Informatica, diritto, filosofia

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Informatica,
diritto, filosofia
a cura di
Mario Sirimarco
ARACNE
Copyright © MMVII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 a/b
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978-88–548–1555–1
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 2007
A mia figlia Maria Enrica,
il mio totale-universale.
INDICE
MARIO SIRIMARCO,
Informatica giuridica, filosofia del diritto, teoria generale del diritto...........................9
GIUSEPPE CASALE,
Summum cyborg summa iniuria. Platone, Aristotele
e Cicerone al cospetto del “giudice automatico” ......................................... ........... 15
ROBERTA FIDANZIA,
Democrazia e Rete. Spunti di riflessione ............................................................55
GIANLUIGI FIORIGLIO,
Gli hacker tra etica e diritto ...........................................................................67
ALESSANDRO FRUCI,
Documento informatico e firma digitale: profili giuridici ...................................105
ENRICO GRAZIANI,
Cibernetica e diritto in Norbert Wiener ............................................................ 125
STEFANO PRATESI,
Verso una Bioetica Artificiale? Riflessioni sull’era cyborg .................................. 133
MAURIZIO RICCI,
La proprietà intellettuale: aspetti giuridici e filosofici ...........................................167
AUGUSTO ROMANO,
Sui reati informatici nella legalità costituzionale ................................................211
8
TERESA SERRA,
La disobbedienza civile nel mondo di Internet .................................................... 233
MARIO SIRIMARCO,
Ancora su apocalittici ed integrati: ovvero tra Hermes e Narciso ........................ 255
LUIGI TIVELLI,
I vizi della legislazione ...................................................................................... 293
PATRIZIO GRAVANO,
L’inflazione normativa nei principali paesi europei.
Quantificazione e costi ………………………………………………….317
NOTIZIE SUGLI AUTORI .. …………… ………….………………….325
PREMESSA
INFORMATICA GIURIDICA, FILOSOFIA DEL DIRITTO
E TEORIA GENERALE DEL DIRITTO
Questa raccolta di scritti nasce da una esigenza prettamente didattica: offrire uno strumento di lavoro agli studenti su una disciplina,
l’Informatica giuridica, dai confini non sempre facilmente tracciabili.
Come si deduce dal contenuto dei diversi contributi, si è accolta
una accezione ampia di Informatica giuridica: non una materia ben
delimitata ma trasversale, interdisciplinare, complessa. Del resto la denominazione stessa della materia è emblematica perché cerca di coniugare una disciplina appartenente alle cd. scienze esatte e una appartenente alle scienze umane. Insomma, sotto l’etichetta di informatica
giuridica si incontrano una serie di questioni eterogenee colte immediatamente dal filosofo del diritto che, “dopo una fase intermedia, caratterizzata da problemi più tecnici che filosofici, vi è tornato negli ultimi anni […] grazie alla nuova prospettiva aperta dagli studi di logica
giuridica e di intelligenza applicata al diritto”1 e grazie all’avvento della
rete.
Riprendendo alcune delle definizioni che sono state date al sintagma2, possiamo riepilogare le diverse accezioni che di “Informatica
T. SERRA, Appunti di filosofia del diritto (a cura di M. SIRIMARCO), Roma,
2003, p. 101. Come è noto i primi in Italia ad interessarsi di informatica in una
prospettiva giuridico-filosofica sono stati V. FROSINI, Cibernetica diritto e società,
Milano, 1968 e M.G., LOSANO, Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Torino, 1969.
2 Mi riferisco in particolare a M. COSSUTTA, Questioni sull’Informatica giuridica,
Torino, 2003, p. 15 e ss.
