Magnetoterapia - CLE elettromedicali

A cura del centro ricerche Cosmogamma
TERAPIA CON CAMPI ELETTRO
MAGNETICI PULSATI
Tratto da “ Campi Elettro Magnetici Pulsati: indicazioni cliniche e terapeutiche”
Autore: Alessandro Zati, anno 2002.
1
INDICE
Generalità: il campo magnetico............................................pag.
3
Effetti biologici dei campi magnetici....................................pag.
4
Tecniche d’applicazione dei campi magnetici.....................pag.
7
Indicazioni cliniche ................................................................pag.
11
Controindicazioni ai campi magnetici .................................pag.
23
Bibliografia .............................................................................pag.
24
2
GENERALITA’. IL CAMPO MAGNETICO.
Il magnetismo era conosciuto nei suoi effetti sensibili fin dall’antichità al pari
dell’elettricità; tuttavia, mentre le proprietà fisiche di quest’ultima sono state
studiate e comprese abbastanza rapidamente, il magnetismo è stato analizzato
molto più lentamente. Solo recentemente i due fenomeni sono stati riuniti nello
studio comune delle onde elettromagnetiche.
Innanzitutto vogliamo definire che cos’è un campo magnetico a bassa frequenza
del tipo da noi utilizzato e collocarlo nell’ambito dello spettro elettromagnetico.
La proprietà che alcuni materiali (magneti) possiedono e manifestano, orientando
le sostanze metalliche, si definisce magnetismo. In realtà, tutte le sostanze, non
solo i metalli, hanno un proprio comportamento magnetico, anche se i corpi “non
metallici” rivelano tali effetti in modo indiretto e non sempre visibile.
Magnetoterapia. L’analogo di un magnete è una serie di spire, vale a dire un
solenoide, che opportunamente pilotato con corrente elettrica, genera campi
magnetici. La magnetoterapia utilizza campi magnetici variabili nel tempo, monodirezionali, a bassa intensità, dell’ordine dei 20-100 gauss, definiti: Campi
Elettromagnetici Pulsati (CEMP).
La caratteristica principale della magnetoterapia è la bassissima frequenza. Le
bande utilizzate sono l’E.L.F. (Extremely Low Frequency), con frequenze
comprese tra 3 Hz e 3 kHz; in alcuni casi, si utilizza la banda U.L.F. (Ultra Low
Frequency), con frequenze comprese tra 0 Hz e 3 Hz.
L’impiego in terapia fisica della bassissima frequenza è basato su di una serie di
motivazioni. Innanzi tutto, un’onda elettromagnetica ha una penetranza nei tessuti
tanto maggiore quanto più è bassa la sua frequenza. Tutte le onde
elettromagnetiche tradizionalmente utilizzate (onde corte e micro-onde, a
frequenza dell’ordine dei mega e giga Hz) hanno una bassa penetranza, ed
esauriscono la loro azione diretta negli strati superficiali dell’organismo. Ad
esempio, nessuna delle onde impiegate in diatermia dimostra una reale capacità di
penetrazione all’interno del tessuto osseo, che è interessato solo dagli effetti
indiretti della radiazione elettromagnetica.
Un altro motivo che c’induce a preferire la bassa frequenza all’alta, è l’aumento
considerevole della temperatura che consegue all’esposizione dei tessuti alle alte
frequenze. Quest’aumento di temperatura degli organi “target”, alcuni decenni fa
era stato ritenuto addirittura terapeutico. Attualmente l’incremento termico è
considerato alla stregua di un effetto collaterale, poiché altera l’importante
condizione isotermica dei tessuti biologici.
Questo problema non sussiste con l’utilizzo dei campi magnetici di bassissima
frequenza E.L.F. e U.L.F., poiché in questi prevale la componente magnetica sulla
componente termica che si può considerare d’entità trascurabile.
3
EFFETTI BIOLOGICI DEI CAMPI MAGNETICI
Gli organismi viventi sono tutt’altro che inerti ai campi magnetici; anche se la loro
reattività alle onde elettromagnetiche non è così evidente come quella dei corpi
metallici, la loro natura composita li espone a reazioni molto importanti.
Innanzitutto, nei fluidi organici esistono diverse sostanze paramagnetiche; quali
per esempio, l’ossigeno molecolare, le metallo-proteine ed i radicali liberi. Tali
sostanze sono sensibili alla presenza di un campo magnetico e tendono ad
allinearsi con esso dando origine ai cosiddetti effetti magneto-meccanici.
Negli organismi animali, si determinano però ben altri effetti come risposta alla
presenza di un campo magnetico. Faraday dimostrò che variando nel tempo il
flusso magnetico di un circuito, in questo si generava una differenza di potenziale
e quindi una corrente indotta.
Questo fenomeno avviene anche quando si espone ad un campo magnetico
variabile un organismo vivente: in esso s’inducono deboli potenziali elettrici.
Quest’effetto è detto effetto magneto-elettrico, ed è la reazione biologica che a noi
interessa maggiormente.
Correnti indotte nel corpo umano. L’uso delle correnti indotte come mezzo
terapeutico si è affermato con le ricerche volte a favorire la rigenerazione del
tessuto osseo.
Yasuda (1953) per primo ottenne un’osteogenesi indotta elettricamente in un
coniglio. Allo scetticismo generale seguirono conferme e consensi sempre
crescenti.
Yasuda, inoltre, fornì la prima corretta interpretazione del fenomeno. Egli
dimostrò che il tessuto osseo aveva proprietà piezoelettriche: la deformazione
meccanica delle strutture ossee generava una differenza di potenziale che chiamò
potenziale piezo-elettrico. Egli ritenne che i responsabili del potenziale elettrico
fossero i cristalli di idrossiapatite.
