25 BOVINI Large Animals Review, Anno 7, n. 1, Febbraio 2001 L’UROLITIASI NEL VITELLONE DA CARNE: MECCANISMI DI FORMAZIONE E METODICHE PREVENTIVE FRANCESCO CANZI Medico Veterinario – Nutrizionista – Via Bergamo 6 – 20066 Melzo (Mi) Riassunto L’urolitiasi del bovino da carne rappresenta la tipica patologia tecnologica ed alimentare che accompagna questo tipo di allevamento. Al di là di rari eventi secondari come la presenza di eventuali infezioni alle vie urinarie, carenze vitaminiche, scarsità di acqua, durezza eccessiva della stessa o ingestione di elevate quantità di ossalati e silicati, tale patologia trova la sua principale causa nelle moderne metodiche di alimentazione, metodiche che vedono l’utilizzo sempre crescente di elevati quantitativi di mangimi ricchi in cereali ed accompagnati da ridotti livelli di fibra (2-3 kg massimo di silomais e/o paglia + 8-10 kg di mangimi). Tutto questo conduce ad un elevato apporto alimentare di fosforo e magnesio, ad una riduzione della produzione salivare causata dalla scarsità di fibra introdotta con l’alimento e ad un conseguente abbassamento del pH ruminale. Quelle appena descritte sono situazioni in grado di causare la formazione di uroliti nella pelvi renale e soprattutto a livello vescicale. Nonostante le cause siano di principale derivazione alimentare, l’aiuto nella prevenzione di tale patologia (la cura è spesso tardiva e quasi mai efficace per salvare gli animali colpiti) ci viene offerto sempre dall’alimentazione, riequilibrando, in modo appropriato, il rapporto salino della razione (soprattutto tra calcio e fosforo), riducendo le fonti di magnesio, usando correttamente il bicarbonato di sodio ed utilizzando sostanze quali il cloruro di sodio ed il cloruro d’ammonio, in grado di agire direttamente sul processo di formazione del calcoli. Summary The beef cattle’s uroliths represents the typical technological and alimentary pathology of this type of breeding. Resides unusual secondary effects like the presence of possible infections of the urinary tract, vitaminic lack, water scarcity and excessive hardness of water, and ingestion of a great quantity of oxalate and silica, this pathology is principally caused by modern methods of feeding, methods that always use increasing quantities of fodder rich in cereals and characterised by reduced levels of roughage (2-3 kg maximum of silomais and/or straw + 8-10 kg of fodder). All this leads to a high feeding contribution phosphorus and magnesium, to a reduction of the saliva production caused by the scarcity of roughage introduced with food and to a consequent lowering of rumen pH. The above mentioned situation are likely to cause the formation of urolithiasis in the kidneys and above all in the bladder. Although the causes are mainly linked to feeding, the help in the prevention of this pathology (the cure is often tardy and not always good the save the affected animals) is always offered by the feeding diet, by balancing in an appropriate way, the salts relation of the ration (above all between calcium and phosphorus) by reducing the sources of magnesium, by using correctly the sodium bicarbonate and substances like the sodium chloride and the ammonium chloride, being able to intervene in the formation of calculus. INTRODUZIONE Tra le varie patologie che interessano tipicamente l’allevamento dei vitelloni all’ingrasso, una delle più subdole e drammatiche è rappresentata dall’urolitiasi. Solitamente colpisce pochi animali all’interno di uno stesso allevamento ma la sua comparsa improvvisa ed il de- corso molto spesso infausto, portano necessariamente il veterinario ad un intervento rapido e soprattutto preventivo. Solo in rari e tempestivi casi è infatti possibile, con il fine di alleviarne i sintomi, intervenire chirurgicamente sugli animali interessati utilizzando differenti procedure in grado di riattivare la canalizzazione uretrale e quindi la minzione. 