Gentili lettori,
la recente scomparsa di Luigi Pareyson priva la
filosofia italiana del dopoguerra ad oggi di uno dei
suoi più significativi autori e interpreti. Un vuoto
che dagli allievi di allora agli studenti degli ultimi
suoi corsi all’Università di Torino percorre intere
generazioni di filosofi con il senso ineludibile di una
perdita. Una perdita che è però insieme presupposto
di una presenza nuova. Con la scomparsa di un
filosofo ciò che vien meno, di fatto, è l’agire del
pensiero, il suo prodursi e svilupparsi in un tempo e
in uno spazio determinato. A questa inattività, che è
solo di un preciso momento temporale, subentra
ora, più vigorosa, la forza vivificante dell’interpretazione, che dà al pensiero, accumulatosi in un certo
tempo e in un certo spazio, la sua originarietà e
storicità, il suo contenuto inesauribile di verità.
Di questo processo, Pareyson stesso ha dato una
testimonianza esemplare di vita e militanza filosofica lungo tutto lo sviluppo del suo pensiero ermeneutico, dal personalismo ontologico degli inizi della
sua speculazione fino alle più recenti teorizzazioni
sul pensiero tragico e sull’ontologia della libertà.
E’ con le sue stesse parole che voremmo qui, pertanto, appropriandoci del concetto d’interpretazione
che ne sta alla base, congedarci dal filosofo e
aprirci nuovamente alla sua opera.
interpretazioni di interpretazioni. Penso che ciò non
sia conforme al concetto d’interpretazione, la quale
o è interpretazione di qualcosa o non è: l’interpretazione che dissolve in se stessa ciò ch’essa ha da
interpretare, e che quindi vi si sostituisce, cessa con
ciò stesso di essere interpretazione. Non resta allora
che il diffluire dell’esperienza, di per sé indifferente
e privo di distinzioni possibili, senza conflitti e senza
drammi, anzi confortevole e consolatorio, ben lontano dal pensiero tragico che s’annida nel cuore stesso
del pensiero ermeneutico.
Il clima dell’interpretazione, tenuta a un arduo compito di comprensione, e perciò di attingimento e di
fedeltà, è quello del rischio, e quindi dell’angoscia e
del dubbio. Anzi, se si pensa che l’unico accesso
possibile alla verità è la libertà, la quale si esercita
con un atto che può essere sì di consenso e di
accettazione, ma anche di negazione e rifiuto, risulterà che l’ambiente dell’interpretazione è quello
drammatico del conflitto e della contraddizione. Il
pensiero ermeneutico, nella misura in cui si richiama
a un’ontologia della libertà, è strettamente connesso
con il pensiero tragico. La natura della libertà è di
essere abissale e ambigua: essa per un verso non
suppone che se stessa e per l’altro è sempre al tempo
stesso positiva e negativa. Porla al centro del reale
significa portare nel cuore della realtà la duplicità e
il contrasto: supporre un fondamento che si nega
sempre come fondamento e puntare sull’inseparabilità di positività e negatività. Il che invita a riconoscere la tragicità insondabile e profonda ch’è insita
nella realtà stessa.
Prima caratteristica del pensiero ermeneutico è ch’esso è insieme avvolgente e penetrante: problemattizzante e universalizzante al tempo stesso. Da un lato
sottopone il suo campo d’indagine a interrogatori
così stringenti da farne emergere senza posa problemi sempre più urgenti e ineludibili. Dall’altro sa
coglierne la verità e scoprirne il senso, portandolo a
un grado di chiarificazione capace di interessare e
coinvolgere ogni uomo. [...] Il pensiero filosofico è
ermeneutico in senso pieno, perché è al tempo stesso
interpretazione dell’esperienza e interpretazione della
verità, né può essere l’una cosa senza esser l’altra:
esso è ontologico e rivelativo e insieme storico e
personale, indissolubilmente.
[...] Il futuro, a parer mio, è propizio al pensiero
ermeneutico così inteso, ma non sembra favorevole
a quelle forme di ermeneutica che intendono fare a
meno della verità. L’interpretazione, si dice, non è Da Pensiero ermeneutico e pensiero tragico (1986),
interpretazione di qualcosa: non esistono cose o fatti in AA. VV., Dove va la filosofia italiana, a cura di J.
o verità da interpretare, ma solo interpretazioni e Jacobelli, Laterza, Bari 1986, qui pp. 135-137.
SOMMARIO
5 PROFILO
42 La filosofia come sapere storico
5 Ricordo di Luigi Pareyson
43 Heidegger: la guerra e la colpa
44 Empirismo logico a Costanza
7 SAGGIO
44 Tradizione ed emancipazione
7 Lo "stupore della ragione" in Schelling
45 Eugen Fink: mondo e finitezza
46 In cerca del Dio assente
5 SCHEDA
46 La metamorfosi della ragione ermeneutica
13 L'Istituto Universitario Europeo di Firenze
48 Questioni di esperienza
48 I giorni dell'arte
15 AUTORI E IDEE
49 Il sentire del senso
15 Deleuze-Guattari: che cos'è la filosofia?
49 Topografia dell'anima estetica
16 Amerindiadi: i miti del Nuovo Mondo
50 Hölderlin. Colloquio internazionale
16 Forza e diritto
52 Il pluralismo metodologico
17 L'ontologia dell'etica
52 I rami d'oriente: la ricerca comparativa in Italia
18 L'idealismo oggettivo di Hösle
53 Hegel e il sapere matematico
19 Rozanov
55 Hegel a Wroclaw
19 Rorty: i filosofi e la filosofia
21 Wittgenstein in analisi
56 CALENDARIO
21 Emmanuel Lévinas: il pensiero dell'altro
59 DIDATTICA
23 TENDENZE E DIBATTITI
59 La filosofia e le "storie" della filosofia
23 Attualità degli antichi
61 Interventi, proposte, ricerche
24 La società tra conflitto e paura del vuoto
61 Convegni
25 Io, Tu, l'Altro, Noi: il "terzo" nell'etica contemporanea
27 La mente ed i suoi limiti
63 NOTIZIARIO
27 La bellezza del conoscere
28 I molti e l'uno
29 I cicli di Vico
33 PROSPETTIVE DI RICERCA
33 Filosofia medievale islamica
33 L’economia della morale
34 Corrispondenza tra Leibniz e Arnauld
35 Realtà individuali
36 Ramsey e Wittgenstein
36 Sulla banalità del male
37 Il piacere della vita
38 Scritti e carteggi di Kant
38 Pensare al Medio Evo
41 CONVEGNI E SEMINARI
41 Spinoza e l'idealismo tedesco
65 RASSEGNA DELLE RIVISTE
PROFILO
PROFILO
L’ultima volta che vidi Luigi Pareyson fu il sabato 23
marzo 1991. Fu a Rapallo, dove egli viveva ormai da
anni, sebbene la famiglia stesse a Milano, e da dove egli
si muoveva sempre meno. Quindici giorni prima della
scomparsa di Pareyson telefonai a Rapallo e, dal figlio,
venni a sapere che era ricoverato all’ospedale di Milano
per accertamenti. Già nella visita che gli avevo fatto
qualche anno fa, Pareyson aveva escluso ogni viaggio
all’estero (io lo invitavo a farmi visita a Bruxelles), ma da
allora in poi si era mosso sempre meno anche in Italia, a
causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute: il
fegato malato e un diabete galoppante, che lo costringevano a farsi tre iniezioni quotidiane di insulina, accorciavano drasticamente la sua giornata e riducevano drammaticamente le sue forze già prima che si abbattesse su di
lui l’ultima sciagura: la perdita, alla fine del 1990, di
un’amatissima figlia.
Questo lutto lo aveva precipitato in uno stato di prostrazione in cui non riusciva più a lavorare, né a scrivere
articoli, richiestissimi, per il
“Giornale”, né, soprattutto, a
continuare il suo libro
Ontologia della libertà, giunto a metà stesura. Anche per
questo motivo, disse, aveva
scelto di star solo. Sebbene
infatti le visite degli amici gli
facessero piacere, doveva per
il resto economizzare al massimo le proprie forze, se voleva conservare qualche chance di portare a termine i lavori
di Sossio
intrapresi. Lo stesso “Annuario Filosofico”, la prestigiosa
rivista da lui diretta per l’editore Mursia, che soleva uscire all’inizio dell’anno, era
questa volta rimandato all’autunno.
Cercai di portare il discorso sull’Ontologia della libertà,
in cui si concentra la sua ultima filosofia e della quale
aveva pubblicato già nell’Annuario alcuni impressionanti capitoli: “Filosofia ed esperienza religiosa” (1985),
“La filosofia e il problema del male” (1986), e un “Discorso temerario”, “Il male in Dio” (1988). Di che cosa
parlavano e avrebbero parlato i prossimi capitoli? Degli
eoni; innanzitutto dell’eone della caduta; poi, ancora,
sulla via del riscatto, della restauratio - perché il sacrificio di Cristo non può essere vano - dell’eone della
separazione del bene dal male, necessaria appunto per
poter passare a quello del riscatto vero e proprio.
Il libro è articolato in tre fasi, che sono fasi storiche anche
se pongono il problema di non facile soluzione della
simultaneità degli eoni. La prima fase è quella dello
stupore del mondo, della creazione; la seconda è quella
del peccato, della caduta e del male che ciò scatena; la
terza è quella della filosofia e della libertà. Un aperçu di
questa filosofia della libertà, Pareyson lo anticipò già
nella lezione così intitolata con cui si congedò, il 27
ottobre 1988, dall’università di Torino (dove ha avuto
allievi come Vattimo, Eco e Givone, rimastigli fino
all’ultimo affezionati). Si chiudeva così, in modo gran-
dioso, una delle carriere più gloriose di un professore di
filosofia che era anche, come raramente capita, un vero
filosofo.
Pareyson ha dato infatti contributi fondamentali alla
storia della filosofia che si intrecciano con quelli originali
da lui dati all’esistenzialismo, continuato in un personalismo ontologico; al ripensamento dell’idealismo, con
studi su Fichte e soprattutto Schelling, che sono all’origine dell’attuale riscoperta del filosofo tedesco; all’estetica
dell’idealismo e all’estetica tout-court, con un trattato
che è il solo capace di tener testa all’estetica crociana; e
infine all’ermeneutica, prima di imboccare definitivamente, sulle orme appunto di Schelling (ma anche più a
monte, di Plotino e dei mistici tedeschi), la via di un
recupero, non dogmatico ma strettamente filosofico, del
cristianesimo e del suo mito. Qui mito è però da intendersi
non nel senso riduttivo di arbitrio o travestimento di fatti
o eventi naturali, bensì nel senso appunto schellinghiano
della rievocazione della “catastrofe cosmica ed esistenziale per cui l’uomo è stato
sbalzato fuori dell’unità edenica con l’essere e lasciato in
preda a forze che gli si sono
presentate come figure mitologiche” (Verra).