E’ stato dimostrato successivamente (Becker, 1964) che la componente del tessuto
osseo dotata di proprietà elettriche è in verità quella collagenica. Questo fatto è
importante perché aprì le porte al concetto che tutte le strutture a matrice
collagenica sono regolate in maniera simile al tessuto osseo, quindi anche la
cartilagine, i tendini, i legamenti ed altre ancora sono responsive ai campi
magnetici.
Per anni si ritenne che il potenziale piezoelettrico fosse l’unico segnale mediante il
quale l’attività motoria, la forza di gravità ed altre forze meccaniche plasmassero
ed organizzassero tutte le strutture dell’apparato locomotore degli organismi
animali.
Nel 1984 Pollack dimostrò la presenza di potenziali elettrici d’origine diversa da
quella meccanica-piezoelettrica: gli streaming potentials o potenziali “Z”. Questi
potenziali di “scorrimento o filtramento” (streaming) traggono origine dal fatto
che molti biopolimeri strutturali posseggono una carica fissa superficiale notevole
(per esempio i proteoglicani sono forti polianioni). Quando tali ioni sono spinti
4
attraverso i vasi od i tessuti dalle normali forze idrauliche della circolazione, si ha
un’interazione elettrostatica tra le cariche tissutali fisse e le cariche mobili: in tal
modo si generano potenziali elettrici locali.
Gli streaming potentials rendono ragione del perché un arto fratturato tenda alla
guarigione anche in assenza d’attività motoria o di sollecitazioni meccaniche.
L’importanza di questi micro-potenziali biologici emerge da una serie d’evidenze
sperimentali.
L’osservazione di come il processo di rigenerazione dei tessuti sia accompagnato
da un’attività bio-elettrica, ha suggerito ad alcuni sperimentatori di esaminare gli
animali che rigenerano spontaneamente gli arti amputati, quali per esempio le
salamandre (Rose 1978). Quest’autore osservò che, il processo di rigenerazione
dell’arto della salamandra era mediato da un’attività elettrica che risentiva in
maniera fondamentale della polarità. I monconi degli arti delle salamandre
rigeneravano completamente sotto la guida di correnti naturali, monodirezionali e
con polarità negativa in posizione distale. Se la polarità era invertita
artificialmente, gli arti non si rigeneravano.
Queste esperienze sono state ripetute con animali più evoluti che non rigenerano
spontaneamente gli arti, quali le rane. Anche nelle rane, esponendo il moncone
d’arto ad una corrente polarizzata con il catodo posto distalmente si è ottenuta una
rigenerazione dell’arto amputato (Smith 1974). Risultati analoghi sono stati
ottenuti mediante l’impiego di campi magnetici (Chiambrera 1979).
Studi eseguiti sull’uomo hanno evidenziato come il potenziale elettrico di una
frattura subisca importanti variazioni durante la fase riparativa: in particolare tutte
le aree attive, cioè in rigenerazione, risultano elettronegative rispetto a quelle
quiescenti. Inoltre, nella sede della frattura ossea, il potenziale negativo è quattrocinque volte più elevato del massimo potenziale negativo dell’osso integro
sottoposto a carico. Il potenziale aumenta fino a normalizzarsi quando la frattura è
consolidata (vedi figura n. 1). Viceversa, nei ritardi di consolidazione questa
differenza di potenziale non è presente.
Fig. n.1: nella frattura il potenziale è negativo; con la riparazione si normalizza.
Da queste esperienze nasce il principio terapeutico di indurre artificialmente in un
organo una differenza di potenziale attraverso una stimolazione elettromagnetica
esterna.
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TECNICHE D’APPLICAZIONE DEI CAMPI MAGNETICI
Possiamo ormai considerare definitivamente abbandonate le tecniche invasive
consistenti nell’impianto d’ago-elettrodi direttamente nel tessuto da trattare con i
campi magnetici. La metodica non invasiva è stata messa a punto negli U.S.A. dal
Prof. Bassett, presso la Columbia University. Nel 1979 la magneto terapia è stata
convalidata dalla Food and Drug Administation (U.S.A.). Si basa sui concetti
d’induzione magnetica e d’induzione elettrica.
Induzione magnetica. E’ l’effetto che un conduttore, percorso da corrente elettrica,
genera nello spazio circostante. Il campo magnetico indotto (vettore d’induzione
magnetica) è posto su un piano perpendicolare al conduttore che lo ha generato.
L’intensità del campo è inversamente proporzionale alla distanza del punto
considerato dal conduttore. Inoltre, a parità di corrente di pilotaggio, tanto
maggiore è l’area sottesa dal solenoide, tanto minore è l’intensità del campo
magnetico.
Induzione elettrica. E’ la differenza di potenziale che il flusso di un campo
magnetico a caratteristica variabile induce in un conduttore (per esempio, il corpo
umano). Il vettore del campo elettrico è perpendicolare al vettore del campo
magnetico. Questa corrente elettrica indotta è il segnale elettrico “terapeutico” che
ricerchiamo (vedi figura n. 2).
Fig. n° 2: il vettore di campo elettrico (E) ed il vettore di campo magnetico (CM) si trovano su
piani ortogonali.
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Metodica con solenoide unico.
Questo è il modo più semplice di applicare un campo magnetico variabile ad una
parte o a tutto il corpo umano. Con un solenoide unico si ottiene un campo
magnetico esteso a tutta la lunghezza del solenoide ed espanso ai suoi estremi. Il
vettore magnetico è parallelo all’asse lungo del solenoide ed il vettore elettrico è
perpendicolare a questo (vedi figura n. 3).