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giuridica” si incontrano nella letteratura giuridica: informatica giuridica
come sistema di raccolta e di accesso alle fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali (è quella che viene anche definita Informatica giuridica documentaria o Informatica giuridica in senso stretto); informatica giuridica come supporto al compimento di operazioni, svolte con
l’ausilio del sistema informatico, che producono effetti giuridici (pensiamo ai contratti conclusi tramite internet, al documento elettronico,
alla firma digitale); informatica giuridica come studio della regolamentazione giuridica delle operazioni accennate e delle attività connesse
all’informatica (si tratta più precisamente del diritto dell’informatica,
disciplina pubblicistica-privatistica, considerata dai più disciplina autonoma non riconducibile all’Informatica giuridica); informatica giuridica come studio dei sistemi esperti a supporto della istituzionalizzazione giuridica di operazioni economiche, della redazione di provvedimenti amministrativi (cd. burotica), delle decisioni giurisprudenziali,
dei testi legislativi (cd. legimatica); informatica giuridica come riflessione sul linguaggio e sul ragionamento giuridico e sulla loro compatibilità con il linguaggio ed il ragionamento informatico.
L’informatica giuridica, allora, se in un senso molto ampio fa riferimento a tutti gli studi che in qualche modo vertono sul rapporto fra
diritto e informatica, dà vita a due essenziali filoni di ricerca: da una
parte al diritto dell’informatica che si presenta come disciplina prevalentemente tecnico-giuridica, anche se indubbiamente può presentare,
e presenta, interessanti e rilevanti questioni teoriche; dall’altra
all’informatica giuridica come disciplina teorico-giuridica, connessa alla teoria generale del diritto e alla filosofia del diritto che si occupa soprattutto di fornire nuovi strumenti concettuali al teorico del diritto, e
di rappresentare, per il filosofo, un nuovo momento di riflessione sul
rapporto tra uomo e tecnica. In altri termini, nel diritto
dell’informatica l’informatica è un oggetto disciplinato e regolamentato dallo strumento giuridico; nell’informatica giuridica, l’informatica è,
invece, uno strumento che incide sull’oggetto diritto mettendone in
discussione alcuni suoi caratteri.
Se può dirsi così delimitato, seppur per linee molto generali, il
campo delle due diverse discipline, occorre precisare che non tutti co-
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loro che si occupano di informatica giuridica in una prospettiva filosofico-giuridica pensano alla stessa cosa.
Uno dei più autorevoli studiosi italiani di informatica giuridica,
Giancarlo Taddei Elmi, ha sintetizzato quello che possiamo definire il
‘manifesto’ dell’informatica giuridica con particolare riferimento ai
suoi rapporti con la teoria generale del diritto e con la filosofia del diritto3:
- le teorie che, per definire il diritto vigente, si fondano su criteri
di validità formale sono omogenee all’informatizzazione del sistema
giuridico;
- l’informatica è legalistica in teoria delle fonti ad essa può adattarsi la tesi positivistica secondo la quale la legge è tutta diritto e la
legge è tutto il diritto.
Evidentemente lo studioso di impostazione formalista considererà in un certo modo la disciplina e le questioni ad essa connesse (penso al problema del rapporto uomo-macchina che sul giuridico arriva a
problematiche drammatiche come quella della giustizia automatica). Si
tratta di un approccio che, nella misura in cui si appoggia a presupposti teoretici di un certo tipo che non è possibile in questa sede indagare, apre prospettive più radicali. Penso alle posizioni cd. postumaniste
che considerano la macchina, e in generale la tecnologia, non come
strumento ma come partner di conoscenza in un contesto di ibridazione che ha come corollario la trasformazione della identità umana4.
Lo studioso antiformalista, invece, che accoglie ben altri presupposti teoretici, partirà da una diversa accezione di informatica giuridica che è quella che la riduce a mero strumento di un mondo giuridico
in cui l’incontrastato protagonista è, e resta, l’individuo e che quindi
riafferma la centralità della persona umana nella definizione del fenomeno giuridico.
Siamo allora di fronte a diversi e contrapposti modi di intendere
il giuridico: da una parte il diritto è considerato un insieme di norme,
razionali, formalizzate e formalizzabili in formule da affidare logicamente anche ad una intelligenza artificiale, che può addirittura produr3
4
G. TADDEI ELMI, Corso di informatica giuridica, Napoli, 2000, p. 97 e ss.
Cfr. M. SIRIMARCO, L’armonia perduta, Roma, 2006.
