MAPPAMONDI

Direttore
Luigi Vittorio F
Ambasciatore e Consigliere di Stato a.r.
Docente Universitario
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Comitato scientifico
Giuseppe B
Presidente di Sezione del Consiglio di Stato
Giudice del Tribunale Amministrativo ONU
Alberto B
Ricercatore di Storia dell’Europa orientale
Università degli Studi Roma Tre
Emanuela D R
Presidente di “Epos”
Ricercatrice
Università degli Studi “Niccolò Cusano”
Rudolf D
Direttore
Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia
Luigi Vittorio F
Ambasciatore e Consigliere di Stato a.r.
Docente Universitario
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Guido L
Ambasciatore a.r.
Docente Universitario
Università della Valle d’Aosta
Mario Rino M
Ammiraglio a.r.
Valentina M
Giornalista e Scrittrice
Ugo V
Ordinario di Filosofia della Comunicazione
Università di Torino
MAPPAMONDI
Descrivere le relazioni internazionali significa dar voce oggi alle vicende, ai pensieri,
talvolta ai sentimenti di una comunità internazionale che per essere globale ha l’ambizione
di esprimere valori universali muovendosi fra cooperazione e conflittualità investendo
tutti gli aspetti di una società composita: popoli e individui in continua trasformazione.
Per cercare di comprendere il presente e costruire il futuro occorre disporre di un ampio
spettro di analisi, di riflessioni, di narrazioni: dalla politica al diritto, dall’economia alla
geopolitica, dalla sociologia alla cultura. Tutto si interseca nella vita internazionale fra stati
e organizzazioni internazionali, fra strumenti economici e sistemi politici, fra esigenze
militari e evoluzioni tecnocratiche. Il proposito deve essere quello di sollecitare tutti, per
curiosità intellettuale o per desiderio di informazione o per sostegno nello studio, in ispecie
universitario, a guardare in grande in un mondo nel quale, superando confini o divisioni,
tutti dovranno agire in un empito cosmopolitico, che occorre ben conoscere per poter poi
agire con competenza e con successo. Si senta ciascuno invitato, autore o lettore, a rendere
ricco il proprio bagaglio culturale con migliore consapevolezza di realtà che devono essere
approfondite, sviscerate, illustrate, perché oramai l’avvenire di ciascuno sarà determinato
dalla visione razionale di mondi diversi. Il nostro vuol essere un mappamondo che si
moltiplica in mappamondi: ciascuno con una sua personalità non scindibile dalle altre.
Mettere a disposizione mappamondi quale obbiettivo di unità nella diversità.
Bruno Archi
Storia generale della Brigata ebraica
- verso la proclamazione dello Stato d’Israele
Prefazione di
Gianni Letta
Postfazione di
Ugo Volli
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: giugno 
Indice

Avvertenza e ringraziamenti

Prefazione
di Gianni Letta

Introduzione
La I guerra mondiale e la Palestina: il progressivo coinvolgimento britannico

Capitolo I
La Legione Ebraica nella I Guerra Mondiale (–)

Capitolo II
Verso la II guerra mondiale: l’inizio delle pressioni ebraiche per la
creazione di un’unità militare (–)
.. La Palestina alla vigilia del conflitto,  – .. La prima richiesta ebraica per la formazione di un contingente militare,  – .. L’ atteggiamento
del Governo inglese, .

Capitolo III
L’inizio della propaganda tedesca nel levante e la posizione delle
organizzazioni ebraiche nei confronti della Gran Bretagna ()
.. L’atteggiamento arabo e britannico nei confronti dei primi atti della
propaganda nazista in Medio Oriente,  – .. La “New Zionist Organisation” nei confronti della guerra,  – .. Le richieste dell’“Agenzia
Ebraica”,  – .. Le prime preoccupazioni inglesi, .

Storia generale della Brigata ebraica


Capitolo IV
La “New Zionist Organisation” e la “Jewish Agency” aumentano
le loro pressioni ()
.. Le istanze dell’organizzazione di Jabotinsky,  – .. Le rivendicazioni provenienti dagli ebrei americani dopo l’intervento in guerra
dell’Italia,  – .. La paziente opera diplomatica del Presidente della
“Jewish Agency”, .