Fig. n. 3: campo elettrico (E ) e campo magnetico (CM), nel solenoide.
Il campo magnetico appare piuttosto omogeneo e decresce d’intensità dal centro
della struttura verso gli estremi del solenoide; non risente molto d’eventuali errori
di posizionamento dello strumento e/o del paziente.
Solenoide a tunnel. E’ indicato usare un solenoide a tunnel quando si voglia
trattare globalmente una regione corporea che non presenta lesioni ben localizzate.
E’ indicato dunque in caso di patologie quali osteoporosi, fratture complesse e
ramificate di bacino od altri distretti ossei, rachialgie, edemi diffusi ecc.. La
dimensione del tunnel influenza molto l’intensità del campo magnetico. In
generale, a parità d’avvolgimenti, tanto maggiore è il diametro della bobina, tanto
minore è la densità d’energia del campo. Per pilotare i solenoidi a tunnel,
normalmente vengono utilizzati generatori “total body” d’elevata potenza.
Solenoide a disco. Si utilizza un solenoide unico, a forma di disco, per il
trattamento di patologie localizzate e di strutture corporee poco profonde. Anche
in questo caso, la dimensione ed il numero d’avvolgimenti influenzano
notevolmente la dimensione e la densità del campo magnetico. I solenoidi a disco
più comuni sono quelli aventi un diametro di 15 cm. e 7.5 cm..
Il solenoide a disco di 15 cm. di diametro è utilizzato per le frequenze da 0 a 150
Hz. A queste frequenze, infatti, un solenoide di tali dimensioni garantisce un
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campo magnetico di buon’intensità, dimensione e profondità. Questa metodica è
utilizzata soprattutto per il trattamento d’ulcere da decubito poco profonde o per
lesioni di tronchi nervosi superficiali. Nella figura n. 4 è rappresentata il variare
dell’intensità del campo magnetico in funzione della distanza (profondità) del
tessuto dal magnete. Come si può notare, l’intensità decresce rapidamente, fino ad
essere d’entità poco consistente oltre 5 cm. dalla superficie del solenoide.
15∅
cm. 0
125 G
cm. 1
80 G
cm. 2
60 G
cm. 3
50 G
cm. 4
40 G
cm. 5
30 G
15 ∅. 50 Hz
Fig. n. 4: intensità di picco di una bobina di ∅ 15 cm., in relazione alla profondità, alla
frequenza di 50 Hz. Valori simili sono stati rilevati a 72 e 100 Hz (intensità 100%).
Il solenoide a disco di 7.5 cm. di diametro è utilizzato per le frequenze da 200 Hz
a 750 Hz, soprattutto per l’azione analgesica espressa dai CEMP a questi valori. Il
trattamento è rivolto a strutture molto superficiali e di piccole dimensioni, come
per esempio, punti “trigger” o “tender” (v. oltre, terapia del dolore). L’azione
terapeutica del campo è in questo caso limitata a pochi cm. di profondità (vedi
figura n. 5).
7.5 ∅ 750 Hz
7.5 ∅ 300 Hz
cm. 0
100 G
cm. 0
100 G
cm. 1
60 G
cm. 1
65 G
cm. 2
40 G
cm. 2
45 G
cm. 3
25 G
cm. 3
30 G
cm. 4
15 G
cm. 4
20 G
Fig. n. 5: intensità di picco di una singola bobina di ∅ 7.5 cm., in relazione alla profondità,
alle frequenze di 750 Hz ( intensità 75%) e 300 Hz (intensità 100%) *.
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METODICA A DUE SOLENOIDI CONTRAPPOSTI.
Con due solenoidi contrapposti e paralleli tra loro si ottiene un campo magnetico
unico (concatenato) con linee di forza parallele. Il vettore elettrico indotto in una
regione corporea interposta è perpendicolare al campo magnetico creato dai due
solenoidi.
La metodica è indicata per il trattamento di lesioni ben orientate nello spazio, quali
una frattura ossea lineare od un’interruzione di un tronco nervoso.
Grande importanza riveste il posizionamento corretto dei due solenoidi che
devono esser sistemati quanto più possibile paralleli tra loro ed alla minore
distanza dalla lesione. Deve esser sempre fatta molta attenzione ad orientare
adeguatamente i solenoidi, che devono essere in “fase”, affinché i due campi
magnetici si concatenino; diversamente, i due campi s’isolano all’esterno del
tessuto che si vorrebbe trattare. E’ sufficiente prestare attenzione al simbolo di
fase, (generalmente una ”N”), che deve essere posto dallo stesso lato (vedi figura
n. 6).
Fig. n. 6: bobine contrapposte, in parallelo, in” fase”.
Nell’uso di due bobine contrapposte, l’intensità del campo magnetico è funzione
della distanza intercorrente tra le due bobine; allontanando le due bobine
l’intensità del campo magnetico decresce rapidamente.
Le bobine di 15 cm. di diametro sono le più utilizzate per le frequenze da 0 a 150
Hz. A titolo esemplificativo mostriamo i valori in gauss del campo magnetico
presente tra due solenoidi di 15 cm. di diametro, ad una frequenza di 72 Hz, che è
la frequenza più comune in campo ortopedico-traumatologico (vedi tabella I).
Per le frequenze da 200 a 750 Hz, utilizzate a scopo trofico-analgesico, si deve
ricorrere all’uso di bobine più piccole: per esempio bobine di 7.5 cm. di diametro.
