geni e proteine - appunti scuola superiore

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GENI E PROTEINE
Come sono codificate le istruzioni nelle molecole di DNA?
Nel 1908 Sir Archibald Garrod, un medico inglese, asserì che certe malattie potevano
essere di natura ereditaria, e forse dovute a carenze enzimatiche. La sua idea –che col
tempo si dimostrò corretta- era dunque che i geni potessero influenzare in qualche modo
la produzione degli enzimi.
Negli anni ’40 i biologi cominciarono a capire che tutte le attività della cellula dipendono
da enzimi specifici e che la loro specificità dipende dalla sequenza degli amminoacidi che
li compongono.
In quello stesso periodo il genetista George Beadle stava lavorando sui mutamenti per il
colore degli occhi della drosophila (il moscerino della frutta).
Grazie a questi studi egli ipotizzò che il diverso colore di occhi fosse dovuto alla
variazione un unico enzima.
Successivamente Beadle cominciò a lavorare con il biochimico Tatum sulla “neurospora”,
la muffa rossa del pane, ed insieme dimostrarono che ad una certa mutazione genetica
corrispondeva la perdita di funzionalità di un enzima e che un particolare gene è
responsabile di un determinato enzima. Dunque ad un gene doveva corrispondere un
enzima, o meglio ad un gene una proteina. Ma quale fosse precisamente questo legame e
in che modo un gene che ha subìto una mutazione potesse alterare la funzione di un
enzima o di una proteina questo non era ancora chiaro.
In seguito, Linus Pauling studiò –in relazione agli studi di Beadle e Tatum- l’anemia
falciforme (una malattia che tutti sapevano ereditaria), pensando che essa potesse essere
ricondotta ad una variazione della struttura dell’emoglobina.
Egli prelevò perciò:
1) CAMPIONI DI EMOGLOBINA DA INDIVIDUI AFFETTI (OMOZIGOTI RECESSIVI);
2) CAMPIONI DI EMOGLOBINA DA INDIVIDUI ETEROZIGOTI;
3) CAMPIONI DI EMOGLOBINA DA INDIVIDUI OMOZIGOTI NORMALI.
Dopodiché, si servì di una tecnica detta ELETTROFORESI per dimostrare una persona
affetta da anemia falciforme sintetizza un tipo di emoglobina differente rispetto a quella
di una persona sana. Una persona omozigote produce invece entrambi i tipi di
emoglobina, ma le molecole normali sono presenti in quantità sufficiente da evitare la
malattia.
In seguito si dimostrò che tra l’emoglobina normale e quella “falciforme” c’è una
differenza di 2 amminoacidi su 600.
Grazie a questi studi non ci furono più dubbi sul fatto che il DNA fosse il codice
contenente le istruzioni della struttura e della funzione biologica e che queste istruzioni
sono eseguite dalle proteine.
DAL DNA ALLA PROTEINA
Il DNA è il codice contenente le istruzioni della struttura e della funzione biologica di
ciascun organismo e queste istruzioni sono eseguite dalle proteine.
In altre parole la successione delle basi azotate del DNA determina la sequenza
amminoacidica di una proteina. Questo processo è possibile tramite l’RNA (acido
ribonucleico).
La cosa fu presto chiara già a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Infatti l’RNA
si trova nel citosol delle cellule, ed è qui che avviene la maggior parte della sintesi
proteica.
Inoltre quando una cellula batterica è infettata da un batteriofago che contiene DNA, da
esso si comincia subito a produrre RNA prima che avvenga la sintesi proteica.
Il processo di formazione delle proteine richiede in realtà 3 tipi di RNA.
Cominciamo dall’RNA MESSAGGERO (mRNA).
Detto molto semplicemente, le molecole di RNA messaggero non sono che una
trascrizione di sequenze nucleotidiche codificate nel DNA.
E’ una sorta di “copia di lavoro” dell’informazione genetica, necessaria perché essa sia
portata dal nucleo della cellula (dove c’è il DNA) al citosol, dove avviene la sintesi delle
proteine.
Sul DNA ci sono particolari sequenzE nucleotidiche dette PROMOTORI che segnalano da
dove bisogna partire per sintetizzare RNA. Poi ci sono le SEQUENZA DI TERMINAZIONE,
che sono il segnale d’arresto.
