Gentili lettori, la recente scomparsa di Luigi Pareyson priva la filosofia italiana del dopoguerra ad oggi di uno dei suoi più significativi autori e interpreti. Un vuoto che dagli allievi di allora agli studenti degli ultimi suoi corsi all’Università di Torino percorre intere generazioni di filosofi con il senso ineludibile di una perdita. Una perdita che è però insieme presupposto di una presenza nuova. Con la scomparsa di un filosofo ciò che vien meno, di fatto, è l’agire del pensiero, il suo prodursi e svilupparsi in un tempo e in uno spazio determinato. A questa inattività, che è solo di un preciso momento temporale, subentra ora, più vigorosa, la forza vivificante dell’interpretazione, che dà al pensiero, accumulatosi in un certo tempo e in un certo spazio, la sua originarietà e storicità, il suo contenuto inesauribile di verità. Di questo processo, Pareyson stesso ha dato una testimonianza esemplare di vita e militanza filosofica lungo tutto lo sviluppo del suo pensiero ermeneutico, dal personalismo ontologico degli inizi della sua speculazione fino alle più recenti teorizzazioni sul pensiero tragico e sull’ontologia della libertà. E’ con le sue stesse parole che voremmo qui, pertanto, appropriandoci del concetto d’interpretazione che ne sta alla base, congedarci dal filosofo e aprirci nuovamente alla sua opera. interpretazioni di interpretazioni. Penso che ciò non sia conforme al concetto d’interpretazione, la quale o è interpretazione di qualcosa o non è: l’interpretazione che dissolve in se stessa ciò ch’essa ha da interpretare, e che quindi vi si sostituisce, cessa con ciò stesso di essere interpretazione. Non resta allora che il diffluire dell’esperienza, di per sé indifferente e privo di distinzioni possibili, senza conflitti e senza drammi, anzi confortevole e consolatorio, ben lontano dal pensiero tragico che s’annida nel cuore stesso del pensiero ermeneutico. Il clima dell’interpretazione, tenuta a un arduo compito di comprensione, e perciò di attingimento e di fedeltà, è quello del rischio, e quindi dell’angoscia e del dubbio. Anzi, se si pensa che l’unico accesso possibile alla verità è la libertà, la quale si esercita con un atto che può essere sì di consenso e di accettazione, ma anche di negazione e rifiuto, risulterà che l’ambiente dell’interpretazione è quello drammatico del conflitto e della contraddizione. Il pensiero ermeneutico, nella misura in cui si richiama a un’ontologia della libertà, è strettamente connesso con il pensiero tragico. La natura della libertà è di essere abissale e ambigua: essa per un verso non suppone che se stessa e per l’altro è sempre al tempo stesso positiva e negativa. Porla al centro del reale significa portare nel cuore della realtà la duplicità e il contrasto: supporre un fondamento che si nega sempre come fondamento e puntare sull’inseparabilità di positività e negatività. Il che invita a riconoscere la tragicità insondabile e profonda ch’è insita nella realtà stessa. Prima caratteristica del pensiero ermeneutico è ch’esso è insieme avvolgente e penetrante: problemattizzante e universalizzante al tempo stesso. Da un lato sottopone il suo campo d’indagine a interrogatori così stringenti da farne emergere senza posa problemi sempre più urgenti e ineludibili. Dall’altro sa coglierne la verità e scoprirne il senso, portandolo a un grado di chiarificazione capace di interessare e coinvolgere ogni uomo. [...] Il pensiero filosofico è ermeneutico in senso pieno, perché è al tempo stesso interpretazione dell’esperienza e interpretazione della verità, né può essere l’una cosa senza esser l’altra: esso è ontologico e rivelativo e insieme storico e personale, indissolubilmente. [...] Il futuro, a parer mio, è propizio al pensiero ermeneutico così inteso, ma non sembra favorevole a quelle forme di ermeneutica che intendono fare a meno della verità. L’interpretazione, si dice, non è Da Pensiero ermeneutico e pensiero tragico (1986), interpretazione di qualcosa: non esistono cose o fatti in AA. VV., Dove va la filosofia italiana, a cura di J. o verità da interpretare, ma solo interpretazioni e Jacobelli, Laterza, Bari 1986, qui pp. 135-137. SOMMARIO 5 PROFILO 42 La filosofia come sapere storico 5 Ricordo di Luigi Pareyson 43 Heidegger: la guerra e la colpa 44 Empirismo logico a Costanza 7 SAGGIO 44 Tradizione ed emancipazione 7 Lo "stupore della ragione" in Schelling 45 Eugen Fink: mondo e finitezza 46 In cerca del Dio assente 5 SCHEDA 46 La metamorfosi della ragione ermeneutica 13 L'Istituto Universitario Europeo di Firenze 48 Questioni di esperienza 48 I giorni dell'arte 15 AUTORI E IDEE 49 Il sentire del senso 15 Deleuze-Guattari: che cos'è la filosofia? 49 Topografia dell'anima estetica 16 Amerindiadi: i miti del Nuovo Mondo 50 Hölderlin. Colloquio internazionale 16 Forza e diritto 52 Il pluralismo metodologico 17 L'ontologia dell'etica 52 I rami d'oriente: la ricerca comparativa in Italia 18 L'idealismo oggettivo di Hösle 53 Hegel e il sapere matematico 19 Rozanov 55 Hegel a Wroclaw 19 Rorty: i filosofi e la filosofia 21 Wittgenstein in analisi 56 CALENDARIO 21 Emmanuel Lévinas: il pensiero dell'altro 59 DIDATTICA 23 TENDENZE E DIBATTITI 59 La filosofia e le "storie" della filosofia 23 Attualità degli antichi 61 Interventi, proposte, ricerche 24 La società tra conflitto e paura del vuoto 61 Convegni 25 Io, Tu, l'Altro, Noi: il "terzo" nell'etica contemporanea 27 La mente ed i suoi limiti 63 NOTIZIARIO 27 La bellezza del conoscere 28 I molti e l'uno 29 I cicli di Vico 33 PROSPETTIVE DI RICERCA 33 Filosofia medievale islamica 33 L’economia della morale 34 Corrispondenza tra Leibniz e Arnauld 35 Realtà individuali 36 Ramsey e Wittgenstein 36 Sulla banalità del male 37 Il piacere della vita 38 Scritti e carteggi di Kant 38 Pensare al Medio Evo 41 CONVEGNI E SEMINARI 41 Spinoza e l'idealismo tedesco 65 RASSEGNA DELLE RIVISTE PROFILO PROFILO L’ultima volta che vidi Luigi Pareyson fu il sabato 23 marzo 1991. Fu a Rapallo, dove egli viveva ormai da anni, sebbene la famiglia stesse a Milano, e da dove egli si muoveva sempre meno. Quindici giorni prima della scomparsa di Pareyson telefonai a Rapallo e, dal figlio, venni a sapere che era ricoverato all’ospedale di Milano per accertamenti. Già nella visita che gli avevo fatto qualche anno fa, Pareyson aveva escluso ogni viaggio all’estero (io lo invitavo a farmi visita a Bruxelles), ma da allora in poi si era mosso sempre meno anche in Italia, a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute: il fegato malato e un diabete galoppante, che lo costringevano a farsi tre iniezioni quotidiane di insulina, accorciavano drasticamente la sua giornata e riducevano drammaticamente le sue forze già prima che si abbattesse su di lui l’ultima sciagura: la perdita, alla fine del 1990, di un’amatissima figlia. Questo lutto lo aveva precipitato in uno stato di prostrazione in cui non riusciva più a lavorare, né a scrivere articoli, richiestissimi, per il “Giornale”, né, soprattutto, a continuare il suo libro Ontologia della libertà, giunto a metà stesura. Anche per questo motivo, disse, aveva scelto di star solo. Sebbene infatti le visite degli amici gli facessero piacere, doveva per il resto economizzare al massimo le proprie forze, se voleva conservare qualche chance di portare a termine i lavori di Sossio intrapresi. Lo stesso “Annuario Filosofico”, la prestigiosa rivista da lui diretta per l’editore Mursia, che soleva uscire all’inizio dell’anno, era questa volta rimandato all’autunno. Cercai di portare il discorso sull’Ontologia della libertà, in cui si concentra la sua ultima filosofia e della quale aveva pubblicato già nell’Annuario alcuni impressionanti capitoli: “Filosofia ed esperienza religiosa” (1985), “La filosofia e il problema del male” (1986), e un “Discorso temerario”, “Il male in Dio” (1988). Di che cosa parlavano e avrebbero parlato i prossimi capitoli? Degli eoni; innanzitutto dell’eone della caduta; poi, ancora, sulla via del riscatto, della restauratio - perché il sacrificio di Cristo non può essere vano - dell’eone della separazione del bene dal male, necessaria appunto per poter passare a quello del riscatto vero e proprio. Il libro è articolato in tre fasi, che sono fasi storiche anche se pongono il problema di non facile soluzione della simultaneità degli eoni. La prima fase è quella dello stupore del mondo, della creazione; la seconda è quella del peccato, della caduta e del male che ciò scatena; la terza è quella della filosofia e della libertà. Un aperçu di questa filosofia della libertà, Pareyson lo anticipò già nella lezione così intitolata con cui si congedò, il 27 ottobre 1988, dall’università di Torino (dove ha avuto allievi come Vattimo, Eco e Givone, rimastigli fino all’ultimo affezionati). Si chiudeva così, in modo gran- dioso, una delle carriere più gloriose di un professore di filosofia che era anche, come raramente capita, un vero filosofo. Pareyson ha dato infatti contributi fondamentali alla storia della filosofia che si intrecciano con quelli originali da lui dati all’esistenzialismo, continuato in un personalismo ontologico; al ripensamento dell’idealismo, con studi su Fichte e soprattutto Schelling, che sono all’origine dell’attuale riscoperta del filosofo tedesco; all’estetica dell’idealismo e all’estetica tout-court, con un trattato che è il solo capace di tener testa all’estetica crociana; e infine all’ermeneutica, prima di imboccare definitivamente, sulle orme appunto di Schelling (ma anche più a monte, di Plotino e dei mistici tedeschi), la via di un recupero, non dogmatico ma strettamente filosofico, del cristianesimo e del suo mito. Qui mito è però da intendersi non nel senso riduttivo di arbitrio o travestimento di fatti o eventi naturali, bensì nel senso appunto schellinghiano della rievocazione della “catastrofe cosmica ed esistenziale per cui l’uomo è stato sbalzato fuori dell’unità edenica con l’essere e lasciato in preda a forze che gli si sono presentate come figure mitologiche” (Verra). La necessità del ricorso al mito, come arte e religione, deriva, per Pareyson, dal fallimento stesso dell’odierna filosofia, pienamente laicizzata e razionalizzata, dalla sua incapacità di dare adeguatamente Giametta conto del dolore e del male, che è dunque costretta a sminuire e a occultare. Male e dolore sono invece ben presenti nel mito, ed è lì che la filosofia deve cercarli. Deve quindi rinunciare alla pretesa di smitizzare a ogni costo e anzi attingere ampiamente al mito “recuperando la propria natura mitica originaria, che è pur sempre la fonte inesauribile di ogni discorso che sia veramente importante e decisivo per l’umanità”. La filosofia diventa così ermeneutica del sapere preesistente, di cui chiarire e universalizza gli intimi significati, offrendoli alla partecipazione umana. Questo passaggio della filosofia dell’essere alla filosofia della libertà richiama da vicino quello di Schelling dalla filosofia dell’identità alla filosofia della rivelazione. E come quello di Schelling fu criticato già ai suoi tempi, così questo di Pareyson è criticato, in particolare dalla scuola metafisica di Padova (“ma i metafisici sono fanatici”), come “tradimento”, abbandono della filosofia dell’essere, che è l’unica filosofia. Ma Pareyson ribatte che il ritrovamento del cristianesimo, con la filosofia della libertà che vi inerisce, è un portato proprio della filosofia dell’essere, giunta ad una crisi che non offre alcuna alternativa. Solo il cristianesimo, per lui, è in grado di rispondere ai problemi comportati dall’ateismo e dal nichilismo a cui tale crisi ha messo capo. Il conformismo dogmatico, leggi il cattolicesimo, è però complice, per Pareyson, della libertà esclusivamente laica in detta crisi. Ricordo di Luigi Pareyson SAGGIO PROFILO PROFILO L’unico cristianesimo oggi possibile, deve includere in sé l’anticristianesimo e l’ateismo come problemi interni, e deve aver dunque un carattere problematico, conflittuale e drammatico. L’ateismo di Feuerbach e il nichilismo di Nietzsche vi sono inclusi per necessità. In questo senso, sia Kierkegaard sia Dostoevskij diventano fondamentali, indispensabili, proprio per la loro apertura sulla negatività. Quando si dice infatti, come dice la filosofia dell’essere, che la realtà è perché è, che essa non ha un fondamento, si dice anche che “la realtà è appesa alla libertà”, che essa è “vertiginosamente sospesa sull’abisso della libertà”. E’ questo l’insegnamento di Plotino e di Schelling che Pareyson ha fatto suo, attraverso un’elaborazione e una sintesi altamente originale. Il libro in cui tali risultati sono racchiusi - risultati che a differenza dei pur grandiosi svolgimenti posteriori sono da tutti accettati - è Luigi Pareyson è scomparso a Milano l’8 settembre 1991. Nato a Piasco (Cuneo) nel 1918, aveva insegnato dal 1952 al 1988 all’Università degli Studi di Torino, occupando prima la cattedra di Estetica, poi quella di Filosofia Teoretica. Allievo di Augusto Guzzo, esponente dello “spiritualismo cristiano”, attraverso il filtro dell’esistenzialismo Pareyson era approdato a posizioni che lo collocano nell’ambito dell’ermeneutica. In La filosofia dell’esistenza e Carlo Jasper (1940), primo studio italiano sull’esistenzialismo nel suo complesso, e in Studi sull’esistenzialismo (1943) veniva riconosciuto a questa prospettiva filosofica il merito di aver affermato l’esigenza personalistica, e il limite di averlo fatto in modo inadeguato, permanendo il legame - di ascendenza hegeliana - tra finito e infinito. Verità e interpretazione, che è filosofia classica e che non esitiamo a definire il capolavoro di Pareyson. In esso l’autore trasforma il maligno prospettivismo nietzscheano, avvelenatore della vita e negatore della verità, in una grande e travolgente celebrazione della verità appunto e della capacità dell’uomo di tendervi e conquistarla con i suoi nobili sforzi, in modo sempre storico e personale ma non per questo meno solido e valido. Filosofando con un’ispirazione e un furore di verità senza pari nella nostra epoca, Pareyson risolve con sicurezza tutti i problemi risultanti dalla secolare opera di demistificazione, che si possono esemplificare nella domanda: come conciliare la coscienza storica con l’esigenza speculativa? Con la morte di Pareyson vien meno un grande modello e un grande sostegno agli studi filosofici, non solo italiani. In Esistenza e persona (1950) l’incommensurabilità di questi due termini è il presupposto a partire dal quale si esaminava la possibilità di un’indagine sulla realtà dell’uomo. Caratteristica essenziale di quest’ultimo, come viene specificato in Estetica: teoria della formatività (1954) è la “formatività”, atteggiamento che si specifica nell’arte. Successivamente Pareyson aveva accentuato l’aspetto ontologico del suo personalismo, sottolineando il carattere interpretativo del legame intercorrente fra l’uomo e l’essere. La dimensione teologica in cui si colloca la sua filosofia dell’interpretazione pone Pareyson in una posizione affatto peculiare rispetto tanto al filone esistenzialista, quanto a quello ermeneutico. Nei confronti del primo, la categoria della libertà, definita dal nulla come assenza di fondamento ontologico della realtà, è applicata prima che all’uomo a Dio, che è fondamento a sé inconcusso, e della cui esistenza Pareyson non dubita. Sul piano della filosofia dell’interpretazione ne consegue che Pareyson non dubiti affatto dell’esistenza di una verità, per quanto essa si manifesti ermeneuticamente. La prospettiva tragica che connota soprattutto gli ultimi sviluppi della riflessione pareysoniana - si veda, fra l’altro, L’etica di Pascal (1966), Il pensiero etico di Dostojevski (1967), Verità e interpretazione (1971) - deriva, dunque, dalla tensione tra essere e nulla, verità e suo nascondimento, tensione implicita nella categoria della libertà che definisce il divino. Opere di Luigi Pareyson (in volume) L’esistenzialismo di Karl Barth Sansoni, Firenze 1939 L’Estetica giovanile di Goethe Viretto, Torino 1957 La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers Loffredo, Napoli 1940; nuova ed. col titolo Karl Jaspers, Marietti, Casale Monferrato 1983 L’Estetica preclassica di Goethe Viretto, Torino 1958 Studi sull’esistenzialismo Sansoni, Firenze 1943, 1950, rist.1971 Vita, arte, filosofia Edizioni dell’Istituto di Filosofia della Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, Torino 1947 L’estetica di Paul Valéry Viretto, Torino 1959 Il concetto di abitudine Viretto, Torino 1959 L’estetica di Goethe e il viaggio in Italia Viretto, Torino 1960 Fichte Edizioni di “Filosofia”, Torino 1950; nuova ed. aumentata, Mursia, Milano 1976 L’estetica di Novalis Viretto, Torino 1961 Esistenza e persona Taylor, Torino 1950, 1960, 1966; nuova ed. Il Melangolo, Genova 1985 L’estetica e i suoi problemi Marzorati, Milano 1961 L’estetica dell’idealismo tedesco Edizioni di “Filosofia”, Torino 1950 Il verosimile nella Poetica di Aristotele Tipografia “La Salute”, Torino 1950 Libertà e peccato nell’esistenzialismo Pro Civitate Christiana, Assisi 1952 Unità della filosofia Edizioni di “Filosofia”, Torino 1952. Traduzione inglese: The Unity of Philosophy, in “Cross Currents”, IV, I, Fall 1953 Estetica: teoria della formatività Edizioni di “Filosofia”, Torino 1954; 2ª ed. Zanichelli, Bologna 1960; 3ª ed. Sansoni, Firenze 1974. Traduzione romena: Estetica. Teoria formativitâtii, Univers, Bucarest 1977 La prima estetica classica di Goethe Gheroni, Torino 1963 L’estetica di Schelling Giappichelli, Torino 1964 L’etica di Kierkegaard nella prima fase del suo pensiero Giappichelli, Torino 1965 Teoria dell’arte. Saggi di estetica Marzorati, Milano 1965 I problemi dell’estetica Marzorati, Milano 1966. Traduzione portoghese: Os Problemas da Estética, Martins Fontes, Sâo Paulo, 1984 Conversazioni di estetica Mursia, Milano 1966. Traduzione spagnola: Conversaciones de estética, Visor, Madrid 1988 L’etica di Pascal Giappichelli, Torino 1966 Filosofia e ideologia Edizioni di “Filosofia”, Torino 1967 Il pensiero etico di Dostoievski Giappichelli, Torino 1967 L’estetica di Kant Mursia, Milano 1968; nuova ed. aum. 1984 L’iniziativa morale Giappichelli, Torino 1969 Verità e interpretazione Mursia, Milano 1971, 1972, 1981 Essere e libertà Giappichelli, Torino 1970 L’etica di Kierkegaard nella “Postilla” Giappichelli, Torino 1971 L’esperienza artistica: saggi di storia dell’estetica Marzorati, Milano 1974 Schelling. Presentazione e antologia Marietti, Torino 1975 Schellingiana rariora Bottega di Erasmo, Torino 1977 Etica ed estetica in Schiller Mursia, Milano 1983 Filosofia della libertà Il Melangolo, Genova 1989 PROFILO SAGGIO Spesso Schelling affida la profondità dei suoi pensieri a stenza ma anche l’essenza, Schelling distingue con cura immagini ardite e suggestive, che non si possono consi- l’estasi razionale, in cui il concetto è da considerarsi derare come semplici espedienti esornativi destinati a squisitamente filosofico. La ragione si rende conto che mitigare l’astrusità del discorso filosofico o come meta- malgrado ogni suo sforzo non riesce di per sé a raggiunfore più o meno superflue piacevolmente disseminate in gere la realtà, perchè i suoi movimenti sono puramente un contesto rigorosamente concettuale, essendo piutto- concettuali: persino l’estrema prestazione a cui fa ricorsto esse stesse concetti grandiosi e profondi, in cui so, quella di pensare l’essere come necessariamente s’incarna quasi corposamente quell’alta e robusta fanta- esistente, non giunge a offrirlo di fatto, ma ne fornisce sia speculativa che è tipica di Schelling e che tanto soltanto l’idea, la quale quindi, pur sembrando una colpisce il suo lettore. Davvero Schelling era un «uomo soglia, è in realtà una barriera, e non tanto le apre un ingegnoso e profondo» che «balenava in acutezze»: fra passaggio quanto piuttosto le segna un confine. E’ dunle sue mani quelle immagini, nella cui impotenza s’anni- que la ragione stessa che, colpita dalla vanità dei propri dano concetti elevatissimi, spesso vertiginosi, sono co- tentativi e dall’inesorabilità del proprio smacco, e ormai me tanti colpi di sonda in quello che egli chiamava «il accertatasi che l’esistenza è realmente tale solo fuori dal grande enigma dell’essere». pensiero, appunto per trovarla varca la propria frontiera Una di tali immagini è lo «stupore della ragione», espres- ed esce da se stessa. sione efficacissima e insieme sconcertante, che si con- Ora è proprio nell’estasi così concepita che è dato inconnette strettamente con quella teoria di un passaggio della trare, come suo momento essenziale, lo stupore della filosofia negativa alla filosofia positiva che rappresenta ragione. Il corso naturale della ragione va dal poter il culmine dell’itinerario filosofico di Schelling e il essere, ch’è il suo punto di partenza e il suo contenuto, supremo messaggio del suo pensiero. Il mio intento non all’essere stesso, anzi all’essere necessario, ch’è il suo è d’intraprendere una discuspunto d’arrivo o la sua idea sione su questa teoria, che di ultima e suprema. Qui giunta per sè esigerebbe una trattaessa, insoddisfatta dell’ideazione tanto più estesa quanto lità e desiderosa di realtà, epiù adeguata alla complessità sce da sé e rovescia la propria dell’argomento, bensì soltanidea,e nel puro esistente, nel to d’illustrarne un aspetto, per mero atto d’esistere, esperialtro estremamente significasce che cosa sia veramente tivo, quello appunto dello stuuna trascendenza. Sinora s’epore della ragione, sul quale ra svolta unicamente da se pochissimi ragguagli ha forstessa, traendo ogni cosa dal nito lo stesso Schelling e poca proprio fondo, sì che nulla le di Luigi Pareyson attenzione hanno portato gli si presentava che non avesse interpreti, eccettuati forse i più un viso consueto e un aspetto membro del Comitato scientifico recenti e profondi. familiare. Ora invece, uscita dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Sarà bene precisare anzitutto da se stessa, è prevenuta nelle che questo concetto compare proprie attese, e per presto soltanto nella cosiddetta “Inche arrivi è già sempre troptroduzione di Berlino”, e quinpo tardi; avventuratasi in una di riflette la posizione di landa sconosciuta, trova il poSchelling nel primo periodo del suo insegnamento ber- sto già occupato da una presenza insolita, e diversa, linese, caratterizzato dalla dualità delle filosofie. La quella del puro esistente, che non ha nulla di concettuale, filosofia negativa e la filosofia positiva convivono come e anzi è il diretto contrario di un’idea; e di fronte ad esso filosofie distinte, il cui reciproco rapporto sta in un ristà, come sbalordita e smarrita, paralizzata e senza contrasto fra l’una e l’altra e in un passaggio dall’una parola, non più colpita dal proprio insuccesso che da quel all’altra. Il contrasto consiste nel fatto che la filosofia volto nuovissimo e imprevisto. E’ questo il momento negativa si muove, senza uscirne, sul piano dei puri dello stupore, dal quale la ragione riesce a riaversi solo concetti, mentre la positiva prende le mosse dall’esisten- quando trova la forza di capovolgersi, e di riprendere il za e quindi si svolge sul piano della realtà: esse sono cammino con una totale inversione di rotta, che l’avvia reciprocamente indipendenti, nel senso che il termine per i floridi sentieri della filosofia positiva: allora essa si iniziale della filosofia positiva è che né la prima è familiarizza con il puro esistente al punto di dargli un necessitata a trapassare nella seconda, né la seconda è nome e riconoscervi l’essere stesso. tenuta a farsi precedere dalla prima. Il passaggio ha il Tracciato così a grandi linee l’ambito nel quale si presencarattere d’una vera e propria svolta, la quale consiste in ta lo stupore della ragione, è necessaria ora una maggiore un salto, poiché si tratta di ricominciare dal principio approssimazione, per la quale giova rifarci direttamente partendo dall’esistenza reale, e in un rovesciamento, ai testi principali sull’argomento. «Il puro esistente - dice poiché l’essere esistente da cui muove la filosofia posi- Schelling - è ciò da cui quello che potrebbe provenire dal tiva è il contrario dell’idea dell’essere cui mette capo la pensiero viene abbattuto [niedergeschlagen], ciò dinanfilosofia negativa. zi a cui il pensiero ammmutolisce [verstummt], ciò a cui Ora questo atto straordinario è ciò che Schelling chiama la ragione stessa s’inchina [sich beugt]; giacché il penestasi, termine nel quale sarebbe ingiusto ravvisare un’il- siero ha a che fare solo con il concetto, con la possibilità, legittima intrusione della mistica nella filosofia, perchè con la potenza: ove questa è eliminata, il pensiero non ha il pensiero di Schelling è schiettamente speculativo e alcun potere [kein Gewalt]». «Nella sua pura sostanzianemico della Schärmerei. Dall’estasi mistica, che a parer lità ed essenzialità, secondo la sua pura natura, la ragione suo pretende di conoscere esteticamente non solo l’esi- pone soltanto l’esistente; e nell’atto di porlo è come Lo “stupore della ragione” in Schelling PROFILO SAGGIO immobile [regunglos], come stupefatta [erstarrt], quasi significato che alla meraviglia egli non faccia più cenno attonita; ma resta stupefatta davanti all’essere solo per nell’atto di riproporre l’estasi nell’ “Introduzione di ottenere con questa sottomissione [Unterwerfung] il suo Berlino”. Il fatto è che per lui la meraviglia acquista un vero ed eterno contenuto come realmente conosciuto». significato sempre più hamanniano, inteso come elavaImpotenza, mutismo e sottomissione della ragione sono zione a ciò che v’è di grande e divino nella realtà e come i concetti che balzano subito con evidenza da questi testi attenzione al carattere miracoloso d’ogni menomo aspetshellinghiani: tre aspetti dell’estasi intesa come l’unico to del reale, il che invita a concepirla come aperta ed atteggiamento che la ragione può assumere rispetto esplicita ammirazione e considerarla più come una pieall’esistente, il quale appare, in corrispondenza con nezza rasserenante che come una scossa inquietante. Ora quelle tre reazioni, rispettivamente come l’incomprensi- non è propriamente questo che Schelling intende quando bile, l’inaccessibile, l’irriducibile. Non meno evidente è allude allo stupore della ragione estatica, il quale gli il fatto che questi tre aspetti Schelling li rivela in comune appare piuttosto come un incantesimo a cui strapparsi, con altri filosofi, sì che essi, pur ricevendo nel suo un torpore da cui uscire, un’inerzia da cui liberarsi, e pensiero un’inflessione del tutto nuova, non sembrano quindi come uno stato elementare e inferiore, piuttosto costituirne l’originalità. lontano dalla maturazioL’annichilimento e l’imne richiesta da quell’epotenza della ragione è saltante senso del meraidea ampiamente diffusa viglioso in cui l’amminella tradizione mistica; razione è il coronamenl’ammutolimento del to e la vetta, sì che sempensiero - di fronte alla bra ragionevole conclunuda esistenza che, priva dere che proprio nel concom’è d’ogni elemento cetto di stupore, così diconcettuale, non offre alstinto da quello di meracun appiglio al discorso, viglia, risiede ciò che la ragione resta senza panell’estasi è originale e rola, zittita da ciò che per caratteristico di conto suo non ha nulla da Schelling. «dire» - rientra nella teSi può dire anzi che l’ematica del silenzio largastasi stessa s’identifica mente sviluppata dalla con lo stupore, al quale tradizione neoplatonica; del resto si possono faconcetto notoriamenta pacilmente ricondurre gli scaliano è la sottomissioaltri suoi aspetti. Anzine, che anche Schelling tutto lo stupore trova la potrebbe considerare un sua incarnazione vivendésaveu de la raison ch’è te nell’immagine fornita al tempo stesso la dernièdal significato etimolore démarche de la raison. gico dell’estasi, come exCon queste tradizioni stasis, esser fuori di sé: è Schelling è anzi talmente in preda allo stupore che congeniale che lo scheè fuori di sé, nella posimatismo del negativo che zione di chi è stato colpisi fa positivo, in esse difto da qualcosa di così fusamente applicato, gli sorprendente da restarne riesce spontaneo: l’impofulminato e impietrito, in tenza della ragione è couna condizione di stordime un suo «denudamenmento che lo lascia inteto», che lungi dall’imporedetto e inebetito, in uverirla la riduce alla sua no stato di sopore per cui Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling purezza e autenticità; vi non è più padrone di sé, (disegno a gesso di August von Kloeber, 1842) sono oggetti di fronte a ma come posseduto da cui il silenzio stesso si fa parlante, né c’è parola più una forza estranea. Questo è quanto si può ricavare dal eloquente di quella muta; la sottomissione, punto finale passo citato, ove a descrivere la ragione estatica si della filosofia negativa, diventa per la filosofia positiva trovano, accanto all’efficace espressione latina quasi strumento di conquista e via al possesso. attonita, i termini tedeschi regungslos e erstarrt, che Non si può dunque dire che risieda in questi concetti la significano rispettivamente “immoto” e “stupefatto”, novità di Schelling. L’aspetto che invece mi pare del entrambi con una sfumatura, il primo alludendo ad una tutto originale, e per di più tale da rappresentare l’es- mancanza di reazione, cioè alla paralisi per tramortimensenza stessa della ragione estatica, è lo stupore. Si dirà to, e il secondo dando l’idea sia di irrigidimento sia di che, al contrario, proprio questo è l’aspetto meno origi- torpore. In secondo luogo, è facile ravvisare nell’imponale, rientrando in una tradizione frequentissima, che tenza, nel mutismo e nella sottomissione tre aspetti della risale addirittura a Platone e Aristotele, come ricorda lo ragione colta da stupore, cioè sconcertata da qualcosa di stesso Schelling, il quale, la prima volta che propone il così inconsueto da risultare inconcepibile, inafferrabile concetto di estasi, nella Conferenza di Erlangen, lo e irriducibile, e da lasciarla come intontita, paralizzata e connette con quello di meraviglia. Ma non è senza strappata a se stessa: istupidita di fronte all’incompren- PROFILO SAGGIO sibilità del puro esistente, donde la sua impotenza; folgorata dall’apparizione del puro esistente al punto da restare a bocca aperta, donde il suo mutismo; medusata dalla trascendenza del puro esistente cui non le resta che inchinarsi, donde la sua sottomissione. Ma come accade che il puro esistente susciti nella ragione una reazione tanto poco consona con la natura? Il puro esistente è qualificato dall’essere assolutamente privo di concetto: non ha in sé alcuna essenza di cui sarebbe l’esistenza, nè prima di sé alcuna potenza di cui sarebbe la realizzazione; anzi di per sé viene prima di ogni essenza o possibilità, e in generale prima di ogni pensiero. Per coglierlo come tale bisogna prospettarlo in questa sua caratteristica inconcettualità, per un verso non precorso da alcun concetto e per l’altro anteriore ad ogni concetto, non proceduto da nulla e proprio perciò precedente tutto, indipendente dall’idea e quindi eccedente l’idea. Ora, la ragione comprende soltanto ciò a cui può arrivare con una mediazione concettuale, che pervenga all’esistenza a partire dalla potenza, dal concetto, dall’essenza: trovarsi di fronte la nuda esistenza, che prescinde totalmente da questi termini, non solo nel senso che non ne segue, ma addirittura nel senso che li precede, significa per essa scontrarsi con qualcosa d’insolito, di eccezionale, che sovverte tutte le sue abitudini e non può non apparirle inusitato e strano, che sconvolge il corso normale delle cose e porta lo scompiglio nelle sue procedure consuete, che insomma la riempie di confusione e di smarrimento, in una parola, di stupore. Se poi si pensa che nella sua inconcettualità il puro esistente è l’essere in quanto intransitivo, indubitabile, immemorabile, altri elementi si avranno a giustificare lo stupore della ragione di fronte ad esso. A differenza della potenza, che è transitiva in quanto tende a trapassare nella realtà, il puro esistente è intransitivo: esso non è prima possibile e poi reale: esso è già lì, irrevocabilmente esistente. C’è quanto basta a spiegare lo stupore della ragione, la quale non ha tempo di sopraggiungere che già se lo trova davanti: immediato, e quindi recalcitrante ad ogni mediazione. Non preceduto dalla regione delle possibilità né introdotto dal sentiero dei concetti, il puro esistente s’innalza solitario e inaccessibile come una rupe scoscesa in un deserto inabitabile e impervio. L’assenza di un alone di possibilità spiega poi un altro carattere del puro esistente: la sua indubitabilità. Dubbio c’è quando vi sono due o più possibilità; ove queste manchino, non c’è posto che per l’indubitabile. Questo nuovo carattere della nuda esistenza non fa che aumentare la natura enigmatica e recondita, e quindi accrescere lo stupore della ragione; per questa è fonte di stupore assai meno l’incerta oscillazione dei possibili, fra i quali il pensiero può sempre orientarsi, che non un volto sfingeo e misterioso, che folgora il pensiero con lo scorcio di insondabili profondità. Un ulteriore carattere spetta al puro esistente come tale da procedere tutto non preceduto da nulla: l’immemorialità. Esso è il prius assoluto, rispetto al quale ogni cosa è posteriore, anche se sembra logicamente precedente. Prima dell’essere non c’è nulla: tutto il resto viene dopo. Esso non ha un passato, o, meglio, non ha altro passato che se stesso. Anzi, è esso stesso il passato, il passato assoluto, l’antecedente di ogni cosa: in una parola, l’immemorabile. Esso precede persino il possibile, rispetto al quale solitamente ogni cosa appare come posteriore o futura. Ora, come pensare l’immemorabile, che in quanto tale è anteriore al pensiero? Il pensiero con cui lo si dovrebbe pensare bisognerebbe presuppoglierlo, il che è contrario all’assunto: l’essere che precede il pensiero «non può certo essere pensato da un pensiero che precede l’essere». Può la ragione districarsi da questa difficoltà? Di fronte a questo essere non preceduto da nulla, senza fondamento, la ragione vacilla, come colta da capogiro: è come se le si aprisse davanti una voragine, giacché l’infondatezza appare come un abisso, la Grundlosigkeit come un Abgrund. Si raggiunge qui il punto culminante, forse la nota più propria, dello stupore della ragione: la vertigine che la coglie sull’orlo dell’abisso. Sembra opportuno, a questo punto, raccogliere e analizzare i passi analoghi e le dottrine affini che si trovano in altre opere di Schelling, per chiarire ulteriormente lo stupore della ragione nelle sue modalità assodate sin qui: lo stato della ragione torpida e inerte perchè inebetita e come posseduta da una realtà insolita e immediata, e lo stato della ragione colta da vertigine davanti all’infondatezza senza fondo dell’essere immemorabile. Per quanto riguarda il torpore, si dovrà ricordare che anche il monoteismo dell’umanità primitiva, di cui Schelling parla nella Filosofia della mitologia, ha un carattere estatico. Si rammenti il passo schellinghiano in merito. «Non nel senso d’una filosofia che fa cominciare l’uomo dall’ottusità e stupidità animale, ma nel senso che i Greci indicarono con diverse espressioni molto significative come θεοπαητοξ e θεοβλαβηξ, e altre, cioè nel senso che la coscienza è occupata e per così dire colpita da Dio, l’umanità primitiva si trova in uno stato di non libertà, colpita da una specie di stupor (stupefacta quasi et attonita) e posseduta da una potenza estranea, e da lei posta fuori di sé, cioè fuori dal proprio potere». La descrizione non potrebbe essere più calzante. Lo stupore della ragione si può dunque paragonare allo stato dell’umanità primitiva nel suo «cieco teismo» o inconscio monoteismo, che Schelling trova ben caratterizzato con le parole greche citate, le quali si convengono a chi, appunto perchè percosso da Dio, è caduto in una specie di stupor, come assai opportunamente egli dice in latino, ad evitare ogni possibile confusione con la meraviglia o l’ammirazione degli più evoluti, e a mettere in evidenza l’aspetto di stolidità e sbalordimento, stordimento e insensatezza, ebetudine e smemoraggine, incoscienza e tardità che ho cercato di condensare nel concetto di torpore, senza tuttavia confonderlo con l’ottusità (Stumpfheit) e la stupidità (Sinnlosigkeit) tipica degli animali. L’umanità primitiva è come colpita (θεοπληχτοξ, geschlagen) e potremmo dire ammaliata e affascinata da Dio, come invasa e occupata e dominata da lui (eingenommen, behaftet, beherrscht), da lui posseduta e afferrata (bemächtigt, ergriffen) come da una potenza aliena che la spossa di sé e del proprio potere. Si tratta di una coscienza estatica, che da una parte è posseduta da un principio superiore e dall’altra è immersa in uno stato di inconsapevolezza, sì che il riconoscimento di quel principio superiore non è espresso in un’esplicita affermazione teorica, ma risulta dalla stessa sostanza e natura e realtà dell’uomo. Per un verso, dunque, lo stupore dell’umanità primitiva è la reazione di fronte a una realtà riconosciuta come superiore. Non a caso Schelling, da buon orientalista, ricorre alle note interpretazioni del termine ebraico Elohim, la cui radice è fatta risalire a un verbo che in arabo ha il significato di stupore e il cui plurale è fatto rientrare nei nomina maiestatis. Portatrice e custode d’un inconsapevole monoteismo l’umanità primitiva è PROFILO SAGGIO pervasa da un “brivido religioso”, che congiunge il timore e la venerazione con tutti gli aspetti della meraviglia, dallo stupore all’ammirazione. Ma per l’altro verso lo stupore dell’umanità primitiva è una specie di sapere incosciente, una forma di coscienza torpida e sonnolenta, che più che possedere il suo oggetto ne è a sua volta posseduta, o, meglio, che possiede il suo oggetto solo nella forma dell’esserne posseduta, cioè più nel senso d’esserne coscienza che in quello d’averne coscienza. Di fronte a Dio, l’umanità primitiva non è in stato di libertà: è Dio che s’impadronisce di essa, che la domina e soggioga, che per così dire la sequestra e conquista per farne la sede della propria affermazione. Ma questo impossessamento della coscienza da parte di Dio è pure una coscienza, sia pure assonnata e silenziosa, di lui: la coscienza possiede Dio non meno di quanto Dio non possieda la coscienza. Ora, l’analogia dell’umanità primitiva, il cui stupore si manifesta dunque in un brivido religioso e in una coscienza muta, può servire per caratterizzare meglio lo stupore della religione di fronte al puro esistente. Ne nasce non solo particolarmente rilevata l’iriducibilità del puro esistente, che la ragione non può nemmeno tentare di aggredire e comprendere, ma anche ben precisata la funzione conoscitiva dello stesso torpore della ragione stupefatta. Come la coscienza muta dell’umanità primitiva, così il tacito sopore della ragione estatica è un caso d’intuizione cieca, cioè d’una forma di conoscenza in cui l’aspetto positivo, quello per il quale essa raggiunge e afferra il suo oggetto - se di oggetto si può parlare per qualcosa di inoggettivabile - procede di pari passo con l’aspetto negativo, quello per il quale il suo oggetto la colpisce e in qualunque modo l’accieca. Non sarà male insistere sul carattere captativo di questa reazione per la quale la ragione piomba in uno stordimento che non per il fatto d’assopirla la priva della sua capacità: prensile anche se non vigile. Forse tutta la conoscenza ha un carattere per così dire teoplettico: forse le operazioni e i discorsi della ragione hanno un senso solo in quanto muovano da una conoscenza profonda inconscia muta, ma non per questo meno genuina, perchè connaturata, da un possesso cieco immobile inerte, ma non per questo meno autentico, perchè originario. Se a un approfondimento del torpore della ragione è servita l’analogia del monoteismo originario, quale analogia potrà illustrare la vertigine della ragione? Su questo punto sembrerebbe inevitabile da parte di Schelling un rinvio alla mistica. Ma non è alla mistica ch’egli fa ricorso, bensì al razionalissimo e criticissimo Kant, che in una pagina non meno giustamente famosa che solitamente trascurata parla precisamente del «baratro della ragione». Secondo Kant per la ragione umana è un vero abisso l’idea dell’essere necessario, cioè il pensiero, al tempo stesso inevitabile e intollerabile, di un «sostegno di tutte le cose» a sua volta non sostenuto da nulla; ciò ch’egli rende evidente con l’audace e drammatica personificazione dell’essere supremo nell’atto d’interrogarsi sul proprio fondamento, dicendo a se stesso: «Io sono dall’eternità all’eternità, fuori di me nulla è che io non voglia; ma io donde sono?». A questo pensiero, afferma Kant, «tutto sprofonda sotto di noi, e la massima come la minima perfezione ondeggia senza stabilità davanti alla ragione speculativa». Si tratta dunque, per Kant, d’una specie di deliquio colto alla stato iniziale, che provoca un senso d’instabilità. Tutto ondeggia e vacilla: il terreno sotto i piedi, le idee davanti alla mente, le distinzioni dinanzi al giudizio; tutto tende a svanire: concetti e parole, pensieri e discorsi, consapevolezza e speculazione; e su ogni cosa si stende, postilla Schelling, il silenzio e l’importanza della ragione annichilita. Si ritrovano qui gli aspetti già considerati dello stupore della ragione: che cos’è questo abisso «se non ciò dinanzi a cui la ragione tace, da cui essa è inghiottita, rispetto a cui essa non è più nulla, non può nulla?» Ma la vertigine descritta da Kant va più a fondo, e indica il punto più alto dello stupore in quel misto di attrazione e repulsione che si suol provare sull’orlo di un abisso, il quale ispira per un verso un senso di terrore e raccapriccio, ed esercita per l’altro una vera e propria seduzione, sì che «non possiamo impedirci di continuare a rivolgervi il nostro sguardo intimorito». Al misto kantiano di orrore dell’abisso e fascinazione del precipizio Schelling aggiunge una sua pennellata col dire che di fronte al baratro la ragione muta, paralizzata e impotente si sente inghiottita (verschlungen) da esso, come sul punto di precipitarvi. V’è di più. La vertigine porta la ragione sulle sublimi vette del pensiero e nelle profondità abissali dell’essere, là ove la ricerca dell’origine, spingendo all’estremo l’inseguimento dell’ulteriorità, finisce col rasentare il nulla; sì ch’essa trova la sua migliore espressione nella domanda ultima e suprema, la più radicale e vertiginosa di tutte, che Schelling raccoglie da Leibniz e consegna a Heidegger non senza conferirle già un’intonazione precocemente esistenzialistica: perché l’essere piuttosto che nulla? Il riconoscimento della possibilità anzi dell’inevitabilità di questa domanda, che Schelling non esita a definire «piena di disperazione», suppone in lui una concezione profondamente tragica della vita, la quale, all’inizio semplice spunto dissimulato dall’ottimismo idealistico, va via via scoprendosi nel suo pensiero, soprattutto attraverso la mediazione dei Weltalter, ove essa erompe impetuosamente in modo definitivo. «Dio regna su un mondo di orrori», egli dice. «Sol che si badi a quanto c’è di spaventoso nel mondo naturale e nel mondo umano», si concluderà per un verso che «i prodotti della vita inorganica sono manifestamente figli dell’angoscia, del terrore e della disperazione», e che «il sigillo del dolore è impresso sul volto di tutta la natura e sul viso degli animali», e per l’altro che i primi fondamenti della vita umana son fatti «di lotte mortali, di terribile tristezza, d’un’angoscia che spesso arriva alla disperazione». Una «melanconia profonda e insopprimibile è presente in ogni vita, l’angoscia è il sentimento fondamentale d’ogni creatura vivente», l’nfelicità è costitutiva dell’esistenza, «la sofferenza è universale», giacché «è altrettanto doloroso essere che non essere», anzi «ogni dolore proviene dall’essere». Il senso ultimo della vertigine della ragione è dunque l’orrore dell’essere, «sublime e tremendo» insieme, il raccapriccio per «l’orribile mondo dell’essere». In quella domanda estrema ed esitenziale, nella quale «tua res agitur», risuona sì l’orrore del vuoto, il terrore davanti al nulla da cui emerge l’essere e che continua a fasciarlo con la sua ombra, ma ancor più l’orrore dell’essere, in cui l’enigmaticità dell’universo, la contingenza del mondo, la gratuità del reale, il dolore dell’esistenza si congiungono inestricabilmente a costituire l’unico oggetto d’una reazione così profondamente rivelativa. Un ultimo punto resta da considerare, ed è che il concetto di stupore, essendo l’unico in grado di qualificare l’estasi della ragione, è anche il solo che contenga la chiave per comprendere il passaggio dalla filosofia negativa alla PROFILO SAGGIO filosofia positiva, e quindi possa fornire l’interpretazione da dare del pensiero schellinghiano, se cioè si tratti d’un persistente razionalismo o d’un dichiarato irrazionalismo, o non piuttosto d’una filosofia che faccia consistere la propria originalità nel sottrarsi a quell’alternativa. Non si scordi che sul passaggio dalla filosofia negativa alla filosofia positiva esiste in Schelling un osservatorio privilegiato: la sua dimostrazione dell’esistenza di Dio, la quale, com’è noto, non consite nel dimostrare che Dio esiste, ma nel provare che l’esistente è Dio. Essa consta perciò di due procedimenti, la cui articolazione illustra quel passaggio rivelando quanto vi incida lo stupore della ragione. La prima procedura, puramente razionale e a priori, consiste nel definire il concetto di essere necessario, e culmina con l’argomento ontologico, inteso non più come l’assurda impresa di trarre da tal concetto la sua esistenza, ma come una felice introduzione alla filosofia positiva. A tal fine bisogna però rettificarne la conclusione, la quale non potrà essere «che Dio esiste necessariamente, beninteso se esiste». Quel «se esiste» non può alludere che che al puro esistente; e con questa idea la ragione ha compiuto un passo decisivo, il quale, anche se non la conduce alla realtà e le impone pur sempre la necessità d’un salto, tuttavia la trasporta sull’ultima spiaggia, al margine estremo del proprio processo e in vista del reale. Quell’idea è un' idea specialissima, diversa da tutte le altre: concetto senza concetto anzi anteriore al concetto, esistenza senza essenza anzi essenza a se stessa, anzi idea che non è idea anzi è il contrario d’un idea: pensarla è impresa disperata, tant’è vero che la ragione ne esce stremata, e per così dire boccheggiante. Il fatto è che il puro esistente non si può pensare; anzi, solo come impensabile può essere l’inizio della filosofia positiva. Ma proprio perciò esso non dipende più dalla filosofia negativa. E’ qui che interviene la soluzione di continuità, con la quale il puro esistente si stacca dalla mera ragione e la filosofia positiva può prendere il suo avvio. La seconda procedura è a posteriori, e consiste nella ripresa del discorso razionale dopo il salto dell’estasi. Essa ha inizio con lo sforzo della ragione che, per rimettersi in cammino, cerca di strapparsi dal torpore e di riemergere dall’abisso, e, intendendo avvolgere e permeare quella stessa realtà che l’ha impietrita, raccoglie le forze per recuperare in una lucida consapevolezza l’unità dell’essere e del pensiero. L’estasi ha fornito la mera esistenza senza essenza, che non ha né nome né concetto, un qualcosa che non è Dio, ma può diventarlo, una volta che si giunga a darvi un nome e a ravvisarvi non solo l’essere, ma il signore dell’essere. E’ proprio quanto fa questa procedura, la quale penetra l’opacità del puro esistente riscattandolo dalla sua anonimia e attribuendogli il concetto della divinità; ciò che Schelling esprime col dire che «Dio non è, come molti credono, il trascendente, ma il trascendente fatto immanente», cioè l’esatto contrario di quanto intende la vecchia metafisica impiantata sul principio della priorità dell’essenza sull’esistenza. Rispetto alla filosofia negativa questo procedimento ha una direzione inversa, giacché muove non dall’idea ma dalla realtà, e ha un carattere diverso, giacché ha a che fare non con la pura ragione e i meri concetti, ma col fatto e con l’esperienza. Le due parti della dimostrazione schellinghiana dell’esistenza di Dio sono dunque la definizione del concetto, che spetta alla filosofia negativa, e la denominazione dell’esistente che tocca alla filosofia positiva. Fra questi due processi razionali opposti e diversi, v’è una vera e propria soluzione di continuità: l’estasi e lo stupore della ragione. E’ il silenzio che divide i due discorsi, la paralisi che separa i due movimenti, il sonno che distingue le due veglie, la vertigine che divarica i due versanti, il sopore che delimita le due consapevolezze. Rivediamone brevemente le caratteristiche. E’ un momento critico, altamente drammatico: un istante di sospensione assoluta, in cui su ogni cosa si stende un alto e pauroso silenzio: la ragione, abbandonata alla sua nuda natura, è colta da un fremito come di orror sacro, sentendo oscuramente l’impressionante vicinanza del significato ultimo delle cose, prossima a cogliere il senso dell’enigmaticità del reale e la fonte del dolore dell’esistenza; in un supremo e culminante abbandono, essa accede all’essere, il quale, nell’atto stesso che la paralizza con la sua irriducibilità e la sconvolge con la sua ulteriorità, le si rivela, consegnadosi alla sua coscienza muta. Si hanno ormai gli elementi essenziali per interpretare questa soluzione di continuità, che meriterebbe piuttosto il nome di cesura, e quindi il carattere del pensiero schellinghiano. A me sembra che un semplice sguardo basti a escludere sia un’interpretazione razionalistica che, sminuendo la portata della cesura, lascerebbe inspiegata la dualità delle filosofie e il risoluto antihegelismo di Schelling, sia un’interpretazione irrazionalistica che, esagerando l’incidenza della cesura, riterrebbe il riconoscimento d’una sconfitta della ragione come sufficiente a viziare alla base ogni nuovo discorso, abbandonandolo così alla fede o al sentimento, in una forma di esigenzialismo psicologico o religioso del tutto estraneo ai propositi e ai risultati di Schelling. Un’esatta misurazione della cesura è possibile solo mettendo in evidenza nel testo schellinghiano il concetto di stupore della ragione. Lo stupore della ragione è un attimo di sospensione, non