La disciplina doganale e IVA dei costi di trasporto La determinazione del valore delle merci ai fini doganali rappresenta uno dei temi più delicati e complessi, giacché vigono specifiche regole che distinguono il settore doganale dal diritto tributario comune e, in particolare, dalle regole applicate in materia di imposte dei redditi, d’imposta di registro o di IVA. E invero, mentre in materia di imposte dirette e IVA il valore di una transazione è rappresentato dal prezzo dell’operazione e soltanto in determinati casi ricorrono criteri correttivi alternativi, per esempio il «valore normale», nel settore doganale al prezzo delle transazioni si sommano determinati fattori economici, specificamente inerenti il prodotto, che parimenti vanno a determinare la base imponibile dei tributi doganali. Il valore doganale delle merci, infatti, è l’importo che risulta dall’applicazione delle specifiche regole vigenti nel settore doganale e rappresenta la base imponibile su cui, di regola, sono commisurati i dazi doganali ad valorem. Dato di partenza per determinare il valore in dogana delle merci importate è il prezzo di transazione, che subisce alcuni correttivi previsti dalle norme del codice doganale comunitario: tra questi assumono particolare rilevanza le spese di trasporto relative ai beni in importazione. Tali costi, sostenuti fino al luogo di destinazione finale indicato nella dichiarazione doganale, incidono in diversa misura per il calcolo del valore imponibile ai fini doganali e ai fini IVA. La determinazione del valore doganale L’articolo VII dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT 1994) stabilisce i principi base, sui quali deve poggiare la determinazione del valore in dogana delle merci nei Paesi aderenti. A livello europeo, il contenuto di tale disposizione è stato recepito dagli artt. 28 36 del regolamento (CE) n. 2913 del 1992 (codice doganale comunitario) e dagli artt. 141 - 181 bis del regolamento (CE) n. 2454 del 1993 (d.a.c.), contenente le disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario. Come sottolineato dalla Corte di Giustizia, la normativa comunitaria ha lo scopo di prevedere un’applicazione uniforme del valore in dogana e, pertanto, i criteri per determinarlo devono essere «semplici, equi e compatibili con le pratiche commerciali»: il fine delle disposizioni comunitarie è di introdurre un sistema 2 uniforme e neutrale, capace di escludere l’utilizzo di valori in dogana arbitrari o fittizi. Il principio di riferimento è ravvisato nella necessità che il valore doganale rifletta il reale valore economico del bene importato, con l’importante implicazione che occorre tenere in considerazione tutti i fattori, relativi a quel bene, che abbiano valenza economica. L’Accordo che istituisce il WTO stabilisce che il valore doganale della merce importata deve essere il valore di transazione, il quale è costituito dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per la merce quando è venduta per essere esportata nel Paese di importazione. Tale disposizione è stata recepita dall’art. 29 del codice doganale comunitario, il quale stabilisce che «il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli artt. 32 e 33 c.d.c.». La regola generale di determinazione del valore in dogana, pertanto, è rappresentata dal valore di transazione; qualora mancasse, sono previsti alcuni criteri c.d. alternativi, che si applicano a cascata. Secondo l’interpretazione dei giudici comunitari, il valore doganale deve prendere le mosse dalle condizioni in base alle quali è stata effettuata la singola compravendita, anche se dette condizioni differiscono dagli usi commerciali o possono essere considerate inabituali per il tipo di contratto considerato. Non assume dunque rilievo il valore normale o medio del prodotto, né il valore che esso ha nel mercato, bensì il prezzo effettivamente praticato dell’esponente e che può risentire di condizioni particolari, quali accordi sulla tempistica dei pagamenti, sulla quantità di merce oggetto del contratto, sull’esistenza di consolidati rapporti commerciali, tutti fattori che ben possono concorrere alla determinazione di un prezzo non in linea con il valore «normale». È inoltre necessario che concorrano alla determinazione del valore anche tutte quelle voci di costo che contribuiscono a definire realmente il valore del prodotto da importare e non soltanto i termini commerciali di resa concordati tra le parti. Il costo del trasporto ai fini doganali 3 Ai sensi dell’art. 32, par. 1, lett. e), c.d.c., il costo del trasporto dei beni da un Paese extra-Cee fino all’introduzione nel territorio comunitario rientra nella base imponibile per il calcolo dei dazi. In altri termini, tra gli adjustments da apportare al valore doganale rientrano le spese di inoltro della merce fino alla prima frontiera doganale della Comunità e le spese di carico e movimentazione connesse al suo trasporto. Tale disposizione evidenza che l’Unione europea ha optato per un calcolo daziario sul valore CIF della merce introdotta nella Comunità, diversamente dalla prassi adottata negli USA e in Canada, ove i diritti di confine sono applicati sul valore FOB. L’art. 33, par. 1, lett. a), c.d.c., invece, sancisce che sono escluse dal valore doganale le spese di inoltro dal primo porto doganale ove la merce è stata introdotta nella Comunità fino al luogo di destinazione effettiva. Nella dichiarazione doganale, pertanto, potrebbe essere indicato, quale meta finale dei beni, uno Stato membro diverso da quello in cui la merce è stata immessa libera pratica. Al riguardo, la Corte di Giustizia ha affermato che se il