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ATTIVITÀ FISICA E BENESSERE NEUROPSICHICO
Mens sana in corpore sano…Già nell’antica Roma veniva posta particolare attenzione alla speculazione
intellettiva abbinata ad una buona forma fisica, anche se appare evidente che nel mondo latino i due
percorsi erano palesemente separati, ancorché necessari entrambi per un corretto equilibrio psico-fisico.
Tale concezione è stata considerata a lungo un vero e proprio dogma della cultura non solo medica,
grazie ancora alla sublimazione operata da quello che il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio
ha definito, in un suo bellissimo libro edito in Italia da Adelphi, L’errore di Cartesio1: la netta divisione tra
res cogitans e res extensa ha profondamente influenzato intere generazioni di neurologi, psicologi,
psichiatri, ma anche di filosofi e di cultori di materie letterarie, con l’inevitabile conseguenza di
identificare in ogni essere umano due entità distinte, non in rapporto tra loro.
Una poderosa spallata a questo sistema di credenze l’ha fornita Joseph LeDoux, brillante neurobiologo
di fama mondiale, che nel suo “Il sé sinaptico”2 ha posto addirittura le basi neurofisiologiche e
molecolari della coscienza e dell’autopercezione…
Inoltre da qualche decennio sappiamo che la psiche può influenzare il corpo con il tramite, nello stress,
del sistema nervoso vegetativo, ma quello che nemmeno le frange meno ortodosse del mondo
scientifico si sarebbero probabilmente aspettate è la ormai accertata evidenza di come una sofferenza
dell’apparato gastroenterico - oggi definitivamente considerato un vero e proprio secondo cervello - possa
determinare una vera e propria depressione: pochi sanno che il 95% della serotonina, da tempo
considerato il neurotrasmettitore responsabile del tono dell’umore, viene prodotto dalle cellule
cromaffini dell’intestino!3
Ma oggi sappiamo con certezza che anche l’attività fisica può influenzare alcune funzioni
neuropsichiche.
Già sapevamo dagli Anni Settanta che le endorfine (soprattutto le encefaline), sostanze oppioidi endogene a
struttura polipeptidica, dotate di proprietà biologiche simili a quelle della morfina e delle sostanze
oppiacee, sono in grado di modulare la trasmissione e la percezione della sensibilità dolorifica grazie alla
loro interazione con i recettori per gli oppiacei, fisiologicamente presenti anche nel Sistema Nervoso
Centrale di chi non ha mai assunto tali sostanze.
Nel 1992 Raphael Mechoulam, ricercatore delle Hebrew University di Gerusalemme, ha addirittura
scoperto che nel cervello non solo ci sono recettori per gli endocannabinoidi - sostanze simili alla
marijuana ed all’hashish - ma che esse vi vengono addirittura prodotte ed i loro effetti sono gli stessi dei
più conosciuti derivati dalla Cannabis sativa4: delle circa 400 sostanze chimiche diverse contenute nella
canapa indiana è il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) che determina gli effetti psicoattivi grazie al
legame con il recettore cannabinoide-1 o CB1.
Ebbene particolarmente interessante è stata l’identificazione di questi recettori CB1 nel cervello,
concentrati in alcune aree topiche del Sistema Nervoso Centrale: nel cervelletto, sede del controllo
motorio di precisione e della coordinazione dei movimenti; nell’ippocampo, struttura fondamentale per
la formazione della memoria e lo sviluppo dell’apprendimento; nella neocorteccia, sede dell’integrazione
tra i diversi input sensoriali nonché delle funzioni cognitive e dell’attività psichica superiore;
nell’ipotalamo, interessato nel controllo del livello degli ormoni e di alcune fondamentali funzioni
complesse come ad esempio l’appetito ed il comportamento sessuale; nei gangli della base, nuclei di
sostanza grigia sottocorticali indispensabili per la pianificazione e l’inizio del movimento nonché per il
controllo automatico del movimento; nell’amigdala, responsabile della paura, dell’aggressività, della
gestione delle emozioni; nel tronco cerebrale e nel midollo spinale, sede delle funzioni vegetative più
importanti per la sopravvivenza e per la trasmissione degli impulsi motori e sensitivi.
1
A. R. Damasio – L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano – Adelphi, Milano, 1995
J. LeDoux – Il sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo – Raffaello Cortina Editore,
Milano, 2002
3
F. Bottaccioli – Psiconeuroendocrinoimmunologia – Red Edizioni, Milano, 2005
4
U. Kraft – Mente e cervello – Le Scienze Editore, Roma, n° 23, 2006
2
La funzione principale di queste sostanze è quella di proteggere i neuroni dall’iperattività, sia in
condizione di stimolazione da parte di tossine esogene che degli ormoni dello stress endogeno, primo
tra tutti il cortisolo.5
“I cannabinoidi dispongono l’organismo in una modalità di recupero” sostiene Beat Lutz, chimico
dell’università tedesca di Mainz; in effetti numerosi dati clinici indicano inequivocabilmente che si
instaura uno stato di rilassamento: l’attività mentale si riduce, la frequenza cardiaca rallenta, la pressione
sanguigna diminuisce ed i muscoli si rilassano.