così pronunciato e definitivo da rappresentare una rottura né così tenue e istantaneo da non dar luogo che a una mera prosecuzione. Esso rappresenta un intermezzo, in cui l’interruzione brusca e persino violenta non è irreversibile, e per quanto sconvolgente e traumatica non si trasforma in scissura. La ragione s’immerge certo nel torpore, ma non vi si seppellisce, e certamente discende nell’abisso, ma non vi sprofonda: il suo stupore è solo una pausa, ma non tanto da ridursi a una sosta rapida e fugace, ed è certo una svolta, ma non tanto da avviare un processo completamente eterogeneo. Lo stupore della ragione divide il corso del pensiero e il discorso filosofico in due: da un lato il cammino sicuro della ragione autonoma, che non è così trionfale da non sottomettersi, alla fine, all’irriducibile trascendenza di ciò che essa nel pensiero raggiunge come idea e nell’estasi consegue come esistenza; dall’altro il cammino della ragione soggetta al reale, la quale non è così docile e corriva da appiattirsi sulla realtà stessa, senza cercare di penetrarla col pensiero e di ritrovarvisi con una congenerità che sola rende possibile ogni grado della conoscenza. Ma si tratta davvero di due discorsi separati, o non si tratterà piuttosto d’un solo grande discorso razionale e filosofico, che non si potrà forse definire come unico in quanto scandito in due fasi differenziate, ma che certamente merita il nome di unitario, perchè le sue due parti girano intorno a quello stesso stupore della ragione che li spartisce come due battenti ruotano intorno al loro perno? Così prospettato, lo stupore della ragione non sarebbe soltanto il cardine in cui s’imperniano le due PROFILO filosofie, ma addirittura il fuoco centrale dell’intera filosofia nel suo discorso razionale unitario: lo spiraglio che le fa intravedere la sorgente stessa del reale, il nesso che la vincola all’origine traendone sostanza e alimento, il rapporto originale e fondamentale con l’essere. Ben a ragione esso può considerare come l’elaborazione ultima e più matura di quello che sotto varie forme è sempre stato il cuore della filosofia schellinghiana: l’intuizione intellettuale, la Mitwissenschaft, il non sapere sciente, l’estasi; che non sono tanto una conoscenza intuitiva quanto piuttosto un rapporto ontologico, cioè il fatto originario e imprescrittibile che l’uomo è coscienza dell’essere. Nell’insieme del pensiero schellinghiano non si sa se l’accento cada più sulla totalità articolata e avvolgente del discorso razionale, che, per quanto violentemente interrotto e costretto a invertire la rotta, riprende con pazienza e pacatezza il suo filo, o più sull’incidenza dell’interruzione, che, in quanto rispettivamente culmine e inizio delle due fasi, contiene forse l’anima ispiratrice e motrice dell’intero corso. Ciò che conta è che Schelling si mostra interessatissimo a mantenere insieme i due termini: per un verso egli non può fare a meno dell’intuizione intellettuale, della conscientia, della scienza centrale e congenere, della dotta ignoranza, dell’estasi, dello stupore, e per l’altro verso la sua vocazione è la chiarezza della ragione, la fatica del concetto, la trasparenza razionale dell’esperienza; sì che i due termini, lungi dall’evaporarsi l’uno nella fantasia e l’altro nell’astrazione, rappresentino, uniti, la completezza della filosofia. Alla pienezza del pensiero sono per Schelling egualmente e indivisibilmente necessari la solidarietà fra concetto ed esperienza e il carattere teoplettico e intenzionale della ragione, la razionalità del discorso e l’apertura dell’essere. E sono tanto l’apertura dell’essere che la disponibilità all’esperienza che conferiscono alla ragione quel carattere duttile e penetrante che in Schelling la rende capace di affrontare le zone oscure del reale, come la natura e la storia, l’inconscio e il mito, e i regni del positivo, come la scienza, l’arte, la religione, permeandoli e dominandoli in modo più efficace di quanto abbia potuto fare l’idealismo, in obbedienza non meno all’esigenza di concretezza che al dovere di critica razionalità che caratterizzano, entrambi, la filosofia. Conferenza tenuta originalmente il 17 dicembre 1979 all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici , successivamente stampata in A.A. V.V., Romanticismo, esistenzialismo, ontologia della libertà, Milano, Mursia, 1979, pp.137-180 Berlino, Unter den Linden (incisione del 1840 circa) PROFILO SCHEDA Salendo la tortuosa strada che dalla piana di Firenze porta 1976. Da allora l’Università si è molto ampliata, con all’arroccata Fiesole, s'incontra un poggio, dove si ha il l’ammissione annuale di circa cento nuovi ricercatori e privilegio di ammirare tanto le plastiche forme degli con l’aumento delle funzioni amministrative, tanto da edifici religiosi e civili fiorentini, quanto le turrite sago- necessitare di altre sedi; a quella originaria si sono me delle costruzioni di quella che fu una delle ultime aggiunte: la Villa Schifanoia (la “villa di delizie” dallo roccaforti etrusche. Qui sorge la “Badia Fiesolana”, un scenico giardino all’italiana, dove la leggenda vuole che complesso monastico che evoca innumerevoli richiami Boccaccio abbia ambientato la cornice delle novelle del storici e offre sfaccettate suggestioni artistiche: dall’u- “Decameron”), la Villa il Poggiolo (dove hanno sede gli manesimo dei Medici, alle volte e ai capitelli che ricorda- archivi della Comunità europea, tra cui il fondo “Altiero no gli sfondi del Beato Angelico, fino al chiostro di Spinelli”) e il Chiostro del Convento di S. Domenico stampo michelozziano e alla Chiesa di S. Domenico che (dove nelle ex-celle dei frati hanno ora il loro studio i fu rimaneggiata su una precedente costruzione gotica, di cosiddetti “Jean Monnet-Fellows”, ricercatori post-dotcui rimane traccia nei pochi marmi della sua facciata torato e professori che godono di una borsa di ricerca policroma. Questi retaggi culturali, uniti ad un paesaggio della durata di un anno). che vive in equilibrio con la presenza dell’uomo, creano Ma come si accede all’I.U.E.? Bisogna innanzitutto dire una sorta di cornice estetica che non si limita però a che l’attività accademica dell’Istituto viene svolta seconcircoscrivere gli echi del passato, quanto invece a poten- do la suddivisione in quattro dipartimenti (Storia e Civilziare le prospettive del presente futuro. Infatti, è proprio tà, Scienze Economiche, Scienze Giuridiche e Scienze nella Badia Fiesolana (in precedenza adibita a collegio, Politiche e Sociali) e in due Centri (Centro di Politica gestito dai Padri Scolopi) che ha ora sede l’Istituto Europea e Centro di Ricerca sulla Cultura Europea). Alla Universitario Europeo, l’organizzazione internazionale domanda di ammissione - che per gli italiani scade di studi post-laurea che viene annualmente intorno alla fine di finanziata dai dodici Paesi memgennaio - segue una prima seleI luoghi della filosofia: bri della Comunità Europea e zione (a livello nazionale), opeche ha attualmente alla presirata in certi casi dai docenti delL’Istituto denza il francese Emile Nöel, l’Università, in altri dai governi ex-segretario generale della Universitario Europeo centrali, sulla base dei titoli preCommissione delle Comunità sentati - a partire dalla laurea - e europee. del piano di ricerca che si intendi Firenze Dall’antica struttura autosuffide svolgere. Una volta superata ciente dell’abbazia medioevaquesta prima fase, si viene conle, la Badia si è così trasformata vocati per un colloquio orale nella moderna organizzazione perlopiù in inglese - in cui si di Marina Calloni di un “campus” di ricercatori espone il proprio progetto scieneuropei e non, provenienti da tifico. Se si viene accettati, si diverse esperienze scientifiche, dispone allora di una borsa di intellettuali e culturali, dove il ricerca della durata di tre anni, principio dell’apprendimento nel caso in cui si voglia conseviene strettamente unito a quelguire il dottorato di ricerca, e di lo della socializzazione interpersonale (spirito che si un anno, se si vuole ottenere solo il master. Il titolo di trasfonde poi anche nell’asilo “multinazionale” messo a “dottore di ricerca”, rilasciato dall’I.U.E. a seguito della disposizione dell’Istituto a favore dei figli dei ricercatori, discussione di una dissertazione scritta al termine dei tre dei professori e del corpo amministrativo). La provenien- anni di lavoro, è a norma di legge equipollente allo stesso za da Paesi diversi rende infatti necessario un continuo titolo conseguito nelle Università italiane, ovvero il dotsforzo reciproco per l’intesa sui programmi di ricerca, torato “europeo” viene automaticamente riconosciuto dalle connotazioni scientifiche spesso molto eterogenee. dallo Stato Italiano (il che non implica però un successivo La difficoltà dell’interazione linguistica viene invece accesso privilegiato alla vita accademica nazionale). facilmente superata sia dall’uso comune di una lingua, L’attività di ricerca si svolge attraverso seminari settimal’inglese (in cui si tengono la quasi totalità dei seminari nali, tenuti dal corpo docente dell’Università (composto e delle dissertazioni), sia dalla conoscenza di almeno due da professori - non soltanto europei - che vengono assunti lingue da parte dei ricercatori. E’ un po’ come se si con contratti della durata massima di otto anni), e attravivesse a “Babele” tutti i giorni, col pregio però di verso discussioni e conferenze su quei temi che vengono intendersi: a Firenze si può così vivere in un luogo scelti come ambito specifico di ricerca, spesso a carattere “extraterritoriale”, pur circondati da un paesaggio pretta- interdisciplinare. I supporti didattici, ma soprattutto tecmente toscano. La creazione dell’Università Europea nici, vengono principalmente offerti dall’organizzazione venne decisa il 19-4-1972, con la firma di una convenzio- di corsi di lingue, da tirocini e missioni all’estero e da una ne sottoscritta dai sei Paesi fondatori della Comunità biblioteca assai rifornita e completamente informatizzaeuropea, che prevedeva l’istituzione di un organismo ta. La ricerca e la consultazione di libri e di periodici (che internazionale avente lo scopo di promuovere ed estende- hanno naturalmente il pregio di provenire da Stati diverre l’integrazione europea, soprattutto a livello cultural- si) diventano pertanto assai facili e veloci, grazie anche scientifico. L’I.U.E. prese però vita solo nell’autunno all’assistenza di un gruppo di bibliotecari europei assai PROFILO qualificato e aggiornato anche sui più recenti sviluppi della computerizzazione bibliotecaria. Ma questi possono però a loro volta fare affidamento sull’altrettanto preparato gruppo dei tecnici del centro di calcolo che con la loro assistenza permettono anche il funzionamento di un servizio-dati per ricerche di carattere quantitativo. Nel panorama italiano, ma anche europeo, l’I.U.E. è indubbiamente un esperimento che, nonostante la cornice idilliaca del paesaggio e la qualità dei servizi offerti, presenta tuttavia problemi e limiti. L’integrazione cultural-scientifica non è infatti così facile da attuare, molto spesso a causa delle diverse formazioni personali dei ricercatori e docenti, altre volte per gli enormi stimoli che continuamente arrivano da esperienze differenti, ma che senz’altro rendono più difficile una selezione dei dati ed un percorso coerente della ricerca individuale. Il continuo incremento delle informazioni che si ricevono, col conseguente aumento degli influssi esterni, non è infatti sempre proficuo per la concentrazione e la ricerca, a meno che non venga adeguatamente filtrato da un rigoroso piano generale dei propri percorsi d’analisi. Rispetto al passato, negli ultimi anni l’I.U.E. si è trasformato sotto il profilo della sua complessiva struttura di ricerca; infatti da organismo internazionale pensato perlopiù in termini di centro-studi sulla questione dell’integrazione europea, si è convertito in luogo di ricerca su temi che non sono prettamente attinenti alle specifiche problematiche delle nazionalità del vecchio continente, ma che spesso prendono anche spunto - o partono - dalle analisi condotte oltre-Oceano, oppure prendono in esame un più vasto panorama europeo. L’interscambio culturale dell’Istituto va comunque ormai al di là dei confini della Comunità europea; si è infatti deciso di offrire borse di studio a ricercatori provenienti dai Paesi dell’Est, della durata di un anno (secondo altre modalità di partecipazione vengono però accolti anche studiosi di altri continenti, dai sudamericani, ai cinesi fino ai nuovi zelandesi). Alla base sta però un progetto di politica culturale più esteso: partecipare, o comunque promuovere la costituzione dell’Università del Centro-Europa, che dovrebbe essere composta da centri di ricerca situati in alcune delle maggiori città dei Paesi dell’ex-blocco comunista. Lungo il suo percorso culturale, l’esperienza dell’I.U.E., pur con tutti i suoi limiti, ha comunque potuto mostrare in modo paradigmatico che la “cultura” non è più pensabile se non in termini di comunicazione interpersonale e di scambio di dati e di competenze specifiche fra ricercatori provenienti da ambiti del sapere avanzato, soprattutto a livello transdisciplinare e transnazionale. Villa Schifanoia, sede dell'Istituto Universitario Europeo. TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Attualità degli antichi Nel ventesimo secolo molti dei problemi che preoccupavano gli antichi greci risultano “curiosi”, se non addirittura incomprensibili. Per questo gli sforzi degli studiosi si sono spesso concentrati nel contrastare questa impressione, mostrando invece come alcuni problemi contemporanei siano strettamente legati al sapere antico, come peraltro dimostra la presenza di nuclei propri del pensiero greco nei moderni dibattiti. E’ questo il caso dell’attesa monografia sulla filosofia di Socrate di Gregory Vlastos, Socrates: ironist and moral philosopher (Socrate: satirico e filosofo morale, Cambridge University Press, New York 1991). Nicholas Denyer nel suo libro Language, thought and falsehood in ancient greek philosophy (Linguaggio, pensiero e falsità nell’antica filosofia greca, Routledge, London 1990) cerca invece di focalizzare il problema della falsità all’interno del pensiero greco. In questo sforzo di chiarificazione convergono anche altri recenti studi: Ancient concepts of philosophy di William Jordan (Antichi concetti della filosofia, Routledge, London 1990), Plato in the italian Renaissance di James Hankins (Platone nel Rinascimento italiano, 2 voll., Brill, Leiden 1991 ) e The greek philosophical vocabulary di J.O. Urmson (Vocabolario della filosofia greca, Duckworth, London 1990). Da rilevare infine, accanto a queste tendenze prevalentemente esegetiche, sforzi di attualizzazione di una riscoperta del platonismo da parte del pensiero matematico, in connessione soprattutto allo sviluppo della teoria dei frattali e a quella del caos, una ulteriore testimonianza questa di come il platonismo sia riuscito a mantenere attraverso i tempi molto del suo potere intellettuale e ideologico. Gregory Vlastos, uno dei più eminenti studiosi di filosofia classica, ha dedicato parecchi anni ad esaminare l’intero corpus della filosofia platonica. Ora ha deciso di rivolgere il suo interesse al pensiero socra- tico. L’opera di Vlastos non delude e riflette le sue più specifiche virtù: padronanza dei testi, acuta capacità argomentativa, chiarezza nell’esposizione, buon senso, generosità di spirito. Socrate appare come il pensatore che ha inaugurato quella linea di pensiero che è considerata il caposaldo della filosofia classica. E’ compito difficile quello di cercare di chiarire qual’ è l’effettivo pensiero di Socrate sulla felicità, sulla virtù, sulla conoscenza e sulle loro reciproche relazioni, in quanto la ricerca deve essere condotta sui testi di pensatori influenzati dal suo pensiero. Socrate viene descritto da Vlastos principalmente come un innovatore morale. Nella lista classica della quattro virtù morali (temperanza, giustizia, saggezza e coraggio, cinque se si include la pietà) egli prende una direzione decisamente nuova riguardo le prime tre. La temperanza non è solo una moderazione delle passioni; implica invece una perfetta coincidenza del desiderio con la nostra conoscenza del bene totale. Per quanto riguarda la giustizia la posizione di Socrate oltrepassa l’accezione comune che essa corrisponda a ciò che è dovuto a ciascuno. Per Socrate la giustizia sembra racchiudere piuttosto la nozione di beneficenza: il nostro più alto dovere è quello di fare il bene degli altri. Queste due nozioni rivoluzionano ciò che si intende per felicità. Vlastos esamina tutte le varie interpretazioni della relazione tra felicità e virtù; rifiuta l’interpretazione che considera la virtù come strumentale alla felicità, ma si oppone anche alla visione secondo cui esse coincidono. Ammettendo che la virtù è un costituente della felicità, Vlastos conferma l’affermazione cruciale di Socrate, che considera la virtù come una componente assoluta della felicità, a differenza di altre componenti, come per esempio la salute o la ricchezza, che possono diventare dannose a meno che non siano in presenza della virtù. Ma ciò che sorprende non è tanto questa sua concezione, quanto il fatto che Socrate riteneva che questo suo modello di vita, così spontaneo per lui, potesse valere alla stessa maniera per tutti gli individui. Per Socrate, infatti, ciò che ci separa dalla giustizia è la comprensione vera di ciò che noi realmente vogliamo. A questo proposito Vlastos sottolinea come la concezione della giustizia non possieda un senso puramente contemplativo e disincantato; essa implica invece la nozione di beneficenza. Inoltre, legando il principio della benevolenza agli essere divini, assegna la virtù della giustizia alla sanzione divina. Per quanto riguarda la saggezza e la conoscenza razionale Socrate sostiene che esse si ottengono attraverso la formulazione di argomentazioni ed il loro successivo confronto. Il procedimento che egli usa si basa esclusivamente sugli argomenti e sulle credenze dell’interlocutore, senza l’introduzione di tesi estranee, come invece procede Platone. A questo proposito Vlastos mostra come la fede filosofica nell’argomentare e nel ragionamento sia diventata propria di tutte le scienze grazie a Platone, non a Socrate. In questo senso egli sottolinea la differenza tra Socrate, filosofo prettamente morale, e Platone, filosofo “generale”, che ha applicato questo metodo d’indagine a tutte le branche del sapere. Con Platone l’argomentazione razionale diventa un passe-partout. Vlastos accentua ulteriormente la differenza tra Platone e Socrate a favore di quest’ultimo, specie quando evidenzia il fatto che a differenza di Socrate per Platone la conoscenza filosofica non la si può ricercare in un individuo qualunque semplicemente dialogando, perché essa ha bisogno di una speciale preparazione, facendo in tal modo della filosofia un’attività d’élite. Nell’ambito delle ricerche circa i problemi che hanno effettivamente travagliato il pensiero greco si iscrive il libro di Nicholas Denyer, Language, thought and falsehood in ancient greek philosophy, che si propone di chiarire la tematica del falso. Questo problema, così come era concepito dai greci, è assente dal pensiero contemporaneo, e venne risolto da Platone. Lo studio di Denyer è appunto un tentativo di analisi della risposta platonica a questo problema, partendo dalla genesi del problema nei predecessori di Platone fino alla sua risoluzione nel Sofista, passando attraverso la Repubblica, il Cratilo ed il Teeteto. Oltre Platone si dirige invece l’analisi che James Hankins svolge nel suo Plato in the italian Renaissance, prendendo di mira gli scritti neoplatonici e mettendo in evidenza come i pensatori di questo periodo coglievano e interpretavano la filosofia classica. Hankins TENDENZE E DIBATTITI mostra come i primi umanisti cercassero di conciliare la filosofia platonica con il cristianesimo solo per cercare di difendere in maniera calcolata e cinica gli studia humanitatis dall’accusa di paganesimo. Solo più tardi pensatori come Bessarion e Ficino furono animati da un autentico desiderio di fondere l’eredità classica con quella pagana. Lo studio di William Jordan, Ancient concepts of philosophy, e quello di J.O. Urmson, The greek philosophical vocabulary, mostrano una differente, ma collegata tensione nell’affrontare il mondo greco nella sua globalità pratico-teorica. Il primo analizza le concezioni proprie della filosofia greca, i suoi scopi e i suoi temi principali, il genere di persone che se ne occupavano e la vita che questi conduceva- no. Il secondo invece vuole essere esplicitamente una guida per coloro che possiedono già una conoscenza del greco, inoltrandosi con ampio raggio d’analisi all’interno del linguaggio dei filosofi greci. Infine è da segnalare una recente ripresa del platonismo all’interno del pensiero matematico, che sta suscitando aspre polemiche nel mondo accademico. Dal 1980 due interessanti aree della matematica, la teoria dei frattali e quella del caos, sono servite a sostenere il ritorno del neoplatonismo. I frattali vengono intesi come entità splendidamente misteriose, che pare manifestino una vita propria, e che perciò sembrano dimostrare che la matematica non è un sistema inventato dall’uomo, ma un mondo preesistente di struttura platonica, che viene semplicemente indagato dall’uomo (ve- di per esempio Roger Penrose, The emperor’s new mind, 1990). Alcuni teorici del caos hanno proposto di bandire la nozione di disordine assoluto, sostenendo che per quanto una situazione possa apparire caotica, può sempre essere determinata da regole anche se molto complesse. Il neoplatonismo dopo un periodo di successo con Georg Cantor, venne definitivamente messo in discussione da pensatori come Poincaré e Kroneker. La fede in questa teoria subì inoltre un duro colpo tra gli anni ’60 e ’70 , allorché non solo cadde la credibilità del formalismo, ma anche del platonismo, permettendo alle scienze matematiche di essere rifondate e di potersi sviluppare. Al di là di tutto questo, ciò che crea meraviglia è il rilevare come il platonismo sia riuscito a mantenere pressoché inalterata la sua carica d’energia intellettuale, anche dopo le numerose critiche ricevute durante i secoli passati. V.R. La società tra conflitto e paura del vuoto Di teoria del conflitto e delle strategie di compromesso applicate all’interno delle società moderne si occupa il libro di Luc Boltanski e Laurent Tavenot, De la justification (La giustificazione, Gallimard, Parigi 1991). Nei termini di un’analisi più specificamente sociologica si propone invece il saggio di Olivier Mongin, La peur du vide. Essai sur les passions démocratiques (La paura del vuoto. Saggio sulle passioni democratiche, Seuil, Parigi 1991). Apollo, frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia (460 a. C. circa) Nella sua recensione (“Le Monde”, 23 agosto 1991) allo studio di Luc Boltanski e Laurent Tavenot, Paul Ricoeur si sofferma sull’originalità della metodologia impiegata per disegnare il quadro di una società composta da una pluralità di regimi d’azione dotati di una propria coerenza e che forniscono la struttura di riferimento delle relazioni umane. Importa notare come questa pluralità sia limitata, nel senso che risulta condizionata da una serie di regole e di modelli che orientano le relazioni sociali. Sono, ad esempio, le regole funzionali sottomesse al principio dell’utilità che presiedono al funzionamento della “città industriale”, mentre la “città civile” vive nel riferimento al principio di subordinazione dell’interesse privato a quello collettivo. Per evidenziare gli specifici modelli di legittimazione di ciascuna “città”, sui quali a loro volta si fondano le procedure di regolazione dei conflitti, gli autori procedono ad una lettura incrociata dei testi classici della tradizione filosofica e teologica con i manuali di ordine più pratico e “operativo”, destinati a coloro che possono essere definiti i “funzionari della vita pub- TENDENZE E DIBATTITI blica”: i quadri intellettuali, industriali e sindacali. Nella struttura funzionale della “città del commercio” è la concorrenza degli operatori che configura l’ordine interno del sistema. La logica specifica di questo ambito raggiunge la sua evidenza teorica nell’opera di Adam Smith che costituisce la “grammatica” fondamentale delle trattazioni manualistiche. Ogni singola “città” si organizza secondo un proprio ordine di legittimazione, aperto tuttavia tanto alla contestazione interna, che al conflitto con ordini differenti. E’ proprio nel confronto critico sollecitato dall’esistenza di altri “mondi” sociali che si genera la necessità teorica e pratica di un compromesso. «In un compromesso ci si mette d’accordo per comporre, ossia per sospendere il contenzioso, senza che questo sia stato regolato attraverso il ricorso ad una prova in un solo mondo». La possibilità di abitare una pluralità di mondi è del resto costitutiva della persona; se è vero che le istanze ordinatrici di ciascuna città hanno una dimensione supra-individuale, spetta comunque ai singoli identificare, di volta in volta, la specificità e la legittimità delle regole stesse e la loro eventuale trasformazione attraverso lo strumento razionale del giudizio. Una riflessione aperta sul destino delle democrazie è quella proposta da Olivier Mongin, direttore di “Esprit”, nel suo libro: La peur du vide. Essai sur les passions démocratiques. E’ con le immagini e le metafore del cinema e della pubblicità che Mongin prova a disegnare la «cartografia» particolareggiata delle emozioni contemporanee. Trovarne i segni nella vita pubblica diventa sempre più problematico: la caduta dei sistemi di riferimento ideologici, il carattere sempre più competitivo delle relazioni umane in una società che si organizza secondo il modello dell’impresa, sono gli elementi che portano alla diserzione dello spazio sociale e all’inaugurazione di utopie del privato, di ambiti di vita sottratti al conflitto. Le fantasie idilliache della pubblicità, la celebrazione di stili di vita dove tutto corre «come un lungo fiume tranquillo», rappresentano - per Mongin - «le forme “elementari” di un’identica volontà utopica che ha l’ambizione di liberare i corpi e le menti dalla sofferenza e dal male, come anche dalla violenza e dai conflitti della storia». Il deserto, celebrata metafora del semplice e dell’incontaminato, è il luogo di una privatezza che è torpore e fuga dalle realtà, chiusura autodistruttiva della comunicazione. «Le passioni private sono oggi ai limiti del deserto, separate dalle passioni storiche che fino a ieri davano loro un linguaggio», senza di esse - conclude Mongin «si è soli, completamente soli, e la passione amorosa diventa a sua volta una impossibile utopia». La famiglia stessa ha perso le sue tradizionali caratteristiche di luogo solidale e protettivo a favore dell’azienda, che si afferma come «un circolo familiare deputato a intervenire all’esterno [...] una tribù vincente che valorizza la solidarietà amicale o marziale e che riannoda i legami attraverso il funzionamento gerarchico, a cui la famiglia ha apparentemente rinunciato». Alla chiusura privatistica delle passioni corrisponde una percezione ostile dello spazio pubblico, luogo della falsità e del tradimento. Il sentimento più conseguente diviene la paura. Diagnosi precisa della società francese, il libro di Mongin non indica prognosi; l’invito a riarmonizzare la sfera privata e la vita pubblica, a ripensare «a quali condizioni sia ancora possibile la cittadinanza», rinvia il problema ad una dimensione che non è soltanto sociologica e rinnova la problematica esigenza di «ricercare il filo d’Arianna del Politico». E.N. Io, Tu, l’Altro, Noi: il “terzo” nell’etica contemporanea Per vie traverse, ma convergenti nel proposito di ripensare a fondo la tematica del vivere-insieme, si fa strada, da qualche tempo, nella riflessione filosofica quella che si potrebbe chiamare “la problematica del terzo”, il ricorso cioè a una istanza anonima, neutra, che spezzi e trasformi la vertigine dei dualismi. Due recenti iniziative si situano su questa linea: il convegno internazionale La comunità, organizzato da Laura Boella a Gargnano (6-9 giugno 1991), al quale hanno partecipato fra gli altri A. Civita, A. Dal Lago, E. Franzini, G. Raulet, J. M. Vaysse, Hauke Brunkhorst), e il recente fascicolo della rivista “Aut-Aut” (n. 242, marzo-aprile 1991), incentrato sui temi del rapporto duale e bifrontale del soggetto con l’alterità (interventi in particolare di J. Derrida, F. Ciaramelli, P. A. Rovatti). Un contributo al problema dell’altro ci viene anche, per altro verso, dal libro di Renato Troncon, La filosofia dell’inquietudine (Guerini e Associati, Milano 1991). Assume sempre più consistenza nel dibattito europeo la revisione critica di tanti binomi oppositivi (io-tu, individuocollettività, medesimo-altro) particolarmente presenti nella riflessione eticopolitica degli anni 70/80. Che una certa “insofferenza” verso gli sdoppiamenti e le simmetrie proprie di una determinata stagione della riflessione etica, in particolare francese, si sia delineata da tempo, è un dato appurato. E’ nuova invece, o meglio recente, l’insistenza e la chiarezza con cui questo atteggiamento critico promuove il rilancio di alcune tematiche fondamentali del vivere-insieme, quali l’amicizia, la sollecitudine, la comunità. Radice di questa riflessione ramificata per interessi e prospettive, è la tematizzazione di un’istanza terza, anonima, non compromessa con i pronomi personali (io, tu, lui, noi), gli sdoppiamenti (alter ego), le marche oppositive (medesimo-altro). Dal convegno di Gargnano e dalla rivista “Aut-Aut” è possibile trarre un primo bilancio di questi rapporti incrociati. Comune è la convinzione che nell’epoca della secolarizzazione e della consumata Modernità due topoi del pensiero filosofico siano estremamemte compromessi: l’idea del soggetto come unità compatta e autocentrata e l’ideale della relazione all’alterità nei termini di analogia, simmetria, sdoppiamento o dicotomia. Corale è la critica ai tentativi di ridurre la comunità in comunione, l’amicizia in rapporto fra uguali,l’incontro con Altri in ingiunzione dall’esterno, oppure in assimilazione appropriante dall’interno. La pointe di questo atteggiamento consiste nel considerare ingenua ed astratta la prospettiva dualistica, che non consentirebbe alcuna “attività di giudizio”. E’ il ricorso alla mediazione impersonale della legge che consente di dirimere i conflitti in seno ai rapporti sociali; è l’asimmetria fra me e te che evita rispecchiamenti narcisistici o deliri di onnipotenza e che apre alla fecondità dell’amicizia; è la presenza dura e anonima di un mondo in comune che permette agli individui di stagliare come ombre su un muro la propria singolarità. Non è un caso allora che molti ripartano da questo punto per ripensare le scansioni del vivere insieme. Tra i saggi presentati in “Aut-Aut”, quello di Jacques Derrida (“Politiche dell’amicizia”) rivendica la priorità della mediazione sull’immediatezza dell’alleanza nell’amicizia: prima ancora di qualsiasi investimento di responsabilità ci si trova a rispondere davanti a qualcuno di qualcosa. «Siamo presi - così scrive Derrida - in una sorta di curvatura eteronomica e asimmetrica dello spazio sociale». Questa coimplicazione originaria in virtù di un’asimmetria mediatrice è la condizione del rispetto e della misura dell’alterità. «Il terzo testimonia sempre di una legge che viene a interrompere la vertigine della singolarità». Dal canto suo Pier Aldo Rovatti (“Soggetto e alterità”) riprende alcune tesi dell’ultimo Paul Ricoeur sulla passività come alterità e le interpreta come un “indebolimento e destabilizzazione” dei pronomi in gioco. Per Ricoeur, l’io è affetto da una natura ambigua, da una sensibilità ricettiva capace al limite di sfaldarne la solidità. Ora, per Rovatti, questo coefficiente di passività va letto come “alterazione” insita nel soggetto stesso: è su questa linea di alterazione/ alterità che l’io incontra l’Altri, il tu e l’altro, l’amico silenzioso. Sulla base di questa fragilità e passività comune che espone l’uno di fronte all’altro sono possibili gli incontri che, al contrario dell’immedesimazione, si svolgono sotto il registro della reciproca asimmetrica esposizione. Su tale polimorficità del soggetto e della sua mobilità contemporanea ha insistito anche Alessandro Dal Lago, mentre, su un versante più attento alla filosofia dell’azio- TENDENZE E DIBATTITI ne si è pronunciato Fabio Ciaramelli (“Nota sull’ultimo Ricoeur”), cercando di stringere i tipici nodi ricoeuriani, tempo-racconto, tempo-creatività, testo-azione, attorno al laccio della problematica del soggetto collettivo anonimo. Anche se Ricoeur ha disatteso il proposito, annunciato un tempo, di lavorare «alla questione fondamentale della pensabilità del soggetto collettivo come creatività e prassi», Ciaramelli legge Ricoeur alla luce del problema della creatività e dell’autoreferenzialità di un soggetto politico anonimo, particolarmente in sintonia con alcune preoccupazioni condivise da Claude Lefort e Cornelius Castoriadis. Lo stesso Castoriadis all’inizio di giugno, in un convegno parigino dal titolo: Ecriture et vérité, ha rivendicato il carattere anonimo e neutro dell’agire politico ad opera di una collettività corale, i cui soggetti si costituiscono agendo e non sono mai dati prima dell’agire comune. Sulla problematica del “terzo” lavora da tempo Laura Boella, in particolare nell’ambito della sua interpretazione del pensiero di Hannah Arendt. Nel suo intervento al convegno di Gargnano Boella ha messo in luce come i rapporti di amicizia siano inassumibili sotto il registro della vicinan- za e della dualità. Nei rapporti a due ne va sempre di qualcosa d’altro, che prescinde dai pronomi e dal loro gioco, ne va del mondo comune, di quella dimensione neutra che è condizione necessaria dell’agire e del vivere insieme. Il mondo comune è l’orizzonte condiviso dalla pluralità delle opinioni dei soggetti, ma in nessun caso si riduce alla loro somma. La doxa non è la semplice opinione ma il fatto che il mondo, sfondo comune, appare diversamente: esso dokei moi, mi appare così e non altrimenti. Su questo sfondo ciascuno può rendersi visibile nella sua unicità, rendendo visibile la sua appartenenza a un mondo comune. Gli individui senza questo mondo terzo che si frappone fra me e l’altro «si cascherebbero addosso - ricorda Boella, citando la Arendt - come persone intente a una seduta spiritica senza un tavolino in mezzo». Proprio insistendo sul carattere neutro e anonimo del mondo comune Boella si è ricollegata alla lignée Bataille, Blanchot, Weil sotto il profilo della comunità impossibile. Questi autori infatti considererebbero anacronistica e astratta la politica come dialogo vivente e comunità organica e si richiamerebbero alla radicale messa in questione delle filosofie della coscienza e della vo- lontà attraverso l’introduzione di un’istanza terza anonima (l’essere per la morte di Bataille, l’agire non agente di Weil). Anche se di diversa impostazione problematica, merita qui citare un interessante contributo alla questione dell’altro, dell’altrove e della sua comprensione, quale ci viene fornito dal recente libro di Renato Troncon, La filosofia dell’inquietudine (Guerini e Associati, Milano 1991), che assume l’inquietudine come figura direttiva di ogni manifestazione dell’alterità. Voler essere “altrove”, o voler essere “altro”, è la condizione più caratteristica dell’uomo. Quieta non movere - dicevano gli antichi! Ma la pulsione contraria, «il cambiare ovunque il luogo di tutto», le relative forme di vita e di comportamento, disegnano, per Troncon, la scena originaria della costituzione non della sola soggettività, ma della concreta umanità. E parlare di umanità non è, secondo l’autore, una circostanza qualsiasi, ma un vero atto di giustizia. Abbandonato a una critica dell’umanesimo come naturalismo, circoscritto ma anche limitato negli studi specialistici, privato della materialità dell’azione e del sentimento, l’uomo, per taluni aspetti, pare essere una vittima della stessa filosofia e dei René Magritte. Il capolavoro o il mistero dell'orizzonte. (raccolta Arnold Weissberger, New York) TENDENZE E DIBATTITI filosofi. Attraverso cinque capitoli dedicati a Johann Gottfried v. Herder, Heinrich v. Kleist, Helmuth Plessner, Arnold Gehlen e infine Giambattista Della Porta, Troncon sviluppa l’idea che l’uomo né riposa, né è, in generale, presso se stesso, mentre, come avrebbe detto proprio Helmuth Plessner, è piuttosto «accanto, dietro o anche oltre se stesso». Le stazioni del pensiero dell’inquietudine sono naturalmente diverse, forse persino contraddittorie. Agli autori citati è così affidato il compito di mettere ordine, di mostrare anzitutto due scenari poeticofilosofici, quello della letteratura di viaggio (il Journal di Herder, del 1769), e quello della filosofia della danza (Kleist e il suo scritto sul “teatro delle marionette”, del 1810, ma anche la danza espressiva ed estatica degli Anni Venti in Germania). In secondo luogo, di mostrare come gli antichi motivi di una filosofia dell’inquietudine siano, nel Novecento, prima confluiti e poi siano stati riscritti nel contesto di una filosofia della biologia umana. Su tutto questo Troncon innesta le categorie della filosofia di Gehlen e di Plessner. Chiude la trattazione un capitolo dedicato agli studi di fisiognomica del napoletano Giambattista Della Porta. Alla fisiognomica fu storicamente affidata la difesa e l’organizzazione della significatività del corpo: è a questo proposito che Troncon parla di anatomia ideale. In essa convergono gli interessi di discipline diverse, dalle arti figurative alla letteratura, dalla fotografia al teatro, dalla caratterologia alla letteratura artistica. Per questa via Troncon propone così una filosofia del corpo come filosofia delle istituzioni, nel senso globale ed esaustivo che fu di Plessner e di Gehlen. “Istituzione” è, in questa prospettiva, “concretizzazione dell’altro”, dunque instabilità e comunque apertura, ma anche “ordinamento” e struttura, regole del gioco, gerarchia, tradizione, proiezione verso il futuro. Filosofia è ora «l’occupazione, mediante la parola discorsiva, con la generalità dei luoghi nei quali l’uomo viene a trovarsi: a fare, sentire, conoscere, in breve a relazionare se stesso a sé, a decentrare se stesso, secondo punti di vista che rendano significativo il tutto dell’uomo, l’unità di corpo, spirito, anima, il loro regime e la loro costituzione». Un compito che si può immaginare non affidato ai soli filosofi. In conclusione ci sembra qui opportuno segnalare un libro di Robert Legros, L’idée d’humanité (Grasset, Parigi 1991), in cui l’autore interroga il rapporto radicamento/sradicamento nella storia delle idee a proposito della definizione possibile di umanità. Richiamandosi alla Arendt, egli sostiene che nel mondo contemporaneo il dualismo radicamento in una tradizione/sradicamento dalla natura, non rappresenta un’alternativa; attraverso l’introduzione di mondo comune i termini possono invece trovare una loro articolazione feconda. Al di là del binomio oppositivo, la nozione di appartenenza a un mondo comune, storicamente determinato, permette di concepire come unica, veritiera condizione di esistenza “umana” la pluralità in un orizzonte comune. F.M.Z. La mente ed i suoi limiti Per la scienza della mente le scoperte si sono notevolmente accelerate in questi ultimi anni grazie all’enorme quantità di dati forniti dalle nuove tecnologie, soprattutto grazie alle simulazioni al computer che hanno permesso un ordine e un allargamento delle idee e dello spazio logico dei modelli da analizzare. Al giorno d’oggi si possono seriamente considerare delle ipotesi che pochi anni fa sarebbero state giudicate come inconcepibili. Questo nuovo potere che deriva dallo sviluppo della scienza del computer è stato esplorato con entusiasmo da una nuova generazione di teorici e di sperimentalisti. I filosofi tuttavia hanno generalmente reagito a questo entusiasmo in maniera negativa. Non è un’eccezione l’ultimo saggio di Colin McGinn: The problem of consciousness: essays towards a resolution (Il problema della coscienza: saggi per una risoluzione, Blackwell, Oxford 1990), che appare come una delle prese di posizioni più radicali e d’altra parte permette di fare il punto sugli ultimi sviluppi di questa scienza. La tesi centrale di Colin McGinn è che il problema della coscienza o del libero volere è per noi assolutamente insolubile. Una tesi che McGinn corregge apparentemente, aggiungendo che anche se il nostro cervello non è atto a comprendere questi ardui problemi, non si deve per questo inferire che la nostra mente è un oggetto intrinsecamente misterioso. Certo è che per coloro che sostengono una scienza della mente questa tesi risulta imbarazzante, non tanto perché con essa si afferma l’esistenza di fenomeni che in linea di principio rimangono al di fuori della comprensione umana, quanto perché si arriva a questo verdetto pessimista semplicemente dopo un misero esame delle opportunità offerte dalla nuova scienza, senza prendere in considerazione gli abili metodi messi a punto per espandere la mente, scaricando molto del suo lavoro su macchine disegnate e costruite proprio per questo scopo. Il pensiero “nichilistico” di Thomas Nagel e di Jerry Fodor è importante per capire la posizione di McGinn, che vi si rifà apertamente. La nozione di “chiusura cognitiva”, sviluppato in The problem of consciousness da McGinn, è ciò che Fodor chiama “confine epistemico” (The modularity of mind, 1983). A sua volta il pensiero di Fodor richiama quello di Noam Chomsky, che considera la mente umana come dotata di limiti: il problema del libero volere sarebbe semplicemente oltre questi limiti. Sia Chomsky che Fodor accettano la capacità della mente umana di analizzare grammaticalmente frasi, e quindi presumibilmente di capire tutte le infinite frasi gram- maticali che si possono formare nel linguaggio naturale. Ma per loro è come se non si potessero capire proprio quelle frasi che meglio esprimerebbero la soluzione del problema della coscienza. Di tutti gli artifici che hanno ampliato la nostra capacità di comprensione, il primo e il più rilevante è proprio quello legato al linguaggio stesso. Ma Chomsky e Fodor hanno sempre negato il fatto che il linguaggio possa accrescere il potere del nostro cervello. Per Chomsky la nostra capacità discorsiva dimostra semplicemente che noi possediamo un potente meccanismo innato per acquisire il linguaggio, ma il potere linguistico rimane tutto nel cervello; tutti i concetti che possiamo esprimere si trovano nel cervello fin dalla nascita. Nonostante la sua posizione rigida e restrittiva, McGinn cerca di dare nel suo libro espressione e discussione ad alcuni problemi inevasi sulla coscienza. Egli afferma ad esempio che la coscienza possiede una “struttura nascosta”, la quale è sistematicamente inaccessibile sia dal punto di vista della prima persona, attraverso il soliloquio e l’introspezione, sia da quello di una terza persona, rappresentata dalla scienza. Ma ciò che complessivamente colpisce del lavoro di McGinn è che, nonostante l’impegno dichiarato nel titolo, egli sembra ancora molto lontano da una risoluzione del problema della coscienza, se non altro perché è ormai da tempo risaputo che con i soli concetti che appartengono alla filosofia tradizionale della mente non è possibile dare risposta alle domande circa la coscienza ed il libero volere. V.R. La bellezza del conoscere E’ una questione classica per la riflessione estetica quella relativa al valore euristico dell’esperienza estetica stessa; più recente è invece l’indagine sulle valenze estetiche della ricerca scientifica. A cavallo fra queste due prospettive, S. Chandrasekar, Verità e bellezza. Le ragioni dell’estetica nella scienza (trad. di L. Sosio, Garzanti, Milano 1991), Aldo Trione, L’ostinata armonia. Filosofia ed estetica fra ‘800 e ‘900 (Laterza, Roma-Bari 1991) e Franco Rella, L’enigma della bellezza (Feltri-nelli, Milano 1991) tematizzano la questione dei rapporti fra bellezza, essere e verità. E’ senza dubbio molto antica l’idea che il “vero” sia anche “bello”; che la bellezza abbia, cioè, un riscontro sul piano conoscitivo. Sulla base del legame ontologico fra la nozione di verità e quella di bellezza, Platone riconosce a quest’ultima valore gnoseologico e ontologico: amando la bellezza di un corpo si può arrivare ad amare la bellezza delle idee, elevandosi così dal TENDENZE E DIBATTITI mondo delle apparenze sensibili, luogo della molteplicità delle opinioni e della loro relatività, al mondo delle idee, fonte della certezza del sapere scientifico. A ben vedere il presupposto platonico è ancora vivo e vegeto e agisce, neppure troppo dissimulato, dietro le quinte delle argomentazioni di Subrahmanjan Chandrasekar, astrofisico, premio Nobel nel 1983. Almeno da Galileo in poi, la “semplicità” di una teoria scientifica, ovvero la sua economicità nella spiegazione dei fenomeni naturali, è considerata un valore sul piano epistemologico; è sufficiente riconoscere, come hanno fatto molti scienziati, - e come appare, d’altronde, “naturale” al senso comune - che questa semplicità è anche “bella”, perché esprime l’armonia del cosmo, e il gioco è fatto. Il passo ulteriore, sul piano metodologico, consiste nell’affermare che questa bellezza, così “naturale”, sia il criterio decisivo non solo per scegliere fra una teoria e un’altra, ma addirittura per dar vita a una teoria; passo già compiuto anch’esso da vari scienziati e da Chandrasekar stesso. Ciò di cui occorrerebbe far questione, però, è proprio il carattere “naturale” dell’esperienza estetica, che poggia sulla convinzione di un monismo ontologico del bello (e del vero). Questa impostazione rimanda a una metafisica della bellezza, come sostiene Franco Rella, in cui l’indagine ontologica approda a un ben diverso ruolo della bellezza. Questa nozione rimanda non alla certezza dell’unità del reale, ovvero del logos, al di là delle apparenze sensibili, ma all’esperienza della differenza, dello scollamento fra pensiero ed essere, volere e fare, fra intenzione, azione ed effetto; l’esperienza, insomma, della discontinuità fra gli enti nel loro rapporto con il soggetto. In questo senso la dimensione propria della bellezza, osserva Rella, è quella del tragico; la bellezza, di fronte al logos universalizzante e oggettivante, si pone come enigma, e tale deve rimanere fintantoché la si voglia pensare. L’armonia che Aldo Trione ripropone, analizzando la funzione poietica, è ostinata proprio perché insiste sulla differenza, non va oltre essa: la ricerca della visione organica, che guida ogni atto creativo, si esercita nella multiformità delle differenze di cui è intessuto il reale. Anche per Trione, dunque, la questione estetica ha a che fare con quella della costituzione dell’Essere, e quindi con la questione della verità. La funzione della poiesis assume un ruolo centrale nel rapporto fra soggetto e mondo, organo di una “logica poietica” che, nascendo dalla ragione e dai suoi calcoli, recupera il senso che la nozione di mekanè aveva presso gli antichi Greci. Non si tratta qui di una visione “conciliata” e organica del reale; né, d’altro canto, data la dimensione creativa della poiesis proposta da Trione, della centralità del soggetto: il carattere “meccanico” della poiesis rimanda piuttosto alla sua origine combinatoria, nella “risignificazione” degli eventi che in essa accadono. L’”ostinata armonia”, né impo- sta al reale, né “rinvenuta” in esso da un soggetto che si dà come tale, è la tensione proveniente dalla “cosmologia simbolica” che viene a configurarsi nell’esperienza estetica; cosmologia oggetto di una “scienza della natura”, di cui la “logica poetica” fa parte con pieno diritto, allo stesso titolo di quella discorsiva. F.C. I molti e l'uno La nuova edizione dell’opera di Parmenide, Poema sulla natura (presentazione, traduzione con testo a fronte e note di Giovanni Reale, introduzione e commentario filosofico di Luigi Ruggiu, Rusconi, Milano 1991) è un evento editoriale rilevante non solo dal punto di vista dello studio storico della filosofia, ma anche da quello delle prospettive teoretiche che l’opera di Parmenide apre e che, con questa nuova edizione, si aprono su Parme-nide. A questo proposito, per quanto riguarda in particolare il rapporto fra la concezione parmenidea e Platone, si segnala il commentario al Parmenide platonico di Maurizio Migliori, Dialettica e verità (prefazione di Hans Krämer, introduzione di Giovanni Reale, Vita e pensiero, Milano 1991) e quello al Sofista, di Gennaro Sasso, L’essere e le differenze (Il Mulino, Bologna 1990). Su queste tematiche, infine, è da ricordare la raccolta di saggi a cura di Virgilio Melchiorre, L’uno e i molti (Vita e pensiero, Milano 1990). Riguardo al Poema sulla natura va anzitutto sottolineato come l’impostazione del saggio introduttivo e del commento di Luigi Ruggiu voglia aderire fortemente al testo curato da Giovanni Reale; più che nella forma di un’ermeneutica, il lavoro dei due curatori sembra quasi volersi proporre come un’esegesi, caratterizzata dalla compenetrazione del punto di vista filologico con quello filosofico. La novità di questa interpretazione consiste nientemeno che nella valutazione del ruolo che a Parmenide è stato assegnato dai filosofi successivi, in primo luogo da Platone, e che conseguentemente l’Eleate si è trovato a ricoprire nella storia del pensiero. Non da oggi, correnti anche lontane fra loro del dibattito filosofico intorno a Parmenide tematizzano anzitutto il suo rapporto con Platone e vedono in esso l’evento cruciale per la nascita della filosofia occidentale. Un rapporto, quello tra i due filosofi, tradizionalmente riconducibile alla celebre immagine del “parricidio”: per poter condurre un discorso rigoroso sulla realtà sensibile, occorreva infrangere il divieto parmenideo e ammettere nell’analisi filosofica la categoria del divenire, e quindi quella del nulla. Perché il pensiero potesse essere ricondot- to nel quadro di un discorso scientifico e non meramente doxastico, occorreva, insomma, ammettere nel discorso scientifico ciò che Parmenide voleva tener fuori, il molteplice, introducendo la categoria