Quando l’informazione è stata completamente trascritta sull’RNA, esso è necessario per
dettare la sequenza di amminoacidi delle proteine.
Quando l’RNA ha terminato il suo compito, esso si scompone.
Quindi i NUCLEOTIDI sono il CODICE GENETICO AMMINOACIDI.
Ma come è possibile se i nucleotidi del DNA e dell’RNA sono di quattro tipi, mentre le
proteine contengono 20 tipi di amminoacidi differenti?
Il fatto è che –come invece sarebbe istintivo pensare- non è che ad ogni nucleotide
corrisponda un amminoacido.
Se infatti un nucleotide codificasse un amminoacido, sarebbero possibili solo 4
amminoacidi. Allo stesso modo, se 2 nucleotidi codificassero un amminoacido, ce ne
sarebbero invece solo 16.
La verità è dunque che un amminoacido viene codificato da 3 nucleotidi (1 tripletta) in
sequenza, detta CODONE.
Ormai conosciamo bene anche a quale amminoacido corrisponde ciascun codone.
Molti amminoacidi corrispondono a più di un codone, e delle 64 combinazioni possibili
61 determinano amminoacidi e 3 sono segnali di arresto.
Ma come può l’informazione dell’mRNA produrre gli amminoacidi di una catena
polipeptidica?
Una volta che tutto è stato trascritto sull’mRNA, ne servono altri due: l’RNA
RIBOSOMIALE e di TRASPORTO, che differiscono dall’mRNA sia per struttura che per
funzione.
L’RNA ribosomiale (rRNA) è contenuto nei ribosomi, che sono i siti della sintesi proteica.
Il ribosoma è formato da due sub-unità: una più grande a cui si lega l’RNA di trasporto
(in due punti specifici detti P ed A), ed una più piccola a cui si lega l’RNA messaggero.
L’RNA di trasporto è come un dizionario bilingue, attraverso il quale dai nucleotidi si
passa agli amminoacidi e quindi alle proteine.
Esiste una molecola di tRNA per ciascun amminoacido. Ognuna ha una forma a trifoglio.
Ad una delle estremità si trova il sito d’attacco per il suo amminoacido specifico.
Un altro sito d’attacco si trova sul “petalo centrale del trifoglio” costituito da 3 nucleotidi,
detto ANTICODONE, complementare ad uno specifico codone di mRNA.
Sul tRNA vi è una terza regione che deve fungere da riconoscimento per l’enzima
AMMINOACIDIL-tRNA- SINTETASI. Di questi enzimi ce ne sono molti nella cellula, con
un sito di legame per un amminoacido e per la specifica molecola di tRNA.
Dopo aver saputo tutto questo, vediamo per bene come avviene il meccanismo di
traduzione da nucleotidi ad amminoacidi.
Il materiale genetico è trascritto sull’mRNA.
A questo punto inizia la traduzione, che avviene in 3 fasi:
1) INIZIO: L’mRNA si attacca –con una delle su estremità- alla zona più piccola del
ribosoma, ponendo in evidenza il primo codone del filamento. A questo codone si lega
la prima molecola di t-RNA, in corrispondenza del suo anticodone. A questo punto la
sub-unità più piccola del ribosoma, il t-RNA d’inizio e l’mRNA vengono detti
COMPLESSO DI INIZIO. Avvenuto questo, la sub-unità più grossa del ribosoma si
attacca a quella più piccola. Il tRNA d’inizio si attacca a sua volta alla parte più
grossa del ribosoma, in una zona particolare, detta P (da “peptide”). Si forma il primo
amminoacido.
2) ALLUNGAMENTO: A questo punto, il secondo codone dell’mRNA si colloca di fronte
ad un’altra zona del ribosoma più grosso, detta A (amminoacile). Un altro tRNA si lega
al secondo codone di mRNA (ad esso complementare), occupando la zona A. Si forma
il secondo amminoacido, che si lega al primo. Il primo tRNA viene allora liberato. Il
ribosoma sposta l’mRNA ed il secondo tRNA, a cui sono attaccati primo e secondo
amminoacido, passa dalle posizione A alla P. Un terzo complesso amminoacido-tRNA
si sposta allora nella posizione A, e così via: l’operazione si ripete.
3) TERMINAZIONE: Tutto si ferma arrivati alla tripletta di terminazione dell’mRNA, alla
quale nessun tRNA si adatta.