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re diritto, che può dicere diritto, entrando nel vivo di quello che è il
momento più intenso e qualificante dell’esperienza giuridica, il processo5.
Dall’altra parte, c’è una visione più articolata e complessa, forse
più sfumata, del diritto, che non accetta la sua riduzione al fenomeno
normativo, che coglie costantemente i nessi con la vita umana, che si
richiama alla necessità di ancorare e di collegare il giuridico ad un sistema di principi e di valori che trovano il loro riferimento essenziale
nella persona umana. E che quindi non accetta alcune conclusioni
dell’altro modo di intendere l’informatica giuridica, prima fra tutte la
pretesa di sostituire il giudice con un automa.
Gli interrogativi diventano pressanti. È possibile, è auspicabile
l’avvento di quella che qualcuno ha definito la giustizia automatica? È
possibile, è auspicabile procedere nella direzione di una completa artificializzazione del diritto? È davvero desiderabile sostituire il giudice
con un automa, con un computer? E ancora, come ovviare alla mancanza di quel sapere giuridico di sfondo o di una concezione morale,
di una visione personale e storica del diritto? Come superare il vero
grande limite dell’automa e cioè il suo non sapere di sapere e il suo non
sapere di non sapere (che segna la vera differenza tra l’automa e l’uomo il
quale, nell’accostandosi all’arte del diritto, si presenta in modo ambivalente: è arrogante, cioè sa di sapere, ma è anche umile, cioè sa di non
sapere, come presupposto della ricerca stessa del diritto)6?
Dobbiamo ritornare al punto di partenza … all’interrogativo che
sta dietro a tutte le riflessioni giuridico-filosofiche (che a sua volta
presuppone opzioni antropologiche e teoretiche radicalmente diverse)
che cos’è il diritto, quid ius?
Il diritto è solo fredda razionalità, calcolabilità, forma, insieme di
norme, o è anche qualcos’altro?
Il diritto è anche sentimento, passione, dolore?
In un densissimo piccolo scritto del 1949, Giuseppe Capograssi si
interroga sul problema della legge ingiusta, sul contrasto tra validità e
G. CAPOGRASSI, Giudizio processo scienza verità, in Opere, V, Milano, 1959.
A.C. AMATO MANGIAMELI, Diritto e cyberspace. Informatica giuridica e filosofia
del diritto, Torino, 2000.
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giustizia nei momenti drammatici di crisi degli ordinamenti, quando
“l’ordinamento si distacca dalle radici e dalle strutture della vita” e
l’essere umano diventa superfluo e disponibile.
Cosa salva l’ordinamento in questi momenti, cosa ci salva?
Riprendendo alcune considerazioni di Calamandrei, Capograssi
parla del dolore del giurista chiamato comunque ad applicare la legge
positiva. Un dolore che non è però fine a se stesso, perché “comincia
ad essere una negazione della legge, una interiore mirabile redenzione
dalla ingiustizia della legge […] E questo dolore spinge il giurista,
spinge la scienza alla sua tacita opera salvatrice. La quale non consiste
in altro appunto, che in un non lasciarsi captare dalla legge ingiusta ma
riportare la legge ingiusta nella vita ancora sana dell’ordinamento, captare la legge ingiusta nelle parti più vive dell’ordinamento. Cioè nel
non perdere di vista la verità e la vita ancora sopravviventi
nell’ordinamento positivo e nel fare perno sull’una e sull’altra” 7.
