FEDRA BOSCARO TEATRO DI STRADA ODIN TEATRET VHS: IL CAMMINO ATTRAVERSO IL TEATRO Baratti di danze a Martano; Parata di addio. VHS: SULLE DUE SPONDE DEL FIUME Baratti 1974-83; Anabasis. Nel 1974 l'Odin Teatret si trasferisce nel Salento (Carpignano), ed è qui che Eugenio Barba inaugura l’attività teatrale dei “baratti”. Paragonando il teatro al baratto intende spostare il valore del teatro nel campo della “relazione”. Il teatro viene ad essere equiparato allo scambio di oggetti che intercorre fra tribù che vengono a contatto tra loro. Vengono chiamate in causa alcune pratiche sociali ritrovate in diverse regioni del mondo non occidentalizzato, secondo cui è la pratica dello scambio a dare valore agli oggetti che vengono scambiati (un esempio particolarmente significativo si riscontra nella pratica del Potlach, recuperata fra le usanze di alcune tribù native del nord America. (http://www.parodos.it/blog/potlach.htm). Attraverso la pratica del baratto si intende istituire relazioni che valichino il tradizionale confine del palcoscenico, in un ambito che promuove il teatro per il suo valore d'uso, in antitesi con la visione di un teatro produttore di merci. Si parla anche di “efficacia dello spreco”, con riferimento a una dissipazione di energie non finalizzate alla produzione di qualcosa ma alla produzione di relazioni. Non c'è dunque altro fine dell’evento spettacolare, se non quello di creare relazione in “una situazione che permetta il contatto tra attori e spettatori” (E. Barba, Sulle sponde del fiume), anche quando questi provengono da culture diverse. Interessante la notazione di Leif Peterson che, in merito a questa fase di lavoro dell'Odin Teatret, parla di “teatro per analfabeti”1 in antitesi al teatro istituzionale, dove le relazioni si fondano sull’uso della parola intesa come strumento di dominio del regista sugli attori e degli attori sul pubblico. Una delle garanzie perché questo tipo di relazione si realizzi risiede nel training degli attori, che permette loro di specializzarsi nella non specializzazione, di prescindere così da una cultura e da un linguaggio predeterminati in funzione a un certo tipo di genere e/o di pubblico. Inoltre i baratti prescindono da un atteggiamento di “recupero” in termini etnografici e/o storici. L'Odin Teatret non è interessato all'autenticità storica del teatro che riceve, ma si limita a barattare senza pregiudizi il teatro con qualsiasi altra forma di spettacolo organizzato dalla cultura locale. Anabasis (1977) è uno spettacolo itinerante nato dalle esperienze di teatro di strada inaugurate in Salento. In Anabasis è possibile riscontrare innumerevoli testimonianze delle questioni che fanno del teatro di strada un'urgenza di quegli anni. Ferdinando Taviani osserva “come si faccia teatro in un intero paese sfruttando i colori dei suoi muri, i suoi luoghi soliti che una presenza estranea può rinnovare, le sue salite e le sue discese, i suoi archi, i suoi tetti e le sue terrazze; come si prendano i primi contatti, come presentarsi, come dar fiducia senza riempirsi le saccocce di promesse e belle parole; come si fa a radunare improvvisamente tutta la gente in piazza e a creare una situazione in cui, se hai pazienza, sarà la gente a prendere in mano la serata e a improvvisare, dapprima quasi timidamente, ma poi con sempre maggior sicurezza, la propria festa. Proviamo per quali sentieri si possano mettere in moto una serie di azioni e relazioni, come ci si possa confrontare con efficacia, 1 Cit. in F. Taviani, 1964-1980: da un osservatorio particolar, in F. Cruciani-C. Falletti (a cura di), Civiltà teatrale nel XX secolo, cit., p. 376. da diversi, con rappresentanti di una società di cui ci sfuggono le convenzioni più profonde”2. Per l'Odin il teatro di strada è in primo luogo una verifica, è qui che il gruppo esce all'esterno per scontrarsi con il significato stesso del suo esistere. “L'Odin aveva cominciato a fare parate quasi senza accorgersene, nei paesi del Salento, nell'estate del '74, per spostarsi in corteo da un punto all'altro, nella necessità di dar spettacoli all'aperto. Poi, come sempre facevano, avevano cominciato a lavorarci sopra (…) le parate di strada dell'Odin si trasformano nella rappresentanza di un viaggio. Fino ad allora erano state apparizioni tumultuose o presenze inquietanti e variegate attraverso i paesi delle Puglie e della Sardegna, dell'Occitania e della Catalogna, le regioni di cultura afro-americana del Barlovento in Venezuela e gli accampamenti gitani in Jugoslavia. Esse assumono un carattere sempre più preciso fino a diventare un vero e proprio spettacolo, Anabasis, che si svolge attraverso le strade e le piazze, invadendo tetti e balconi, statue e campanili di chiese. Proprio come nella storia greca da cui Anabasis ha preso il nome, un gruppo di stranieri attraversa popolazioni straniere”3. Nell'estate del 1975 Iben Nagel Rasmussen decide di andare a trascorre alcune giornate da sola in un paese della Sardegna, suoi unici compagni la sua maschera, il suo costume bianco, il tamburo e il flauto. Qui è accolta in alcune case, riceve cibo in cambio di danze, talvolta riceve anche diffidenza e disprezzo. Questa esperienza pare realizzare il film di Torgeir Wethal “Vestita di Bianco”, girato l'estate precedente in Puglia, in cui Iben, unica interprete, incarna il banditore che, munito di maschera e tamburo, compie il suo solitario viaggio per il mondo. Il soggetto di questo film è la solitudine che sta alla base della ricerca dell'attore, che Torgeir chiama: una “solitudine dai mille saluti”. Questa solitudine è anche la solitudine del diverso, diversità che spesso incute timore, timore che talvolta si traduce in ostilità da parte di gruppi e paesi troppo abituati alle rassicurati pratiche conseguenti l'omologazione culturale. TTB Albatri - http://www.teatrotascabile.org/wp-content/uploads/2009/10/Albatri.mov Valse - http://www.teatrotascabile.org/wp-content/uploads/2009/10/valse.avi In modo più o meno diretto ciascuna della realtà teatrali esaminate, e tuttora attive in Italia, si considera erede della pratiche dei Gruppi di base; in particolare il TTB (Teatro Tascabile di Bergamo) ha concorso ad organizzare l'Atelier di Bergamo nel 1977. A seguire, alcuni nuclei di pensiero tratti dal testo che Barba ha scritto per la presentazione dell'incontro di Bergamo: L'arte teatrale sta vivendo una mutazione profonda e oscura. Sarebbe ingiusto analizzarla solo come ricerca di nuovi mezzi espressivi, di nuove tecniche. La ricerca teatrale è oggi la ricerca di un senso nuovo del teatro. Il problema della tecnica è essenziale per il lavoro dell'attore, ma ancora più essenziale è il processo che determina i risultati tecnici. Questo processo è messo in moto da un atteggiamento etico che rifiuta le situazioni della vita circostante e che trasforma questo rifiuto in un modo di vita quotidiana. [...]. Cercare di impadronirsi di una tecnica significa cercare di de-colonizzarsi, con però il rischio di cadere in una nuova forma di colonizzazione. L'Incontro di Bergamo non vuole favorire l'acquisizione di nuove tecniche, né costruire un insegnamento. Vuole creare un luogo e una situazione di scambio. Non aspiriamo ad appropriarci dell'esperienza degli altri ma a confrontarci con essa, traducendola ognuno di noi nella sua lingua, cioè tradendola, il solo modo di trasmetterla4. Inoltre il TTB, nel 1989, pubblica il testo Promemoria del teatro di strada, curato da Fabrizio Cruciani e Clelia Falletti, in cui vengono riportati innumerevoli esempi dei momenti storici e delle 2 3 4 Ferdinando Taviani, Il libro dell'Odin, Milano, Feltrinelli, 1978. Ferdinando Taviani, 1964-1980: da un osservatorio particolare, cit., p. 372. Ferdinando Taviani, 1964-1980: da un osservatorio particolare, cit., p. 378. necessità che nel corso dei secoli hanno portato il teatro a realizzarsi al di fuori di un edificio. Nell'introduzione Renzo Vescovi (fondatore e regista del TTB fino alla sua morte avvenuta nel 2005) espone alcune sue riflessioni sull'edificio teatrale: Siamo proprio sicuri che investire denaro in palchi di cemento, file di sedie inchiavardate e loggioni variamente restaurati sia il modo migliore per ridar vita ad una realtà che pare aver esaurito il suo corso? […] In realtà ciò che oggi comunemente si intende con [il termine