ezio vanoni e il dilemma del prigioniero

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EZIO VANONI
E
IL DILEMMA DEL PRIGIONIERO (*)
“Il segreto non è tanto scrivere una legge,
ma nel creare, attraverso la persuasione politica e morale,
un clima nel quale si senta che,
difendendo la razionale ed eguale applicazione dei tributi,
si difende non una legge formale dello Stato,
ma l’essenza stessa della vita dello Stato”.
Dal discorso di Ezio Vanoni a Montecitorio
per illustrare i suoi propositi di riforma tributaria.
Introduzione
Il rapporto tra cittadino e Stato può essere ricondotto a un gioco strategico – il Dilemma del
Prigioniero1 – ripetuto indefinitivamente (cioè, i rounds sono T = 1…8 ). La natura strategica
dell’interazione fra i due soggetti – i giocatori rappresentativi - origina dalla reciproca
interdipendenza nella determinazione dei risultati economici e dal loro conflitto di interessi: la
(*) Pur essendo il lavoro frutto di un’elaborazione comune, il par. 1 è da attribuirsi a Mariateresa Fiocca; il par. 2 a
Giancarlo Montedoro.
1
Il Dilemma del Prigioniero è stato definito l’“osso di gomma” della teoria dei giochi; lo si può masticare all’infinito:
matematici, economisti, politologi, psicologi, filosofi lo hanno esaminato e tuttavia rimane misterioso e affascinante
come lo era nel 1950, quando Merrill Flood e Melvin Drescher lo presentarono per la prima volta. Il suo nome è dovuto
ad Albert Tucker, che nel 1951 lo illustrò appunto nella forma di una detective story del tipo: la polizia arresta due
sospettati di una rapina; poiché non vi sono prove sufficienti per incriminarli, essa può solo condannarli per un reato
minore (detenzione d’armi da fuoco); ovvero, può ricorrere a un’adeguata strutturazione del sistema di incentivi e
punizioni che solleciti una loro confessione - “incastrandosi” così a vicenda - quando verranno interrogati in celle
separate (in modo che non possano comunicare tra loro). Secondo tale struttura – molto simile a quella che si utilizza
nei confronti di potenziali “pentiti” - la polizia propone a ciascun criminale che, denunciando il proprio compagno,
lasceranno immediatamente libero lui (senza neppure comminargli la pena minore per l’arma) e condanneranno l’altro a
dieci anni di carcere. Tale offerta è tuttavia valida solo nel caso che l’altro non confessi (cioè non collabori a fare
chiarezza sul caso): se anche questi confessasse, ognuno rimarrà in carcere per cinque anni. Naturalmente – la polizia
avverte - se nessuno confessa, non saranno condannati se non per la pena minore di detenzione d’armi. La polizia
informa pure ciascuno di loro che tale offerta è stata fatta anche all’altro (cioè la struttura dei payoff è common
knowledge).
Attraverso tale meccanismo - che mette a nudo il conflitto di interessi fra i due giocatori - la polizia riesce a ottenere che
ciascuno persegua il comportamento razionale: “confessare”, cioè tradire l’altro; in altri termini, la scelta di un
comportamento non cooperativo nei confronti del complice. Poiché tale strategia è adottata da entrambi - ipotizzando
entrambi razionali - la soluzione di equilibrio del Dilemma del Prigioniero sottende la non cooperazione da parte dei
due giocatori. In tal modo, essi ottengono una soluzione congiunta molto meno conveniente (l’equilibrio di Nash, che è
Pareto-inferiore) di quella a cui sarebbero approdati se si fossero aiutati a vicenda (“non confessando”): entrambi,
infatti, sarebbero stati prosciolti dal reato di rapina.
Ed ecco quindi la grande contraddizione del Dilemma: esso rappresenta un clamoroso incidente proprio perché mostra
una situazione in cui la scelta razionale a livello individuale impone ai giocatori un comportamento che porta entrambi a
una situazione peggiore rispetto a un’alternativa che pure sarebbe stata disponibile. Di conseguenza, il problema che si
pone è come stabilire un meccanismo di incentivi che induca i due giocatori a cooperare fra loro in modo da ottenere un
risultato Pareto-superiore, cioè socialmente efficiente.
E’ in tale ambito che viene contestualizzata la nostra analisi dell’impegno politico di Vanoni; la sua azione viene qui
interpretata come un insieme di strumenti volti a raggiungere la soluzione cooperativa del Dilemma del Prigioniero.
Nella nostra rappresentazione stilizzata vengono ipotizzati solo due giocatori – Stato e cittadino – ma il gioco può
naturalmente estendersi a un maggior numero di partecipanti.
Per un’analisi del Dilemma, si rinvia alla voce “game theory” contenuta nel dizionario enciclopedico del Palgrave.
1
massimizzazione
dei
rispettivi
guadagni
(payoff).
La
conflittualità
dell’interazione
verrebbe
ulteriormente accresciuta quando si ipotizzi, anziché un Dilemma del Prigioniero, una struttura del
gioco a somma costante, ad esempio quantificabile nel PIL realizzato annualmente: dato il volume
annuale di risorse, l’ammontare che va a beneficio di un giocatore è pari a quello sottratto all’altro.
Interpretato in chiave di teoria dei giochi, il filo conduttore dell’impegno di Ezio Vanoni da
studioso e statista può essere visto come il tentativo di creare le premesse per l’instaurarsi di un
ambiente cooperativo fra il giocatore-Stato e il giocatore-cittadino: la mutua cooperazione – e
quindi un rapporto funzionante tra istituzioni di mercato e istituzioni pubbliche - avrebbe infatti
consentito di conseguire risultati socialmente migliori. L’ambiente – qui identificabile con lo spazio
strategico – costituisce l’assetto istituzionale dove si svolgono le attività dei due giocatori e i loro
interscambi.
Le linee-guida su cui, secondo Vanoni, avrebbe dovuto improntarsi questa mutua
cooperazione nel tradizionale binomio Stato-cittadino erano – per il primo – porre al centro
dell’economia pubblica l’individuo, con la sua dignità, il suo risparmio, la sua proprietà, con un suo
diritto alla protezione sociale in caso di bisogno; per il secondo, il senso dello Stato e dei doveri
verso di esso. Lo statista era del tutto consapevole che la gente d’Italia non era ancora in grado di
identificarsi con lo Stato a causa della lunga storia di dominazioni, per la mancanza di consuetudine
alla democrazia, per la giovinezza stessa dello Stato. Perciò, la più grande rivoluzione da tentarsi
nel Paese era, secondo lui, prima di tutto una rivoluzione morale 2 .
