Successo della Compagnia Atera propiu cusì con l`operetta“Erono e

N.7 Settembre 2008 - Periodico informativo del Comune di Sant’Oreste
CANI GATTI E
LEGISLAZIONE
L’Amministrazione comunale è stata sollecitata ad intervenire sul problema degli
animali domestici di affezione, cioè cani e gatti, e sul
randagismo. Al fine di informare i cittadini, riportiamo
le disposizioni fondamentali
delle leggi su questo tema.
La legge quadro nazionale,
n. 281/1991, introduce una
fondamentale differenza tra
le due specie, disponendo
l’obbligo di misure di protezione e controllo per i cani,
che non possono essere lasciati liberi e devono essere
iscritti all’anagrafe canina e
tatuati, mentre stabilisce che
i gatti randagi hanno diritto
a vivere nel loro habitat
(nella via o piazza che scelgono, da cui è reato spostarli) ed è sanzionato il
maltrattamento di entrambe
le specie.Più precisamente la
legge regionale n. 34/1997,
Tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo, dispone: habitat”.Il
Regolamento proposto dalla
Provincia di Roma, ed adottato da molti Comuni, compresa la Capitale, stabilisce
che i gatti randagi vanno
protetti e tutelati nelle loro
strade e riconosce il ruolo
benemerito di chi Segue
li
a Pag.4
Successo della Compagnia Atera propiu
cusì con l’operetta“Erono e nozze i ficara”
Un capolavoro del teatro dialettale
Nel 1793 fu pubblicato un saggio estetico- filosofico di F. Schiller:” Della grazia e della dignità ” dove si definiva la grazia come
“ bellezza della forma sotto l’influsso della libertà “. L’enunciazione dello Schiller è utilissima per richiamarmi all’operetta
“ Erono e nozze i ficara”, musica, concertazione e direzione di
Alberto Menichelli, testi di Giancarlo Zozi e Alvise Menichelli,
data con grande successo nei giorni 30-31 agosto e 4-5 settembre
2008 nel chiostro dell’ ex convento di Santa Croce.
segue a pag. 2
IN QUESTO NUMERO:
Pag.2,3,4:
Erono e nozze i Figara
Pag.4:
Cani Gatti e Legislazione
“Erono
e nozze i ficara”
Segue dalla prima pagina
Perché è utile partire da un testo di estetica? Per-
ché se c’è qualcosa che si è perduta nell’arte,
parlando di stile, questa è proprio la grazia, o
meglio, la capacità di non essere pesanti nella
serietà e volgari o vuoti nella leggerezza. Non
mi dilungo troppo sulle conseguenze di tale
perdita, ma non posso tacere che, dopo i mirabolanti virtuosismi di Rossini e di Donizetti del
Don Pasquale (1843), la commedia musicale si
ritirò nel teatro leggero che, a differenza del teatro drammatico dominante ( Verdi, Bellini, Donizetti, Wagner) seppe seguire una sua via
parallela all’opera seria riuscendo in qualche
modo a recuperare terreno non tanto sullo status
psicologico dei personaggi del dramma quanto
sulla versatilità musicale, ovvero sulla vitalità .
E’ un passaggio fondamentale nella storia della
musica e del costume che porta al superamento
degli stereotipi tradizionali e pone al centro dell’attenzione l’idillio pastorale o rurale, ricco di
sfumature socio-cultuali arcadiche e contadine
; al centro della attenzione, dicevo, ma con l’inserimento di melodie cantabili semplici e capaci di ravvivare la commedia con sentimenti
genuini. Non già una rappresentazione statutaria degli “ affetti”, ma, con l’opera buffa, si
offre la manifestazione di una gestualità istrionica accompagnata da una immediatezza musicale e recitativa, ovvero emotiva, che spodestò
l’aria col “ da capo” per dare vita ad un libero
gioco di disegni melodici compiuti, liberi da
elementi descrittivi ed espressione sincera di
sensazioni naturali, autentiche, genuine.
Questa, appena accennata, analisi storico estetica mi sembra doverosa per dare all’opera santorestese: il peso culturale che le spetta ,
nobilitarla e valorizzarla, anche metodologicamente, e per rendere il giusto omaggio alla
Compagnia “Atera propiu cusì” collocandola
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nel giusto luogo che la storia del teatro musicale riserva al teatro popolare dialettale,
alla commedia dell’arte, all’opera leggera.
Se “ Erono e nozze i ficara” fosse stata rappresentata all’Opera di Roma o alla Scala, si sarebbe parlato di grande successo del teatro
popolare, grandi titoli sui giornali…Non mi
pare giusto che, per il fatto di essere stata data
a Sant’Oreste, cioè in una piccola realtà paesana, questo patrimonio della cultura e della tradizione locale debba essere messo
nell’angoletto delle rappresentazioni e accontentarsi semplicemente di aver consentito di
passare due ore e mezzo in allegria senza alcuna riflessione sulla sua importanza culturale.