teatro] è ristretto a due o tre secoli di pratica essenzialmente europea in accordo con una certa evoluzione della storia culturale del nostro continente, ma il teatro possiede una tradizione, un territorio e un contesto sociale molto più antichi e più ampi5. Prima che il Rinascimento italiano istituisse l'edificio del teatro, lo spazio delle rappresentazioni era lo spazio della città, ed erano gli uomini di spettacolo ad andare in quei luoghi dove potevano trovare le persone cui offrire il proprio lavoro. Nel Medioevo, ad esempio, distinguiamo due tipi di spazio all'interno delle città: quello privato e quello civile, e a ciascuno di essi corrispondevano diversi tipi di spettacolo: “Nell'intrattenimento privato si elaboravano e mettevano a prova abilità e tecniche del ballo o della recitazione, dell'allegoria o della fabulazione: qui anche poesie trobadoriche, romanzi cavallereschi, le novelle o gli indovinelli costituivano situazione di relazione attraverso modalità rappresentative. Nelle fiere o nelle feste si mettevano in opera le diverse modalità dell'attirare l'attenzione, dall'esibizione di animali ai giochi di abilità, dai richiami farseschi alle recitazioni.”6. Mentre nell'Europa d'oltralpe “dall'Ottocento si fa teatro tra le rovine degli anfiteatri e davanti alle chiese, nelle piazze, nelle campagne, nei boschi, nelle strade. Lo spazio non teatrale assume la valenza di uno spazio originario del teatro, in una diffusa tendenza rituale”7. Ancora, nel corso del Novecento queste pratiche si intensificarono e declinarono in molteplici esperienze e il teatro fuori dal teatro abbracciò diversi generi e luoghi in tutta Europa, dalle città ai prati, dal teatro politico alle liturgie civili, ai carnevali. “Nella strada, nelle piazze, nei cortili, nelle aie, il teatro diventa mezzo di scambio, relazione con la gente. È l'estraneità che rivitalizza lo spazio quotidiano o naturale. La strada è una situazione reale o metaforica, è uno spazio qualsiasi in cui il teatro crea il suo spazio. Carri, maschere, trampoli, musica, acrobazie, clowneries, palchi: le esigenze di base sono farsi vedere, farsi sentire, attirare e conservare l'attenzione, e rendere adeguati spazi diversi rivelandone le potenzialità espressive o di relazione. Il montaggio delle attrazioni regola anche la drammaturgia dello spazio nel teatro di strada, spazio che è il palco (quando c'è) e nelle “parate” è tutto il volume spaziale, con le case, le porte, le finestre, i tetti, che sono possibili partner degli attori. Ogni spazio può essere spazio del teatro purché si creino relazioni: si rompe l'abitudine a confondere l'edificio del teatro con l'evento teatrale”8. Il tempo e lo spazio del teatro sembrano qui coincidere con il tempo e lo spazio della festa: lo spettatore vive l'esperienza della meraviglia e dello stupore nel dissolversi della quantificazione del tempo in quei luoghi che, trasformati rispetto alle esperienze del quotidiano, tornano a darsi come luoghi nel senso pieno del termine. I materiali audiovisivi, con particolare riferimento al lavoro dell’Odin Teatret e del TTB, forniscono esempi eloquenti di come possa realizzarsi il teatro all'aperto, di come i luoghi del quotidiano cedano alla presenza di apparizioni improvvise, in una narrazione che si compone nel vissuto dei singoli spettatori e nel loro agire lo spazio secondo una modalità che si manifesta diversa dalla quotidiana e funzionale fruizione degli spazi urbani. Un altro dato che a più riprese emerge dalla visione dei materiali audiovisivi, e queste volta senza distinzioni di sorta, è l'uso di modalità e di elementi presi a prestito dalle discipline circensi. In particolare vorrei soffermare l'attenzione sugli spettatori e sul modo in cui si distribuiscono per 5 6 7 8 Fabrizio Cruciani-Clelia Falletti, Promemoria del teatro di strada, cit. p. 8. Fabrizio Cruciani , Lo spazio del teatro, Bari, Laterza, 1992, p. 94. Ivi, p. 96. Ivi, pp. 97-98. osservare gli spettacoli o i momenti di stop delle parate. Come è facile comprendere, gli spettatori tendono a distribuirsi spontaneamente in modo da comporre una forma circolare attorno all'oggetto della loro