Guerre romano-puniche Le guerre romano

Guerre romano-puniche
Le guerre romano-puniche, erroneamente sintetizzate in guerre puniche, furono
una serie di tre guerre combattute fra Roma e Cartagine tra il III e II secolo a.C.,
che si risolsero con la totale supremazia di Roma sul Mar Mediterraneo;
supremazia diretta nella parte occidentale e controllo per mezzo di regni a
sovranità limitata nell'Egeo e nel Mar Nero. Sono conosciute come puniche in
quanto i romani chiamavano punici i Cartaginesi. A sua volta il termine punico è
una corruzione di fenicio, come Cartagine è una corruzione del fenicio Karth
Hadash (città nuova).
Contesto storico
Le due città, quasi "coetanee" (814 a.C. Cartagine), (753 a.C. Roma), per lunghi
secoli tennero un atteggiamento di reciproco rispetto anche se dai trattati, stipulati
nel corso del tempo, traspare una certa tendenza di Cartagine a sentirsi
"superiore". Polibio ci informa di quattro trattati fra Roma e Cartagine: 509 a.C., 348
a.C., 306 a.C., 279 a.C. L'ultimo ebbe la forma di un'alleanza (anche se non stretta)
contro Pirro, re dell'Epiro, chiamato in Italia da Taranto contro i romani e poi in
Sicilia da Siracusa contro i cartaginesi.
La sconfitta di Pirro a Maleventum sancì il definitivo ingresso di Roma - che arrivò
così a controllare saldamente l'Italia centro-meridionale - nel novero delle grandi
potenze del Mediterraneo.
Proprio la precedente sconfitta di Pirro in Sicilia per opera dei romani segnò la
divisione dell'isola in due settori: a ovest i punici, a est Siracusa. Quest'ultima città,
per poter estendere il suo potere dovette rivolgersi contro i Mamertini di Messina
che inviarono ambasciatori per chiedere aiuto a entrambe le città. L'antica comunità
di intenti, basata sulla simmetria degli interessi (terrestri per Roma, navali per
Cartagine) cessò all'improvviso. Per 118 anni la guerra imperversò, gradualmente
estendendosi a tutto il Mediterraneo, fino alla totale distruzione di uno dei
contendenti: Cartagine.
Prima guerra romano-punica
La Prima guerra romano-punica (264 a.C. - 241 a.C.) fu principalmente una guerra
navale. Le richieste di soccorso dei Mamertini contro Siracusa raggiunsero Roma e
Cartagine. Roma, impegnata nella pacificazione del territorio (sannita) e nell'inizio
di espansione nella Pianura Padana era riluttante a impegnarsi in Sicilia. Cartagine
inviò subito una squadra navale. La conquista di Messina gettava segnali favorevoli
nella secolare lotta con Siracusa; Cartagine poneva finalmente piede anche nel
settore orientale dell'isola. Probabilmente vedere Cartagine a poche miglia dalle
coste del Bruttium appena conquistato dovette creare qualche apprensione nel
Senato romano che acconsentì a inviare soccorsi a Messina. Questo andava
contro il trattato del (300 a.C.) che vietava gli interventi di Roma in Sicilia. Cartagine
dichiarò guerra. Visto il pericolo, si alleò con la sua nemica storica, Siracusa, contro
Roma ed i Mamertini.
La maggior parte della Prima guerra romano-punica, comprese le battaglie più
decisive, fu combattuta in mare, uno spazio ben noto alle flotte cartaginesi. Però
entrambi i contendenti dovettero investire pesantemente nell'allestimento delle
flotte e questo diede fondo alle finanze pubbliche di Cartagine. All'inizio della
guerra Roma non aveva nessuna esperienza di guerra navale. Le sue legioni erano
vittoriose da secoli nelle terre italiche ma non esisteva una Marina. La prima grande
flotta fu costruita dopo la battaglia di Agrigentum del (261 a.C.) Ma Roma mancava
della tecnologia navale e quindi dovette costruire una flotta basandosi sulle triremi
e quinqueremi (navi che avevano ordini di due o tre remi e ciascun remo era
manovrato da più rematori) cartaginesi catturate. Per compensare la mancanza di
esperienza in battaglie con le navi, Roma equipaggiò le sue con uno speciale
congegno d'abbordaggio: il corvo che agganciava la nave nemica e permetteva alla
fanteria, trasportata, di combattere come sapeva fare. In almeno tre occasioni (255
a.C., 253 a.C. e 249 a.C.) intere flotte furono distrutte dal maltempo. Non è certo
che il peso dei corvi sulle prore delle navi sia stato il maggior responsabile dei
disastri.