Il campo appare d’estensione più limitata e l’intensità decresce rapidamente in
funzione della distanza tra i solenoidi. Queste piccole bobine possono esser
utilizzate in campo concatenato fino ad una distanza massima di 15 cm. tra loro
(vedi tabella II).
9
distanza in cm.
15 ∅
Gauss
Distanza
bobine (cm.)
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
72 HZ
Gauss:
100
90
85
80
70
60
55
50
45
40
35
30
28
26
24
22
Tabella I: intensità di picco del campo magnetico generato da una coppia di solenoidi di ∅ 15
cm., ad una frequenza di 72 Hz, in funzione della distanza intercorrente tra i due solenoidi. La
misurazione si riferisce al punto intermedio tra i due solenoidi (intensità 100%). Per le
frequenze: 2, 10, 12, 50, 60 e 100 Hz i valori di intensità di picco sono risultati simili(*).
Distanza
bobine cm
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
distanza in cm.
Gauss
7.5 ∅
750 HZ
Gauss :
65
55
40
35
30
25
22
18
16
14
13
300 HZ
Gauss :
60
55
45
40
35
27
25
20
17
15
13
Tabella II: intensità di picco del campo magnetico generato da una coppia di solenoidi di ∅ 7.5
cm., alle frequenze di 750 Hz (intensità 75%) e 300 Hz (intensità 100%), in funzione della distanza
intercorrente tra i due solenoidi. La misurazione si riferisce al punto intermedio tra i due solenoidi
(*).
*Le misure sono state effettuate con generatore MG Wave, classe II tipo BF; 100-240 Vac in, 30V dc out;
70VA; 30W.
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INDICAZIONI CLINICHE
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OSTEOPOROSI
I campi elettro magnetici pulsati (CEMP) sono utilizzati nella terapia
dell’osteoporosi per l’azione eccito-metabolica che esercitano nei confronti del
tessuto osseo (Bassett L.S. 1979).
Il trattamento dell’osteoporosi con CEMP richiede alcune precise nozioni di tipo
nosologico. L’osteoporosi è attualmente considerata non una malattia ma una
sindrome, condizione dunque comune a varie situazioni eziologiche.
Noi consigliamo di trattare l’osteoporosi con i campi magnetici solo dopo che la
sindrome osteoporotica sia stata ben inquadrata da un punto di vista
eziopatogenetico e metabolico. E’ ben noto, infatti, che a fronte di molte
osteoporosi primitive ve ne sono altrettante secondarie (per esempio, insufficienza
renale, artrite reumatoide ecc.). Ciascuna di queste condizioni patologiche richiede
un intervento specialistico (a volte plurispecialistico) atto a contrastare l’evento
responsabile.
Trattamento con campi magnetici. I segnali più utilizzati nelle sindromi
osteoporotiche sono il segnale rettangolare e le frequenze 50 e 100 Hz.
Nell’osteoporosi sistemica è consigliabile l’utilizzo di un tunnel di 60 cm. di
diametro, che consente di erogare un campo “total body”. Tempi di trattamento: 1
ora al dì per 20 giorni, 2 volte all’anno.
Per le forme d’osteoporosi localizzate, per esempio ad un arto, consigliamo l’uso
di una coppia di solenoidi di 15 cm., opportunamente orientata. Tempi di
trattamento: 1 ora, 1-2 volte al dì, per 20 giorni, 2-3 volte all’anno.
La risposta del tessuto osseo è sempre molto lenta e misurabile solo nell’arco di
almeno 12-18 mesi.
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RITARDO DI CONSOLIDAZIONE DELLE FRATTURE OSSEE.
Nel ritardo di consolidazione la magneto-terapia si è dimostrata estremamente
utile per riattivare il tessuto osseo quiescente.
Trattamento con campi magnetici.
Molta cura va posta nell’individuare la regione in cui si trova la frattura.
Consigliamo una valutazione attenta delle radiografie, al fine di definire la forma,
la direzione della rima di frattura. Questo può sembrare scontato per le fratture
lineari delle diafisi delle ossa lunghe; in realtà i ritardi di consolidazione spesso
sottendono problematiche complesse, quali, per esempio, linee di frattura atipiche.
Fig. n. 8: campo magnetico (MG) e correnti elettriche indotte ( E).
Fig. n. 9: le bobine devono essere parallele tra di loro ed ortogonali alla linea di frattura.
Uso di due solenoidi. La metodica con due solenoidi è di prima scelta. Il
posizionamento dei due solenoidi (vedi figure n. 8 e 9) deve esser fatto cercando
di mantenerli paralleli tra loro e quanto più possibilmente perpendicolari all’asse
traversale alla rima di frattura che si vuole stimolare (vedi parte generale). Il
segnale consigliato è quello “classico ortopedico”, cioè 72 Hz, con onda
rettangolare (segnale di Bassett).
Tempi di trattamento: dalle 6 alle 8 ore al dì per 1-2 mesi, secondo la gravità della
lesione.
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PSEUDO-ARTROSI.
La distinzione tra ritardo di consolidazione e pseudo-artrosi si basa su vari aspetti,
di cui quello temporale è certamente il più semplice: secondo Bassett si può
considerare pseudo-artrosi un ritardo di consolidazione che duri più di nove mesi.
In realtà molte situazioni di gravi fratture hanno già dall’esordio tutte le
caratteristiche anatomo-patologiche della futura pseudo-artrosi: presenza di
sequestri ossei, contaminazioni settiche, tessuti molli interposti ai capi di frattura,
fallimento della riduzione, ecc..