attenzione. Dato questo per assodato, passerei a parlare della forma del cerchio. Questa forma ci permette di rivolgerci a due distinti aspetti del teatro, uno delle quali si riferisce in particolare alla strada: 1. Nel XX secolo il teatro indaga se stesso e per farlo spesso si rivolge a forme altre da quelle occidentali, in particolare forme che sono state dette anche “primitive” o “primarie”. Qui “lo spazio dell'azione rappresentativa è uno spazio separato, qualificato simbolicamente già per l'orientamento cosmologico, giocato spesso su una verticalità (un palo un albero, un monte) e costruito su piani e livelli diversi: il centro mette in relazione piani e livelli. Il centro (e di conseguenza il cerchio) è lo spazio dell'azione mimetica, rituale, celebrativa, di intrattenimento: e pertanto è stato sentito anche come forma 'originaria' dello spazio teatrale”9. 2. Il cerchio è una delle principali forme morfologiche che Paolo Stratta individua nel suo libro (Il teatro di strada in Italia, Pisa, Titivillus, 2008) per descrivere la struttura tipica degli spettacoli degli artisti di strada. Paolo Stratta descrive tre forme: il cerchio: la creazione del cerchio è il momento in cui l'artista di strada crea lo spazio per dar luogo al suo spettacolo e lo fa integrando fisicamente lo spettatore nello spazio della rappresentazione. In questa fase infatti i singoli spettatori vengono a disporsi in modo tale da delineare lo spazio entro cui si svolgerà lo spettacolo. Questa è una fase determinante per il lavoro dell'artista di strada, è il momento in cui viene a stipularsi il patto di relazione con lo spettatore; il corpo centrale dello spettacolo: è il momento in cui l'artista si esibisce nelle proprie specialità, il fulcro spettacolare della sua esibizione; il cappello: è il momento in cui si esprime la soddisfazione dello spettatore, il momento in cui avviene la verifica del rapporto stabilito nella fase del cerchio, lo spettatore paga in base alla sua soddisfazione. È interessante come, nonostante esistano diverse forme di retribuzione da concordarsi in vari modi con comuni o con enti promotori di attività culturali per i territori pubblici o privati, Stratta, riferendosi a queste alternative al “cappello”, venga a dire che in quei casi: “sembra che il rapporto con il pubblico sia, se non inautentico, almeno mediato”10. Fra gli artisti di strada vige un “codice d'onore”, conseguente all'appartenenza di questi artisti ad una comunità trasversale, che Stratta chiama “la piccola tribù corsara”, che insiste nel tenersi al di fuori delle dinamiche di integrazione imposte dalla società contemporanea. Questo rifiuto pare avere qualcosa di simile al “rifiuto etico” cui Eugenio Barba faceva riferimento nella citata presentazione all'Incontro di Bergamo nel '77. Appare a questo punto ancora più significativo l'uso, in questi tipi di teatro di strada, delle tecniche della spettacolarità circense. Citando Sklovski: “C'è una cosa che tutte le azioni circensi hanno in comune: sono difficili. [...] Senza difficoltà non v'è circo, dunque [...] la difficoltà: è questo l'artificio del circo”11, una difficoltà che si manifesta come concreta e reale, dato ancor più prezioso se messo in antitesi con un teatro istituzionale che, per tradizione, accoglie l'uso comune di cose finte. In oltre, in questo tipo di difficoltà, che non lascia scampo, che mette in gioco tutta la vita nell'azione che si svolge nel presente e in presenza, si possono intravedere non pochi dei tratti che abbiamo identificato quali costituitivi dell'attore del XX secolo: la sua ricerca, la sua solitudine, il suo training. 