Le linee di policy indicate da Vanoni interpretano, dunque, la sua visione unitaria e profonda
sul rinnovamento del rapporto fra potere dello Stato e cittadino, trasfusa nei diversi contesti dove
tipicamente si annidano gli interessi confliggenti fra i due giocatori.
Proprio per l’importanza che Vanoni annette al quadro istituzionale entro cui tali interazioni
si svolgono, la teoria dei giochi - con le sue applicazioni alla politica economica – ci appare sotto il
profilo metodologico particolarmente adatta per l’ampio ruolo che essa riconosce alle istituzioni nel
determinare gli esiti delle politiche economiche.
1. La rappresentazione stilizzata dei rapporti cittadino-Stato nei diversi contesti strategici
2
G. Vigna, Ezio Vanoni. Il sogno della giustizia fiscale, Rusconi, Milano, 1992.
2
Di seguito proponiamo una stilizzazione mediante teoria dei giochi di alcune delle principali
aree di intervento di politica economica formulate da Ezio Vanoni. Vi riconduciamo in particolare:
1) la profonda revisione del sistema tributario italiano; 2) la disposizione costituzionale sulla
copertura finanziaria delle leggi di spesa; 3) la programmazione economica.
Verranno messi in evidenza alcuni aspetti del pensiero di Vanoni che nella letteratura
economica e della teoria dei giochi sono indicati come meccanismi di soluzione del Dilemma del
Prigioniero in direzione di un miglioramento paretiano, in quanto favoriscono la cooperazione:
vincoli morali, punizione, ripetizione del gioco.
1) Riguardo ai sofferti rapporti tra cittadino e fisco, Vanoni era persuaso che, a monte della riforma
degli istituti tributari, fosse necessaria quella dei rapporti tra fisco e contribuente nell’accertamento
delle imposte dirette. Doveva, cioè, essere sostituita una collaborazione improntata alla reciproca
lealtà all’interazione tra un fisco teso ad accertare quanto più possibile e il contribuente-tipo
incentivato a minimizzare il suo onere d’imposta: “Nel nostro Paese si ha spesse volte la sensazione
che l’evasione tributaria sia diventata un metodo di vita, un modo di agire contro il quale l’opinione
pubblica non reagisce e che il singolo quasi considera una forma di legittima difesa contro una
imposizione che egli ritiene lesiva della sua sfera di azione individuale”
3
. Vanoni voleva di
conseguenza convincere i cittadini che i loro obblighi come contribuenti - prima che in forza delle
norme vigenti – si basavano su un dovere sociale che, come tale, era anche un dovere morale.
Sottrarsi a tale dovere “assume le caratteristiche […] di una negazione delle esigenze prime della
convivenza sociale […] allo stesso modo con cui circondiamo di disprezzo il disertore che si rifiuta
di difendere il proprio Paese di fronte al nemico, così dovremmo circondare di disprezzo l’evasore
tributario, quando il tributo fosse equo” 4 . Oggi parleremmo di free-rider 5 .
A parere di Vanoni, l’instaurarsi di questo nuovo clima sarebbe stato favorito da una dichiarazione
dei redditi veritiera da parte del contribuente, legittimando l’imposta con i benefici derivanti dalla
spesa pubblica da parte dell’Amministrazione6 , operando una riduzione delle aliquote, concedendo
3
Discorso di Ezio Vanoni alla Camera dopo il suo insediamento al Ministero delle Finanze. Cit. in G. Vigna, op. cit.
Cit. in G. Vigna, op. cit..
5
“Salire sull’autobus senza pagare il biglietto” sta a indicare la possibilità di usufruire di un bene pubblico (alla
Samuelson) interamente finanziato da altri, cioè senza il proprio contributo. E’ evidente che la possibilità del free-riding
si accresce con l’aumentare della popolazione, cioè dei contribuenti che finanziano la spesa: se vi sono molti individui
“onesti”, non solo è più facile nascondersi nella massa, ma anche ottenere gratuitamente un livello elevato del bene
pubblico.
6
Come testimonia S. Steve, Scritti vari, F. Angeli, Milano, 1997, Vanoni era consapevole che l’accertamento non si
svolgeva e non si era mai svolto in Italia nella forma di una definizione, secondo criteri fissati dalla el gge,
dell’ammontare del reddito e dell’applicazione ad esso delle corrispondenti aliquote d’imposta. Il rapporto tra
contribuente e fisco si traduceva, piuttosto, in forme conflittuali (risultato di valutazioni indiziarie dell’amministrazione)
o collusive (accordi forfettari), degradate in un’omissione (implicitamente avallata dall’amministrazione) dell’obbligo
della dichiarazione, sostituita dalla conferma, tramite silenzio assenso, dei redditi passati.
4
3
un condono (offrendo “ai contribuenti morosi la possibilità di sistemare il passato senza oneri
eccessivi”), promuovendo una riforma del contenzioso tributario che aumentasse le garanzie del
contribuente, abolendo le esenzioni fiscali esistenti. (Come “una croce di cavaliere non si rifiuta a
nessuno”, egli affermava, “una esenzione, in questo nostro beato Paese, del pari non si rifiuta a
nessuno”7 , sebbene determinante di ingiuste sperequazioni).
Naturalmente, oltre al sistema dei premi, era previsto quello delle sanzioni, anche in questo caso
non solo con finalità perequative, ma anche di efficienza della nuova architettura tributaria. Per il
perseguimento di tale intento, non poteva poi mancare la modernizzazione della macchina
amministrativa: cioè, l’adeguata dotazione degli Uffici, anche attraverso l’accrescimento degli
aspetti tecnici (capacity-building) e motivazionali del personale. In tale ottica, la nuova
dichiarazione dei redditi assumeva una duplice valenza: strumento cooperativo, ma anche strumento
operativo volto ad assecondare il nascente fenomeno della fiscalità di massa.
In tale impianto, si colgono due principali spunti interpretativi: uno di teoria dei giochi e uno più
tradizionale di scienza delle finanze. Nella prima prospettiva, è individuabile il perseguimento
dell’efficienza attraverso la cooperazione e la chiara definizione delle regole del gioco: l’obbligo
alla dichiarazione unica annuale dei redditi, il dovere degli Uffici di motivare le rettifiche apportate,
la necessità di eliminare eccezioni all’applicazione della legge mediante le esenzioni, il sistema di
sanzioni, nonché la riforma del contenzioso, nascono dall’esigenza di definire le regole del gioco
strategico e di renderle simmetriche e universalmente note (common knowledge). In secondo luogo,
rievoca la prospettiva di Puviani sull’illusione fiscale l’esigenza di Vanoni di stabilire un legame
trasparente tra tributo e spesa pubblica, in quanto: “Un peso imposto ai cittadini per qualsiasi abuso
della forza pubblica e che non serva per fini di utilità collettiva ma sia disperso in vantaggi di
singoli sarà taglia, livello, spoglio, ma mai tributo”8 .