G. CAPOGRASSI, Il problema fondamentale, in Opere, V, cit., pp. 29-34. G.
LONGO, Prove di umanità futura, in A.C. AMATO MANGIAMELI (a cura di), Persone
e stati. Le conseguenze della “glocalizzazione” e dell’innovazione tecnologica, Milano, 2006,
pp. 91-92, riconosce i limiti del progetto dell’intelligenza artificiale: “su questa
strada razionalistica, perseguita dall’intelligenza artificiale logico-simbolica e
funzionalistica, ci si è imbattuti in gravi difficoltà, che fanno presagire
l’impossibilità di realizzare questo sogno riduzionistico. La scoperta dei limiti
dell’intelligenza artificiale algoritmica corrisponde, su un altro versante, alla
scoperta che l’incertezza e il disordine sono tratti essenziali e non storici ed eliminabili dell’immagine che possiamo avere della realtà fisica. Insomma si è costretti a riconoscere che il tentativo di ricostruire il mondo e l’uomo con gli
strumenti del formalismo logico-matematico incontra limiti ben precisi. Questi
limiti si possono esprimere così: il nostro pensiero non funziona secondo gli
schemi della logica formale; la razionalità computante non riesce a dar conto del
corpo, dell’inconscio, del femminile e quindi restituisce un’immagine del mondo e dell’uomo gravemente monca; mantenendo il soggetto fuori del quadro,
cioè separandolo dall’oggetto, il razionalismo rischia di trasformare il mondo (e
noi stessi nel mondo) in una macchina banale […] che non riesce a dar conto di
ciò che sentiamo di più intimo e importante: il piacere e l’angoscia, la felicità e
l’infelicità, il coinvolgimento affettivo e sentimentale, gli aspetti etici ed estetici
dell’esistenza e dell’esperienza, la pertinenza di questi aspetti alla persona singola nella sua irripetibile individualità esistenziale”.
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Senza questo dolore del giurista, che rappresenta la prima reazione all’ingiustizia della legge, chi ci garantisce dalla legge ingiusta? Come si alimenta l’anelito umano alla giustizia?
***
Nel licenziare per la stampa questo lavoro desidero ringraziare e salutare
quanti vi hanno partecipato per la disponibilità e l’impegno profusi e per
l’affetto che in ogni occasione mi dimostrano.
Grazie agli amici Danilo Simone e Luca Di Fiore per essere anche dei preziosi collaboratori.
Un ringraziamento particolare va al dott. Luigi Tivelli e al dott. Patrizio
Gravano, non solo per i contributi presenti in questa raccolta, ma soprattutto
per la collaborazione alle attività organizzate nell’ambito dei miei corsi presso
l’Università di Roma “La Sapienza”.
MARIO SIRIMARCO
GIUSEPPE CASALE
SUMMUM CYBORG SUMMA INIURIA.
PLATONE, ARISTOTELE E CICERONE AL COSPETTO
DEL “GIUDICE AUTOMATICO”
È vero che parlare, oggi, di giustizia automatica, cioè sentenziata
da un macchina informatica, può apparire quasi fantascientifico. Eppure, sono enormi i progressi compiuti dai cosiddetti “sistemi esperti”, diretti alla riproduzione del processo intellettuale che riferisce il
diritto al caso concreto. Infatti, il passaggio dall’aspetto documentario
a quello meta-documentario, pur non coinvolgendo, per ora, vere e
proprie pronunce giudiziali, agevola pianificazioni, schematizzazioni e
procedure di vario genere, di certo propedeutiche – oltre che strumentali – al momento decisionale. Tutto ciò accade conformemente a
quel concetto di “applicazione del diritto” che riconduce la fattispecie
concreta entro l’orizzonte previsionale di una norma astratta e generale: un concetto che, per molti versi, ha spesso indotto a coltivare il sogno di un’esatta corrispondenza tra astratto e concreto, generale e individuale. Per converso, tale illusione ha potuto produrre quel che va
sotto il nome di “problema equitativo”. In questa sede, interessa non
tanto prefigurare chissà quali modalità operative la tecnologia potrà
escogitare in futuro, quanto individuare i limiti intrinseci che una qualsiasi forma di “intelligenza artificiale” dimostra nei confronti di categorie tra cui, appunto, l’equità. Limiti intrinseci, ripetiamo, senza timore di poter essere smentiti dalle conquiste del progresso, giacché
simili argomenti offrono il destro per estendere l’analisi a tendenze
antiche e nuove della scienza giuridica, cogliendo spunto dalla spinta
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formalizzante impressa dalla possibilità di utilizzare macchine che
«non avendo conosciuto l’accumulazione lenta e secolare del principio
di verità, vivono nella simulazione perpetua, nella perenne attualità dei
segni […]. Un regno ideale, al di là della corruzione del mondo materiale, dove gli uomini si liberano dalle “tentazioni della carne”, e al di
sopra della località, dove l’io si libera di limiti della propria “fisica incarnazione”»1. Sinteticamente, potremmo parlare di un’accelerazione
consentanea al mito della giuridicità pura, la quale – specialmente in
questa fase di “incubazione” – suscita, talvolta, l’esigenza di un controbilanciamento che, mutatis mutandis, riconduca il problema
dell’equità al problema integrale della giustizia. Cosa che impone un
ripensamento filosofico di un motto assai famoso: summum ius summa
iniuria.