La necessità del ricorso al mito, come arte e religione, deriva, per Pareyson, dal fallimento stesso dell’odierna filosofia, pienamente laicizzata e razionalizzata, dalla sua incapacità di dare adeguatamente
Giametta
conto del dolore e del male,
che è dunque costretta a sminuire e a occultare. Male e
dolore sono invece ben presenti nel mito, ed è lì che la
filosofia deve cercarli. Deve quindi rinunciare alla pretesa di smitizzare a ogni costo e anzi attingere ampiamente
al mito “recuperando la propria natura mitica originaria,
che è pur sempre la fonte inesauribile di ogni discorso che
sia veramente importante e decisivo per l’umanità”. La
filosofia diventa così ermeneutica del sapere preesistente, di cui chiarire e universalizza gli intimi significati,
offrendoli alla partecipazione umana.
Questo passaggio della filosofia dell’essere alla filosofia
della libertà richiama da vicino quello di Schelling dalla
filosofia dell’identità alla filosofia della rivelazione. E
come quello di Schelling fu criticato già ai suoi tempi,
così questo di Pareyson è criticato, in particolare dalla
scuola metafisica di Padova (“ma i metafisici sono fanatici”), come “tradimento”, abbandono della filosofia dell’essere, che è l’unica filosofia. Ma Pareyson ribatte che
il ritrovamento del cristianesimo, con la filosofia della
libertà che vi inerisce, è un portato proprio della filosofia
dell’essere, giunta ad una crisi che non offre alcuna
alternativa. Solo il cristianesimo, per lui, è in grado di
rispondere ai problemi comportati dall’ateismo e dal
nichilismo a cui tale crisi ha messo capo. Il conformismo
dogmatico, leggi il cattolicesimo, è però complice, per
Pareyson, della libertà esclusivamente laica in detta crisi.
Ricordo di
Luigi Pareyson
SAGGIO
PROFILO
PROFILO
L’unico cristianesimo oggi possibile, deve includere in
sé l’anticristianesimo e l’ateismo come problemi interni,
e deve aver dunque un carattere problematico, conflittuale e drammatico. L’ateismo di Feuerbach e il nichilismo
di Nietzsche vi sono inclusi per necessità. In questo
senso, sia Kierkegaard sia Dostoevskij diventano fondamentali, indispensabili, proprio per la loro apertura sulla
negatività. Quando si dice infatti, come dice la filosofia
dell’essere, che la realtà è perché è, che essa non ha un
fondamento, si dice anche che “la realtà è appesa alla
libertà”, che essa è “vertiginosamente sospesa sull’abisso
della libertà”. E’ questo l’insegnamento di Plotino e di
Schelling che Pareyson ha fatto suo, attraverso un’elaborazione e una sintesi altamente originale. Il libro in cui tali
risultati sono racchiusi - risultati che a differenza dei pur
grandiosi svolgimenti posteriori sono da tutti accettati - è
Luigi Pareyson è scomparso a Milano l’8 settembre 1991. Nato a Piasco (Cuneo) nel 1918,
aveva insegnato dal 1952 al 1988 all’Università
degli Studi di Torino, occupando prima la cattedra di Estetica, poi quella di Filosofia Teoretica.
Allievo di Augusto Guzzo, esponente dello “spiritualismo cristiano”, attraverso il filtro dell’esistenzialismo Pareyson era approdato a posizioni
che lo collocano nell’ambito dell’ermeneutica.
In La filosofia dell’esistenza e Carlo Jasper
(1940), primo studio italiano sull’esistenzialismo nel suo complesso, e in Studi sull’esistenzialismo (1943) veniva riconosciuto a questa
prospettiva filosofica il merito di aver affermato
l’esigenza personalistica, e il limite di averlo
fatto in modo inadeguato, permanendo il legame
- di ascendenza hegeliana - tra finito e infinito.
Verità e interpretazione, che è filosofia classica e che non
esitiamo a definire il capolavoro di Pareyson. In esso
l’autore trasforma il maligno prospettivismo nietzscheano, avvelenatore della vita e negatore della verità, in una
grande e travolgente celebrazione della verità appunto e
della capacità dell’uomo di tendervi e conquistarla con i
suoi nobili sforzi, in modo sempre storico e personale ma
non per questo meno solido e valido.
Filosofando con un’ispirazione e un furore di verità senza
pari nella nostra epoca, Pareyson risolve con sicurezza
tutti i problemi risultanti dalla secolare opera di demistificazione, che si possono esemplificare nella domanda:
come conciliare la coscienza storica con l’esigenza speculativa? Con la morte di Pareyson vien meno un grande
modello e un grande sostegno agli studi filosofici, non
solo italiani.
In Esistenza e persona (1950) l’incommensurabilità di questi due termini è il presupposto a
partire dal quale si esaminava la possibilità di
un’indagine sulla realtà dell’uomo. Caratteristica essenziale di quest’ultimo, come viene specificato in Estetica: teoria della formatività (1954)
è la “formatività”, atteggiamento che si specifica nell’arte.
Successivamente Pareyson aveva accentuato l’aspetto ontologico del suo personalismo, sottolineando il carattere interpretativo del legame
intercorrente fra l’uomo e l’essere. La dimensione teologica in cui si colloca la sua filosofia
dell’interpretazione pone Pareyson in una posizione affatto peculiare rispetto tanto al filone
esistenzialista, quanto a quello ermeneutico. Nei
confronti del primo, la categoria della libertà,
definita dal nulla come assenza di fondamento
ontologico della realtà, è applicata prima che
all’uomo a Dio, che è fondamento a sé inconcusso, e della cui esistenza Pareyson non dubita. Sul
piano della filosofia dell’interpretazione ne consegue che Pareyson non dubiti affatto dell’esistenza di una verità, per quanto essa si manifesti
ermeneuticamente. La prospettiva tragica che
connota soprattutto gli ultimi sviluppi della riflessione pareysoniana - si veda, fra l’altro,
L’etica di Pascal (1966), Il pensiero etico di
Dostojevski (1967), Verità e interpretazione
(1971) - deriva, dunque, dalla tensione tra essere
e nulla, verità e suo nascondimento, tensione
implicita nella categoria della libertà che definisce il divino.
Opere di Luigi Pareyson (in volume)
L’esistenzialismo di Karl Barth
Sansoni, Firenze 1939
L’Estetica giovanile di Goethe
Viretto, Torino 1957
La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers
Loffredo, Napoli 1940; nuova ed. col titolo Karl
Jaspers, Marietti, Casale Monferrato 1983
L’Estetica preclassica di Goethe
Viretto, Torino 1958
Studi sull’esistenzialismo
Sansoni, Firenze 1943, 1950, rist.1971
Vita, arte, filosofia
Edizioni dell’Istituto di Filosofia della Facoltà di
Lettere dell’Università di Torino, Torino 1947
L’estetica di Paul Valéry
Viretto, Torino 1959
Il concetto di abitudine
Viretto, Torino 1959
L’estetica di Goethe e il viaggio in Italia
Viretto, Torino 1960
Fichte
Edizioni di “Filosofia”, Torino 1950; nuova ed.
aumentata, Mursia, Milano 1976
L’estetica di Novalis
Viretto, Torino 1961
Esistenza e persona
Taylor, Torino 1950, 1960, 1966; nuova ed. Il
Melangolo, Genova 1985
L’estetica e i suoi problemi
Marzorati, Milano 1961
L’estetica dell’idealismo tedesco
Edizioni di “Filosofia”, Torino 1950
Il verosimile nella Poetica di Aristotele
Tipografia “La Salute”, Torino 1950
Libertà e peccato nell’esistenzialismo
Pro Civitate Christiana, Assisi 1952
Unità della filosofia
Edizioni di “Filosofia”, Torino 1952. Traduzione
inglese: The Unity of Philosophy, in “Cross
Currents”, IV, I, Fall 1953
Estetica: teoria della formatività
Edizioni di “Filosofia”, Torino 1954; 2ª ed.
Zanichelli, Bologna 1960; 3ª ed. Sansoni, Firenze
1974. Traduzione romena: Estetica. Teoria
formativitâtii, Univers, Bucarest 1977
La prima estetica classica di Goethe
Gheroni, Torino 1963
L’estetica di Schelling
Giappichelli, Torino 1964
L’etica di Kierkegaard nella prima fase del suo
pensiero
Giappichelli, Torino 1965
Teoria dell’arte. Saggi di estetica
Marzorati, Milano 1965
I problemi dell’estetica
Marzorati, Milano 1966. Traduzione portoghese:
Os Problemas da Estética, Martins Fontes, Sâo
Paulo, 1984
Conversazioni di estetica
Mursia, Milano 1966. Traduzione spagnola:
Conversaciones de estética, Visor, Madrid 1988
L’etica di Pascal
Giappichelli, Torino 1966
Filosofia e ideologia
Edizioni di “Filosofia”, Torino 1967
Il pensiero etico di Dostoievski
Giappichelli, Torino 1967
L’estetica di Kant
Mursia, Milano 1968; nuova ed. aum. 1984
L’iniziativa morale
Giappichelli, Torino 1969
Verità e interpretazione
Mursia, Milano 1971, 1972, 1981
Essere e libertà
Giappichelli, Torino 1970
L’etica di Kierkegaard nella “Postilla”
Giappichelli, Torino 1971
L’esperienza artistica: saggi di storia dell’estetica
Marzorati, Milano 1974
Schelling. Presentazione e antologia
Marietti, Torino 1975
Schellingiana rariora
Bottega di Erasmo, Torino 1977
Etica ed estetica in Schiller
Mursia, Milano 1983
Filosofia della libertà
Il Melangolo, Genova 1989
PROFILO
SAGGIO
Spesso Schelling affida la profondità dei suoi pensieri a stenza ma anche l’essenza, Schelling distingue con cura
immagini ardite e suggestive, che non si possono consi- l’estasi razionale, in cui il concetto è da considerarsi
derare come semplici espedienti esornativi destinati a squisitamente filosofico. La ragione si rende conto che
mitigare l’astrusità del discorso filosofico o come meta- malgrado ogni suo sforzo non riesce di per sé a raggiunfore più o meno superflue piacevolmente disseminate in gere la realtà, perchè i suoi movimenti sono puramente
un contesto rigorosamente concettuale, essendo piutto- concettuali: persino l’estrema prestazione a cui fa ricorsto esse stesse concetti grandiosi e profondi, in cui so, quella di pensare l’essere come necessariamente
s’incarna quasi corposamente quell’alta e robusta fanta- esistente, non giunge a offrirlo di fatto, ma ne fornisce
sia speculativa che è tipica di Schelling e che tanto soltanto l’idea, la quale quindi, pur sembrando una
colpisce il suo lettore. Davvero Schelling era un «uomo soglia, è in realtà una barriera, e non tanto le apre un
ingegnoso e profondo» che «balenava in acutezze»: fra passaggio quanto piuttosto le segna un confine. E’ dunle sue mani quelle immagini, nella cui impotenza s’anni- que la ragione stessa che, colpita dalla vanità dei propri
dano concetti elevatissimi, spesso vertiginosi, sono co- tentativi e dall’inesorabilità del proprio smacco, e ormai
me tanti colpi di sonda in quello che egli chiamava «il accertatasi che l’esistenza è realmente tale solo fuori dal
grande enigma dell’essere».