Tre battaglie terrestri di larga scala furono combattute durante questa guerra. Nel
262 a.C. Roma assediò Agrigento in un'operazione che coinvolse entrambi gli
eserciti consolari (quattro legioni). Giunsero rinforzi cartaginesi guidati da Annone.
Dopo alcune schermaglie si venne a una vera battaglia che fu vinta dai romani.
Agrigento cadde. La seconda operazione terrestre fu quella di Marco Attilio Regolo,
quando, fra il (256 a.C.) e il (255 a.C.) Roma portò la guerra in Africa. Cartagine
venne sconfitta nella Battaglia di Capo Ecnomo da una grande flotta romana
appositamente approntata e le legioni di Attilio Regolo sbarcarono in Africa.
All'inizio Regolo vinse la battaglia di Adys. Cartagine chiese la pace. I negoziati
fallirono e Cartagine, assunto il mercenario spartano Santippo, riuscì a fermare
l'avanzate romana nella battaglia di Tunisi. La guerra fu decisa nella battaglia delle
Isole Egadi (10 marzo 241 a.C.) vinta dalla flotta romana sotto la guida del console
Caio Lutazio Catulo. Parte del relitto di una nave affondata in questa guerra è
conservata nel Museo Archeologico "Baglio Anselmi" di Marsala.
Rivolta dei mercenari (dal 241 al 218 a.C.)
Nell'intervallo di tempo fra la prima e la seconda guerra romano-punica, Cartagine
dovette subire e reprimere una rivolta delle truppe mercenarie che aveva
impiegato. La rivolta era dovuta all'impossibilità dei punici di pagare le truppe
stesse alla fine del conflitto. Dopo tre anni di battaglie i mercenari furono sgominati
e Cartagine poté riprendere il suo percorso per riconquistare il vigore economico
precedente. Dopo acerrime lotte politiche fra le due principali fazioni cittadine,
Amilcare Barca, padre di Annibale e capostipite dei cosiddetti Barcidi partì per la
Spagna con un piccolo esercito di mercenari e cittadini punici. I Fenici infatti, dopo
aver perso le isole, cercavano una riscossa nel Mediterraneo, ed una fonte di
ricchezza per pagare le forti indennità di guerra dovute a Roma. Non essendo
aiutato dalla città, Amilcare dovette marciare per tutta la costa del Nordafrica e
buona parte della costa spagnola. Sottomise molte popolazioni iberiche e alla sua
morte fu sostituito dal genero Asdrubale che consolidò le conquiste fatte, fondò la
città di Chartago Nova (oggi Cartagena) e stipulò un trattato con Roma. Il trattato
poneva i limiti di espansione punica in Iberia a sud del fiume Ebro. Quando anche
Asdrubale fu ucciso l'esercito scelse come capo Annibale, ancora ventisettenne.
Cartagine accettò la designazione. Dopo due anni Annibale decise di portare la
guerra in Italia, scatenando la seconda guerra romano-punica.
Seconda guerra romano-punica
La Seconda guerra romano-punica (218 a.C.- 202 a.C.) consistette essenzialmente
in una serie di battaglie terrestri. Spiccano le figure di Annibale e Publio Cornelio
Scipione detto successivamente per le vittorie avute in Africa "l'Africano". Il casus
belli scelto da Annibale fu la sfortunata Sagunto. Alleata di Roma ma posta a sud
dell'Ebro, cioè entro i "confini" punici, la città fu assalita, assediata e distrutta (La
città di Sagunto aveva chiesto l'intervento di Roma ma il Senato era diviso
sull'intervento tanto che è rimasta celebre la frase "Mentre a Roma discutono
Sagunto cade" dal latino "dum romae consulitur, saguntum expugnatur"). Roma
chiese a Cartagine di sconfessare Annibale. Cartagine rifiutò e accettò la
dichiarazione di guerra. Annibale partì dalla Spagna con un esercito di circa 50.000
uomini, 6.000 cavalieri e 37 elefanti. Attraversate le Alpi, presumibilmente al
passo del Moncenisio o del Monginevro, Annibale giunse nella Pianura padana con
più o meno metà delle forze. Nell'ottica di portare dalla sua parte le tribù galliche in
lotta con Roma, combatté e sconfisse i Taurini, avversari degli Insubri che gli si
allearono assieme ai Boi. Con magistrale uso della cavalleria sconfisse le forze
romane in due importanti battaglie sul Ticino e sulla Trebbia. L'anno successivo
attraversò l'Appennino e batté seccamente le legioni di Roma nella battaglia del
Lago Trasimeno. Sapendo di non poter assediare Roma prima di aver raccolto
attorno a sé le popolazioni dell'Italia centrale e meridionale si diresse verso la
Puglia dove, a Canne, inferse una tremenda sconfitta all'esercito romano. Ancora
una volta non osò attaccare Roma che già si aspettava l'assedio e si limitò a
operare nelle regioni del sud Italia. Roma, lentamente si riprese e adottando
nuovamente la tattica del dittatore Quinto Fabio Massimo, che poi prenderà il
soprannome di "cunctator" (temporeggiatore) per anni e con alterne fortune,
combatté il generale cartaginese restringendo sempre di più il territorio della sua
azione riconquistando man mano le città che Annibale conquistava, non appena le
condizioni militari o sociali lo consentivano. Così Capua, Taranto, per citare le più
importanti, passarono di mano da Roma ad Annibale e di nuovo a Roma.