Considerando anche la trasparenza come
regola del gioco strategico, possiamo ricondurre a un unicum i due piani interpretativi.
Pensare quindi alla “riforma Vanoni” come a una mera revisione dell’architettura dei tributi (cespiti,
aliquote, soggetti passivi, ecc.) e degli adempimenti amministrativi connessi sarebbe estremamente
riduttivo, poiché si trascurerebbero l’idea di fondo e l’aspirazione etica che l’animava: mutando le
condizioni ambientali del gioco, muta anche il legame tra cittadino e Stato, così da rovesciare
l’equilibrio (di Nash) del gioco costituente (un Dilemma del Prigioniero) a favore di un
L’amministrazione, da parte sua, non era in grado quindi di effettuare un controllo – e un’eventuale revisione dei redditi
– se non sulla base di criteri incerti e arbitrari.
7
Cit. in G. Vigna , op. cit.
8
Cit. in F. Forte, Ezio Vanoni: l’economia pubblica come scienza dell’amore della Patria, in Banca Popolare di
Sondrio, Sondrio, 2003 e in S. Steve, op. cit.
4
miglioramento paretiano dei risultati, raggiungibile solo attraverso la cooperazione nel tempo
(rounds) fra i soggetti economici (supergame)9 .
Veniva riconosciuta da Vanoni la necessità di un orizzonte temporale sufficientemente lungo per la
reputation building dell’Amministrazione e per una risposta positiva da parte della collettività o, se
vogliamo, per un mutamento delle preferenze di entrambi i giocatori (l’economia sperimentale
conferma infatti che il numero di rounds necessari per avviare la cooperazione può essere elevato):
come spiegava Ferrari Aggradi, appunto perché “si era puntato sul convincimento del contribuente e
si aspettava la sua reazione”10 , con l’entrata in vigore della legge di perequazione tributaria era
prevista una fase di transizione per l’aggiustamento.
2) Per Vanoni era necessario che spesa pubblica ed entrate convergessero verso un punto di
equilibrio, “contemperando le diverse esigenze che si presentano nel Paese”. Di nuovo, sullo
sfondo, gli interessi che contrappongono i due lati del bilancio pubblico e, al loro interno, il
conflitto per la ripartizione di benefici e oneri. “E’, il Ministro del Tesoro, il più disgraziato dei
Ministri di qualsiasi Gabinetto, perché è su di lui che incombe il dovere di conciliare, insieme con il
Presidente del Consiglio, le diverse esigenze che si affacciano nella vita sociale del Paese. Né è
possibile incrementare le spese esistenti o suggerirne di nuove e nello stesso tempo suggerire o
imporre limitazioni delle entrate”11 .
Rievoca, tale posizione, quella della Destra storica: “Supponete un nemico mortale dell’unità e
libertà d’Italia. Io non so quale condotta più efficace al suo interno potrebbe tenere che spingendoci
all’aumento di spese e trattenendoci dall’incremento del lavoro e del sacrificio, cioè dalle imposte”
(Sella ai suoi elettori in Biolo, 18 ottobre 1874)
12
. In questa prospettiva idealistica, si ammetteva
naturalmente il rischio di fallire l’obiettivo del pareggio, ma ciò sarebbe stato – prima ancora di un
obiettivo di politica economica mancato – una regola violata.
Tuttavia, i vincoli morali – sebbene possano essere considerati, in una prospettiva strategica di
teoria dei giochi, strumentali al raggiungimento di obiettivi che nulla hanno a che fare con l’etica13 non possono essere utilizzati come perfetti succedanei di quelli posti dalla norma.
Il conflitto “fisiologico” fra agente economico e autorità di politica economica doveva essere
almeno in parte superato, secondo Vanoni, su altri campi, ricorrendo cioè a meccanismi esogeni di
cooperazione: attraverso vincoli costituzionali di natura finanziaria la cui formulazione portò, in
9
Un gioco, quando prosegue nel tempo, cioè quando viene ripetuto per più rounds, può dar vita a un gioco differente detto anche “supergioco” - rispetto a quello iniziale.
10
Cit. in G. Vigna, op. cit..
11
Dal suo ultimo discorso al Senato, 16 febbraio 1956.
12
Cit. in G. Marongiu, Storia del fisco in Italia, Einaudi, Torino, 1995.
13
Cfr., ad esempio, D. Gauthier, Morals by Agreement, Oxford University Press, Oxford., 1986.
5
particolare, all’introduzione dell’art. 81. Nelle parole di Luigi Einaudi, esso “costituisce il baluardo
rigoroso ed efficace voluto dal legislatore allo scopo di impedire che si facciano nuove o maggiori
spese alla leggera, senza avere prima provveduto alle relative entrate”
14
. Faceva eco Vanoni, che
“precisò che la norma è una garanzia della tendenza al pareggio del bilancio e che è opportuno che
anche dal punto di vista giuridico il principio sia presente sempre alla mente di coloro che
propongono spese nuove: il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio, e
la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agiti nel paese e che avanzi
proposte che importino maggiori oneri finanziari”15 .
3) Il Piano Vanoni (“Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 195564”) inaugura la storia della programmazione in Italia. Esso, pur riconoscendo la centralità del
mercato all’interno del sistema economico, attribuiva un grosso rilievo all’intervento dell’operatore
pubblico a correzione dei market failure, sia sul piano macro che su quello microeconomico.
Come ha affermato Fausto Vicarelli
16
, il punto di distacco del keynesismo italiano (a cui lo Schema
vanoniano si ispirava)17 dalla tradizione classica riguardava non tanto il principio della domanda
effettiva, quanto la sfiducia nei meccanismi automatici di riequilibrio del mercato. Il Piano
teorizzava appunto una mano pubblica che allocasse le risorse sulla base di un programma
preordinato. Nascevano in quel periodo, come chiare espressioni dell’intervento pubblico
nell’economia di mercato, la Cassa per il Mezzogiorno (1950), l’Eni (1953), il Ministero delle
Partecipazioni Statali (1956).