di diversità. Parricidio inutile - verrebbe da dire seguendo l’interpretazione di Ruggiu - in quanto frutto di un fraintendimento del detto parmenideo da parte di Platone e della tradizione filosofica a lui successiva. Parmenide, in altri termini, non avrebbe espunto dalla propria determinazione dell’Essere il molteplice - operazione compiuta piuttosto da Zenone e Melisso - ma lo avrebbe incluso, tentando di dare ad esso un senso. Quella che Parmenide riceve dalla dea vorrebbe dunque essere una spiegazione scientifica, contrapposta a quella doxastica dei mortali, che riguarda tuttavia il medesimo “oggetto”, la realtà del molteplice. Parmenide non intenderebbe affatto negare quest’ultima, ma spiegarla in modo diverso; l’approccio esplicativo del discorso scientifico non si differenzierebbe pertanto da quello dell’opinione per ciò di cui si parla, ma per come lo si fa. Secondo il Parmenide di Reale e Ruggiu, illusione allora non è il mondo sensibile, con la pluralità e il divenire, ma il modo in cui i mortali lo spiegano, attribuendo divenire e molteplicità al continuo trasmutarsi l’uno nell’altro di essere e nulla; laddove invece i due termini rimangono irriducibili l’uno all’altro, poiché l’essere è, il nulla non è. Emanuele Severino, cui Ruggiu riconosce un debito interpretativo, recensendo il Poema sulla natura prende le distanze; il suo “ritorno a Parmenide”, seppure in forma diversa da quella platonica, vuole essere ancora un “parricidio”: che Parmenide abbia già detto ciò che nei suoi frammenti leggono Reale e Ruggiu - l’illusorietà della spiegazione del molteplice e del divenire data dai mortali - anziché ciò che la tradizione filosofica gli ha attribuito - l’illusorietà del molteplice e del divenire stesso - è per Severino, secondo quanto possiamo arguire da questi frammenti, questione non decidibile in via definitiva a livello storiografico. Ne è una riprova il fatto che nell’interpretazione di Ruggiu Parmenide diventi quasi un predecessore di Platone per quanto riguarda l’introduzione della categoria della diversità. Peraltro, tale introduzione di per sé non risolve i problemi del rapporto fra l’uno e i molti. A questo riguardo, come osserva Maurizio Migliori, risulta più proficuo insistere sulla “dottrina dei principi”: l’Uno e la Diade, di ascendenza pitagorica, superiori alle idee stesse. Migliori a questo proposito accoglie le indicazioni della “scuola di Tubinga” - di cui è recentemente disponibile una chiara e puntuale disamina critica ad opera di Domenico Pesce, Il Platone di Tubinga (Paideia, Brescia 1990) - e sostiene la necessità di integrare le posizioni espresse nei dialoghi platonici con le “dottrine non scritte”. E’ questa quella che viene definita la “struttura di soccorso” del dialogo, per cui TENDENZE E DIBATTITI stricabilmente connesso con quello che nella filosofia del Novecento muove dalle posizioni dell’ermeneutica di ascendenza heideggeriana. A questo medesimo ambito di discussione appartiene la riflessione sul Sofista platonico che Gennaro Sasso svolge nella sua ultima opera, L’essere e le differenze. La tesi di Sasso è tanto esplicita quanto poco collimante con la tradizione interpretativa: il Sofista, vero e proprio trattato di ontologia, contiene la dichiarazione, ma non l’autentica dimostrazione, della differenza. In questo senso la posizione di Sasso è quasi speculare a quella di Reale e Ruggiu: non solo Parmenide, ma neppure Platone, pur volendolo, riescono a fondare le categorie della diversità, non riuscendo ad abbandonare la concezione assoluta del non-essere (e dell’Essere) affermata dall’Eleate. L’introduzione da parte di Platone - o già di Parmenide, secondo la lettura di Reale e Ruggiu - della categoria della diversità, fintantoché la si consideri un genere accanto agli altri (essere, quiete, movimento, identità), anziché il loro presupposto, rende irresolubile il rapporto fra l’unità e la molteplicità; su questa base la stessa “dottrina dei principi”, a parere di Sasso, non fa che riproporre, su un altro piano, le difficoltà della dottrina delle idee, per risolvere le quali essa era stata introdotta. F.C. I cicli di Vico Testa di filosofo identificato con Parmenide. esso deve necessariamente essere sorretto dal lavoro dialettico fra maestro e allievo. La lusinghiera prefazione di Hans Krämer, il primo esponente della “Scuola di Tubinga”, non è casuale: il testo di Migliori è infatti un ponderoso commentario del Parmenide, dove le scelte teoretiche dell’interprete innervano un analitico lavoro di decostruzione del testo platonico. Un’opera che riveste dunque un notevole interesse dal punto di vista della storiografia filosofica, stante la puntuale disamina dello status quaestionis e l’ampia discussione che Migliori, come sottolinea Reale, ha aperto con quasi tutta la letteratura critica moderna relativa al Parmenide. In riferimento a queste tematiche è opportuno richiamare l’attenzione sulla raccolta di saggi curata da Virgilio Melchiorre, pubblicata anch’essa, come il testo di Migliori, dal “Centro di Ricerche di Metafisica” dell’Università Cattolica di Milano. La figura di Parmenide campeggia sullo sfondo di questi saggi, divisi in una sezione di “percorsi teoretici” e in una di “percorsi storiografici”, a segnare un cammino ideale che va dall’Eleate (Luigi Ruggiu) a Hegel (Valerio Verra), passando per Platone (Giovanni Reale), Aristotele (Enrico Besti), Plotino (Pietro Prini e Vittorio Mathieu), Tommaso (Alessandro Ghisalberti), Cusano (Aldo Bonetti), Kant (Virgilio Melchiorre), Fichte (Aldo Masullo e Francesco Moiso). Filo conduttore è il tema del rapporto fra l’Uno e i Molti come rapporto di fondazione; centro teoretico, la questione ontologica, sia quando l’Uno si coniuga con l’Essere - come vuole Platone, e come rifiuta Aristotele - sia quando ciò non avviene; questione ontologica, dunque, che si pone nei termini della pensabilità e della dicibilità dell’Uno, in quanto origine dei Molti. Ne scaturisce un dibattito sulle problematiche parmenidee e platoniche ine- Non solo in Italia la figura e l’opera di Vico sono oggetto di rinnovato interesse. Si segnala anzitutto una nuova pubblicazione delle Opere (a cura di Andrea Battistini, Mondadori, Milano 1990), a cui si affianca la raccolta di saggi di Ernesto Grassi, Vico and Humanism. Essays on Vico, Heidegger and Rhetoric (Peter Lang publishing, New York 1990 di prossima pubblicazione presso l'editore Guerini e Ass. a cura dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici) e l’opera critica di Antonio Verri, Cicli storici e rivoluzionari. Da Vico a Rousseau (Congedo, Lecce 1990). Una chiara panoramica sull’attualità della filosofia vichiana ci è offerta oggi dal volume a cura di Antonio Verri, Vico e il pensiero contemporaneo (Milella, Lecce 1991), che raccoglie le relazioni e gli interventi presentati in occasione del convegno internazionale: Vico e il pensiero contemporaneo, tenutosi presso l’Università di Lecce nei giorni 9-10-11 novembre 1989 (interventi di Tagliacozzo, Pons, Verri, Franchini, Martano, Manno, Tessitore, Vallone, Controneo, Rigo-bello, Pieretti, Signore). Per capire cosa distingue l’edizione delle Opere di Giambattista Vico, curata da TENDENZE E DIBATTITI René Magritte. Il capolavoro o il mistero dell'orizzonte. (raccolta Arnold Weissberger, New York) Illustrazione da Principi di scienza nuova di G.B. Vico (Napoli 1744). TENDENZE E DIBATTITI Andrea Battistini, dalle molte altre ancora in commercio, quali siano i criteri di scelta fondamentali, la prospettiva teorica e metodologica adottata, le opzioni di fondo che la contraddistinguono, occorre preliminarmente rendere conto delle presenze e delle assenze. Per esplicita ammissione del curatore stesso, i testi esclusi che fanno maggiormente sentire la loro mancanza sono il De antiquissima, le Orazioni inaugurali (di cui è uscita l’edizione critica nel 1983 a cura di Gian Galeazzo Visconti), il Diritto universale e le Istitutiones Oratoriae (la cui edizione critica è del 1989 a cura di Giuliano Crifò). Esclusioni che vengono giustificate essenzialmente da due motivi. Il primo è che la collana accoglie testi eminentemente letterari e, dunque, Vico viene proposto come un “classico” della cultura, di cui vengono presentati l’opera maggiore (la Scienza nuova nelle sue due estreme edizioni), la produzione autobiografica (la Vita e le numerose lettere) e gli scritti più vicini alla sua attività professionale (rappresentati da quelle orazioni che cronologicamente vanno dal De ratione fino al De mente heroica). Il secondo motivo, pur legato al primo, è di carattere editoriale: l’eventuale inclusione delle altre opere, a partire dal Diritto universale, avrebbe notevolmente ampliato l’opera ben oltre i due voluminosi tomi, già fin troppo densi di pagine e di righe, con cui si presenta. Tutto ciò s’inquadra perfettamente nel particolare approccio teorico e metodologico avanzato da Battistini: un approccio definibile come retorico-antropologico, secondo il quale l’intero sforzo teorico vichiano va letto come un poderoso tentativo di indagare e di ricercare le origini e la natura dell’umanità attraverso un movimento teso a penetrare il profondo strato di sedimentazioni che si sono sovrapposte. Vico, in tal senso, può essere considerato come uno dei padri fondatori di quelle scienze che studiano la cultura umana in senso antropologico, in quanto in tutta la sua opera egli si dimostra perfettamente consapevole di voler evitare sia quell’atteggiamento ottusamente positivistico, fatto di disprezzo razionalistico per le credenze e le superstizioni dei primitivi, come se esse fossero completamente prive di senso, sia quell’atteggiamento manifestamente illusorio, secondo il quale dietro la lettera dei miti e dei racconti arcaici si celerebbe una sapienza nascosta che sarebbe possibile attingere nuovamente. Il filosofo della Scienza Nuova, che indaga le origini dell’umanità dietro la lettera delle narrazioni bibliche e mitiche attraverso le ricostruzioni etimologiche, che si serve dell’analisi psicologica per ricercare il senso del linguaggio elementare dei popoli primitivi, necessita di strumenti interpretativi, stilistici, formali e metodologici che non siano affatto desumibili da un sistema di significazione governato da regole che seguono i principi della logica e della ragione. Per questo Vico sembra stabilire una sorta di principio di corrispondenza tra metodo di indagine e oggetto di ricerca, principio secondo il quale per la descrizione dell’infanzia dell’umanità il metodo logico e geometrico di derivazione cartesiana si dimostra del tutto inattendibile; occorre piuttosto tutta la forza della fantasia, dell’immaginazione, della memoria, in una parola, della retorica. La retorica non è estranea alla filosofia, piuttosto ne fa parte; poiché la retorica è l’arte di persuadere proponendo argomenti validi, essa è veicolo di verità, tuttavia di una verità che vive nel discorso e nel linguaggio, che ha quindi bisogno del consenso di coloro a cui si rivolge. D’altra parte il “parlar figurato” e metaforico, il “bel parlare in concetti”, costituisce per Vico la forma originaria e più propria del linguaggio umano. Tutto ciò, secondo Battistini, dà all’intera opera vichiana il senso di una grande enciclopedia di tipo barocco e fa di Vico, secondo la definizione suggerita da Meinecke, un perfetto Barockmensch, laddove si parla delle notevoli risorse connettive dell’ingegno (soprattutto nella Scienza nuova) e del valore della prudenza nel discorso civile (soprattutto nel De ratione), laddove vengono assemblati i più diversi materiali secondo quell’ars combinatoria che procede per accostamenti analogici, caratterizzata da forme simboliche, allegoriche, poetiche, fantastiche, governata dalla lucida capacità dell’ingegno di accostare anche le cose apparentemente più lontane e disparate. Una tale caratterizzazione dell’opera e del pensiero di Vico è riscontrabile anche nella raccolta di saggi dedicata da Ernesto Grassi a Vico e all’umanismo. Il volume, che raccoglie scritti della riflessione filosofica di Grassi dal 1969 ad oggi, offre l’opportunità di seguire da vicino i temi e i termini principali del suo pensiero, che si focalizza soprattutto intorno alla interconnessione tra l’umanesimo e il pensiero di Vico, la retorica, da lui intesa come forma peculiare di conoscenza filosofica, e la riflessione di Heidegger. Come in molte altre sue pubblicazioni, anche in questi scritti americani Grassi pone in relazione i due motivi fondamentali della sua lunga e interessante riflessione: da un lato il profondo interesse e la viva attenzione nei confronti della tradizione dell’Umanesimo italiano, dall’altro l’incontro con la meditazione heideggeriana, che ha profondamente influenzato l’articolazione interna del suo pensiero. Nei suoi lavori sul pensiero rinascimentale, contrariamente alle interpretazioni dominanti, Grassi ha sempre messo in evidenza l’importanza della parola poetica e retorica nella letteratura di quel movimento e ha considerato la figura della metafora non solamente dal punto di vista strettamente letterario, ma nella sua più generale e genuina prospettiva filosofica. E ciò gli ha permesso di stabilire uno stretto legame con l’universo del linguaggio poetico heideggeriano (quello dell’ultimo Heidegger), la sua profonda meditazione sulla parola poetica che si approssima all’Essere, malgrado - sostiene Grassi - Heidegger abbia male interpretato, o addirittura completamente trascurato, quel movimento. Da qui emerge anche la centralità della figura di Vico, dal cui pensiero Grassi trae la convinzione dell’importanza della connessione tra retorica e filosofia, intese come forme originarie del conoscere umano. Più legato a un’impostazione di tipo storico-filosofico è il lavoro di Antonio Verri, che riprende e attualizza accanto alla figura emblematica di Vico quella di Jean-Jacques Rousseau. Cosa hanno oggi da dire questi due pensatori al nostro tempo? Qual’è il terreno di incontro tra Vico e Rousseau? Quali sono le ragioni profonde e la validità del loro accostamento? Tali le questioni fondamentali che l’autore affrontaa nel suo volume, in cui ricostruisce con rigore critico e speculativo sia i momenti salienti della riflessione dei due pensatori, sia una ben documentata e aggiornata storia della critica. L’attualità di Vico e Rousseau è oggi innegabilmente fuori discussione, poiché la loro comune e costante preoccupazione è rivolta ad indagare e a seguire le sorti dell’uomo, a tornare sempre con inesauribile convinzione a considerare globalmente il rapporto tra l’uomo e la storia, con tutto ciò che tale rapporto comporta. Se da parte di Vico l’opposizione al cartesianesimo e allo scientismo del suo tempo si pone sul piano soprattutto teoretico, investendo la sfera della cultura, anche se con scarsi riflessi sul piano dell’azione, da parte sua l’opposizione di Rousseau alle stesse correnti culturali, cui si aggiunge per motivi storici anche una più lucida critica allo spirito dei Lumi, si esprime in una forma totale, che non riguarda singoli aspetti del sapere o della conoscenza, ma investe l’intera civiltà in ogni sua componente: intellettuale, sociale, ideologica, politica, morale e così via. Diversamente da quello vichiano, il pensiero di Rousseau ha avuto un impatto maggiore sul piano storicopolitico, la sua connessione con gli ideali della Rivoluzione dell’Ottantanove è evidente e diretta, avendo avuto un’immediata influenza sul corso storico. In Vico e Rousseau la concezione della storia, potremmo dire la loro filosofia della storia, è tuttavia animata da un nucleo tematico similare: il corso delle vicende storiche, sia esso ciclico o no, segue un cammino per il quale l’uomo e la sua piena realizzazione sono al centro di questo processo. Entrambi ricostruiscono la storia della civiltà partendo dall’uomo e dal suo stato originario, dalla inciviltà, dalla barbarie. Dalle sue origini naturali l’uomo segue poi un cammino contrassegnato da leggi che ne caratterizzano le fasi di passaggio secondo un ordine storico che per Vico riproduce fedelmente quello che presiede alle trasformazioni della mente umana: senso, fantasia e ragione, le tre età degli dei, degli eroi e degli uomini; per Rousseau segue le fasi: stato naturale, corruzione della civiltà e nuovo ordine politico e sociale, ispirato secondo i principi di ragione e libertà. G.P. TENDENZE E DIBATTITI René Magritte. Il capolavoro o il mistero dell'orizzonte. (raccolta Arnold Weissberger, New York) Illustrazione da Principi di scienza nuova di G.B. Vico (Napoli 1744). Dioscuride e uno studente. Illustrazione dal De Materia Medica di Dioscuride (1229). PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Filosofia medievale islamica Di Islam si sente oggi molto parlare. Oliver Leaman, con il volume An Introduction to Medieval Islamic Philosophy (Cambridge 1985), oggi uscito in edizione italiana, (La filosofia islamica medievale, Il Mulino, Bologna 1991), permette di entrare in contatto con le tematiche fondamentali della filosofia islamica medioevale: dalla creazione alla conoscenza divina, dal conflitto tra ragione e rivelazione al problema dell’immortalità dell’anima. L’autore delinea inoltre il panorama dei rapporti che si intrecciano tra la filosofia islamica e il pensiero greco e la tradizione ebraica, articolando l’indagine in due direzioni: il riferimento ai testi e l’analisi delle posizioni delle figure principali, al-Fârâbi, Avicenna, al-Ghazâli, Averroè. «Il fine che ho perseguito in questo libro non è stato solo di descrivere alcuni aspetti della filosofia islamica, ma anche di suscitare interesse per il problemi, le argomentazioni e le idee filosofiche più diffusi nel mondo islamico medioevale». Oliver Leaman infatti, senza voler fornire un resoconto esaustivo e complessivo dell’epoca storica e dei principali esponenti del pensiero islamico, desidera discutere alcune delle tematiche fondamentali della filosofia islamica, analizzando le argomentazioni di alcuni dei filosofi più importanti e collegando tali argomentazioni con la tradizione greca, ottenedo così una affascinante combinazione e una duplice attenzione, una filosofica e l’altra storica. Prendendo le mosse dall’esame di alcuni dei principali aspetti della religione e della storia dell’Islam, da Maometto al Corano, dalla distinzione tra Sunniti e Sciiti a quella tra Ash’ariti e Mu’taziliti, Leaman fornisce le basi per affrontare il ruolo problematico assunto dalla filosofia nell’Islam. Il musulmano infatti deve solo mantenersi aderente al Corano, alle Tradizioni del Profeta e dei suoi Compagni e alle opinioni dei primi quattro Califfi. Le problematiche più astratte possono venir affrontate per mezzo del kâlam, che è perfettamente in grado di articolare analisi teoretiche su concetti quali potere, Dio e libertà. La filosofia invade il terreno del kâlam, ma rivendica, grazie ai suoi metodi e al rigore delle sue conclusioni, un maggior grado di certezza. Il volume, la cui traduzione italiana è curata da Massimo Campanini, è articolato in tre sezioni: un’ampia introduzione in cui Leaman presenta il mondo islamico; una prima parte in cui, partendo dall’attacco di al-Ghazâli alla filosofia, vengono esaminati tre problemi fondamentali: Dio e la creazione del mondo, l’immortalità dell’anima e l’intelletto attivo, Dio e la conoscenza dei particolari; una seconda parte in cui si approfondisce una questione fondamentale tanto sul piano della filosofia quanto su quello della teologia islamica: un’azione è giusta perchè Dio lo dice, oppure Dio la definisce giusta perchè essa è tale di per se stessa? Queste problematiche permettono a Leaman di delineare il rapporto che esiste tra ragione e rivelazione nella filosofia islamica ed esplorarne talune implicazioni nel campo della teoria politica. Un approccio alla filosofia islamica, quello di Leaman, che risulta essere innovativo sotto due punti di vista: sia nella sintesi critica delle più recenti interpretazioni della filosofia islamica, che si discostano dalle direttrici di questo studio, sia per l’inserimento di un pensatore ebreo, Mosè Maimonide, il cui pensiero viene rivisitato proprio in relazione ad alcuni dei temi principali della filosofia islamica. Il volume risulta quindi non tanto un manuale di storia della filosofia islamica medioevale, quanto piuttosto un testo di stimolo all’approfondimento e alla comprensione di un ambito di pensiero e di area di civiltà ‘altri’ rispetto alla cultura occidentale. P.M. L’economia della morale E’ per la prima volta disponibile in traduzione italiana la celebre opera di Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali (a cura di Adelino Zanini, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991), indispensabile per la comprensione dell’opera del filosofo inglese, al di là delle ben più note teorie economiche. Il fatto che si siano attesi più di duecento anni dalla prima edizione (1750) della Theory è già di per sé indicativo di quanto la ricezione del pensiero di Adam Smith abbia privilegiato di questo autore gli aspetti economici; in Italia in particolare, dove la Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni era già stata tradotta fra il 1790 e il 1791. La reductio economicista del sistema smithiano, che abbraccia etica e diritto, politica ed economia, oltre che a una sua mutilazione porta a deformare l’interpretazione delle sue singole parti, e a difficoltà nel comprenderne i nessi e le articolazioni. Significativa è stata la tendenza a vedere un’evoluzione nel pensiero di Smith fra due posizioni tra loro inconciliabili, che in un primo tempo lo vedono, in campo etico, teorico della simpatia (nella prima edizione della Teoria dei sentimenti morali), poi sostenitore dell’egoismo utilitarista in campo economico (nella Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni). Le revisioni della Teoria, importanti ma, a questo proposito, non decisive, già sarebbero sufficienti a respingere l’ipotesi di una contraddizione; il problema si pone, piuttosto, nei termini di ricondurre l’utilitarismo dell’economista nel quadro delle riflessioni del filosofo sulla natura umana. A questo scopo la Teoria è indispensabile, e dà la misura dello spessore filosofico delle riflessioni di Smith, anche dal punto di vista dei riferimenti storiografici. La dimensione teologica presente in Shaftesbury e Hutchenson riemerge, e viene giocata contro l’utilitarismo humeano: virtù, giustizia, sentimenti morali non si fondano sull’egoismo, ma su un altruismo disinteressato, frutto della “simpatia”, posta in noi da un essere superiore. L’analisi psicologica, che Smith sviluppa in un’ ampia casistica, e sulla quale egli fonda la sua etica, si inserisce dunque in una teodicea: la simpatia è lo strumento che l’Essere superiore ha fornito all’uomo per raggiungere il bene e la felicità, mantenendo il più possibile all’universo la sua armonia. La simpatia fa cogliere all’individuo se stesso nell’altrui prospettiva. Essa consiste, in altri termini, nella capacità di giudicare se stessi con gli occhi altrui, in qualità di giudici imparziali, e su questa base valutare sentimenti e azioni. Il criterio di giudizio morale, per quanto oggettivo ed PROSPETTIVE DI RICERCA empirico, non è dunque arbitrario, perché “filtrato” dalla dimensione intersoggettiva, acquisita dall’Io interiore giudicante. Ciascuna coscienza, in linea di principio, è per Smith in accordo con tutte le altre in forza dell’armonia stabilita dall’Essere superiore; di fatto Smith ammette che possa darsi contrasto fra le valutazioni delle coscienze individuali. E’ questa una crepa nella teodicea smithiana, ed essa trapassa dall’ambito etico a quello economico, la cui continuità con il primo, peraltro, consiste proprio nel permanere, nell’uno e nell’altro ambito, della prospettiva teleologica. Fra la riflessione della Teoria e le dottrine esposte nella Ricerca non solo non c’è discrasia, ma intercorre addirittura un rapporto di fondazione: grazie alla situazione determinata dai “sentimenti morali” è possibile che vadano a buon fine le azioni egoistiche. Dal punto di vista dello sviluppo concettuale nelle singole opere, l’ottimismo e la fiducia nell’ordine provvidenziale, esposti nella Teoria dei sentimenti morali, e sui quali si fonda il laissez faire smithiano, sono, insomma, logicamente anteriori all’utilitarismo che, secondo la Ricerca su natura e cause della ricchezza delle nazioni, regge le azioni dell’homo oeconomicus, le quali si inseriscono nell’armonia di quest’ordine. Se ciò non accade - e Smith vede in modo lucidamente impietoso, esaminando i problemi della lotta fra le classi, come ciò spesso non accada - questo è frutto di una difficoltà intrinseca all’impostazione propriamente filosofica della riflessione di Smith, non a un contrasto fra le sue teorie eticopsicologiche e quelle economiche. F.C. Gottfried Wilhelm Leibniz. Disegno a matita di Adolph Meuzel. Corrispondenza tra Leibniz e Arnauld Sebbene non sia mai stato considerato tra i “grandi” filosofi, Antoine Arnauld è stato non di meno un pensatore che ha potentemente influenzato lo sviluppo del pensiero nel diciasettesimo secolo. Questo è quanto Robert C. Sleigh cerca di mettere in rilievo nel suo saggio: Leibniz and Arnauld: a commentary on their corrispondance (Leibniz e Arnauld: un commento alla loro corrispondenza, Yale University Press, London, 1990). Il pensiero di Arnauld si inserisce nella riflessione seicentesca sul significato del razionalismo, formulando brillanti critiche sia agli argomenti di Cartesio sulla distinzione mente-corpo, sia al Discorso sulla metafisica (1686) di Leibniz. Gottfried Wilhelm Leibniz e Antoine Arnauld si conobbero a Parigi nel 1670. Nel 1680 Leibniz fece recapitare ad Arnauld una copia del suo Discorso sulla metafisi- Antoine Arnauld. Incisione di G. Edelinck PROSPETTIVE DI RICERCA ca. Nacque cosí un’intensa corrispondenza tra i due, nel reciproco tentativo di migliorare le argomentazioni contenute nel Discorso. Il carteggio mostra la grande abilità critica di Arnauld nel riuscire a cogliere con precisione il cuore di un argomento filosofico e indicarne i punti deboli. Egli s’interessa soprattutto alla teoria leibniziana della sostanza individuale e alle sue implicazioni circa l’esistenza della libertá umana e anche di quella divina. Alle considerazioni di Arnauld tese a mostrare come la nozione di concetto individuale implichi di fatto una necessità fatalistica, Leibniz replica che una decisione come quella di Cesare di attraversare o meno il Rubicone, non è una decisione necessaria, ma “certa”. Dare consistenza a questa affermazione, soprattutto rispetto alle nozioni di sostanza, predicazione, esistenza e creazione divina è stato per Leibniz un compito assai complesso. Robert C. Sleigh nel suo saggio non evita nessuna delle complessità del pensiero leibniziano; attraverso una minuta analisi fornisce la possibilità di penetrare nelle varie strategie sviluppate da Leibniz, nel tentativo di soddisfare le critiche mosse da Arnauld. In particolare egli distingue la tesi secondo cui ciascuna sostanza individuale possiede essenzialmente delle proprietà dalla tesi che un individuo possiede intrinsicamente delle proprietà. Accettando la prima tesi, Leibniz cercò di evitare la seconda. Nell’introduzione al volume Sleigh mostra anche un certo interesse per il dibattito sul “come” si debba fare storia della filosofia e quali canoni si debbano seguire, un dibattito presente in particolare nell’ambiente filosofico anglo-americano. Egli distingue due metodologie nella storia della filosofia, “filosofica” e “esegetica”. Pur rimanendo estraneo a ogni intento polemico, egli si schiera per quest’ultima tendenza metodologica, ritenendo come scopo principale della storia della filosofia quello di spiegare in modo chiaro e dettagliato il pensiero di un filosofo, nel massimo rispetto delle fonti. La prima tendenza è considerata da Sleigh più valutativa, spesso degenerante in una “chiusa metafisica”, anche se qualche volta illuminante. Auspicando una maggiore vicinanza tra esegetica storica e filosofica, egli rileva comunque negli ultimi dieci anni nell’ambito della filosofia anglo-americana un’attenzione più scrupolosa al testo e più sensibilità al contesto storica. V.R. Realtà individuali Prima traduzione di un’opera giovanile di Alexius von Meinong, Empirismo e nominalismo. Studi su Hume (a cura di R. Brigatti, Ponte alle Grazie, Firenze 1991) dove sono già presenti alcuni spunti del successivo realismo ontologico meinongiano. A ciò fa ri- scontro la traduzione dell’ultima opera di Willard Van Orman Quine, Quidditates (a cura di L. Bonatti, Garzanti, Milano 1991) che si rifà proprio a Meinong. Le posizioni di Quine, le loro radici nella tradizione filosofica europea e il dibattito su di esse, sono al centro delle opere di Michael Dummett, Alle origini della filosofia analitica (trad. di E. Picardi, Il Mulino, Bologna 1991), Giovanna Borradori, Conversazioni americane (Laterza, Roma-Bari 1991) e Franco Restaino, Filosofia e postfilosofia in America (Franco Angeli, Milano 1991). La figura di Hume è l’approdo storico e teorico della connessione fra empirismo e nominalismo, che il giovane Alexius von Meinong mette a fuoco in Empirismo e nominalismo e che fungerà, fra l’altro, come punto di riferimento polemico nelle successive fasi della sua riflessione, che porteranno alla “teoria degli oggetti”. La categoria di “oggetto”, la più generale e fondamentale, non si identifica con quella di fenomeno, ma ha piuttosto un valore logico e ontologico, in quanto si riferisce anche a oggetti mentali, quali gli enti numerici o immaginari; ciò perché ogni atto conoscitivo consiste in un atto di intenzionamento verso un oggetto che lo trascende. Al di là delle ulteriori partizioni meinongiane della categoria “oggetto”, gli assunti antiempiristici e antinominalistici della “teoria degli oggetti” sono evidenti: gli oggetti, ovvero la realtà, non si limitano alla classe degli oggetti dell’esperienza. Il carattere di universalità di nomi e concetti, ovvero i caratteri comuni e unificanti di una classe di fenomeni rispetto a ciascun fenomeno nella sua singolarità, si fonda, infatti, su una realtà, quella dell’”oggetto in quanto tale”, che ha un “essere così e così”, che non deriva da un procedimento astrattivo, come credono gli empiristi. Proprio il ruolo e il valore dell’astrazione sono il filo conduttore della ricostruzione meinongiana del percorso che porta da Locke a Hume: se il primo, a parere di Meinong, non chiarisce l’effettiva portata dell’astrazione, Berkeley la nega recisamente, rifiutando l’esistenza di idee generali al di fuori dei nomi che le indicano. A dispetto di ciò, secondo Meinong, l’empirismo e il nominalismo berkeleyano non hanno ancora raggiunto la posizione di massima radicalità: la possibilità, ammessa da Berkeley, di un pensiero senza determinazione, lascia aperto uno spiraglio al concettualismo. E’ invece Hume a portare l’empirismo alle sue estreme conseguenze nominalistiche, negando recisamente una distinzione fra nome e idea, e sostenendo che solo l’atto linguistico, cioè la nominazione, produce idee generali. Meinong rifiuta il nominalismo degli empiristi attaccando proprio questa posizione humeana; la “teoria degli oggetti” è il naturale sviluppo di questo rifiuto e di questo attacco. Eppure, stando a Willard Van Orman Quine, il nominalismo di Hume è meno radicale di quanto creda Meinong, nella misura in cui mantiene il “dogma” della distinzione fra proposizioni analitiche e proposizioni sintetiche, cioè fra proposizioni che esprimono soluzioni dipendenti solo da idee, e altre che presuppongono invece il ricorso all’esperienza. La distinzione fra proposizioni analitiche e sintetiche, dunque, fa anzitutto appello a un’istanza esperienziale che Quine giudica dogmatica, in quanto presuppone la riduzione delle strutture logiche a un dato, l’esperienza, ritenuto unico e ultimativo sul piano ontologico. In questo modo si fa torto alla indeterminatezza del riferimento della struttura semantica, che non può rifarsi a un’istanza estranea a essa. Quine è sostenitore di una visione “olistica” del significato, secondo cui la conoscenza umana è totalmente interna agli atti linguistici in cui si esprime, e solo in via subordinata viene a contatto con una “realtà di esperienza”; esiste perciò la possibilità, a parere di Quine, di costruire “ontologie alternative”. La distinzione fra proposizioni analitiche e sintetiche ripropone, dunque, a dispetto di Hume, un’impostazione nient’affatto nominalistica, con una realtà ontologica universale e dei concetti che la esprimono. A dar ragione a Quine, peraltro, interviene anche il fatto che dall’attacco realista di Meinong si salva, in Hume, proprio la distinzione fra proposizioni analitiche e sintetiche. Quella di Quine intende dunque porsi come una radicalizzazione del nominalismo empirista, con un’impostazione di relativismo ontologico che non lascia spazio, sul piano ontologico stesso, a una fondazione della scienza. Di questa, a parere del pragmatista Quine, il fondamento e la giustificazione devono essere cercati altrove: nella sua utilità come mezzo di comprensione e trasformazione della realtà. Una posizione, quella di Quine, che, soprattutto nelle conseguenze esplicitate da alcuni seguaci - si pensi a Donald Davidson - rasenta, dal punto di vista gnoseologico, il solipsismo: il problema linguistico finisce per riguardare un atto di comprensione privato. La soluzione adottata per uscire da questo impasse è la presupposizione di un’uniformità della comprensione nei soggetti che comunicano, basata su una supposta universalità, fondata sulla funzionalità pragmatica dei criteri semantici di ciascun parlante. Una soluzione debole questa, a parere di Michael Dummett; la presupposizione di questa universalità resta una petitio principii, che tenta di spiegare la riuscita dell’atto linguistico con la pratica dell’atto linguistico stesso. Quello del rapporto fra linguaggio e realtà è da sempre, del resto, un problema capitale della filosofia analitica e oggi appare nel panorama statunitense come il tema discriminante tra essa e la “filosofia continentale”, di ispirazione specialmente derridiana, come emerge dall’analisi di Franco Restaino e dalla raccolta di PROSPETTIVE DI RICERCA colloqui (fra gli altri, con gli stessi Quine e Davidson, nonché con Hilary Putnam) di Giovanna Borradori. Nel senso comune della cultura statunitense la riflessione dei derridiani afferisce all’area della critica letteraria più che a quella della “filosofia professionale”; la loro impostazione, di cui Richard Rorty è l’esponente più illustre, è “post-analitica” proprio per il fatto che al problema del rapporto fra linguaggio e realtà sostituisce quello del rapporto fra testo e testo, e la realtà viene, per così dire, “respinta” ai confini dell’indagine. Questo offre però il destro per due ordini di considerazioni: anzitutto che la distinzione tra la filosofia “analitica” e quella “post-analitica” è meno netta di quanto risulti dalle “mappe di appartenenza” dei singoli pensatori. In secondo luogo, viene così verificata la tesi di Dummett, relativa all’erroneità di considerare quelli della filosofia analitica problemi propri della tradizione filosofica americana: al contrario, essi hanno la loro radice, come dimostra la linea di continuità fra Meinong, Frege e Russel, nelle ricerche logico-epistemologiche europee della seconda metà dell’Ottocento, e nel fecondo dibattito con le odierne correnti dell’ermeneutica. F.C. Ramsey e Wittgenstein E’ recente la nascita di un certo interesse per il pensiero di Frank Plumpton Ramsey, tra i primi ad apprezzare ed esporre il Tractatus logicus-phil o s o p h i c u s (1921) di Ludwig Wittgenstein, mentre avanzò critiche di fondo ai Principia mathematica (1910-13) di A. N. Whitehead e di B. Russell. Si segnala la pubblicazione di due suoi saggi: Philosophical papers (Scritti filosofici, a cura di D. H. Mellor, Cambridge University Press, New York 1990) e On truth: original manuscript materials (19271929) from the Ramsey collec-tion at the University of Pittsburg (Sul vero: materiale manoscritto originale (1927-1929), proveniente dalla raccolta degli scritti di Ramsey all’Università di Pittsburg, a cura di Nicholas Rescher e Ulrich Mayer, Kluwer, Dordrecht 1990 ), e di un saggio sul suo pensiero: The philosophy of F. P. Ramsey (La filosofia di F.P. Ramsey, University Press, Cambridge 1990). Nonostante la morte prematura, avvenuta a ventisette anni, Frank Plumpton Ramsey (1903-1930) ha lasciato parecchie idee profondamente innovative nei suoi lavori, spaziando dalla filosofia alla logica, dalla matematica pura alla teoria delle probabilità, dalla teoria delle decisioni all’economia. Studiò e insegnò a Cambridge e si dedicò brillantemente a molte discipline, ponen- do, per esempio, in logica la distinzione, ormai classica, tra paradossi logici e paradossi semantici e mostrando come i primi si possano eliminare senza far ricorso alla complessa teoria degli ordini e all’assioma di riducibilità di Russell. Per quanto riguarda la filosofia del linguaggio, egli invece si adoprò per eliminare il riferimento a entità teoriche all’interno delle teorie scientifiche, proponendo così un indagine di tipo neo-empirista. Propose anche una teoria soggettiva della probabilità, che cercava di tener presente la credenza parziale di un individuo in presenza di differenti opzioni. Quasi tutti i suoi scritti sono stati raccolti postumi da Richard Braithwaite in The foundations of mathematics and other logical essays (1931). Nel 1922 apparve la traduzione inglese di Ramsey del Tractatus logicus-philosophicus di Ludwig Wittgenstein e nell’anno seguente venne pubblicata una sua lunga nota critica al Tractatus, che è anche al sua prima sostanziale pubblicazione di filosofia. Quell’estate Wittgenstein invitò Ramsey in Austria, ed insieme iniziarono a lavorare per migliorare e chiarire i passi e i concetti più ambigui del Tractatus, modifiche apparse poi nella seconda edizione. In queste loro discussioni, ciò che entrambi tenevano sempre ben presente erano le teorie dei Principia mathematica di Whitehead. L’obiettivo che quest’opera si proponeva di ridurre passo dopo passo tutta la matematica alla logica pura, venne di fatto proseguito da Wittgenstein, con la sua indagine sul vero logico, e da Ramsey che cercò di rendere attuabile questo disegno attraverso una correzione dell’architettura difettosa dei Principia. La proposta di Ramsey in tal senso apparve in Proceedings of the London Mathematical Society (1925) e venne accettata come canonica, anche se non fu facile difendere il suo logicismo contro il formalismo di David Hilbert e l’intuizionismo di L.E.J. Brouwer. Pur lavorando a un medesimo progetto, Wittgenstein e Ramsey si sono trovati ad analizzare gli stessi problemi da punti di vista indipendenti ed opposti. Per esempio il paradosso di Russell circa la proprietà della non-auto-applicabilità, è risolto da Ramsey distinguendo i paradossi logici da quelli semantici, mentre Wittgenstein afferma che tali contraddizioni non devono preoccupare, dato che trovandosi di fronte a tali situazioni non si devono tirare delle conclusioni, ma trasformarle semplicemente in regole. Singolare è l’influenza delle ricerche di Ramsey sulla probabilità come modo di giudizio, riprese parzialmente successivamente da von Neumann e Morgenstern nel libro Theory of games and economic behavior (1944) e da L.J Savage in The foundations of statistics (1954). Questa stessa teoria fu anche sviluppata dal matematico italiano Bruno de Finetti nello stesso periodo, ed ora fa parte della teoria delle decisioni impiegata in discipline professionali come la medicina. La Ramsey Collection esistente all’Università di Pittsburgh contiene ancora interessanti saggi non pubblicati. A testimonianza dell’interesse che il suo pensiero sta suscitando a livello internazionale, è stato reso noto che i saggi filosofici non ancora pubblicati appariranno nel prossimo anno in un volume che sarà pubblicato a Bologna a cura di Maria Carla Galavotti, mentre l’economista Margaret Paul, sorella di Ramsey, sta preparando un’importante biografia sul fratello. V.R. Sulla banalità del male Il riaccendersi dell’interesse, in Italia, attorno al pensiero di Hannah Arendt è un fatto ormai acquisito. La traduzione in lingua francese di tre testi della pensatrice ebraica conferma una tendenza che vuole sollecitare una nuova riflessione sulle categorie della filosofia politica. I testi in oggetto sono: Le concept d’amour chez Augustin (Il concetto di amore in Agostino, Ed. Deux Temps Tierce, Parigi 1991), testo di cui è prevista la prossima pubblicazione in lingua italiana a cura di Laura Boella), Auschwitz et Jerusalem (Ed. Deux temps Tierce, Parigi 1991) e H e i c h m a n n à Jerusalem. Rapport sur la banalit é d u ma l (Heichmann a Gerusalemme. Rapporto sulla banalità del male, Gallimard, Parigi 1991). Di carattere più schiettamente teorico, Le concept d’amour chez Augustin, pubblicato in Germania nel 1929, costituisce la tesi di laurea di Hannah Arendt negli anni che la vedono intellettualmente e sentimentalmente legata a Martin Heidegger. Il ruolo del desiderio, il rapporto con il prossimo e con Dio, la funzione dell’amore nella vita sociale, sono i temi affrontati in questo studio che per certi versi sembrano annunciare i percorsi di riflessione seguiti più tardi da Lévinas. Auschwitz et Jerusalem e Eichmann à Jerusalem rappresentano la raccolta in volume degli articoli usciti rispettivamente nell’”Aufbau”, giornale in lingua tedesca pubblicato negli U.S.A, e nel “New Yorker”. Si tratta di scritti di carattere “militante”, nel significato letterale del termine, essendo nell’insieme animati dall’intento di rendere possibile una applicazione della teoria politica sul terreno della realtà storica. In conformità con l’idea che il giudizio politico ha una originaria determinazione etica, si tratta per la Arendt di comprendere, nell’orizzonte della storia, come sia stato possibile il totalitarismo nazista, quanto la possibilità dell’Olocausto diventare un fatto e un atto ordinario nelle menti di tanti mediocri burocrati. Riflettendo sulla “banalità del male”, Hannah Arendt non cerca affatto di banalizzarlo, come sovente le è PROSPETTIVE DI RICERCA stato rimproverato; più forte dell’offesa rimane l’esigenza di comprendere. Come la miope normalità di Eichmann, questo funzionario dello sterminio, possa arrivare a concepire ed a organizzare l’abominio, trova forse una prima risposta nell’affermazione dell’ufficiale nazista: «il linguaggio amministrativo è il solo che conosca». Misurarsi con la terrificante opacità della contingenza, interrogarla con gli strumenti di un pensiero che rifiuta la sicurezza di un modulo interpretativo invariante, mantenere ferma l’esigenza di lucidità, è ciò che lega questi testi con l’opera maggiore della Arendt. E.N. Il piacere della vita L’attenzione che si avverte nei confronti del pensiero di Marsilio Ficino, testimoniato dalla prima traduzione italiana, del Liber de voluptate, (Del piacere, a cura di Piero Cigada, 2 voll., Philobyblon, Milano 1991), dalla traduzione del De vita (a cura di Albano Biondi e Giuliano Pisani Edizioni biblioteca dell’immagine, Pordenone 1991) e dall’edizione critica del primo libro dell’Epistolarum familiarum, Lettere I (a cura di Sebastiano Gentile, Olschki, Firenze 1991), indica un interesse, non solo filosofico, per una prospettiva squisitamente rinascimentale, che coniuga riflessione metafisica e considerazioni su aspetti elementari della vita quotidiana. Che la vita coincida con la ricerca speculativa è un dato di fatto assodato per un gran numero di filosofi; meno scontato è, invece, che la ricerca speculativa voglia essere un viatico per la vita quotidiana, un tentativo di spiegazione non solo del suo senso profondo, ontologico o escatologico, ma anche dei singoli fatti, apparentemente isolati e casuali nella loro caducità. Lo sguardo del filosofo sa invece trovare, per essi, il filo conduttore che li inscrive nel grande ordine del cosmo, la cui chiave di comprensione è data a Marsilio Ficino da Platone. Per Ficino, però, quella platonica è una prospettiva appartenente a una dimensione sapienziale, sedimentata in un corpus di testi e autori ampio e variegato, più che circoscrittaalla dottrina del filosofo di Atene. Così nel platonismo ficiniano Platone è il punto di arrivo di una sapienza molto più antica, presente nei poeti teologici, nell’orfismo, nel pitagorismo e nell’ermetismo; se la traduzione latina dei dialoghi platonici è uno dei lasciti spirituali più importanti fra quelli che Ficino ha consegnato alla cultura occidentale, va sottolineato che es- sa è solo il momento di un progetto più ampio, che emerge dal primo dei dodici libri dell’Epistolario che contengono, fra l’altro, brevi trattati filosofici. Attraverso il tentativo di porre su basi nuove, rispetto alla Scolastica, l’unione tra religione e speculazione filosofica, il platonismo di Ficino traccia le linee fondamentali del platonismo rinascimentale, che si impone a partire dal tardo Quattrocento: l’unità del cosmo e lo sfondo teologico che la giustifica, il carattere animato dell’universo, garantito dall’anima in posizione di copula mundi, grado mediano fra i cinque (corpo, qualità, anima, angelo, Dio) in cui si ripartisce la totalità dell’Essere. Da questi assunti Ficino deriva la convinzione relativa all’esistenza di un’armonia nell’universo, governato da una ragione di stampo pitagorico, e alla connessione di ciascuna delle sue parti, dove il moto degli astri è legato in modo biunivoco, al corso degli eventi della vita dell’uomo, il quale a sua volta, proprio per questo, può influire sull’andamento generale del cosmo mediante pratiche magiche. Il De vita evidenzia alcuni di questi aspetti, e la rivalutazione “scientifica” dell’astrologia qui compiuta si svolge attraverso la commistione fra un impianto filosofico a cui appartengono Platone, Agostino, Cusano, e prescrizioni relative alla cura del corpo e della psiche, dove le nozioni di medicina empi- Manoscritto di astronomia del XIV secolo (St. Nicolaus-Hospital, Berukastel-Kues an der Mosel) PROSPETTIVE DI RICERCA rica si mescolano a quelle di una psicologia che affonda le sue radici nell’astrologia. Un ancor più diretto e evidente riflettersi dei presupposti filosofici sulle prescrizioni pratiche, relative questa volta al campo etico, è presente ne Il libro del piacere, che espone le giustificazioni filosofiche, valide non solo per Ficino, dell’ideale di vita ascetico: esiste, oltre a una gerarchia fra i piaceri corporei - soggetti all’opinione e al relativismo culturale e individuale - una loro netta distinzione da quelli dell’anima, che sono scientifici, cioè “oggettivi”, in quanto validi per chiunque abbia un’anima e una ragione. Tale distinzione si fonda sul fatto che l’uomo ha il dominio dei piaceri dell’anima ed è invece schiavo nei confronti di quelli del corpo. L’autonomia come dominio del proprio io interiore è quindi il fine dell’ideale ascetico che, per questa strada, vuole però essere dominio - nell’indipendenza da esso - di ciò che è esterno all’io. Se è facile sorridere degli esiti più ingenui di tale applicazione di presupposti filosofici ai momenti della vita quotidiana, dal punto di vista culturale vale la pena riflettere su quanto, dell’odierna produzione editoriale relativa ai consigli sul “vivere bene”, non abbia a suo fondamento presupposti ideologici di carattere generale, che trascendono la banale ovvietà dei consigli stessi; presupposti che, considerati dal punto di vista più specificamente filosofico, sono spesso molto meno giustificabili, una volta evidenziati, di quelli del platonico Ficino. F.C. Scritti e carteggi di Kant Si segnalava nel numero 3 di questa rivista la pubblicazione di una scelta di lettere di Immanuel Kant curata da O. Meo (Epistolario filosofico 1761-1880). Recentissima è la traduzione francese dell’intero epistolario kantiano: Immanuel Kant, Correspondance (trad. franc. di M.C. Challiol, M. Halimi, V. Séroussi, N. Aumenier, M.B. Delaunay e M. Marcuzzi, Gallimard, Parigi 1991), tratto dalla classica edizione tedesca dell’Akademieausgabe. In ambito italiano si segnala con il titolo: Scritti sul criticismo (Laterza, RomaBari 1991) la pubblicazione di alcuni importanti saggi del filosofo di Königsberg a cura di Giuseppe De Flaviis. Benché l’attività epistolare non fosse particolarmente coltivata da Immanuel Kant, la cui flemma era tale che egli poteva lasciar trascorrere anche un anno prima di rispondere ai suoi, meno negligenti, corrispondenti, rimane comunque impressionante la lista dei personaggi con i quali il filosofo di Könisberg intratteneva scambi epistolari. Tolte le lettere ai familiari e quelle di carattere più strettamente privato, tra i corrispondenti di Kant troviamo i nomi di matematici come Lambert, Bernoulli, Eulero, di scrittori come Wieland e Schiller, Lavater, e naturalmente di filosofi: Salomon Maimon, Fichte, Herder, Jacobi. E’ con costoro che Kant intrattiene una spesso occasionale, ma rigorosa conversazione filosofica, tendente a chiarire e a sviluppare le trame del proprio progetto critico; ne troviamo il disegno in una lettera del 1766 a Mendelssohn, dove viene prospettata la possibiltà di una metafisica rinnovata, corretta dallo scetticismo e regolata dall’«esperienza che contiene i dati necessari alla ragione». Le lettere, che accompagnano cronologicamente la stesura dell’opera maggiore, diventano dei preziosi commentari della stessa e, grazie anche al preciso apparato critico, permettono di seguire la genesi e la diffusione del pensiero kantiano all’interno dell’Illuminismo tedesco. La preoccupazione di Kant di essere correttamente inteso e valutato, come pure la disponibilità ad accettare i suggerimenti e le critiche per rivedere gli elementi del proprio sistema sono particolarmente evidenti nelle missive inviate ai suoi discepoli Schultz e Herz. E’ con il convincimento del rigore del proprio lavoro, unito ad una naturale disponibilità che Kant scrive a Herz: «Non considero le obiezioni razionali nell’unica prospettiva di una loro confutazione, continuo invece a riflettere su di esse e ad esaminarle costantemente accordando loro il diritto di farmi recedere dalle opinioni precedentemente stabilite e sostenute». Kant è cosciente della difficoltà di risolvere i problemi