pensiero, appunto per trovarla varca la propria frontiera
Una di tali immagini è lo «stupore della ragione», espres- ed esce da se stessa.
sione efficacissima e insieme sconcertante, che si con- Ora è proprio nell’estasi così concepita che è dato inconnette strettamente con quella teoria di un passaggio della trare, come suo momento essenziale, lo stupore della
filosofia negativa alla filosofia positiva che rappresenta ragione. Il corso naturale della ragione va dal poter
il culmine dell’itinerario filosofico di Schelling e il essere, ch’è il suo punto di partenza e il suo contenuto,
supremo messaggio del suo pensiero. Il mio intento non all’essere stesso, anzi all’essere necessario, ch’è il suo
è d’intraprendere una discuspunto d’arrivo o la sua idea
sione su questa teoria, che di
ultima e suprema. Qui giunta
per sè esigerebbe una trattaessa, insoddisfatta dell’ideazione tanto più estesa quanto
lità e desiderosa di realtà, epiù adeguata alla complessità
sce da sé e rovescia la propria
dell’argomento, bensì soltanidea,e nel puro esistente, nel
to d’illustrarne un aspetto, per
mero atto d’esistere, esperialtro estremamente significasce che cosa sia veramente
tivo, quello appunto dello stuuna trascendenza. Sinora s’epore della ragione, sul quale
ra svolta unicamente da se
pochissimi ragguagli ha forstessa, traendo ogni cosa dal
nito lo stesso Schelling e poca
proprio fondo, sì che nulla le
di Luigi Pareyson
attenzione hanno portato gli
si presentava che non avesse
interpreti, eccettuati forse i più
un viso consueto e un aspetto
membro del Comitato scientifico
recenti e profondi.
familiare. Ora invece, uscita
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Sarà bene precisare anzitutto
da se stessa, è prevenuta nelle
che questo concetto compare
proprie attese, e per presto
soltanto nella cosiddetta “Inche arrivi è già sempre troptroduzione di Berlino”, e quinpo tardi; avventuratasi in una
di riflette la posizione di
landa sconosciuta, trova il poSchelling nel primo periodo del suo insegnamento ber- sto già occupato da una presenza insolita, e diversa,
linese, caratterizzato dalla dualità delle filosofie. La quella del puro esistente, che non ha nulla di concettuale,
filosofia negativa e la filosofia positiva convivono come e anzi è il diretto contrario di un’idea; e di fronte ad esso
filosofie distinte, il cui reciproco rapporto sta in un ristà, come sbalordita e smarrita, paralizzata e senza
contrasto fra l’una e l’altra e in un passaggio dall’una parola, non più colpita dal proprio insuccesso che da quel
all’altra. Il contrasto consiste nel fatto che la filosofia volto nuovissimo e imprevisto. E’ questo il momento
negativa si muove, senza uscirne, sul piano dei puri dello stupore, dal quale la ragione riesce a riaversi solo
concetti, mentre la positiva prende le mosse dall’esisten- quando trova la forza di capovolgersi, e di riprendere il
za e quindi si svolge sul piano della realtà: esse sono cammino con una totale inversione di rotta, che l’avvia
reciprocamente indipendenti, nel senso che il termine per i floridi sentieri della filosofia positiva: allora essa si
iniziale della filosofia positiva è che né la prima è familiarizza con il puro esistente al punto di dargli un
necessitata a trapassare nella seconda, né la seconda è nome e riconoscervi l’essere stesso.
tenuta a farsi precedere dalla prima. Il passaggio ha il Tracciato così a grandi linee l’ambito nel quale si presencarattere d’una vera e propria svolta, la quale consiste in ta lo stupore della ragione, è necessaria ora una maggiore
un salto, poiché si tratta di ricominciare dal principio approssimazione, per la quale giova rifarci direttamente
partendo dall’esistenza reale, e in un rovesciamento, ai testi principali sull’argomento. «Il puro esistente - dice
poiché l’essere esistente da cui muove la filosofia posi- Schelling - è ciò da cui quello che potrebbe provenire dal
tiva è il contrario dell’idea dell’essere cui mette capo la pensiero viene abbattuto [niedergeschlagen], ciò dinanfilosofia negativa.
zi a cui il pensiero ammmutolisce [verstummt], ciò a cui
Ora questo atto straordinario è ciò che Schelling chiama la ragione stessa s’inchina [sich beugt]; giacché il penestasi, termine nel quale sarebbe ingiusto ravvisare un’il- siero ha a che fare solo con il concetto, con la possibilità,
legittima intrusione della mistica nella filosofia, perchè con la potenza: ove questa è eliminata, il pensiero non ha
il pensiero di Schelling è schiettamente speculativo e alcun potere [kein Gewalt]». «Nella sua pura sostanzianemico della Schärmerei. Dall’estasi mistica, che a parer lità ed essenzialità, secondo la sua pura natura, la ragione
suo pretende di conoscere esteticamente non solo l’esi- pone soltanto l’esistente; e nell’atto di porlo è come
Lo “stupore
della ragione”
in Schelling
PROFILO
SAGGIO
immobile [regunglos], come stupefatta [erstarrt], quasi significato che alla meraviglia egli non faccia più cenno
attonita; ma resta stupefatta davanti all’essere solo per nell’atto di riproporre l’estasi nell’ “Introduzione di
ottenere con questa sottomissione [Unterwerfung] il suo Berlino”. Il fatto è che per lui la meraviglia acquista un
vero ed eterno contenuto come realmente conosciuto». significato sempre più hamanniano, inteso come elavaImpotenza, mutismo e sottomissione della ragione sono zione a ciò che v’è di grande e divino nella realtà e come
i concetti che balzano subito con evidenza da questi testi attenzione al carattere miracoloso d’ogni menomo aspetshellinghiani: tre aspetti dell’estasi intesa come l’unico to del reale, il che invita a concepirla come aperta ed
atteggiamento che la ragione può assumere rispetto esplicita ammirazione e considerarla più come una pieall’esistente, il quale appare, in corrispondenza con nezza rasserenante che come una scossa inquietante. Ora
quelle tre reazioni, rispettivamente come l’incomprensi- non è propriamente questo che Schelling intende quando
bile, l’inaccessibile, l’irriducibile. Non meno evidente è allude allo stupore della ragione estatica, il quale gli
il fatto che questi tre aspetti Schelling li rivela in comune appare piuttosto come un incantesimo a cui strapparsi,
con altri filosofi, sì che essi, pur ricevendo nel suo un torpore da cui uscire, un’inerzia da cui liberarsi, e
pensiero un’inflessione del tutto nuova, non sembrano quindi come uno stato elementare e inferiore, piuttosto
costituirne l’originalità.
lontano dalla maturazioL’annichilimento e l’imne richiesta da quell’epotenza della ragione è
saltante senso del meraidea ampiamente diffusa
viglioso in cui l’amminella tradizione mistica;
razione è il coronamenl’ammutolimento del
to e la vetta, sì che sempensiero - di fronte alla
bra ragionevole conclunuda esistenza che, priva
dere che proprio nel concom’è d’ogni elemento
cetto di stupore, così diconcettuale, non offre alstinto da quello di meracun appiglio al discorso,
viglia, risiede ciò che
la ragione resta senza panell’estasi è originale e
rola, zittita da ciò che per
caratteristico
di
conto suo non ha nulla da
Schelling.
«dire» - rientra nella teSi può dire anzi che l’ematica del silenzio largastasi stessa s’identifica
mente sviluppata dalla
con lo stupore, al quale
tradizione neoplatonica;
del resto si possono faconcetto notoriamenta pacilmente ricondurre gli
scaliano è la sottomissioaltri suoi aspetti. Anzine, che anche Schelling
tutto lo stupore trova la
potrebbe considerare un
sua incarnazione vivendésaveu de la raison ch’è
te nell’immagine fornita
al tempo stesso la dernièdal significato etimolore démarche de la raison.
gico dell’estasi, come exCon queste tradizioni
stasis, esser fuori di sé: è
Schelling è anzi talmente
in preda allo stupore che
congeniale che lo scheè fuori di sé, nella posimatismo del negativo che
zione di chi è stato colpisi fa positivo, in esse difto da qualcosa di così
fusamente applicato, gli
sorprendente da restarne
riesce spontaneo: l’impofulminato e impietrito, in
tenza della ragione è couna condizione di stordime un suo «denudamenmento che lo lascia inteto», che lungi dall’imporedetto e inebetito, in uverirla la riduce alla sua
no stato di sopore per cui
Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling
purezza e autenticità; vi
non è più padrone di sé,
(disegno a gesso di August von Kloeber, 1842)
sono oggetti di fronte a
ma come posseduto da
cui il silenzio stesso si fa parlante, né c’è parola più una forza estranea. Questo è quanto si può ricavare dal
eloquente di quella muta; la sottomissione, punto finale passo citato, ove a descrivere la ragione estatica si
della filosofia negativa, diventa per la filosofia positiva trovano, accanto all’efficace espressione latina quasi
strumento di conquista e via al possesso.
attonita, i termini tedeschi regungslos e erstarrt, che
Non si può dunque dire che risieda in questi concetti la significano rispettivamente “immoto” e “stupefatto”,
novità di Schelling. L’aspetto che invece mi pare del entrambi con una sfumatura, il primo alludendo ad una
tutto originale, e per di più tale da rappresentare l’es- mancanza di reazione, cioè alla paralisi per tramortimensenza stessa della ragione estatica, è lo stupore. Si dirà to, e il secondo dando l’idea sia di irrigidimento sia di
che, al contrario, proprio questo è l’aspetto meno origi- torpore. In secondo luogo, è facile ravvisare nell’imponale, rientrando in una tradizione frequentissima, che tenza, nel mutismo e nella sottomissione tre aspetti della
risale addirittura a Platone e Aristotele, come ricorda lo ragione colta da stupore, cioè sconcertata da qualcosa di
stesso Schelling, il quale, la prima volta che propone il così inconsueto da risultare inconcepibile, inafferrabile
concetto di estasi, nella Conferenza di Erlangen, lo e irriducibile, e da lasciarla come intontita, paralizzata e
connette con quello di meraviglia. Ma non è senza strappata a se stessa: istupidita di fronte all’incompren-
PROFILO
SAGGIO
sibilità del puro esistente, donde la sua impotenza; folgorata dall’apparizione del puro esistente al punto da restare a bocca aperta, donde il suo mutismo; medusata dalla
trascendenza del puro esistente cui non le resta che
inchinarsi, donde la sua sottomissione.