Capitolo V
L’altalenante atteggiamento inglese (–)
.. L’apparente caduta del veto britannico,  – .. Il dilazionamento
del progetto,  – .. Weizmann torna all’attacco,  – .. Le crescenti
aspirazioni nazionaliste ebraiche, .

Capitolo VI
In attesa di una svolta (–)
.. Le valutazioni inglesi di fronte alle richieste ebraiche e il crescente
ruolo delle loro comunità negli Stati Uniti,  – .. La caduta di Tobruk e le rinnovate pressioni del Presidente della “Jewish Agency”, 
– .. La creazione di un “Reggimento Palestinese”,  – .. Le ulteriori apprensioni arabe ed il sorprendente atteggiamento dell’Arabia
Saudita, .

Capitolo VII
La nascita della brigata ebraica (–)
.. La perseveranza di Weizmann e le ultime riflessioni britanniche, 
– .. La decisione finale,  – .. L’organizzazione e i compiti della
Brigata Ebraica, .

Conclusioni

Appendice I

Appendice II

Appendice III

Appendice IV
Indice

Appendice V

Postfazione
di Ugo Volli

Avvertenza e ringraziamenti
La Brigata ebraica rappresenta una pagina di rilievo nella storia millenaria del popolo ebraico. Essa ha contribuito in maniera determinante,
anche in virtù delle implicazioni squisitamente politiche che derivarono dalla sua stessa esistenza, a rendere meno impervio il cammino
verso la proclamazione dello Stato d’Israele in Palestina, avvenuta il 
maggio del .
In Italia non esiste al momento una letteratura approfondita che
ripercorra le complesse vicende storiche legate alla nascita della Brigata, che si sviluppò sottoforma di unità militare incorporata nei ranghi
dell’esercito inglese durante la Seconda Guerra Mondiale, composta
esclusivamente da volontari ebrei.
Il fatto che il principale teatro bellico di impiego dell’Unità nella
parte finale del conflitto sia stato proprio l’Italia avrebbe forse potuto
suscitare un interesse maggiore sul tema di questo libro. Eppure, il valore e il ruolo dei soldati ebrei non è stato dimenticato dal nostro Paese,
e ciò è testimoniato non solo dallo svolgimento delle celebrazioni per
il cinquantesimo anniversario della costituzione della Brigata, caduto
nel , ma anche da altre manifestazioni miranti a commemorarne
le gesta e i suoi caduti.
Il contenuto delle pagine successive ha come obiettivo quello di attirare l’attenzione del lettore su un momento storico poco esaminato,
ponendo in risalto gli eventi operativi che videro protagonista l’Unità
e i suoi soldati nelle varie azioni militari. L’indagine parte soprattutto
dal momento in cui le Autorità inglesi ufficializzarono l’intenzione
di istituire una Brigata ebraica. Ancora non molto conosciuti e approfonditi restano purtroppo i fatti e le circostanze che, a partire dalla
Prima Guerra Mondiale, maturarono la suddetta decisione britannica.
Quindi, l’obiettivo del presente libro è di portare alla luce eventi e
storie di personaggi implicati nella genesi della Brigata ebraica.
In questa ottica, assume una primaria rilevanza il punto di vista del
Governo inglese sull’intera vicenda.