Seppure abusata come citazione, la rilettura del programma di Vanoni mediante la teoria dei giochi
ci induce a tornare su un famoso passaggio di Adam Smith
18
riguardo all’agente economico. “In
verità, generalmente, egli né intende promuovere l’interesse pubblico, né sa quanto lo sta
promuovendo […] egli mira soltanto al proprio guadagno, e in questo come in molti altri casi, è
condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non rientrava nelle sue intenzioni […]
Perseguendo il proprio interesse, egli spesso promuove quello della società in modo più efficace di
quando intende realmente promuoverlo”.
14
Cit. in G. Marongiu, op. cit.
Cit. in G. Marongiu, op. cit.
16
F. Vicarelli, Note in tema di accumulazione del capitale in Italia (1947-63), in G. Lunghini (a cura di), Scelte
politiche e teorie economiche in Italia 1945-1978, Einaudi, Torino, 1981.
17
Vanoni è tuttavia da considerarsi un keynesiano sui generis – sebbene per alcuni (F. Forte, op. cit.) non lo sia neppure
– poiché l’intervento pubblico nell’economia avrebbe comunque dovuto escludere un deficit spending.
18
A. Smith,, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), trad. it., Utet, Torino, 1975.
15
6
Giustificandone la bontà sia individuale che sociale, Adam Smith
19
è nel vulgata il precursore
dell’idea di libera concorrenza. Ma è proprio la teoria dei giochi a indicare i limiti della sua teoria e
a offrire il razionale di un’economia mista, come quella voluta da Vanoni. Infatti, nel Dilemma del
Prigioniero, la mano invisibile si insinua fra la competizione tra i giocatori e l’esito del gioco è
l’equilibrio di Nash, cioè l’esito peggiore. In simili situazioni, il governo dovrebbe promuovere la
cooperazione (assolvendo, quindi, esso stesso al ruolo di meccanismo esogeno cooperativo). Il suo
intervento andrebbe, dunque, ben oltre le funzioni minime assegnategli dai classici.
L’opera di Adam Smith
20
precorre non solo importanti indirizzi della teoria economica, ma anche
la teoria darwiniana dell’evoluzione, sviluppatasi quasi un secolo dopo. E anche quest’ultima, a sua
volta, ci può offrire spunti interpretativi sul razionale vanoniano della programmazione nell’ambito
di un’economia mista.
Com’è noto, in Darwin la lotta/competizione in natura per la sopravvivenza di soggetti
completamente egoisti ha portato alla diversità biologica e, quindi, allo sviluppo delle specie.
L’evoluzione costituisce la mano invisibile che governa questo processo di trasformazione, la
selezione naturale il suo strumento.
La moderna analisi dell’evoluzione della specie fa largo affidamento metodologico sulla teoria dei
giochi, che offre un razionale sia per la competizione all’interno del gruppo (selezione del gene), sia
per la cooperazione fra i suoi membri (selezione del gruppo). In chiave evoluzionistica, nelle
economie miste la sfera di mercato è governata dalla mano invisibile e l’interazione dei soggetti al
loro interno è spiegabile dalla teoria della selezione del gene. La sfera pubblica guida “sottilmente”
i movimenti della mano invisibile attraverso la regolamentazione e i sistemi di incentivi; inoltre,
dirige lo svolgimento degli affari pubblici in modo da produrre un’influenza positiva sul mercato.
Pertanto, in chiave evoluzionistica, il suo comportamento è spiegabile con la selezione del gruppo,
cioè con la necessità di garantire la sopravvivenza del sistema-Paese.
L’economia mista è dunque un mix di selezione del gene egoista e di selezione del gruppo; è la
sintesi della convivenza tra istituzioni pubbliche e di mercato; è una particolare stilizzazione delle
interazioni del giocatore-cittadino/impresa e del giocatore-Stato. Benché i pesi relativi delle
componenti pubblica e privata ovviamente varino fra paesi, l’esperienza storica insegna come siano
favoriti quei sistemi economici in cui i principi di selezione (gene vs. gruppo) operino
contemporaneamente, piuttosto che polarmente.
In sintesi, la teoria dei giochi, combinata con le teorie evoluzionistiche, offre una giustificazione
dell’economia mista voluta da Vanoni e della programmazione di lungo periodo, strumento per
19
20
Op. cit.
Op. cit.
7
valorizzare sia l’operare del mercato che dell’intero gruppo – il sistema-Paese – tenendo conto dei
suoi divari e interdipendenze (socio-economici, settoriali, territoriali, internazionali).
2. Dagli ideali ai fatti
Il resto della storia del Paese dagli anni settanta è nota: è sostanzialmente la storia di un
government failure, che sia la public choice che la teoria della cattura21 in larga parte spiegano.
Il “nuovo ceto” burocratico degli anni settanta è stato l’opificio della regolamentazione:
moltiplicando
le
regole
del
gioco
strategico
e
guadagnandosi
i
vantaggi
competitivi
dell’informazione asimmetrica, la burocrazia ha reso il giocatore-cittadino (-impresa) spesso
incapace di partecipare, ovvero ne ha reso disincentivanti i payoff al netto dei costi transazionali di
partecipazione. A quelle esplicite, sono state aggiunte le regole “sommerse”, che hanno favorito
equilibri collusivi nei sottogiochi 22 tra mercato e settore pubblico.
Il mercato dei titoli emessi dal settore privato ha assunto alcuni tratti del mercato dei “bidoni”
(market of lemons) di Akerlof
23
: cioè, in un contesto di asimmetria informativa a vantaggio
dell’impresa emittente, i sottoscrittori non riescono a rilevare la qualità del titolo all’atto
dell’acquisto; quando non sufficientemente tutelato dalla regolamentazione e/o dalle autorità
preposte a vigilare sulla corporate governance, il cittadino vede minato il rispetto del suo risparmio,
ritenuto da Vanoni un elemento indispensabile per l’instaurarsi del rapporto cooperativo tra
cittadino e Stato.
La scarsa attenzione all’art. 81 Cost., spezzando il nesso tra spesa e suo finanziamento, ha
creato un onere per le generazioni future di giocatori: oltre che per i cittadini, anche per i governi,
costretti a vincoli sovranazionali più stringenti - le regole del Trattato di Maastricht prima e del
21
George Stigler dell’Università di Chicago ha ricevuto il premio Nobel in parte per le sue teorie sulla
regolamentazione. Egli ha sostenuto che le commissioni di regolamentazione tendono ad essere catturate dall’industria
che devono regolamentare; pertanto, più che proteggere i consumatori dalle industrie, essi servono a dar vita a cartelli
creati dallo Stato. Si veda, ad esempio, G. Stigler, Theory of Regulation, in Bell Journal of Economics, 1971.