compratore nazionale corrisponde al fornitore estero, oltre al prezzo della merce, una somma a titolo di spese di trasporto all’interno della Comunità, in base a una fattura separata, il valore di transazione ai fini doganali dovrà essere scorporato dell’importo della seconda fattura, relativo ai costi di trasporto nel territorio comunitario fino a destinazione. Con riferimento all’incidenza del trasporto sul calcolo del valore doganale, il fatto che il bene sia introdotto in Italia o in un altro Stato membro non rileva, giacché i diritti doganali devono essere commisurati al valore di transazione, aumentato (solo) del costo del trasporto internazionale, ossia della movimentazione dei beni destinati all’importazione. Le clausole contrattuali stipulate tra le parti sulla resa dei beni devono essere tenute in considerazione ai fini di dichiarare correttamente il valore in dogana. Nel caso di acquisto franco partenza (ad esempio tramite gli Incoterms® EXW o FOB), il valore di transazione ai fini doganali coincide con il prezzo di vendita concordato tra le parti, aumentato del costo del trasporto per la tratta percorsa dal Paese extracomunitario (dalla fabbrica o dal porto di esportazione) al territorio comunitario, come indicato in separata fattura (art. 164, lett.c), d.a.c.). 4 Nel caso, invece, di acquisto franco destino, il prezzo di vendita ricomprende già tutte le spese di trasporto, compresi i costi concernenti la tratta all’interno del territorio comunitario. Ai sensi dell’art. 164 d.a.c., per determinare il corretto valore in dogana, le spese sostenute per il trasporto all’interno della Comunità si possono dedurre dal prezzo pagato (o da pagare), soltanto se l’operatore dimostra che il prezzo franco frontiera è inferiore a quello franco destinazione. In sintesi, l’importatore, in tali circostanze, ha interesse a fornire alla Dogana ogni elemento necessario atto a qualificare correttamente le spese di inoltro riguardanti la tratta dalle merci fino all’arrivo nel territorio comunitario, ossia precisamente il costo da addizionare al prezzo FOB o EXW. Il costo del trasporto ai fini IVA L’art. 69, primo comma, D.P.R. n. 633/1972, prevede che l’IVA sulle importazioni sia calcolata sulla base del valore doganale della merce, aumentato dell’ammontare dei diritti doganali dovuti (ad eccezione dell’IVA) e delle spese di trasporto fino al luogo di destinazione all’interno della Comunità, indicato nella bolletta doganale. Il trasporto è disciplinato all’art. 9, primo comma, decreto IVA, il quale non si riferisce genericamente a qualunque tipologia di trasporto, ma solo ed esclusivamente al servizio strumentale e connesso all’importazione di beni. Tali servizi, ove rilevanti ai fini dell’imposta nel nostro Paese (ad esempio se il committente è un soggetto passivo IVA italiano), godono del regime di non imponibilità IVA in forza del combinato disposto dell’art. 9, primo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e dell’art. 69, D.P.R. n. 633 del 1972, qualora tale imposta sia già assolta in dogana sull’intero valore dell’importazione. L’Agenzia delle entrate ha chiarito che il regime di non imponibilità IVA si applica al trasporto di beni in importazione, a prescindere dal fatto che la loro introduzione sia effettuata in Italia o in un altro Stato comunitario, sempreché il costo del servizio sia aggiunto al valore del bene all’importazione. Se il valore del servizio è ricompreso nel costo del bene importato e sia i diritti doganali che l’IVA vengono assolti in dogana (italiana o comunitaria), il soggetto passivo non dovrà versare nuovamente l’IVA sul trasporto, in quanto già assorbita nell’IVA pagata sull’importazione. Occorre delineare le due situazioni chiarite dall’Amministrazione finanziaria. 5 Innanzitutto, il bene può essere importato direttamente dal soggetto italiano in Italia. In questo caso, verranno pagati sia i diritti doganali (immissione in libera pratica) che l’IVA (immissione in consumo) con riferimento alla merce. Vige, invece, il regime di non imponibilità in relazione al trasporto accessorio, sempreché il valore di quest’ultimo sia già ricompreso nel valore del bene importato. In secondo luogo, l’importazione può essere effettuata in altri Paesi dell’Unione Europea. In tale circostanza, il trasporto relativo a beni in importazione gode comunque del regime di non imponibilità IVA, se l’imposta è stata assolta direttamente in dogana sul bene assieme ai dazi e se il valore del servizio è inglobato nel valore del bene importato. Una volta che il bene sarà introdotto in Italia non dovrà scontare nuovamente l’IVA sul servizio di trasporto relativo alla merce importata, altrimenti si realizzerebbe un fenomeno di doppia imposizione. I beni, poi, dovranno essere trasportati dal Paese comunitario nel territorio nazionale. Quest’ultima tratta di trasporto integra un’ipotesi di prestazione di servizio intracomunitario. Come noto, pertanto, ai sensi degli artt. 7-ter e 17, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, l’IVA dovrà essere assolta dal committente italiano tramite reverse charge. In altri termini, secondo la recente interpretazione dell’Agenzia delle entrate, a prescindere da dove venga effettuata l’importazione da parte di un soggetto passivo italiano all’interno della Comunità, il regime di non imponibilità IVA si applica al servizio di trasporto di beni all’importazione se il valore di tale servizio, accessorio all’ingresso nel territorio comunitario, è ricompreso nel valore del bene importato e sempreché l’IVA venga assolta direttamente in dogana. Sara Armella Lorenzo Ugolini Dicembre 2012