Avvertenza e ringraziamenti
Nell’introduzione sarà dettagliatamente spiegato come il Regno
Unito fu direttamente coinvolto nei problemi ebraici in maniera viepiù crescente soprattutto a partire dalla Dichiarazione Balfour del 
novembre del  e svolse un ruolo primario in Palestina quale Potenza Mandataria dalla fine della Grande Guerra sino alla costituzione
nella Regione dello Stato di Israele.
Per questo motivo, il volume è basato essenzialmente su documenti, in larga parte inediti e ampiamente riprodotti in appendice, che
sono stati rinvenuti nel “National Archives” di Londra.
Al personale di questa moderna e funzionale struttura, esempio
perfetto di come dovrebbero essere costruiti e gestiti gli archivi in
tutto il mondo, va il mio sincero ringraziamento per la puntuale e
preziosa collaborazione, senza la quale non sarebbe stato davvero
possibile scrivere questo libro.
Prefazione
di G L
“La storia generale della brigata ebraica (–). Verso la proclamazione dello stato d’Israele”, rappresenta un contributo stimolante
all’interno delle complesse dinamiche che nel corso del Novecento
hanno dato vita alla cosiddetta “questione palestinese”, risalente al
non lontano XIX secolo.
La formazione di un’unità combattente ebraica è il risultato di un
complesso e tortuoso percorso, iniziato a partire dal  allorquando
Vladimir Jabotinsky, scrittore e attivista sionista, iniziò la sua opera
di persuasione delle autorità britanniche per la costituzione di una
formazione di combattenti ebrei in Palestina.
Attraverso un approfondito percorso di ricerca, di analisi e di studio
di fonti per lo più inedite raccolte dal “National Archives” di Londra,
Archi incentra il suo lavoro non sull’attività svolta dalla Brigata ebraica
durante la seconda guerra mondiale, bensì sugli eventi e le circostanze
storiche che hanno portato alla sua costituzione.
Al fine di comprendere la ratio di questo libro, l’autore avvia subito una breve introduzione che contestualizza il complesso periodo
storico in cui sorgono i primi movimenti nazionalisti in Palestina.
È noto che il sorgere di tali rivendicazioni da parte della popolazione ebraica sparsa in Europa e nel mondo risalga alla fine della
Grande Guerra e al conseguente crollo dell’impero Ottomano. Il
suo territorio fu successivamente spartito tra Francia e Gran Bretagna, suddivisione peraltro già stabilita attraverso l’accordo segreto di
Sykes–Picot nel .
È indubbio che la Gran Bretagna abbia effettivamente svolto un
ruolo cruciale non solo nella vicenda della costituzione della Brigata
Ebraica, ma soprattutto, dato il suo peso nella regione mediorientale
come potenza mandataria, nella tortuosa strada che ha portato alla


Prefazione
formazione dello Stato di Israele in Palestina alla fine della II guerra
mondiale.
In effetti Archi evidenzia come la Gran Bretagna abbia fin da subito
ricoperto un ruolo fondamentale nel coadiuvare — non senza difficoltà
— il riconoscimento alla popolazione ebraica del diritto di godere
di un focolare nazionale in Palestina. Ciò avvenne mediante la c.d.
Dichiarazione di Balfour, che prende nome dall’allora Ministro degli
esteri della Gran Bretagna Arthur Balfour.
Quest’ultimo, nella sua dichiarazione, affermò che non dovevano
essere danneggiati i diritti civili e religiosi delle comunità non–ebraiche
della Palestina. Tuttavia ciò costituì causa di scontri tra la popolazione islamica preesistente sul territorio, che temeva la costituzione di
uno Stato ebraico, e gli ebrei, convinti che la Gran Bretagna avrebbe
sicuramente costituito una fonte di sostegno al loro progetto.
Il contributo di quest’opera è quello di aprire uno scorcio sulla
burocrazia britannica, che appare complessivamente interessata a
cercare anche l’appoggio del mondo arabo, mentre sembra poco
attenta ad intervenire per prevenire e porre fine ai crimini nazisti che
si stavano perpetrando ai danni della popolazione ebraica rimasta
in Europa. Ne è l’esempio la totale assenza da parte degli inglesi di
tentativi di sabotaggio delle linee ferroviarie che trasportavano gli
ebrei nei campi di concentramento.
Al di là dei giudizi morali la storia, purtroppo, insegna che alcune
scelte furono deliberatamente effettuate in totale assenza di lungimiranza, giacché la Gran Bretagna era perfettamente a conoscenza degli
orrori che accadevano nei lager nazisti. In quest’ottica, non bisogna
dimenticare come la Gran Bretagna si adoperò anche militarmente
per bloccare la fuga della popolazione ebraica verso la Palestina tra il
 e il  in piena Shoà.
Il merito di questo libro è sicuramente quello di riuscire a far emergere l’ambiguità della posizione inglese, che da un lato è percepita
negli ambienti sionisti come ostile agli ebrei che cercavano di sopravvivere al nazismo, ma dall’altro è percepita come potenza europea che
ha resistito e combattuto lo stesso nazismo.
Quello di Bruno Archi, diplomatico di carriera distaccato presso
l’Ufficio del Consigliere diplomatico di Palazzo Chigi dal  al ,
e di cui ho avuto modo di apprezzare la sensibilità storica e la grande
esperienza in campo diplomatico, rappresenta senza dubbi un punto
Prefazione