26 L’urolitiasi nel vitellone da carne: meccanismi di formazione e metodiche preventive Per la maggior parte di questi è comunque consigliabile ricorrere alla macellazione d’urgenza, prima che le lesioni alle vie urinarie diventino gravi al punto di compromettere definitivamente la vita dell’animale e pregiudicare irrimediabilmente il destino alimentare delle sue carni. Ricordo, infatti, che la carcassa di animali macellati in seguito ad urolitiasi, con già in atto una rottura della vescica e con relativo spandimento delle urine nel peritoneo e nei tessuti circostanti, porterebbe alla completa distruzione della carcassa stessa per un evidente impossibilità d’utilizzo causato da una contaminazione batterica diffusa e da un inconfondibile odore di urina. La morte traumatica dell’animale e la completa distruzione della sua carne obbligano, quindi, il veterinario e l’allevatore ad impostare, nelle stalle a rischio, esclusivamente misure preventive atte a ridurre od azzerare tali eventi patologici, partendo però dalla piena comprensione di tutti quei fattori in grado di determinare la formazione degli uroliti. I calcoli più frequentemente riscontrabili nei vitelloni all’ingrasso sono quelli costituiti principalmente da fosfati di magnesio, calcio e ammonio, e che vengono comunemente classificati con il termine struvite (soprattutto da idrogeno fosfato di calcio biidrato e magnesio ammonio fosfato).1,2,3,4 Si possono inoltre ritrovare, anche se con una frequenza nettamente ridotta rispetto ai precedenti, degli uroliti composti da silicati, ossalati e carbonato di calcio.1,3 Questi uroliti vengono poi rinvenuti sia nel bacinetto renale che nella vescica urinaria, anche se quest’ultima localizzazione risulta essere statisticamente molto più frequente rispetto alla prima. Se, infatti, il rilevamento di uroliti nella pelvi renale può essere di circa l’1% degli animali sani macellati, la localizzazione vescicale negli stessi animali raggiunge l’11%.1 Tale patologia coinvolge “indistintamente” sia i maschi che le femmine allevati con procedure intensive, anche se una vera e propria sintomatologia è riscontrabile solo nei primi, in quanto, per l’insorgenza della forma clinica, risulta essere determinante la differente conformazione anatomica. Nella maggior parte dei casi, infatti, è la presenza di un urolita all’interno dell’uretra, localizzato principalmente a livello della flessura sigmoidea, a causare un restringimento od un’ostruzione totale dell’uretra stessa, provocando, in questo modo, un ristagno di urina all’interno della vescica. A causa della stasi urinaria fanno quindi la loro comparsa i primi sintomi, facilmente evidenziabili ad un esame obbiettivo dell’animale interessato. Si parte, infatti, da un’iniziale difficoltà od impossibilità della minzione, accompagnata da un evidente nervosismo, per arrivare poi a coliche e dolori addominali più o meno evidenti, anoressia, depressione del sensorio e distensione addominale. Con il passare delle ore ed in mancanza di un qualsiasi intervento (chirurgico o di macellazione) si assisterà inevitabilmente alla rottura della vescica o dell’uretra, con conseguente spandimento di urina nel peritoneo e nei tessuti circostanti. Durante quest’ultima fase si può tuttavia assistere ad un leggero miglioramento dello stato generale del soggetto dovuto esclusivamente alla scomparsa della forte tensione vescicale, con conseguente attenuazione temporanea di alcuni sintomi clinici. L’animale colpito giungerà, in seguito, alla morte per setticemia o per il livello estremamente elevato dell’uremia. In queste due ultime possibilità la sua carne non potrà essere destinata al consumo alimentare. CAUSE Pur non essendo una tipica patologia stagionale, non si può comunque negare che il freddo sia uno dei fattori predisponenti in grado di scatenarla ed è appunto nelle stagioni invernali che tale sindrome fa più facilmente la sua comparsa.2,4,5 Infatti, in seguito ad una bassa ingestione di liquidi conseguente alla riduzione del fabbisogno idrico, tipico dei mesi invernali, ed alla somministrazione di acqua molto fredda, si arriva, inevitabilmente, ad un ristagno urinario prolungato, con una maggiore possibilità di concentrazione e cristallizzazione dei sali eliminati con l’urina stessa. Al di là di eventi stagionali, l’urolitiasi del