22
In termini molto semplificati, un sottogioco costituisce un equilibrio che sorge in uno dei nodi decisionali dell’albero
strategico; quindi, è un sottoinsieme all’interno della struttura più ampia del gioco. Qui, evidentemente, si interpreta
l’albero come l’intero sistema istituzionale pubblico-privato e il sottogioco come una commistione sommersa tra i due
dotata di un proprio equilibrio all’interno del sistema.
23
In sintesi, il punto centrale della questione è rappresentato dalla stesura di un contratto di scambio - beni o
prestazioni, le cui qualità sono difficilmente osservabili - tra due agenti di cui uno (l’acquirente) possiede minori
informazioni rispetto alla controparte e, quindi, accoglie più rischi nella stipula del contratto.
8
Patto di Stabilità poi - e a rispondere all’apparato comunitario - in una logica di backward looking –
anche dello stock di debito pubblico accumulatosi nel tempo.
E l’elenco delle disfunzioni potrebbe continuare a lungo.
2.1 L’evoluzione istituzionale e normativa del dopo-Vanoni
Queste vicende si inquadrano nell’ambito dell’evoluzione istituzionale e normativa del dopoVanoni. Ne individuiamo alcuni fatti-chiave:
1. un mutamento delle regole del gioco in campo finanziario;
2. un’articolazione più “variegata” - cioè meno “compatta” - del giocatore-Stato e un diverso
“peso” - cioè un mutamento dell’importanza relativa - delle sue stesse componenti (vale a
dire, dei suoi diversi selves);
3. un moltiplicarsi degli attori partecipanti all’arena economica e politica rispetto alla
stilizzazione duale cittadino-Stato.
Il primo aspetto fa riferimento alla tecnica legislativa sottostante all’introduzione della legge
finanziaria (L. 5 agosto 1978 n. 468) quale meccanismo correttivo dei contenuti della legge di
bilancio previsivo, la cui approvazione avviene a legislazione vigente. La finanziaria costituisce
quindi il mix di un trade-off tra l’esigenza di una maggiore flessibilità della politica fiscale rispetto
ai vincoli posti sulla legge di bilancio e il rischio di innescare, attraverso un suo uso distorto, una
tendenza elusiva di tali vincoli. Pertanto, il suo utilizzo “virtuoso” richiede un’attenta valutazione di
tale trade-off e, quindi, la selezione di mix di misure che costituiscano esclusivamente una sorta di
contrappunto alla mancanza di potere normativo della legge di bilancio, senza che si debordi in
operazioni “accondiscendenti”.
Il progressivo “appesantimento” dei contenuti delle finanziarie nel tempo può perciò
rappresentare una proxy di come abbiano invece prevalso proprio gli aspetti distorsivi. Nel primo
decennio del suo utilizzo (cioè fino alla riforma del 1988), la legge finanziaria si era trasformata
soprattutto in uno strumento di ricomposizione (anche in termini quantitativi) delle entrate e delle
uscite previste in bilancio, determinando una minore trasparenza (e quindi una minore capacità di
monitoraggio) dei meccanismi di spesa e di prelievo, incertezze previsive sugli andamenti delle
grandezze di finanza pubblica, obblighi permanenti di spesa, effetti di trascinamento nel tempo
degli squilibri fra le poste attraverso l’accumulazione dei disavanzi e del debito.
Quanto al secondo aspetto, nel tempo il giocatore-Stato ha subito, da un lato, una sorta di
scissione dovuta a una più accentuata contrapposizione tra decisori pubblici – Parlamento e
Governo centrale – e, dall’altro, un rovesciamento dei loro rispettivi ruoli e pesi. Come predice la
9
teoria economica e della psicologia delle preferenze, la pluralità di soggetti (selves) all’interno dello
stesso operatore determina altrettanti sistemi di preferenze che possono tra loro confliggere24 . In tale
contesto, il risultato dell’interazione fra i due decisori è stato che l’operatore pubblico – nel suo
complesso - ha acuito la sua conflittualità interna, rendendo meno predicibili i suoi processi
decisionali. Il conseguente scarso coordinamento della sua azione ha originato anche tendenze a
deviare dalla politica discrezionale annunciata, sulla cui base il mercato aveva già operato le proprie
scelte – un problema noto in politica economica come incoerenza temporale25 . Essa mina gli aspetti
reputazionali delle autorità di politica economica e, quindi, la fiducia da parte della collettività. Se il
gioco fra autorità e settore privato si ripete periodo dopo periodo, equilibri efficienti possono essere
raggiunti solo attraverso l’incentivo a (ri)guadagnarsi una reputazione, e quindi a non defezionare
dagli impegni assunti.
Sebbene la nostra analisi si limiti all’individuazione dei due selves principali all’interno
dell’operatore statale, non possiamo trascurare la sua più ampia “variegazione”, che comprende i
governi sub-centrali (federalismo interno) e quelli sovranazionali (federalismo esterno). Ciò
determina un fenomeno di spinte e contro-spinte nei confronti del Governo centrale: dal basso,
pressioni sui meccanismi di spesa verso una sua dilatazione; dall’alto, una pressione verso il rigore
24
La coesistenza di diversi sistemi di preferenze/entità (selves) all’interno di uno stesso soggetto trova interpretazione
sia in un contesto statico che dinamico della struttura del soggetto: nel primo, tale pluralità può essere spiegata dalle
diverse componenti che operano e interagiscono all’interno del soggetto, secondo propri bisogni, motivazioni, obiettivi
tra loro non necessariamente compatibili: tipicamente la razionalità, la parte istintuale, la componente emotiva. In una
prospettiva dinamica, la pluralità è vista come l’evoluzione intertemporale delle preferenze soggettive; in tale ipotesi, a
ogni sistema contingente di preferenze corrisponde una diversa entità e quindi, in ultima analisi, un soggetto diverso.
Già R.H. Strotz, Myopia and Inconsistency in Dynamic Utility Maximization, in Review of Economic Studies, 1955,
aveva osservato che, se le preferenze variano nel tempo, un programma che è ottimale al tempo t, non lo sarà
necessariamente al tempo t+1. Per un’analisi più recente, richiamiamo il noto lavoro di J. Elster, Ulysses and the Sirens,
Cambridge University Press, Cambridge, 1979. Nel caso di Ulisse, egli ha utilizzato la propria razionalità per prendere
le distanze da sé – e, in particolare, da quel sé che lo avrebbe attratto verso le Sirene – mediante un severo sistema di
auto-costrizione della sua discrezionalità. Anticipando l’evoluzione delle sue preferenze all’approssimarsi delle Sirene –
e quindi il conflitto di obiettivi di breve e lungo periodo (fermarsi/tornare a casa) – la razionalità di lungo periodo ha
prevalso, giustificando il sistema di vincoli auto-imposti. Pertanto, l’autoregolamentazione e la riduzione volontaria del
libero arbitrio possono trovare piena legittimazione anche sulla base dell’assunto di razionalità di lungo periodo
dell’agente economico; in chiave evoluzionistica, con la sua sopravvivenza; in chiave strategica, con la costruzione
della propria reputazione.