Ma come accade che il puro esistente susciti nella ragione una reazione tanto poco consona con la natura? Il puro
esistente è qualificato dall’essere assolutamente privo di
concetto: non ha in sé alcuna essenza di cui sarebbe
l’esistenza, nè prima di sé alcuna potenza di cui sarebbe
la realizzazione; anzi di per sé viene prima di ogni
essenza o possibilità, e in generale prima di ogni pensiero. Per coglierlo come tale bisogna prospettarlo in questa
sua caratteristica inconcettualità, per un verso non precorso da alcun concetto e per l’altro anteriore ad ogni
concetto, non proceduto da nulla e proprio perciò precedente tutto, indipendente dall’idea e quindi eccedente
l’idea. Ora, la ragione comprende soltanto ciò a cui può
arrivare con una mediazione concettuale, che pervenga
all’esistenza a partire dalla potenza, dal concetto, dall’essenza: trovarsi di fronte la nuda esistenza, che prescinde totalmente da questi termini, non solo nel senso
che non ne segue, ma addirittura nel senso che li precede,
significa per essa scontrarsi con qualcosa d’insolito, di
eccezionale, che sovverte tutte le sue abitudini e non può
non apparirle inusitato e strano, che sconvolge il corso
normale delle cose e porta lo scompiglio nelle sue
procedure consuete, che insomma la riempie di confusione e di smarrimento, in una parola, di stupore.
Se poi si pensa che nella sua inconcettualità il puro
esistente è l’essere in quanto intransitivo, indubitabile,
immemorabile, altri elementi si avranno a giustificare lo
stupore della ragione di fronte ad esso. A differenza della
potenza, che è transitiva in quanto tende a trapassare
nella realtà, il puro esistente è intransitivo: esso non è
prima possibile e poi reale: esso è già lì, irrevocabilmente esistente. C’è quanto basta a spiegare lo stupore della
ragione, la quale non ha tempo di sopraggiungere che già
se lo trova davanti: immediato, e quindi recalcitrante ad
ogni mediazione. Non preceduto dalla regione delle
possibilità né introdotto dal sentiero dei concetti, il puro
esistente s’innalza solitario e inaccessibile come una
rupe scoscesa in un deserto inabitabile e impervio. L’assenza di un alone di possibilità spiega poi un altro
carattere del puro esistente: la sua indubitabilità. Dubbio
c’è quando vi sono due o più possibilità; ove queste
manchino, non c’è posto che per l’indubitabile. Questo
nuovo carattere della nuda esistenza non fa che aumentare la natura enigmatica e recondita, e quindi accrescere
lo stupore della ragione; per questa è fonte di stupore
assai meno l’incerta oscillazione dei possibili, fra i quali
il pensiero può sempre orientarsi, che non un volto
sfingeo e misterioso, che folgora il pensiero con lo
scorcio di insondabili profondità. Un ulteriore carattere
spetta al puro esistente come tale da procedere tutto non
preceduto da nulla: l’immemorialità. Esso è il prius
assoluto, rispetto al quale ogni cosa è posteriore, anche
se sembra logicamente precedente. Prima dell’essere
non c’è nulla: tutto il resto viene dopo. Esso non ha un
passato, o, meglio, non ha altro passato che se stesso.
Anzi, è esso stesso il passato, il passato assoluto, l’antecedente di ogni cosa: in una parola, l’immemorabile.
Esso precede persino il possibile, rispetto al quale solitamente ogni cosa appare come posteriore o futura. Ora,
come pensare l’immemorabile, che in quanto tale è
anteriore al pensiero? Il pensiero con cui lo si dovrebbe
pensare bisognerebbe presuppoglierlo, il che è contrario
all’assunto: l’essere che precede il pensiero «non può
certo essere pensato da un pensiero che precede l’essere». Può la ragione districarsi da questa difficoltà? Di
fronte a questo essere non preceduto da nulla, senza
fondamento, la ragione vacilla, come colta da capogiro:
è come se le si aprisse davanti una voragine, giacché
l’infondatezza appare come un abisso, la Grundlosigkeit
come un Abgrund. Si raggiunge qui il punto culminante,
forse la nota più propria, dello stupore della ragione: la
vertigine che la coglie sull’orlo dell’abisso.
Sembra opportuno, a questo punto, raccogliere e analizzare i passi analoghi e le dottrine affini che si trovano in
altre opere di Schelling, per chiarire ulteriormente lo
stupore della ragione nelle sue modalità assodate sin qui:
lo stato della ragione torpida e inerte perchè inebetita e
come posseduta da una realtà insolita e immediata, e lo
stato della ragione colta da vertigine davanti all’infondatezza senza fondo dell’essere immemorabile.
Per quanto riguarda il torpore, si dovrà ricordare che
anche il monoteismo dell’umanità primitiva, di cui
Schelling parla nella Filosofia della mitologia, ha un
carattere estatico. Si rammenti il passo schellinghiano in
merito. «Non nel senso d’una filosofia che fa cominciare
l’uomo dall’ottusità e stupidità animale, ma nel senso
che i Greci indicarono con diverse espressioni molto
significative come θεοπαητοξ e θεοβλαβηξ, e altre,
cioè nel senso che la coscienza è occupata e per così dire
colpita da Dio, l’umanità primitiva si trova in uno stato
di non libertà, colpita da una specie di stupor (stupefacta
quasi et attonita) e posseduta da una potenza estranea, e
da lei posta fuori di sé, cioè fuori dal proprio potere». La
descrizione non potrebbe essere più calzante. Lo stupore
della ragione si può dunque paragonare allo stato dell’umanità primitiva nel suo «cieco teismo» o inconscio
monoteismo, che Schelling trova ben caratterizzato con
le parole greche citate, le quali si convengono a chi,
appunto perchè percosso da Dio, è caduto in una specie
di stupor, come assai opportunamente egli dice in latino,
ad evitare ogni possibile confusione con la meraviglia o
l’ammirazione degli più evoluti, e a mettere in evidenza
l’aspetto di stolidità e sbalordimento, stordimento e
insensatezza, ebetudine e smemoraggine, incoscienza e
tardità che ho cercato di condensare nel concetto di
torpore, senza tuttavia confonderlo con l’ottusità
(Stumpfheit) e la stupidità (Sinnlosigkeit) tipica degli
animali. L’umanità primitiva è come colpita
(θεοπληχτοξ, geschlagen) e potremmo dire ammaliata
e affascinata da Dio, come invasa e occupata e dominata
da lui (eingenommen, behaftet, beherrscht), da lui posseduta e afferrata (bemächtigt, ergriffen) come da una
potenza aliena che la spossa di sé e del proprio potere. Si
tratta di una coscienza estatica, che da una parte è
posseduta da un principio superiore e dall’altra è immersa in uno stato di inconsapevolezza, sì che il riconoscimento di quel principio superiore non è espresso in
un’esplicita affermazione teorica, ma risulta dalla stessa
sostanza e natura e realtà dell’uomo.
Per un verso, dunque, lo stupore dell’umanità primitiva
è la reazione di fronte a una realtà riconosciuta come
superiore. Non a caso Schelling, da buon orientalista,
ricorre alle note interpretazioni del termine ebraico
Elohim, la cui radice è fatta risalire a un verbo che in
arabo ha il significato di stupore e il cui plurale è fatto
rientrare nei nomina maiestatis. Portatrice e custode
d’un inconsapevole monoteismo l’umanità primitiva è
PROFILO
SAGGIO
pervasa da un “brivido religioso”, che congiunge il
timore e la venerazione con tutti gli aspetti della meraviglia, dallo stupore all’ammirazione. Ma per l’altro verso
lo stupore dell’umanità primitiva è una specie di sapere
incosciente, una forma di coscienza torpida e sonnolenta, che più che possedere il suo oggetto ne è a sua volta
posseduta, o, meglio, che possiede il suo oggetto solo
nella forma dell’esserne posseduta, cioè più nel senso
d’esserne coscienza che in quello d’averne coscienza. Di
fronte a Dio, l’umanità primitiva non è in stato di libertà:
è Dio che s’impadronisce di essa, che la domina e
soggioga, che per così dire la sequestra e conquista per
farne la sede della propria affermazione. Ma questo
impossessamento della coscienza da parte di Dio è pure
una coscienza, sia pure assonnata e silenziosa, di lui: la
coscienza possiede Dio non meno di quanto Dio non
possieda la coscienza.
Ora, l’analogia dell’umanità primitiva, il cui stupore si
manifesta dunque in un brivido religioso e in una coscienza muta, può servire per caratterizzare meglio lo
stupore della religione di fronte al puro esistente. Ne
nasce non solo particolarmente rilevata l’iriducibilità del
puro esistente, che la ragione non può nemmeno tentare
di aggredire e comprendere, ma anche ben precisata la
funzione conoscitiva dello stesso torpore della ragione
stupefatta. Come la coscienza muta dell’umanità primitiva, così il tacito sopore della ragione estatica è un caso
d’intuizione cieca, cioè d’una forma di conoscenza in cui
l’aspetto positivo, quello per il quale essa raggiunge e
afferra il suo oggetto - se di oggetto si può parlare per
qualcosa di inoggettivabile - procede di pari passo con
l’aspetto negativo, quello per il quale il suo oggetto la
colpisce e in qualunque modo l’accieca. Non sarà male
insistere sul carattere captativo di questa reazione per la
quale la ragione piomba in uno stordimento che non per
il fatto d’assopirla la priva della sua capacità: prensile
anche se non vigile. Forse tutta la conoscenza ha un
carattere per così dire teoplettico: forse le operazioni e i
discorsi della ragione hanno un senso solo in quanto
muovano da una conoscenza profonda inconscia muta,
ma non per questo meno genuina, perchè connaturata, da
un possesso cieco immobile inerte, ma non per questo
meno autentico, perchè originario.