Ricerche sui roditori hanno inoltre suggerito che un normale funzionamento dei recettori CB1
consente, con uno specifico allenamento, di cancellare la paura precedentemente indotta verso uno
stimolo: tale attenuazione delle emozioni negative, se non perfettamente funzionante, potrebbe essere
coinvolta nella genesi delle fobie e del disturbo post-traumatico da stress.
Oggi però sappiamo che al recettore CB1 si lega anche l’anandamide, un acido grasso prodotto dai
neuroni, scoperto da Mechoulam e chiamato così dalla parola “ananda” che in sanscrito significa
“beatitudine”…; Daniele Pomelli e Nephi Stella, due ricercatori della Università della California a
Irvine, hanno poi scoperto una seconda sostanza con le stesse proprietà dell’anandamide.
Ma assolutamente sconvolgente nell’ottica dei rapporti tra mente e copro è poi stata la recente scoperta
che il sistema endocannabinoide viene stimolato dall’attività fisica: P.B. Sparling ha evidenziato che già
dopo 45 minuti di camminata a passo veloce si possono osservare elevati livelli di anandamide6; infatti
la contrazione muscolare determina la liberazione locale sia dell’anandamide che dell’IGF-1 (fattore
insulino-simile di I tipo) che, per il tramite della circolazione ematica, raggiungono il cervello: oltre ai
già citati effetti della prima è il caso di ricordare che l’IGF-1 a livello cerebrale aumenta il catabolismo
della proteina beta amiloide (responsabile dei tragici danni neurologici caratteristici della malattia di
Alzheimer) ed incrementa la sintesi di BDNF (fattore nervoso di crescita cerebrale), un importante
sostanza con effetto neurotrofico e neuroprottetivo7.
La relazione tra attività fisica e benessere neuropsichico è sconvolgente se si pensa che il BDNF è in
grado di aumentare la plasticità cerebrale - la capacità di creare nuove sinapsi, le giunzioni tra i neuroni e che un deficit di BDNF, per conseguente diminuzione dei livelli di serotonina, determina una
depressione del tono dell’umore.
Si sa oggi non solo che una significativa contrazione muscolare aumenta in maniera esponenziale
l’attività dei neuroni serotoninergici ma anche che già la semplice programmazione del movimento,
oltre ad attivare le aree prefrontali e le cortecce motorie (sedi rispettivamente della preventiva decisione
di un’attività fisica e dei necessari pattern di attivazione muscolare), stimola altre strutture più profonde
come i gangli della base, il cervelletto, il setto ed il mesencefalo: l’aspetto più affascinante di queste
ricerche è che è oramai certo che da queste ultime due aree, oltre all’acetilcolina, viene liberata anche
serotonina.
Ma è assolutamente reciproca l’interazione che lega serotonina ed attività fisica: oggi abbiamo la
certezza (B. Jacobs e C. Fornal, Princeton University) che a loro volta i neuroni serotoninergici,
maggiormente concentrati nel tronco dell’encefalo, proiettano i loro prolungamenti assonali in alto
verso le aree cerebrali superiori ed in basso verso il midollo spinale, soprattutto verso le aree di
controllo volontario del movimento…
Recentissima è poi la notizia (apparsa su Salute del Corriere della Sera del 14/03/07)n che Scott Small,
un neurologo della Columbia University di New York, ha riscontrato che pochi mesi di attività fisica
determinano nel cervello umano un aumento considerevole di attività di un circuito cruciale per la
memoria, il giro dentato, che fa parte dell'ippocampo; il lavoro, pubblicato sulla rivista “Proceedings of
the National Academy of Sciences” si basa sia sulle osservazioni effettuate con la risonanza magnetica
funzionale su gruppi di volontari dopo 3 mesi di attività aerobica che sui rilievi istologici in cervelli di
animali da esperimento che hanno evidenziato la formazione di nuovi neuroni.
5
R.I. Wilson e R.A. Nicoll – Endocannabinoid signaling in the brain, in “Science”, vol. 296, pp. 678-682, 26/04/02
P.B. Sparling e Al.- Exercises activates the endocannabinoid system, “Neuroreport”, 2003; 14:2209-11
7
E. Carro, J.L. Trejo, S. Busiguina, I. Torres-Aleman – Circulating insulin-like growt factor I mediates the prospective
effects of physical exercise against brain insults of different etiology and anatomy. “J Neurosci”, agosto 2001, 1; 21
(15): 5678-84
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E’ peraltro fondamentale che l'attività fisica sia svolta con regolarità e disciplina, non come svago
sporadico ma come programma sistematico almeno una volta alla settimana.
Un vero e proprio training combinato, insomma, per corpo e mente: tornando al motto degli Antichi
Romani potremmo oggi parafrasare: corpus sanus pro mente sana!