Così, chiarito il titolo, resta da giustificare il sottotitolo del presente contributo: ovviamente, riportarsi ai pensieri di Platone, di Aristotele e di Cicerone, per riflettere sull’impiego futuribile
dell’informatica giuridica, può risultare operazione ardita, se non anacronistica; tuttavia, con P. Breton, ci basti affermare che «la cono-
A. C. AMATO MANGIAMELI, Diritto e cyberspace. Appunti di informatica giuridica e filosofia del diritto, Torino 2000, p. 12-13. Cfr. F. D’AGOSTINO, L’equità come
limite trascendentale del diritto, in “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, LI
(1974) ora, con identico titolo, in ID., Dimensioni dell’equità, Torino 1977: «E’
questo lo “scandalo dell’equità”, ossia – nell’opinione di Vittorio Frosini
(L’equità nella teoria generale del diritto, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura
civile”, XXVIII (1974), p. 1) – “il persistente rifiuto di accogliere le ragioni di
piena legittimità, che un’antica tradizione di pensiero giuridico – antica sin dalle
origini stesse della riflessione sul diritto – allega per il riconoscimento del giudizio di equità come giudizio complementare e corrispettivo al giudizio di legalità,
come elemento integrativo e sostanziale del giudicare secondo giustizia”. Ma
forse la radice dello “scandalo” dell’equità dovrebbe essere rinvenuta in quello
che analogamente dovrebbe dirsi lo “scandalo” della giustizia. Il giurista contemporaneo non solo prova imbarazzo nell’utilizzare questa parola, così carica
(e forse proprio perché così carica) di “valore”, ma non sa nemmeno trovarle
più posto nell’analisi del linguaggio giuridico» [...] Si ricordi l’arguto proverbio di
M.E. Mayer: Chi semina norme non può raccogliere giustizia (Wer Normen saet,
kann keine Gerechtigkeit ernten) in Rechtsphilosophie, Berlin 1922, p. 82» (pp. 13-14).
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scenza del passato ci pone, qui, in contatto diretto con l’attualità»2. Di
qui, l’intento di sollecitare qualche suggestione “trasversale”, senza
pretese di esaustività.