Se a un approfondimento del torpore della ragione è
servita l’analogia del monoteismo originario, quale analogia potrà illustrare la vertigine della ragione? Su questo
punto sembrerebbe inevitabile da parte di Schelling un
rinvio alla mistica. Ma non è alla mistica ch’egli fa
ricorso, bensì al razionalissimo e criticissimo Kant, che
in una pagina non meno giustamente famosa che solitamente trascurata parla precisamente del «baratro della
ragione». Secondo Kant per la ragione umana è un vero
abisso l’idea dell’essere necessario, cioè il pensiero, al
tempo stesso inevitabile e intollerabile, di un «sostegno
di tutte le cose» a sua volta non sostenuto da nulla; ciò
ch’egli rende evidente con l’audace e drammatica personificazione dell’essere supremo nell’atto d’interrogarsi
sul proprio fondamento, dicendo a se stesso: «Io sono
dall’eternità all’eternità, fuori di me nulla è che io non
voglia; ma io donde sono?». A questo pensiero, afferma
Kant, «tutto sprofonda sotto di noi, e la massima come la
minima perfezione ondeggia senza stabilità davanti alla
ragione speculativa». Si tratta dunque, per Kant, d’una
specie di deliquio colto alla stato iniziale, che provoca un
senso d’instabilità. Tutto ondeggia e vacilla: il terreno
sotto i piedi, le idee davanti alla mente, le distinzioni
dinanzi al giudizio; tutto tende a svanire: concetti e
parole, pensieri e discorsi, consapevolezza e speculazione; e su ogni cosa si stende, postilla Schelling, il silenzio
e l’importanza della ragione annichilita. Si ritrovano qui
gli aspetti già considerati dello stupore della ragione: che
cos’è questo abisso «se non ciò dinanzi a cui la ragione
tace, da cui essa è inghiottita, rispetto a cui essa non è più
nulla, non può nulla?» Ma la vertigine descritta da Kant
va più a fondo, e indica il punto più alto dello stupore in
quel misto di attrazione e repulsione che si suol provare
sull’orlo di un abisso, il quale ispira per un verso un senso
di terrore e raccapriccio, ed esercita per l’altro una vera
e propria seduzione, sì che «non possiamo impedirci di
continuare a rivolgervi il nostro sguardo intimorito». Al
misto kantiano di orrore dell’abisso e fascinazione del
precipizio Schelling aggiunge una sua pennellata col
dire che di fronte al baratro la ragione muta, paralizzata
e impotente si sente inghiottita (verschlungen) da esso,
come sul punto di precipitarvi.
V’è di più. La vertigine porta la ragione sulle sublimi
vette del pensiero e nelle profondità abissali dell’essere,
là ove la ricerca dell’origine, spingendo all’estremo
l’inseguimento dell’ulteriorità, finisce col rasentare il
nulla; sì ch’essa trova la sua migliore espressione nella
domanda ultima e suprema, la più radicale e vertiginosa
di tutte, che Schelling raccoglie da Leibniz e consegna a
Heidegger non senza conferirle già un’intonazione precocemente esistenzialistica: perché l’essere piuttosto
che nulla? Il riconoscimento della possibilità anzi dell’inevitabilità di questa domanda, che Schelling non esita
a definire «piena di disperazione», suppone in lui una
concezione profondamente tragica della vita, la quale,
all’inizio semplice spunto dissimulato dall’ottimismo
idealistico, va via via scoprendosi nel suo pensiero,
soprattutto attraverso la mediazione dei Weltalter, ove
essa erompe impetuosamente in modo definitivo. «Dio
regna su un mondo di orrori», egli dice. «Sol che si badi
a quanto c’è di spaventoso nel mondo naturale e nel
mondo umano», si concluderà per un verso che «i prodotti della vita inorganica sono manifestamente figli
dell’angoscia, del terrore e della disperazione», e che «il
sigillo del dolore è impresso sul volto di tutta la natura e
sul viso degli animali», e per l’altro che i primi fondamenti della vita umana son fatti «di lotte mortali, di
terribile tristezza, d’un’angoscia che spesso arriva alla
disperazione». Una «melanconia profonda e insopprimibile è presente in ogni vita, l’angoscia è il sentimento
fondamentale d’ogni creatura vivente», l’nfelicità è costitutiva dell’esistenza, «la sofferenza è universale»,
giacché «è altrettanto doloroso essere che non essere»,
anzi «ogni dolore proviene dall’essere». Il senso ultimo
della vertigine della ragione è dunque l’orrore dell’essere, «sublime e tremendo» insieme, il raccapriccio per
«l’orribile mondo dell’essere». In quella domanda estrema ed esitenziale, nella quale «tua res agitur», risuona sì
l’orrore del vuoto, il terrore davanti al nulla da cui
emerge l’essere e che continua a fasciarlo con la sua
ombra, ma ancor più l’orrore dell’essere, in cui l’enigmaticità dell’universo, la contingenza del mondo, la
gratuità del reale, il dolore dell’esistenza si congiungono
inestricabilmente a costituire l’unico oggetto d’una reazione così profondamente rivelativa.
Un ultimo punto resta da considerare, ed è che il concetto
di stupore, essendo l’unico in grado di qualificare l’estasi
della ragione, è anche il solo che contenga la chiave per
comprendere il passaggio dalla filosofia negativa alla
PROFILO
SAGGIO
filosofia positiva, e quindi possa fornire l’interpretazione da dare del pensiero schellinghiano, se cioè si tratti
d’un persistente razionalismo o d’un dichiarato irrazionalismo, o non piuttosto d’una filosofia che faccia consistere la propria originalità nel sottrarsi a quell’alternativa. Non si scordi che sul passaggio dalla filosofia
negativa alla filosofia positiva esiste in Schelling un
osservatorio privilegiato: la sua dimostrazione dell’esistenza di Dio, la quale, com’è noto, non consite nel
dimostrare che Dio esiste, ma nel provare che l’esistente
è Dio. Essa consta perciò di due procedimenti, la cui
articolazione illustra quel passaggio rivelando quanto vi
incida lo stupore della ragione.
La prima procedura, puramente razionale e a priori,
consiste nel definire il concetto di essere necessario, e
culmina con l’argomento ontologico, inteso non più
come l’assurda impresa di trarre da tal concetto la sua
esistenza, ma come una felice introduzione alla filosofia
positiva. A tal fine bisogna però rettificarne la conclusione, la quale non potrà essere «che Dio esiste necessariamente, beninteso se esiste». Quel «se esiste» non può
alludere che che al puro esistente; e con questa idea la
ragione ha compiuto un passo decisivo, il quale, anche se
non la conduce alla realtà e le impone pur sempre la
necessità d’un salto, tuttavia la trasporta sull’ultima
spiaggia, al margine estremo del proprio processo e in
vista del reale. Quell’idea è un' idea specialissima, diversa da tutte le altre: concetto senza concetto anzi anteriore
al concetto, esistenza senza essenza anzi essenza a se
stessa, anzi idea che non è idea anzi è il contrario d’un
idea: pensarla è impresa disperata, tant’è vero che la
ragione ne esce stremata, e per così dire boccheggiante.
Il fatto è che il puro esistente non si può pensare; anzi,
solo come impensabile può essere l’inizio della filosofia
positiva. Ma proprio perciò esso non dipende più dalla
filosofia negativa. E’ qui che interviene la soluzione di
continuità, con la quale il puro esistente si stacca dalla
mera ragione e la filosofia positiva può prendere il suo
avvio.
La seconda procedura è a posteriori, e consiste nella
ripresa del discorso razionale dopo il salto dell’estasi.
Essa ha inizio con lo sforzo della ragione che, per
rimettersi in cammino, cerca di strapparsi dal torpore e di
riemergere dall’abisso, e, intendendo avvolgere e permeare quella stessa realtà che l’ha impietrita, raccoglie le
forze per recuperare in una lucida consapevolezza l’unità dell’essere e del pensiero. L’estasi ha fornito la mera
esistenza senza essenza, che non ha né nome né concetto,
un qualcosa che non è Dio, ma può diventarlo, una volta
che si giunga a darvi un nome e a ravvisarvi non solo
l’essere, ma il signore dell’essere. E’ proprio quanto fa
questa procedura, la quale penetra l’opacità del puro
esistente riscattandolo dalla sua anonimia e attribuendogli il concetto della divinità; ciò che Schelling esprime
col dire che «Dio non è, come molti credono, il trascendente, ma il trascendente fatto immanente», cioè l’esatto
contrario di quanto intende la vecchia metafisica impiantata sul principio della priorità dell’essenza sull’esistenza. Rispetto alla filosofia negativa questo procedimento
ha una direzione inversa, giacché muove non dall’idea
ma dalla realtà, e ha un carattere diverso, giacché ha a che
fare non con la pura ragione e i meri concetti, ma col fatto
e con l’esperienza.
Le due parti della dimostrazione schellinghiana dell’esistenza di Dio sono dunque la definizione del concetto,
che spetta alla filosofia negativa, e la denominazione
dell’esistente che tocca alla filosofia positiva. Fra questi
due processi razionali opposti e diversi, v’è una vera e
propria soluzione di continuità: l’estasi e lo stupore della
ragione. E’ il silenzio che divide i due discorsi, la paralisi
che separa i due movimenti, il sonno che distingue le due
veglie, la vertigine che divarica i due versanti, il sopore
che delimita le due consapevolezze. Rivediamone brevemente le caratteristiche. E’ un momento critico, altamente drammatico: un istante di sospensione assoluta, in
cui su ogni cosa si stende un alto e pauroso silenzio: la
ragione, abbandonata alla sua nuda natura, è colta da un
fremito come di orror sacro, sentendo oscuramente l’impressionante vicinanza del significato ultimo delle cose,
prossima a cogliere il senso dell’enigmaticità del reale e
la fonte del dolore dell’esistenza; in un supremo e culminante abbandono, essa accede all’essere, il quale, nell’atto stesso che la paralizza con la sua irriducibilità e la
sconvolge con la sua ulteriorità, le si rivela, consegnadosi alla sua coscienza muta.
Si hanno ormai gli elementi essenziali per interpretare
questa soluzione di continuità, che meriterebbe piuttosto
il nome di cesura, e quindi il carattere del pensiero
schellinghiano. A me sembra che un semplice sguardo
basti a escludere sia un’interpretazione razionalistica
che, sminuendo la portata della cesura, lascerebbe inspiegata la dualità delle filosofie e il risoluto antihegelismo di Schelling, sia un’interpretazione irrazionalistica
che, esagerando l’incidenza della cesura, riterrebbe il
riconoscimento d’una sconfitta della ragione come sufficiente a viziare alla base ogni nuovo discorso, abbandonandolo così alla fede o al sentimento, in una forma di
esigenzialismo psicologico o religioso del tutto estraneo
ai propositi e ai risultati di Schelling. Un’esatta misurazione della cesura è possibile solo mettendo in evidenza
nel testo schellinghiano il concetto di stupore della
ragione. Lo stupore della ragione è un attimo di sospensione, non così pronunciato e definitivo da rappresentare
una rottura né così tenue e istantaneo da non dar luogo
che a una mera prosecuzione. Esso rappresenta un intermezzo, in cui l’interruzione brusca e persino violenta
non è irreversibile, e per quanto sconvolgente e traumatica non si trasforma in scissura. La ragione s’immerge
certo nel torpore, ma non vi si seppellisce, e certamente
discende nell’abisso, ma non vi sprofonda: il suo stupore
è solo una pausa, ma non tanto da ridursi a una sosta
rapida e fugace, ed è certo una svolta, ma non tanto da
avviare un processo completamente eterogeneo.