insiti nel suo progetto di un sistema metafisico rinnovato. Se tra la stesura della Critica della Ragion Pura (1780) e la sua pubblicazione intercorrono quasi dieci anni è perchè il filosofo riflette sulle contraddizioni che necessariamente sorgono all’interno delle sue tesi metafisiche, per concludere che le antinomie sono intrinseche alla natura stessa della ragion pura. Il crescente interesse e il consenso sorto attorno alla sua opera lo convinceranno della solidità del progetto. Per l’ormai famoso professore di Königsberg inizia un periodo di intensa attività pubblica che lo vede protagonista dei dibattiti intellettuali in seno all’Aufklärung. Gli articoli, le conferenze, le occasioni in cui viene sollecitato a portare il suo autorevole contributo sono sempre più numerosi. Alcuni dei più importanti scritti di questo periodo che va dal 1784 al 1796, nel quale Kant si trova impegnato ad esporre e a precisare i temi del proprio sistema, sono riportati ora nella recente raccolta critica: Scritti sul Criticismo. Si tratta, per la maggior parte, di saggi che hanno già conosciuto l’attenzione del pubblico degli studiosi di Kant: contributi importanti per il chiarimento di temi svariatissimi, a volte soltanto accennati nell’opera maggiore. Fa eccezione l’ampio scritto indirizzato contro le tesi leibniziane di Eberhard, intitolato: Su una scoperta secondo la quale ogni nuova critica della ragion pura sarebbe resa superflua da una critica più antica, finora mai tradotto. Si scopre un Kant vivacemente battagliero nel difendere le proprie tesi, arrivando a sostenere apertamente la funzione vitale della polemica filosofica: «Questa tendenza, o piuttosto quest’impulso, dovrebbe essere riguardato come una delle tante disposizioni benefiche e sagge della natura, la quale se ne serve per tentar di distogliere l’uomo dalla grande infelicità causata dalla decomposisizione del suo corpo vivente». Mentre si fanno più pressanti le preoccupazioni per la salute, di cui abbiamo l’eco frequente nelle lettere del periodo, è con onesta soddisfazione che Kant guarda retrospettivamente al proprio lavoro: «Non ho mai, in nessun momento, cercato di costruire delle illusioni, né ho provato a scovare delle ragioni speciose per rappezzare il mio sistema, ho preferito lasciare passare degli anni per arrivare ad una una comprensione perfetta che potesse soddisfarmi pienamente». Se c’è orgoglio intellettuale in questa affermazione, esso è temperato dall’interrogativo sollevato in Che cosa significa orientarsi nel pensare? «Quanto penseremmo, e quanto giustamente, se non pensassimo, per così dire, in comunione con altri, ai quali comunichiamo i nostri pensieri, ricevendone i loro?». In primo luogo la libertà di pensare - dirà Kant - è libertà di esprimersi pubblicamente; la comunicazione non è un esito, ma la condizione necessaria del pensiero. E.N. Pensare al Medio Evo Già nel titolo dell’importante saggio di Alain de Libera: Penser au Moyen Age (Seuil, Parigi 1991), è subito evidente un duplice intento: ricostruire il significato che aveva il pensare nell’universo medioevale e interrogarsi su cosa significhi oggi pensare alla tradizione culturale e religiosa del medioevo. Un’esplorazione storica che è dunque un invito a riconsiderare un momento capitale nella storia del pensiero, quello che vede la nascita degli “intellettuali” al tornante tra il Tredicesimo e il Quattordicesimo secolo. Per quest’opera di ricostruzione dell’ideale filosofico di una nuova classe di intellettuali, nata attorno alle università, Alain De Libera, da storico delle idee, procede ad una riesamina dell’aristotelismo in Occidente, rivalutando quella tradizione scolastica che, nei registri culturali e scolastici di oggi, ha la sarcastica collocazione che gli aveva dato Rabelais: «Tra il 1480 e il 1550, in effetti - sostiene De Libera - sotto il duplice patronato dell’eleganza letteraria e della semplicità della fede, sono stati definitivamente demoliti dieci secoli di sforzi intellettuali». La rilettura critica dello stu- PROSPETTIVE DI RICERCA dioso francese mostra come la storia dell’aristotelismo sia in larga misura la storia di un “prestito” culturale che l’Occidente cristiano deve all’Islam, nella cui tradizione filosofica il pensiero greco ed ellenistico avevano trovato una prima elaborazione. Il modello di una filosofia capace di tradursi in discorso “volgare”, la trasformazione del sapiente in docente, sono eredità che i filosofi universitari ricevono dalla cultura araba, come del resto la figura stessa del filosofo contemplativo è ricalcata su quelle di Avicenna, Farabi e Ghazali. In effetti, attraverso l’insegnamento degli intellettuali, dei filosofi di professione, la filosofia paradossalmente si deprofessionalizza, comunica ed entra a far parte di altri linguaggi: religiosi, poetici e politici. De Libera ne misura gli effetti su tre terreni: quello della morale sessuale, dell’ideale di felicità intellettuale, rappresentato da Dante, e quello dell’ascesi, illustrato da Meister Eckhart. Entrambe le personalità rappresentano l’emergere cosciente di una nuova forma di nobiltà, quella intellettuale. Se la figura di Dante, “intellettuale totale” e massimo esponente dell’aristotelismo radicale, non è una novità, originale è il ruolo che De Libera assegna al pensiero di Meister Eckhart, a cui viene rifiutato l’epiteto di mistico: il suo ideale di ascesi conduce infatti al disinteresse e alla libertà dello spirito che riconciliano ragione e rivelazione. Nel campo della morale sessuale, l’emergenza di un sistema coerente e di una compiuta visione filosofica dell’uomo è non soltanto rinvenibile attraverso i documenti lasciati dalla censura, ma - è questa la tesi paradossale dell’autore - esse sono promosse dalla opera stessa del censore che, condannando, forza le tesi a divenire esplicite e a scoprire il loro progetto filosofico: «Per noi la censura è un operatore storico. E’ questa che trasforma un enunciato in tesi». Per molti versi sono tesi provocatorie, nel senso migliore, quello di aprire il dibattito sul significato che la cultura medievale conserva per l’attualità. I motivi di riflessione sono molti. A fronte del riemergere preoccupante degli integralismi religiosi e della violenta opposizione tra le culture, diventa importante rinnovare la conoscenza dei legami e delle comuni eredità di Occidente ed Islam. In questa prospettiva, riflettere sulla presenza e il significato del religioso all’interno della comunità, accedere alle sue forme di discorso e di razionalità, questo - ribadisce De Libera - è possibile tornando innanzittutto ad interrogare il pensiero medievale. E.N. Portale (part.) 1170 circa. Arles, Saint - Trophine. PROSPETTIVE DI RICERCA Sedicente immagine del giovane Spinoza (anonimo, 1660 circa). CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Spinoza e l’idealismo tedesco Si è svolto a Hannover il 2 e 3 novembre 1991 il primo convegno della Spinoza-Gesellschaft, dedicato al tema: Spinoza e l’idealismo tedesco, in cui sono stati discussi, suddivisi in sezioni specifiche, i rapporti di Spinoza con Kant, Fichte, Schelling e Hegel. Nel secolo dell’archiviazione, come è stato chiamato il nostro, in tempi di edizioni storico-critiche dei classici e di rinuncia alle grandi teorizzazioni a favore di un atteggiamento ermeneutico, non è più necessario prendere partito a favore di un pensatore per aderire ad una società filosofica che porta il suo nome, o per riunirsi a convegno sotto le sue bandiere. E’ sufficiente disporre del senso della filologia, unito ad un interesse storico-filosofico. E’ stato questo il clima in cui si è svolto il convegno di Hannover, che ha tenuto fede alle sue promesse ed è stato una riunione, poco interessata al vasto pubblico, di specialisti, che non hanno cercato di evitare lo specialismo. Questioni di dettaglio, precisazioni meticolose, divagazioni hanno caratterizzato il convegno, ed in particolare le discussioni. Quando Reiner Wiehl (Heidelberg), nella sua relazione di apertura, ha sviluppato l’idea di un triplice significato del concetto kantiano di casualità, ha messo certo in luce l’originalità di Kant che, a differenza dei suoi predecessori, ha colto nel determinismo filosofico di Spinoza non il rapporto della necessità con la libertà, bensì con la casualità. Tuttavia la relazione di Wiehl non toccava qualcosa di veramente fondamentale, ma piuttosto un aspetto particolare, un puro “problema sistematico”. Questa impostazione veniva confermata e rafforzata dall’intervento di Marco Ivaldo (Napoli), dedicato a Fichte. Questi, accusando Spinoza di dogmatismo, gli ha tuttavia concesso una “metafisica reale”, sentendo però la mancanza di una parallela “giustificazione gnoseologica” e indicando l’ulteriore carenza di una mediazione tra la sostanza Una ed assoluta e la molteplicità degli attributi. Ma con questo è stato davvero liquidato Spinoza? Evidentemente no, ed attorno a questa acutizzazione polemica del proble- ma si sono orientati tutti gli interventi, a partire dai saluti al convegno di Manfred Walther. Questi, presidente della SpinozaGesellschaft, parlando delle difficoltà incontrate in Germania dalla lettura di Spinoza, ha affermato che «nessun tedesco ha mai saputo iniziare dallo Spinoza autentico». Se si aggiunge che la risalita oltre Kant andrebbe intesa, secondo un giudizio accademico corrente, come una ricaduta in qualcosa che è superato, appare allora anche la dissimulata forza esplosiva dell’argomento del convegno. La congiunzione presente nel titolo è in realtà una disgiunzione, quell’aut-aut di cui già gli innovatori idealisti erano anche troppo consapevoli e che si era vestito dei panni di una secca alternativa: se il nostro sistema non fosse la verità, non resterebbe altro che lo spinozismo. Da una contrapposizione di questo tipo si è tenuta del tutto lontana la suddivisione organizzativa delle relazioni. Alla critica di Spinoza ha fatto seguito la critica della critica. La separazione corrente tra il sobrio interesse storico e l’attualizzazione impegnata si è mostrata, in questa circostanza, un’illusione. Peter Rohs (Münster), preoccupato nel suo intervento di sostenere Spinoza contro Kant, ha replicato aspramente all’idea emersa nella discussione che la filosofia seria vada praticata solo come storia della filosofia, insistendo, con gran parte del pubblico schierato dalla sua parte, sul fatto che bisogna sforzarsi di percepire i filosofi del passato come partner di un dialogo vivente. Fino al 1933 la Germania fu all’avanguardia negli studi su Spinoza. L’eliminazione degli ebrei e della loro cultura venne vissuta anche dal punto di vista degli studi spinoziani come un sacrificio, senza che dopo il 1945 si ritornasse però agli antichi risultati. Diversamente in Francia e in Italia, dove si può invece parlare di una rinascita della ricerca dedicata a Spinoza, di cui hanno dato conto Marco Ivaldo e Pierre Macherey (Parigi). Macherey ha colto l’occasione per discutere, attraverso Hegel, alcune incomprensioni di Spinoza. Contro il punto di vista del compimento spinoziano del cartesianismo egli ha fatto valere il concetto di “dualista inconseguente”. In generale, nelle differenti appropriazioni da parte della filosofia tedesca si sarebbe trattato più di nuove creazioni di pensiero che di una ricezione di Spinoza - con l’effetto di uno snaturamento, nel quale un esperto stenta a riconoscere il proprio Spinoza. Klaus Hammacher (Aachen) ha affrontato il tema del rapporto tra Fichte e Spinoza, collegando la teoria dell’intersoggettività di Fichte con la dottrina degli affetti di Spinoza con l’intento di cogliere un punto nevralgico nel pensiero filosofico: “l’obbligazione alla prassi”. La questione, posta da Hammacher attraverso la discussione degli aspetti insoddisfacenti del concetto di inibizione, suona all’incirca così: in che modo la moralità può diventare realmente obbligante? Ciò che possiamo imparare da Fichte è che l’inibizione si presenta anzitutto laddove incontriamo le esigenze di un altro. In Spinoza la figura dell’altro è assente, tuttavia essa potrebbe spiegare la sua deduzione degli “affetti della ragione”, così come potrebbe chiarire la decisione di agire moralmente anche in assenza del concetto di libertà del volere, il che toglierebbe il suo carattere paradossale alla coesistenza in Spinoza di una dottrina della libertà individuale e di un determinismo filosofico. L’intervento di Hammacher è stato forse l’unico da cui è risultato che l’analisi e la ricerca di chiarimenti specialistici non esauriscono i motivi che hanno condotto alla fondazione di una SpinozaGesellschaft. Laddove si discute l’importanza pratica di una filosofia, si è fondamentalmente certi della sua “modernità”, come ha implicitamente confermato Manfred Walther rinviando alle posizioni del socio-psicologo americano Fritz Heider. Questi intende le proprie ricerche circa i principi secondo cui ci attribuiamo reciprocamente colpa e responsabilità come uno sviluppo genuino di quanto è stato iniziato da Spinoza. L’attrazione permanente esercitata da Spinoza sarebbe giustificata proprio, secondo Walther, dalla connessione reperibile nel suo pensiero tra fondazione filosofica e riflessione sulla società, sul diritto e sulla politica. Questo lascia ben sperare per il futuro a tutti coloro che, pur privi di un’appartenenza scientifica di scuola, si sentono da sempre toccati dalla «strana metafisica» del «famigerato ebreo» (così si esprimeva Leibniz dopo CONVEGNI E SEMINARI avergli fatto visita all’Aja). In ogni caso, il prossimo congresso internazionale spinoziano si terrà nel settembre 1992 a Lipsia: durante la riunione dei partecipanti al convegno di Hannover questo è sembrato un obbligo del momento: dei 160 iscritti a questo primo incontro, solo un terzo proveniva dalle regioni della ex-DDR. M.M. La filosofia come sapere storico La Filosofia come sapere storico è stato il tema di un convegno tenutosi il 12 e 13 ottobre 1990 presso la Ruhr-Universität di Bochum, durante il quale filosofi e storici hanno discusso il problema delle premesse filosofiche e delle funzioni della storia della filosofia. Per quanto riguarda le premesse con cui deve fare i conti chi scrive la storia della filosofia, è stato anzitutto discusso il problema se esse vadano pensate come qualcosa che è in linea di principio invariabile, come un fondamento trascendentale, antropologico o sistematico, o piuttosto se non siano esse stesse qualcosa di storico, se non siano dunque condizioni mutabili, tanto dal lato delle filosofie del passato, quanto da quello dell’attuale orientamento degli storici della filosofia. Per Hans Michael Baumgartner (Bonn) premesse antropologiche e trascendentali sono implicite in ogni storia della filosofia che - dopo Hegel - non intenda assicurarsi in maniera speculativa della propria adeguatezza: così, ad esempio, l’idea dell’umanità come principio trascendentale della storiografia in generale; l’orientamento in base alla costellazione antropologica di individuo, natura e società, che viene sempre interpretato dal punto di vista di una specifica cultura; l’attenzione per le condizioni socioculturali delle filosofie del passato e per la loro struttura interna argomentativa e concettuale; il concetto dei “grandi filosofi” (Jaspers), che hanno progettato qualcosa di nuovo, significativo e suscettibile di sviluppare nuovi effetti; infine, quelle determinazioni che vengono da noi sviluppate come idee regolative, ma che non possiamo né concepire compiutamente, né dissolvere del tutto, in quanto la storia della filosofia si presenta sempre come qualcosa di plurale e viene sempre di nuovo riscritta. Poiché non è possibile giungere attraverso la ricerca storica pura ad una decisione circa le pretese di verità sollevate dalle filosofie del passato, e dato che il conflitto tra teorie e proposte di soluzione dei conflitti ci obbliga a determinare la validità delle teorie - così Karl Acham (Graz) - le filosofie del passato devono venire anche messe a confronto (accanto alla loro considerazione storica) con sistemi assiomatici di riferimento. Nel suo intervento Jörn Rüsen (Bielefeld) ha preso le mosse dal carattere narrativo di ogni storiografia e dalla constatazione della necessità di rendere storiche le narrazioni attraverso determinate modalità della costituzione del senso. Contro la tendenza post-moderna a rendere coerente, attraverso procedimenti retorici, la costituzione del senso delle narrazioni, Rüsen ha fatto valere l’esigenza di razionalità sollevata in generale dalla storiografia a partire dal XVIII secolo, nella misura in cui essa intende sviluppare le proprie interpretazioni in maniera scientifica, cioè attraverso un procedimento regolato metodicamente. Rüsen ha posto la questione se la narrazione storico-filosofica sia contraddistinta dal fornire una forma di coerenza razionale alle pretese di verità e di razionalità che sono state sollevate dalle filosofie del passato. Kurt Flasch (Bochum) ha invece sostenuto il concetto di una storiografia filosofica conseguentemente storicizzante. Non gli universali storici, che in ogni epoca vengono intesi in modo diverso, bensì le concrete condizioni storiche, come ad esempio le tradizioni di scuola, hanno coniato le idee della filosofia in modo tale da rendere necessario lo studio di tali condizioni per chi intenda dare un giudizio sull’attività di un pensatore, considerata all’interno del suo contesto reale. Storicizzazione conseguente significa, dal punto di vista metodico, prendere le mosse dai testi in quanto documenti, per caratterizzarli attraverso la loro posizione cronologica, il loro rinvio ad altri testi e la determinazione della distanza del loro linguaggio concettuale rispetto al nostro, e per tener fermo alla particolarità delle relazioni che si producono - non più la rappresentazione di una totalità, dunque, bensì il documento singolo, l’autore, l’epoca. Il legame di ogni filosofia con il tempo viene fondato da Josef Simon (Bonn) in base alla dipendenza della filosofia da segni che solo in un periodo determinato significano qualcosa in maniera indubitabile, ma il cui significato diventa dubbio non appena essi trapassano in altri segni. Bernhard Waldenfels (Bochum) ha rifiutato tanto la disgiunzione di K. Acham tra criteri sistematici del giudizio e fatti storici, quanto il concetto di J. Rüsen di una formazione storiografica del senso, rinviando al contrario da un lato a strutture storiche - come ad esempio la polis greca - che costituiscono una provocazione per la filosofia, ma che non sono universali, dall’altro ai processi di formazione del senso nella storia stessa, le cui condizioni sono l’oggetto della ricerca dello storico; la narrazione dello storico potrebbe del resto acquisire coerenza anche attraverso le problematiche che emergono in diversi contesti della discussione storica, senza per questo annunciare qualcosa come la verità. Basandosi sul caso concreto della filosofia del Rinascimento, Cesare Vasoli (Firenze) ha mostrato come un concetto normativo di filosofia possa indurre a misconoscere la funzione di un movimento culturale all’interno della storia della filosofia. Se si concepisce ad esempio la filosofia come teoria dell’essere (così Kristeller sotto l’influsso di Heidegger), o se si separano, come fa Gilson, le idées dalle lettres, si contesterà che sia esistita una filosofia specifica del Rinascimento, ed un autore come Ficino verrà scomposto e diventerà da una parte un umanista, dall’altra un filosofo di provenienza scolastica (Field). Se si ammette invece che il Rinascimento abbia trasformato la filosofia, si scoprirà invece ad esempio nella “retorica” degli umanisti una critica del linguaggio, che si riferisce in Valla a concetti centrali della metafisica, e si osserva in generale che attraverso gli umanisti si è trasformato il rapporto della filosofia con il proprio presente e con l’antichità. In base ad un esempio tratto dalla storia della storiografia filosofica, Gregorio Piaia (Padova) ha poi mostrato come le categorie della storiografia filosofica stessa possano venire criticate storicamente. Quando in Pierre Coste, nel XVII secolo, il termine “moderni” assume per la prima volta la connotazione di “riflessione attraverso il metodo e attraverso ampie conoscenze”, si esprime l’autocoscienza storica dei cartesiani, che ammettono i filosofi dell’antichità solo in quanto propri predecessori, escludendo i filosofi medioevali. Il chiarimento di questo contesto fonda storicamente una rielaborazione della categoria di “moderno”. Diversi tra i partecipanti hanno delineato una possibile funzione della storiografia filosofica, ma su questo tema non si è sviluppata una discussione. Secondo H. M. Baumgartner la storiografia filosofica mette a disposizione del pensiero del presente un potenziale critico, anche nel senso che attraverso essa vengono messi chiaramente in risalto il condizionamento storico e la provvisorietà del filosofare. Wolfgang Bialas (Berlino) attribuisce ai propri studi su Hegel una funzione critica nel contesto politico della exDDR. Karl Acham ha affermato di attendersi dalla storia della filosofia non solo nuove prospettive di ricerca, ma anche un contributo all’autoconoscenza umana attraverso lo specchio del passato. Con questo ultimo scopo, orientato in base alla prassi, Tilman Borsche (Hildesheim) ha dedicato i propri studi al tentativo di Cusano di relativizzare il conflitto politico-religioso con i musulmani - e con ciò la propria azione politica - attraverso riflessioni teoretico-razionali. K. Flasch ha preso le mosse dal fatto che il passato viene adattato in maniera irriflessa a valutazioni e regole linguistiche attuali. Lo storico può confermare la comprensione del passato di volta in volta corrente, ma anche turbarla e correggerla, attraverso la presentazione di documenti tralasciati o attraverso una nuova caratterizzazione di documenti già conosciuti. L’intenzione di essere utili nel presente guida la posizione storica dei problemi e la ricerca dei documenti. Tuttavia una storiografia così intesa non è arbitraria, essa piuttosto sostituisce l’ideale di obiettività con criteri di control- CONVEGNI E SEMINARI labilità e di fecondità dei documenti . M.M. Heidegger: la guerra e la colpa All’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, dal 10 al 14 giugno, Domenico Losurdo ha tenuto un seminario sul tema: La guerra e la colpa: la cultura tedesca e il bilancio di due conflitti mondiali, il cui intento è stato quello di operare una contestualizzazione storico-politica del pensiero di Heidegger che ne rivelasse i legami profondi col nazismo. Il punto di partenza per questa analisi non è il 1929, ma il 1914, l’anno cioè in cui si diffonde in tutta Europa quella che Thomas Mann ha definito l’”ideologia della guerra” (Kriegsideologie), vale a dire, l’esaltazione della guerra “bella e meravigliosa” che, in modo particolare, impregna larga parte della cultura e della filosofia tedesca. Di questa generazione di intellettuali che aderiscono massicciamente all’ideologia della guerra, alcuni riescono a staccarsene in modo più o meno radicale, giungendo, in casi rari ed isolati, a una lucida autocritica: così Thomas Mann. Altri, pur continuando ben oltre il 1918 ad esser ispirati dalla Kriegsideologie, non varcano tuttavia la soglia fatale del Nazismo: è il caso di Karl Jaspers. Non è invece il caso di Martin Heidegger che, non solo varca questa soglia, ma continua a giustificare fino alla fine, pur nell’ambito di una tormentata reinterpretazione, il suo rapporto col Nazismo. Il 1914 è infatti in Germania l’anno del trionfo dell’idea di una “comunità” (Gemeinschaft) forgiata dalla guerra, nella quale ciascuno si sente stretto in unità con la nazione tedesca, pronto ad affrontare il “sacrificio” e la “morte” per essa. Proprio questo tema della comunità, centrale nella Kriegsideologie di quell’epoca, è fortemente presente in Heidegger, in contrapposizione alla “società” (Gesellschaft) e in stretto rapporto col tema del “destino (Geschick) e della morte (Tod). Il ricorrere del tema del “destino” in rapporto a quello di “comunità” serve a chiarire il significato, decisamente “antiuniversalistico”, in cui Heidegger intende la “comunità”. Si tratta di una “comunità” fortemente radicata nel suolo e nei legami di sangue che stringono insieme il popolo (Volk) nella sua irriducibile peculiarità storica. Il Dasein, l’Esserci, si oppone in Essere e Tempo alla Gattnung, al genere: l’uomo è sempre hic et nunc, cioè la sua esistenza è sempre storica. Heidegger condanna lo Spirito perché questo è indice di universalismo, al quale egli invece oppone la “storicità” intesa come “radicamento nel suolo” (Bodenstellt). In tal modo il concetto di “comunità” in Heidegger si oppone nettamente agli ideali universalistici della Rivoluzione francese e del Socialismo. Anzi, rispetto alla Kriegsideologie, Heidegger procede ad un approfondimento e ad una radicalizzazione dell’antagonismo nei confronti di tutta la cultura non tedesca. Secondo gli stereotipi della “ideologia della guerra”, egli continua ad interpretare la guerra come lotta decisiva fra “storicità” tedesca e “mancanza di storicità” dei nemici della Germania. Si tratta, per Heidegger, di liquidare una volta per sempre, la concezione “romana” e moderna della verità come rectitudo (pensiero calcolante e organizzazione del dominio dell’uomo sulla natura) per ricostruire l’aletheia della grecità originaria (la verità come disvelamento dell’essere). Nella sua prospettiva la guerra annuncia la morte del Cristianesimo e di tutti i suoi surrogati: la democrazia, il socialismo, il pacifismo, la felicità universale, ovvero la felicità dei più. Si tratta di ideali tutti ispirati dalla pretesa di rimuovere dall’esistenza il pericolo, il rischio, l’incertezza, ideali tutti caratterizzati dal mito della “sicurezza” che ha rivelato definitivamente la sua vacuità e inconsistenza, appunto col primo conflitto mondiale. Già in Essere e Tempo alcune categorie appaiono centrate proprio su quelle che sono le parole chiave della Kriegsideologie: “comunità”, “fedeltà”, “destino”. Si comprende così il pathos della «fedeltà a ciò che è da ripetere», fedeltà che caratterizza l’”esistenza autentica”, mentre quella “inautentica” persegue soltanto quegli ideali del moderno che si esprimono nei termini di tecnicizzazione della vita e perdita della storicità nella dimensione impersonale del “Si”. L’analisi dell’esistenza inautentica finisce così col configurarsi come critica della modernità, nonostante l’assicurazione di Essere e Tempo, di volersi mantenere lontano dall’atteggiamento moralizzante della filosofia della cultura. In effetti, la dimensione pubblica del “Si”, s’identifica in Heidegger con la Gesellschaft, che era stata il bersaglio polemico principale di tutta la cultura tedesca dal 1914 in poi. La stessa categoria centrale della “cura” (Sorge), sembra avere la sua genesi nella “ideologia della guerra”: la “sicurezza”, di cui la Sorge è l’antitesi, costituisce, come si è Martin Heidegger CONVEGNI E SEMINARI detto, un altro dei più significativi bersagli polemici della Kriegsideologie. A questa quotidianità come securitas, Heidegger oppone un “sentimento originario” costitutivo dell’anima occidentale, che comporta “custodia della tradizione e volontà di futuro”: questo sentimento è appunto la “cura”, che non è soltanto la struttura dell’esistere, ma si lega fortemente al tema della “angoscia” e della “decisione” che nell’ “attimo” apre all’ “essere per la morte”. Non si tratta soltanto di tonalità affettive tipiche di un contesto bellico, ma dell’appello al riconoscimento della vacuità del mito della sicurezza di fronte alla necessità della morte e quindi al “sacrificio” per la nazione tedesca, cioè la fondazione filosofica del “coraggio” e del “cameratismo” dei soldati al fronte, che nasce, secondo Heidegger, non dall’entusiasmo, ma dalla meditazione solitaria e angosciosa sulla morte, in cui si avverte in qualche modo la voce dell’essere che chiama al proprio destino. G.De R. Empirismo logico a Costanza In occasione del centenario della nascita di Rudolf Carnap, Hans Reichenbach e Edgar Zilsel si è recentemente svolto a Costanza un convegno dedicato all’empirismo logico e organizzato dal locale Zentrum Philosophie und Wissenschaftstheorie (Centro di filosofia e teoria della scienza). Ospiti del convegno sono stati W.V. Quine e C.G. Hempel, due tra i maggiori rappresentanti delle attuali filosofie di indirizzo neo-empiristico e analitico. Il centenario della nascita, ricorrente nel 1991, di Rudolf Carnap, Hans Reichenbach e Edgar Zilsel può forse rappresentare l’occasione per un bilancio storico-critico e teoretico circa le attuali prospettive di quell’indirizzo filosofico che, denominato inizialmente neo-positivismo o anche positivismo logico, è ora più conosciuto come neo-empirismo o empirismo logico. L’abbandono del termine “positivismo” per la caratterizzazione di questo orientamento filosofico esprime tra l’altro la tendenza al distacco da una immagine negativa del movimento neo-empiristico introdotta nella cultura tedesca, non da ultimo, dalle critiche di pensatori come Adorno, Horkheimer e Marcuse. D’altra parte, negli ultimi dieci/quindici anni l’immagine della filosofia del “Circolo di Vienna”, della “Società berlinese per la filosofia empirica” e di altri analoghi raggruppamenti neo-empiristici si è in Germania via via differenziata e arricchita di nuovi elementi, grazie alla pubblicazione di testi degli esponenti del movimento (molti dei quali usciti nella serie “Circolo di Vienna/Scritti sull’empirismo logico” dell’editore Suhrkamp di Francoforte) e di dettagliati studi storico-critici, che hanno messo in luce la presenza di diverse fasi di sviluppo e di posizioni filosofiche e politiche differenziate all’interno del movimento. Con “empirismo logico” s’intende caratterizzare il movimento sorto nei circoli intellettuali di Vienna, Praga, Berlino e Varsavia, che già negli anni Trenta aveva assunto le dimensioni di una corrente filosofica di livello internazionale. Nato nelle grandi città dell’Europa centrale, il movimento neo-empiristico, che si ricollega alla tradizione empirista di Bacon, Hume e Stuart Mill, e che fa ampio uso delle tecniche dell’analisi logica e linguistica sviluppate da pensatori come Frege, Peano, Russel e Wittgenstein, ha però esercitato la sua influenza soprattutto sulle filosofie anglosassoni, ritornando così, per così dire, alla propria matrice culturale e linguistica originaria. Nonostante il grande valore assegnato dai neo-empiristi alla chiarezza del linguaggio, al carattere unitario della terminologia ed alla trasparenza logica, il loro pensiero dà luogo ancora oggi a conflitti interpretativi. Un esempio di problemi controversi è offerto dalla diversa interpretazione nei circoli di Vienna e Berlino dei concetti di “analitico” e “sintetico”, di “a priori” e “a posteriori”, che sono stati appunto materia di discussione nel convegno di Costanza per Michael Friedman (Chicago), Richard Creath (Tempe) e Don Howard (Lexington). In particolare, Friedman ha messo in risalto il fatto che in alcuni empiristi logici si darebbe la ricerca di una sorta di “terza via” tra una posizione di matrice kantiana ed una più propriamente empiristica: così ad esempio sia Carnap che Reichenbach lascerebbero spazio ad un “a priori relativizzato”. Rifacendosi alla concezione neo-empirista della filosofia - non più opera di un sapiente o di un erudito isolato, ma un’impresa che è il frutto di una cooperazione con le diverse scienze e di un lavoro di critica reciproca - Gereon Wolters (Costanza) ha messo in luce come la cooperazione critica e la sua condizione, la chiarezza del linguaggio, siano due componenti essenziali della razionalizzazione e della modernizzazione introdotte dai neo-empiristi in filosofia. Wolfgang Spohn (Bielefeld) si è ricollegato, con la propria teoria probabilistica del processo di causazione, all’idea della connessione tra causalità e verosimiglianza sviluppata da Reichenbach nella sua tarda opera The direction of time (La direzione del tempo). Le suggestioni sviluppate da Felix Mühlhölzer (Monaco) nella direzione di un concetto adeguato dell’equivalenza cognitiva tra le diverse teorie vanno collegate alle prime proposte teoriche in questo senso avanzate da Reichenbach, e più tardi da Quine. Tra gli ospiti d’onore del convegno, oltre a Maria Reichenbach, moglie di Hans Reichenbach, e ad alcuni famigliari di Carnap, vi erano due grandi della filosofia di matrice empiristica e analitica, i cui inizi filosofici sono strettamente legati al Circolo di Vienna e al neo-empirismo berlinese. Il primo, W. V. Quine (1907), che va annoverato tra i più influenti filosofi analitici del momento, trascorse da studente un periodo a Vienna, Praga e Varsavia, dove ebbe modo di incontrare gli esponenti del nuovo indirizzo filosofico e logico, ed elaborò nei decenni successivi, in un confronto costante con il suo maestro Carnap, la concezione di un empirismo naturalistico, che coincide per diversi aspetti con l’idea di Neurath di un empirismo radicale, liberato da ogni residuo non legittimato dall’esperienza. Il secondo, Carl Gustav Hempel (1905), che iniziò la sua tesi di laurea con Reichenbach e fu poi assistente di Carnap, si è opposto con decisione all’idea che l’empirismo logico appartenga al passato: le critiche al neo-empirismo coglierebbero nel segno quando si rivolgono al progetto di Schlick e Carnap di stabilire norme assolute della razionalità; ma le idee di Neurath per una filosofia della scienza pragmatica e naturalistica, che tenda ad una analisi empirica della scienza, non solo resterebbero ancora valide, ma acquisterebbero col tempo maggiore attualità. Il convegno di Costanza è stato il primo di una serie di incontri dedicati al neo-empirismo, che si terranno nel corso dei prossimi due anni a Costanza e a Pittsburgh. La collaborazione tra i due Centri di filosofia e storia della scienza darà luogo ad uno scambio dei materiali presenti nei rispettivi archivi: in quello americano sono disponibili tra l’altro scritti e lettere di Carnap, Reichenbach, Ramsey e Feigl, mentre a Costanza è possibile accedere ai lasciti di Ernst Mach e Hugo Dingler. M.M. Tradizione ed emancipazione Invitato da Werner Schneiders e Claude Weber per conto della Bibliothèque Nationale Luxembourg, un folto gruppo di studiosi si è riunito, dal 30 giugno al 3 luglio 1991, al castello di Vianden per un colloquio internazionale sul tema: Tradition et émancipation. Attraverso gli interventi dei partecipanti è stato fatto il punto sul rapporto tra tradizione e emancipazione, tra peso del passato e innovazione nella ricerca sull’Illuminismo. Raramente capita di trovare riunito in un ambiente suggestivo quanto il castello di Vianden, alla frontiera tra Lussemburgo, Belgio e Germania, un pubblico affiatato di docenti, ricercatori, intellettuali e studenti, convenuti per misurarsi con una serie di questioni che, senza esser cospirative, sono sentite come molto urgenti dalla critica: Quanto tradizionalista è stato l’illuminismo? Quanto emancipatorie le sue richieste? Nelle sue linee teoriche, la “tradizio- CONVEGNI E SEMINARI ne” è stata tematizzata dall’ormai celebre lavoro su Innovation und Folgelast (1972) di Rainer Specht, presente al convegno con un intervento su “Funktionen der Tradition”; e per l’ “emancipazione” ha avuto valore paradigmatico la ricerca sulla condizione della donna nel XVIII secolo, come si è visto fin dal saggio d’apertura di Werner Schneiders, “Das philosophische Frauenzimmer”. Due le prospettive di ricerca: da una parte la filosofia della politica, l’interpretazione dei fenomeni di emancipazione nel quadro delle tradizioni costituite - per fare un esempio: Jacques D’Hondt ha ritessuto il filo con le discussioni del bicentenario ed ha parlato della “rottura” costituita dalla Rivoluzione Francese, muovendo dalla prospettiva della tradizione dei Lumi; dall’altra la storia delle fonti, l’individuazione di punti di contatto tra i filosofi e il loro passato - per fare un esempio: Norbert Hinske ha seguitol’evoluzione del pensiero di Kant rispetto alla Querelle des Anciens et des Modernes. Il catalogo bilingue, in francese e in tedesco, preparato da Claude Weber e Frank Grunert per la mostra di libri su Tradition et émancipation (Bibliothèque Nationale, Fonds des imprimés anciens, Luxembourg 1991), allestita nel castello di Vianden, ha messo a disposizione una traccia squisitamente erudita per seguire gli argomenti affrontati dai relatori. Naturalmente largo spazio era dato alla filosofia di Wolff e dei wolffiani, da una parte liberatoria innovazione, nel solco di Leibniz, dall’altra saldamente legata alla tradizione della scolastica. Se ne sono occupati Jean Ecole (“La doctrine wolfienne de la nécessité et son enracinement dans la tradition”), Piero Pimpinella (“Von der Dichtkunst zur Ästhetik. Die Emanzipation der Sinnlichkeit im 18 Jahrhundert”), Martin Fontius (“Eine Debatte über die Aufklärung im Jahrhe 1767”). Notevoli, inoltre, i contributi sui canali della trasmissione delle innovazioni proposti da Hanspeter Marti (“Die Schweizer Zeitschrift in der ersten Hälfte des 18 Jahrhunderst. Gelehrtes Raritätkabinett oder Plattform der Aufklärung?”) e Joseph Kohnen (“Emanzipationsversuche im Königsberger Verlagswesen”). Decisamente stimolante infine la sezione dedicata all’emancipazione della donna, aperta da Geneviève Rodis-Lewis (“Vers l’émancipation de la femme au XVIIème siècle”), seguita da Germaine Berg-Goetzinger (su “Die Ehelosen di Therese Huber), Simone Zurbuchen (sull’idea di tolleranza) e Katrin Tenenbaum (che ha legato l’emancipazione degli ebrei - si veda il saggio di C.W. von Dohm su Die bürgerliche Verbesserung der Juden - a quella delle donne - il saggio di T. G. von Hippel su Die bürgerliche Verbesserung der Weiber). La questione centrale, come è stato qui argomentato, è che i Lumi hanno aperto gli spazi per l’emancipazione solo di determinati soggetti, escludendone altri - si tratti delle donne o degli ebrei - e in ciò risiede un limite, che equivale a una ricaduta nelle tradizionali discriminazioni. Non a caso il dibattito sull’emancipazione è stato poi riaperto dall’affascinante relazione di Emmanuel Bulz sulla filosofia dell’ebraismo (“Tradition et émancipation - Tensions et compleméntarités dans le judaïsme moderne”). Tra i contributi di filosofia della politica, Jean-Jacques Tatin-Gourier e Karlfriedrich Herb hanno studiato le resistenze dei lettori “devoti” e “tradizionalisti” di Jean-Jacques Rousseau, e Reinhard Brandt quelle di Kant in quanto lettore di Locke, mentre un contributo sulla “Francmaçonnerie, reflet des contradictions des Lumières” è stato proposto da Pierre A. Bois. Ha chiuso il convegno una conferenza di Herbert Schnädelbach su “Kultur und Kulturkritik”, che ha ricostruito il dibattito sulla concezione della storia nel secolo XVIII da Dilthey a oggi. Non resta che attendere gli atti, che usciranno a cura di Werner Schneiders e Claude Weber presso l’editore Hitzeroth di Marburgo. R.P. Eugen Fink: mondo e finitezza Si è tenuto dal 28 al 30 settembre 1990, presso la Pädagogische Hochschule di Freiburg, un convegno internazionale organizzato dallo Eugen Fink-Archiv con il sostegno della Deutsche Forschungsgemeinschaft sul tema: Mondo e finitezza in Eugen Fink. L’occasione immediata di questo convegno è stata la pubblicazione, a cura di F. A. Schwarz, delle lezioni tenute da Eugen Fink a Friburgo nel semestre estivo del 1949, raccolte ora sotto il titolo: Welt und Endlichkeit (Mondo e finitezza, Königshausen und Neu-mann, Würzburg 1991). In queste lezioni Eugen Fink si proponeva di sviluppare, partendo da un’interpretazione della problematica kantiana del mondo (della dottrina delle antinomie) e ripercorrendo la trasformazione che questa subisce nell’opera di Martin Heidegger (nel saggio sull’opera d’arte), un concetto non metafisico di mondo, esemplificato anzitutto sulla scorta dell’opera di Friedrich Nietzsche, ma fissato in seguito attraverso un ritorno agli inizi della filosofia occidentale. L’intima conoscenza che Fink aveva della fenomenologia di Edmund Husserl, testimoniata incisivamente dalla sua rielaborazione delle husserliane Meditazioni cartesiane, e la sua interiore affinità con i contenuti delle opere di Heidegger, ma soprattutto il suo decennale interesse per Kant, delineano un ambito filosofico di discussione in cui la problematica fenomenologica del mondo doveva essere messa alla prova tanto riguardo alla sua origine, quanto al suo fine. Questo invito, proveniente dalle opere presenti nel Nachlass di Eugen Fink, è stato accolto dai partecipanti al convegno, salutati dal rettore della Pädagogische Hochschule di Friburgo, R. Denk, e dal direttore del Seminario statale di pedagogia scolastica, J. A. Meyer. Ha aperto il convegno R. Bruzina (Università del Kentucky) con un intervento che ha ripercorso passo dopo passo i temi dell’analisi del mondo di Eugen Fink negli anni 19281938. «Guardare dietro le quinte dell’essere-nel-mondo» significa sviluppare accuratamente la trasformazione interna della problematica fenomenologica del mondo, in modo da scongiurare una sua troppo precipitosa fissazione ontologica, ma anche mantenendone il significato ontologico. Risulta qui chiara l’importanza che bisogna ascrivere ai numerosi appunti di ricerca e progetti di Fink reperibili nel Nachlass e riguardanti la sua collaborazione con Husserl. Appare quanto mai raccomandabile una pubblicazione di questi quaderni di appunti, estremamente istruttivi per quanto riguarda la storia del movimento fenomenologico. José Javier San Martin (Università di Madrid) e Hans Rainer Sepp (Freiburg) hanno offerto, con i loro interventi rispettivamente “Sul concetto di mondo nella rielaborazione di Fink della VI Meditazione cartesiana” e “Sul concetto di mondo in Husserl e Fink”, un contributo rilevante per un approfondimento della comprensione del problema fenomenologico del mondo. In primo piano la trasformazione da parte di Fink della questione husserliana della fondazione a partire dal mondo-della-vita nei suoi Abbozzi per una nuova prima Meditazione (193132), sviluppata da Javier San Martin sotto i titoli: “rappresentazione del mondo”, “ritaglio del mondo”, “pre-datità del mondo” e “datità del mondo”, con l’intento di mettere in rilievo l’a priori originario del mondo, il sapere riguardante il mondo come la luce più interna del nostro comprendere. Sepp ha presentato l’opposizione tra le interpretazioni del concetto di mondo in Husserl e Fink alla luce dei concetti contrastanti di “orizzonte totale” e di “ambito temporale”, ha identificato gli elementi di una critica di Husserl nel percorso creativo di Fink ed ha messo alla prova quei tentativi di mediazione, che presentano una possibilità reale e una prospettiva ragionevole di passaggio solo attraverso un mutamento del quadro dell’analisi intenzionale, e attraverso l’introduzione di una metafisica non speculativa e dell’ego fenomenologizzante all’interno del problema fenomenologico del mondo. In un difficile confronto con il principio ontologico di Heidegger, Renato Cristin (Università di Trieste) ha tentato, nel suo contributo: “L’abissalità del mondo. Osservazioni sui concetti di fondamento e di abisso nell’interpretazione del mondo di Fink e Heidegger”, di pensare il fondamento (Grund) come abisso (Abgrund). Il mon- CONVEGNI E SEMINARI do come fondamento che dà essere si presenta rispettivamente nelle figure dell’evento e nel simbolo del gioco, indagate da Cristin in un circostanziato confronto che ha messo in luce parallelismi e limiti dell’analogia. Oltre ai contributi di Milan Uselac e Antonio Rivera Garcia (Università di Madrid), nel convegno sono stati discussi gli importanti interventi di M. Richir (Collège International de Philosophie, Parigi - Università libera di Bruxelles) su “Mondo e fenomeni” e di Algis Mickunas (Università dell’Ohio) su “La differenza cosmica”. Richir ha ripreso l’idea fondamentale di Fink della connessione tra spazio, tempo e fenomeno ed ha indagato i tre concetti operativi di mondo: “orizzonte”, “radura” (Lichtung) e “fenomeno”. Qui Richir ha introdotto una doppia questione: 1) la questione circa il mondo come idea dell’orizzonte simbolico dell’esperienza e 2) la questione circa l’orizzonte del fenomeno stesso del mondo. Muovendo dalla terza Critica kantiana, egli ha proposto, nel modo di una libera meditazione, di pensare i fenomeni del mondo rispettivamente come correlato di una schematizzazione all’infinito priva di concetti e di una riflessione estetica senza concetto, per avvicinarsi da questo punto di vista alla problematica della radura (Lichtung) e del nascondimento (Verbergung) e della loro interpretazione cosmica in Fink. Richir ha posto in primo piano l’occupazione simbolica dell’inconscio fenomenologico attraverso cieche essenzialità. Un passo ulteriore ha condotto ad una nuova valutazione dell’”apparenza trascendentale” (transzendentaler Schein) in quanto coazione a pensare i fenomeni del mondo come un tutto, come totalità essenziante. La “differenza cosmica” messa in rilievo da Fink in Welt und Endlichkeit è stata oggetto dell’intervento di Mickunas. Questi ha indagato, prevalentemente in rapporto alla problematica del tempo, l’origine della cosificazione della fenomenalità del fenomeno. Il tentativo di pensare la differenza tra cosa e mondo ha condotto Mickunas ai concetti di campo strutturale e di movimento spazio-temporale come deformazione e ristrutturazione dell’evento. Il convegno si è concluso con una tavola rotonda per il prossimo incontro del 1992, che sarà dedicato al tema della “filosofia dell’educazione” in Eugen Fink. G.van K. In cerca del Dio assente Il servizio formazione permanente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha organizzato dal 14 al 17 settembre un corso residenziale a Castelnuovo Fogliani (Piacenza) su: Ateismo e ricerca di Dio nella tradizione filosofica e nel pensiero contemporaneo. Le quattro giornate di studio, sotta la direzione scientifica di Giancarlo Penati, hanno voluto fornire un approfondimento di alcuni esempi di ricerca di Dio del pensiero occidentale, nel senso dell’onto-teologia e della mistica, mettendo in luce anche i caratteri della condizione dell’uomo di oggi che sembrano rendere questi esempi insufficienti. Il corso si è articolato in due momenti: l’analisi dell’ateismo e della ricerca di Dio a) nel pensiero contemporaneo e b) nella tradizione filosofica. Francesco Botturi ha affrontato la questione della teologia dell’azione nella filosofia cristiana del ‘900, in riferimento a M. Blondel, a Maréchal e a De Finance. Giancarlo Penati ha invece preferito accostarsi al tema, evidenziando le diverse risposte date al problema di Dio da Nietzsche (“Nietzsche e la morte di Dio: antecedenti e valutazioni”), da Heidegger (“Dio in Heidegger: crisi o rinnovamento dell’onto-teologia? Agnosticismo, o nuova mistica della ‘Parola’ e ricerca del ‘Dio divino’?”) e da Maritain (“Compresenza e sintesi di postmodernità positiva e tradizione: le tre ‘saggezze’ di J. Maritain”). La seconda parte del corso è stata aperta da Alessandro Ghisalberti che ha analizzato diverse tematiche teologiche proprie del Medioevo: dalla mistica (“Alle radici della mistica: la teologia negativa di Dionigi Aeropagita”), al rapporto tra Dio e felicità (“Dio come fine dell’uomo: felicità terrena e felicità eterna in Tommaso d’Aquino”), all’argomento ontologico (“L’impossibilità della negazione di Dio: una rilettura dell’argomento ontologico di Anselmo d’Aosta”). Domenico Bosco ha infine affrontato le questioni relative all’ateismo libertino e alla posizione di Malebranche a proposito del male. P.M. Le metamorfosi della ragione ermeneutica Escono ora gli atti del convegno internazionale: Paul Ricoeur: les métamorphoses de la raison herménéutique (Cerf, Parigi 1991), tenutosi a Cerisy-la-Salle dal 1 al 11 agosto 1988. Riferimento obbligato per chi voglia inoltrarsi nella complessa geografia ermeneutica di questa originale figura filosofica. Il décalage temporale fra l’estate dello svolgimento del convegno e la pubblicazione degli atti nell’estate del 1991 permette uno strano sguardo a ritroso, o, se si vuole, uno sguardo al futuro prossimo, particolarmente illuminante se si tiene presente la pubblicazione nel 1990 dell’ultima opera di Paul Ricoeur: Soi même comme un autre. In una parola: molte delle discussioni alimentate dai dubbi e dalle critiche dei partecipanti nei riguardi di alcuni tratti del pensiero di Ricoeur, così pure come molte delle lucide e pazienti repliche del filosofo, trovano nel suo ultimo saggio quasi una ripresa, uno svolgimento, una risposta. E’ certo che gli atti non rendono il clima particolare del convegno di allora e cioè uno spazio fecondo di dialogo e di incontro tra ex-allievi di Ricoeur, ora maturi studiosi tesi tra eredità e innovazione (non era forse Simmel a riferirsi all’eredità intellettuale lasciata da un maestro agli allievi come “denaro contante”?); neppure sono riportate le lunghe e meticolose discussioni post-intervento, incoraggiate dallo stesso Ricoeur. Tuttavia questi atti costituiscono una fonte importante a cui attingere per cogliere lo svolgimento interno del pensiero di Ricoeur e l’eterogenea influenza da lui esercitata su campi e autori di discipline differenti. Il volume è infatti diviso in tre sezioni: la prima, “Héritages”, mira a rintracciare la genesi dell’originale riflessione filosofica dell’autore, con particolare riguardo per le fonti (il rapporto con Dilthey, trattato da Jocelyne Dunphy; l’eredità fenomenologica, evidenziata da Françoise Dastur, specialista di Husserl e di Heidegger); la seconda parte, “Epistémologie et herménéutique”, ha un intento dialogico, poiché fa interloquire l’ermeneutica di Ricoeur con le scienze umane (si veda l’intervento di Charles Reagan), con l’epistemologia (di cui si è occupato Jean Ladrière, uno dei partecipanti più attivi e polemici del convegno), con la narratologia (tema dell’intervento di David Carr, teso a esplicitare il fondo ontologico della narrazione). Sono comunque le due ultime sezioni: “L’herménéutique à l’oeuvre” e “Horizons”, a porsi come prospettive “lungimiranti” sull’ultima produzione filosofica di Ricoeur. Qui gli interventi hanno infatti portato su due aspetti del pensiero ricoeuriano: il carattere “enciclopedico” e l’esigenza assai