Nel frattempo Roma portava la guerra in Spagna, prima con i fratelli Publio (padre
dell'Africano) e Cneo Cornelio Scipione, e poi dopo la loro morte con Publio
Cornelio Scipione (futuro Africano) che attaccarono Asdrubale e Magone (fratelli di
Annibale). La Spagna fu conquistata e Asdrubale venne in Italia cercando di
portare rinforzi al fratello. Al fiume Metauro fu sconfitto e ucciso. Magone provò a
muovere le tribù galliche della Pianura Padana ma fu sconfitto e ferito. Richiamato
in patria, morì per le ferite durante la traversata. In maniera non determinante fu
coinvolto anche il re Filippo V di Macedonia che si alleò con Annibale e provò a
combattere i romani i quali si stavano espandendo nell'Illiria e quindi si
avvicinavano ai suoi territori. Roma mosse la sua diplomazia e le sue legioni
riuscendo a fermare i Macedoni senza grandi sforzi e aiutata dal re di Pergamo.
Altre figure importanti della seconda guerra romano-punica sono i re numidi
Massinissa e Siface. Massinissa entrò in guerra come alleato di Annibale e la
terminò come alleato di Scipione. Specularmente, Siface era alleato di Roma e finì
la guerra come alleato di Cartagine.
Senza rifornimenti e rinforzi da Cartagine e senza riuscire a far sollevare le
popolazioni del centro Italia contro Roma, Annibale si ritrovò praticamente
assediato sui monti della Calabria dove, in seguito, gli giunse l'ordine di Cartagine
di tornare in Africa per portare aiuto contro Publio Cornelio Scipione (Africano).
Contrastando il volere del Senato, guidato da Quinto Fabio Massimo che riteneva
prioritario estromettere Annibale dalla Penisola, Scipione, in qualità di proconsole
della Sicilia e aiutato dalle città italiche, partì per l'Africa attaccando direttamente
Cartagine. La città punica si vide costretta a richiamare Annibale che rientrò in
patria dopo 34 anni di assenza. Nel 202 a.C. a Naraggara, nei pressi di Zama,
Scipione volse contro Annibale la sua stessa strategia e lo sconfisse, determinando
la fine della Seconda guerra romano-punica.
Dal 202 al 149 a.C.
Dopo l'avventura di Annibale, Cartagine aveva dovuto cedere anche le redditizie
conquiste in Spagna, stava inoltre pagando puntualmente le nuove indennità per la
seconda sconfitta (200 talenti d'argento annui per 50 anni). Addirittura prestò aiuto
militare alle forze di Roma nelle guerre contro Antioco III, Filippo V e Perseo. La
relativa decadenza dello stato era mitigata da un riprendersi del commercio e un
nuovo impulso dato all'agricoltura e in particolare alle coltivazioni di ulivo e vite.
Roma, però, non poteva dimenticare il pesante carico di costi economici, umani e
psicologici causati dalla precedente guerra. Lo sforzo bellico fu grandioso in termini
di risorse umane. Si può calcolare che con le forze degli alleati, Roma dovesse
mantenere oltre 200.000 uomini a combattere cui bisogna aggiungere le forze
navali. Ogni combattente era sottratto alle campagne e all'agricoltura. Si può quindi
comprendere perché Roma fosse ben attenta a far sì che Cartagine non rialzasse
la testa. E a far ricordare i romani pensava Catone il Censore. Nondimeno, la
situazione poteva mantenersi in uno stato di precario equilibrio se non fosse
intervenuto Massinissa.