bovino da carne rappresenta comunque la tipica patologia tecnologica ed alimentare riscontrabile in allevamenti intensivi e riconosce la propria principale causa d’insorgenza negli squilibri salini di particolari piani nutrizionali, negli eccessi alimentari e nelle carenze vitaminiche. Partendo dal presupposto che la maggior parte degli uroliti nel bovino sono costituiti da struvite (fosfato di calcio, magnesio ed ammonio) si comprende facilmente come la causa principale di formazione di tale sostanza sia da ricercare nella presenza, all’interno della razione alimentare, di un apporto eccessivo di sali di magnesio e, soprattutto, da un alterato rapporto tra il calcio (Ca) ed il fosforo (P) della razione stessa. Situazioni ad alto rischio sono, infatti, costituite da un apporto salino che vede una sostanziale parità tra Ca e P (rapporto Ca:P = 1:1) o, nel peggiore dei casi, da un eccesso alimentare nettamente a favore di quest’ultimo (rapporto Ca:P = 1:2).1,2,3,4 Una simile condizione di rischio si può verificare occasionalmente quando vengono utilizzati, con il fine di apportare sali e vitamine, integratori nutrizionali con rapporti salini non corretti e che sono caratterizzati da titoli non elevati di calcio ma ricchi in fosforo e magnesio (molto più simili quindi ai sali impiegati per il supporto nutrizionale delle vacche da latte). In tutte quelle razioni particolarmente concentrate e nelle quali si ha un abbinamento tra la paglia (1 – 1,5 kg capo/giorno) e mangimi a base di soia e cereali (mais, orzo, crusca: 8–9 kg capo/giorno) si verifica, al contrario, una situazione nutrizionale costantemente a rischio per l’eventuale insorgenza di tale patologia e che rappresenta il vero problema da affrontare nel pianificare le misure preventive. Se nel primo caso l’errore è semplicemente nell’impostazione di base e comunque facilmente correggibile con l’utilizzo di appropriati integratori salini, nel secondo è intrinseco alla natura dell’alimento stesso, in quanto i cereali, così largamente impiegati in queste particolari razioni alimentari, sono notoriamente ricchi di fosforo e poveri in calcio, apportando così l’elemento fondamentale per la costituzione di uroliti. Il metabolismo del fosforo prevede poi, tra le altre cose, una massiccia eliminazione, attraverso le ghiandole salivari, del minerale in eccesso e non utilizzato per i normali processi biochimici. Anche in questo caso, razioni molto concentrate e povere in fibra (attestate mediamente su livelli di fibra grezza del 9-11% sulla sostanza secca), non stimolando la masticazione degli animali, rappresentano quindi la causa indiscussa di una produzione salivare ridotta. Come diretta conseguenza il fosforo seguirà quasi esclusivamente la via di escrezione renale3 provocando, così, un ulteriore aumento della concentrazione salina a livello urinario. Inoltre, razioni molto concentrate e ricche di amido, come le alimentazioni prese ora in esame (35-37% di amido sulla sostanza secca), sono spesso la causa di uno stato più o meno latente di acidosi che si protrae per tempi molto lunghi e nei confronti della quale gli animali sviluppano, comunque, processi difensivi a livello ruminale. Una simile condizione influisce però sul metabolismo animale provocando, per un periodo di tempo prolungato, una iperfosfaturia proporzionale al grado dell’acidosi stessa10. In definitiva, per le differenti motivazioni esposte in precedenza si può affermare che, all’aumentare della concentrazione della razione alimentare si verifica un proporzionale aumento del rischio di formazione di uroliti. È stato messo in evidenza, infatti, che se alla somministrazione di concentrato in ragione del 1% del peso vivo (p.v.) non corrisponde nessun sintomo a livello urinario, l’apparire di un sedimento si ha quando viene raggiunta la dose del 1,5%, mentre veri e propri calcoli compaiono dopo 2 mesi di alimentazione praticata con il concentrato somministrato al 2 – 2,5% del p.v.3 Ricordo, comunque, che con razioni elaborate utilizzando solamente mangime e paglia e/o fieno non è infrequente ritrovare casi in cui i tori vengano alimentati con circa 