più importante di una “riflessione etica”. Lungo il primo asse si situano i tentativi di mettere in opera/all’opera alcuni assunti teorici di Ricoeur; si veda per esempio l’intervento di Domenico Jervolino teso ad un rilancio, nella filosofia politica e nella prassi, delle considerazioni etiche presenti in Du texte à l’action, e a reinterpretare in chiave di “etica della liberazione”, la poetica della volontà degli scritti degli anni ’50. Su un altro piano, Jean Greisch, uno degli organizzatori del convegno, ha riproposto l’ermeneutica di Ricoeur nella particolare “metamorfosi” della filosofia della religione. Lungo il secondo asse si sono orientate le proposte teoretiche di alcuni partecipanti, intese ad approfondire e oltrepassare alcune tematiche ricoeuriane su un versante etico. E’il caso, per esempio, delle nozioni di identità narrativa, di promessa, di responsabilità, che stanno al centro dell’ultima riflessione dell’autore. A questo proposito si veda l’articolo di Ricoeur: “Le juste entre le légal et le bon” (“Esprit”, n. 9, settembre 1991) ed il commento di Vincent CONVEGNI E SEMINARI Paul Ricoeur CONVEGNI E SEMINARI Descombes alla nozione di sé come un altro (“Le pouvoir d’être soi”, in “Critique”, n. 529/530, giugno/luglio 1991). Su questa linea si è espresso Richard Kearney, proponendo di stringere il nesso fra immaginazione poetico-metaforica e tropismo verso la vera vita nel mondo post-moderno, insistendo in particolare sulle nozioni di promessa e di fedeltà, già presenti in Temps et récit e in Du texte à l’action. Da parte sua, Peter Kemp ha voluto invece rivendicare il rapporto tra racconto ed azione in un orizzonte aristotelico - particolarmente presente nell’ultimo Ricoeur - che ha al suo centro le nozioni di virtù e di eccellenza. In definitiva, questa scansione tra eredità, rilancio, nuovi orizzonti, permette di cogliere in atto la fecondità teorica ed i possibili “cantieri” di applicazione della lunga ed elaborata frequentazione di Ricoeur con la storia, il pensiero e, non ultima l’etica, dell’ermeneutica contemporanea. F.M.Z. Questioni d’esperienza L’Associazione per gli scambi culturali italo-germanici ha organizzato alla fine del 1989 un Colloquio su Il concetto d’esperienza dall’età idealistico-romantica al presente, le cui relazioni e comunicazioni sono state ora raccolte, a cura di Valeria E.Russo, nel volume: La questione dell’esperienza (Ponte delle Grazie, Firenze 1991). In Esperienza e povertà (1933) Walter Benjamin ha sottolineato come le “quotazioni dell’esperienza” siano precipitate soprattutto in una generazione come quella uscita dalla prima guerra mondiale, travolta dalla contingenza radicale dei tempi, ammutolita dalle sue conseguenze. Nel corso di questo secolo una tale condizione di “mutore coatto” non ha smesso di angustiare generazioni d’uomini sempre più espropriati della propria esperienza, in forme spesso sottilmente violente, dettate dai ritmi dello sviluppo della tecnica. Sulla base della convinzione che i concetti devono rinnovarsi continuamente, riuscendo a portare gli elementi che li compongono fino alla prossimità di altri concetti, in una sorta di operazione di raccordo, libera da pregiudiziali dogmatiche e da chiusure che bloccano la sperimentazione intellettuale, i partecipanti al convegno si sono impegnati in un lavoro di approfondimento del concetto d’esperienza, considerato come uno dei luoghi teorici più importanti del pensiero moderno e contemporaneo. Concentrando ovviamente l’attenzione sull’ambito culturale di lingua tedesca, vari studiosi italiani tedeschi si sono confrontati all’interno di orizzonti disciplinari diversificati (filosofico, sociologico, letterario, psicanalitico), articolando momenti di riflessione sul concetto d’esperienza nell’età idealistico- romantica, sulla coppia Erlebnis-Erfahrung (esperienza vissuta-esperienza) tra Ottocento e Novecento, su alcuni percorsi del nostro secolo caratterizzati dalla difficoltà di considerare l’esperienza nei termini di una “pacifica modalità” di rapporto dell’uomo con il reale. In un contesto d’indagini altamente qualificato e significativo, è possibile indicare, in maniera puramente esemplificativa, alcuni dei contributi che possono testimoniare dell’ampiezza e profondità dei temi trattati: M. Bollacher si è occupato del concetto di esperienza nella filosofia della storia di J. Herder, richiamandone anche la matrice antropologica di un sapere “non scomponibile”; S. Givone ha sottolineato la possibilità di connettere la diagnosi nietzscheana sull’esito della modernità con il primo romanticismo, sia pure in forme estremamente complesse; B. Nedelmann ha insistito sulla distinzione rigorosa attuata da G. Simmel tra i processi di Erleben e le situazioni di Erlebnis; G. Cacciatore ha analizzato il ruolo che il concetto di “empiria storica” ha nei tentativi di realizzare una “filosofia materiale della storia” operati da Droysen a Dilthey, da Meinecke a Troeltsch; R. Bodei ha ricostruito alcuni dei modi d’ordinare certi aspetti dell’esperienza che caratterizzano rilevanti itinerari teorici della modernità; H. Dubiel si è impegnato a chiarire alcuni tratti della storia della Teoria Critica francofortese in rapporto anche con le elaborazioni, fornite da quest’ultima, dell’esperienza storica; G. Mattenklott ha riflettuto sull’estetica del labirinto e la curatrice del volume; V. E. Russo, ha da parte sua ricordato come ogni comprensione storica necessiti di categorie gnoseologiche capaci d’individuare il fitto tessuto di passato e futuro che definisce lo specifico qualitativo di ogni momento dell’accadere. U.F. I giorni dell’arte Alla Fondazione Corrente di Milano è stata recentemente presentata una raccolta di saggi di Dino Formaggio, I giorni dell’arte (Franco Angeli, Milano 1991). Il volume, che fa seguito e completa un’altra raccolta, pubblicata quasi contemporaneamente, Problemi di estetica (Aesthetica edizioni, Palermo 1991), riunisce in contesti problematici comuni scritti pubblicati in epoche diverse, ripercorrendo in modo significativo un’ampia parte della riflessione estetica dell’autore, giungendo fino ai nostri giorni e lanciando importanti segnali per la “comprensione dell’umanità dell’arte” nel momento in cui l’uomo si avvia alla svolta del secolo. Alla presentazione del volume hanno partecipato, oltre all’autore, Fulvio Papi, Attilio Rossi, Gabriele Scaramuzza, Raffaele De Grada, autori tutti legati in maniera rilevante, anche se per motivi diversi, alla biografia filosofica e alla militanza artistica di Formaggio. La ricerca che fin dal 1938, in pieno clima idealistico e spiritualistico, Dino Formaggio conduce in campo filosofico è quella di una metariflessione volta a fondare su basi “scientifiche” una possibile idea di Estetica come teoria generale della sensibilità e teoria speciale dell’esperienza artistica. Questo il “filo rosso” che lega la presente raccolta di scritti, redatti in epoche e in occasioni culturali diverse. Una serie di riflessioni, che sviluppandosi tra il puro teorizzare e un concreto immergersi nel mondo vivente del fare artistico alternano momenti di approfondimento teorico a pragmatiche considerazioni storico-critiche su movimenti d’arte emergenti nella cultura di un epoca, a trattazioni di particolari problemi concreti di certi orientamenti dell’arte contemporanea. Tra gli altri, un aspetto sembra emergere in particolare da queste analisi: la rivalutazione della tecnica artistica come fattore strutturale determinante, come potenza corporea e lavorativa, costitutiva non solo del mondo dell’arte, ma di qualunque esperienza sensibile e artistica. E’ su questo sfondo problematico che Fulvio Papi ha introdotto brevemente la presentazione di questi scritti di Formaggio, tracciando opportunamente i contorni dell’itinerario di pensiero che ne sta alla base. Una “scheda” - come Papi stesso ha definito questa sua introduzione - che ha avuto il merito di fissare sinteticamente i punti cardini di questo pensiero, in primo luogo l’idea regolativa di “artisticità” da una parte e quella di “esteticità” dall’altra, la prima che definisce la legge di campo del farsi tecnico dell’arte, la seconda che apre all’ambito della comunicazione corporea nelle sue tre valenze, intuitiva, immaginativa, memorativa. Attilio Rossi ha voluto invece ripercorrere alcune tappe biografiche della lunga frequenza che lega la sua attività artistica alla ricerca estetica di Formaggio. Sono così emersi i tratti di quello che si potrebbe definire un dialogo ininterrotto tra un pittore e un filosofo di fronte ai gravi interrogativi dell’arte contemporanea, in primo luogo la necessità che s’impone nel fare artistico di una ridefinizione della materia. Ad una definizione dello “scientifico” nella riflessione estetica di Formaggio si è rivolto l’ampio e documentato intervento di Gabriele Scaramuzza, che ha inteso ricostrire teoreticamente lo sviluppo di pensiero che caratterizza tale riflessione. A questo proposito Scaramuzza ha preso spunto dai due scritti che costituiscono l’esordio teorico di Formaggio: Arte e tecnica (1938) e Delacroix di fronte al problema dell’arte (1939), in cui si tentava, anche se in modo ancora incompleto, di postulare la presenza della scientificità nel teorizzare vivente, facendo in particolare ricorso agli autori CONVEGNI E SEMINARI francesi di estetica - cosa che all’epoca fu registrata con un certo interesse da F. Papini. Ciò che innanzitutto veniva qui proponendosi era una consapevole rottura con ogni entusiasmo romantico, con ogni idealismo e spiritualismo, per riportare l’arte sul terreno concreto della materia e del fare artistico. Questa impostazione avrebbe ben presto portato Formaggio ad una progressiva costruzione della scientificità dell’Estetica su fondamenti fenomenologici e alla conseguente assunzione del metodo fenomenologico, opportunamente liberato da istanze soggettivistiche o idealistiche, come base “rigorosa” per una possibile instaurazione epistemologica dell’Estetica. Ciò conferiva all’Estetica un posto particolare all’interno delle scienze dell’uomo, venendo ad assumere un ruolo preliminare metodico di superamento di ogni atteggiamento naturalistico, quanto di ogni obiettivismo scientifico. Sono questi in particolare i temi centrali di un’altra raccolta di saggi, pubblicati tra il 1945 e il 1990, riuniti ora sotto il titolo: Problemi di estetica, che vanno a completare il contesto teorico in cui si dipana la ricerca di Formaggio. Ad esso di fatto si è riallacciato lo stesso Dino Formaggio nel suo intervento, ribadendo come la scientificità propria dell’Estetica, il suo statuto epistemologico, possa essere ottenuto solo sulla base di un’autonomia di campo e di un’autonomia metodica dell’estetica che la sottragga, come già ammoniva Giulio Preti, da ogni dissoluzione in letteratura e poesia. In definitiva si tratta di mantenere il campo estetico distinto dal piano della critica letteraria e artistica, come pure da quello delle ricerche sulle poetiche. Su questi presupposti si fonda appunto la più recente riflessione estetica di Formaggio, volta a uno studio delle correnti estetiche impegnate sul versante scientifico, al fine di mettere in luce l’affinità che lega arte e scienza. Qui i riferimenti sono Thom, Prigogine, Petitot, Kuhn, da cui Formaggio trae gli spunti necessari per una riconferma della interdisciplinarietà dell’Estetica dal punto di vista della sua inclinazione verso la scienza. R.R. Il sentire del senso E’ stato presentato il 18 giugno 1991 al Circolo Carlo Rosselli di Milano il testo di Mario Perniola, Del sentire (Einaudi, Torino 1991). Contro la riduzione del “sentire” a “sensologia”, all’esperienza affettiva reificata, al già sentito, Perniola propone un sentire cosmico, che ha le sue radici nel sentire “teatrico” degli antichi dei. Al dibattito, presieduto da Pierluigi De Stefano, hanno partecipato, insieme all’autore, Um-berto Eco e Paolo Fabbri. Nel suo libro Mario Perniola ripercorre tutti gli aspetti del sentire, per arrivare a colpire la riduzione dell’esperienza al “già esperito”, del sentire al “già sentito”. E’ da sottolineare che la “morte del senso” non comporta necessariamente la “morte dei sensi”: non comporta cioè una freddezza del sentire, un prevalere dell’elemento logico-razionale nei confronti di quello affettivo-sensibile. Contrapposizione, quest’ultima, tanto frequentata, quanto, a questo proposito, fuori luogo: la reificazione del senso determina, infatti, un suo apparente primato nell’illusoria immediatezza di una comunicazione “globale” fra gli individui. Immediatezza illusoria e primato apparente del senso è ciò che appunto viene realizzato dai media, espressione di esperienza comunicativa del sentire reificato; i media e non si innestano sui sensi, potenziandoli e amplificandone la portata, ma li trapiantano o li creano, come già Condillac aveva ben capito. Il fatto che questi sensi, questo “sentire”, siano atti inautentici nella loro impersonalità, è sintomo della dimensione alienata di questa affezione non comunicativa. E’ un processo che raggiunge il suo culmine negli anni Sessanta, ma che ha le sue radici ben più lontano: tutta la cultura occidentale, con l’identificazione di affettività e effettualità, che caratterizza la dimensione del “già sentito”, trova le sue condizioni nel “sentire economico” del Settecento e dell’Ottocento e, ancora più in là, presso gli antichi Greci, nel primato dell’atto sulla potenza, della forma sulla materia. Tuttavia nell’ultimo capitolo, proprio a partire dal dualismo tra l’elemento apollineo e quello dionisiaco, Perniola trova in una serie di forme del “sentire” una possibile redenzione della dimensione del “già sentito” nella vita filosofica. Il testo di Perniola, come l’autore stesso tiene a sottolineare, vuole essere una rivalutazione del pensiero stoico e di quello neostoico, incarnato, in particolare, nella figura di Leibniz; una rivendicazione della cateria del logos cui è inerente, in una prospettiva materialistica, la nozione di aìsthesis - contro quella platonica del nous. Un recupero, dunque, della ragione scientifica del razionalismo secentesco e illuminista, contro l’esaltazione romantica e idealistica della categoria del “non pensato”. Umberto Eco ha messo in dubbio che la religione estetica della “vita”, piuttosto che il sentimento amoroso, possano davvero restituire all’individuo, attraverso una manìa liberatrice, la sua dimensione originaria, quella di un’affettività non reificata. Se così stessero le cose, obietta Eco, se la possibilità di liberazione fosse davvero effettuale, allora la dimensione del “già sentito” perderebbe il suo carattere di necessità, la sua consustanzialità al sentire, e priverebbe così l’analisi della condizione umana del suo carattere tragico. Contro Perniola che, difendendo l’intento unitario del proprio testo, nega l’esistenza di una soluzione di continuità fra l’analisi - come è stata definita - “adorniana” o “habermasiana” del primo capitolo e la soluzione proposta al termine dell’opera, Eco vi leg- ge, dunque, una sorta di contraddizione di fondo. Paolo Fabbri si è piuttosto soffermato sullo stile filosofico di Perniola, sul suo “argomentare per figure”; di quest’opera, Fabbri ha sottolineato la preminenza che assumono il carattere comunicativo e quello processuale dell’esperire affettivo, valorizzandone l’hic et nunc in una radicale adesione all’esistenza e all’esistente, al di fuori di qualsiasi forma di trascendenza, sia essa, in quanto desiderio, un tendere al futuro o, in quanto nostalgia, un tendere al passato. La “gioia” insita in questa adesione all’esistente è estremamente solipsistica e chiude dunque la comunicazione. Da questo punto di vista, ha sostenuto Fabbri in risposta a Eco, questa adesione non appare certo un superamento della dimensione tragica dell’esistenza, dal momento che non appare all’orizzonte alcuna speranza di liberazione, alcuna prospettiva di conciliazione. F.C. Topografia dell’ “anima” estetica Nel maggio del 1990, presso la Certosa di Pontignano, sede dei convegni dell’Università di Siena, si è tenuto un congresso internazionale di estetica, organizzato da Maria Grazia Marchianò. A distanza di un anno vengono pubblicati gli atti con il titolo: Le grandi correnti dell’estetica novecentesca (Guerini e Associati, Milano 1991). La raccolta, piuttosto voluminosa, rappresenta un’utile guida lungo i crocevia, gli snodi, gli intrichi della riflessione estetica contemporanea. La densa introduzione e la cura “certosina” di Maria Grazia Marchianò eludono,in un certo senso, la classica presentazione di una raccolta di contributi eterogenei per tema e prospettiva: già il volume presenta alcuni “bilanci” e resoconti della situazione della riflessione estetica in Italia, in Europa, nei paesi d’Oltre Oceano. Si è trattato anche - per la curatrice - di definire le linee di un discorso che intreccia «discorsi e racconti, logoi e mythoi» e che voglia raccogliere nel laccio delle parole lo stile, l’aura di questo convegno come la realizzazione, per una volta, di una civitas, di una “cittadella” spirituale di contrade e dialetti eterogenei e che nello stesso tempo partecipi della medesima pubblica attività di dialogo. Il convegno di Pontignano testimonia di fatto di una certa “topografia” dell’anima estetica contemporanea, poichè raccoglie molteplici interventi di autori di lingua e civiltà molto “distanti” (europei, orientali, mediorientali) tracciando i luoghi geografici e intellettuali della attuale ricerca estetica. Gli atti contemplano, a seconda del caso, le tre lingue adottate al CONVEGNI E SEMINARI convegno, non per suggerire un elemento di confusione bensì per segnalare ben più profondi intrecci, asimmetrie, convergenze e lontananze che alimentano la stessa qualità della ricerca. Tre i momenti decisamente significativi di questi atti: il primo di carattere istituzionale-formativo concerne il progetto italiano di coniugare gli sforzi nel mondo della cultura per incentivare le iniziative didattico-istituzionali nel campo della ricerca estetica (dottorati interni e stranieri, convegni, bollettini periodici, ricerche comparate e interdisciplinari). Il secondo momento coincide con un’occasione, quella di un incontro fecondo fra diverse generazioni di estetologi italiani (“padri, figli, nipoti”) che ha permesso una messa a punto delle problematiche, delle “scuole”, degli orientamenti della ricerca estetica italiana contemporanea. In questo senso le eredità, gli “svezzamenti “, le autonomie e i ripudi dell’età adulta hanno messo in circolo il pensiero. Così Anceschi ha ricevuto il duplice contributo di Benassi e di Gentili; altri come Morpurgo-Tagliabue hanno esposto le loro posizioni coltivate con gli anni. Gli interventi di Givone, Amoroso, Russi hanno rilanciato alcune tematiche cruciali quali il rapporto fra Italia e Europa, autonomia e eteronomia della poesia, nesso fra filosofia dell’arte e estetica. Il terzo contributo ha voluto farsi promotore di un dialogo polifonico con culture diverse, intrecciando confronti con le preoccupazioni teoriche di storie culturali eterogenee. Si pensi solo che una traduzione in compendio del volume di questi atti è annunciata in cinese a cura della Sichuan Aesthetics and Art Research Association della Repubblica Popolare di Cina. F.M.Z. Hölderlin. Colloquio internazionale Organizzato dal Goethe-Institut di Torino, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e con il Dipartimento di Ermeneutica dell’Università di Torino, si è tenuto nei giorni 16 e 17 maggio 1991 un Colloquio internazionale dedicato a Friedrich Hölderlin, che ha toccato vari aspetti dell’attuale ricezione della sua opera: dalla critica dell’Illuminismo al rapporto antichità-modernità, dall’ideale di rivoluzione al concetto di tragedia, alla metaforica del linguaggio poetico. Ha aperto i lavori Christoph Jamme (Bochum) con una relazione centrata sulla ricostruzione della tragedia La morte di Empedocle attraverso le sue tre stesure, dal cosiddetto Frankfurter Plan fino al commento teorico dell’autore stesso sul “fondamento” della tragedia, il Grund zum Empedokles. Muovendo dal presupposto che l’intero progetto della tragedia nei suoi vari abbozzi si fonda sul tentativo di Hölderlin di trovare una legittimazione alla morte volontaria di Empedocle, Jamme individua in tre fonti principali i motivi che hanno dato adito alla nascita dell’opera: la leggenda di Empedocle come viene tramandata da Diogene Laerzio, l’influsso della figura di Rousseau e della sua concezione della natura nella caratterizzazione dell’eroe tragico, la ripresa di motivi della simbolica cristiana. L’analisi delle prime due stesure mostra, secondo Jamme, l’incapacità di Hölderlin di rendere tragico il destino di Empedocle, cioè di configurare in senso drammatico la conciliazione di Empedocle con gli agrigentini e al contempo la morte volontaria dell’eroe nel cratere dell’Etna come un evento unitario, identico. In queste stesure la tragedia di fatto non perviene al suo compimento, poiché il destino dell’eroe e il destino dell’epoca rimangono tra loro privi di mediazione. Sarà invece tema specifico della terza stesura e del cosiddetto Grund zum Empedokles la ricerca della conciliazione tra destino individuale ed epocale nell’azione storica dell’uomo. Empedocle viene in tal senso posto da Hölderlin come personificazione del destino del suo tempo, e quanto più in un’epoca di crisi, di profondo rivolgimento, il destino si radicalizza in un singolo uomo, tanto più questi deve soccombere alla necessità dei tempi. Gettandosi nell’Etna Empedocle salda la propria azione al divenire storico, portando in tal modo a compimento il proprio destino tragico e con esso l’intero significato della tragedia. Alla tarda produzione poetica di Hölderlin, per lo più gli inni e le elegie a partire dal 1799-1800, si sono rivolti nei loro interventi Luciano Zagari e Ugo Ugazio. Zagari ha individuato il fondamento delle tarde composizioni poetiche di Hölderlin nel superamento del tempo lineare storico in favore del divenire ciclico della natura, con la conseguente apertura ad una concezione “a spirale” del poetico, frutto di un faticoso approfondimento concettuale e filosofico di quel periodo, che portava il poeta ad afferrare l’unità del divenire solo nel trapassare necessario e significativo delle fasi storiche. Con questo Hölderlin intendeva ricostituire l’idea di rivoluzione come funzione temporale. Lo stesso ideale greco veniva coinvolto in questa revisione storico-filosofica della poesia, divenendo ora modello di un divenire che è perdita del proprio carattere originario, acquisizione di ciò che ad esso risultava estraneo e tentativo di recuperare ad un livello più alto la spinta originaria. Di una medesima riproposizione dell’ideale di grecità si è fatto portavoce anche Ugazio, che ha ripreso sostanzialmente le considerazioni di Heidegger sulla tarda poesia hölderliniana. Non interpretare filosoficamente o sentimentalmente la poesia di Hölderlin, ma pensare il “poetato” della poesia, è stata la proposta interpretativa mossa da Ugazio. Questo significa innanzitutto pensare la migrazione dello spirito poetico dalla Grecia all’Esperia come presupposto per un nuovo inizio, un inizio “altro”, che non accade nella serie degli eventi legati al primo, ma pensa, fondandolo, ciò che i Greci, “sul loro suolo”, non hanno potuto pensare, pensa cioè l’essere come “evento”: questo diviene ora il presupposto per iniziare a comprendere i Greci e la storia dell’Occidente. Jean-Pierre Lefebvre ha spostato l’attenzione sul campo della ricerca storicobiografica per tentare di fornire una base concreta alla produzione poetica di Hölderlin tra il 1801 e il 1807. Si tratta del periodo che va dal dicembre 1801 al luglio 1802, in cui Hölderlin si reca in Francia, soggiornando alcuni mesi presso il Console di Amburgo a Bordeaux. La quasi totale mancanza di documenti biografici ha sollevato le ipotesi mitico-liriche più svariate su questo oscuro periodo della vita del poeta. Nella sua ricostruzione storico-biografica Lefebvre ha richiamato l’attenzione dei critici su due eventi fondamentali. Si tratta da una parte della lunga attesa di Hölderlin a Strasburgo per ottenere il visto d’ingresso in Francia e la conseguente, apparentemente assurda deviazione per Lione nel viaggio di andata verso Bordeaux, dall’altra del periodo di composizione e del ritardo che subì la pubblicazione del poema Friedensfeier (Festa di pace), nonostante fosse da tempo ultimato, e del vero evento storico che dette spunto a questa composizione. Il passaggio per Lione deve essere probabilmente giustificato dall’annuncio della visita del Console Bonaparte in quella città, previsto per i primi giorni del gennaio 1802. Hölderlin apprese la notizia sicuramente a Strasburgo e non volle perdere una tale occasione, anche se poi l’incontro non si avverò per via del ritardato arrivo del Primo Console a Lione (11 gennaio), che non conciliò con i quattro giorni di permesso di soggiorno in quella città ottenuti da Hölderlin. Per quanto riguarda invece l’epoca di composizione di Friedensfeier, risulterebbe secondo Lefebvre che la rielaborazione in poema pindarico operata da Hölderlin nell’autunno del 1802, poco dopo il suo rientro dalla Francia, di un frammento del poema risalente al febbraio 1801, comunemente messo in relazione con la pace di Lunéville, appunto di quegli anni, deve essere riferita a un evento storico di significato ben più ampio per la Francia, quale solo la pace di Amiens con l’Inghilterra e insieme le leggi del Concordato potevano offrire. All’insieme di questi eventi deve essere dunque fatto risalire il motivo che sta alla base del poema. Il fatto poi che esso non venisse subito pubblicato è una conseguenza del medesimo fatto storico. Quando il poema fu ultimato era già troppo tardi; le condizioni storiche erano di nuovo mutate e la guerra era ripresa. La storia aveva smentito ogni pronostico di una “festa di pace” per gli uomini. Su un altro versante della ricerca critico-biografia va invece posto l’intervento di D. E. Sattler, CONVEGNI E SEMINARI Friedrich Hölderlin all'età di 72 anni. Disegno di Louise Keller. CONVEGNI E SEMINARI promotore e curatore dell’edizione storicocritica francofortese delle opere di Hölderlin. Nodo problematico delle considerazioni di Sattler è stata una interpretazione dell’Antigone di Sofocle nella versione e nel commento teorico della tragedia ad opera di Hölderlin, con l’intento di metterne in evidenza alcuni caratteri della follia con cui viene descritta Antigone con con quelli di cui fu preda Hölderlin nella seconda metà della sua vita. Ad una ricostruzione del concetto di Erinnerung (ricordo/interiorizzazione) come motivo fondante della concezione storico-filosofica della poesia di Hölderlin si è rivolto l’intervento di Domenico Carosso. La Erinnerung è essenzialmente luogo interiore di una storia “altra” rispetto a quella che ha condotto al presente reale, un luogo in cui si raccoglie tutto ciò che il presente liquida come storicamente divenuto e immutabile. A contatto con il sentimento totale della vita, che la Erinnerung rende possibile interiorizzando ciò che pareva dissolto, il presente si infinitizza sempre di più. Questo mantenersi aperti nel presente finito verso un presente infinito è ciò che permette ora l’incontro con il divino: ricordare coincide qui con il dimenticare, con la Vergessenheit dionisiaca. Di carattere critico-storiografico l’intervento infine di Riccardo Ruschi, che ha preso in considerazione un periodo specifico della formazione di Hölderlin, i primi anni di università a Tubinga e le reazioni filosofiche del giovane seminarista al dibattito sull’illuminismo, che all’epoca accompagnava e più spesso condizionava la ricezione dei testi kantiani, soprattutto in ambito teologico. Una ricostruzione del clima culturale presente allo Stift di Tubinga, nonché dei presupposti storico-culturali, sociali e religiosi con cui fino a quel momento si era sviluppata la formazione del giovane Hölderlin, permette a Ruschi di individuare la fondamentale domanda filosofica che assilla Hölderlin nei primi anni di studi all’università di Tubinga. Si tratta della dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima. A questo proposito Hölderlin sembra optare per una concezione che non riproduce passivamente le considerazioni che notoriamente Kant aveva svolto sul tema. Piuttosto, alla luce della lettura approfondita dei testi spinoziani e di quelli relativi al cosidetto Pantheismusstreit (disputa sul panteismo), il giovane studente di Tubinga si appropria di quella concezione dell’indimostrabilità di Dio che accomunava a questo proposito la dottrina kantiana alla critica della religione e della morale positiva di Friedrich Heinrich Jacobi. Ne scaturisce una posizione originale, che ha il suo centro di forza nell’immediatezza dell’esperienza divina, unica fonte autentica di conoscenza di Dio, e che a conferma di ciò chiama in causa uno dei fondamenti della teologia supranaturalista, il contenuto di verità insito nei miracoli di Cristo descritti nella Bibbia. Forte di queste considerazioni Hölderlin si rivolge ora alla formulazione di un concetto d’illuminismo che tende a rivalutare il fondamento sensibile della critica della conoscenza, avviandosi con esso a ripercorrere criticamente quel processo di estraneazione e dominio della natura che fonda la civiltà moderna. R.R. Il Pluralismo metodologico La questione del Pluralismo metodologico in filosofia è al centro del convegno organizzato dalla cattedra di Filosofia Morale in collaborazione con il Dipartimento di Ricerche Filosofiche della II Università di Roma “Tor Vergata”, che si svolgerà nei giorni 24, 25 e 26 ottobre 1991, con l’adesione della Società Filosofica Italiana. Nel momento in cui vengono meno la validità universale del metodo trascendentale, le pretese idealistiche di un sapere assoluto e l’ambizione obiettivistica dello scientismo, sulla scena filosofica contemporanea cominciano ad affacciarsi alcune prospettive interpretative che tematizzano ampiamente il pluralismo delle metodologie e delle prospettive di ricerca. Almeno a partire da Martin Heidegger, la filosofia contemporanea ha messo radicalmente in discussione l’idea dell’univocità e dell’assolutizzazione del metodo filosofico. L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer, che di qui si diparte, insieme ad altri pensatori e ad alcune correnti di pensiero ad essa legati (si pensi a Ricoeur, a Derrida, alla “decostruzione” e al “pensiero debole”) hanno in seguito ulteriormente approfondito il distacco, ponendo al centro della propria posizione non solo la pluralità degli orizzonti interpretativi, ma anche il pluralismo delle metodologie di indagine filosofica. La situazione della filosofia contemporanea pare, dunque, sempre più caratterizzarsi per un pluralismo dei metodi di ricerca, tuttavia senza il prevalere di uno di essi. Lo statuto metodologico della filosofia si presenta quindi come un problema quanto mai suggestivo, aperto e complesso, un tema che è stato anche affrontato negando persino la possibilità del suo stesso statuto. Alcune recenti posizioni di anarchismo metodologico, come è certamente noto, sono state avanzate anche nel campo dell’epistemologia contemporanea di Paul Feyerabend. La problematica del convegno trova un singolare spunto di riflessione in ciò che Paul Ricoeur (la cui presenza al convegno dovrebbe peraltro essere assicurata) chiama “rottura metodologica”, espressione che, presso di lui, indica l’impossibilità di continuare a portare avanti la ricerca sulla realtà umana con il metodo trascendentale e la necessità, quindi, una volta esperite tutte le possibilità offerte dal trascendentalismo, di passare al metodo ermeneutico. “Rottura” metodologica ed “anarchia” metodologica rappresentano, però, solo due delle numerose prospettive a partire dalle quali è possibile affrontare la articolata questione del pluralismo metodologico in filosofia. Il convegno si propone di stabilire innanzitutto, dopo una approfondita analisi della situazione di fatto, in che modo si possa oggi porre il problema del metodo in filosofia. La pluralità dei metodi non significa necessariamente una sovrapposizione di uno sull’altro, ma talvolta ci si trova di fronte ad un intrecciarsi di metodologie che denunciano la complessità del contesto cui ci si riferisce. Il convegno quindi si propone di affrontare i problemi della compatibilità o della limitazione reciproca dei metodi. Continuità metodologica oppure rottura? Univocità o pluralismo metodologico? Gli interrogativi verranno confrontati anche con analoghe problematiche emergenti a livello del pensiero scientifico, delle scienze umane in generale e in connessione con lo status quaestionis nell’attuale dibattito filosofico. La complessificazione generalizzata della realtà in cui siamo immersi impedisce di fatto ogni assolutizzazione di una sola prospettiva metodologica, sollecitando invece l’integrazione e la compresenza di diverse metodologie per indagare proprio la complessità e la ricchezza dell’esperienza contemporanea. G.P. I rami d’oriente: la ricerca comparativa in Italia Due appuntamenti estivi nella cheta Toscana, volti all’incontro di due universi, Oriente e Occidente, segnano il passo della ricerca comparativa nella filosofia estetica: il primo congresso Siena-Kyoto ( 7-13 giugno 1991) a Siena e il convegno Il bosco sacro, Percorsi iniziatici nell’immaginario artistico e letterario a Monteporzio Catone (5-8 settembre 1991) sono l’occasione di un intrico complesso, ma orientato di discorsi, favole, esperienze e metodi interdisciplinari. Una breve intervista con la professoressa Maria Grazia Marchianò, dell’Università di Siena-Arezzo, organizzatrice del primo dei due convegni e lei stessa relatrice al secondo, ci permette di rintracciare le linee programmatiche delle due manifestazioni. L’incontro italo-giapponese di Siena e gli interventi interdisciplinari di Monteporzio infoltiscono un già fitto sottobosco di tematiche, approcci, preoccupazioni, confronti differenziati per aree culturali e prospettive di ricerca. Ma questo lavoro sotterraneo e polimorfico si rivela fecondo per ciò che viene denominato “filosofia della cultura”, quell’approccio cognitivo unificato volto a istituire confronti fra i diversi segmenti culturali delle civiltà occidentale e orientale. Alla luce di questi rilievi abbiamo posto a Maria Grazia Marchianò queste due do- CONVEGNI E SEMINARI Hokusai: Great Wave Off Kanagawa mande: Signora Marchianò, Lei è una studiosa e teorica del pensiero comparativo. Come intende il lavoro interdisciplinare per quanto riguarda in particolare il confronto fra culture differenti? «Lo intendo - ci viene risposto - come una conoscenza fondata dei segmenti culturali presi via via. In altre parole: come uno slittare, con precisione e insight da un segmento all’altro, come uccelli in volo fra l’uno e l’altro ramo di un unico albero di conoscenza. Il lavoro avviato qui a Siena è iniziato da troppo poco tempo per dare già frutti maturi. Abbiamo incominciato a prendere coscienza delle differenze, il che è assolutamente inevitabile in quanto tale diversità costituisce un problema nel settore delle arti, delle scienze umane, piuttosto che in quello delle scienze naturali e dell’economia, dove metodi e obiettivi di ricerca partecipano di standards in una certa misura comuni». Come mai Lei ha scelto per la sezione di scienze umane del convegno il titolo “Nature and artifice”? «Per quanto perplessi fossero i nostri colleghi giapponesi, il convegno è ruotato implicitamente o esplicitamente attorno al rapporto natura/artificio: pensi alla relazione antropologica di Raveri di Venezia sulle tecniche di automummificazione di certi asceti nipponici, oppure al confronto fra la pittura di Leonardo e quella cinese Sung in merito all’idea di natura e di catastrofe ciclica nella relazione di Saito di Kyoto e ancora alle riflessioni di Nakagawa Hisayasu sulla natura e sull’artificio in Diderot, per non dimenticare poi l’intervento di Adriana Boscaro sugli spinosi problemi della traduzione non solo di una lingua orientale ma del suo stile e della sua tecnica narrativa». Già da queste brevi risposte si può cogliere quanto l’estetica debba alla riflessione sui nessi natura/arte e sul rapporto fra arte e artificio: la ricerca comparativa offre un campo variegato e concreto di prospettive, di agganci, di analogie, particolarmente fertile per l’interrogazione sul bello, sull’arte, sull’appartenenza dell’uomo alla natura. Su questa linea, il convegno su Il bosco sacro ha proposto itinerari differenziati (letterari, filosofici, pittorici) per segnalare gli sviluppi delle scienze esoteriche e l’unità universale della mitologia: riti, culti, iniziazioni, il carattere sacrale di certe topografie spirituali, testimoniano, nell’intreccio dei discorsi del convegno organizzato da Marina Maymone Siniscalchi e da Cesare Nissirio, la presenza di un ancestrale albero mitico. Ci pare opportuno segnalare infine, in questo contesto, l’ampio respiro culturale che caratterizza la recente collana “Mille Gru”, curata da Adriana Boscaro per Marsilio, il cui preciso obiettivo culturale è quello di proporre una rosa di classici della letteratura giapponese, tradotti e commentati da una piccola comunità di specialisti della lingua e della storia nipponica. F.M.Z. Hegel e il sapere matematico Ad alcuni nodi problematici della cele- bre Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, Girolamo Cotroneo ha dedicato il suo annuale seminario (6-9 maggio 1991) di approfondimento del pensiero di Hegel all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Che Girolamo Cotroneo abbia voluto dedicare molta parte del suo seminario alla chiarificazione della critica hegeliana della matematica, quale emerge prepotentemente nelle pagine della Prefazione, è frutto della convinzione che la contestazione di Hegel al sapere matematico sia il documento più importante dell’incapacità della matematica stessa, o meglio della filosofia matematizzante, di poter essere fondamento della Verità. Sebbene sia l’argomento kantiano della cosa in sé a segnalare indirettamente l’indomabilità di certi problemi conoscitivi e l’impossibilità di risolverli dentro la griglia concettuale del meccanicismo matematizzante, è solo con Hegel che la scienza dimostra di non poter venire a capo della frattura tra epistème e tèchne. In quanto la matematica è solo il nostro pensare la cosa, non il movimento della cosa stessa, essa è un operare esteriore. Nella matematica il vero si costituisce come vero solo perchè ha espulso arbitrariamente da sé ogni elemento negativo. Se la filosofia riconcilia entrambi i momenti particolari dell’esserci e dell’essenza, la matematica, invece, costruisce la propria verità espellendo il lato interiore della cosa, il lato non quantificabile. La sua evidenza si paga al prezzo della soppressione dell’elemento CONVEGNI E SEMINARI Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Dipinto di Jack Schlesinger, 1825 circa. CONVEGNI E SEMINARI più essenziale della cosa, del suo lato concettuale ed effettuale. Tuttavia, non è solo la matematica ad esprimere nel campo del sapere le caratteristiche del pensiero dogmatico. L’idealismo post-kantiano non si è liberato dal formalismo perchè ha continuato a contrapporre alla conoscenza compiuta e distinta la «monotonia e l’universalità astratta dell’Assoluto». Schelling è il campione di questo punto di vista della filosofia per il quale la considerazione della distinzione dei particolari costituenti l’intero sprofonda immediatamente nell’affermazione ingenua e fatua secondo cui l’Assoluto è un tutto eguale. I vivaci moniti di Hegel contro Schelling sono rivolti, di fatto, contro una concezione dell’Assoluto che proprio perchè precipita le differenze «nell’abisso della vacuità», non sa guardare allo Spirito come a quella potenza che «guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta devastazione». Compito della Prefazione, il cui scopo teoretico è quello di stabilire un nesso tra Fenomenologia e Logica, consiste infatti nel lumeggiare la natura precipua dell’Assoluto, mettendone in risalto la sua essenza di intiero «che si completa mediante il suo sviluppo». L’unità dialettica non mantiene il negativo di fronte a sé, bensì affonda in esso come in se stessa. Il negativo non è nemmeno un momento della Verità, quasi che questa si potesse separare da esso, ma è la Verità passata attraverso se stessa: è il suo sviluppo. In tale movimento lo Spirito riscatta il proprio scacco solo in quanto conserva la memoria della sua negazione: «Anzi lo spirito è questa forza solo perchè sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui». La mediazione è la cifra dell’Assoluto come Spirito, come automovimento dell’intero che nella sua costituzione è la critica vivente sia dell’astrattezza dell’intelletto, che separa senza congiungere, sia dell’assoluta indifferenza, che eguaglia tutto a sé, prescindendo dalle forme differenziate del molteplice e mortificando la distinzione nell’immediatezza della statica uniformità. Proprio questa domanda intorno alla problematica voracità dello Spirito è quanto il seminario di Cotroneo ha lasciato in eredità: che ne è della libertà dello Spirito e dell’uomo, se lo Spirito fagocita nel procedere metodico del concetto ogni determinazione, ogni possibilità, la Vita stessa? G.L.D.D. Hegel a Wroclaw Si è svolto a Wroclaw in Polonia il convegno annuale della Internationale Hegel-Gesellschaft e dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dedicato al tema: Hegel nella storia della sua ricezione. La scelta di Wroclaw, città legata nel passato, con il nome di Breslavia, alla storia politica e culturale tedesca, come sede del convegno è stata dettata da ragioni storiche ed insieme attuali: storiche, poiché Hegel esercitò una notevole attrazione sugli studenti polacchi presenti alle sue lezioni; attuali, per l’attesa di nuovi sviluppi sociali e politici nei paesi dell’Europa dell’Est. Nel suo saluto al convegno in qualità di rappresentante della presidenza della società il filosofo di Rotterdam Heinz Kimmerle ha potuto a buon diritto proclamare, con Hegel: «Lo spirito del mondo, se c’è qualcosa di simile, ha dato in questo momento di nuovo uno scossone». Ed ha ricondotto tutto ciò alla politica di Gorbaciov, «circoscritta dalle espressioni Glasnost e Perestrojka». Anche prescindendo dai suoi risultati, il tentativo di un incontro scientifico internazionale tedesco-polacco (ed anche tra tedeschi dell’Est e dell’Ovest) a Wroclaw, città caratterizzata da una complessa tradizione di rapporti culturali tra i due popoli, è senz’altro degno di nota. In questo senso il teologo di Tubinga, Hans Küng, ha auspicato nel suo intervento che alla rilevante attività di sostegno dell’amicizia culturale tedesco-francese segua ora una analoga conciliazione tedesco-polacca, che porti a rapporti di “buon vicinato culturale”. Il filosofo Karol Bal, attivo a Wroclaw, ha espresso nel suo discorso di saluto l’aspettativa che il congresso possa avere l’effetto di stabilire un ponte che aiuti a superare le divisioni tra le parti del continente europeo che sinora sono rimaste separate, ma anche tra le diverse Società hegeliane. Egli ha anche dichiarato di aspettarsi dal convegno quantomeno un contributo al superamento delle “macchie bianche” nella carta geografica della cultura europea, e ha sottolineato energicamente il significato che ebbe un tempo Breslavia per la Germania e che può avere oggi Wroclaw per la Polonia. A questo proposito egli ha menzionato - per quanto riguarda Hegel - i suoi allievi, Carové (a cui è stata dedicata la relazione di Christine Weckwerth) e Hinrichs, attivi nell’allora Breslavia, e ha citato Lasalle, sepolto a Wroclaw, a cui sono stati poi dedicati gli interventi di W.R. Beyer, presidente onorario della società hegeliana, e di T. Bautz. Bal ha inoltre rinviato a Breslavia come luogo dove si è dispiegato l’influsso di Fülleborn, Garve e Theodor Mommsen, che hanno insegnato nella città allora appartenente alla Germania, ma anche a Breslavia come luogo di nascita di Christian Wolff, Dietrich Bonhöffer, Edith Stein e del celebre studioso dell’ermeneutica e interprete di Hegel, Hans-Georg Gadamer. Oltre ai circa cento polacchi che hanno studiato presso Hegel e che hanno esercitato una forte influenza sulla storia culturale polacca, Bal ha poi ricordato la nuova intensa attività di studio su Hegel nella seconda metà del nostro secolo, iniziata in particolare da Tadeusz Kronski e Bronislaw Baczko e sviluppata dagli attuali specialisti di Hegel: Zbignew Kuderowicz, Andrzej Walicki, Ryszard Panasiuk e Marek Siemek (e qui Bal ha modestamente taciuto il proprio nome). Durante il convegno sono state presentate 180 relazioni, divise in circa 40 tra sezioni e sedute plenarie. Si è discusso delle fonti filosofiche di Hegel, nel senso più ampio del termine, ma anche, ancora una volta, del suo rapporto con la rivoluzione francese (Martin Bondeli, Berna-Bochum; Davor Rodin, Zagabria); si è parlato poi della scuola hegeliana nel XIX secolo, ed in particolare dei giovani hegeliani, ad esempio di Feuerbach (Gabriel Amengual, Palma de Mallorca) e di Marx; non sono stati tralasciati neanche temi particolari, come l’influenza dell’hegelismo sul neokantismo (Helmut Holzey, Zurigo). Molti interventi hanno indagato l’effetto di Hegel in diversi paesi; una particolare attenzione è stata dedicata al tema dell’influsso di Hegel in Polonia. Tra i tanti interventi su questo tema, il più importante è stato quello di Zbigniew Kuderowicz, che si è domandato se la storia dell’influenza di Hegel sulle figure di Stefan Garczynski, Josef Kremer, Karol Libelt, Zygmut Helcel, Josef Ignaci Kraszewski, ma in particolare sulla filosofia della storia e dell’azione di August Cieszkowski e sulla filosofia della creazione di Edward Dembowski, rappresenti una continuità nell’ortodossia con il pensiero di Hegel, o se non sia piuttosto una deformazione produttiva e via via più autonoma delle premesse hegeliane di partenza. Nel senso di una medesima deformazione produttiva va interpretato anche l’intervento di Marek Siemek che, con il titolo: “Hegel: l’universalismo e il potere del particolare”, si è interrogato sul significato del concetto hegeliano di libertà per il nostro presente. Per Siemek il celebre detto hegeliano secondo cui la filosofia è il proprio tempo, colto attraverso il pensiero, va inteso nel senso che nella sua filosofia non solo il suo tempo, ma proprio anche il nostro viene «colto attraverso il pensiero». Per questo aspetto la nottola di Minerva, attraverso il cui volo Hegel vede simbolizzato il ritardo della filosofia, inizia il suo volo tanto tardi, da poter scorgere la luce del giorno all’alba. Dall’analisi, basata su Hegel, delle società dell’Europa dell’Est risulta, per Siemek, che il primato della politica sulla “società civile” e la liquidazione del diritto astratto hanno condotto alla bancarotta del socialismo reale. Per il ripristino di questi ambiti (società civile e diritto) si può allora ricorrere all’aiuto di Hegel. Con la sua critica dell’emancipazione a favore di un riconoscimento reciproco dell’eguaglianza e dell’alterità, Heinz Kimmerle ha preso posizione contro Kant, Hegel e Marx, e si è riferito a Jacques Derrida, da cui ha tratto spunto per affermare che il riconoscimento reciproco significa qualcosa di più dell’uguaglianza giuridica. Forse il grande interesse per la sezione del convegno dedicata a Derrida (J.-M. Ripalda, V. Rühle, entrambi di Madrid; H.-C. Lucas, Bochum; P.U. Philipsen, Berlino) è stato anche l’espres- DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari La filosofia e le “storie” della filosofia Riallacciandoci alla rassegna dei nuovi manuali di storia della filosofia per le scuole, svolta nel numero 3 di questa rivista, segnaliamo qui l’uscita di due importanti lavori sul pensiero del ‘900, che si rivolgono alle università e che sollecitano una riflessione sui compiti più generali della storiografia filosofica. Alla celebre Storia della filos o f i a in tre volumi di Nicola Abbagnano si affianca ora un quarto volume (Storia della filosofia, IV, Utet, Torino 1991, pp. 964), che reca ancora l’indicazione del nome del filosofo recentemente scomparso, ma la cui esecuzione è stata affidata all’allievo Giovanni Fornero, che si è avvalso della collaborazione di F. Restaino e L. Lentini. Antimo Negri ha curato per la Casa editrice Marzorati la pubblicazione dei primi due volumi di un’opera prevista in cinque volumi e dedicata ai protagonisti del pensiero filosofico e scientifico contemporaneo (Novecento filosofico e scientifico. Protagonisti, vol. I, pp. 884, vol. II, pp. 930, Marzorati, Milano 1991). Non si trattava di un impegno facile, aggiornare con un quarto volume, dedicato interamente al pensiero contemporaneo, la Storia della filosofia di Nicola Abbagnano, un’opera che per le sue doti di completezza dell’informazione e di equilibrio nell’interpretazione dei filosofi ha conosciuto un’amplissima diffusione nelle Facoltà universitarie di filosofia. Da essa Abbagnano aveva già tratto un manuale che, in una recente versione rinnovata e aggiornata grazie anche alla collaborazione di Giovanni Fornero, ha trovato in questi ultimi anni una larga fortuna nei licei (cfr. Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Filosofie e filosofie nella storia, in tre voll., Paravia, Torino, 1a ediz. 1986). Il quarto volume dell’edizione maggiore della Storia della filosofia, a cui Abbagnano aveva atteso negli ultimi tempi, ma la cui effettiva esecuzione è dell’allievo e collaboratore G. Fornero, ha suscitato alcune prese di posizioni negative da parte di filosofi e studiosi, che non vi hanno ritrovato quelle caratteri- stiche di apertura intellettuale sulla totalità dei fatti filosofici e di equilibrio nella trattazione della materia, nella valutazione degli autori e delle correnti, che invece contraddistinguevano i precedenti volumi scritti dal maestro. In un articolo dai toni polemici: Un paese senza filosofia. Bobbio, Del Noce, Garin, Geymonat: chi li ha visti? (“Corriere della sera”, 9 giugno 1991), Emanuele Severino accusa esplicitamente Fornero di avere svolto una lunga compilazione, da cui è stata sistematicamente esclusa ogni informazione sulla filosofia italiana contemporanea, che risulterebbe dunque declassata rispetto a quella straniera. Se sono stati riservati alcuni riferimenti ai filosofi italiani, questi compaiono per lo più solo in bibliografia o solo in quanto studiosi del pensiero di filosofi stranieri. In realtà, dalla lettura del volume curato da Fornero deriverebbe l’impressione che non hanno lasciato alcuna traccia nel pensiero contemporaneo filosofi come Spirito, Calogero, Garin, e inoltre Bobbio, Rensi, Paci, Preti, oppure Guzzo, Bontadini, Del Noce e molti altri tra cui lo stesso Abbagnano (fa eccezione solo Pareyson). «Il risultato è che da questa Storia della filosofia ... risulta che la filosofia italiana più recente non ha dato alcun contributo all’avanzamento del pensiero filosofico». Con la sostanza di questa critica, cioè di far “sparire” la filosofia italiana contemporanea dall’opera di Abbagnano, si dichiara d’accordo anche Ludovico Geymonat nella sua replica: Cari colleghi, nessuno è un profeta in patria (“Il sole 24 ore”, 16 giugno 1991), in cui il filosofo dichiara come recentemente, dinanzi al compito di aggiornare il suo manuale per i licei, gli fosse sembrato importante includervi anche i nomi dei maggiori esponenti del pensiero italiano contemporaneo del dopoguerra; un compito analogo egli se lo porrebbe se dovesse aggiornare la grande Storia del pensiero filosofico e scientifico della Garzanti, in considerazione del contributo tutt’altro indifferente fornito dai filosofi italiani all’avanzamento del pensiero filosofico-scientifico del nostro secolo. L’esclusione da parte di Fornero della filosofia italiana contemporanea risalirebbe, secondo Geymonat, alla moda, diffusa quanto mai oggi in Italia, per cui «tutti i meriti vanno riconosciuti ai Paesi coloniz- zatori non più di lingua francese come una volta, ma di lingua americano-inglese». La “difesa” di Fornero è contenuta in due prese di posizione: in una presentazione delle finalità del suo lavoro (“Sole 24 ore”, 9 giugno 1991: la pagina è interamente dedicata alle “Storie della filosofia”) e in una replica diretta alle accuse di Severino (“Sole 24 ore”, 30 giugno 1991). Le argomentazioni di Fornero gravitano nella sostanza intorno a due punti. In primo luogo egli sottolinea come Abbagnano (che aveva approvato il piano e l’esecuzione dell’opera) non ritenesse opportuno - lui vivente - di «collocare se stesso e i suoi amici o ex-colleghi cattedratici nella propria storia della filosofia». Ciò non toglie che in futuro i suoi allievi potranno parlare anche di Abbagnano e della filosofia italiana del dopoguerra. Ma, precisa Fornero, «non abbiamo alcuna intenzione di collocare, accanto a Gadamer, Popper e Derrida, tutti i fratelli filosofi d’Italia»: la Storia della filosofia è infatti costruita per autori e correnti di rilievo internazionale e intende dare rilievo pertanto solo a quelle figure di filosofi che hanno oggettivamente inciso sulla problematica contemporanea. Emerge qui il secondo punto delle argomentazioni di Fornero: l’espressione “filosofia contemporanea” non va intesa semplicemente come sinonimo di “filosofia odierna”. La scelta di omettere dal IV volume la trattazione del pensiero di alcuni autori italiani nasce dall’esigenza di distinguere dalla filosofia contemporanea «ciò che, per ora, è più “cronaca” che storia vera e propria». Al di là dei toni polemici e a tratti risentiti di questo “botta e risposta” fra Severino e Fornero, ci sembra di cogliere qui un punto meritevole di approfondimento: quello che riguarda i confini, quanto mai difficili da stabilire perché mobili, tra ciò che è ancora soltanto attualità e ciò che deve e può trovare una collocazione in una storia del pensiero contemporaneo, la quale non può peraltro prescindere dagli apporti non marginali dei filosofi italiani del dopoguerra. Il dibattito suscitato dalla pubblicazione del IV volume della Storia della filosofia di Abbagnano, ha dato adito ad altri interventi sulle recenti iniziative in campo editoriale dedicate alla storia della filosofia, fra cui si segnalano due recensioni di DIDATTICA Studente nel proprio studio. Incisione del 1660 circa. DIDATTICA Umberto Galimberti e di Maurizio Ferraris (“Sole 24 ore”, 9:6 giugno 1991) dei recenti manuali di E. Berti e di E. Severino (sui quali abbiamo già riferito nel numero 3 della rivista). Cogliendo una medesima occasione, Antimo Negri ha presentato i caratteri e le finalità di Novecento filosofico e scientifico. Protagonisti, i cui primi due volumi sono già in libreria. L’obiettivo principale di quest’opera è stato quello di «immetterci, con i protagonisti del pensiero filosofico e scientifico del Novecento..., in un mondo delle cose e degli uomini che, nonostante la sua vastità, con i grandi mezzi di comunicazione di massa, è diventato, tuttavia, un “villaggio globale”». Per la verità non si tratta di due “mondi” da separare o da contrapporre, giacché si tratta «di un unico mondo fondamentale» e la conoscenza del mondo delle cose comporta quella del mondo degli uomini o, per dirla in una formula più energica, «l’antropologia è cosmologia e la cosmologia è antropologia». Se la filosofia vuole essere «comprensione del tutto», essa peraltro esige (secondo le parole di Ugo Spirito, che Antimo Negri richiama) una «corona di scienziati concordi», da ultimo «intenti allo stesso compito antropologico»: quello, socratico, di conoscere l’uomo. A ciascuno dei “Protagonisti” del pensiero filosofico-scientifico del ‘900 è stato riservato un capitolo monografico curato da uno specialista e articolato in tre momenti: un profilo critico, una nota bio-bibliografica, una scelta di testi. Ciascun filosofo riceve pertanto una trattazione autonoma, anche quando questa risulta inserita in un insieme di capitoli organizzati con riferimento ad una corrente o a un problema e preceduti da un breve discorso introduttivo. La materia complessiva appare distribuita in due parti: 1. Correnti ed itinerari teoretici; 2. Filosofia: altre sue forme, tematiche, dimensioni. Particolare attenzione è stata dedicata alla scelta dei testi, alcuni dei quali presentati per la prima volta in traduzione italiana. Interventi, proposte, ricerche Nell’editoriale di apertura del n. 1 di «Nuova Secondaria» (15 settembre 1991, anno IX, Editrice La Scuola), Evandro Agazzi affronta il problema del significato della presenza della filosofia nei curricoli della nuova secondaria superiore. Sullo stesso numero della rivista, Luciana Vigone, segretario generale della Società Filosofica Italiana, affronta il problema della specificità dell’insegnamento filosofico nei licei. E’ noto come il progetto di riforma della scuola secondaria superiore approntato dalla Commissione Brocca prevede che la filosofia, come tale o come «filosofia di...» (della scienza, dell’economia e del diritto), sia presente in tutti gli indirizzi del triennio. A questo proposito Evandro Agazzi rileva come non si sia trattato soltanto di «liceizzare» gli istituti tecnici, e in generale di qualificare in senso fortemente culturale la scuola secondaria, ma anche di rispondere alla crescente «domanda di filosofia» che, nei sondaggi di opinione effettuati fra i giovani, risulta essere la disciplina più richiesta. E’ ovvio che il ruolo della filosofia nel nuovo ordinamento degli studi superiori non può ridursi a quella vecchia immagine che la vedeva come una sorta di «coronamento» della formazione umanistica. Oggigiorno il giovane si sentirà interessato alla filosofia «nella misura in cui verranno poste in evidenza e analizzate situazioni antinomiche nelle quali egli si sente coinvolto a vari livelli della sua esperienza individuale, sociale, culturale; nella misura in cui verrà portato alla consapevolezza delle ragioni di tali difficoltà, alla riflessione sulla complessità delle valutazioni e dei presupposti, quasi sempre inespressi, che sottostanno alle varie alternative che egli stesso si propone, o che gli vengono proposte dai canali della comunicazione sociale (...); nella misura in cui verrà aiutato a comprendere le conseguenze implicite nelle diverse posizioni e nelle scelte alternative che potrebbe compiere». In quanto poi la filosofia può riflettere sui fondamenti delle varie discipline, non per prevaricare sulla loro specificità, ma ponendosi in un certo modo al servizio di queste discipline, essa corrisponde in pieno alle esigenze della formazione del giovane, consentendogli di sfruttare per davvero e a fondo il contributo culturale dei vari saperi. Alla domanda diffusa di motivare e di giustificare l’importanza della filosofia nei curricoli degli studi, Luciana Vigone risponde mettendo in luce il significato etico e formativo della filosofia nel mondo odierno, dove si richiede anzitutto che i giovani acquisiscano in primo luogo la «capacità di apprendere» nonché di «ragionare eticamente». Se è vero che l’«empirismo utilitarista» risulta nocivo all’istruzione e alle stesse professioni, la scuola non può rinunciare al compito di far acquisire ai giovani un atteggiamento razionale di fondo e una coscienza morale matura. L’assunto fondamentale dell’intervento di L. Vigone è la convinzione che l’insegnamento filosofico non si deve limitare a trasmettere pensieri, ma deve avviare a filosofare, a pensare. Sotto questo profilo «fare filosofia non è questione di età, bensì di capacità di riflettere su ciò che si ritiene importante»: che la filosofia possa svolgere un ruolo centrale fin dalle prime fasi del processo educativo, è una tesi che L. Vigone mutua dall’indirizzo inaugurato da Matthew Lipman, della Columbia University, e ormai noto come «Philosophy for Children». A questo proposito l’autrice richiama le esperienze svolte da E. Martens di Amburgo (cfr. «Auf dem Marktplatz»: Forum Philosophie, Compu- ter-Denken, a c. di D. Birnbacher, Th. H. Macho, E. Martens, ed. Schroedel, Hannover 1990) e a Graz, in Austria, da Daniela Camhy (cfr. D. Camhy, Wenn Kinder Philosophieren, ed. Leykam, Graz 1990). La parte conclusiva dell’articolo è dedicato a disegnare un’ipotesi di curriculum liceale di filosofia che mantiene come punto di riferimento l’attuale scansione storica dei programmi. Convegni L’Associazione per la Ricerca e l'Insegnamento di Filosofia e Storia ha programmato, in collaborazione con l’Università di Torino, un convegno nazionale per l’aggiornamento degli insegnanti sul tema: Fenomenologia ed esistenzialismo. Il convegno si svolgerà a Brescia dal 20 al 22 marzo 1992, presso la Camera di Commercio, via Luigi Einaudi 23. Il calendario di massima dei lavori è il seguente: venerdì 20 marzo: inizio dei lavori alle h. 9.00 con Presentazione da parte di Giancarlo Conti, presidente dell’Associazione; h. 9.15 - Psicologismo, antipsicologismo e origini della fenomenologia (Ettore Casari); h. 10.15 - La fenomenologia come metodo filosofico (Giovanni Piana); h. 15.00 - Fenomenologia e psicologia (Stefano Poggi); h. 16.00 - L’approccio fenomenologico ai valori (Reiner Wiehl). Sabato 21 marzo: h. 9.00 - Heidegger dalla fenomenologia all’analisi esistenziale (Valerio Verra); h. 10.00.- Il concetto di mondo della vita in Husserl (Giuseppe Semerari); h. 15.00 - era stata prevista, prima della sua improvvisa scomparsa, una relazione di Luigi Pareyson sul tema: Jaspers dalla teoria delle intuizioni del mondo alla filosofia dell’esistenza; h. 16.00 - L’ultimo Heidegger (Gianni Vattimo). Domenica 22 marzo: h. 9.00 - Filosofie dell’esistenza e cultura italiana (Antonio Santucci); h. 10.30 - tavola rotonda conclusiva con la partecipazione di tutti i relatori, presieduta da Pietro Rossi, sul tema: L’eredità della fenomenologia e dell’esistenzialismo. Per iscriversi al convegno (per il quale è stato richiesto l’esonero ministeriale) occorre versare £. 40.000 sul C.C. postale 12808259 intestato a A.R.I.F.S. (c.p. 103 25100 Brescia) e inviare domanda di iscrizione, su apposito modulo e con acclusa ricevuta del versamento, a A.R.I.F.S. - casella postale 103 - 25100 Brescia. Per informazioni telefonare al 030/57341 dalle 18 alle 19 dei giorni feriali (esclusi i prefestivi). Agli iscritti verranno inviate informazioni su alberghi e ristoranti. Il termine delle iscrizioni è il 15 dicembre. DIDATTICA Si è svolto a Lubecca (RFT) dal 26 al 28 settembre il convegno regionale dell’Associazione degli insegnanti di filosofia sul tema: filosofia politica nel quadro europeo. Hanno preso la parola H.C. Rauh (Sulla politicizzazione della filosofia nella DDR), E. Martens (Democrazia e filosofia. Socrate e Rorty), Rohbeck (La filosofia politica di H. Arendt), Schneider-Valand (Nazionalità e sovranazionalità come problema filosofico), R. Brandt (La filosofia politica dell’illuminismo), W.F. Haug (La filosofia politica nel terzo Reich), R. Schränder (Il significato e i compiti della filosofia in Germania). Informazioni: Fachverband Philosophie, Landesverband Schleswig-Holstein, Faru Jutta Kähler, Adolfplatz 1, D-2400 Lübeck. Organizzato dalla Società Filosofica Romana e dal Dipartimento di Filosofia e teoria delle Scienze Umane dell’Università di Roma “La Sapienza” si è svolto a Roma nei giorni 4-5-6 aprile un convegno che aveva come proposito quello di discutere i problemi connessi all’insegnamento della filosofia nella scuola media superiore e nell’Università. Hanno preso parte al convegno filosofi italiani (Franco Bianco, Giuseppe Semerari, Pietro Rossi, Carlo Sini) e filosofi stranieri, rappresentanti delle maggiori aree culturali dell’Europa: la Francia con Paul Ricoeur, l’Austria con Rudolf Haller, l’Inghilterra con Brian MacGuinnes. Ha aperto i lavori Franco Bianco che ha sottolineato la sollecitazione proveniente dagli insegnanti di filosofia della scuola secondaria a ripensare insieme con i colleghi dell’Università i problemi della ricerca e della didattica della filosofia. Ricorda così che questo è il cuore stesso della filosofia nella sua origine socratica, dove il rapporto dialogico, nella parità dei dialoganti, manifesta l’intrinseca unità di ricerca filosofica e di insegnamento della filosofia. Quest’ultimo non deve essere inteso, infatti, come trasmissione di nozioni in sé compiute, ma come sollecitazione a riflettere. Rudolf Haller ha iniziato la sua relazione ricordando la trasformazione che nei secoli ha subito il ruolo della filosofia, che da madre di tutte le scienze sembra ora avviarsi sulla via del tramonto, avendo perso la sua rigorosità. Di fronte all’odierna anarchia dei sistemi filosofici, il filosofo austriaco propone di partire dal relativismo, non però per rimanere in una giungla di opinioni, ma per aiutare lo studente ad orientarsi in essa, a fare delle scelte proprie alla luce della giustificazione, l’unico criterio che rende una teoria “vera”. Secondo Giuseppe Semerari, invece, il punto di partenza dell’insegnamento filo- sofico non può che essere la meraviglia, madre della filosofia. Ha raccontato così la sua esperienza di studente, di insegnante di liceo e di professore di filosofia all’Università; ha ricordato l’opera decostruttiva del testo di scuola che ha appreso dal suo insegnante liceale, del groviglio di opinioni che si trasmettono nei testi scolastici a discapito di quello che ha veramente detto l’autore. Le sue indicazioni sono dunque di partire dalla vita e da ciò che ci circonda, secondo l’insegnamento socratico a cui siamo debitori prima di essere degli storici della filosofia. Pertanto l’insegnante potrà direttamente dirigere l’attenzione verso l’opera di un filosofo del nostro mondo, e a partire da lì allargare poi in un orizzonte storico le problematiche. Completamente diversa è la prospettiva di Pietro Rossi, che difende l’insegnamento storico della filosofia, non perchè sia ancora valida la teoria idealistica gentiliana, ma perchè nonostante tutto è l’unica forma di insegnamento che permette una certa rigorosità. La prospettiva sociologistica o psicologistica, che son pur andate di moda alcuni anni fa, a suo avviso riescono solo a creare degli sbandati alla luce di una pretesa concezione dei bisogni dell’adolescente. E’ allora evidente che la filosofia non deve essere insegnata in tutti i curricula, ma rimanere terreno di specialisti o di futuri specialisti, che apprendono come accostare l’eredità che ci è stata tramandata. La prima giornata si è conclusa con una relazione di Brian McGuinnes, che ha trattato dei problemi connessi alla scissione dell’insegnamento sistematico dai problemi storici della filosofia, e con un’ampia discussione sull’insegnamento universitario della filosofia nei diversi paesi rappresentati. La seconda giornata è stata dedicata ai problemi della nuova scuola. Beniamino Brocca, presidente della Commissione per la riforma dei programmi della scuola secondaria superiore, ha illustrato i nuovi programmi che prevedono l’insegnamento della filosofia in ogni tipo di scuola: come filosofia della scienza sarà infatti introdotta anche negli studi tecnici. Lorenzo Vigna del Ministero della Pubblica Istruzione ha presentato da una parte la storia della normativa didattica della filosofia, dall’altra l’effettiva realizzazione di tale insegnamento come si può appurare dai concorsi per il reclutamento degli insegnanti e dagli esami di maturità. Giancarlo Conti, Gianna Di Caro, Annalisa Miletti, Elena Picchi Piazza, rappresentanti di varie associazioni degli insegnanti, hanno poi presentato le loro proposte riguardo alla necessità di un continuo aggiornamento degli insegnanti, riguardo alle finalità e ai metodi dell’insegnamento della filosofia. In ultimo è stata presentata una mozione che sottolinea l’arretratezza delle proposte ministeriali rispetti ai dibattiti che in questi anni si sono svolti nelle Università sull’argomento. Dalla discussione è emerso un certo malcontento fra gli insegnanti, che hanno ribadito come impegno dell’insegnamento del- la filosofia la formazione umana e civile dei giovani. “Come insegnare filosofia” è stato poi il tema di una tavola rotonda a cui hanno partecipato Paolo Casini, Carlo Cellucci, Ugo Perone, Armando Rigobello e Anna Scheri Costantini. Centro della discussione sono stati i nessi problematici tra storicismo e insegnamento della storia della filosofia. Paolo Casini ha evidenziato il lungo cammino dell’emancipazione delle scienze dalla filosofia. Egli ritiene che la filosofia non può essere praticata a prescindere da questo evento, ma aggiunge che l’emancipazione non è totale e che troppo spesso lo scienziato ignora gli aspetti storico-metodologici delle teorie odierne. Compito dell’insegnamento filosofico è allora di non avviare a degli specialismi, ma di infondere cultura ai futuri specialisti. Carlo Cellucci ha sottolineato l’aspetto ideologico dello storicismo, che è tutt’altra cosa dalla storia della filosofia. Armando Rigobello ha evidenziato come anche l’insegnamento della storia della filosofia parta dal presente e dalla problematica propria per sospenderla e incontrare l’altro da sé e ritrovare poi se stessi alla fine. Ugo Perone propone, per evitare ogni dogmatismo nell’insegnamento, un punto di equilibrio che salvi alcuni contenuti essenziali della filosofia, come per esempio il problema della verità e tutte le problematiche nascenti dal confronto con l’attualità. ma questo non può essere insegnato che in uno sfondo storico (non storicistico). Hanno concluso il convegno due relazioni teoriche, quella di Paul Ricoeur e quella di Carlo Sini, che hanno discusso i complessi rapporti tra filosofia e storia della filosofia. Ricoeur ha affermato che la storia della filosofia fa parte integrante della filosofia stessa, a patto però di non dare una valenza univoca al concetto di storia della filosofia, come per esempio fa Heidegger. Nella storia della filosofia è possibile invece cogliere la polisemia profonda che emerge nei sistemi ogni volta diversi. La filosofia vive della tensione tra l’ambizione alla verità, che vuole cogliere in sistema tutto il reale, e la storicità che ridimensiona queste pretese. Occorre dunque che si rifletta storicamente, ma si sappia pensare filosoficamente. Conclude con indicazioni pratiche per l’insegnamento, dove a suo avviso l’esperienza storica agevola a rendere trasparente la propria pre-comprensione. Carlo Sini, infine, sottolinea la differenza tra la storia della filosofia e la tradizione della filosofia, tra cultura filosofica e paideia filosofica. La storiografia, che è nata con l’enciclopedismo, sembra negare e dimenticare le sue stesse origini storiche che la relativizzano. Più originaria è invece la tradizione filosofica, che è stata affidata prima alla parola ed in seguito alla scrittura, L’indicazione di Sini è pertanto di approfondire questa differenza, per ritrovare la paideia, che si serve del passato per il futuro; allora le grandi teorie sono da abbandonare per abitare le pratiche filosofiche. P.C. NOTIZIARIO NOTIZIARIO A partire dal 1 gennaio 1990, il Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane dell’Università di Macerata è sede di un progetto triennale, finanziato dal CNR, che prevede nuove ricerche coordinate di un gruppo di studio sulla vita, la opere, il pensiero, le fonti , la fortuna di BARUCH SPINOZA. Di tale gruppo, coordinato da F. Mignini, fanno parte F. Biasutti, G. Saccaro Battisti, J. Levi, O. Proietti, L. Spruit, G. Totaro. Oltre a costituire un programma di ricerca autonomo, il Progetto Spinoza rappresenta anche il contributo italiano ad un programma internazionale a cui partecipano ricercatori francesi e olandesi. Tale programma ha come obiettivo la pubblicazione di una nuova edizione critica integrale delle opere di Spinoza, indici e concordanze di tutte le opere, documenti inediti o rari relativi al filosofo. Nel quadro di questo progetto, l’attività degli studiosi italiani si propone le seguenti finalità: una nuova edizione critica del Tractatus de intellectus emendatione, con traduzione italiana a fronte e commento; una nuova edizione e ricostruzione storica della genesi e della trasmissione delle Adnotationes al Tractatus theologicopoliticus; una nuova edizione critica del Compendium grammatices linguae hebreae; ricerche sulle fonti averroistiche ed ebraiche del pensiero spinoziano; ricerche sulla fortuna di Spinoza nel Settecento italiano; ricerche di archivio ad Amsterdam sull’ambiente e sulla vita di Spinoza; preparazione di indici e concordanze del Tractatus de intellectus emendatione, dell’Epistolario, del Tractatus theologicopoliticus. Risveglio di interesse per la figura e l’opera di CESARE BECCARIA, non solo come giurista - da segnalare una nuova edizione del Dei delitti e delle pene, a cura di Alberto Burgio e con la prefazione di Stefano Rodotà (Feltrinelli, Milano 1991), che ripropone l’opera nell’edizione critica di Gianni Francioni - ma anche come economista e uomo di governo. Si segnalano la pubblicazione di Cesare Beccaria and Modern Criminal Police (Giuffré, Milano 1991) atti di un convegno organizzato dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, dedicato all’influenza di Beccaria sulle odierne concezioni di politica criminale, e Cesare Beccaria tra Milano e l’Europa (Cariplo-Laterza, Milano-Roma-Bari 1991), volume collettivo che porta l’attenzione, fra l’altro, sulla formazione filosofica e sulle teorie economiche di Beccaria. Da segnalare, infine, nel quadro dell’Edizione nazionale delle opere di Cesare Beccaria, la pubblicazione dei primi due volumi degli Atti di governo, a cura Rosalba Canetta (Mediolanea, Milano 1991). All’età di novant’anni, il 21 giugno, è scomparso il filosofo e sociologo HENRY LEFEBVRE. Allievo di Maurice Blondel negli anni Venti, poi marxista, Lefebvre è stato l’incarnazione tipica dell’intellettuale engagé. Marx, Hegel, poi Nietzsche i suoi punti di riferimento. Autore di Le materialisme dialectique negli anni Trenta, nel 1936 fu tra i fondatori della rivista L’esprit. Fra i testi più importanti, Critica della vita quotidiana (del 1947, tradotto in italiano nel 1961) in cui, ponendo la dimensione della quotidianità come luogo di nascita e verifica dei criteri dell’indagine storica e dell’azione politica, critica l’appiattimento, verificatosi negli epigoni degli “annalisti”, dell’una e dell’altra sulla “micro-storia”, con la rinuncia a trovare per essa un senso e una logica interpretabili. Fra le altre sue opere tradotte in italiano, Sociologia di Marx, La fine della storia. Ancora due eventi editoriali che hanno per oggetto la figura e il pensiero di JEANPAUL SARTRE. La sua biografia illustrata viene presentata nella classica serie della Pléiade da Annie Cohen-Solal: Album Jean-Paul Sartre (iconografia scelta e commentata, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Parigi 1991), mentre una interessante intervista del filosofo curata da Pierre Victor, suo ultimo segretario, è proposta dalle edizioni Verdier di Rieux en Val, unitamente ad un breve saggio di Benny Levy: Jean-Paul Sartre. L’espoir maintenant. Les entretiens de 1980 (JeanPaul Sartre. La speranza adesso. Le interviste del 1980). Simone de Beauvoir aveva accolto con molto scetticismo, all’epoca, la lettura di questa intervista che sembrava in molti punti sconfessare l’opera e il percorso di ricerca sartriano: «Ciò di cui Sartre innanzitutto non si è reso conto - valutava la Beauvoir - è che Victor l’aveva portato a rinnegarsi». Giudizio eccessivo, forse, anche se tra le righe di questi colloqui si può leggere la sconfessione dell’ateismo, una riflessione nuova sui fini messianici del marxismo o dell’ebraismo. Conclusioni che tuttavia non valgono come testamento spirituale di Sartre, che sarebbe scomparso di lì a poco, quanto piuttosto come trattazione a due voci, dove viene fatta salva la differenza tra gli interlocutori, dei temi morali che erano al centro della riflessione dell’ultimo Sartre: il rapporto tra morale e politica, la contraddizione tra le idee di scacco e di speranza. All’età di 87 anni è morto a Tubinga il pedagogo e filosofo OTTO F. BOLLNOW. Nato a Stettino nel 1903, studiò matematica e fisica prima di dedicarsi alla filosofia. Come successore di Eduard Spranger, fu chiamato nel 1953 alla cattedra di filosofia dell’Università di Tubinga. Il suo impegno primario fu la correzione della filosofia dell’esistenza (Existenz-philosophie, 1943), che egli condusse anche attraverso una critica dell’esi-stenzialismo francese, arrivando a proporre una immagine dell’uomo, fortemente segnata dall’impegno verso ciò che per l’uma-nità si rivela come un possibile positivo. Poesia, scienza, critica letteraria e mineralogia: gli interessi di ROGER CAILLOIS attraversano il mare magnum della cultura e sembrano specchiarsi in una rifrazione infinita, come certi minerali di quarzo. Sulla figura di questo intellettuale eclettico, compagno di strada di Bataille, affascinato naturalista alla ricerca della sintassi delle forme, si concentrano una serie di eventi culturali. L’Universo di Roger Caillois è il titolo di un omaggio critico che ha avuto luogo alla Sorbona a cura di Paul Verdevoyes, Laurent Jenny e Michel NOTIZIARIO Maffesoli. In questa occasione sono stati trattati i temi del rapporto di Caillois con le scienze umane, i suoi studi di mineralogia e la sua attività di appassionato “scrittore delle pietre”. Due esposizioni hanno dato forma e raccolto i materiali della sua attività di ricerca, coniugando arte e natura, accostando i saggi di Caillois ai minerali raccolti nei suoi viaggi di studio. Si segnala infine l’uscita nelle librerie di un libro di interviste a cura di Jeannine Worm, Entretiens avec Roger Caillois (Interviste a Roger Caillois, Ed. de la Différence, Parigi 1991) e l’edizione del carteggio con Jean Paulhan: Correspondance Jean Paulhan-Roger Caillois 1934-1967 (Corrispondenza tra J. Paulhan e R. Caillois 1934-1967, “Cahiers Jean Paulhan” n. 6, Gallimard, Parigi 1991). Ristabilire il luogo e il ruolo della FILOSOFIA CABALISTICA all’interno della vicenda filosofica occidentale è il non ultimo intendimento del saggio di Marc-Alain Ouaknin, Concerto pour quatre consonnes sans voyelles. Au-delà du principe d’identité (Concerto per quattro consonanti senza vocali. Oltre il pricipio d’identità, Balland, Parigi 1991). Era stato Blanchot a sottolineare come il carattere fondamentale del pensiero ebraico fosse l’erranza, l’esigenza di un percorso del sapere che non si chiudesse con il raggiungimento di una verità stabilita, ma che facesse valere l’idea del cammino come movimento giusto verso una verità nomade. La lingua ebraica si scrive senza vocali; spetta al lettore il compito di ricostruire le parole accostando le vocali alle consonanti, ricostituendo la pluralità del senso secondo l’ordine variabilissimo delle possibilità. Lo stesso processo - rivela MarcAlain Ouaknin - si rinnova nell’esegesi del testo. In ebraico «esistono delle consonanti in attesa di diventare vocali». Soltanto il nome di Dio non tollera vocali e si sottrae al gioco infinito dell’interpretazione. Un viaggio attraverso il linguaggio ed il testo della Torah, con incursioni nella filosofia classica e contemporanea, è quello a cui invita Ouaknin, rifiutando le fissazioni dogmatiche che hanno voluto separare due tradizioni culturali che non possono che arrichirsi nel confronto, «perchè - spiega l’autore - è nel giusto mezzo delle culture che nasce la ricchezza». I filosofi tedeschi prendono posizione riguardo alla questione dell’UNITA’ TEDESCA. L’ “evento epocale” della (ri-)unificazione tedesca deve rappresentare, secondo Rüdiger Bubner (Tubinga), «una provocazione per il pensiero». Bubner prende spunto dalla recensione di un recente scritto di Jürgen Habermas: Die nacholende Revolution (La rivoluzione riparatrice, 1990) e da uno di Dieter Henrich: Eine Repubblik Deutschland (Una repubblica di Germania, 1990) per difendere il concetto di nazione (“Philosophische Rundschau”, n. 38, 1991). Per Bubner i nuovi processi nell’Europa dell’Est mostrano che il desiderio di libertà non può essere nel concreto slegato da forme di vita storiche. Sul piano politico queste forme di vita sono appunto le nazioni. Se l’autodeterminazione deve avere un significato politico, deve esserci un’individualità che determini se stessa. Bubner propende significativamente in questo verso la posizione di Henrich. Il concetto di “patriottismo costituzionale”, che Habermas ha nuovamente rimesso in discussione, appare a Bubner come un concetto vuoto. Non esiste in TURCHIA una filosofia islamica. Nelle Università turche si può constatare la presenza di un alto numero di studentesse e di un ancor più rilevante numero di donne tra i docenti. E non solo: una donna siede alla presidenza della Società Filosofica Turca (“Neue Zürcher Zeitung”, 24 gennaio 1991). Izmir è l’unica Università della Turchia in cui venga insegnata Filosofia islamica, che tuttavia ha un carattere prettamente storico-filosofico e tratta in particolare l’epoca d’oro del pensiero islamico, cioè filosofi come Ibn Sina (Avicenna) e Ibn Ruschd (Averroè). Difficile trovare in questo un interesse apologetico, quanto la prova dell’esistenza di una genuina filosofia islamica all’interno del sistema odierno del pensiero. Per il resto la filosofia viene insegnata in Turchia esattamente come da noi. Molti docenti di oggi hanno studiato in Europa o in America, o si sono formati presso i tanti docenti turchi che hanno compiuto i loro studi all’estero. Vi fu un periodo che in Turchia insegnavano anche professori stranieri, come fu il caso di Joachim Ritter (19531955). In ogni modo una “filosofia islamica” che si occupi specificatamente dei problemi teologici dell’islamismo non rappresenta un particolare interesse per i filosfi turchi: il loro impegno filosofico è assorbito piuttosto dalla teoria dei diritti dell’uomo. WOLFGANG WELSCH (Bamberga) ha pubblicato una raccolta di saggi con il titolo: Ästhetisches Denken (Pensiero estetico, Reclam, Stuttgart 1990). Il significato attuale del pensiero estetico è per Welsch risultato di quella tradizione inaugurata da Kant, che vede la realtà sempre più come immaginaria, “estetica”. L’estetica viene conseguentemente compresa facendo ricorso al concetto aristotelico di aisthetica, in quanto tematizzazione di percezioni di ogni tipo. La condizione elmentare dell’estetico è dunque la capacità di percezione, vale a dire al contempo capacità di sentimento e di giudizio. Welsch vede il pensiero estetico soprattutto all’opera nei pensatori “postmoderni”. Come concetto opposto egli utilizza quello di “anestetica”, mancanza di sentimento, a cui mira la cosiddetta moderna “società della cultura”. La svolta presa dalla rivista DEUTSCHE ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHIE di Berlino Est è un chiaro indizio del profondo cambiamento in atto nella ex-DDR, nonché dei molti problemi che un tale cambiamento ha causato in campo culturale. Fondata nel 1953 da un gruppo di eminenti filosofi, Arthur Baumgartner, Ernst Bloch, Wolfgang Harich e Karl Schröter, negli anni dello stalinismo la rivista venne risucchiata sempre di più dalla propaganda ufficiale della filosofia marxista-leninista, divenendo “organo di pubblicazione” del SED, che con le sue istituzioni e i suoi membri finì con il condizionare considerevolmente la struttura della rivista. A molti collaboratori indesiderati, non conformi alla linea ufficiale della rivista, fu vietato di pubblicare, se non addirittura di esercitare la loro professione intellettuale, o, come nel caso di Harich, primo direttore della rivista, costretto nel 1956 a essere internato per più anni in un reclusorio. Tra questi “esclusi” sono da annoverare anche HansPeter Krüger, che già negli anni ’70 faceva parte di un gruppo di opposizione all’interno del partito e che oggi è stato riabilitato come direttore dell’Istituto centrale dell’allora Accademia delle Scienze della DDR, Peter Ruben, che agli inizi degli anni ’80 fu politicamente “messo al fresco”, e Camilla Warnke, che solo grazie a una massiccia protesta dei colleghi occidentali potè godere di un minimo di esistenza intellettuale tra gli storici. L’originaria ampiezza che nella sua fase iniziale aveva caratterizzato la “Deutsche Zeitschrift”, grazie anche al contributo di Bloch e Lukács, andò sempre più perdendosi negli anni successivi. Con il condizionamento dogmatico subentrò allora una quasi totale chiusura nei confronti degli sviluppi di pensiero e della produzione letteraria filosofica internazionale, in particolare tedesco-occidentale. I recenti rivolgimenti nella parte orientale della Germania hanno ora codotto la rivista a una svolta: nel novembre 1989 un gruppo di giovani e impegnati redattori si è sostituito, non senza difficoltà, ai membri del vecchio collegio direttivo, tra i quali Erich Hahn, Alfred Kosing, Wolfgang Eichhorn, Herbert Hörz, Manfred Buhr. Da allora la rivista si è progressivamente trasformata da un organo dell’ideologia marxista-leninista a rivista specialistica di settore, con intendimenti di indipendenza e di pluralismo teoretico, aperto a posizioni controverse. Questa trsformazione è stata così repentina che l’odierna “Deutsche Zeitschrift” nella sua ultima veste editoriale corrisponde già allo standard occidentale. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi ARCHIV FÜR GESHICHTE DER PHILOSOPHIE Vol. 72, n.3/1990 Walter de Gruyter, Berlin Über die Reception eines aristotelischen Begriffes bei Thomas von Aquin, di K. Hedwig: il concetto aristotelico di alter ipse e l’originale ricezione medievale che esso ha avuto, con particolare riferimento a S. Tommaso. Giordano Bruno, Matthias Aquarius und die eklektische Scholastik, di P. R. Blum: tradizionalmente Giordano Bruno appare come il filosofo platonico, seguace di Raimondo Lullo, polemico nei confronti dell’aristotelismo e della scolastica. Ma, prendendo spunto dalle tesi di Charles Schmitt, Bruno si lascia piuttosto definire, pur tra molte cautele, uno scolastico eclettico, la cui filosofia muove da metodi e problemi della scolastica. Un’ipotesi da verificare attraverso la considerazione del pensiero del domenicano Aquarius. Berkeley’s philosophy of geometry, di D. Jesseph: la riflessione di Berkeley sulla filosofia della geometria appare come un caso emblematico delle difficoltà dell’applicazione dell’epistemologia empiristica alla conoscenza matematica. Thomas von Aquin Lehre von der Liebe als menschlicher Grundleidenschaft, di P. Oesterreich. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Vol. 44, n. 3/1990 Klostermann, Frankfurt a/M “Das Wort sie sollen lassen stahn”. Zur edition und Interpretation philosophischer Texte, erläutert am Beispiel Kants, di R. Brandt. Teleologie: chance oder Belastung für die Philosophie, di J.E. Pleines: l’argomentazione teleologica ed il suo significato per la filosofia attraverso Kant, Goethe, Schelling, Hegel, Aristotele. Schellings metaphysikkritische Sprachphilosophie, di H. Rosenau. Moral und Verwirklichung, di P. Kleingeld: riflessione su alcuni temi della Critica della ragion pratica e sul suo nesso con la filosofia della storia kantiana. Philosophische Überlegungen zu “Menschenwürde” und FortpflanzungsMedizin, di B. Schöne-Seifert. THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE 66, n.1/91 Herder Verlag, Freiburg, Basel, Wien Die französischen Minoritätsbischöfe auf dem 1. Vatikanum, di K. Schatz. REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE Anno 95, n.4, ottobre/dicembre 1990 A. Colin, Paris Tema monografico della rivista: la guerra. “Charisma” Versuch einer Sprachregelung, di N. Baumert: il termine “Charisma” nella teologia: cenni allo sviluppo semantico dalla grecità al XVII secolo ed il rapporto con le questioni teologiche. Moore-Sätze, Regelfolgen und antiskeptische Strategien in Wittgensteins Über Gewissheit, di H. Lauterbach. Zur Krise der Mystagogie in der alten Kirche, di C. Jacob. dello spirito profondo della sua opera. Réflexions sur l’idée de la guerre dans la philosophie présocratique, di J. Freund: rassegna del pensiero presocratico sulla guerra, includendo tra i presocratci anche i sofisti. Le partage des philosophes, di P. Soulez. Relativité et quanta: leurs mutuelles exigenses et les corrélations d’EinsteinPodolsky-Rosen, di O. Costa de Beauregard. REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE Anno 95, n.1, gennaio/marzo 1991 A. Colin, Paris Tema della rivista é il libro di J. L. Marion: Réduction et donation. Recherches sur Husserl-Heidegger et la phénoménologie (Paris, PUF 1990), a cui sono dedicati i seguenti articoli: Quatre principes de la phénoménologie, di M. Henry; L’Appel et le Phénomène, di F. Laruelle; L’herméneutique dans la “phénoménologie comme telle”, di J. Greisch; Rèponses à quelques questions, di J. L. Marion; Le sujet en dernier appel, di J. L. Marion. Les causes de la mort, di B. Saint-Sernin: recensione di A. Fagot-Largeault: Les causes de la mort. Histoire naturelle et facteurs de risque (Paris/Lyon, Institut interdisciplinaire d’études épistémologiques 1989). Complication et singularité, di C. Frémont: recensione di G. Deleuze: Le pli (Paris, Ed de Minuit 1989). Le stratège militaire, di L. Poirier. Le droit de l’etat et le devoir de l’individu, di O. Pfersmann: la questione etica ed il problema della guerra nucleare; la necessità di estendere il regime democratico. Clausewitz ou l’oeuvre inachevée: l’esprit de la guerre, di A. Philonenko: l’opera sistematica di Clausewitz si colloca all’interno della cultura dell’idealismo: esame LES ETUDES PHILOSOPHIQUES ottobre/dicembre 1990 PUF, Paris Tema della rivista: psicologia e filosofia. Le problème de l’intentionalité de la conscience:”vécu intentionnel” ou “esse in- RASSEGNA DELLE RIVISTE tentionale”?, di L. Millet: le analisi di Husserl sull’intenzionalità della coscienza. Une approche profane de la psycologie clinique, di M. Jouhaud. Le corp comme étranger intime, di F. Rouger: il corpo rappresenta una sorta di Crux phenomenologica e le difficoltà circa un’esatta interpretazione della corporeità emergono in Husserl anche a livello lessicale; sia nella teoria dell’esistenza, sia nell’analitica del Dasein, neppure Heidegger prende in considerazione il fatto dell’esistenza corporea. A partire da queste difficoltà viene esaminata la molteplicità delle dimensioni ontologiche del corpo , il concetto di corpo trascendentale e la sua apertura al mondo. Tema monografico della rivista: Descartes, Spinoza, Leibniz. Les sens trompeurs. Usage cartésien d’un motif sceptique, di J.P. Cavaillé: Cartesio e le argomentazioni scettiche sui sensi ingannatori; l’utilizzo delle armi scettiche per criticare lo scetticismo stesso. L’habitude, activité fondatrice de l’existence actuelle dans la philosophie de Spinoza, di L. Bove. La substance composée chez Leibniz, di J. F. Chazerans. La Phénoménologie aujourd’hui, di A. Himy: questioni di fenomenologia in M. Henry, Phénoménologie matérielle (PUF, Paris 1990). La fausse reconnaissance, le pressentiment et l’inquiétante étrangeté, di A. Vinson: Freud, Bergson e la concezione del presentimento. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER Jan Patocka, critique de Husserl, di J. Sivak: una lettura metafisica della fenomenologia husserliana. Tema della rivista: caos, filosofia, mitologia. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES gennaio/marzo 1991 PUF, Paris Tema della rivista: fenomenologia e psicologia cognitiva. Husserl et les sciences cognitives, di H. L. Dreyfus: lo sviluppo della teoria dell’intenzionalità e l’anticipazione husserliana della psicologia cognitiva; il solipsismo metodologico come preludio all’intelligenza artificiale. n.2, aprile/giugno 1991 La philosophie du chaos, di A. Boutot: principi della teoria moderna del caos nelle sue implicazioni epistemologiche e filosofiche. Philosophie et mythologie dans la dernière philosophie de Schelling, di M. Maesschalck. Traduction nouvelle des Meditationes de Descartes, di J.L. Chedu: la nuova edizione delle Meditationes de prima philosophia (1641), curata da M. Beyssade (Paris, Le livre de poche 1990). Husserl et la théorie représentationelle de l’esprit, di R. Mc Intyre: recensione critica del libro di H.L. Dreyfus: Husserl, intentionality and cognitive Science (Cambridge, A. Bradford Book 1982). REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER L’épiphénoménologie de Husserl , di H.L. Dreyfus: risposta al precedente articolo di Mc Intyre. L’horizon philosophique de Pierre Charron, di M. Adam. Le concept husserlien de noème, di R. Bernet. Quelques remarques sur la lecture cognitiviste de Husserl, di E. Rigal. n.3, luglio/settembre 1991 Tema della rivista: Charron, Pascal, Huet. Pascal critique des philosophes, Pascal philosophe, di H. Bouchilloux: qual’é il rapporto tra Pascal e la filosofia? E’ possibile individuare, nella molteplicità di interessi, scientifici, apologetici, teologici, che animano i Pensieri, una riflessione propriamente filosofica , critica più che sistematica? REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER Descartes censuré par Huet, di G. Malbreil. n.1, gennaio/marzo 1991 P.U.F., Paris Phrases nominales énonciatives et phrases verbales, di G. Stahl. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol.89, Febbraio ’91 L’institut supérieur de philosophie Louvain La Neuve Gli articoli di questo numero sono il risultato di un progetto, promosso e voluto dal presidente dell’Institut supérieur de philosophie, Jean Ladrière, centrato sul tema: “critique du modèle industiel de développement”; questo progetto si é sviluppato attraverso seminari, ricerche, incontri tra il 1986 ed il 1989 che approdano ora alla rivista: la prima parte é dedicata al tema della società industriale, la seconda al tema della società moderna. De la critique de la société indistrielle à la critique de la modernité,di J. Landrière: le motivazioni che hanno ispirato la tematica in oggetto, il “modello industrial”, la prospettiva filosofica relativa a questo tema. Le modèle industriel comme modèle énergétique, di A. Berten: natura e tecnologia della società industriale. Maîtrise, marchéet societé industrielle, di P. Van Parijs: le modalità economiche connesse alla societa industriale. La critique du modèle industriel comme histoire de la rareté, di H. Achterhuis; Le genre vernaculaire ou la nostalgie de la traditions, di A. Berten: entrambi questi articoli sono dedicati al pensiero di Ivan Illich, uno dei critici più radicali della società industriale. Modernité et postmodernité: un enjeu politique, di A. Berten: il dibattito relativo alla modernità ed alla postmodernità nella filosofia attuale. La pensée de Rawls face au défi communautarien, di P. Ireogbu; Au-delà de la critique communautarien du libéralisme? Da Alasdair MacIntyre à Stanley Hauerwas, di J Van Gerwen; L’être de l’humain. Notes sur la tradition communautarienne, di J.M. Chaumont: questi tre articoli fanno il punto sulla critica della società moderna, quale proviene dai pensatori “communautariens” contemporanei. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 89, maggio 1991 L’institut supérieur de philosophie Louvain La Neuve La transformation de la philosophie de Platon dans le “Prologos” d’Albinus, di A. B. Netschke-Hentschke: l’introduzione ai dialoghi platonici di Albinus testimonia una solida interpretazione sistematica, se- RASSEGNA DELLE RIVISTE condo la quale i dialoghi platonici sarebbero fonte di un insegnamento completo che tende a Dio come fine supremo. Essai sur le développement historique de la voie phénoménologique, di M. Maesschalck: la fenomenologia posthusserliana e il ritorno di Merleau-Ponty a una posizione metafisica della coscienza. L’inspiration aristotélicienne de la métaphysique de Bergson, di R. Waszkinel: lo scritto di Bergson dal titolo Quid Aristoteles de loco senserit é fondamentale per comprendere il punto centrale della metafisica positiva bergsoniana, cioé la questione del tempo come durée réelle. Bibliographie de Paul Ricoeur (19851990), di F. Vansina. L’actualité de la pensée politique hégélienne selon Henri Denis, di G. Gerard: recensione di H. Denis: Hegel penseur politique (Lousanne, l’Age d’Homme 1989). La critique du langage comme éthique philosophique. A propos d’un livre récent, di M. Maesschalck: recensione di J. P. SaintFleur: Logiques de la représentation: Essai d’épistémologie wittgensteinienne (Louvain-La-Neuve, Academia 1988). Travaux récents sur la pensée du XIII siècle, di F. Van Steenberghen. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 54, n. 2, aprile/giugno ’91 Beauchesne, Paris Du libre arbitre selon S. Thomas D’Aquin, di M. Corbin: due definizioni di libertà, inconciliabili tra di loro, hanno dato forse origine alle posteriori divisioni della Chiesa; in accordo con la Patristica e la teologia, libertà é il solo potere di dire sì a Dio; in accordo con Aristotele ed il razionalismo la libertà é facoltà indifferente al sì ed al no. Le temps du souffrir. Remarques critiques sur la phénoménologie de Michel Henry, di J. Porée. L’esthétique de John Dewey et le contexte urbain, di W. J. Gavin: i differenti aspetti della nozione di “contesto”, riferita a Dewey; la biografia del filosofo, considerata con particolare attenzione al passaggio da un contesto agricolo (Vermont) ad uno urbano (New York); la filosofia di Dewey come riflessione critica sulle preoccupazioni ed i valori di una comunità specifica; le concezioni di Dewey applicate a “la città come contesto” e le nozioni di spazio e tempo. Verbum-Signum. La définition du langage chez S. Augustin et Nicolas de Cues, di J. Hennigfeld: già nella filosofia greca sul linguaggio era presente il conflitto tra naturalità ed arbitrarietà del rapporto tra parole e cose; S. Agostino, la cui posizione é emblematica dell’atteggiamento medievale sul problema del linguaggio, eredita tale conflitto e vede da un lato la parola umana come puro segno che non contribuisce alla conoscenza delle cose, dall’altro la produzione del linguaggio interiore come fonte della più alta immagine della Trinità divina e del Verbum Dei. Cusano nel suo scritto Idiota de mente giunge ad una sintesi di questa dualità. Le kantisme de la théorie cantorienne de l’infini, di A. Bachta: il legame CantorKant a proposito della definizione delle condizioni di possibilità ed esistenza dell’infinito. concept of authenticity, di D. BertholdBond: una delle questioni centrali di Essere e Tempo, questione oscura e lungamente dibattuta fra gli studiosi, é costituita dal rapporto tra essere inautentico ed essere autentico. Questo problema viene qui rivisitato alla luce del pensiero di Kierkegaard in una chiave di lettura heideggeriana. Kant’s first analogy revisited, di G.E. Buessen: quest’importante argomentazione della Critica della ragion pura kantiana viene riesaminata al fine di dimostrare, contrariamente ai recenti esiti della critica, che tale argomentazione non risulta nè confusa, nè incompleta, come generalmente si crede. Prudence and providence: on Hobbes’s theory of practical reason, di A.S. Hance. Nelle pagine finali della rivista figura il “Bollettino di studi hobbessiano” per il 1989. From philosophy to politics:on Nietzsche ‘s ironic metaphysics of will to power, di E. Parens: il pensiero politico di Nietzsche e il legame essenziale con la sua filosofia a partire da Al di là del bene e del male. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE To tell a good tale: kierkegaardian reflections on moral narrative and moral truth, di J.S. Turner. n. 175, 4/’90 e n. 176, 1/’91 Universa, Wetteren Questi due fascicoli della rivista contengono una serie di articoli dedicati alla Critica del giudizio (1790-1990). La réflexion dans l’ésthétique kantienne, di J. F. Lyotard; Kants “Reflexionen zur Ästhetik”. Zur Werkgeschichte der “Kritik der ästhetischen Urteilkraft”, di M. Frank; Nomologie et anomie: lecture de deux antinomies, di V. Zanetti; Quelques remarques sur la composition de la Dialectique de la faculté de juger téléologique, di J. Kopper; Nature’ song, di J. Sallis; Aesthetic liberalism: Kant and the ethics of modernity, di A.J. Cascardi: la funzione etica dell’arte a partire da un ripensamento della categoria di “liberalismo estetico” che Kant fonda nella Critica del Giudizio in contrasto con i convenzionali tentativi dell’estetismo liberale di stabilire il valore della letteratura e delle arti; Kant, community and the evil poem, di S. Kemal: la relazione tra soggetto e comunità nel giudizio estetico da un punto di vista morale; Kants Logik der Synthesis, di G. Funke; Kant und Wittgenstein, di C. Stetter; Der Übergang vom Bestimmt-Bestimmenden zum freien Schema in Kants Kritik der Urteilskraft, di F. Kaulbach. MAN AND WORLD Vol.24, n.2, aprile ’91 Dordrecht, Boston, London Kluwer Academic Publishers A kierkegaardian critique of Heidegger’s Ist die Naturphilosophie eine abgelegte Gestalt des modernen Geistes?, di R. Wahsner: la filosofia della natura ha ancor oggi un senso? The other comes to teach me: a review of recent Levinas publications, di R. Gibbs: recenti pubblicazioni in lingua inglese di antologie di Lévinas. J.B.S.P. Vol 22, n. 2, maggio ’91 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: psicoanalisi, emozione e mito. Phenommenology and psychoanalysis: the hermeneutical mediation, di R. Sundara Rajan: l’ermeneutica come possibile medium tra fenomenologia e psicoanalisi. La referenza fenomenologica come modo per descrivere l’esperienza psicoanalitica di essere nel mondo; l’analogia tra le libere associazioni della psicoanalisi e la riduzione fenomenologica; l’”epoché psicoanalitica”. Accanto a queste analogie, vengono anche riscontrati elementi di differenza, in particolare nel concetto di riflessione. Governance by emotion, di R. T. Allen: l’importanza dell’emozione nell’agire umano. La proposta di una versione modificata della tavola di Stephen Strasser sulla relazione tra azione ed emozione. RASSEGNA DELLE RIVISTE Husserl and Hume: overcoming scepticism?, di R. T. Murphy. Heidegger and myth: a loop in the history of Being, di L. J. Hatab: le connessioni tra il pensiero post-filosofico di Heidegger ed il mito pre-filosofico greco. Heraclitus: Heidegger’s 1944 lecture held at Freiburg University, di M. S. Frings: il recupero heideggeriano del fondamento della logica nel pensiero presocratico. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXIX, n. 1, gennaio ’91 Washington University, St. Louis THe intelligible world-animal in Plato’s Timaeus, di R. D. Parry. Spontaneity and the generation of rational beings in Leibniz’s theory of biological reproduction, di D. C. Founke. Moral imagination, objectivity and practical wisdom, di J. Jacobs: immaginazione morale nella letteratura e nella filosofia contemporanea. Eliminative materialism and substantive commitments, di M. T. Nelson. Nietzsche’s use of atheism, di R.A. Roth: benchè l’immagine di un Nietzsche sostenitore dell’ateismo venga generalmente accolta, é tuttavia innegabile il suo profondo interesse per la religione. Per comprendere questa apparente contraddizione occorre compiere una reinterpretazione dell’ateismo nietzscheano tenendo presente il contesto in cui si sviluppa il suo pensiero, delineando accuratamente la differenza tra morte di Dio ed ateismo, esaminando le sue dichiarazioni di ateismo alla luce dell’ateismo nella storia della filosofia, con particolare riguardo a Schopenhauer. Kierkegaardian transitions: paradox and pathos, di M. J. Ferreira. Corpuscles, mechanism and essentialism in Berkeley and Locke, di M. Atherton: le posizioni contraddittorie che emergono all’interno delle opere dei due filosofi a proposito del meccanicismo corpuscolare. Deconstructing Lonergan, di R. H. McKinney. John Stuart Mill on induction and Hypotheses, di S. Jacobs: seguendo un cammino opposto a quello della maggior parte degli studiosi, l’articolo vuole tentare un recupero accurato delle oscillazioni interne all’opera di Stuart Mill a proposito dei metodi scientifici. E’ opinione comune che Mill sia, da un punto di vista epistemologico, un induttivista. Ma la sua visione della natura sembra piuttosto fondarsi sul concetto di ipotesi come origine delle leggi scientifiche. Reply to Chmielewski: cooperation by definition, di D. Gordon: replica all’articolo di P. J. Chmielewski, Economic partecipation: the discours of work (“International philosophical quarterly”, XXX, 1990, pp 331-342). Hume’s “Of miracles”, Peirce and the balancing of likelihoods, di K.R. Merrill: il metodo humeano come applicazione del calcolo delle probabilità e l’avversione di Peirce al metodo di Hume. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXI, n. 1, marzo ’91 Fordham University, New York Kant, teleology and sexual ethics, di V.M. Cooke: il ruolo della dottrina delle teleologia per l’etica kantiana e le implicazioni di etica sessuale. The postmodern flavor of Blondel’s method, di F. Long: le tematiche postmoderne presenti nell’opera di Blondel; il problema della percezione dell’ermeneutica postkantiana; la questione sul luogo del Sè; la sfida della vita umana di fronte alla scienza contemporanea. possibili punti di incontro tra la dottrina della causalità di Aristotele e quella dell’indiano Sankara. Habermas on Heidegger’s Being and Time, di R. C. Scharff. How is philosophy possible?, di T. W. Schick: in polemica con le tesi di Rorty circa l’impossibilità della filosofia speculativa, l’articolo vuole dimostrarne la possibilità come visione coerente e comprensiva del mondo. Reply to Davies: creation and existence, di W. F. Vallicella: replica a B. Davies, Does God create existence? (comparso nella medesima rivista XXX/1990, pp. 151-157). Reply to Gordon: discourse at work, di P. S. Chmielewski: replica agli interventi di D. Gordon comparsi sulla medesima rivista (XXX/1990, pp. 331-342 e XXXI/1991, pp. 105-108). Reply to Vallicella: Heidegger and idealism, di Q. Smith: replica ad una serie di interventi di Vallicella comparsi su questa ed altre riviste su Heidegger. Reply to McKinney on Lonergan: a deconstruction, di J. L. Marsch. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXI, n. 2, giugno ’91 Fordham University, New York Charles S. Peirce’s theory of infinitesimals, di H. Levy. Sartre and political legitimacy, di P. Knee: una riflessione sul pensiero politico maturo di Sartre; anarchismo, al di là di qualsiasi riferimento di ordine storico, é forse il termine migliore per definire la sua riflessione politica, sia prebellica, sia postbellica, quando l’influenza sartriana é ben presente negli slogans studenteschi del 1968. Two varieties of temperance in the Gorgias, di H. J. Curzer: un’interpretazione di Gorgia 506 c-509 c a proposito della distinzione tra temperanza con saggezza e temperanza senza saggezza. Kant’s Apotheosis of Genius, di T. S. Quinn: la dottrina del genio in Kant, nel suo rapporto con la teoria del gusto, ed il confronto con Schiller. Causality: Sankara and Aristotle, di M. Dhavamony: divergenze, convergenze e RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXII, n. 2-3, aprile/settembre ’90 Vita e Pensiero, Milano I metodi della metafisica platonico-accademica “generalizzante” ed “elementarizzante nei libri “M” e “N” della Metafisica di Aristotele, di E. Cattanei. Giustino martire, il primo platonico cristiano, di G. Girgenti: tradizionalmente si suole far cominciare la filosofia cristiana con Giustino, il primo che tenta di giustificare la fede anche in maniera razionale. Figlio dell’intreccio di quest’epoca tra pensiero greco, mondo romano, religione giudaica e cristiana, egli approda al Cristianesimo facendo tesoro dei complessi motivi culturali che animano il suo tempo e che trovano risonanza nel Dialogo con Trifone, opera a cui Giustino affida il racconto del suo itinerario filosofico. A quest’ultimo aspetto é dedicata l’analisi di questo articolo, che propone anche un’attenta disamina delle posizioni degli studiosi in proposito. La dignità dell’uomo da Kant ad Hegel, di M. Paolinelli: l’interrogazione sulla Bestimmung dell’uomo presente nella riflessione di Kant, Fichte ed Hegel; il tratto comune é rappresentato proprio dalla convinzione che la filosofia, attraverso l’individuazione di tale Bestimmung, colga il senso della dignità umana. Le relazioni divine secondo S. Tommaso D’Aquino. Riproposizione di un problema RASSEGNA DELLE RIVISTE e prospettive di indagine, di G. Ventimiglia: l’articolo si propone, alla luce di un confronto diretto con i testi del filosofo, di mostrare l’inadeguatezza degli studi sulle relazioni divine in S. Tommaso. Ateismo e società, di F. Rossi: resoconto del IX Congresso di studi di filosofia della religione in Italia dal titolo Ateismo e società, svoltosi a Perugia 3-5 Ottobre 1990. zo (Adelphi, Milano 1988). La mediterraneità del filosofare, di S. Buscaroli. La ricerca nel campo delle scienze pedagogiche, di G. Giugni. LA RAGIONE POSSIBILE La seconda parte del fascicolo é dedicata ad una serie di scritti che ricostruiscono il pensiero neoscolastico italiano e vuole essere anche un omaggio alle figure di G. Bontadini e S. Vanni Rovighi recentemente scomparsi. La disputa sulle origini della neoscolastica italiana. Salvatore Roselli, Vincenzo Buzzetti e Gaetano Sanseverino, di H.M. Schmidinger; La neoscolastica italiana dalle sue prime manifestazioni all’enciclica Aeterni Patris, di G. F. Rossi; I centri tomisti a Roma , Napoli, Perugia, ecc., di H.M. Schmidinger; La neoscolastica italiana, di A. Molinaro, Giuseppe Zamboni, di A. Pertoldi; Gemelli- Olgiati, di G. Cenacchi; Umberto Padovani, di A. Bonetti; Gustavo Bontadini, di V. Melchiorre; Sofia Vanni Rovighi, di M. Sina Cornelio Fabro, di A. Pieretti. Anno I, n. 2, dicembre 1990 Bagatto Libri, Roma Tema di questo fascicolo: tempo della natura, tempo della storia. Il “sogno di una cosa”. Riflessioni intorno alla filosofia della storia, di D. Ferreri: riflessione sull’attuale statuto della filosofia della storia attraverso un’analisi di tipo “archeologico”. Il linguaggio tragico della storia in Hölderlin, di P. Vinci: la tematica della filosofia della storia in Hölderlin dall’Iperione ai grandi inni. Note sulla filosofia della natura e della storia in Schelling e Hegel, di R. Finelli. La concezione comptiana della storia e la biologia dell’800, di S. Mariani. tà, di E. Berti; La verità sotto condizione, di S. Natoli; Il vero, il falso, l’insignificante, di R. Thom; Il vero ed il falso: ossia il probabile, di I. Scardovi; Il vero ed il falso. Filosofare dopo Hegel e Marx, di D. Losurdo; La verità come categoria fondamentale della filosofia, di V. Hoesle; Vero e falso nella scienza, di M. Ageno; Vero, falso e surrogati, di F. Barone; La verità come consenso, di K.O. Apel; Il vero ed il falso. Logiche del consenso e del dissenso, di R. Bodei; La “verità” nella prospettiva delle scienze naturali, di E. Bellone; La “verità” nella prospettiva della storia della scienza, di P. Rossi; Il vero ed il falso, di U. Galimberti; Di una triplice “navigazione” alla verità, di A. Poppi. La leva di Archimede e il fantasma di Platone, di V. Meattini: il concetto di verità nel pensiero di Rorty. Appunti sul rapporto filosofia-scienza, di G. De Crescenzo: la concezione evoluzionistica della conoscenza scientifica. RIVISTA DI ESTETICA Anno XXX, n. 34/35, 1990 Rosemberg & Sellier, Torino Tema della rivista: “Romanticismo e filosofia”. Paradigmi e capricci, di G. Iorio Giannoli. IL CONTRIBUTO Anno XV, n. 2, aprile/giugno 1991 Editoriale B.M. Italiana, Roma Il postmoderno nella filosofia italiana oggi, di P. A. Rovatti. Nichilismo come cifra del moderno? Le tradizioni alternative, di E. Berti: la scuola di pensiero dominante nel panorama filosofico contemporaneo farebbe capo al nichilismo postmoderno di origine nietzscheana e heideggeriana; tenendo presente l’ambito della filosofia pratica, l’articolo si propone di individuare un’alternativa al nichilismo postmoderno nella tradizione aristotelica che nel corso della seconda metà del nostro secolo é fiorita in Europa ed in America. Fenomenologia e psicologia: il corpo, di C. Gambacorta: a partire da un articolato confronto delle relazioni che sia in campo filosofico, sia in campo psicologico e psichiatrico, sono state messe in luce tra la fenomenologia di Husserl e la moderna psicologia, viene esaminata la tematica del corpo vissuto nella riflessione di MerleauPonty. Idea della metafisica, di F. Bazzani: recensione di A. Laganà: Idea della metafisica (Gangemi, Roma-Reggio Calabria 1990). Romanzo e modernità, di C. Tugnoli: recensione di M. Kundera: L’arte del roman- Appunti sulle “Lezioni” rodaniane, di L. Lattarulo: rensione di F. Rodano, Lezioni su servo e signore (Editori Riuniti, Roma 1990). Natura del servo, natura del signore, di L. De Fiore: riflessione sul testo di F. Rodano sopracitato e su quello di C. Napoleoni, Cercate ancora (Editori Riuniti, Roma 1990). Note di viaggio verso la Turingia, di M. Riedel (1989). NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE Anno IX, n. 2, 1991 Nuova ERI, Roma Questo numero della rivista contiene gli interventi del convegno sul tema: Il vero ed il falso: filosofare oggi, svoltosi all’interno del decimo ciclo di conferenze dal titolo: “Cosa fanno i filosofi oggi?”, ( Cattolica 1989). Del problema dell’attualità del metodo della quaestio per la discussione filosofica odierna si sono occupati i seguenti articoli: Il dogma del divenire e la fine della verità, di E. Severino; Prometeo e Sisifo, di H.G. Gadamer; La concezione logica del vero e del falso, di M. L. Della Chiara; Il vero ed il falso nella prospettiva dello psicologo, di P. Bozzi; Vero, falso e liber- Frühromantik, ermeneutica, decostruzionismo, di H. G. Gadamer: sul rapporto Gadamer-Derrida. Grazia e spirito creatore in Schiller, di E. Franzini. L’estetica di Schleiermacher e il romanticismo, di P. D’Angelo: la tesi, di origine diltheyana, secondo cui Schleiermacher sarebbe il filosofo dell’estetica della Romantik appare oggi decisamente problematica, anche alla luce delle considerazioni di Wellek che, proprio a partire da presupposti diltheyani, mette in luce la scomparsa di motivi romantici nelle sue tarde lezioni di estetica. La proposta dell’articolo non é tuttavia quella di contrapporre rigidamente ad un giovane Schleiermacher “romantico” un maturo Schleiermacher “sistematico”, quanto piuttosto problematizzare in senso teorico e storico sia l’estetica di Schleiermacher, sia l’estetica romantica, un’estetica che ha il suo proprio valore nella tensione alla sistematicità che la caratterizza. Soltanto evitando di considerare l’estetica di Schleiermacher come l’estetica del romanticismo é possibile procedere ad una revisione dell’originalità della sua proposta. Anima e destino nella “simbolica del sogno” di G. H. Schubert, di C. Sandrin. Metafora e realtà in Friedrich Schlegel: verso una “simbolica” elementare, di F. RASSEGNA DELLE RIVISTE Cuniberto. Sistematica estetica: la casa, il libro, di P. Kobau: l’elaborazione kantiana della moderna nozione di sistema non ha soltanto delle valenze filosofiche, ma apre anche delle prospettive storico-sociali, ancor più evidenti se si pensa al primo movimento romantico; la sistematicità di tipo critico e progressivo proposta da Kant implica un’importante apertura della filosofia al dibattito critico-letterario. E’ in quest’ottica che si può cogliere il trapasso da un’estetica come filosofia del bello, quale si dà nella terza Critica kantiana, ad un’estetica come filosofia dell’arte, sviluppata storicamente. Il “Signore delle Potenze”. Compimento e crisi del romanticismo tedesco nell’ultimo Schelling e in Bachofen, di G. Moretti. Palingenesi e mito in Friedrich Hölderlin, di M. Cometa: le suggestioni herderiane che alimentano la poesia di Hölderlin. Liturgie del linguaggio poetico. Pietismo e misticismo biblico nella formazione lirica del giovane Hölderlin, di R. Ruschi: una ricostruzione dei presupposti storicosociali, culturali e religiosi che stanno alla base non solo delle primissime composizioni poetiche di Hölderlin, ma dell’intera opera letteraria del poeta. AESTHETICA 30, dicembre 1990 Centro Internazionale Studi di Estetica Il presente volume porta come titolo: Pensare l’arte e prende occasione dall’omonimo seminario, tenutosi a Palermo, dal 14 al 15 Dicembre 1990, promosso dal Centro Internazionale di Studi di Estetica nel decennale della sua fondazione. Estetica e filosofia critica, di E. Garroni: l’autore invita a pensare l’estetica non tanto come una filosofia dell’arte, ma come un uso critico del pensiero che ha nell’arte «non un oggetto epistemico che la definisca specificamentee dappertutto, ma un referente esemplare e privilegiato». Questo é il senso della riflessione estetica fin dalle sue origini. Hölderlin e il divenire come trapasso, di E. Grassi: interpretazione del frammento di Hölderlin del 1790 dal titolo Divenire come trapasso, da cui emerge un concetto di metafora come significato speculativo di fondo; il divenire, e quindi il metapherein originario, artistico e fantastico, di ciò che appare, rappresenta uno degli aspetti fondamentali ed antihegeliani della riflessione del poeta tedesco, riflessione che si lega anche alle tesi di Novalis. Pensare la poesia, di A. Trione. Le arti: un bilancio di fine secolo, di R. Barilli; Le arti alla fine del millennio, di G. Dorfles: entrambi gli articoli sono dedicati ad un bilancio della contemporaneità artistica e ad una ricerca dell’inizio della modernità. Se Barilli, prendendo le mosse dal 1789, individua nei concetti di “implosione” ed “esplosione” i due versanti dell’arte moderna, Dorfles rimanda ad una sorta di neomodernità tesa a recuperare la naturalità del corporeo che rifiuti l’elettronica ed il meccanicismo come fattori fondamentali di un’arte d’avanguardia In chiusura del fascicolo viene presentato un testo di Georg Friedrich Meier, allievo e “volgarizzatore” dell’Estetica di Baumgarten, dal titolo: Introduzione ai fondamenti primi di tutte le scienze belle (1754). IDEE Anno V, nn.13-15, gennaio/dicembre 1990 Milella, Lecce Tema della rivista: la genesi del senso. Materialità e semiotica in Hjelmslev, di C. Caputo Senso e significato in Michail Bachtin, di A. Ponzio: il problema del senso rappresenta un aspetto centrale della riflessione di Bachtin, soprattutto per quanto riguarda la sua differenza con il “significato”. Il problema del senso si apre alla ricerca metalinguistica di Bachtin ricostruita in questo articolo. Semiosi iconica e comprensione della Terra, di E. Riverso: l’uso linguistico della parola “terra” ed il riferimento ad un’icona nella quale entra una moltitudine di cose osservate e percezioni.Il carattere di Mediazione dell’icona per la denotazione: origini. Il problema dell’origine ed il rimando husserliano alla “parola vissuta”, di M. Signore. Senso e analogia nel metalinguaggio di Victoria Welby, di S. Petrilli. Genesi del senso e differenza sessuale: figure, orizzonti, nomi, di P. Calefato: la costruzione del femminile. Icona e reversibilità del senso, di A. Biancofiore: la nozione di icona e l’opera di Gérard de Nerval Aurèlia. Estetica metastabile, di C. Gandelmam: le opere d’arte più importanti del nostro secolo: la “realizzazione” nella “derealizzazione” e “derealizzazione” nella realizzazione Trasparenza e riflessione in Walter Benjamin, di G. Bruno. Il socioletto nella fiction e nella teoria, di P.V. Zima: ripresa di una sociologia del testo. Immagine e nome proprio: uno studio sulle silhouettes dei dasaparecidos, di M. Del Valle Ledesma. L’epocalità del logos e la perenne rimemorazione dell’origine, di F. Bosio. Senso, Significato, Significatività, di V. Welby. Il carteggio Rossi- Landi-Morris, di S. Petrilli. Il Linguaggio tra Platone ed Orwell, di A. Ponzio: analisi di N. Chomsky: La conoscenza del linguaggio. Natura, origine ed uso (Il Saggiatore, Milano, 1985). Bio-logia vs semio-logia. La proposta di Giorgio Prodi, di C. Caputo. Metafore epistemiche del tempo e dello spazio: M. Bachtin, K. Mannheim e i modernisti, di I. M. Zavala. La profondità del superficiale di G. Pranzo. Il paesaggio sonoro, di F. Degrassi. Ragioni e regioni della filosofia del linguaggio, di G. Mininni. Nominalismo e critica della lingua in Franz Brentano, di L. Albertazzi. STUDI KANTIANI III, 90 Pisa, Giardini editori e stampatori Kant e l’immaginazione conoscitiva nella Critica del Giudizio, di S. Marcucci. L’immaginazione in Kant. Aspetti della seconda edizione della Critica della Ragion pura (1787), di G. Severino. Il Saggio di una critica di ogni rivelazione di J. G. Fichte e la filosofia pratica di Kant, di G. Rotta. William Hamilton e il criticismo kantiano. La” rifondazione” della filosofia del senso comune, di M. Napolitano. From Kant to Marx. A note on the interpretation of the gnoseological relatioship of subject and object, di M. Cekic. Sulla metafisica kantiana dell’analogia, di S. Marcucci: analisi di P. Faggiotto, Metafisica e dialettica in Kant (Cusl Nuova Vita, Padova 1988) e dello stesso, Introdu- RASSEGNA DELLE RIVISTE zione alla metafisica kantiana dell’analogia (Massimo editore, Milano 1989). LA CULTURA Anno XXVIII, n.2, luglio/dicembre 1990 Le Monnier, Firenze Il Regno e la Legge. Longobardi, Romani e Franchi nello sviluppo dell’ordinamento pubblico (secoli VI-X), di S. Gasparri. Il “Philedonius” di Franciscus van den Enden e la formazione retorico-letteraria di Spinoza (1656-1658), di O. Proietti: un’analisi del Philedonius appare importante per una ricostruzione storico-biografica di un periodo cruciale della formazione spinoziana, la scuola “latina” che il filosofo attraversa tra il 1656 ed il 1661. genza di una nuova idea di ragione che può essere definita neoilluminustica e la cui validità si pone essenzialmente su un piano metodologico. E’ in questa’ottica che vengono quindi riproposti i profili di pensatori neoilluministi, come Abbagnano, Bobbio, Geymonat Rossi-Landi, Preti, che rivestono il ruolo di un intellettuale “seminatore di dubbi, misurato e circospetto, capace di valutare gli argomenti prima di pronunciarsi, che non decide mai a guisa di oracolo dal quale dipende, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva”. La seconda parte della rivista é dedicata ad un’ampia analisi di alcuni momenti cruciali del dibattito epistemologico in Italia; viene inoltre presentato un saggio inedito di Giulio Preti sul problema dell’immanenza. Nicola Abbagnano tra esistenzialismo e neoilluminismo, di A. Quarta. Sulla genesi dell’Istituto italiano di studi storici: la ricerca del primo direttore, di G. Sasso Norberto Bobbio ideologo del neoilluminismo. Per una rilettura di “Politica e cultura”, di M. Quaranta. Histoire de l’être et révolution politique. Réflexions sur un ouvrage posthume de Heidegger, di N. Tertulian: riflessione sulla più importante opera heideggeriana dopo Essere e Tempo, l’opera pubblicata postuma: Beiträge zur Philosophie. Bobbio e la scienza politica in Italia, di A. Mancarella. Fichte, Hegel e la rivoluzione francese, di F.S. Trincia: fisionomia logica dei concetti di “contratto” e di “rivoluzione” nel Beitrag fichtiano. Ricordo di Harold Cherniss, di M. Isnardi Parente. Contributo per rettificare i giudizi del pubblico sulla rivoluzione francese (1792). IL PROTAGORA Anno XXVIII-XXIX, gennaio 1988/dicembre 1989 Istituto di Filosofia, Università degli Studi, Lecce Come spiega nella premessa Antonio Quarta, questo fascicolo della rivista contiene una serie di saggi dedicati ad alcuni studiosi italiani il cui comun denominatore é rappresentato dall’apertura ad esperienze speculative particolarmente rilevanti maturate fuori dall’Italia; ciò in nome di una dichiarata consapevolezza dell’insufficienza delle risposte della cultura italiana postbellica ai problemi di un mondo in rapida evoluzione. Particolarmente rilevante per questi intellettuali, nonostante la diversità degli esiti a cui approdano le rispettive riflessioni, appare il peso attribuito alla conoscenza scientifica nelle sue ampie implicazioni filosofiche e culturali, a cui si lega non soltanto il desiderio di una ridefinizione analitica e precisa di limiti e validità dei concetti filosofici, ma anche l’emer- Aspetti del neoilluminismo di Ludovico Geymonat, di A. Stomeo. L’epoché di Husserl in Ferruccio RossiLandi, di A. Ponzio. Sulla semiotizzazione dell’”a priori”. Rossi-Landi e Hjelmslev, di C. Caputo. Il “parlare comune” come lume storiconaturale della “riproduzione sociale”, di G. Mininni: ricostruzione del percorso speculativo di Rossi-Landi come sintesi ed integrazione organica di filosofia analitica oxoniense, dialettica marxista, dottrina del segno di ispirazione peirceiana e morrissiana; l’elaborazione di un progetto teorico fondato sulle nozioni di “parlare comune” e “riproduzione sociale". Materiali per una storia dell’epistemologia in Italia, di M. Castellana: in un clima di rinnovato interesse per una ricostruzione delle vicende della filosofia della scienza italiana, particolarmente importante appare il ruolo della rivista “Analisi” (19451947) come centro di dibattito dei rapporti tra scienza e filosofia. “Sigma”: conoscenza e metodo, di G. Sava: la breve, ma importantissima, vicenda editoriale della rivista “Sigma” (1947.1964). Filosofia e cultura ne “Il Politecnico” di Elio Vittorini, di S. De Siena. Metodi e immagini della scienza nel “Centro di studi metodologici” di Torino (19451952), di A. Quarta. Il principio di immanenza nel dibattito filosofico italiano degli anni Trenta: il confronto tra Giulio Preti e Carmelo Ottaviano, di F. Minazzi. Manoscritto inedito di Giulio Preti sul problema dell’immanenza, a cua di F. Minazzi. AUT AUT 242, marzo/aprile 1991 La Nuova Italia, Firenze Politiche dell’amicizia, di J. Derrida. Soggetto e alterità, di P.A. Rovatti: in riferimento al precedente testo di Derrida viene svolto l’esame delle riflessioni sull’amicizia di P. Ricoeur contenute in Soi-même comme un autre (Seuil, Paris 1990). Il poliedro di scrittura: Joyce e Vico, di G. Gabetta: l’impatto della filosofia di Vico su Finnegans Wake di Joyce. L’ermeneutica di Gadamer in Italia, di V. Verra: l’ermeneutica é senz’altro la protagonista della filosofia italiana degli anni Ottanta, benchè la penetrazione del pensiero di Gadamer in Italia sia senz’altro anteriore. Più in particolare la riflessione gadameriana ha consentito inizialmente di entrare in possesso di strumenti di critica all’astrattezza della coscienza storica ed estetica e poi di cogliere in maniera sempre più esaustiva ed approfondita il valore universale dell’ermeneutica per la filosofia. Di qui l’incontro ricco e stimolante con la riflessione sul linguaggio e le successive aperture alle problematiche della decostruzione, del nichilismo, del postmoderno, tematiche recentissime e intrinsecamente connesse all’ermeneutica. Breve excursus su trent’anni di filosofia italiana. Gadamer: l’umanismo tra memoria e promessa, di M. Ferraris. Dimenticare Foucault?, di E. Greblo: panoramica sulla recente “Foucault reinaissance”. Ipseità, alterità e pluralità. Nota sull’ultimo Ricoeur, di F. Ciaramelli: a partire dai testi più recenti di Ricoeur, si procede all’esame della questione della pensabilità del soggetto dell’agire collettivo; questa questione, al tempo stesso ontologica e politica, rappresenta sia il presupposto dell’analisi ricoeuriana del rapporto temporacconto, sia l’orizzonte entro cui si colloca il superamento di una soggettività come “dire io”. Nota su Agnes Heller, la filosofia e il postmoderno, di L. Boella: analisi della figura intellettuale di Agnes Heller. un testo di A. Heller dal titolo: La modernità può sopravvivere?. RASSEGNA DELLE RIVISTE TEORIA n. 2, ottobre 1990/X Pisa, ETS Questo fascicolo è dedicato al tema: logica e filosofia del linguaggio. La teoria aristotelica dell’apodissi, di V. Sainati: introduzione a An. Post., A: la questione dei principi, l’originario modello matematico della “scienza” aristotelica, il problema delle scienze fisiche, la composita struttura teorica di An. Post.,A. Remarks on analogy, di N. C. A. da Costa: studio sul ragionamento induttivo, con particolare attenzione al ragionamento analogico; secondo l’autore ogno tipo di inferenza induttiva può essere ricondotta ad un ragionamento analogico. Alla luce di queste osservazioni viene inoltre presa in esame la nozione di analogia di Haraguchi. Semantica aristotelica e sillogistica modale, di M. Mariani: preso atto di una sostanziale assenza negli studi aristotelici recenti di riferimenti precisi alla sillogistica modale, ritenuta forse troppo confusa in relazione ad alcuni concetti centrali di ontologia e semantica, l’articolo si propone di chiarire i significati di alcune nozioni di semantica aristotelica e sillogistica modale, con particolare riferimento ai concetti di de dicto e de re L’interpretazione costruttiva dell’implicazione, di E. Moriconi: il connettivo dell’implicazione nella teoria dei tipi di Martin Löf. Diagonalization and fixed points,di G. Tonella. Su psicosemantica, di C. Marletti: recensione di J. A. Fodor: Psicosemantica. Il problema del significato nella filosofia della mente (Bologna, Il Mulino 1990). Some remarks on the linguistic turn, di A. Peruzzi. Prior’s disease, di G. Usberti. PARADIGMI Anno IX, n.26, maggio/agosto ’91 Brindisi, Schena Editore Trasformazioni della filosofia e verità, di G. Semerari: l’autore si propone di esaminare la trasformazione della filosofia dei nostri tempi a partire da tre situazioni teoriche, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel mettere in atto questa trasformazione: alcuni postulati sul linguaggio delle Philosophische Untersuchungen di Wittgenstein, il problema dell’individuazione e le sue conseguenze nella fenome- nologia di Husserl, la logica come “teoria dell’indagine” proposta da Dewey. Alla luce di questo esame, l’attuale trasformazione della filosofia si dà come un “filosofare dal basso” che pone un nuovo rapporto tra formazioni ideali, scientifiche, logiche e processi esistenziali, facendo svolgere ai primi una funzione di autochiarificazione dei secondi, in quanto da essi derivati, ed indagando i processi esistenziali stessi all’interno del loro orizzonte. La filosofia di oggi pensa in termini di processi esistenziali, quali possibilità e contingenza, temporalità, negatività e relazionalità, ed é impegnata a cogliere i cambiamenti prodotti verso le cose e nei rapporti interpersonali alla luce di tali orientamenti. Sul piano del problema della verità questa nuova metodologia filosofica implica una sfida al modo “sacrale” di intendere la verità e quest’ultima si propone come criterio di organizzazione delle relazioni ontologiche dell’esistente, alla luce del riconoscimento, già proposto da Kierkegaard, che tra Essere ed esistente non esiste nè un rapporto di natura creaturale, nè di natura posizionale, nè di differenza ontologica, ma l’Essere si dà attraverso le relazioni che l’esistente instaura con se stesso e con gli altri; é cioé la proposta di una ontologia delle relazioni. Sul concetto di oggetto fisico, di E. Bitsakis: partendo dalle tesi che i micro-oggetti sono delle entità fisiche, indipendenti dall’osservatore e dagli strumenti scientifici, viene analizzato il concetto di oggetto fisico. Il problema della comunicazione, di E. Melandri: il problema della comunicazione, quale si dà nella teoria dell’espressione di Darwin e Wundt; la concezione ermeneutica fondata sul ruolo dell’ascoltatore/ interprete di Anton Marty; gli apporti delle recenti ricerche di filologia classica e la “comunicazione totale” del teatro. Genealogia del tempo moderno. Ipotesi su Kant ed Hegel, di G. Barletta: l’ipotesi interpretativa qui delineata prende le mosse dal riconoscimento dell’assoluta centralità del problema del tempo in Kant; abbandonando ogni prospettiva di ipostatizzazione di stampo logicistico e metafisico, il tempo si dà come intuizione, forma fondamentale, Anschauung, ed inaugura la visione moderna epistemico-rappresentativa del tempo, un tempo che si propone come possibile struttura dell’esistenza in quanto condizione universale ed oggettiva. Tuttavia l’approdo alla seconda Critica implica una perdita dell’onnipervasività del tempo, in quanto Kant, per salvare l’incondizionatezza dell’imperativo morale, si vede costretto a negare la temporalità della ragion pratica. La frattura che si determina in Kant tra piano fenomenico e piano morale comporta lo sforzo hegeliano di saldare essere e dover essere attraverso una filosofia come sistema che si dia e si sappia come filosofia del tempo. Di qui la necessità di trasformare il tempo da a piori logico a storia, concreta materia umana razionalizzata su un piano teorico. Tempo, Storia, Concetto sono quindi i cardini su cui si imposta il superamento hegeliano della concezione puramente logicistico-formale del tempo kantiano. Sartre critico di Kant, di F. Scanzio. La fiamma e la lampada. Riflessioni sul pensiero di E. Severino e sul nichlismo in Occidente, di M. De Paoli. Attualità della filosofia, di G. Scibilia: resoconto del convegno: Filosofia, conoscenza, verità, svoltosi a Pavia il 17-18 maggio 1990. Il Problema del realismo nella fisica contemporanea, di M. Centrone. Schelling: filosofia e mitologia, di C. Tatasciore: recensione di F. W. Schelling, Filosofia della mitologia, a cura di L. Procesi (Milano, Mursia 1990); F. Moiso, Vita, natura, libertà. Schelling (1795-1809) (Milano, Mursia 1990); G. Riconda, Schelling storico della filosofia (1794-1820) (Milano Mursia 1990). Nella sezione “Università e Scuola” appaiono inoltre: “Normalità” e “rivoluzione” in filosofia, di B. Coppola. Sull’identità culturale dell’insegnante di filosofia nelle scuole medie superiori, di F. Papi. EPISTEMOLOGIA (Vol. 13, n. 2. 1990, Tilgher, Genova) propone, tra gli altri, un articolo di A. Grünbaum, Perchè le affinità tematiche fra eventi non dimostrano la loro connessione causale, che critica la teoria freudiana delle connessioni di significato, inficiando la stessa teoria del transfert. Segnaliamo anche nello stesso numero un articolo di F. Minazzi su Popper: Riflessioni critiche sulla filosofia di Popper. MARX CENTOUNO (Anno VII, n. 4, feb- braio ’91, Edizioni associate, Roma) presenta un inedito di L. Althusser dal titolo: Solitudine di Machiavelli. Nel numero successivo della stessa rivista (Anno VII, n. 5, maggio ’91) viene proposta una riflessione su Althusser con l’articolo di G. Lock: Teoria generale e statuto della filosofia. Un confronto fra le elaborazioni di Althusser e del marxismo analitico. GIORNALE DI METAFISICA (Anno XII, n. 2, maggio/agosto 1990) propone un articolo di G. A. Roggerone su Rousseau: Emile: NOVITA' IN LIBRERIA AA.VV Hegel e la comprensione della modernità Guerini, Milano giugno 1991 pp.120, L. 18.000 La “Scienza della logica” rappresenta il punto più alto della comprensione hegeliana della modernità. Il volume raccoglie quattro diverse prospettive di interpretazione del significato di “moderno”. AA.VV Dio e la Filosofia a cura di Daniele Goldoni Guerini e Ass., Milano luglio 1991 pp.176, L. 26.000 I limiti che la cultura moderna e illuminata ha tracciato fra teologia e sapere sono scossi oggi da movimenti che avvengono non solo all’interno della riflessione teologica, ma anche dalle crisi che investono le interpretazioni del mondo offerte dal moderno antropocentrismo e dalla secolarizzazione. Queste crisi lasciano di nuovo allo scoperto le enigmaticità dell’antico nesso tra Dio e la filosofia. AA.VV. Quaderno di Filosofia 1 Guerini e Ass., Milano giugno 1991 pp.128, L. 20.000 AA.VV. La tolérance Autrement, Paris luglio 1991 pp.221 La molteplicità degli interventi persegue un progetto comune: quello di un “umanesimo eretico” teso ad affrancarsi dall’ortodossia dei dogmi ed abbracciare un’attitudine generalizzata di tolleranza del diverso. AA.VV. La questione dell’esperienza a cura di Valeria E. Russo Ponte alle Grazie, Firenze luglio 1991 pp.230, L. 25.000 La raccolta monografica è dedicata all’approfondimento di uno dei più importanti luoghi teorici del pensiero moderno e contemporaneo: il concetto di esperienza. Il libro contiene 22 interventi di studiosi italiani e tedeschi ed è ordinato secondo differenti ambiti tematici e disciplinari (filosofico, sociologico, letterario, psicanalitico) e segue una rigorosa scansione temporale: “L’età idealistico-romantica”, “Erlebnis ed Erfahrung tra Ottocento e Novecento”, “Percorsi novecenteschi”. Abbagnano, Nicola Storia della Filosofia Vol.IV. La filosofia Contemporanea Utet, Torino giugno 1991 pp.964, L. 110.000 Questo libro esamina le ragioni storiche della reputazione di Li Ao, a partire da un’attenta analisi del “Fu-hsing shu”, l’opera che ha maggiormente influenzato il primo neoconfucianesimo. Goodman, Russel B. American philosophy and the romantic tradition Cambridge University Press, Cambridge luglio 1991 pp.174, £ 27.50 Il più grande impulso del pensiero americano non deriva dalla teologia puritana, né dalla scienza empirica, ma da un particolare genere americano di Romanticismo. Questo modo di sentire riporta Goodman, attraverso Cavell, a Emerson, Thoreau e di conseguenza a William James e a John Dewey, quando assimilarono le correnti del pensiero europeo da Kant a Wittgenstein. Bayer, Oswald Autorität und Kritik. Zu Hermeneutik und Wissenschaftstheorie Mohr, Tübingen giugno 1991 pp.224, DM 60 Ansell-Pearson, Keith (a cura di) Nietzsche and modern german thought Routledge, London luglio 1991 pp.336, £ 40 Questa raccolta di saggi riflette l’urgenza di un serio interesse, da parte di filosofi, sociologi e teorici della politica, verso la collocazione di Nietzsche nella tradizione kantiana. Gli autori esaminano i rapporti tra Nietzsche, Kant e la tradizione post-kantiana. Aune, Bruce Knowledge of the external world Routledge, London giugno 1991 pp.256, £ 35 Axelos, Kostas Métamorphoses Ed. de Minuit, Paris maggio 1991 pp.192, FF 78 Dal paesaggio mitico della Grecia arcaica fino a quello della tecoscienza. Le metamorfosi culturali del nostro mondo, cicli di crisi e di rinnovamento, ci permettono di riflettere sul presente e di interrogarci su quelle a venire. Barret, T.H. Li Ao: Buddhist, Taoist or Neo-confucian? Oxford University Press, Oxford giugno 1991 pp.192, £ 20 Li Ao è generalmente riconosciuto come un precursore del neoconfucianesimo, nondimeno si è stabilito che egli è stato influenzato anche dal buddismo. Beck, Elke Identität der Person. Sozialphilosophische Studien zu Kierkegaard, Adorno und Habermas Königshausen und Neumann Würzburg, agosto 1991 pp.152, DM 36 Beckmann, D. (a cura di) Humangenetik Segen für di Menschheit oder unkalkulbares Risiko? Lang, Frankfurt a.M., giugno 1991 pp.328, DM 58 Benjamin, Andrew Art, mimesis and the avant-garde: Aspects of philosophy of difference Routledge, London giugno 1991 pp.320, £ 12.99 Berman, David Berkeley Cassel, London maggio 1991 pp.160, £ 16.95 Uno studio sulla vita di George Berkeley (1685-1753), conosciuto quasi esclusivamente per il suo insegnamento, è forse superfluo e incomprensibile. Ma come l’autore dimostra, gran parte della sua vita è stata influenzata da interessi religiosi, sia pratici che speculativi. Bernard, J. - Kelemen, J. (a cura di) Zeiche, Denken, Praxis. Österreisch-ungarische Dokumente zur Semiotik und Philosophie. In Kooperation mit dem Institut für Philosophie der Ungarischen Akademie der Wissenschaften, Doxa Library ÖGS/ISSS, Wien giugno 1991 pp.452, ÖS 380 Bianca, Mariano Saggio sul male Pontecorboli Editore, Firenze giugno 1991 pp.139, L. 22.000 La natura del male, le ragioni della sua presenza tra gli uomini, le sue forme e le rappresentazioni culturali della «potenza del male», indagate alla luce di una prospettiva antropologica. Bicca, Luiz Marxismus und Freiheit. Versuch einer Bestimmung möglicher Verhältnisse auf der Grundlage der Philosophie Ernst Blochs Schwäbische Verlagsges,Tübingen giugno 1991 pp.320, DM 34 Bollino, Fernando Ragione e Sentimento: Idee estetiche nel Settecento francese Editrice Clueb, Bologna giugno 1991 pp.305, L. 30.000 Nel Settecento francese si assiste, da più parti, al tentativo di una «ricostruzione del mondo» in cui «tutto è messo in gioco simultaneamente: la ragione, la sensibilità, l’immaginazione, persino il senso». All’interno di questo progetto, la ragione e il sentimento non vanno viste come polarità irriducibili ma come presenze complementari e necessarie al programma di costituzione dell’uomo moderno. Su questo sfondo vanno a collocarsi quei processi della riflessione estetica, analizzati da Bollino, intesi a fondare il sistema moderno delle belle arti, a definire le idee di genio, di gusto, di imitazione, a indagare la specificità dei linguaggi artistici, ed è ancora in questo ambito che si determinano quei fenomeni di rottura che portano il segno della nostalgia (la poetica delle rovine) e dell’utopia (l’architettura visionaria). Bourassa, Steven C. The aesthetics of landscape Belhaven Press, London luglio 1991 pp.256, £ 32 Sviscera l’idea della bellezza del paesaggio dal punto di vista filosofico, artistico, psicologico, storico e architettonico. Offre una struttura per l’analisi estetica del paesaggio e conclude con una teoria metaestetica, discutendo come potrebbe essere applicata alla progettazione e al design. Bourdieu, Pierre La responsabilità NOVITA' IN LIBRERIA degli intellettuali Laterza, Roma-Bari luglio 1991 pp.105, L. 19.000 Una critica originale e rigorosa della attuale produzione filosofica, sociologica, estetica, con un vibrato richiamo alla responsabilità dell’intellettuale. Dal punto di vista metodologico, tale responsabilità coincide con la necessità mettere in discussione e di collocare nel proprio contesto innanzitutto il soggetto stesso che conduce l’indagine, e i suoi strumenti critici. della teoria politica del diciassettesimo e diciottesimo secolo. Dimostra che la teoria del senso morale di Hume fu un tentativo di puntellare il diritto naturale con una psicologia morale adeguata. Braidotti, Rosi Patterns of dissonance: A study of women and contemporary philosophy Polity Press, London giugno 1991 pp.250, £ 35 La prima parte di questo libro esamina la filosofia contemporanea francese elaborata da uomini come Foucault, Derrida e Deleuze. La seconda parte riguarda pensatrici femministe europee e statunitensi, soffermandosi in particolare sul lavoro di Irigaray, Daly e Le Doueff. Caadaev, Petr Prima lettera filosofica Il Melangolo, Genova luglio 1991 pp.48, L. 8.000 E’ la prima delle otto lettere filosofiche che Petr Jakovlevic Caadaev scrisse tra il 1829 e il 1831. Provocò la chiusura della rivista sulla quale apparve nel 1836, la condanna all’esilio del direttore e la dichiarazione ufficiale di pazzia per l’autore. In questa lettera Caadaev denuncia l’arretratezza e la sterilità culturale russa e ne indica la causa nella mancanza di rapporti con l’Occidente. Breil, Reinhold Hönigswald und Kant. Transzendentalphilosophische Untersuchungen zur Letztbegründung und Gegenstandskonstitution Bouvier, Bonn maggio/giugno 1991 pp.241, DM 68 Broadie, Sarah Waterlow Ethics with Aristotle Oxford UP, New York giugno 1991 pp.496, $ 45 Un’esposizione esauriente e un’interpretazione della teoria etica aristotelica sviluppata nell’Etica Nicomache e in quella Eudemia Brooke, Roger Jung and phenomenology Routledge, London giugno 1991 pp.204, £ 30 Brooke prende i concetti fondamentali della psicologia analitica e li reinterpreta in chiave fenomenologica, proponendo una nuova lettura degli scritti di Jung. Buchheim, Thomas Eins von Allem. Die Selbstbescheidung des Idealismus in Schellings Spätphilosophie Meiner, Hamburg maggio 1991 pp.229, DM 86 L’interesse di rendere comprensibile al pensiero l’ampia totalità del reale si risolve per la filosofia non solo in una sconfitta che deriva dalla mancanza di capacità, ma inoltre lede la verità interna di ciò che definiamo realtà. Questa prospettiva inserisce il libro nella continuità e al culmine dell’ultima filosofia di Schelling. Buckle, Stephen Natural law and the theory of property Clarendon Press, Londra maggio 1991 pp.344, £ 35 Fornisce una prospettiva storica sulle filosofie politiche di Locke e Hume, identificando continuità nello sviluppo Burkhart, Holger Sprachreflexion und Transzendentalphilosophie Königshausen & Neumann, Würzburg maggio/giugno 1991 pp.280, DM 68 Cadava, E. (a cura di) Who comes after the subject? Routledge, London luglio 1991 pp.256, £ 35 Offre un panorama esaustivo delle opinioni dei pensatori francesi contemporanei, a riguardo della questione del “soggetto” nella prospettiva filosofica, politica, storica e psicoanalitica. Carboncini, Sonia Transzendentale Wahrheit und Traum. Christian Wolffs Antwort auf die Herausforderung durch den Cartesianischen Zweifel Frommann-Holzbog, Stuttgart, agosto 1991 pp.290, DM 92 Cattepoel, Jan Dämonie und Gesellschaft. Soren Kierkegaard als Sozialkritiker und Kommunikationstheoretiker Alber, Freiburg maggio 1991 pp.300, DM 68 Cayla, Fabien - Chisholm, R Sellars, W. Routes e déroutes de l’intentionnalité. La correspondance R. Chrisholm, W. Sellars Eclat, Combas maggio 1991 pp.80, FF 65 L’analisi del carteggio ChrisholmSellars dove si dibatte il problema dell’intenzionalità. Celada Ballanti, Roberto Libertà e mistero dell’Essere: Saggio su Gabriel Marcel Tilgher, Genova giugno 1991 pp.205, L. 27.000 Libertà e mistero dell’essere definiscono le estreme polarità entro cui si aduna la meditazione di Gabriel Marcel. La libertà attesta la presenza originaria dell’essere, che la sollecita nel mentre che le si affida. La rivelazione dell’essere è dunque consegnata all’iniziativa della persona che sappia disporsi all’ascolto dell’appello ontologico. E’ in forza di tale vincolo di essere e libertà che la prospettiva filosofica di Marcel si emancipa dal razionalismo per recuperare il senso agostiniano della libertà: aspirazione a liberarsi, tensione al bene che trova il suo compimento nella Plenitudo della fruitio Dei. Coffa, J.A. The semantic tradition from Kant to Carnap to Vienna Station Cambridge U.P., luglio 1991 pp.464, £ 35 Una storia della tradizione semantica in filosofia, dai primi dell’ottocento sino all’incarnazione nel lavoro del Circolo di Vienna. Cozzoli, Leonardo Il significato della bellezza. Estetica e linguaggio in Kant Mucchi Editore, Modena maggio 1991 pp.116, L..15.000 Per Kant la bellezza è sempre segno (della conoscibilità del mondo, della destinazione morale dell’uomo, della tendenza umana alla socialità); un segno da leggersi, da parte dell’uomo giusto, non secondo la via universale-oggettiva del concetto, ma attraverso la via universale-soggettiva del sentimento. I prodotti delle belle arti costituiranno allora un linguaggio sui generis, del quale è autore il genio come logoteta. Créau, Anne Kommunikative Vernunft als “entmystifiziertes Schicksal”. Denkmotive des frühen Hegel in der Theorie von Jürgen Habermas Hain, Frankfurt a.M. maggio/giugno 1991 pp.225, DM 74 Dallmayr, Fred Life-world, modernity and critique: Paths between Heidegger and The Frankfurt School Polity Press, London giugno 1991 pp.220, £ 29.50 Indirizza il dibattito tra coloro che difendono la metafisica tradizionale e i suoi legami con l’avvento della modernità, e coloro che rigettano questa concezione argomentando a favore di un sistema post-moderno. Il libro si sofferma su un confronto tra Heidegger e la Scuola di Francoforte e ne indaga i rapporti. Debray, Regis Cours de médiologie génerale Gallimard, Paris maggio1991, pp.395, FF 120 Il potere di trasformazione, positivo e negativo, della parola, del dire umano è il punto di partenza per la ricerca di una pragmatica della parola. Dilman, Ilham Philosophy and the philosophic life: A study in Plato’s “Phaedo” Macmillan Acad. and Prof., Londra maggio 1991 pp.176, £ 35 Una discussione della concezione filosofica di Socrate nel Fedone; un tentativo di cogliere il rapporto tra ciò che conosciamo attraverso la ragione e i nostri sensi; una lotta per vivere un’esi- stenza in cui la verità spirituale trionfi sull’ego. Dosse, François Histoire du Structuralisme. Tomo I, Ed. de la Découverte, Paris giugno 1991 pp.490 Storia e bilancio degli anni 45/66 quando la moda intellettuale per eccellenza era lo strutturalismo; quando Lacan, Foucault, Althusser, in campi diversi, si dividevano il monopolio della verità. L’autore ha voluto rendere il clima e la cronaca del tempo raccogliendo numerose testimonianze e interviste di filosofi e intellettuali di ieri e di oggi. Double, Richard The non-reality of free will Oxford UP, New York giugno 1991 pp.256, $ 26 Una monografia che propone una teoria sul libero arbitrio e la responsabilità morale che si identifica con il compatibilismo gerarchico (esposta da filosofi come Neely, Watson, Levin e Dennett) come la spiegazione più plausibile del libero arbitrio. Drechsler, G. - Kühn, R. Menschenbild, Individualität, Wertoptionen. Aspekte politischer Philosophie Krämer, Hamburg, agosto 1991 pp.64, DM 19,80 Drescher, Johannes Glück und Lebensinn. Eine religionsphilosophisce Untersuchung Alber, Freiburg maggio/giugno 1991 pp.400, DM 98 “Che cosa devo fare perché la mia vita abbia un senso?” Come dal senso prevalente dell’agire si ricavi la felicità perfetta. Alla domanda se tale obiettivo, soprattutto relativamente alla morte, sia raggiungibile in qualche modo, vengono opposte tutte le concezioni di questa possibilità e la speranza come accesso al possibile raggiungimento della felicità. Duby, George L’histoire continue Odile Jacob, Paris giugno 1991 pp.221 L’autore rilegge la storia della Nouvelle Histoire attraverso il prisma della propria biografia di studioso, a partire dal 1942 fino ai giorni nostri. Il libro riprende il primo tentativo di autobiografia spirituale tracciato nel precedente Essais d’ego-histoire del 1988. Düttmann, Alexander Garcia Das Gedächtnis des Denkens. Versuch über Heidegger und Adorno Suhrkamp, Frankfurt a.M., agosto 1991 pp.280, DM 44 Che tra il pensiero e il nome esista una relazione, che la dialettica negativa abbia qualcosa a che fare con il nome di Auschwitz e il pensiero di sé con il nome Germania, rimanda alla portata filosofica che Heidegger e Adorno conferirono all’evento, come fondazione e colpa della storia. NOVITA' IN LIBRERIA Ebert, Theodor Dialektiker und frühe Stoiker bei Sextus Empiricus. Untersuchungen zur Entstehung der Aussagenlogik Vandenhoeck und Ruprecht Göttingen, agosto 1991 pp.350, DM 84 Eells, Ellery Probabilistic causality (Cambridge studies in probability, induction and decision theory) Cambridge UP, luglio1991 pp.448, £ 30 L’autore esplora e affina le concezioni filosofiche correnti sulla causalità probabilistica. In una teoria probabilistica della causa, le cause aumentano le probabilità dei propri effetti, anziché averne bisogno come sostengono le tradizionali teorie deterministiche. Elders, Leo (a cura di) Edith Stein Leben, Philosophie, Vollendung. Abhandlung des Internationalen Edith-Stein-Symposiums, Rolduc, 2.