Trattamento con campi magnetici. Il problema pratico è spesso il posizionamento
dei due solenoidi, che può trovare un ostacolo nella presenza degl’apparecchi di
fissaggio esterno. Qualora risulti inadeguata la posizione dei due solenoidi, il
trattamento rischia d’essere inutile. Tempi di trattamento: 8-12 ore al dì, per 2-3
mesi, secondo la gravità della lesione.
OSTEONECROSI
Tra tutte le osteonecrosi, la necrosi dell’epifisi prossimale del femore rappresenta
l’evenienza più frequente e più invalidante.
Il trattamento delle necrosi epifisarie del femore è conservativo o chirurgico.
Negli stadi "zero" ed "uno" di Ficat, il trattamento è sempre conservativo e si basa
su varie tecniche riabilitative, con scarico dell’arto e nella terapia precoce ed
intensa con i CEMP.
Negli stadi “due” e “tre” il trattamento è di solito combinato, chirurgico e
fisioterapico. Nello stadio “quattro” spesso l’unica terapia possibile è la protesi
totale dell’anca.
Trattamento con campi magnetici. Noi consigliamo una stimolazione di almeno
sei-nove ore, ripartite in due-tre volte nella giornata; il trattamento non deve esser
mai condotto per un periodo inferiore a tre mesi.
La metodica da preferire è quella con due solenoidi, avendo sempre molta cura
nella disposizione degli stessi. L’intensità deve esser sempre pari al 100% della
disponibilità del generatore. La frequenza consigliata è 72 Hz. I tempi di
trattamento: 8-12 ore al dì per 3-4 mesi.
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PROTESI D’ANCA
I campi elettro magnetici pulsati (CEMP) sono utilizzati da più di dieci anni in
ortopedia per favorire l’attecchimento delle protesi d’anca specie se l’impianto ha
richiesto l’uso d’innesti ossei. Qualora sia stato utilizzato cemento non vi è
alcun’indicazione all’uso dei CEMP.
Protesi d’anca non cementate di primo impianto.
E’ necessario rilevare che le protesi di primo impianto, senza complicazioni, non
necessitano d’alcuna stimolazione con CEMP. Tuttavia, in alcuni casi particolari si
è ritenuto opportuno utilizzare i CEMP.
Come riportato da molti autori, la protesi d’anca non cementata a volte è
all’origine di una particolare patologia definita: thigh pain o coscia dolorosa, in
questa patologia, l’uso dei CEMP (a 72 Hz) è particolarmente raccomandato.
Tempi di trattamento: 6 ore al dì per 2 mesi.
Reimpianto di protesi d’anca.
La letteratura è ormai concorde sull’utilizzo dei CEMP per favorire
l’attecchimento delle protesi d’anca di secondo impianto. In generale, tanto più
l’espianto-impianto è stato indaginoso e con perdita di tessuto osseo, tanto più si
consiglia l’uso dei CEMP.
Trattamento con campi magnetici. Si consiglia di utilizzare come prima scelta la
tecnica dei due solenoidi contrapposti. Nel caso che la morfologia del paziente
renda difficoltosa l’applicazione delle due bobine secondo il corretto parallelismo,
allora è consigliabile l’uso del “tunnel”, con generatore di tipo “total body”. Come
frequenze di riferimento consigliamo sempre 72 Hz. Tempi di trattamento: 8 ore al
dì per 2-3 mesi.
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ARTROSI
Negli ultimi anni si è posta molta attenzione agli effetti dei campi magnetici
sull’artrosi e sono stati condotti molti studi in vitro, sperimentali e clinici. Sulla
base di queste esperienze, noi abbiamo tratto le seguenti considerazioni.
Qualora l’artrosi coinvolga solo la componente cartilaginea è consigliabile
utilizzare un segnale di bassissima frequenza (inferiore a 30 Hz); questo segnale
appare molto specifico per la cartilagine. Qualora sia coinvolta anche la
componente ossea, è meglio associare un programma a “target” più tipico per il
tessuto osseo, per esempio 50 Hz. Raccomandiamo intensità inferiori a 30 gauss.
Tempi di trattamento: per il rachide 30 minuti, due volte al giorno, per 15 giorni.
Per le grandi articolazioni, specie anca e ginocchio, si consigliano
somministrazioni più consistenti: 2 ore, due volte a giorno, per 20 giorni.
ULCERAZIONI DELLE PARTI MOLLI
Ulcere da decubito. L’uso di segnali elettrici come mezzo di riattivazione delle
lesioni delle parti molli è assai consolidato nella pratica clinica.
Attualmente i campi magnetici sono utilizzati nell’ambito dei protocolli per le
piaghe da decubito come terapia di supporto alle procedure farmacologiche,
chirurgiche e di nursing, non avendo alcuna controindicazione od interferenza con
queste, ma anzi esplicando un’accelerazione dei processi riparativi.
La metodica da preferire è quella dei due solenoidi di 15 cm. di diametro
contrapposti, ove possibile. Diversamente, si può utilizzare un solo solenoide, a
contatto con l’ulcera. Le frequenze consigliate sono 50 e 65 Hz.
Tempi di trattamento: 2-3 ore, 2 volte al dì, per 1 mese.
Non è necessario rimuovere le medicazioni od i bendaggi, in quanto la radiazione
elettromagnetica dei CEMP non ha alcun problema di penetranza anche nelle
ferite più profonde. Al contrario, raccomandiamo di rivestire con materiale sterile
il solenoide a contatto con l’ulcerazione.
Se sono stati utilizzati innesti dermo-epidermici, il trattamento con CEMP è
particolarmente indicato, in quanto è necessario accelerare al massimo
l’attecchimento del lembo per evitarne la degenerazione.