8-9 kg di concentrato al giorno per animali di 400-450 kg di peso medio. Come già accennato, oltre al fosforo, anche un eccesso alimentare di magnesio può portare ad un aumento proporzionale dello stesso a livello ematico e, come diretta conseguenza, a livello urinario4,6, aumentando ulteriormente la concentrazione salina, innalzando il rischio di cristallizzazione dei sali stessi ed apportando ulteriori costituenti indispensabili alla formazione dei calcoli.7 Considerando poi il fatto che i sali di struvite sono solubili ad un pH inferiore a 6,8, si può benissimo comprendere come ad un aumento del pH urinario (causato, ad esempio, da un uso indiscriminato di alte dosi di bicarbonato di sodio per un periodo prolungato di tempo) possa far seguito la comparsa di numerosi eventi clinici riconducibili a calcolosi delle vie urinarie. Altre cause, determinanti per l’insorgenza di tale patologia e, comunque, molto meno importanti delle precedenti, sono rappresentate dalla possibilità d’ingestione, da parte degli animali, di elevate quantità di ossalati e silicati, da infezioni urinarie, carenza di vitamina A od utilizzo di acqua corrispondente a determinate caratteristiche. Sembra infatti che la carenza di acqua di bevanda, descritta tra i fattori predisponenti8, sia una causa molto me- 27 no determinante, nella formazione degli uroliti, della somministrazione di adeguate quantità di acqua molto dura (ricca in calcio e magnesio)1,2,4 in grado, anch’essa, di apportare costituenti utili nel favorire la cristallizzazione dei sali. PREVENZIONE Lasceremo il compito di trattare la terapia dell’urolitiasi ai testi di chirurgia, considerando qui, al contrario, tutte quelle misure pratiche e, soprattutto, di natura preventiva, da attuare in quelle stalle che presentano gravi fattori di rischio riconducibili a tale patologia. Partendo dal presupposto che tra le maggiori cause predisponenti sopra elencate, le razioni alimentari a “secco” (paglia/fieno + mangime a base di cereali e soia) rappresentano, senza dubbio, il fattore scatenante e considerando il fatto che il cambio d’impostazione di tali piani alimentari non può essere praticato, garantendo questi ultimi un’elevata prestazione in termini di crescita animale, determinante risulta essere lo studio di un corretto apporto salino in grado di garantire una drastica riduzione (od eliminazione completa) di tutte le fonti alimentari di magnesio e capace di correggere il rapporto tra il calcio ed il fosforo dell’alimento stesso. Prove sperimentali hanno infatti evidenziato come l’urolitiasi sia estremamente rara quando la razione alimentare contiene livelli di magnesio inferiori a 0,23% sulla sostanza secca (s.s.) ed il fosforo non supera, sempre sulla s.s., lo 0,46%.4,6 Inoltre, come già detto, è di fondamentale importanza tenere sotto stretto controllo il rapporto tra calcio e fosforo, rapporto che per una corretta impostazione preventiva deve essere almeno di 2:1 a vantaggio del calcio, mentre sono da considerarsi ad alto rischio diete contenenti rapporti salini prossimi alla parità.2,4 Per raggiungere tutto questo, in razioni molto ricche di cereali (alto livello di fosforo per natura), è indispensabile ridurre al minimo, eventualmente azzerandolo, l’apporto di fosfati sotto forma d’integratori alimentari ed arricchendo ulteriormente la razione con carbonato di calcio. Quest’ultimo infatti è in grado di ridurre, se utilizzato ad alte dosi, l’assorbimento intestinale del fosforo e, di conseguenza, abbassare la concentrazione urinaria dello stesso. L’impiego poi di alti quantitativi di bicarbonato di sodio, con la funzione di tampone ruminale, deve essere fatto solo per periodi limitati di tempo, agendo quest’ultimo, dopo essere stato assorbito a livello intestinale ed escreto per via renale, direttamente su pH urinario e favorendo il superamento verso l’alto della soglia di pH 6,8, livello al di sopra del quale è favorita la cristallizzazione dei sali. Inoltre la stasi urinaria, causata da una scarsa assunzione di acqua di bevanda o da una parziale ostruzione uretrale, può favorire una scomposizione in ammoniaca