-4. November 1990 Naumann, Würzburg giugno 1991 pp.280, DM 34,80 Eming, Knut Idee und Logos. Studien zum Umkreis von Platons Phaidon Meiner, Hamburg maggio 1991 pp.160, DM 58 Con l’interpretazione analitica di Platone, la sua filosofia delle idee viene nuovamente sospinta al centro di una critica logico-ontologica. Il punto di vista di Platone viene messo a confronto e giustificato con i moderni criteri logici. Engel, Pascal The norm of truth: Introduction to the philosophy of logic Harvester Wheatsheaf, giugno 1991 pp.224, £ 35 L’autore introduce lo studente alla filosofia della logica, offrendo un’alternativa alla moderna filosofia della logica inglese e trattando l’argomento come una branca della filosofia della scienza. Si sofferma sulle teorie e sui concetti elaborati dalla logica formale. Fazio, Domenico M. Nietzsche e il criticismo Quattroventi, Urbino aprile 1991 pp.217, L.. 34.000 Una ricostruzione storico-critica delle tappe della formazione filosofica del giovane Nietzsche che consente, da un lato, di evidenziare gli influssi delle “filosofie del ritorno a Kant” e, dall’altro, di esplicitare i motivi teoretici sottesi alle critiche nicciane alla dialettica di Hegel, mostrando un Nietzsche insolito e da conoscere. Fetzer, J.H. (a cura di) Definitions and definability. Philosophical perspectives. Kluver Acad. Publ., Lancaster luglio 1991 pp.328 Gli scritti riusciranno interessanti ad ognuno, filosofo o studioso, che voglia comprendere meglio la natura del linguaggio e il processo della ricerca filosofica. Feyerabend, Paul Dialoghi sulla conoscenza Laterza, Bari luglio 1991 pp.120, L.18.000 In forma di fantasie platoniche, due brillanti dialoghi nei quali l’attività conoscitiva si scompone e ricompone continuamente in quella primaria peculiarità umana che è la comunicazione: di idee, ma anche di sentimenti, passioni, di desideri, di speranze. Fietze, Katharina Spiegel der Vernunft. Theorien zum Menschsein der Frau in der Anthropologie des 15. Jhdts Schöningh, Paderborn, agosto 1991 pp.189, DM 58 Figal, Günther Martin Heidegger Phänomenologie der Freiheit Hain, Frankfurt giugno 1991 pp.428, DM 48 Filmer, Robert Patriarca ou le puvoir naturel des rois; Observations sur Hobbes a cura di P. Tierry L’Harmattan Ecole normale superieure de Fontenay luglio 1991 pp.204, FF 110 Teorico del potere monarchico del XVII secolo, Filmer è noto nella storia della filosofia politica per la sua posizione assolutamente contraria alla teoria del diritto naturale e della democrazia politica. Formaggio, Dino I giorni dell’arte Franco Angeli, Milano luglio 1991 pp 219, L. 30.000 Una raccolta di saggi che abbraccia oltre un trentennio (1957-1990) dell’attività filosofica di Formaggio, che dal 1838 si sviluppa soprattutto nel senso di una costante ricerca dei possibili fondamenti dell’estetica come disciplina autonoma, nella consapevolezza dei problemi che coinvolgono la natura e l’umanità dell’arte all’interno delle contraddizioni della cultura contemporanea. In quest’orizzonte di pensiero vengono presi in esame alcune figure fondamentali dell’arte moderna, Goya, Van Gogh, Picasso, Klee, nonché alcune situazioni concrete del fare artistico. Formaggio, Dino Problemi di estetica Aesthetica edizioni, Palermo giugno 1991 Il volume raccoglie una serie di quindici saggi, scaglionati tra il 1945 e il 1990, che segnano un cammino di ricerca volto a fissare i confini di campo e di metodo dell’Estetica come teoria generale della sensibilità e teoria speciale dell’esperienza artistica, confini che ponevano questa disciplina all’interno delle scienze dell’uomo. Sostenuta da un metodo fenomenologico “allargato” l’Estetica si pone, nella riflessione di Formaggio, in funzione antidogmatica e antina- turalistico-pragmatica, come attitudine analitica, in grado di comprendere le esperienze della sensibilità e dell’arte nell’intero ciclo del loro farsi storico e dei loro movimenti. Formenti, Carlo Piccole apocalissi. Tracce della divinità nell’ateismo contemporaneo Cortina Editore, Milano luglio 1991 pp.193, £. 23.000 L’ateismo, deriva teologica della cultura occidentale, religione senza Dio e religione dell’uomo che ignora i suoi stessi presupposti teologici. Il libro di Formenti ne analizza i miti, le rivelazioni, i messaggi di salvezza. Conoscerli è fondamentale per evitare che si smarriscano nel deserto del nichilismo politico e morale, nel disincanto senza valori e principi. Fox Bourne, Henry Richard The life of John Locke (1876) Thoemmes Press, London giugno 1991 pp.1096 (2 vol.), £ 88 Una biografia di J.Locke che verte sul lavoro di Locke come filosofo. Il libro cerca di collocare i suoi lavori filosofici nel contesto della sua vita. L’autore narra gli studi di Locke ad Oxford, la sua avversione per lo scolasticismo e il ruolo dei suoi interessi medici e scientifici. Franzini, Elio Fenomenologia. Introduzione tematica al pensiero di Husserl Franco Angeli, Milano luglio 1991 pp. 121, L. 20.000 Vengono qui presentati, in una sintesi chiara ed esauriente che ne rispetta il senso filosofico, i temi principali della fenomenologia di Edmund Husserl, pensatore che si pone come fondamentale crocevia teorico della filosofia del Novecento. La fenomenologia prende infatti avvio dall’esigenza di fondare, o rifondare, la possibilità delle scienze nel loro rapporto con la filosofia. I nuclei teorici della fenomenologia aprono pertanto l’orizzonte su cui si confronta l’intera filosofia contemporanea, da Heidegger a Merleau-Ponty, da Adorno a Derrida. Freadman, Richard Reinhardt, Lloyd On literary theory and philosophy: a cross-disciplinary encounter Macmillan Academic and Professional London luglio 1991 pp.246, £ 35 Analizza i rapporti tra la teoria letteraria contemporanea e la filosofia analitica. Tra gli argomenti trattati: l’io, l’etica, l’interpretazione, il linguaggio e le caratterizzazioni della filosofia “analitica” e “continentale”. Fuchs, Josef Für eine menschliche Moral. Grundfragen der theologischen Ethik. Band 3: Die Spannung zwischen objektiver und subjektiver Moral Herder, Freiburg, agosto 1991 pp.208, DM 39 Gadamer, Hans-G. Vernunft im Zeitalter der Wissenschaft. Aufsätze Suhrkamp, Frankfurt a.M. agosto 1991 pp.168, DM 16,80 Gadamer, Hans-Georg Il Dramma di Zaratustra Il Melangolo, Genova luglio 1991 pp.56, L. 8.000 Gadamer analizza in questo breve ma densissimo saggio il ruolo che Così parlò Zaratustra svolge nell’itinerario filosofico di Nietzsche. Nel dramma di Zaratustra Gadamer vede profilarsi la tragedia stessa del suo autore, i grandi temi della sua filosofia e le irresolubili contraddizioni che pongono al lettore di oggi. Galenus, Claudius On the therapeutic method: books I & II a cura di R.J. Hankinson Clarendon Press, London luglio 1991 pp.304, £ 35 Uno dei testi classici più letti nel Medioevo e nel Rinascimento; questo libro rappresenta la quintessenza delle concezioni di Galeno sulla natura, la genesi, le giuste classificazioni e la cura delle malattie. Gardeya, Peter Platons Parmenides. Interpretation und Bibliographie Königshausen und Neumann Würzburg, agosto 1991 pp.54, DM 26 Garnham, Alan The mind in action: A personal view of cognitive science Routledge, London giugno 1991 pp.160, £ 25 Quest’opera interdisciplinare delinea e persegue un’analogia tra mente e computer, al fine di formulare una spiegazione scientifica comparata del modo in cui la mente lavora. Psicologia, filosofia e intelligenza artificiale, sono le discipline chiamate a sostegno della tesi. Gatens, Moira Feminism and philosophy: Perspectives on difference and equality Polity Press, London maggio 1991 pp.200, £ 29.50 Un’analisi delle relazioni tra filosofia e pensiero femminista. Adottando un approccio storico, l’autrice esamina sia le critiche femministe alle concezioni filosofiche, sia i modi attraverso i quali la teoria femminista può essere guidata dall’analisi e dal dibattito filosofico. Gatzenmeier, Matthias Einführung in die Ethik. Argumentationstheoretische Rechtfertigung von Normen Wissenschaftsvlg., Mannheim giugno 1991 pp.150, DM 19,80 Generali, Dario (a cura di) Antonio Vallisneri: epistolario Volume I: 1679-1710 NOVITA' IN LIBRERIA Franco Angeli, Milano giugno 1991 pp.656, L. 70.000 Geymonat, Ludovico La Vienna dei paradossi Il Poligrafo, Padova maggio 1991 pp.206, L. 32.000 Il dibattito teorico che ha caratterizzato l’attività filosofica e scientifica del Circolo di Vienna, analizzato criticamente da Ludovico Geymonat, che del Circolo viennese è stato un brillante allievo. In un conclusivo e finora inedito saggio, l’autore elabora la sua proposta di razionalismo critico, che fa propria l’esigenza di rigore che è stata alla base della riflessione epistemologica del Circolo di Vienna. Giannini, Umberto La Réflexion quotidienne: vers une archéologie de l’expression Ed. Alinea, Paris maggio 1991 pp.200, FF 139 Gold, Peter Darstellung und Abstaktion. Aporien formaler Ästhetik Hain, Frankfurt giugno 1991 pp.350, DM 88 Gray, John - Smith, G.W (a cura di) J.S. Mill’s On liberty in focus Routledge, London maggio 1991 pp.320, £ 40 Questo volume raccoglie per la prima volta “Sulla libertà” di J.S. Mill e una selezione di saggi di eminenti studiosi come Isaiah Berlin, Alan Ryan, John Reeds, C.L. Ten e Richard Wollheim. Hayoun, Maurice-Ruben La Philosophie médiévale juive P.U.F., Paris maggio 1991 pp.128, FF 34 Il panorama del pensiero ebraico medievale da Saadia Gaon fino ai filosofi della Spagna del XV secolo. Heinzmann, Richard Philosophie des Mittelalters Kohlhammer, Stuttgart maggio 1991 pp.192, DM 20 Herbstrith, W. (a cura di) Denken im Dialog. Zur Philosophie Edith Steins Attempto, Tübingen giugno 1991 pp.200, DM 29,80 Hespe, Fr. - Tuschling, B. (a cura di) Psychologie und Anthropologie oder Philosophie des Geistes. Beiträge zu einer Hegel-Tagung in Marburg 1989 Frommann-Holzboog, Stuttgart giugno 1991 pp.700, DM 235 Hodgson, David The mind of matters. Consciousness and choice in a quantum world Oxford UP, Oxford giugno 1991 pp.500, £ 50 Contro la concezione rigorosamente meccanicistica del cervello, viene elaborata l’ipotesi che la “mente importi”, spaziando su argomenti come la coscienza, la ragione informale, i computer, l’evoluzione, l’indeterminatezza dei quanti e la non-località. Griffiths, A.Ph. (a cura di) Wittgenstein. Centenary essays Cambridge University Press, Cambridge luglio 1991 pp.250, £ 11 Quattordici relatori esaminano l’importanza dell’influenza di Wittgenstein sul pensiero contemporaneo. Holzhey, H. (a cura di) Ethischer Sozialismus. Zur politischen Philosophie des Neukantianismus Suhrkamp, Frankfurt a.M., agosto 1991 pp.280, DM 18 Haskar, Vinit Persons and morals: Indivisible selves and practical life Edinburgh University Press, Edinburgh giugno 1991 pp.240, £ 27.50 Sostiene che i presupposti nella nostra vita etica e pratica dovrebbero esercitare un’influenza su ciò che pensiamo delle persone e della identità personale. L’autore difende l’indivisibile punto di vista dell’io attraverso l’osservazione della schizofrenia e di altre patologie della personalità. Humboldt von, Wilhelm La diversità delle lingue a cura di Donatella di Cesare, Laterza, Roma-Bari maggio 1991 pp.370, £. 55.000 Per la prima volta tradotto in italiano il classico di Humboldt che segna l’inizio della filosofia del linguaggio contemporanea e che, grazie alla recente riscoperta, è destinato ad aprire nuove prospettive agli studi linguistici. Una premessa di Tullio De Mauro, l’ampia introduzione della curatrice e l’utile apparato critico bibliografico ne fanno un’edizione di riferimento per gli studiosi del grande linguista tedesco. Haslett, David Ethics and economic systems Clarendon Press, London luglio 1991 pp.224, £ 20 Analizzando i sistemi economici da un punto di vista filosofico, questo studio indaga tematiche etiche per differenti tipi di sistemi economici. L’autore considera i vantaggi e gli svantaggi dei sistemi trattati e discute su possibili compromessi accettabili. Hyman, J. (a cura di) Investigating psychology. Sciences of the mind after Wittgenstein Routledge, London luglio 1991 pp.240, £. 35 I saggi raccolti in questo volume furono scritti da filosofi convinti che le ricerche di Wittgenstein nel campo della psicologia filosofica siano di precisa importanza per la corrente psicologia sperimentale. Jardine, Nicholas The scenes of inquiry. On the reality of question in the sciences Clarendon Press, London luglio 1991 pp.264, £ 27.50 L’autore propone un radicale mutamento di interesse negli studi filosofici, storici e sociologici delle scienze: dal fornire risposte e fissare dottrine, all’interrogarsi ed affrontare problemi. Analizza inoltre le conseguenze di un tale mutamento. Jones, Peter (a cura di) The “science of man” in the Scottish Enlightenment: Hume, Reid and their contemporaries Edimburgh University Press, Edinmburgh luglio 1991 pp.224, £ 9.95 Una raccolta di saggi che tenta di fornire nuove interpretazioni dell’Illuminismo Scozzese e dei suoi pensatori di spicco. Gli scritti di Hume, Reid e altri studiosi del diciottesimo secolo, sono analizzati in modo da gettare luce sia sulle concezioni che esprimono, sia sul contesto in cui furono scritti. Jordan, Mark D. (a cura di) Medieval philosophy and theology: vol.1 University of Notre Dame Press, luglio 1991 pp.256, £ 23.95 Primo volume di un periodico annuale dedicato agli studi originali di filosofia e di teologia. Sostenendo un rilevante numero di argomenti, cerca di stimolare il dibattito oltre i confini disciplinari tradizionali, confrontando le metodologie scolastiche e la tradizione. Kant, Immanuel Scritti sul criticismo a cura di Giuseppe De Flaviis Laterza, Bari giugno 1991 pp.340 Gli scritti raccolti in questo volume offrono un complesso preziosissimo di materiali sulle tesi principali del kantismo e sono una fonte insostituibile di chiarimenti in merito a questioni diverse, affrontate o solo toccate nelle opere maggiori. Kierkegaard, Søren La ripetizione Un esperimento psicologico di Constantin Constantius Guerini e Ass., Milano luglio 1991 pp.192, L. 28.000 Terzo degli scritti pseudonimi di Kierkegaard, La ripetizione può essere definito al contempo una storia d’amore, un saggio filosofico e un’opera buffa. La storia d’amore è riferita da uno psicologo sperimentale, cui il giovane protagonista si confida, diventando un saggio filosofico, arricchito dal senso d’ironia di cui il narratore è dotato. Da qui l’opera buffa. King, Peter The life of John Locke, with extracts from his correspondence, journals and commonplace books (1830) Thoemmes Press, giugno 1991 pp.994 (2 vol.), £ 88, Una biografia che ci presenta la vita di John Locke, per quanto possibile attraverso i suoi stessi occhi. Il lettore scopre come le sue opposizioni distintive derivino dalla riflessione sugli eventi del suo tempo. I semplici fatti della vita di Locke sono integrati dalla sua corrispondenza e da alcuni estratti dai suoi diari e manoscritti. Knowles, D. (a cura di) Explanation and its limits Cambridge UP, Cambridge giugno 1991 pp.315, £ 11 La presente raccolta di nuovi saggi esplora la natura della spiegazione e della causalità, proponendo uno stimolante dibattito ad ampio raggio su una questione secolare che ha interessato filosofi e scienziati, cioè la natura epistemologica della propria ricerca. Kullmann, Wolfgang Il pensiero politico di Aristotele Guerini e Ass., Milano giugno 1991 pp.144, L. 24.000 Cinque lezioni che trattano dettagliatamente alcuni temi del pensiero politico di Aristotele di estremo interesse perchè alla radice di molte problematiche attuali, come l’uguaglianza o la diseguaglianza degli uomini, il ruolo della guerra o l’aggressività dell’uomo. Lamb, David Discovery, creativity and problem-solving Avebury, New York luglio 1991 pp.200, $ 30 E’ opinione comune a molti filosofi, che la creatività e la scoperta scientifica andrebbero escluse dall’analisi filosofica. Questo libro afferma il contrario e suggerisce che è possibile uno studio razionale della creatività. Sono esaminati vari approcci alla creatività e alla scoperta. Lambert, J.Karel (a cura di) Philosophical applications of free logic Oxford University Press, luglio 1991 pp.288, £ 32 Una raccolta di saggi che discutono l’applicazione della “logica libera” agli argomenti filosofici. Le tematiche trattate spaziano tra la definizione di una teoria logica, la metafisica e la filosofia della religione. Lavater, Johann Caspar Lichtenberg, Georg Christoph Lo specchio dell’anima. Pro o contro la fisiognomica, un dibattito settecentesco a cura di Giovanni Gurisatti Il Poligrafo, Padova maggio 1991 pp.220, L. 32.000 Nella seconda metà del Settecento, gli studi di Lavater avevano riproposto, in termini religiosi e metafisici, l’antica scienza di leggere il volto quale “specchio dell’anima”. Contro l’entusiasmo per la fisiognomica scende in campo l’illuminista Lichtenberg, scienziato e filosofo. Le sue argomentazioni polemiche che utilizzano le armi critiche del buon senso e della satira inaugurano un dibattito ricco di implicazioni tanto sul piano estetico e gnoseologico quanto su quello letterario e del costume. NOVITA' IN LIBRERIA Lefebvre, Henri The production of space Blackwell Publishing, Londra giugno 1991 pp.400, £ 12.95 Lévinas, Emmanuel Entre nous Grasset, Paris maggio 1991 pp.312, FF 125 Il libro di Lévinas ritorna sulle questioni cardinali della filosofia: la vita, la morte, la conoscenza, non dimenticando i problemi di argomento politico, quali i diritti dell’uomo. Livingston, Donald W. Martin, Marie (a cura di) Hume as a philosopher of society, politics and history University of Rochester Press, Rochester giugno 1991 pp.188, £ 29.50 Una collezione di saggi, inizialmente pubblicati nel “Diario della storia delle idee”, che esamina il lavoro di Hume come filosofo della società, della politica e della storia. I fondamenti della filosofia di Hume sono collocati nel suo primo libro “Trattato sulla natura umana”. Loewer, Barry; Rey, Georges (a cura di) Meaning in mind: Fodor and his critics Blackwell Publ., Londra giugno 1991 pp.336, £ 37.50 Durante gli ultimi vent’anni Jerry Fodor ha sviluppato una teoria sugli stati mentali intenzionali e i loro correlativi sintatticamente strutturati. Questo libro contiene una serie di disamine e verifiche delle teorie di Fodor, condotte dai suoi critici; costituisce una risposta al criticismo dello stesso Fodor. Lohmann, Georg Indifferenz und Gesellschaft. Eine kritische Auseinandersetzung mit Marx Suhrkamp, Frankfurt/M. giugno 1991 pp.380, DM 48 Il saggio tenta di ricavare in un’interpretazione critico-rappresentativa del Capitale il modo in cui Marx analizza la costituzione dello stato di indifferenza dello specifico capitalistico, ma dimostra anche quanto tale indifferenza sia avversa alla critica marxiana della società capitalistica. Lorenzen, Max O. Metaphysik als Grenzgang. Die Idee der Aufklärung und ihre Vollendung durch Immanuel Kant Meiner, Hamburg giugno 1991 pp.368, DM 96 I problemi della filosofia pratica derivanti dall’idea di illuminismo costituiscono il punto di partenza decisivo del pensiero di Kant. Nella risposta a questa domanda di universale importanza sta il punto centrale del suo sitema filosofico. Ludlam, Thomas Logical tracts: Comprising observations and essays illustrative of Mr. Locke’s treatise upon the human understanding (1790) Thoemmes Press, London giugno 1991 pp.114, £ 28, Un libro riguardante il ruolo della Ragione in teologia. Include argomenti come la filosofia del “Senso comune” di Reid e Stewart, il ruolo delle idee astratte nel ragionamento e la proposta di Locke nei “Saggi” di rendere dimostrabili le teorie etiche. Luserke, M. (a cura e con un’introduzione di) Die aristotelische Katharsis. Dokumente ihrer Deutung im 19. und 20. Jahrhundert Olms, Hildesheim, agosto 1991 p.446, DM 78 Interpretazioni psicologiche, psicoanalitiche, pedagogiche, oltre alla critica letteraria e teatrale, accostate a lavori di filologia tradizionale (tra cui i classici dell’interpretazione catartica) e filosofici. Lüthe, Rudolf David Hume. Historiker und Philosoph Alber, Freiburg giugno 1991 pp.200. DM 34 Il libro presenta la filosofia di David Hume come il fondamento di una scienza empirica dell’uomo e analizza la dipendenza sistematica della riflessione filosofica e dell’esperienza storica in tutta l’opera di Hume. Lyons, David In the interest of the governed: A study in Bentham’s philosophy of utility and law Clarendon Press, London maggio 1991 pp.176, £ 20 Basato su uno studio dei più importanti lavori di Jeremy Bentham, questo libro offre una reinterpretazione delle sue principali dottrine filosofiche, del suo principio di utilità e della sua analisi del diritto. Lyotard, Jean-François Leçons sur l’analitique du sublime. Kant, Critique de la faculté de juger, Paragraphes 23-29 Galilée, Paris giugno 1991 pp.294, FF 205 Magnani, Lorenzo Epistemologia applicata. Conoscenza e metodo nelle scienze prefaz. di Fulvio Papi Marcos y Marcos, Milano luglio 1991 pp. 334. Il volume, che compendia organicamente testi già apparsi su varie riviste e testi inediti, mette a fuoco problemi epistemologici di più generale interesse filosofico. Le tematiche spaziano dal rapporto fra l’epistemologia e l’intelligenza artificiale, a quello fra antropologia e conoscenza matematica, all’individuazione di modelli epistemologici del sapere psicoanalitico, in un panorama di riferimenti filosofici che va da Kant, Hegel e Marx a Poincaré e Gödel. Magnani, Lorenzo (a cura di) Conoscenza e matematica introduz. a cura di Fulvio Papi Marcos y Marcos, Milano settembre 1991 pp. 497. Raccolta di saggi (fra gli altri, di Giorello, Magnani, Petitot, Toth) il cui intendimento è anche quello di mostrare come la matematica abbia spesso fornito paradigmi conoscitivi per la riflessione gnoseologica. Makkreel, Rudolf A. Dilthey. Philosoph der Geisteswissenschaften Suhrkamp, Frankfurt giugno 1991 pp.440, DM 64 Contrariamente alla tendenza diffusa di separare i primi scritti psicologici di Dilthey dagli ultimi, ermeneutici e storici, il presente saggio cerca di dimostrare la loro sostanziale continuità. Malcolm, John Plato on the self-predication of forms: early and middle dialogues Clarendon Press, London luglio 1991 pp.240, £ 27.50 Un’interpretazione dei primi dialoghi platonici; afferma che i pochi esempi di autopredicazione in essi contenuti, sono accettabili solo come affermazioni concernenti gli universali e che conseguentemente Platone non è suscettibile di essere confutato attraverso l’argomento del “terzo uomo”. Mall, Ram A. Buddhismus Religion der Postmoderne? Ed. Collage Peter Herwig Hildesheim giugno 1991 pp.130, DM 25 Questa analisi del (primo) buddhismo di Ram A. Mall rappresenta fra le numerose pubblicazioni sul tema come qualcosa di particolare: partendo dall’idea degli iniziati all’essenza di questa “religione”, Mall elabora una spregiudicata analisi critica di estrema precisione, che è allo stesso tempo esposizione e interpretazione, dell’insegnamento di Buddha, soprattutto nei suoi aspetti etici e psicologici. Marchesi, Angelo Filosofia e Religione. Una integrazione possibile Unicopli, Milano maggio 1991 pp.182, L.. 22.000 La problematica filosofica relativa al rapporto che intercorre tra l’esistenza concreta dell’uomo e l’Essere assoluto e divino viene ripercorsa in una esposizione storico-critica. L’indagine di Marchesi intende dimostrare la possibilità teoretica di un convergente e costruttivo rapporto tra quello che viene indicato come “orizzonte filosofico” e quello che, reciprocamente, viene chiamato “orizzonte religioso”. Marchianò, Grazia (a cura di) Le grandi correnti dell’Estetica moderna Guerini e Ass., Milano giugno 1991 pp.480, L. 58.000 L’opera, unica nel suo genere per la vastità e l’importanza dei contributi, è una ricognizione delle scuole e dei protagonisti dell’estetica novecentesca valutata criticamente da studiosi provenienti da ogni parte del mondo. Markova, Ivana Foppa, Klaus (a cura di) Assymetries in dialogue Harvester Wheatsheaf, luglio 1991 pp.256, £ 35 Questa raccolta di saggi esplora l’interazione tra il liguaggio e i suoi diversi contesti psicologici e sociali. L’opera riguarda soprattutto il ruolo del linguaggio nell’accertazione e nella trasmissione del sapere. Matilal, Bimal Krishna Perception Clarendon Press, Londra giugno 1991 pp.452, £ 15 Presenta la visione filosofica Nyaya e la esamina criticamente contro quella del suo oppositore tradizionale, la versione buddista del fenomenalismo e dell’idealismo. L’autore afferma che Nyaya non affronta solo le tradizionali critiche buddiste, ma anche quelle dei moderni rappresentazionalisti dei dati sensoriali. Mc Allester Jones, Mary Gaston Bachelard, subversive humanist: texts and readings University of Wisconsin Press, luglio 1991 pp.192, $ 29.95 Un’introduzione agli scritti di Bachelard sui rapporti tra scienza, poesia e coscienza umana. Il libro contiene estratti, cos~ come saggi critici che esaminano lo sviluppo del suo pensiero e chiarificano il suo legame con la rivoluzione intellettuale comunemente associata a Foucault e Derrida. McGinn, Colin The problem of consciousness. Essays toward a resolution Basil Blackwell, Oxford giugno 1991 pp.232, £ 30 Il problema della coscienza nel mondo materiale. L’autore sostiene che credere nell’esistenza della coscienza non inficia il naturalismo ateistico, anche se al momento la coscienza possa essere spiegata in termini di scienze fisiche. Il problema, egli dice, è di tipo concettuale. Meinwald, Constance C. Plato’s Parmenides Oxford UP, New York giugno 1991 pp.224, $ 24 Questo saggio propone una nuova soluzioone all’annoso dilemma della cosidetta metà “ginnica” del Parmenide platonico. L’autore dimostra che l’opera serve a introdurre una metafisica che nasce dai problemi comunemente legati ai dialoghi centrali di Platone, istituendo un collegamento con le opere successive. Mersch, D. - Nyíri, J.C. (a cura di) Computer, Kultur, Geschichte. Beiträge zur Philosophie des Informationszeitalter Passagen-Vlg., Wien giugno 1991 pp.168, ÖS 280 Meyerson, Denise False consciousness Clarendon Press, Londra giugno 1991 pp.192, £ 25 NOVITA' IN LIBRERIA L’autore adopera le tecniche della filosofia analitica per sviscerare il concetto marxista di “falsa coscienza”; sostiene che il marxismo è connesso all’idea di un credo motivato e che tale idea è filosoficamente difensibile. Micinski, Boleslaw Diligence philosophique Ed. Noir sur blanc, Paris maggio 1991 pp.183, FF 116 Raccolta di saggi del filosofo, critico d’arte e poeta polacco. Millar, Alan Reasons and experience Clarendon Press, London luglio 1991 pp.240, £ 27.50 Un certo pensiero filosofico moderno tende a considerare l’esperienza sensibile come un tipo particolare di abito proposizionale. L’autore argomenta contro questa concezione, interpretando l’esperienza sensibile come una sorta di stato psicologico. Esamina inoltre la natura della fede a partire da questi presupposti. Morell, Thomas Notes and annotations of Locke on the human understanding (1794) Thoemmes Press, London giugno 1991 pp.130, £ 30 Questi “appunti e annotazioni” furono scritti su richiesta della regina Caroline, ma rimasero in forma di manoscritto fra le carte di Morell fino alla sua morte avvenuta nel 1784. Nel libro sono inclusi chiarimenti sulla terminologia di Locke, spiegazioni sulle tematiche centrali e sul criticismo sostanziale. Moretto, Giovanni Giustificazione e interrogazione. Giobbe nella filosofia Guida Editori, Napoli giugno 1991 pp.220, L. 30.000 La nostra tradizione di pensiero ha una duplice radice, greca e giudaicocristiana. In entrambe queste radici vive l’idea che l’esistenza umana sia segnata dalla tragedia del male. Da qui prende spunto Moretto per indagare il problema del male e del negativo con cui, nella sua storia millenaria, la filosofia si è confrontata. Müller, Karl Otfried Prolegomeni a una mitologia scientifica trad. di Luciano Andreotti Guida Editori, Napoli giugno 1991 pp.250, L. 30.000 Il saggio affronta il tema della comprensione storica del mito. Müller mostra come nella mitologia compaiano sempre due elementi indissociabili: il fatto realmente accaduto, e storicamente riscontrabile, e una pura rappresentazione del pensiero. La comprensione storica, per Müller, non si arresta dinanzi al contenuto ideale del mito; la mitologia scintifica accede, nelle pagine di questo libro, alla comprensione della rappresentazione mitica interrogando la religiosità degli antichi e penetrando nella sfera del loro puro pensiero. Nicole, Pierre Discourses: Translated from Nicole’s Essays by John Locke with important variations from the original french (1828) Thoemmes Press, London giugno 1991 pp.274, £ 32, I “Saggi sulla morale” di Nicole consistono di tre discorsi. Quando Locke lesse i “Saggi”, ne fu talmente colpito che li tradusse in inglese. I temi di Nicole, il ruolo della ragione nella religione, le debolezze umane e l’armonia sociale, furono tutti considerati da Locke di perenne interesse. Noica, Constantin Six maladies de l’esprit contemporain Critérion, Paris maggio 1991 pp. 234, FF 125 Il sentimento dell’esilio, la noia metafisica e la coscienza del vuoto come sintomi di altrettante malattie dello spirito. Öffenberger, Niels Zur Vorgeschichte der mehrwertigen Logik in der Antike (Zur modernen Deutung der aristotelischen Logik IV) Georg Olms, Hildesheim giugno 1991 pp.172, DM 44,80 Ophir, Adi Plato’s invisible cities Routledge, London giugno 1991 pp.240, £ 35 Una lettura della Repubblica di Platone, una delle opere che più hanno influenzato la nascita della filosofia occidentale. L’autore mira a fornire una base per un riesame dei rapporti fra filosofia e politica. Osler, Margaret J. (a cura di) Atoms, pneuma and tranquillity: Epicurean and stoic themes in european thought. Cambridge University Press, maggio 1991 pp.288, £ 32.50 Uno studio dell’influenza che epicureismo e stoicismo, due filosofie della natura e della natura umana elaborate in epoca classica, hanno esercitato sullo sviluppo del pensiero illuminista europeo nei campi letterario, filosofico, religioso e scientifico. Papadis, Dimitrios Die Seelenlehre bei Alexander von Aphrodisias Introduzione di Olof Gigon Lang, Frankfurt a.M. giugno 1991 pp.391, DM 100 Parrochia, Daniel Le Réel Bordas, Paris maggio 1991 pp. 191, FF 58 Il reale, fisico, metafisico e antropologico in tutte le sue rappresentazioni. Perronet, Vincent A second vindication of Mr. Locke (1738) Thoemmes Press, London giugno 1991 pp.158, £ 34, Nel 1736 Perronet pubblicò la sua prima “Difesa di Mr.Locke”, difendendo Locke dall’accusa, diretta da Browne ed altri, di incoraggiamento degli scettici e dei miscredenti. In questa seconda “Difesa”, Perronet replica a Butler e alle critiche simili di Andrew Baxter e Isaac Watts Pierre-Jean, Simon Histoire de la sociologie P.U.F., Paris giugno 1991 pp.534 Prezioso per gli studiosi, utile per gli studenti, questo libro si preoccupa di ricercare le origini della sociologia al di là della data ufficiale di nascita, scovandone le tracce in Platone e in Montesquieu. Si sofferma a lungo sull’opera dei padri fondatori e prosegue fino alla scuola di Chicago. Pippin, Robert B. Modernism as a philosophical problem: On the dissatisfactions of european high culture Basil Blackwell, London maggio 1991 pp.224, £ 35 La cultura europea recente si è interessata largamente all’idea di modernità. Questo libro verte sul contributo filosofico a tale aspetto della cultura; percorre le insoddisfazioni espresse nel lavoro di Nietzsche, Hegel e Heidegger, così come le argomentazioni di Adorno e Habermas. Platts, Mark Moral realities. An essay in philosophical psychology Routledge, London maggio 1991 pp.288, £ 35 Una metafisica descrittiva della morale, che cerca di svelare il modo in cui la critica filosofica ha mal identificato l’istituzione della moralità. L’autore si rifà alle classiche filosofie morali di Hume, Mandeville e Nietzsche. Pöldinger, W. - Wagner, W. (a cura di) Ethik in der Psychiatrie. Wertebegründung - Wertedurchsetzung Springer, Berlin, agosto 1991 pp.244, DM 48 Un’indagine sul ruolo dell’antropologia e della metafisica nel ricavare sia il mondo etico, i principi medici e il loro mutare, sia i problemi pratici che si presentano a una persona responsabile nella prassi quotidiana. Postl, Gertrude Weibliches Sprechen. Feministische Entwürfe zu Sprache & Geschlecht Passagen-Vlg., Wien giugno 1991 pp.336, DM 47,20 - ÖS 330 Poulain, Jacques (a cura di) Critique de la raison phénoménologique: la transformation pragmatique Cerf, Paris maggio 1991 pp. 248, FF 150 Gli atti del Convegno di Vienna (10-13 maggio 1985), dove riprendendo l’interrogazione husserliana vengono interrogate la possibilità e la necessità ontologica di confrontare la vita umana al problema della verità. Poulaine, Jacques L’Age pragmatique ou l’Experimentation totale L’Harmattan, Paris maggio 1991 pp. 232, FF 130 Priest, Stephen Theories of the mind Penguin Books, Londra giugno 1991 pp.240, £ 6.99 Esamina le concezioni dei filosofi sulla filosofia della mente. Il libro affronta inizialmente il dualismo, la tradizionale concezione secondo cui mente e corpo sono realtà totalmente separate, e percorre poi il comportamentismo, il materialismo, il funzionalismo, le teorie del “doppio aspetto” e la fenomenologia. Prouvost, Géry Catholicité de l’intelligence métaphysique: la philosophie dans la foi selon Jacques Maritain Ed. Téqui, Rennes maggio 1991 Putallaz, François-Xavier La Connaissance de soi au XII siècle. De Matthieu d’Aquasparta à Thierry de Freiberg Vrin, Paris maggio/giugno 1991 pp.444, FF 295 Ravera, Marco Introduzione al Tradizionalismo francese Laterza, Bari luglio 1991 pp.210 Il libro presenta una chiara ed efficace esposizione storiografica del tradizionalismo francese e dei suoi maggiori protagonisti: J. de Maistre, L. de Bonald, F. de Lamennais. Renner, R.G. (a cura di) Denken, das dieWelt veränderte. Schlüsseltexte der europäischen Geistesund Wissenschaftsgeschichte Herder, Freiburg, agosto 1991 2 voll., pp.384 ciascuno, DM 78 Rhode, Wolfgang Schopenhauer huete. Seine Philosophie aus der Sicht naturwissenschaftlicher Forschung Schäuble, Rheinfelden maggio 1991 pp.250, DM 92 Risse, W. (a cura di) Thesaurus Logicus. Microfiche-Edition zur Geschichte der Logik Georg Olms, Hildesheim giugno 1991 DM 9.180 Questa edizione in microfilm ripercorre in modo esauriente e originale circa 200 dei più importanti lavori sulla storia della logica dall’inizio dei libri a stampa fino a tutto il XVIII secolo. Roberts, Richard From Hegel to Heidegger: Explorations in the afterlife of religion The Bristol Press London maggio 1991 pp.176, £ 19.95 NOVITA' IN LIBRERIA Una raccolta di saggi sul pensiero filosofico tedesco da Hegel a Heidegger, dalla tecnica interdisciplinare e di orientamento teologico. Il volume esplora la “vita ultraterrena” della religione, in un’epoca di ambiguità in cui ogni cosa tende a divenire diversa dal proprio io apparente. Rohs, Peter Johann Gottlieb Fichte C.H. Beck, München giugno 1991 pp.190, DM 22 La presente introduzione al pensiero di Fichte dimostra che la sua filosofia dell’io, spesso a torto pensata come soggettivismo e individualismo, è un tentativo, ancora oggi affascinante, di fondare e di giustificare la spontaneità, la creatività e la coscienza di sé come fonte dell’umanità. Rorty, Richard Philosophical papers. Vol.1: Objectivity, relativism and truth Cambridge UP Cambridge giugno 1991 pp.236, £ 27,50 Questa raccolta di saggi di Richard Rorty, scritti negli anni ’80 e ora pubblicati in due volumi, affronta alcuni dei temi che dividono i filosofi analitici anglosassoni e i filosofi contemporanei francesi e tedeschi, proponendo qualcosa di simile a un compromesso. Rorty, Richard Philosophical papers. Vol.2: Essays on Heidegger and others Cambridge UP Cambridge giugno 1991 pp.250, £ 27,50 Secondo volume della raccolta di saggi di Richard Rorty, in cui vengono portati avanti i temi del primo, nel contesto dei dibattiti sulla recente filosofia europea incentrata sull’opera di Heidegger e Derrida. Rutherford, R.B. The Meditation of Marcus Aurelius: A study Clarendon Press, London giugno 1991 pp.304, £ 14.95 Questo studio cerca di facilitare al lettore moderno l’approccio alle “Meditazioni”, spiegando il loro retroterra storico e filosofico, percorrendo i nodi fondamentali del pensiero di Marco Aurelio e riportando i dettagli stilistici della sua prospettiva intellettuale e morale. Sandkühler, J. - Pätzold, D. (a cura di) Die Wirklichkeit der Wissenschaft. Probleme des Realismus Meiner, Hamburg giugno 1991 pp.203, DM 30 Sandvoss, Ernst R. Philosophie, Selbstverständnis, Selbsterkenntnis, Selbstkritik Wiss. Buchges., Darmstadt giugno 1991 pp.252, DM 38 Sartre, Jean-Paul - Levy, Benny L’Espoir maintenant: les entretiens de 1980 Verdier, Rieux en Val giugno 1991 pp. 104, FF 85 In queste interviste dell’ultimo periodo, Sartre tenta di ripensare il concetto di inizio. Scalia, Gianni Tra avanguardie e altre cose discorsi di ordinaria letteratura, politica, filosofia Il Poligrafo, Padova giugno 1991 pp.224, L. 35.000 Il saggio è costituito da un insieme di interventi provocatori su questioni e personaggi centrali nell’odierno dibattito politico-culturale. Dal problema storico-teorico delle avanguardie novecentesche, la riflessione di Scalia si sposta su quelle tematiche letterarie particolarmente sensibili ai risvolti filosofici e politici via via sollevati dalle posizioni dei più significatici maître à penser come Roland Barthes e Edmond Jabès. Scheler, Max Von der Ganzheit des Menschen. Ausgewählthe Schriften. Liebe, Ethik, Erkenntnis, Leiden, Zukunft, Realität, Soziologie, Philosophie A cura di Manfred S. Frings Bouvier, Bonn giugno 1991 pp.283, DM 38 Schrift, Alan Nietzsche and the question of interpretation Routledge, London luglio 1991 pp.256, £ 35 Questo studio lega Nietzsche alla tradizione ermeneutica, affermando che una certa tensione nelle sue osservazioni sull’interpretazione anticipa l’ermeneutica pluralista alternativa ad Heidegger. Schwabe-Hansen, Elling Das Verhältnis zwischen transzendentaler und konkreter Subjektivität in der Phänomenologie Edmund Husserls W. Fink, München giugno 1991 pp.250, DM 58 Schwabe-Hansen interpreta la fenomenologia come un tipo a se stante di filosofia trascendentale, rendendola plausibile sulla base di un’ampia e precisa lettura di Husserl. Seager, William Methaphysics of consciousness Routledge, London giugno 1991 pp.256, £ 35 Questa monografia delinea una concezione fisicalista del pensiero mentale, indipendente dalle correnti teorie “mente-cervello”. Esplora la nozione di “sopravvenenza” come le ragioni di un fisicalismo plausibile che richiede meno ricerche della spiegazione fisica dei processi mentali. Searle, John Rogers Pour réitérer les differences: réponse à Derrida Eclat, Combas 1991 pp. 24, FF 30 L’articolo di Searle che ha inaugurato la polemica con J. Derrida sull’interpreta- zione del pensiero di Austin. Sebba, Helen - Bueno, Anibal A. Boers Hendrikus (a cura di) The collected essays of Gregor Sebba: truth, history and the imagination. Louisiana State University Press, luglio 1991 pp.480, $ 29.95 Questa raccolta di saggi tutti pubblicati tra il 1950 e il 1981, riflette la disparità degli interessi di Gregor Sebba. Tra le materie trattate vi sono la filosofia, la storia delle idee, la letteratura e l’arte. La maggior parte delle argomentazioni riguardano la creatività e la ricerca del vero. Sheehan, J.J. - Sosna, M. (a cura di) The bounsaries of humanity. Human, animals, machines University of California Press, Berkeley giugno 1991 pp.264, $ 35 Eminenti studiosi di sociobiologia e di intelligenza artificiali uniscono la propria riflessione a quelle di filosofi, storici e scienziati sociali. I curatori del volume, nel brano introdotti, analizzano il dibattito. Sichirollo, Livio (a cura di) Il resistibile declino dell’Università Guerini e Ass., Milano luglio 1991 pp.192, L. 28.000 Una raccolta di scritti di P. Calamandrei, B. Croce, G. De Carlo, P. Piovani, G. Pasquali, G. Pugliese Carratelli, E. Renan, E. Weil. E’ un fatto forse poco noto che dagli anni Venti la polemica sull’Università si indirizzasse contro una struttura “massiccia e sgretolata a un tempo”. Studiosi, docenti, educatori che nella situazione attuale individuano i sintomi di una ben prevedibile catastrofe, si richiamano alla riflessione di chi, nel passato, aveva riconosciuto i segni premonitori del disastro e li aveva denunciati a chiare lettere. Singer, Peter A companion to ethics Basil Blackwell, London luglio 1991 pp.560, £ 40 Questo volume, composto da quarantasette articoli, ricopre l’intero campo dell’etica, dalle origini della materia, attraverso le grandi tradizioni etiche, sino alle teorie su come dovremmo vivere. Si sofferma su specifiche questioni etiche e sulla natura dell’etica stessa. Snare, Francis Morals, motivation and convention: Hume’s influential doctrines Cambridge University Press, Cambridge maggio 1991 pp.344, £ 30 Uno studio sulla continua influenza delle opinioni di Hume sulla filosofia morale e su quella politica. Il libro è in parte un’ esegesi critica delle dottrine incisive e provocatorie di Hume contenute nel terzo libro del “Trattato sulla natura umana”; pone in rilievo l’importanza di questo dibattito per la filosofia contemporanea. Sosa, Ernest Knowledge in perspective: Selected essays in epistemology Cambridge University Press, Cambridge maggio 1991 pp.320, £ 30 Sin da Platone i filosofi si sono posti una domanda fondamentale: qual è l’ambito e quale la natura della conoscenza umana? In questo volume il filosofo Ernest Sosa ha raccolto dei saggi a riguardo, scritti nell’arco di venticinque anni. Tutti i più importanti argomenti dell’epistemologia contemporanea sono trattati. Spinnici, Paolo Il significato e la forma linguistica. Pensiero, esperienza e linguaggio nella filosofia di Anton Marty Franco Angeli, Milano giugno 1991 pp.344, L. 35.000 Sterenly, Kim The representational theory of mind. An introduction Basil Blackwell, Oxford giugno 1991 pp.256, £ 37,50 Il libro illustra e sostiene una teoria fisica dell’intelligenza in due parti: la prima consiste nell’esposizione e nella difesa di una delle principali teorie contemporanee della sesnsibilità umana (teoria funzionalista della mente), la seconda considera opposizioni e obiezioni. Stewart, M.A. Studies in the philosophy of the scottish Enlightenment Clarendon Press, London maggio 1991 pp.336, £ 14.95 In questa serie di saggi sulla filosofia scozzese nell’età di Hutcheson e Hume, si sottolinea l’importanza dell’uso di fonti storiche originali e dello studio del contesto, come chiavi dell’interpretazione filosofica. La raccolta include ricerche sulla prima educazione scientifica e religiosa di Hume. Strauss, Leo Le testament de Spinoza: écrits de Leo Strauss sur Spinoza et le judaisme a cura di A. Barraquin e M. Depadt-Ejchenbaum Cerf, Paris luglio 1991 pp. 359, FF 240 La tesi sostenuta da Strauss è che la comprensione del problema ebraico inerisce a una nuova lettura del Trattato teologico-politico di Spinoza. Tallis, Raymond The explicit animal. A defence of human consciousness MacMillan Acad. and Prof., Londra giugno 1991 pp.320, £ 35 Il testo fornisce un quadro completo delle attuali teorie materialiste della coscienza e sostiene che i tentativi di sistemare o eliminare l’esperienza soggettiva sono mal concepiti. La coscienza viene considerata la base di una nuova visione, quella dell’”uomo esplicito”. Tester, Keith Animals and society. The humanity of animal rights Routledge, Londra giugno 1991 NOVITA' IN LIBRERIA pp.208, £ 30 Il saggio fornisce un resoconto esauriente dei rapporti fra uomini e animali e tenta di sollevare questioni di ampia portata sulla filosofia, la storia e la politica dei diritti animali. Thielen, Helmut Revolution des Glaubens. Religionsphilosophische Versuche über Befreiung Prefazione di Kuno Füssel Argument, Hamburg giugno 1991 Track, Joachim Philosophie im 20. Jahrhundert Kohlhammer, Stuttgart giugno 1991 pp.220, DM 29 Traversa, Guido L’unità che lega l’uno ai molti. La Darstellung in Kant Japadre Ed., Roma maggio 1991 pp.268 Trutmann, Bruno Der unbekannte Gott. Eine kritische Aufeinandersetzung mit dem offiziellen Gottesglauben Rasch und Röhring, Hamburg giugno 1991 pp.208, DM 28 Türcke, Christoph Violenza e tabù. Percorsi filosofici di confine Garzanti, Milano maggio 1991 pp.141, L. 16.000 La raccolta di saggi di Türcke che affronta temi apparentemente disparati come il concetto di non-violenza, l’etica ambientalista, il rispetto per la vita, la teoria degli archetipi junghiana e il rapporto tra Freud e la religione, rifiuta l’approccio interdisciplinare per puntare sugli elementi di intersezione che percorrono tutti questi temi. L’argomentazione di Türke è lucida, volutamente polemica nel demistificare i luoghi comuni e le banalità rassicuranti di tante nobili posizioni che, per un malinteso assolutismo morale, si sottraggono al compito di pensare. Untersteiner, Mario La fisiologia del mito Bollati Boringhieri, Torino giugno 1991 pp.564, L. 42.000 L’autore ripercorre il cammino “dal mito al logos” indagando soprattutto le relazioni tra mito e religione, tra due manifestazioni dello spirito che si differenziarono quando i miti presero uno sfondo storico, o si colorirono di un intento etico, allegorico o eziologico. Vallentyne, Peter (a cura di) Contractarianism and rational choice. Essays on David Gauthier’s Morals by agreement Cambridge University Press, luglio 1991 pp.352, £ 35 “Morals by agreement”(1986) di David Gauthier, offre una completa e suggestiva teoria contrattuale della moralità. In questa antologia, alcuni filosofi della politica e della morale forniscono un esame critico della teoria di Gauthier e dei suoi tre programmi principali. Vasilyuk, F. The psychology of experiencing Harvester Wheatsheaf, giugno 1991 pp.258, £ 40 Sostiene che l’esperienza sensibile, un lavoro della persona nel mondo, conferma la posizione dell’io rispetto al mondo; costituisce una replica alle epistemologie del disgiuntivismo e suggerisce modi in cui i singoli individui possono rimediare ai propri mali. Verene, Donald Phillip The new art of autobiography: an essay on the “Life of Giambattista Vico written by himself” Clarendon Press, London luglio 1991 pp.280, £ 30 Uno studio sull’ autobiografia di Vico. Questo libro colloca l’opera nello sviluppo del genere autobiografico; l’autore afferma che Vico fa del racconto della propria vita un’applicazione filosofica alla storia umana. Tale racconto è considerato in rapporto alle “Confessioni” di Agostino e ai “Discorsi” di Cartesio. Virno, Paolo Opportunisme, cynisme et peur: ambivalence du désenchantement Eclat, Combas 1991 pp. 64, FF 55 Un’analisi della modernità e delle malattie sintomatiche del disincanto. Waxman, Wayne Kant’s model of the mind Oxford UP, Oxford giugno 1991 pp.352, £ 35 Questa monografia propone una nuova interpretazione delle concezioni kantiane sulla percezione umana e la conoscenza, così come vengono impostate nella prima parte della Critica della ragion pura. Weatherford, Roy The implications of determinism Routledge, Londra giugno 1991 pp.240, £ 35 Weatherford intreccia temi metafisici, etici, religiosi, del senso comune e della fisica quantistica, dando luogo al quadro più chiaro possibile del problema in tutte le sue forme. Wellmer, Albrecht The persistence of modernity: Aesthetics, ethics and postmodernism Polity Press, maggio 1991 pp.200, £ 35 Un’analisi delle dimensioni estetiche, etiche e filosofiche dell’era moderna; questo libro discute il lavoro di figure come Adorno, Peter Burger, Habermas e Jean Francois Lyotard. Per tutto il testo l’autore argomenta a favore di un riesame degli scopi della diffusione della cultura. Wenzel, Harald Die Ordnung des Handelns. Talcott Parson’s Theorie des allgemeinen Handlungssystems Suhrkamp, Frankfurt a.M. giugno 1991 pp.528, DM 68 Weymann-Weyhe, Walter Leben in der Vergängichkeit. Über die Sinnfrage, die Erfahrung des Anderen und den Tod Patmos, Düsseldorf giugno 1991 pp.192, DM 29,80 Whitford, Margaret Luce Irigaray. Philosophy in the feminine Routledge, Londra giugno 1991 pp.304, £ 35 Introduzione al pensiero e all’opera di Luce Irigaray. Pensandola come una filosofia della differenza sessuale, Margaret Whitford suggerisce che si tratti di un’opera di filosofia al femminile. Wiggins, David Needs, values, truth Blackwell Publishing, Londra giugno 1991 pp.380, £ 14.95 Una raccolta di dieci saggi che ricoprono i territori dell’etica, della metaetica, della filosofia del linguaggio e della logica. Tra i tanti argomenti toccati vi è la controversa questione del cognitivismo in etica. Wilhelms, Günther Sinnlichkeit und Rationalität. Der Beitrag Alfred Lorenzers zu einer Theorie religiöser Sozialisation Kohlhammer, Stuttgart giugno 1991 pp.238, DM 74 Al centro della ricerca c’è l’interrogativo sulle possibilità di tramandare il mondo simbolico religioso e le tradizioni nella situazione culturale e sociale odierna. Wils, J.-P. - Mieth, D. (a cura di) Ethik ohne Chance? Erkundungen im technologischen Zeitalter Attempto-Vlg., Tübingen, agosto 1991 2 ed. ampliata e riveduta pp.294, DM 36,80 Wilson, Fred Empiricism and Darwin’s science Kluwer Acad.Publ., Lancaster luglio 1991 pp.368 Difende un certo empirismo e la teoria darwiniana sull’origine delle specie attraverso la selezione naturale. Witzany, G. (a cura di) Zur Theorie der philosophischen Praxis Die Blaue Eule, Essen giugno 1991 pp.147, DM 38 Wood, Allen W. Hegel’s ethical thought Cambridge UP, Cambridge giugno 1991 pp.315, £ 30 Notevole esposizione della teoria etica che sta alla base della filosofia hegeliana sociale, politica e storica. Wren, Thomas E Caring about morality: Philosophical perspectives in moral psychology Routledge, Londra giugno 1991 pp.208, £ 30 Si tratta di uno studio di filosofia morale che cerca di mettere in dubbio gli assunti filosofici che puntellano gli aspetti psicologici e motivazionali della moralità. L’autore propone la sua teoria della “cautela morale” che è una tendenza a pensare la realtà in termini morali. Zimmermann, Rainer E. Selbstreferenz und poetische Praxis. Entwurf zur Grundlegung einer axiomatischen Systemdialektik Junghans, Cuxhaven giugno 1991 pp.115, DM 28 Zingari, Guido Leibniz, Hegel e l’idealismo tedesco Mursia, Milano 1991 pp.229, L. 30.000 Il libro indaga in maniera approfondita i rapporti tra Leibniz e l’Idealismo tedesco e in particolar modo tra il pensatore di Hannover e lo Hegel della Scienza della logica. Tali rapporti vengono affrontati secondo il duplice andamento dell’influsso e della ricezione concentrandosi soprattutto sui temi della logica formale, della filosofia della matematica e della scienza.