofica e metodologica. Visione che ha tratto
certamente da Newton uno degli stimoli più fecondi, ma che affonda le sue radici
nel più generale constesto rappresentato dalla rivoluzione scientifica, con Galileo
in testa. Così si spiega la presenza tra alcuni economisti italiani settecenteschi,
eredi della tradizione galileana, di schemi concettuali assai prossimi a quelli che
troveranno piena maturazione sul finire dell’Ottocento12.
Per concludere, si può dire che i volumi di Cohen e di Clark offrano senza
dubbio uno stimolo efficace per ripensare l’influsso esercitato da Newton, e da
Galileo, nell’elaborazione di una scienza economica fondata su una ontologia
quale quella delle scienze naturali. Essi ci informano che i tentativi di innestare i
principi della fisica newtoniana, in particolare, sono avvenuti in modi e con esiti
diversi. Non si è qui discusso l’interrogativo fondamentale, che sta molto a cuore
a Clark, se cioè questi tentativi abbiano portato l’economia a perdere ogni
capacità di comprensione della realtà13. Più semplicemente abbiamo cercato di
ricordare come per alcune scuole di pensiero, nonostante l’ampio ricorso a
metafore e analogie tratte dalla fisica newtoniana, il riferimento ad un universo
aristotelico non sia mai venuto meno, impedendo la formazione di una ontologia
economica quale quella della natura di tipo newtoniano.
11
12
13
Cohen, 1993, pp. 101-102. Si veda, su questo aspetto, de Marchi, 1993.
Cfr. Bianchini, 1995.
E’ opinione di Clark che la teoria economica nel tentativo di emulare le scienze forti
come la fisica abbia ormai perso ogni riferimento al mondo empirico, diventando
quindi del tutto vuota di contenuto. Si tratta di una pura struttura logica, dove i rapporti
con la realtà, di cui per forgiarsi del titolo di scienza dovrebbe essere una descrizione o
una spiegazione, sono andati completamente perduti (Clark, 1992, p. 168). E’ questo il
capitolo finale della storia partita dal tentativo di utilizzare l’approccio «scientifico»
all’economia, alla ricerca delle leggi naturali anche tra i fenomeni economici. Per
quanto riguarda Cohen, invece, non è chiaro se egli ritenga che il tentativo di emulare
la fisica di Newton sia stato percepito dagli stessi economisti come un strada
inpercorribile, e quindi abbandonato, o se invece, perseguito fino in fondo, abbia
condotto a risultati che lo stesso Cohen giudica insoddisfacenti.
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