Proprio sotto quest’ultimo profilo, grazie alle valenze di lungo periodo dell’auto-imposizione di regole/vincoli, è
interesse della classe politica al governo, il cui obiettivo è ovviamente essere rieletta, investire in politiche aventi ritorni
reputazionali, e quindi in primo luogo credibili. Nel caso concreto, ciò può avvenire attraverso la riduzione della
discrezionalità degli interventi di politica economica, deferita a certi meccanismi (come gli stabilizzatori automatici, la
regola monetaria di Friedman, ecc.) o ad altri organismi, cioè a una terza parte che abbia il potere di punire in caso di
violazione dell’impegno a perseguire la politica temporalmente coerente.
25
In certe situazioni, i policy-makers possono voler annunciare in anticipo la politica che verrà da loro adottata - così da
influenzare le aspettative degli operatori economici e successivamente - dopo che questi hanno effettuato le scelte sulla
base di tali aspettative - non voler più mantenere l’impegno assunto. L’inclusione di tale comportamento nel set
informativo degli agenti economici fa sì che nelle tornate successive del gioco gli effetti di annuncio delle autorità di
politica economica siano nulli, se non destabilizzanti. Per modificare la propria reputazione presso la collettività,
l’operatore pubblico può adottare un impegno vincolante ex-ante, cioè prima che il settore privato prenda le sue
decisioni. Un’analisi di tali argomenti è in L. Spaventa, (a cura di), La teoria dei giochi e la politica economica, il
Mulino, Bologna, 1989.
10
finanziario. Per di più, questa maggiore articolazione dello Stato tende ad attenuare ulteriormente il
legame unitario con il cittadino, “a favore di una balcanizzazione delle appartenenze e delle
identità”
26
e a favore di nuove coalizioni che il cittadino forma con altri soggetti, come vedremo
più avanti. In sintesi, nel nuovo contesto, lo Stato-giocatore perde il suo originario impianto
monistico e si presenta come aggregati di parti, come pluralità di centri. Tra questi ultimi si
stabiliscono nuove relazioni, spesso illustrate con la metafora della rete, espressione istituzionale
della diversità e del policentrismo 27 .
Quanto ai ruoli dei due selves principali – Parlamento e Governo centrale - il Parlamento del
dopo-Vanoni è stato progressivamente “catturato” dalle istanze del corpo elettorale e si è
identificato sempre più come luogo di rappresentazione degli interessi che premono sui meccanismi
decisionali della finanza pubblica. Questa sua minore autonomia decisionale ha modificato i pesi
relativi dei due soggetti “contenuti” all’interno del giocatore-Stato, ponendo il Parlamento in una
situazione subalterna rispetto al Governo. Oggi è piuttosto quest’ultimo ad assolvere la funzione di
custode della virtù finanziaria, di cui è responsabile non solo sul piano interno, ma anche su quello
internazionale. E’ il Governo che in primo luogo è chiamato a rispondere ai mercati e alle autorità
sovra-nazionali: il debito pubblico viene valutato dai mercati finanziari (rating) e la solidità
finanziaria che il Governo garantisce per il suo Paese sottoposta a un giudizio non diverso da quello
che il mercato e le autorità di vigilanza esercitano sulle imprese. Tanto maggiore è la “qualità” della
classe politica del Paese (cioè dell’elite politica, che oggi è soprattutto il Governo a esprimere),
tanto maggiore è la garanzia di virtù finanziaria – e, quindi, di credibilità – del sistema-Paese, tanto
minore la sua classe di rischio. Una proxy del più incisivo ruolo di garante assolto oggi dal Governo
centrale la si coglie nelle leggi finanziarie tendenzialmente più “snelle”, nel minore ricorso
all’esercizio provvisorio e nella promozione di meccanismi (come il decreto “taglia-spese”) volti a
rafforzare il rigore finanziario e a riaffermarne la natura costituzionale.
Oltre che con la più accentuata dualità del giocatore-Stato, la platea dei partecipanti al gioco si è
allargata con il subentrare massiccio dei meccanismi di segnalazione (signalling) di cui il primo si
serve per inviare messaggi al giocatore-cittadino e per “sondarne” le reazioni e i mutamenti delle
preferenze. Non soltanto per veicolare/raccogliere informazioni il giocatore-Stato si serve dei massmedia, ma anche come tecnica seduttiva nei confronti del corpo elettorale: dei mass media sfrutta la
capacità ludica, che crea inediti impasti tra politica e spettacolo-sport (con l’ausilio di una buona
dose di finanza). Proprio per questa pluralità di valenze, cioè per questa duttilità nell’uso e nel
combinarsi, i mass media da strumento di comunicazione assurgono ad attore della comunicazione,
tale è la pervasività del soft power che riescono a esercitare. Peraltro, detta trasformazione è
26
27
S. Cassese, La crisi dello Stato, Laterza, Bari, 2002.
S. Cassese, op. cit..
11
riconducibile all’interno di un più ampio processo, descritto da Cassese
28
, di mutamento del
rapporto tra Stato e tecnologia (segnatamente, stampa e telecomunicazione), dove la seconda tenta
non solo di affrancarsi dal primo, ma in qualche misura di sottoporlo alle sue regole. Come egli
osserva, oggi gli individui “possono stabilire, tramite la rete elettronica, rapporti diretti tra di loro,
costituire reti, associazioni, gruppi internazionali senza che i poteri pubblici generali abbiano
neppure la possibilità di interferire” 29 .
Sull’estensione dell’arena politica ed economica ha avuto un effetto determinante anche
l’espandersi della sfera d’azione della Commissione. Richiamando di nuovo quanto osservato da
Cassese, per assolvere al suo ruolo di controllo nell’attuazione del diritto comunitario e di
armonizzazione
delle
legislazioni
nazionali,
la
Commissione
non
può
che
affidarsi
alla
collaborazione dei cittadini e delle imprese degli Stati Membri. I privati, infatti, nel perseguire i
propri interessi (ad esempio, la minimizzazione del proprio carico tributario attraverso un più
favorevole regime d’imposta) intraprendono un’attività di ricerca (questo “law shopping” è quindi
interpretabile come un’applicazione della search theory microeconomica): gli agenti economici
acquisiscono informazioni sui diversi regimi nazionali, operano analisi comparate, denunciano alla
Commissione
le
discriminazioni
perpetrate
a
proprio
svantaggio.