EDEMI
I CEMP sono risultati in grado di modificare alcune condizioni patologiche quali
gli edemi d’origine traumatica e infiammatoria. Non si hanno studi sugli edemi
d’altra origine, quali renali e cardiaci.
Noi consigliamo di utilizzare i campi magnetici unicamente negli edemi d’origine
traumatica, quali quelli conseguenti a fratture e distorsioni, o in condizioni postoperatorie.
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Trattamento con campi magnetici. Si raccomanda di utilizzare la coppia di
solenoidi di 15 cm. di diametro nei casi d’edema localizzato, per esempio, per il
trattamento di una distorsione di polso, ginocchio, piede. Le frequenze consigliate
sono 50 e 100 Hz. Tempi di trattamento: 2 ore, 1-2 volte al dì, per 20 giorni.
ALGODISTROFIA (M. DI SUDECK)
L’algodistrofia, o algoneurodistrofia (o m. di Sudeck per l’arto inferiore), è una
patologia dolorosa ben nota in ortopedia e riabilitazione. Questo quadro morboso
si manifesta per lo più dopo un trauma, quale una frattura, una distorsione od una
contusione con un ematoma.
Trattamento con campi magnetici. I CEMP agiscono su vari aspetti della malattia:
sul catabolismo osseo; sulla componente vascolare, sull’edema e sul dolore. Il
trattamento deve essere sempre accompagnato da una mirata chinesiterapia e da un
carico non doloroso.
Si consiglia, ove possibile, la metodica a due solenoidi di 15 cm di diametro. Le
frequenze indicate sono 50 e 100 Hz. Tempi medi di trattamento: 4-6 ore al dì, per
1-2 mesi. Per l’anca consigliamo almeno 8-12 ore al dì per 2-3 mesi.
PARALISI PERIFERICHE
Negli anni settanta diversi autori avevano posto l’attenzione all’attività rigenerante
che alcuni segnali elettrici ed elettromagnetici manifestavano nei confronti del
tessuto nervoso. Negli anni ottanta si è avuto una conferma di queste
sperimentazioni e, parimenti, un’evoluzione della metodica. Innanzitutto, è stata
abbandonata definitivamente l’applicazione diretta al nervo d’elettrostimolatori, in
quanto questa tecnica si è dimostrata poco attuabile al di fuori di condizioni
strettamente sperimentali. Come già per altri tessuti, ci si è orientati sull’uso dei
campi magnetici e delle “correnti”indotte”.
Vi è ormai unanimità sull’uso, a scopo rigenerante del nervo, di un segnale
rettangolare, di bassissima frequenza (2 Hz), collocabile nella banda “U.L.F.”
delle onde elettromagnetiche.
Per lesioni ove la patogenesi della lesione sia riconducibile più ad un danno
vascolare del nervo che ad un trauma diretto, è preferibile una sequenza di
frequenze a “pacchetti” di 2 Hz e 50 Hz; quest’ultima frequenza, infatti, appare più
appropriata al trattamento del danno ischemico concomitante.
Trattamento con campi magnetici. Per una corretta terapia, si consiglia di
verificare sempre la sede della lesione nervosa. La tecnica diagnostica più pratica e
meno costosa è senza dubbio l’ecografia, che, pur non essendo dotata di un potere
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di risoluzione elevato, permette di localizzare bene la sede di lesione o di
riparazione di un nervo.
La tecnica consigliata è quella dei due solenoidi di 15 cm. di diametro,
contrapposti. Questi devono essere posti quanto più possibile perpendicolari alla
lesione, ben aderenti al piano cutaneo e fissati con cura; va evitata qualsiasi forma
di compressione sul nervo. Per il trattamento di nervi molto superficiali si può
utilizzare un solo solenoide. Si consiglia di rivestire le bobine con materiale
morbido (spesso questo rivestimento è già fornito dal costruttore). Tempi di
trattamento: 6-8 ore al dì, per 2-4 mesi.
SINDROMI CANALICOLARI
Le sindromi canalicolari si possono definire come “un’alterazione della funzione
motoria e/o sensitiva di un nervo, dovuta ad una compressione da parte di una
struttura anatomica adiacente” (Lignière 1995).
La neuropatia che consegue ad una sindrome canalicolare è dunque in rapporto ad
una forza compressiva; di questa, sono molto importanti le caratteristiche
d’intensità e di durata d’applicazione al tronco nervoso.
La prima patologia canalicolare documentata è stata senza dubbio la sindrome del
tunnel carpale, già descritta da Schultze nel 1893.
Non rare sono anche le sindromi canalicolari a livello del ginocchio (s. del tunnel
fibulare), del gomito (del nervo ulnare o del nervo mediano) e del piede (s. del
tunnel tarsale).
Indicazioni terapeutiche e trattamento con campi magnetici.
Nella prima fase della sindrome del tunnel carpale, irritativa, acroparestesica, il
trattamento è di regola conservativo.
Il trattamento con CEMP trova le massime indicazioni in questa fase, in assenza di
controindicazioni. Si utilizza generalmente la coppia di solenoidi contrapposti, di
15 cm. di diametro, in quanto la sofferenza del nervo ben difficilmente è
localizzata alla sede di compressione, ma più spesso è estesa ai territori sopra e
sottostanti. Le frequenze consigliate sono 2 Hz e 50 Hz, combinate in sequenze
non inferiori a 30 minuti ciascuna.
Tempi di trattamento: nella fase acroparestesica 2 ore 1-2 volte al dì, per 1 mese;
nella fase con paresi 6-8 ore al dì per due mesi.