di vista inedito su una tematica ancora molto delicata e soprattutto
poco dibattuta nella letteratura storica italiana.
Gianni Letta
Introduzione
La I guerra mondiale e la Palestina:
il progressivo coinvolgimento britannico
“L’Uomo Malato d’Europa”, definizione attribuita tra il XIX e XX
secolo all’Impero ottomano e a ciò che ne restava dei suoi estesi possedimenti, scomparve dalla scena internazionale dopo la conclusione
della Prima Guerra Mondiale, che ne decretò lo sgretolamento definitivo, con la suddivisione dei suoi domini tra le Potenze vincitrici
dell’Intesa.
Già durante il corso delle ostilità, tuttavia, le manovre per la spartizione dell’Impero erano state avviate, e nessuno celava — tanto meno
la Gran Bretagna preoccupata di mantenere la sicurezza dei suoi vitali
interessi posti tra il Canale di Suez e l’India — l’importanza strategica
di alcune aree geografiche ancora nelle mani di Costantinopoli. Non
si trattava dell’ambizione di estendere le proprie conquiste territoriali
a spingere il governo britannico verso quelle zone, quanto piuttosto l’esigenza di evitare che le altre Potenze europee vi si potessero
infiltrare, approfittando dell’imminente crollo dell’Impero ottomano.
Tra queste, un posto di primo rilievo spettava alla Russia, che da
sempre guardava a sud nel tentativo di spezzare il cerchio di contenimento cui la Gran Bretagna l’aveva costretta nei decenni passati, e
di estendere i propri confini verso il mare, dal Mediterraneo fino al
Golfo Persico. Uno dei modi per oltrepassare gli Stretti consisteva
nell’ampliare progressivamente la propria influenza sui Balcani. Questo era l’obiettivo verso il quale la Russia tendeva da molti decenni,
senza tuttavia aver mai conseguito dei risultati concreti. Tale obiettivo
emerse con marcata insistenza soprattutto a partire dal Congresso
di Berlino del , che dettò gli assetti diplomatici del tempo nella
controversa Questione d’Oriente . Quest’ultima andava saldandosi
. Cfr. René Albrecht–Carrié, “Storia Diplomatica d’Europa –”, Laterza, Bari,
.


Introduzione
idealmente e geograficamente con il “Grande Gioco” — cosi come
definito dai britannici sin dagli anni venti del XIX secolo — per la
supremazia nel più vasto continente asiatico. Tale competizione vedeva la Russia e il Regno Unito muovere le proprie pedine come su
di una scacchiera, come ebbe sintomaticamente e candidamente a
riconoscere Lord Curzon, futuro Viceré dell’India:
Turkestan, Afghanistan, Persia: gran parte di questi nomi danno solo una
sensazione di estraneità e di lontananza [. . . ] Per me, lo confesso, sono nomi
di pezzi sulla scacchiera ove è in corso la partita per il dominio del mondo .
Infatti, più ad est, verso il Caucaso e l’Asia Centrale, la Russia,
nell’attuare una decisa “politica del pendolo”, puntava l’ago verso
la Persia e l’Afghanistan. La Russia tuttavia non raccolse significativi
successi, a seguito anche dei poco incoraggianti accordi che portarono
Londra e San Pietroburgo a suddividersi in zone d’influenza il 
agosto del  il territorio dell’attuale Iran, respingendo verso la
parte settentrionale del Paese le mire egemoniche russe. Agli inglesi
veniva lasciato il controllo sulle regioni meridionali, continuando a
privare la dinastia zarista di quella che veniva considerata dai russi
come un’irrinunciabile priorità geopolitica .
La Francia era l’altra diretta concorrente degli interessi del Regno
Unito nel Medio Oriente. Il lento processo negoziale avviato tra Londra e Parigi, vertente sulla suddivisione delle sfere di influenza nei
territori ottomani, si protrasse per tutto il , e condusse i due Paesi al noto accordo Sykes–Picot, raggiunto il  gennaio del , che
garantiva in sostanza alla Francia il controllo del Libano e della costa
siriana nord occidentale, mentre alla Gran Bretagna l’influenza sui
distretti mesopotamici di Baghdad e Bassora. Tutte le restanti zone
comprese fra questi due estremi venivano teoricamente sottoposte ad
una “confederazione di Stati arabi”, la cui stessa formulazione piuttosto vaga lasciava presagire un’ulteriore spartizione nel controllo dei
territori. Era inoltre previsto che la Palestina sarebbe divenuta una
sorta di condominio franco–britannico.
. Cfr, David Fromkin:” Una pace senza pace”, Milano, Rizzoli, .
. Cfr. Rogers Platt Churchill, “The Anglo–Russian Convention of ”, The Torch
Press, Iowa, .
Introduzione