Pertanto,
il
giocatore-
cittadino/impresa, incentivato a far valere i propri interessi nei confronti del giocatore-Stato, si
avvale di un rapporto diretto – e collusivo – con il giocatore-comunitario, che dà luogo a un doppio
dividendo: per la Commissione, favorisce la sua attività di monitoraggio e armonizzazione; per i
diretti interessati alla sua azione, il proliferare di lobbies che premono su Bruxelles perché si faccia
portavoce delle loro istanze. In altri termini, trasponendo nel presente contesto la linea
argomentativa di Cassese, questi gruppi di pressione, portando avanti il proprio interesse,
consentono involontariamente e contemporaneamente – proprio come l’homo economicus di Adam
Smith – di raggiungere un fine comune…anzi comunitario. In tale quadro, è dunque la
Commissione che assolve il ruolo di mano (in)visibile. Di conseguenza, si crea una triangolazione,
cittadino-Stato-Commissione, dove il secondo è contrapposto alla terza sulla base dell’iniziativa del
primo. Con l’entrata in gioco dell’attore comunitario non solo si allenta ancor di più il legame
diretto tra cittadino e Stato, ma si accentua la conflittualità del loro rapporto: “Mentre si vale delle
asimmetrie nazionali per attuare il diritto comunitario, [la Commissione] arriva fino alle comunità
statali, valendosene in funzione antistatale, proprio in virtù della coincidenza tra interessi privati e
interessi pubblici comunitari”
30
. Di nuovo, quindi, un mutamento radicale rispetto al contesto
politico, economico, istituzionale dell’epoca di Vanoni e al suo impianto ideale.
28
Op. cit.
S. Cassese, op. cit., pag. 47.
30
S. Cassese, op. cit., pag. 111.
29
12
Con l’aumentare del numero dei giocatori sono divenute più complesse le interazioni
strategiche, si sono accresciute le capacità di collusione e quindi le strategie disponibili a ciascun
soggetto, infittitisi gli equilibri che si annidano nei sottogiochi, allargatosi lo spazio del gioco
strategico (l’assetto istituzionale, che è lo scheletro dell’arena politica ed economica) anche al di là
dei confini nazionali. La complessità, a sua volta, ha elevato la probabilità di una distribuzione
asimmetrica dell’informazione fra i partecipanti al gioco e, quindi, di una privatizzazione della
stessa a beneficio solo di alcuni di essi; inoltre, la complessità ha influenzato anche il set delle
regole.
Idealmente, queste ultime devono costituire conoscenza comune (common knowledge):
l’asimmetria informativa è di per sé conflitto. E devono essere semplici: la complessità legislativa e
della regolamentazione crea opacità, e quindi sospetto. Tuttavia, la progressiva articolazione del
gioco, con tutti i suoi possibili sottoprodotti (collusioni, informazione imperfetta e incompleta,
segnalazioni non veritiere, cheap talk, cioè accordi non vincolanti, ecc.), riduce quelle che Amartya
Sen
31
chiama le “garanzie di trasparenza”, classificate tra le libertà “strumentali” in quanto capaci
di favorire condizioni di ambiente economico-giuridico adatte allo sviluppo. Tali garanzie hanno
una chiara funzione contro la corruzione, l’irresponsabilità finanziaria, le trattative sotto banco.
Non si rintraccia quindi, nel periodo post-Vanoni, l’idea di cooperazione tra attori economici,
che avrebbe determinato risultati Pareto-superiori, cioè economicamente più convenienti. Piuttosto,
i giocatori hanno messo in moto un meccanismo di defezione reciproca all’interno della strategia
“colpo su colpo” (il Tit-for-Tat di Anatol Rapoport, analizzato e reso celebre negli anni ottanta dal
politologo americano Robert Axelrod32 ). Le regole del gioco sono due e molto poco sofisticate: 1)
coopera al primo round del gioco; 2) poi, copia la mossa che il tuo avversario ha fatto nel round
precedente. L’implicazione è che, se un giocatore non ha cooperato nell’incontro precedente, l’altro
si adegua alla medesima strategia nella tornata successiva, arrivando quindi a una situazione
peggiore per entrambi (equilibrio di Nash).
Un’interpretazione in chiave di strategia Tit-for-Tat (TFT) delle politiche tributarie post-Vanoni
è offerta dalla “strategia” dei condoni. La classificazione semplificatrice di seguito proposta delle
loro varie tipologie diventa fondamentale ai fini di una loro rilettura secondo un’impostazione di
teoria dei giochi.
Essi possono distinguersi in:
31
32
Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano, 1999.
The Market for Lemons: Quality Uncertainty and the Market Mechanism, in Quarterly Journal of Economics, 1970.
13
(I)
condoni “classici”, estesi a gran parte della platea dei contribuenti, e quindi alla gran
massa di base imponibile. Vengono applicati tipicamente ai redditi da lavoro, vale a
dire a basi imponibili ricorrenti e dotate di scarsa mobilità. La politica di condoni
destinata a questo segmento di soggetti/redditi si presta perciò particolarmente a
essere replicabile nel tempo;
(II)
condoni circoscritti a particolari basi imponibili – ricchezza e reddito d’impresa –
che per loro natura sono caratterizzate di una mobilità molto più elevata. Esempi
sono lo scudo fiscale e le misure per favorire l’emersione delle attività produttive.
Proprio per i cespiti che ne sono oggetto, questi condoni hanno natura di una tantum
e, inoltre, a differenza dei primi, non esauriscono il proprio obiettivo nell’incremento
di gettito, bensì sono finalizzati a modificare la mappatura dei circuiti produttivi
legali e/o a modificare le dotazioni di ambiente e di sviluppo del sistema-Paese
(tramite le maggiori risorse per l’investimento). In altri termini, tali condoni non
producono un impatto esclusivamente finanziario per lo Stato, ma anche – e ancor
più importante – di natura reale per il Paese.
(III)
condoni edilizi che, volti a sanare abusi e danni su beni pubblici irriproducibili
(l’ambiente e il paesaggio), hanno natura regolamentativa, estranea agli scopi della
presente analisi.