Lo stupore della ragione divide il corso del pensiero e il
discorso filosofico in due: da un lato il cammino sicuro
della ragione autonoma, che non è così trionfale da non
sottomettersi, alla fine, all’irriducibile trascendenza di
ciò che essa nel pensiero raggiunge come idea e nell’estasi consegue come esistenza; dall’altro il cammino
della ragione soggetta al reale, la quale non è così docile
e corriva da appiattirsi sulla realtà stessa, senza cercare
di penetrarla col pensiero e di ritrovarvisi con una congenerità che sola rende possibile ogni grado della conoscenza. Ma si tratta davvero di due discorsi separati, o
non si tratterà piuttosto d’un solo grande discorso razionale e filosofico, che non si potrà forse definire come
unico in quanto scandito in due fasi differenziate, ma che
certamente merita il nome di unitario, perchè le sue due
parti girano intorno a quello stesso stupore della ragione
che li spartisce come due battenti ruotano intorno al loro
perno? Così prospettato, lo stupore della ragione non
sarebbe soltanto il cardine in cui s’imperniano le due
PROFILO
filosofie, ma addirittura il fuoco centrale dell’intera
filosofia nel suo discorso razionale unitario: lo spiraglio
che le fa intravedere la sorgente stessa del reale, il nesso
che la vincola all’origine traendone sostanza e alimento,
il rapporto originale e fondamentale con l’essere.
Ben a ragione esso può considerare come l’elaborazione
ultima e più matura di quello che sotto varie forme è
sempre stato il cuore della filosofia schellinghiana: l’intuizione intellettuale, la Mitwissenschaft, il non sapere
sciente, l’estasi; che non sono tanto una conoscenza
intuitiva quanto piuttosto un rapporto ontologico, cioè il
fatto originario e imprescrittibile che l’uomo è coscienza
dell’essere. Nell’insieme del pensiero schellinghiano
non si sa se l’accento cada più sulla totalità articolata e
avvolgente del discorso razionale, che, per quanto violentemente interrotto e costretto a invertire la rotta,
riprende con pazienza e pacatezza il suo filo, o più
sull’incidenza dell’interruzione, che, in quanto rispettivamente culmine e inizio delle due fasi, contiene forse
l’anima ispiratrice e motrice dell’intero corso. Ciò che
conta è che Schelling si mostra interessatissimo a mantenere insieme i due termini: per un verso egli non può
fare a meno dell’intuizione intellettuale, della conscientia, della scienza centrale e congenere, della dotta ignoranza, dell’estasi, dello stupore, e per l’altro verso la sua
vocazione è la chiarezza della ragione, la fatica del
concetto, la trasparenza razionale dell’esperienza; sì che
i due termini, lungi dall’evaporarsi l’uno nella fantasia e
l’altro nell’astrazione, rappresentino, uniti, la completezza della filosofia. Alla pienezza del pensiero sono per
Schelling egualmente e indivisibilmente necessari la
solidarietà fra concetto ed esperienza e il carattere teoplettico e intenzionale della ragione, la razionalità del
discorso e l’apertura dell’essere. E sono tanto l’apertura
dell’essere che la disponibilità all’esperienza che conferiscono alla ragione quel carattere duttile e penetrante
che in Schelling la rende capace di affrontare le zone
oscure del reale, come la natura e la storia, l’inconscio e
il mito, e i regni del positivo, come la scienza, l’arte, la
religione, permeandoli e dominandoli in modo più efficace di quanto abbia potuto fare l’idealismo, in obbedienza non meno all’esigenza di concretezza che al
dovere di critica razionalità che caratterizzano, entrambi, la filosofia.
Conferenza tenuta originalmente il 17 dicembre 1979 all'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici , successivamente stampata in A.A.
V.V., Romanticismo, esistenzialismo, ontologia della libertà, Milano,
Mursia, 1979, pp.137-180
Berlino, Unter den Linden (incisione del 1840 circa)
PROFILO
SCHEDA
Salendo la tortuosa strada che dalla piana di Firenze porta 1976. Da allora l’Università si è molto ampliata, con
all’arroccata Fiesole, s'incontra un poggio, dove si ha il l’ammissione annuale di circa cento nuovi ricercatori e
privilegio di ammirare tanto le plastiche forme degli con l’aumento delle funzioni amministrative, tanto da
edifici religiosi e civili fiorentini, quanto le turrite sago- necessitare di altre sedi; a quella originaria si sono
me delle costruzioni di quella che fu una delle ultime aggiunte: la Villa Schifanoia (la “villa di delizie” dallo
roccaforti etrusche. Qui sorge la “Badia Fiesolana”, un scenico giardino all’italiana, dove la leggenda vuole che
complesso monastico che evoca innumerevoli richiami Boccaccio abbia ambientato la cornice delle novelle del
storici e offre sfaccettate suggestioni artistiche: dall’u- “Decameron”), la Villa il Poggiolo (dove hanno sede gli
manesimo dei Medici, alle volte e ai capitelli che ricorda- archivi della Comunità europea, tra cui il fondo “Altiero
no gli sfondi del Beato Angelico, fino al chiostro di Spinelli”) e il Chiostro del Convento di S. Domenico
stampo michelozziano e alla Chiesa di S. Domenico che (dove nelle ex-celle dei frati hanno ora il loro studio i
fu rimaneggiata su una precedente costruzione gotica, di cosiddetti “Jean Monnet-Fellows”, ricercatori post-dotcui rimane traccia nei pochi marmi della sua facciata torato e professori che godono di una borsa di ricerca
policroma. Questi retaggi culturali, uniti ad un paesaggio della durata di un anno).
che vive in equilibrio con la presenza dell’uomo, creano Ma come si accede all’I.U.E.? Bisogna innanzitutto dire
una sorta di cornice estetica che non si limita però a che l’attività accademica dell’Istituto viene svolta seconcircoscrivere gli echi del passato, quanto invece a poten- do la suddivisione in quattro dipartimenti (Storia e Civilziare le prospettive del presente futuro. Infatti, è proprio tà, Scienze Economiche, Scienze Giuridiche e Scienze
nella Badia Fiesolana (in precedenza adibita a collegio, Politiche e Sociali) e in due Centri (Centro di Politica
gestito dai Padri Scolopi) che ha ora sede l’Istituto Europea e Centro di Ricerca sulla Cultura Europea). Alla
Universitario Europeo, l’organizzazione internazionale domanda di ammissione - che per gli italiani scade
di studi post-laurea che viene
annualmente intorno alla fine di
finanziata dai dodici Paesi memgennaio - segue una prima seleI luoghi della filosofia:
bri della Comunità Europea e
zione (a livello nazionale), opeche ha attualmente alla presirata in certi casi dai docenti delL’Istituto
denza il francese Emile Nöel,
l’Università, in altri dai governi
ex-segretario generale della Universitario Europeo centrali, sulla base dei titoli preCommissione delle Comunità
sentati - a partire dalla laurea - e
europee.
del piano di ricerca che si intendi Firenze
Dall’antica struttura autosuffide svolgere. Una volta superata
ciente dell’abbazia medioevaquesta prima fase, si viene conle, la Badia si è così trasformata
vocati per un colloquio orale nella moderna organizzazione
perlopiù in inglese - in cui si
di Marina Calloni
di un “campus” di ricercatori
espone il proprio progetto scieneuropei e non, provenienti da
tifico. Se si viene accettati, si
diverse esperienze scientifiche,
dispone allora di una borsa di
intellettuali e culturali, dove il
ricerca della durata di tre anni,
principio dell’apprendimento
nel caso in cui si voglia conseviene strettamente unito a quelguire il dottorato di ricerca, e di
lo della socializzazione interpersonale (spirito che si un anno, se si vuole ottenere solo il master. Il titolo di
trasfonde poi anche nell’asilo “multinazionale” messo a “dottore di ricerca”, rilasciato dall’I.U.E. a seguito della
disposizione dell’Istituto a favore dei figli dei ricercatori, discussione di una dissertazione scritta al termine dei tre
dei professori e del corpo amministrativo). La provenien- anni di lavoro, è a norma di legge equipollente allo stesso
za da Paesi diversi rende infatti necessario un continuo titolo conseguito nelle Università italiane, ovvero il dotsforzo reciproco per l’intesa sui programmi di ricerca, torato “europeo” viene automaticamente riconosciuto
dalle connotazioni scientifiche spesso molto eterogenee. dallo Stato Italiano (il che non implica però un successivo
La difficoltà dell’interazione linguistica viene invece accesso privilegiato alla vita accademica nazionale).
facilmente superata sia dall’uso comune di una lingua, L’attività di ricerca si svolge attraverso seminari settimal’inglese (in cui si tengono la quasi totalità dei seminari nali, tenuti dal corpo docente dell’Università (composto
e delle dissertazioni), sia dalla conoscenza di almeno due da professori - non soltanto europei - che vengono assunti
lingue da parte dei ricercatori. E’ un po’ come se si con contratti della durata massima di otto anni), e attravivesse a “Babele” tutti i giorni, col pregio però di verso discussioni e conferenze su quei temi che vengono
intendersi: a Firenze si può così vivere in un luogo scelti come ambito specifico di ricerca, spesso a carattere
“extraterritoriale”, pur circondati da un paesaggio pretta- interdisciplinare. I supporti didattici, ma soprattutto tecmente toscano. La creazione dell’Università Europea nici, vengono principalmente offerti dall’organizzazione
venne decisa il 19-4-1972, con la firma di una convenzio- di corsi di lingue, da tirocini e missioni all’estero e da una
ne sottoscritta dai sei Paesi fondatori della Comunità biblioteca assai rifornita e completamente informatizzaeuropea, che prevedeva l’istituzione di un organismo ta. La ricerca e la consultazione di libri e di periodici (che
internazionale avente lo scopo di promuovere ed estende- hanno naturalmente il pregio di provenire da Stati diverre l’integrazione europea, soprattutto a livello cultural- si) diventano pertanto assai facili e veloci, grazie anche
scientifico. L’I.U.E. prese però vita solo nell’autunno all’assistenza di un gruppo di bibliotecari europei assai
PROFILO
qualificato e aggiornato anche sui più recenti sviluppi
della computerizzazione bibliotecaria. Ma questi possono però a loro volta fare affidamento sull’altrettanto
preparato gruppo dei tecnici del centro di calcolo che con
la loro assistenza permettono anche il funzionamento di
un servizio-dati per ricerche di carattere quantitativo.