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DOLORE
Premessa. Come visto più sopra, i campi magnetici sono stati utilizzati soprattutto
per l’azione eccito-metabolica d’alcuni tessuti, quali l’osso, la cartilagine e la cute.
Ad alcuni autori non era sfuggito l’effetto analgesico che i campi magnetici
presentavano alle basse frequenze (50, 72, 100 Hz), comunemente utilizzate a
scopo trofico. E’ stato successivamente osservato che, aumentando
progressivamente la frequenza, fino a raggiungere valori di 600-750 Hz, i CEMP
riducono le loro potenzialità stimolanti per acquisire effetti analgesici più spiccati.
E’ bene precisare che il segnale elettromagnetico pulsato non perde la sua
caratteristica essenziale d’impulso biostimolante sui tessuti. Anche a frequenze più
elevate, il meccanismo d’azione dei CEMP rimane quello di indurre
micropotenziali elettrici, favorire lo scambio ionico, di riattivare le cellule e di
rinnovare i tessuti.
Noi consigliamo un programma di frequenze modulate a 200-250-300 Hz, qualora
si voglia ottenere un buon effetto analgesico, pur conservando ancora parte delle
caratteristiche trofiche del segnale elettromagnetico.
Per patologie particolarmente dolorose, proponiamo una sequenza di segnali a
frequenza più elevata: 600-650-750 Hz.
Cervicalgia
La metodica di riferimento è quella che utilizza la coppia di bobine di 7.5 cm. di
diametro, poste lateralmente al collo, in posizione parallela (campo concatenato).
E’ possibile utilizzare anche il solenoide singolo (campo non concatenato). Si
raccomanda di non protrarre il trattamento oltre i trenta minuti per applicazione, al
fine di evitare fenomeni d’intolleranza (vedi controindicazioni). L’intensità di
campo consigliata è 30 gauss. Tempi di trattamento: 30 minuti, 1-2 volte al dì, per
15-20 giorni.
Lombalgia.
Il dolore lombare appare più spesso collegato ad un’alterazione meccanica,
rilevabile con esami strumentali, di quanto non lo sia la cervicalgia.
Si possono utilizzare uno o due solenoidi (7.5 cm. di diametro) applicati
localmente. Nel caso si utilizzino due solenoidi, questi devono esser posizionati
sullo stesso piano a distanza di almeno 5-7 cm. l’uno dall’altro; non essendo
concatenati, agiscono con campi magnetici indipendenti. Tempi di trattamento: 30
minuti, 2 volte al dì, per 15-20 giorni.
Periartrite di spalla.
La periartrite di spalla racchiude una serie di condizioni anatomopatologiche
diverse, divenute di facile identificazione dopo l’avvento dell’ecografia e della
risonanza nucleare magnetica. Nel termine sono compresi vari stadi di sofferenza
dei muscoli della cuffia dei rotatori della spalla (sottoscapolare, sopraspinato,
sottospinato) e di flogosi del capo lungo del bicipite.
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Il trattamento conservativo è basato su tecniche analgesiche e rieducative.
Trattamento con campi magnetici. La tecnica preferita è quella con due bobine di
7.5 cm. di diametro, poste in senso antero-posteriore alla spalla. La serie di
frequenze consigliate è 200-250-300 Hz, per trenta o sessanta minuti, due volte al
dì. L’intensità è di 30 gauss. Tempi di trattamento: 1 ora, 2 volte al dì, per 15-20
giorni.
Tendiniti di gomito.
L’epicondilite o “gomito del tennista”. E’ una condizione morbosa che racchiude
una serie di patologie riconducibili ad una sofferenza inserzionale degli estensori
della mano e delle dita a livello del polso.
Il termine di “gomito del tennista” è sicuramente riduttivo, essendo la patologia
molto diffusa di là dalla pratica di questo sport.
Nelle patologie strettamente inserzionali, in fase acuta, si consiglia di utilizzare
una coppia di solenoidi 7.5 cm. di diametro, con una sequenza di frequenze a
carattere prevalentemente analgesico: 600-700-750 Hz. L’intensità da utilizzare è
di 25-30 gauss, per 30 minuti, due volte al dì.
Nelle situazioni sub-acute e croniche, sia inserzionali sia muscolari, si consiglia di
utilizzare le frequenze trofico-analgesiche: 200-250-300 Hz. Tempi di trattamento:
1 ora, 2 volte al dì, per 15-20 giorni.
Sindrome Algico Disfunzionale (S.A.D.) dell’articolazione temporo
mandibolare.
Queste patologia dolorosa a carico dell’apparato articolare temporo-mandibolare e
muscolare dei mascellari, è un problema assai diffuso tra le persone che hanno
problemi d’occlusione dentale.
L’eziopatogenesi è assai complessa, riguardando non solo la condizione anatomica
delle articolazioni temporo-mandibolari e dell’apparato dentale, ma l’intero
apparato muscolare e neurologico che coordina la funzione masticatoria.
Il trattamento si basa su un riequilibrio della meccanica dei mascellari, mediante
interventi odontoiatrici mirati e chinesiterapia.
Terapia con campi magnetici. Per la S.A.D. consigliamo un segnale con una
sequenza di frequenze di 650-700-750 Hz e basse intensità (20 gauss).
Per il dolore articolare si deve utilizzare la coppia di bobine di 7.5 cm. di
diametro, da applicare sulle articolazioni temporo-mandibolari, in parallelo. Per il
trattamento del dolore muscolare, specie se localizzato ai muscoli masseteri con
alterazioni del tono di tipo contratturale, si consiglia di utilizzare la coppia di
bobine di 7.5 cm. di diametro, sempre poste in parallelo su ciascun lato del viso.