Questi approfittò degli accordi di pace del 201 a.C. che vietavano a Cartagine
persino l'autodifesa senza il consenso di Roma, per sottrarre territori di confine
anche con la forza. Nel 193 a.C. Massinissa occupò Emporia e il Senato romano
inviò a Cartagine una delegazione; nel 174 a.C. occupò Tisca e Roma inviò Catone
alla guida di un'altra commissione; ancora, il re numida occupò Oroscopa. Nel 150
a.C. l'esasperata Cartagine, rompendo i patti, apprestò un esercito di 50.000 uomini
cercando di riconquistare Oroscopa ma fu sconfitta. Il rischio per Roma era che
Cartagine, troppo indebolita, cadesse preda della Numidia. Si sarebbe formato uno
stato ricco, esteso dall'Atlantico all'Egitto e militarmente forte. La rottura dei patti
fornì Roma di un pretesto perfetto per poter intervenire e dichiarò guerra all'eterna
rivale.
Era il 149 a.C. e iniziava la Terza guerra romano-punica.
Terza guerra romano-punica (149 a.C. - 146 a.C.)
Non appena si seppe che i romani erano partiti con un esercito di 80.000 uomini e
4.000 cavalieri. Cartagine capitolò, inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti
della nobiltà punica. L'esercito romano sbarcò vicino a Utica, che si arrese.
I consoli ricevettero gli ambasciatori di Cartagine che dovettero accettare le
condizioni poste: Cartagine consegnò armature, catapulte e altro materiale bellico.
Resi inermi i cartaginesi, Censorino disse che la città doveva essere distrutta e
ricostruita 15 km all'interno. Il popolo cartaginese si ribellò; furono uccisi tutti gli
italici presenti in città, furono liberati gli schiavi per avere aiuto nella difesa, furono
richiamati Asdrubale e altri esuli, fu chiesta una moratoria di 30 giorni per inviare
una delegazione a Roma. In questi 30 giorni, si ebbe una frenetica corsa al riarmo.
I cartaginesi riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e
1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per
fabbricare corde per gli archi. Quando i romani arrivarono alle mura di Cartagine
trovarono un intero popolo stretto a difesa della sua città. Fu posto l'assedio.
Cartagine era estremamente ben difesa. La sosta aveva dato ad Asdrubale, posto
a capo dell'esercito, la possibilità di raccogliere circa 50.000 uomini ben armati e
l'assedio si protrasse. Nel 148 a.C. i nuovi consoli furono inviati in Africa ma si
rivelarono ancora più incapaci dei predecessori. Gli insuccessi romani resero
audaci i cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di stato e ordinò di
esporre sulle mura i prigionieri orrendamente mutilati. I romani, inaspriti, non
avrebbero concesso mercé.
Nel 147 a.C. Publio Cornelio Scipione Emiliano venne nominato console, avendo
come collega Caio Livio Druso. Asdrubale, che difendeva il porto con 7.000 uomini,
fu attaccato di notte e costretto a riparare a Birsa. Scipione bloccò il porto da cui
arrivavano i rifornimenti per gli assediati; questi scavarono un tunnel-canale e
riuscirono a costruire cinquanta navi, ma Scipione distrusse la flotta e il tunnelcanale fu chiuso. Nel frattempo Nefari fu attaccata da truppe romane e cadde;
questo portò la resa delle altre città. I romani si poterono concentrare su Cartagine.
L'agonia della città si protrasse per tutto l'inverno, senza viveri e attaccata da una
pestilenza. Scipione non forzò l'attacco, che venne lanciato solo nel 146 a.C. Per
quindici giorni i sopravvissuti impegnarono i romani in una disperata battaglia per le
strade della città, ma l'esito era scontato. Gli ultimi soldati si rinchiusero nel tempio
di Eshmun altri otto giorni. Scipione abbandonò la città al saccheggio dei suoi
soldati; Cartagine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto e fu
anche gettato del sale sulla terra per evitare la coltivazione dei campi e renderli
ancora più aridi.
Si disse che Scipione pianse nel vedere la città bruciare, perché gli sembrava di
aver intravisto Roma in mezzo alle fiamme.