Nel panorama italiano, ma anche europeo, l’I.U.E. è
indubbiamente un esperimento che, nonostante la cornice idilliaca del paesaggio e la qualità dei servizi offerti,
presenta tuttavia problemi e limiti. L’integrazione cultural-scientifica non è infatti così facile da attuare, molto
spesso a causa delle diverse formazioni personali dei
ricercatori e docenti, altre volte per gli enormi stimoli che
continuamente arrivano da esperienze differenti, ma che
senz’altro rendono più difficile una selezione dei dati ed
un percorso coerente della ricerca individuale. Il continuo incremento delle informazioni che si ricevono, col
conseguente aumento degli influssi esterni, non è infatti
sempre proficuo per la concentrazione e la ricerca, a
meno che non venga adeguatamente filtrato da un rigoroso piano generale dei propri percorsi d’analisi. Rispetto
al passato, negli ultimi anni l’I.U.E. si è trasformato sotto
il profilo della sua complessiva struttura di ricerca; infatti
da organismo internazionale pensato perlopiù in termini
di centro-studi sulla questione dell’integrazione europea,
si è convertito in luogo di ricerca su temi che non sono
prettamente attinenti alle specifiche problematiche delle
nazionalità del vecchio continente, ma che spesso prendono anche spunto - o partono - dalle analisi condotte
oltre-Oceano, oppure prendono in esame un più vasto
panorama europeo. L’interscambio culturale dell’Istituto va comunque ormai al di là dei confini della Comunità
europea; si è infatti deciso di offrire borse di studio a
ricercatori provenienti dai Paesi dell’Est, della durata di
un anno (secondo altre modalità di partecipazione vengono però accolti anche studiosi di altri continenti, dai
sudamericani, ai cinesi fino ai nuovi zelandesi). Alla base
sta però un progetto di politica culturale più esteso:
partecipare, o comunque promuovere la costituzione dell’Università del Centro-Europa, che dovrebbe essere composta da centri di ricerca situati in alcune delle maggiori
città dei Paesi dell’ex-blocco comunista. Lungo il suo
percorso culturale, l’esperienza dell’I.U.E., pur con tutti
i suoi limiti, ha comunque potuto mostrare in modo
paradigmatico che la “cultura” non è più pensabile se non
in termini di comunicazione interpersonale e di scambio
di dati e di competenze specifiche fra ricercatori provenienti da ambiti del sapere avanzato, soprattutto a livello
transdisciplinare e transnazionale.
Villa Schifanoia, sede dell'Istituto Universitario Europeo.
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Attualità degli antichi
Nel ventesimo secolo molti dei problemi che preoccupavano gli antichi greci
risultano “curiosi”, se non addirittura
incomprensibili. Per questo gli sforzi
degli studiosi si sono spesso concentrati nel contrastare questa impressione, mostrando invece come alcuni problemi contemporanei siano strettamente legati al sapere antico, come
peraltro dimostra la presenza di nuclei
propri del pensiero greco nei moderni
dibattiti. E’ questo il caso dell’attesa
monografia sulla filosofia di Socrate di
Gregory Vlastos, Socrates: ironist and moral philosopher
(Socrate: satirico e filosofo morale,
Cambridge University Press, New York
1991). Nicholas Denyer nel suo libro
Language, thought and falsehood
in ancient greek philosophy
(Linguaggio, pensiero e falsità nell’antica filosofia greca, Routledge, London
1990) cerca invece di focalizzare il problema della falsità all’interno del pensiero greco. In questo sforzo di chiarificazione convergono anche altri recenti studi: Ancient concepts of
philosophy di William Jordan (Antichi concetti della filosofia, Routledge,
London 1990), Plato in the italian Renaissance di James Hankins
(Platone nel Rinascimento italiano, 2
voll., Brill, Leiden 1991 ) e The greek
philosophical vocabulary di J.O.
Urmson (Vocabolario della filosofia
greca, Duckworth, London 1990). Da
rilevare infine, accanto a queste tendenze prevalentemente esegetiche,
sforzi di attualizzazione di una riscoperta del platonismo da parte del pensiero matematico, in connessione soprattutto allo sviluppo della teoria dei
frattali e a quella del caos, una ulteriore testimonianza questa di come il
platonismo sia riuscito a mantenere
attraverso i tempi molto del suo potere intellettuale e ideologico.
Gregory Vlastos, uno dei più eminenti
studiosi di filosofia classica, ha dedicato
parecchi anni ad esaminare l’intero corpus
della filosofia platonica. Ora ha deciso di
rivolgere il suo interesse al pensiero socra-
tico. L’opera di Vlastos non delude e riflette le sue più specifiche virtù: padronanza
dei testi, acuta capacità argomentativa, chiarezza nell’esposizione, buon senso, generosità di spirito. Socrate appare come il
pensatore che ha inaugurato quella linea di
pensiero che è considerata il caposaldo
della filosofia classica. E’ compito difficile quello di cercare di chiarire qual’ è
l’effettivo pensiero di Socrate sulla felicità, sulla virtù, sulla conoscenza e sulle loro
reciproche relazioni, in quanto la ricerca
deve essere condotta sui testi di pensatori
influenzati dal suo pensiero. Socrate viene
descritto da Vlastos principalmente come
un innovatore morale. Nella lista classica
della quattro virtù morali (temperanza, giustizia, saggezza e coraggio, cinque se si
include la pietà) egli prende una direzione
decisamente nuova riguardo le prime tre.
La temperanza non è solo una moderazione delle passioni; implica invece una perfetta coincidenza del desiderio con la nostra conoscenza del bene totale. Per quanto
riguarda la giustizia la posizione di Socrate
oltrepassa l’accezione comune che essa
corrisponda a ciò che è dovuto a ciascuno.
Per Socrate la giustizia sembra racchiudere
piuttosto la nozione di beneficenza: il nostro più alto dovere è quello di fare il bene
degli altri.
Queste due nozioni rivoluzionano ciò che
si intende per felicità. Vlastos esamina
tutte le varie interpretazioni della relazione
tra felicità e virtù; rifiuta l’interpretazione
che considera la virtù come strumentale
alla felicità, ma si oppone anche alla visione secondo cui esse coincidono. Ammettendo che la virtù è un costituente della
felicità, Vlastos conferma l’affermazione
cruciale di Socrate, che considera la virtù
come una componente assoluta della felicità, a differenza di altre componenti, come per esempio la salute o la ricchezza, che
possono diventare dannose a meno che non
siano in presenza della virtù. Ma ciò che
sorprende non è tanto questa sua concezione, quanto il fatto che Socrate riteneva che
questo suo modello di vita, così spontaneo
per lui, potesse valere alla stessa maniera
per tutti gli individui. Per Socrate, infatti,
ciò che ci separa dalla giustizia è la comprensione vera di ciò che noi realmente
vogliamo. A questo proposito Vlastos sottolinea come la concezione della giustizia
non possieda un senso puramente contemplativo e disincantato; essa implica invece
la nozione di beneficenza. Inoltre, legando
il principio della benevolenza agli essere
divini, assegna la virtù della giustizia alla
sanzione divina.
Per quanto riguarda la saggezza e la conoscenza razionale Socrate sostiene che esse
si ottengono attraverso la formulazione di
argomentazioni ed il loro successivo confronto. Il procedimento che egli usa si basa
esclusivamente sugli argomenti e sulle credenze dell’interlocutore, senza l’introduzione di tesi estranee, come invece procede
Platone. A questo proposito Vlastos mostra come la fede filosofica nell’argomentare e nel ragionamento sia diventata propria di tutte le scienze grazie a Platone, non
a Socrate. In questo senso egli sottolinea la
differenza tra Socrate, filosofo prettamente morale, e Platone, filosofo “generale”,
che ha applicato questo metodo d’indagine
a tutte le branche del sapere. Con Platone
l’argomentazione razionale diventa un passe-partout. Vlastos accentua ulteriormente la differenza tra Platone e Socrate a
favore di quest’ultimo, specie quando evidenzia il fatto che a differenza di Socrate
per Platone la conoscenza filosofica non la
si può ricercare in un individuo qualunque
semplicemente dialogando, perché essa ha
bisogno di una speciale preparazione, facendo in tal modo della filosofia un’attività
d’élite.
Nell’ambito delle ricerche circa i problemi
che hanno effettivamente travagliato il pensiero greco si iscrive il libro di Nicholas
Denyer, Language, thought and falsehood
in ancient greek philosophy, che si propone di chiarire la tematica del falso. Questo
problema, così come era concepito dai
greci, è assente dal pensiero contemporaneo, e venne risolto da Platone. Lo studio
di Denyer è appunto un tentativo di analisi
della risposta platonica a questo problema,
partendo dalla genesi del problema nei
predecessori di Platone fino alla sua risoluzione nel Sofista, passando attraverso la
Repubblica, il Cratilo ed il Teeteto. Oltre
Platone si dirige invece l’analisi che James
Hankins svolge nel suo Plato in the italian
Renaissance, prendendo di mira gli scritti
neoplatonici e mettendo in evidenza come
i pensatori di questo periodo coglievano e
interpretavano la filosofia classica. Hankins
TENDENZE E DIBATTITI
mostra come i primi umanisti cercassero di
conciliare la filosofia platonica con il cristianesimo solo per cercare di difendere in
maniera calcolata e cinica gli studia humanitatis dall’accusa di paganesimo. Solo più
tardi pensatori come Bessarion e Ficino
furono animati da un autentico desiderio di
fondere l’eredità classica con quella pagana.
Lo studio di William Jordan, Ancient concepts of philosophy, e quello di J.O.
Urmson, The greek philosophical vocabulary, mostrano una differente, ma collegata tensione nell’affrontare il mondo greco nella sua globalità pratico-teorica. Il
primo analizza le concezioni proprie della
filosofia greca, i suoi scopi e i suoi temi
principali, il genere di persone che se ne
occupavano e la vita che questi conduceva-
no. Il secondo invece vuole essere esplicitamente una guida per coloro che possiedono già una conoscenza del greco, inoltrandosi con ampio raggio d’analisi all’interno
del linguaggio dei filosofi greci.