Tempi di trattamento: 30 minuti, 2 volte al dì, per 15-20 giorni.
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Nevralgia del trigemino.
Definito anche “tic doloureux” dai Francesi, è una particolare forma di nevralgia
acuta, intensa e di brevissima durata che affligge individui d’età media od
avanzata.
Il dolore è evocato da stimoli di natura non nocicettiva. Lo sfioramento d’alcune
aree, dette “punti trigger”, scatena il folgorante dolore che, normalmente, dura da
alcuni secondi ad uno o due minuti.
Il trattamento di questa forma di nevralgia è sempre difficile, essendo noti più gli
insuccessi dei successi terapeutici.
Terapia con campi magnetici. Consigliamo di utilizzare la sequenza analgesica
650-700-750 Hz per trenta o sessanta minuti due o tre volte al dì.
Le bobine da utilizzare sono quelle di 7.5 cm. di diametro. Possono essere
applicate o contrapposte ai lati del cranio, a livello dell’emergenza del nervo
trigemino, o posizionate l’una sull’emergenza e l’altra sulla branca interessata
dall’irradiazione dolorosa. Tempi di trattamento: 30 minuti, 2 volte al dì, per 1520 giorni.
Nevralgia post-herpetica.
Questa forma di dolore cronico, insorge talvolta dopo un episodio acuto di herpes
zoster. Gli anziani sono più predisposti all’evoluzione della nevralgia in forma
cronica.
Trattamento con campi magnetici. Si utilizzano le bobine di 7.5 cm. di diametro,
posizionate una prossimamente all’origine del nervo e l’altra distalmente sul
metamero affetto dal dolore. Intensità da utilizzare: 20-30 gauss. Tempi di
trattamento: 30 minuti, 2 volte al dì, per 15-20 giorni.
Sindrome fibromialgica
La sindrome fibromialgica è una forma di reumatismo extra-articolare molto
diffuso tra la popolazione, specie di sesso femminile.
La sindrome è caratterizzata da dolore cronico e rigidità, che interessa alcune zone
ben definite dell’apparato muscolo-scheletrico, definite tender point.
Trattamento con campi magnetici. Si utilizza una bobina di 7.5 cm. di diametro,
applicata direttamente su un tender point. Si possono utilizzare due bobine
contemporaneamente per il trattamento di due distinti tender point. Ricordiamo
che in questa modalità i campi magnetici non sono concatenati ed agiscono
unicamente nella regione sottostante alla bobina. Le frequenze consigliate sono
650-700-750 Hz. Intensità da utilizzare: 20-30 gauss.
Il trattamento deve esser protratto per almeno quindici giorni. Nella figura n. 10
sono indicati i tender point più comuni nella sindrome fibromialgica. Tempi di
trattamento: 30 minuti, 2 volte al dì, per 15-20 giorni.
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Fig. n. 10: mappa dei 18 Tender Points dell’American College of Rheumatology. Sono indicati solo i
TP del lato destro del corpo.
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CONTROINDICAZIONI AI CAMPI MAGNETICI
A fronte di una campagna allarmistica condotta negli ultimi anni sugli effetti
inquinanti dei campi magnetici, la letteratura (Tenford 1999) non mostra eclatanti
fenomeni di tossicità dei campi magnetici nei confronti dell’uomo. Il dato più
obiettivo che è stato segnalato è un aumento del rischio di leucemia infantile nelle
popolazioni che sono state esposte per l’intero arco del giorno e per alcuni anni a
campi magnetici d’elevata intensità (case poste nell’immediate vicinanze
d’elettrodotti vedi NRPB 1992).
I generatori di magnetoterapia d’uso medicale difficilmente superano i 100 gauss a
contatto del solenoide e l’intensità è già praticamente nulla a 50-100 cm. di
distanza.
Come controindicazione assoluta indichiamo il trattamento di pazienti portatori di
pace-macker cardiaco od altri elettrostimolatori a permanenza (per esempio
elettrostimolatori vertebrali). In questi casi, le delicate apparecchiature potrebbero
subire danni alla struttura, o, più spesso, alla programmazione del soft-ware.
Come controindicazione prudenziale raccomandiamo di non sottoporre a
trattamento con CEMP pazienti portatori di patologie tumorali attive, specie le
leucosi od altre similari. Infatti, anche se non vi sono dati certi, la sopra citata
possibilità di aumentare il rischio di una proliferazione cellulare anomala a livello
degli organi emopoietici o d’altri tessuti, ci obbliga ad astenerci dal trattamento
con CEMP in queste condizioni.
Anche la terapia con CEMP in pazienti affetti da M. di Paget osseo è da evitare, in
quanto questa patologia è contraddistinta da un anomalo ed accelerato
metabolismo osseo. Il segnale elettromagnetico non è certamente in grado di agire
selettivamente sulla componente ossea anabolica (osteoblasti). Ne può derivare
un’accentuazione del difetto metabolico di base.
Controindicazioni relative. Sono stati segnalati fenomeni d’intolleranza generica
alla terapia con campi magnetici, quali: sonnolenza, irrequietezza, insonnia e
nausea. Nella nostra esperienza questi fenomeni sono molto rari e comunque di
tipologia assai varia. Sono stati osservati soprattutto nel trattamento del rachide
cervicale; per questo distretto, si consiglia di evitare trattamenti prolungati con
CEMP, intendendo come tali, esposizioni superiori ai trenta minuti.
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