Non mi pare giusto anche perché credo che
questo sia il capolavoro di Alberto Menichelli e,
in quanto tale, valore aggiunto del nostro stile
santorestese e del come eravamo, fino a pochi
anni fa, identitario ed identificabile nel successo riscontrato tra gli oltre 1500 spettatori che
hanno preso parte alle repliche di “Erono e
nozze i ficara”
Il compositore, in quest’opera lineare dove non
ci sono intrighi complicati e intrecci secondari,
è riuscito a separare con grande nitore ed esemplare chiarezza i piani dell’azione scenica da
quelli dei sentimenti e dei rapporti fra i personaggi.Un sottile equilibrio regola l’impianto
formale delle Nozze già a partire dall’entrèe
iniziale con quel ritmo di marcetta spensierata.
Un allegro motivo d’ambiente che introduce
all’ambiente scenico, come in un sogno felliniano arricchito dalla musica di N.Rota,
prende per mano lo spettatore e gli sussurra
che ciò che ascolterà in seguito non è musica
d’occasione né un esercizio di routine di un
compositore ma è la ispirazione del compositore stesso che si confronta coi suoi ricordi,
con l’atmosfera antica di un paese antico: la
musica diventa il “ luogo” d’azione dei sentimenti.
“Erono e nozze i ficara”
Ed allora ecco i temi espandersi in valzer, cha
cha cha, in rytm in blues, in beguine, in sincopati jazzistici, in recitativi cantabili, in ariosi,
insomma in una caleidoscopica orchestrazione
che richiama alla danza d’insieme, al gioco
del canto d’insieme, alla rincorsa ad una felicità povera ma schietta, alla coscienza che
l’attimo, vissuto e musicale, è irripetibile e va
goduto sino alla fine. Le sequenze tonali si
sciolgono in ballabili e cantabili pieni di brio,
in armonie dove i tromboni insinuano e sorridono in pendant col testo corale e dove la
musica di Alberto rivela il grande messaggio
di profondo legame con le vicende di questi
giovani paesani spaesati davanti all’amore, inconsci della loro unicità, supplichevoli davanti alle tre sorelle eloquenti nelle diatribe
d’amore ma anch’esse vittime della loro pudicizia, dei loro ancestrali, secolari desideri che
bruciano sotto la cenere della verecondia . Nel
brano di chiusura, Quattro sassi, credo che la
creatività di Alberto abbia dato il massimo: un
tema a canone che contiene un oscillante
ritmo di canzone, anzi uno stile di canzone
animata da movimenti orchestrali sempre aggiuntivi, come in un girotondo - moto perpetuo. La perenne vitalità orchestrale è la cifra
dell’atto celebrativo della condizione esistenziale del paese che fu, dei sentimenti della popolazione scenica, metafora della civiltà
contadina. Tanto bello e importante è questo
arioso cantabile finale, un autentico pezzo di
bravura come dicevo, che ne vedrei con piacere una trascrizione per banda, istituzione
preposta anche alla promozione della produzione musicale contemporanea, tanto più se
l’autore è in vita.
E che dire dei personaggi. Padre Giocondo (
Cancellone), solenne, ieratico, con quell’abito
talare antico, narratore e animatore della storia. Padrone della scena, gran maestro di furberie e accordi sottobanco, mellifluo e
perentorio, è l’ago della bilancia di tutte le vicende che alla fine risolve con quel pizzico di
furbizia ruspante che gli è naturale. E Gnaccu-
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lone sacrestano ( Pippetta), l’uomo dalle “
doti nascoste” che si porta a casa la Sora
Olga ( Peppina), la più bella del paese. Che
farebbe volentieri le scarpe al Sor Pio (
Bruno) il più ricco del paese ma anche il più
timido, ma non può…perché
“u prete” ci mette il suo zampino…accomodante ( come al solito…).
Che gran da fare ha il fornaio ( Rocco) per sistemare le tre figlie da maritare: Marianna
(Pina), Ternaria ( Rosella), Maria (Cristiana).