Gli interessi della Germania nell’Impero Ottomano erano invece,
a differenza della Russia e della Francia, relativamente recenti. Solo durante la fine dell’ottocento, conclusa ormai l’era bismarckiana,
Berlino si affacciò sulla scena politica internazionale, non avendo precedentemente mai considerato il grande valore strategico del Vicino
Oriente e dei Balcani.
L’Imperatore Guglielmo II e il Ministro degli Esteri Bülow disegnarono cosi il “nuovo corso” della politica tedesca, attribuendole
i connotati della Weltpolitik, che assunse un afflato di ben più vaste
ambizioni e proporzioni rispetto al passato. Berlino avviò con decisione una manovra di penetrazione economica in Turchia, sotto la
forma di costruzioni di linee ferroviarie nell’Asia Minore, tanto che
nel  venne annunciato l’avveniristico progetto di un collegamento
tra Baghdad e Costantinopoli. La Germania arrivò poi a stringere nel
 un patto di alleanza con la Turchia, che di fatto legò le sorti di
Costantinopoli a quelle degli Imperi Centrali.
Tornando alla Palestina, per comprendere come dalla citata situazione, che di fatto vedeva sia la Francia, sia la Gran Bretagna svolgervi
in partenza un ruolo paritario, si arrivò invece all’esclusivo controllo
del territorio da parte del Regno Unito, che assunse formalmente alla
fine della guerra il Mandato sulla zona, occorre ricordare che tra il
 e il  salì al potere in Gran Bretagna una coalizione governativa in definitiva ben più disposta che in passato verso il sionismo e
verso le tesi che esso andava diffondendo. Lloyd George come Primo
Ministro e Arthur James Balfour in qualità di Ministro degli Esteri
contribuirono in maniera determinante allo sviluppo di un concetto, che si sarebbe di lì a poco affermato come il “focolare nazionale
ebraico in Palestina” (national home), finendo per suggellare questa
inclinazione in quella che passò alla storia come la “Dichiarazione
Balfour” del  novembre del , che assunse la forma di una lettera
del Ministro degli Esteri inglese a Lord Lionel Walter Rothschild, capo
della Federazione ebraica britannica.
In questo modo, la prima presa di coscienza ufficiale del problema
ebraico da parte della Gran Bretagna, che simpatizzava con le millenarie aspirazioni del popolo ebreo, spalancava una strada inedita,
che da quel momento iniziò ad essere opportunamente e tempestivamente battuta dalle comunità ebraiche mondiali, ben consapevoli
dell’importanza della posta in gioco.