9 10 11 Ivi, pp. 92-93. Paolo Stratta, Il teatro di strada in Italia, cit., Pisa, Titivillus, 2008, p. 148. Cit. in Fabrizio Cruciani-Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, cit., p. 41. COMPAGNIA LABORATORIO PONTEDERA Laggiù soffia, Era (dalla Trilogia In viaggio con lo spettatore) – VHS “L'esperienza del teatro non avviene solo sulla scena. In alcuni casi essa ha piuttosto come luogo la mente dello spettatore e come spazio il suo corpo”12. Quanto detto sin qui in merito al teatro di strada, assume particolari declinazioni in almeno due dei lavori della Compagnia Laboratorio Pontedera: Laggiù soffia (1987) ed Era (1988). In queste due produzioni la strada è presente e costituisce il luogo dello spettacolo, luogo che si sovrappone a quello della quotidianità, portando lo spettatore a compiere un percorso nella città ma contemporaneamente portandolo a sperimentare lo spazio cittadino come un “altrove”. La trilogia In viaggio con lo spettatore, che si compone dei tre spettacoli: Laggiù soffia (1987), Era (1988), In carne e ossa (1990), rappresenta un'indagine intorno al tema della relazione fra attore e spettatore. Un dato comune a tutti gli spettacoli - spettacoli da intendersi, a detta del regista Roberto Bacci, come le tre tappe di un viaggio ai confini del teatro, alla ricerca di quanto perduto o dimenticato, compiuto insieme a dei testimoni, gli spettatori, l'altra metà del teatro - è il numero limitato di spettatori, compreso per lo più tra i 5 e i 10 (per le opere qui prese in esame, rispettivamente, non più di 5 e non più di 6). Tale restrizione “costituisce un tentativo 'limite', attraverso l'uso di precise tecniche, per costruire una relazione straordinaria con un altro essere umano, lo spettatore, all'interno di quell'esperienza denominata teatro”13. Qui vengono ad essere verificati i modi di essere del presente, qui si può parlare di “drammaturgia dell'esperienza”: parlando dello spettacolo lo spettatore dirà di averlo fatto, non di averlo visto. Lo spettacolo si presenta come una catena di azioni che l'attore-guida innesca; queste azioni saranno compiute dal gruppo dei partecipanti all'esperienza teatrale venendo a modificare lo spazio e il tempo: lo spettatore giunge a cambiare la sua percezione fisica del narrare, “vede” la storia dello spettacolo come unica tra le possibili, e questa visione, unita alle azioni che fisicamente compie, lo rendono oggettivamente co-creatore dello spettacolo. Questo progetto trae origine da una lunga riflessione fatta da uomini di teatro, di cui lo spettatore non è l'unico fine. Secondo questa riflessione, il teatro professionale non può risolversi nel realizzare spettacoli da far consumare, ciò che qui viene analizzato sono le possibilità dell'esperienza e della conoscenza in antitesi a ciò che appare, e che nel suo apparire si dà per definito. Laggiù soffia – il viaggio intorno al mondo Bacci racconta come l'ideazione di questo spettacolo rispondesse a una duplice esigenza: 1. trovare una “forma narrante” alla pratica di quella che è stata definita “cultura attiva”'; 2. mettere in discussione gli elementi fondanti dello spettacolo inteso come sistema chiuso e definito di funzioni. In prima istanza lo spettacolo risponde all'esigenza di cerare un “luogo dell'esperienza” che possa dare modo concreto al lavoro teatrale di sperimentare nuovi orizzonti. Con il procedere della ricerca, poi, lo spettacolo è venuto ad acquistare una propria autonomia come “opera intorno a Moby Dick”. Nella brochure di presentazione dell'audiovisivo che documenta l'esperienza di In viaggio con lo spettatore14, la descrizione delle opere è lasciata agli spettatori. Vengono infatti 12 13 14 Testo preparato da Roberto Bacci per la trasmissione Viaggio nella Mente dello Spettatore, dall'opuscolo di presentazione di Trilogia: in viaggio con lo spettatore, edito dal Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale, Pontedera, 1991. Ivi, p. 3. In viaggio nella mente dello spettatore, documento audiovisivo prodotto dal CSRT di Pontedera dell'Academie Experimentale des Théâtres e dalla RAI-TV, nell'ambito del progetto I cinque sensi del teatro. Il progetto, realizzato riproposti gli articoli pubblicati sulle pagine di diversi quotidiani i cui autori parlano per esperienza diretta. A seguire, alcuni estratti che riguardano testimonianze della fase centrale dello spettacolo, quella che agisce la strada, dopo che in un ambiente interno (uno scantinato) è stato introdotto il tema del viaggio (tramite una presentazione della mappa del viaggio di Achab) e l'oggetto libro Moby Dick. Poi si esce all'aperto e si segue un itinerario scandito dai coupes de livre, dai suggerimenti che