Tre prime donne, ottime cantanti e bravissime attrici che inscenano rusticani duelli con
i baldi giovanotti Michele (Fausto), Morfeu (
Paolo) Burlando (Burlando), anch’essi insieme o da singoli, impegnati sulla scena che
zampillava di serenate, di canti accorati, di
cantate ad una due tre, sei voci!!.Marietta i
Perummollu (Giuliana) madre dei ragazzetti è
la donna furba, navigata, una volpe per opportunismo e sagacia contadina. La sua è una recitazione istintiva, genuina. Una così non ha
bisogno di scuola: lei fa scuola. Il teatro dialettale è così, dalla strada al palcoscenico. La
processione con l’ostensione di San Mandulone ( Antonio Piattaru) è il vero coup de
theatre. Irresistibile finzione di processione
dal carattere pagano dove il travestimento, la
parodia, la mascheratura rappresentano il clou
di un divertissement che non va ad indagare
sulle ragioni recondite di tanta devozione ma
si sofferma, sorridendo, sull’aspetto visibile,
ludico, giocoso ma esilarante del piacere di
dare spettacolo. Piattaru è stratosferico, ineguagliabile nella postura del santo, inimitabile
in quell’immagine di spiritualità ridanciana,
preceduta da stendardi inneggianti a grandi
bevute. Non so se san Mandulone-Piattaru assurgerà mai alla gloria del paradiso, ma certo
è che i santorestesi l’hanno già glorificato.
Questo è il momento culminante dell’opera,
quando il contenuto allegro della manifestazione capeggiata da Don Giocondo si trasferisce nella forma musicale che l’accompagna e
da significato alla messa in scena girata in
piazza “Ervasio Senzadenti, inventore du panemmollu! “(tutto un programma…)
“Erono e nozze i ficara”
Buone le coreografie di Romina Giacomini e i
balletti di Francesca, Irene , Cristiana.
Perfetti e intonati i costumi, i carnelli delle
nonne, e professionale l’impianto luci-microfoni. Va citato l’ottimo lavoro svolto dietro le
quinte da Emanuela che, oltre a scandire perfettamente i tempi d’ingresso degli attori, ha
svolto funzione di acconciatrice, truccatrice,
parrucchiera, sarta ecc.L’orchestra ha suonato
ai massimi livelli di qualità.
Questo, signori, è il teatro popolare dialettale
autentico. Il teatro nel quale il dialetto è l’elemento caratterizzante e l’immediatezza
espressiva del testo assurge a grandi significati semantici, cioè a quell’espressione che
letteralmente esprime un concetto ma ne comprende molti altri. Il dialetto come coscienza
della nostra cultura è infatti qualcosa di più di
un espressione ed è, alla fin fine, lo strumento
che concede alla musica la libertà della quale
parlava Schiller. Libertà che per il compositore Menichelli ha significato possibilità di intervenire a suo piacimento nella poesia e di
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Cani Gatti e Legislazione
accudisce, che ha diritto al sostegno da parte
di ASL e Comune, per le cure mediche ed il
sostentamento. Viene prevista l’istituzione
della Colonia felina protetta, cioè la registrazione, presso la ASL, del gruppo di gatti che
vivono in un determinato ambiente, via o
piazza, accuditi da un volontario e tutelati
dalle norme penali. Il volontario ha l’obbligo
di non lasciare rifiuti nel luogo dove i gatti
vengono nutriti, ferma restando la competenza
del servizio pubblico per le aree e le strade comunali. A Sant’Oreste risulta istituita una colonia felina registrata presso la ASL RMF4.
Il Codice Penale (art. 544-ter) dispone:
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valorizzarla con la sua creatività musicale.
Questo è il teatro dell’arte, quello del canovaccio come copione, quello dove gli attori
inventano ogni sera, quello che non rispetta le
leggi meccaniche della prosa ma va a braccio
in una polifonia di continua novità.
Questo è il teatro che si fa per passione, che ti
fa lavorare per un anno intero, prove su prove,
che non ti regala niente se non la gioia di costruire con gli amici qualcosa che diverta e
faccia divertire.
Si, aveva ragione Schiller:” la grazia come
bellezza della forma sotto l’influsso della libertà”
Sant’Oreste non può rinunciare a questo patrimonio che aggrega cittadini, visitatori e territorio, che fa il tutto esaurito ad ogni
rappresentazione, che riporta in vita gli amici
Gianni Acqua, Alvise Menichelli, Silvio Fortuna e tanti altri che negli anni ’70 dettero inizio a questa bella avventura del teatro
dialettale e che oggi vedrebbero realizzati i
loro sogni.
Giorgio Boari Ortolani
“ Chiunque, per crudeltà o senza necessità,
cagiona una lesione ad un animale ovvero lo
sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione
da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000
a 15.000 euro. La stessa pena si applica a
chiunque somministra agli animali sostanze
stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a
trattamenti che procurano un danno alla salute
degli stessi. La pena è aumentata della metà se
dai fatti di cui al primo comma deriva la morte
dell’animale”.
Gianni Lazzari