dell’urea presente nell’urina, con conseguente ulteriore innalzamento del pH stesso. Infine, allo scopo di attuare una completa e corretta profilassi, oltre ad un’ottimale integrazione di vitamina A con funzioni di epitelioprotettrice (in grado di proteggere le pareti vescicali contro eventuali infezioni e sfaldamenti BOVINI Large Animals Review, Anno 7, n. 1, Febbraio 2001 28 L’urolitiasi nel vitellone da carne: meccanismi di formazione e metodiche preventive cellulari), possono essere utilizzate, sempre nel mangime, alcune sostanze di facile reperibilità e perfettamente in grado di prevenire tale forma patologica. Una di queste è rappresentata dal semplice cloruro di sodio. Infatti l’utilizzo di alti dosaggi di questo sale (1 – 1,5% nel mangime), più volte consigliato in bibliografia,3,4,9 viene effettuato con l’intento di stimolare una maggiore assunzione di acqua da parte dell’animale, dando quindi luogo ad una notevole produzione di urina e riducendo così la concentrazione ed il tempo di permanenza dell’urina stessa a livello vescicale. Questo porterà, inevitabilmente, a realizzare una condizione sfavorevole ad una massiccia precipitazione salina a livello renale e soprattutto vescicale. Se tale procedura risulta essere intuitiva da un punto di vista scientifico, sotto un aspetto pratico manifesta però moltissimi limiti, perlomeno se applicata su larga scala ed in allevamenti intensivi. Così facendo riusciremmo, infatti, a risolvere il problema urolitiasi ma causeremmo, di conseguenza, un netto peggioramento ambientale dovuto alla lettiera divenuta estremamente umida e difficile da gestire in seguito alla notevole eliminazione di acqua da parte degli animali presenti nell’allevamento. Una soluzione molto più pratica ed attuabile della precedente ci è fornita, però, dalla possibilità di addizionare, al mangime, del cloruro d’ammonio, utilizzabile sempre per fini preventivi. Tale sostanza viene infatti impiegata con l’importante compito di favorire un’acidificazione urinaria (raggiungendo così valori inferiori a pH 6,8), impedendo, in questo modo, la cristallizzazione salina e favorendo, tra le altre cose, la solubilizzazione di eventuali piccoli calcoli in via di formazione. I dosaggi normalmente impiegati sono di 60-80 grammi circa per animali di 250 – 350 kg o, in alternativa, di 0,5 – 1% nel mangime, il tutto somministrato per un periodo di almeno 10 – 15 giorni.2,3 È comunque consigliabile, in presenza di allevamenti a rischio, ripetere il trattamento 3 – 4 volte nel corso dell’anno. Da ultimo, suggerirei di controllare l’eventuale presenza di infezioni alle vie urinarie, infezioni capaci di scatenare anch’esse l’insorgenza di tale patologia. CONCLUSIONE Nonostante l’urolitiasi rappresenti un evento patologico di notevole gravità e ad insorgenza improvvisa (traumatica sia per l’animale che per l’allevatore), difficile da prevede- re ed ancor più da curare, numerosi sono però i fattori ambientali (acqua, clima, …) ed alimentari (rapporto calcio e fosforo, apporto di magnesio, silicati, ossalati, …) capaci di darci indicazioni precise sullo stato sanitario e di rischio in cui si trova l’allevamento. Lasciando, quindi, da una parte tutte quelle false credenze, tradizioni e confusioni sulle possibili cause, non ci resta che ricercare, anche mediante semplici procedure analitiche degli alimenti utilizzati (ricerca della presenza e concentrazione di tutti quei sali implicati nell’insorgenza di tale patologia, così come risulta determinante la titolazione della fibra grezza e dell’amido presenti nella razione alimentare), tutte quelle indicazioni nutrizionali e sanitarie capaci di evidenziare eventuali situazioni pericolose in grado di causare notevoli perdite economiche. Parole chiave Uroliti, bovino da carne, fosforo, magnesio, struvite, cloruro d’ammonio. Key words Uroliths, beef cattle, phosphorus, magnesium, struvite, ammonium chloride. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Rosmini, R. Marocchio, L. Morselli “L’urolitiasi e la nefrocalcinosi nei vitelloni” PRAXIS – 2/1987, 25-28. 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