L’ESPRESSIONE GENICA NEI PROCARIOTI
Il codice genetico è lo stesso per ogni specie vivente, e questo prova che deriviamo tutti
da un antenato comune. Tuttavia vi sono delle differenze tra organismi PROCARIOTI ed
EUCARIOTI nei meccanismi che regolano l’espressione genica.
Tanto per cominciare il CROMOSOMA PROCARIOTE è formato da una sola catena
continua di DNA a doppio filamento di 2 nanometri di diametro.
Il processo di trascrizione da nucleotidi a proteine avviene tramite la sintesi di mRNA
sullo stampo del DNA.
Ecco come avviene il meccanismo:
1) L’enzima RNA-polimerasi aderisce al DNA in un sito specifico detto PROMOTORE, e
ciò provoca l’apertura della doppia elica del DNA. L’RNA si forma e resta per breve
tempo legato al DNA mediante LEGAMI A IDROGENO finchè non si stacca formando
un filamento.
2) I segmenti di DNA che codificano per un polipeptide sono detti GENI STRUTTURALI.
Spesso, nei cromosomi batterici, i geni che codificano per polipeptidi con funzioni
correlate lavorano in sequenza. Questo accade per esempio con gruppi polipeptidici
necessari alla cellula nello stesso momento, oppure due catene polipeptidiche che
insieme costituiscono un particolare enzima, o enzimi che lavorano in un’unica
sequenza biochimica. I gruppi di geni che codificano per queste molecole sono in
genere trascritti in un unico filamento di mRNA.
3) Una cellula non produce tutte le proteine possibili in continuazione, ma solo quando
e nelle quantità richieste. (Esempio: l’E.COLI si nutre di lattosio. Ma per farlo ha
bisogno di molte molecole dell’enzima beta-galattosidasi, che scinde la molecola di
lattosio nei sue tre monosaccaridi costituenti. Ma se un esemplare non si nutre mai
di lattosio, nelle sue cellule non si troverà che una sola molecola di beta-galattosidasi.
In altri casi, poi, se è presente già un certo amminoacido, cessa nella cellula la
produzione degli enzimi necessari alla sua sintesi).
4) Durante la trascrizione i geni codificano anche proteine di regolazione, che regolano il
processo.
5) L’mRNA è immediatamente tradotto in proteine.
L’OPERONE
Diversi anni fa François Jacob e Jacques Monod elaborarono un modello che illustra la
trascrizione nei procarioti, detto dell’OPERONE.
Secondo questo modello un operone comprende:
1) Il promotore (di cui si è accennato precedentemente);
2) Uno o più geni strutturali;
3) Un’ulteriore sequenza di DNA detta OPERATORE posta tra il promotore e i geni
strutturali.
La trascrizione dei geni strutturali è spesso controllata poi da un altro gene, detto
REGOLATORE, e che può trovarsi in qualunque punto del cromosoma procariote.
Il gene regolatore codifica per una proteina detta REPRESSORE, che si lega all’operatore
quando si vuole frenare il processo di trascrizione. Esso infatti, legandosi all’operatore,
ostacola il promotore, facendo in modo che la RNA-polimersai non possa legarsi al DNA e
che quindi non possa avvenire la trascrizione dell’mRNA.
La capacità del repressore di legarsi all’operatore dipende a sua volta da un’altra
molecola che lo attiva o lo disattiva. Una molecola che attiva un repressore è detta
COREPRESSORE, mentre una che lo disattiva è detta INDUTTORE.
Quando il lattosio entra nell’E.coli il lattosio deve essere metabolizzato per trarne energia.
Dal suo metabolismo viene fuori uno zucchero simile, l’ALLOLATTOSIO. Esso è un
induttore, che si lega al repressore facendolo staccare dall’operatore dell’operone del
lattosio. Inizia così il processo di trascrizione genetica.
Un corepressore è invece l’amminoacido TRIPTOFANO, che se presente in un terreno di
coltura attiva il repressore dell’operone del triptofano.
LA TECNOLOGIA DEL DNA RICOMBINANTE
Negli ultimi anni sono state fatte nuove scoperte che hanno rivoluzionato le nostre
conoscenze sulla genetica di piante e animali, ma soprattutto sulle MALATTIE
GENETICHE UMANE.