1 – Il linguaggio “elastico” della giustizia
Dunque, summum ius summa iniuria. La sapienza civile dei Romani
condensò in poche parole un’esperienza universalmente conosciuta
dal genere umano, esplicitando l’antitesi inesorabile tra lettera e spirito, formula e vita, rigore ed equità: permanendo il diritto entro il confine del testo, mentre l’esistenza – individuale e sociale – fluisce creando sempre nuove condizioni psicologiche e materiali, emerge la necessità di correggere l’immutabilità di una regola che, sebbene codificata, vuole accompagnare gli uomini nel loro quotidiano, verso la
“giusta” approssimazione a una vita ben ordinata. Questa la missione
dello ius, teleologicamente indirizzato alla dimensione qualitativa dello
iustum. Eppure, il pericolo è proprio quello di deludere coloro che, in
cerca di giustizia, ricevono soltanto diritto (formale), crudele nella sua
pretesa di tiranneggiare il mutevole, costringendolo alla cristallizzazione della lettera: se fosse possibile abbracciare il diritto completamente,
tramite il dettato della legge, non ci sarebbe più posto per l’equità. Il
summum ius summa iniuria, quindi, prova la necessità del riconoscimento
equitativo accanto al diritto positivo. I contrasti fra la norma, che deve
astrarre dal singolo caso e dalla vita per giungere alla formula generale,
e l’equità, che indica per il singolo caso l’adatta e “giusta” disciplina,
derivano dalla natura del diritto e delle sue possibili forme: «Perciò si
ripete sempre codesto conflitto, in ogni epoca, in ogni ordinamento
La storia dell’informatica, Bologna 1997, p. 12. Ciò ben si accompagna al giudizio di V. Frosini: «l’artificialità riconosciuta (o temuta) come caratteristica del
diritto nell’epoca dell’automazione altro non è, dopo tutto, che una metafora
usata per indicare quel momento logico-formale, che è esso stesso costitutivo
dell’esperienza giuridica, al pari del momento etico, in quanto tra essi due si
mantiene e trascorre la tensione della coscienza umana, da cui scaturisce ogni
norma, ogni sentenza, ogni azione giuridica» (Informatica diritto e società, Milano
1992, p. 31).
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giuridico: fin a un certo punto, per ogni essere. Da ciò dipende
l’energia dell’azione che il motto summum ius summa iniuria esercita,
sempre risonando d’un tono speciale là dove la scienza del diritto o
l’esperienza della vita umana cozzano contro il divario fra lo spirito e
le forme del diritto»3.
Allora, ecco esprimersi tutta l’efficacia della considerazione ciceroniana: «Existunt etiam saepe iniuriae calumnia quadam et nimis callida sed
malitiosa iuris interpretatione. Ex quo illud “summum ius summa iniuria”
factum est iam tritum sermone proverbium»4. E’ il caso del re Cleomene di
Sparta, il quale, concluso l’armistizio per trenta giorni, continua le ostilità di notte. Ed è anche il caso del senatore che, nominato arbiter
finium regundorum tra due città italiche, fissa la frontiera contesa in modo che la striscia di mezzo divenga proprietà romana. Tutto formalmente ineccepibile, tutto moralmente riprovevole. Senz’altro evitabile,
se soltanto si usasse l’equità come risorsa esecutiva. Ragionamento, di
per sé, valido tutt’oggi, dinnanzi all’eventuale riduzionismo idealrazionalistico, proveniente da automi algoritmici universali, votati a
panlogizzare, in “sistema binario”, l’articolazione ermeneutica del linguaggio giuridico, memorizzabile su un supporto magnetico ignaro sia
della consistenza umana, sia del caso storico da cui partire (e a cui
tornare). Basta il senso comune per intuire che le norme giuridiche
nascono da contenuti esperienziali, le stesse che consentono un adattamento “elastico” – e, tendenzialmente, conforme – all’indeterminata
concretezza del fatto. Grazie a simile “elasticità”, il decisore giurisdizionale, nell’atto di ius dicere, può ponderare la risoluzione che meglio
si confà alla situazione non solamente individuale, ma anche sociale e
ordinamentale, presumendo il medesimo avviso del legislatore. È grazie a questa possibilità “pneumatica” di muoversi tra princìpi e interessi che il diritto stesso può seguire e regolare i mutamenti della vita
associata, consentendo quell’ampio ventaglio di metodi interpretativi
tra cui, anche, la tipologia teleologica e analogica.
J. STROUX, Summum ius summa iniuria, in “Annali del seminario giuridico
della R. Università di Palermo”, XII (1929), p. 649-650.
4 CICERONE, De officiis I, 33.
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