Introduzione
Non si trattava, ovviamente, di sola e disinteressata predisposizione
verso il sionismo e di una umana comprensione per la Diaspora, che
aveva disseminato gli ebrei in tutto il mondo . Lloyd George voleva
dare soprattutto un rinnovato impulso alla politica mediorientale fino
ad allora perseguita da Londra, perché andava maturando l’opinione
che le sorti della guerra (allora impantanatasi nei logoranti, quanto
sterili combattimenti di trincea lungo il fronte occidentale) potevano
trovare nuovi e positivi sbocchi portando gli attacchi alla Germania
dai territori sotto il controllo dell’Impero ottomano, anello debole
della catena degli Imperi Centrali.
Esisteva inoltre il timore, di fronte allo stallo delle operazioni belliche nel teatro europeo, che la Russia, alleata dell’Intesa, ma nel
frattempo alle prese con il fermento popolare che sfociò nella rivoluzione d’ottobre e nella fine della dinastia degli Zar, potesse accedere
ad una pace separata con gli Imperi Centrali. Al tempo stesso, una più
esplicita presa di posizione a favore del sionismo poteva contribuire
— nell’ottica di Londra — a persuadere gli Stati Uniti — a loro volta
sospinti dalle incisive pressioni delle numerose comunità ebraiche —
ad entrare nel conflitto al fianco delle Potenze dell’Intesa.
Infine, il “pragmatico” atteggiamento inglese nei confronti degli
ebrei trovava giustificazione anche nella sopravvenuta necessità di
evitare che l’influenza della Francia sulla Palestina potesse radicarsi
dopo che il Ministero degli Esteri francese aveva diffuso il  giugno del
 un comunicato a sostegno della “rinascita della nazione ebraica
nella terra da cui il popolo di Israele fu esiliato molti secoli fa”. Era
necessario bilanciare quanto prima la mossa di Parigi con un’analoga
iniziativa in grado di attirare l’attenzione del popolo ebreo in funzione anti–francese, e consentisse di aumentare strumentalmente e
progressivamente il peso della Gran Bretagna nella Regione. Da ciò ne
scaturì la Dichiarazione Balfour, denominata “il maschietto”, in tono
vagamente scherzoso ma di buon auspicio per il futuro da Mark Sykes,
il protagonista, insieme a Francois–Georges Picot, della menzionata
intesa tra il Regno Unito e la Francia risalente a quasi due anni prima .
. cfr. Benny Morris, “Vittime”, Storia del conflitto arabo–sionista –, Milano,
Rizzoli, .
. cfr. Isaiah Friedman, “The question of Palestine: British–Jewish–Arab Relations”
London, Routledge&Kegan Paul, .
Introduzione

Una Palestina ebraica, sotto la diretta ed esclusiva influenza della Gran Bretagna, avrebbe contribuito a garantire la sicurezza delle
comunicazioni dell’Impero britannico tra il Mediterraneo e l’India:
un colonialista convinto, al di là delle simpatie liberali, come Lloyd
George, questo non poteva nasconderselo. Tanto più che ciò poteva
anche ben confondersi con gli allora emergenti principi wilsoniani,
che iniziavano lentamente a propagare il concetto dell’autodeterminazione, perché il Regno Unito avrebbe in questo modo continuato
a perseguire i propri interessi egemonici, agitando la bandiera del
sionismo come strumento per “mimetizzare le proprie ambizioni
imperiali” .
All’interno di questo quadro, tra il  e il , si determinò in
maniera sempre più crescente il coinvolgimento della Gran Bretagna
negli affari legati alla Palestina, con tutte le conseguenze in termini
di contatti con gli allora principali esponenti delle comunità e delle
organizzazioni ebraiche mondiali.
Ciò portò dopo un lunghissimo, quanto complicato negoziato alla
costituzione di un’unità combattente ebraica durante le due guerre del
secolo scorso. In particolare, agli ebrei che ebbero modo di partecipare
al secondo conflitto mondiale contro la Germania hitleriana, la Gran
Bretagna concesse di innalzare, come simbolo di distinzione dagli altri
reparti, la bandiera bianca e blu con la stella di David, primo, ma
decisivo segnale premonitore dell’entità giuridica e costituzionale che
si sarebbe di lì a qualche anno formata in Palestina e che avrebbe
ricongiunto gli ebrei di tutto il mondo nel nuovo Stato di Israele.
. cfr. Benny Morris, opera citata.