Riconducendo la nostra tassonomia alla strategia TFT, si può notare come il primo tipo di
condono determini un disincentivo alla cooperazione da parte del giocatore-contribuente per
l’implicita promessa di un perdono di ultima istanza, che costituisce un fattore distorsivo sul suo
sistema di incentivi. Infatti, alla sua mossa non cooperativa – l’evasione –, nei rounds successivi
l’operatore pubblico, anziché reciprocare attraverso il sistema delle sanzioni, coopera attraverso il
sistema dei condoni. Insomma, emerge un rovesciamento delle regole del gioco, che dà forti
vantaggi competitivi al free-rider, cioè premia comportamenti disonesti.
Il processo di learning, cioè l’accumulazione dell’esperienza nel tempo da parte dell’evasore
riguardo all’interazione stilizzata che si instaura con il fisco, intacca gli aspetti reputazionali di
quest’ultimo, rendendo il sistema di sanzioni poco credibile, cioè una minaccia a “buon mercato”
(cheap talk).
Tale impostazione è quindi ben lontana dal condono previsto da Vanoni allo stadio iniziale
della riforma (cioè, con una mossa dell’operatore pubblico al primo round del TFT volta a invitare
l’altro alla cooperazione). Il carattere una tantum del condono di allora rifletteva una scelta
destinata a segnalare alla platea dei contribuenti un’opportunità - dopo l’ambiguità tradizionale dei
14
loro rapporti con il fisco - e, quindi, il nuovo spirito dei tempi. In altri termini, il condono di Vanoni
assumeva in qualche misura anche un carattere simbolico; ovvero, utilizzando la terminologia della
teoria dei giochi, la mossa aveva un’importante valenza segnaletica sul “tipo” di operatore pubblico.
Il resto della riforma poteva fornire un’informazione complementare, che sarebbe servita al
giocatore-contribuente per l’“estrazione del segnale”, cioè per decriptare il messaggio e l’attitudine
della controparte con la concessione del condono.
Il secondo tipo di condono (precedente punto (II)) muove da motivazioni di natura non
meramente finanziaria, come già rilevato. Sottostante vi è un’azione di politica economica di
respiro più ampio e dall’orizzonte temporale più lungo, in quanto destinata a produrre effetti
permanenti, incidendo sul sistema produttivo nazionale e sulla dotazione di ambiente. I suoi stessi
intenti ne attribuiscono dunque la natura di una tantum. La mossa del giocatore-Stato segnala la sua
disponibilità a cooperare che, se non reciprocata, porterà all’applicazione delle sanzioni annunciate.
E’ soprattutto questo secondo tipo di condono ad avvicinarsi a quello di Vanoni, condividendo
l’intento di un progresso istituzionale – le condizioni di ambiente giuridico-normativo – sottostante
al condono. In tale ottica, la sua natura “straordinaria” non ne costituisce un limite, ma, piuttosto,
una garanzia sulle regole e sull’esito del gioco.
Conclusioni di policy
Come si ristabilisce la cooperazione? O, in altri termini, come si supera il government failure?
Secondo la teoria dei giochi, attraverso accordi credibili (impliciti o espliciti) di cooperazione
fra i due giocatori; ovvero, con il cambiamento di strategia da parte di uno dei due che, cooperando,
spera di essere imitato dall’altro: in altri termini, mediante un suo investimento iniziale in
reputazione.
La teoria economica indica, come soluzione al government failure, oltre al ritorno al mercato (in
quanto male minore)33 e alla creazione di istituti sovra-nazionali chiamati a superare le inefficienze
statali, la rimodulazione degli interventi – correzione dei vecchi schemi e creazione di nuovi
compiti - da parte dello stesso operatore pubblico: tra i primi, la realizzazione di condizioni
istituzionali e di sistemi di regolazione e incentivi che riducono l’area dei fallimenti dello Stato,
ovvero il miglioramento della qualità della sua presenza (nelle telecomunicazioni, borsa, mercati
finanziari) attraverso la creazione di nuovi organismi regolatori indipendenti; tra i nuovi compiti,
quello fondamentale di “market builder”. C’è da sottolineare come tale ruolo strategico scavi
33
Seppure, soprattutto negli Stati Uniti, il caso Enron e gli episodi successivi di cattiva corporate governance abbiano
riaperto un dibattito che, sostenendo la necessità di una maggiore sorveglianza e di garanzia di accountability, ha messo
in dubbio le opinioni sostenute agli inizi degli anni ottanta a favore di una più circoscritta presenza pubblica nelle
attività economiche.
15
ulteriormente la linea di demarcazione con il passato, allorquando, di fronte all’incompletezza dei
mercati, l’operatore pubblico rispondeva attraverso la sua azione diretta (cioè nella logica
dell’economia mista); ora, invece, soprattutto promuovendo le premesse per la creazione del
mercato “mancante”: la biomedica, la tecnologia avanzata, lo spazio e la difesa devono il loro
sviluppo soprattutto all’operatore pubblico 34 .
Naturalmente, la predizione della teoria dei giochi e della teoria economica sono – anzi devono
essere
–
riconducibili e reciprocamente validanti: oltre al ritorno al mercato (esempio,
privatizzazioni), gli auto-vincoli imposti sul proprio agire da parte dell’operatore pubblico
(esempio, delegando entità sovra-nazionali, come la BCE, per evitare problemi di incoerenza
temporale delle policy) e la rimodulazione della sua azione (deregolamentazione, semplificazione
delle procedure, meccanismi di rafforzamento dell’art. 81 Cost., market building, ecc.) sono
strategie cooperative, che nel tempo potrebbero dare credibilità.
Anche la politica dei condoni può essere ricondotta a questa analisi economico-strategica: la
selettività dell’intervento (soggetti e basi imponibili), la ripetizione del suo ricorso nel tempo, gli
obiettivi, l’orizzonte temporale degli effetti, il mix incentivi-sanzioni sono elementi fondamentali
per fare di tale istituto un “falso” o un “reale” strumento di cooperazione.
Giancarlo Montedoro (*) e Mariateresa Fiocca (**)
(*) Consigliere di Stato e Professore a contratto di Istituzioni di Diritto pubblico presso la Facoltà di Economia della
LUISS-Guido Carli.
(**) Segreteria Tecnica del Ministro, Ministero dell’Economia e delle Finanze, e Professore a contratto di Teoria dei
Giochi e delle Decisioni presso la Facoltà di Economia della LUISS-Guido Carli.
34
Per un approfondimento di tali aspetti, si rinvia a S. Cassese, op. cit.
16
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