l'apertura (più o meno casuale o avvertita) del libro offre al 'pilota' Stefano Vercelli, il quale conduce gli spettatori in un percorso rabdomantico alla ricerca delle giuste atmosfere per 'maneggiare' il romanzo di Melleville in relazione ai luoghi visitati (un giardino antico, il grato del fiume Era, un caffè, la sala d'attesa di un dentista, una chiesa), e in relazione alle impreviste intelaiature di contatto che si stabiliscono fra pilota e seguaci, fra il libro e lo spettatore, fra spettatore e spettatore 15. (Maurizio Grande) Dal punto di vista esterno di chi partecipa all'azione, il lungo percorso urbano condotto da Stefano Vercelli, in cui il libro Moby Dick è preso e materialmente interrogato, aperto a caso, soffregato su un muro, fotocopiato alla cieca, lanciato a terra e così via, è sempre letto alla ricerca di una coincidenza 'simultaneistica' con la realtà circostante, è probabilmente una specie di intermezzo anomalo rispetto ai momenti narrativi e figurativi che lo circondano e lo spezzano16. (Ugo Volli). Era – in viaggio nelle due città Fate attenzione se girate per il centro storico dalle tre alle cinque di pomeriggio, fino alla fine del mese. Fate attenzione perché vi potrebbe capitare d'incontrare, in piazza Grande davanti alla pietra Ringadora o in via Albinelli immobili davanti ad un portone, sette persone che sembrano qualunque, ma non lo sono. Se li osservate con attenzione, vi risulterà chiaro che uno è la guida e gli altri i discepoli. La guida parla, gesticola, sembra turistica, ma evita accuratamente i luoghi canonici e più ovvii […]: i suoi occhi non sono rivolti verso l'alto (i palazzi i monumenti) quanto verso il basso e nel basso, fra la polvere, la sporcizia e gi anfratti dei muri, cerca forsennatamente minuzie, frammenti d'oggetti. Li raccoglie e li mostra a quelli che seguono come se si trattasse di reliquie: una chiave spezzata, un biglietto sgualcito, un filtro di sigaretta. Poi, con gli altri sempre dietro, prosegue il suo viaggio, che in verità è una ricerca. […] Sono sette qualunque, identici a voi, ma allo stesso tempo diversi. Perché quei sette, per due ore nella loro vita, sono lì ma anche da un'altra parte, nella nostra città eppure altrove, fatti di carne ed anima ma anche della stessa sostanza dei sogni 17. (Stefano Lusardi). Franco Quadri: Qui la recitazione cede quasi sempre il passo alla semplice presenza, e gli spettatori divengono i soggetti di una storie da costruire con l'intervento mentale, svolgendo liberamente un'operazione combinatoria o associativa. […] Il viaggio collettivo, organizzato nello scenario ammaliante della gente e tra artificiose costruzioni minimalistiche, è l'ovvia premessa ad un viaggio interno di ciascun fruitore, stimolato a sottrarsi alla passività: il traguardo non dovrebbe consistere semplicemente nella ricomposizione del puzzle, ma condurre al dubbio e a rinnovate domande18. Altre esperienze: TEATRO DUE MONDI Fiesta – DVD http://www.teatroduemondi.it/it/link/fiesta/videofiestait1.htm 15 16 17 18 nel 1994, coinvolse anche Living Theatre, Odin Teatret, Peter Brook ed il CIRT di Parigi, Jerzy Grotowski. Ivi, p. 11. Ivi, p. 17. Ivi, p. 21. Ivi, p. 23. TEATRO NUCLEO Quijote – VHS http://www.teatronucleo.org/produzioni/spaziaperti/quijote.html Luci - http://www.youtube.com/watch?v=263YijUUBqs Bibliografia Fabrizio Cruciani-Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, Bergamo, ed. Teatro Tascabile-Bergamo/Teatro Telaio-Brescia, 1989; Ferdinando Taviani, 1964-1980: da un osservatorio particolare, in Fabrizio Cruciani-Clelia Falletti (a cura di), Civiltà teatrale nel XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1986; Fabrizio Cruciani, Lo spazio del teatro, Bari, Laterza, 1992; Paolo Stratta, Il Teatro di strada in Italia, Pisa, Titivillus, 2008; CSRT Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale, Trilogia: in viaggio con lo spettatore (presentazione all'audiovisivo), Pontedera, CSRT, 1991. Sitografia TTB: http://www.teatrotascabile.org/ Teatro Due Mondi: http://www.teatroduemondi.it/ Teatro Nucleo: http://www.teatronucleo.org CSRT Pontedera: http://www.pontederateatro.it/PT/Default.aspx