Tutto ciò è reso possibile dalla tecnica del DNA-RICOMBINANTE (di cui si occupa
l’ingegneria genetica), in cui piccoli segmenti di DNA, prelevati da fonti diverse, vengono
modificati, ricombinati, ed inseriti in altre cellule dove avviene l’espressione dei geni
portati dal DNA modificato.
Per poter condurre questi studi occorre:
1) Avere piccoli segmenti di DNA da manipolare (e anche in grandi quantità);
2) Conoscerne la sequenza nucleotidica;
3) Essere in grado di identificare i segmenti specifici presi in considerazione.
COME OTTENERE BREVI SEGMENTI DI DNA:
Si è scoperto che i virus che infettano un ceppo di E.Coli talvolta non sono capaci di
infettarne un altro. Questo perché nei batteri sono presenti enzimi che tagliano le
molecole estranee di DNA in piccoli segmenti prima che vengano duplicati o trascritti.
Sono detti ENZIMI DI RESTRIZIONE.
I piccoli segmenti che gli enzimi hanno “riconosciuto” come
SEQUENZE DI RICONOSCIMENTO.
estranei sono detti
I nucleotidi di tali sequenze vengono quindi modificati chimicamente per non essere
infettati.
Spesso i tagli operati dagli enzimi non sono netti, ma tali per cui resta una breve
sequenza di nucleotidi spaiati su ciascuna estremità di taglio. Questo fa sì che esse siano
“appiccicose” e possano riattaccarsi tra loro quando si formano spontaneamente dei
legami a idrogeno con basi complementari. Il processo di ricucitura è completato
dall’enzima DNA-LIGASI.
Il fatto importante è però che le estremità appiccicose possano unirsi con altri segmenti
di DNA tagliati dallo stesso enzima che mostrano estremità complementari.
Attualmente sono stati isolati da differenti batteri più di 200 diversi enzimi di restrizione,
e ciò permette di tagliare una molecola di DNA presso una qualsiasi delle sequenze di
riconoscimento.
Questo permette di analizzare e manipolare le molecole di DNA.
In molti casi, se le sequenze nucleotidiche dei brevi tratti ottenuti sono note, si possono
sintetizzare in laboratorio brevi segmenti di DNA con mezzi chimici.
COME DETERMINARE LE SEQUENZE NUCLEOTIDICHE:
E’ importante ricordare che enzimi differenti tagliano le molecole di DNA in siti differenti.
Quindi la rottura di una molecola di DNA con un certo enzima di restrizione produce
certi particolari segmenti.
Di questi tratti è possibile determinare l’esatta sequenza nucleotidica tramite tecniche
che prevedono elettroforesi, clonazione e sistemi computerizzati mel merito dei quali non
entriamo.
Poichè i gruppi di frammenti prodotti dai diversi enzimi di restrizione si sovrappongono
tra loro come un puzzle, una volta nota la sequenza nucleotidica dei singoli frammenti è
possibile ricostruire le informazioni di un’intera molecola di DNA.
COME LOCALIZZARE SEGMENTI SPECIFICI DI DNA:
Localizzare uno specifico segmento di un certo DNA è una questione complessa.
La tecnica utilizzata è quella dell’IBRIDAZIONE DELL’ACIDO NUCLEICO. Essa si basa
sul fatto che le basi azotate degli acidi nucleici tendono ad appaiarsi.
Quando si fanno scaldare le molecole di DNA, i legami a idrogeno che tengono uniti i due
filamenti si spezzano, e i filamenti si separano. Quando la soluzione viene raffreddata, i
legami si riformano, e la struttura a doppia elica del DNA si ricostituisce.
Se si mescolano molecole di DNA provenienti da fonti diverse e le si scaldano, una volta
raffreddata la soluzione, i filamenti di DNA differenti ma con sequenze quasi
complementari si riappaiano tra loro formando una doppia elica ibrida.
La quantità in cui i segmenti dei due campioni si riassociano e la velocità con cui ciò
avviene sono proporzionali alle somiglianze tra le sequenza nucleotidiche.
Si può a questo punto preparare una sonda incorporando un isotopo radioattivo in un
breve segmento di DNA o RNA a filamento singolo complementare alla sequenza
nucleotidica cercata, oppure marcandolo con un colorante fluorescente.
(QUESTO TESTO E' STATO INVIATO E PUBBLICATO ANCHE NELLA SEZIONE APPUNTI
DEL SITO "SKUOLA.NET").
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