Infine è da segnalare una recente ripresa del
platonismo all’interno del pensiero matematico, che sta suscitando aspre polemiche
nel mondo accademico. Dal 1980 due interessanti aree della matematica, la teoria dei
frattali e quella del caos, sono servite a
sostenere il ritorno del neoplatonismo. I
frattali vengono intesi come entità splendidamente misteriose, che pare manifestino
una vita propria, e che perciò sembrano
dimostrare che la matematica non è un
sistema inventato dall’uomo, ma un mondo
preesistente di struttura platonica, che viene semplicemente indagato dall’uomo (ve-
di per esempio Roger Penrose, The emperor’s new mind, 1990). Alcuni teorici del
caos hanno proposto di bandire la nozione
di disordine assoluto, sostenendo che per
quanto una situazione possa apparire caotica, può sempre essere determinata da regole anche se molto complesse. Il neoplatonismo dopo un periodo di successo con Georg
Cantor, venne definitivamente messo in
discussione da pensatori come Poincaré e
Kroneker. La fede in questa teoria subì
inoltre un duro colpo tra gli anni ’60 e ’70
, allorché non solo cadde la credibilità del
formalismo, ma anche del platonismo, permettendo alle scienze matematiche di essere rifondate e di potersi sviluppare.
Al di là di tutto questo, ciò che crea meraviglia è il rilevare come il platonismo sia
riuscito a mantenere pressoché inalterata la
sua carica d’energia intellettuale, anche
dopo le numerose critiche ricevute durante
i secoli passati. V.R.
La società tra conflitto
e paura del vuoto
Di teoria del conflitto e delle strategie
di compromesso applicate all’interno
delle società moderne si occupa il libro di Luc Boltanski e Laurent Tavenot,
De la justification (La giustificazione, Gallimard, Parigi 1991). Nei termini di un’analisi più specificamente
sociologica si propone invece il saggio
di Olivier Mongin, La peur du vide.
Essai sur les passions démocratiques (La paura del vuoto. Saggio
sulle passioni democratiche, Seuil,
Parigi 1991).
Apollo, frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia (460 a. C.
circa)
Nella sua recensione (“Le Monde”, 23 agosto 1991) allo studio di Luc Boltanski e
Laurent Tavenot, Paul Ricoeur si sofferma sull’originalità della metodologia impiegata per disegnare il quadro di una società composta da una pluralità di regimi
d’azione dotati di una propria coerenza e
che forniscono la struttura di riferimento
delle relazioni umane. Importa notare come questa pluralità sia limitata, nel senso
che risulta condizionata da una serie di
regole e di modelli che orientano le relazioni sociali. Sono, ad esempio, le regole funzionali sottomesse al principio dell’utilità
che presiedono al funzionamento della “città
industriale”, mentre la “città civile” vive
nel riferimento al principio di subordinazione dell’interesse privato a quello collettivo.
Per evidenziare gli specifici modelli di
legittimazione di ciascuna “città”, sui quali
a loro volta si fondano le procedure di
regolazione dei conflitti, gli autori procedono ad una lettura incrociata dei testi
classici della tradizione filosofica e teologica con i manuali di ordine più pratico e
“operativo”, destinati a coloro che possono
essere definiti i “funzionari della vita pub-
TENDENZE E DIBATTITI
blica”: i quadri intellettuali, industriali e
sindacali. Nella struttura funzionale della
“città del commercio” è la concorrenza
degli operatori che configura l’ordine interno del sistema. La logica specifica di
questo ambito raggiunge la sua evidenza
teorica nell’opera di Adam Smith che costituisce la “grammatica” fondamentale delle trattazioni manualistiche. Ogni singola
“città” si organizza secondo un proprio
ordine di legittimazione, aperto tuttavia
tanto alla contestazione interna, che al conflitto con ordini differenti. E’ proprio nel
confronto critico sollecitato dall’esistenza
di altri “mondi” sociali che si genera la
necessità teorica e pratica di un compromesso. «In un compromesso ci si mette
d’accordo per comporre, ossia per sospendere il contenzioso, senza che questo sia
stato regolato attraverso il ricorso ad una
prova in un solo mondo». La possibilità di
abitare una pluralità di mondi è del resto
costitutiva della persona; se è vero che le
istanze ordinatrici di ciascuna città hanno
una dimensione supra-individuale, spetta
comunque ai singoli identificare, di volta
in volta, la specificità e la legittimità delle
regole stesse e la loro eventuale trasformazione attraverso lo strumento razionale del
giudizio.
Una riflessione aperta sul destino delle
democrazie è quella proposta da Olivier
Mongin, direttore di “Esprit”, nel suo libro: La peur du vide. Essai sur les passions
démocratiques. E’ con le immagini e le
metafore del cinema e della pubblicità che
Mongin prova a disegnare la «cartografia»
particolareggiata delle emozioni contemporanee. Trovarne i segni nella vita pubblica diventa sempre più problematico: la
caduta dei sistemi di riferimento ideologici, il carattere sempre più competitivo delle
relazioni umane in una società che si organizza secondo il modello dell’impresa, sono gli elementi che portano alla diserzione
dello spazio sociale e all’inaugurazione di
utopie del privato, di ambiti di vita sottratti
al conflitto. Le fantasie idilliache della pubblicità, la celebrazione di stili di vita dove
tutto corre «come un lungo fiume tranquillo», rappresentano - per Mongin - «le forme “elementari” di un’identica volontà utopica che ha l’ambizione di liberare i corpi
e le menti dalla sofferenza e dal male, come
anche dalla violenza e dai conflitti della
storia». Il deserto, celebrata metafora del
semplice e dell’incontaminato, è il luogo di
una privatezza che è torpore e fuga dalle
realtà, chiusura autodistruttiva della comunicazione. «Le passioni private sono oggi
ai limiti del deserto, separate dalle passioni
storiche che fino a ieri davano loro un
linguaggio», senza di esse - conclude
Mongin «si è soli, completamente soli, e la
passione amorosa diventa a sua volta una
impossibile utopia». La famiglia stessa ha
perso le sue tradizionali caratteristiche di
luogo solidale e protettivo a favore dell’azienda, che si afferma come «un circolo
familiare deputato a intervenire all’esterno
[...] una tribù vincente che valorizza la
solidarietà amicale o marziale e che riannoda i legami attraverso il funzionamento
gerarchico, a cui la famiglia ha apparentemente rinunciato». Alla chiusura privatistica delle passioni corrisponde una percezione ostile dello spazio pubblico, luogo
della falsità e del tradimento. Il sentimento
più conseguente diviene la paura.
Diagnosi precisa della società francese, il
libro di Mongin non indica prognosi; l’invito a riarmonizzare la sfera privata e la vita
pubblica, a ripensare «a quali condizioni
sia ancora possibile la cittadinanza», rinvia
il problema ad una dimensione che non è
soltanto sociologica e rinnova la problematica esigenza di «ricercare il filo d’Arianna
del Politico». E.N.
Io, Tu, l’Altro, Noi:
il “terzo” nell’etica contemporanea
Per vie traverse, ma convergenti nel
proposito di ripensare a fondo la tematica del vivere-insieme, si fa strada,
da qualche tempo, nella riflessione
filosofica quella che si potrebbe chiamare “la problematica del terzo”, il
ricorso cioè a una istanza anonima,
neutra, che spezzi e trasformi la vertigine dei dualismi. Due recenti iniziative si situano su questa linea: il convegno internazionale La comunità, organizzato da Laura Boella a Gargnano
(6-9 giugno 1991), al quale hanno partecipato fra gli altri A. Civita, A. Dal
Lago, E. Franzini, G. Raulet, J. M.
Vaysse, Hauke Brunkhorst), e il recente fascicolo della rivista “Aut-Aut” (n.
242, marzo-aprile 1991), incentrato sui
temi del rapporto duale e bifrontale
del soggetto con l’alterità (interventi
in particolare di J. Derrida, F. Ciaramelli,
P. A. Rovatti). Un contributo al problema dell’altro ci viene anche, per altro
verso, dal libro di Renato Troncon, La
filosofia dell’inquietudine
(Guerini e Associati, Milano 1991).
Assume sempre più consistenza nel dibattito europeo la revisione critica di tanti
binomi oppositivi (io-tu, individuocollettività, medesimo-altro) particolarmente presenti nella riflessione eticopolitica degli anni 70/80. Che una certa
“insofferenza” verso gli sdoppiamenti e le
simmetrie proprie di una determinata stagione della riflessione etica, in particolare
francese, si sia delineata da tempo, è un
dato appurato. E’ nuova invece, o meglio
recente, l’insistenza e la chiarezza con cui
questo atteggiamento critico promuove il
rilancio di alcune tematiche fondamentali
del vivere-insieme, quali l’amicizia, la sollecitudine, la comunità. Radice di questa
riflessione ramificata per interessi e prospettive, è la tematizzazione di un’istanza
terza, anonima, non compromessa con i
pronomi personali (io, tu, lui, noi), gli sdoppiamenti (alter ego), le marche oppositive
(medesimo-altro). Dal convegno di
Gargnano e dalla rivista “Aut-Aut” è possibile trarre un primo bilancio di questi
rapporti incrociati.
Comune è la convinzione che nell’epoca
della secolarizzazione e della consumata
Modernità due topoi del pensiero filosofico siano estremamemte compromessi: l’idea del soggetto come unità compatta e
autocentrata e l’ideale della relazione all’alterità nei termini di analogia, simmetria, sdoppiamento o dicotomia. Corale è la
critica ai tentativi di ridurre la comunità in
comunione, l’amicizia in rapporto fra uguali,l’incontro con Altri in ingiunzione
dall’esterno, oppure in assimilazione appropriante dall’interno. La pointe di questo
atteggiamento consiste nel considerare ingenua ed astratta la prospettiva dualistica,
che non consentirebbe alcuna “attività di
giudizio”. E’ il ricorso alla mediazione
impersonale della legge che consente di
dirimere i conflitti in seno ai rapporti sociali; è l’asimmetria fra me e te che evita
rispecchiamenti narcisistici o deliri di onnipotenza e che apre alla fecondità dell’amicizia; è la presenza dura e anonima di un
mondo in comune che permette agli individui di stagliare come ombre su un muro la
propria singolarità. Non è un caso allora
che molti ripartano da questo punto per
ripensare le scansioni del vivere insieme.
Tra i saggi presentati in “Aut-Aut”, quello
di Jacques Derrida (“Politiche dell’amicizia”) rivendica la priorità della mediazione sull’immediatezza dell’alleanza nell’amicizia: prima ancora di qualsiasi investimento di responsabilità ci si trova a rispondere davanti a qualcuno di qualcosa. «Siamo presi - così scrive Derrida - in una sorta
di curvatura eteronomica e asimmetrica
dello spazio sociale». Questa coimplicazione originaria in virtù di un’asimmetria
mediatrice è la condizione del rispetto e
della misura dell’alterità. «Il terzo testimonia sempre di una legge che viene a interrompere la vertigine della singolarità». Dal
canto suo Pier Aldo Rovatti (“Soggetto e
alterità”) riprende alcune tesi dell’ultimo
Paul Ricoeur sulla passività come alterità e
le interpreta come un “indebolimento e
destabilizzazione” dei pronomi in gioco.
Per Ricoeur, l’io è affetto da una natura
ambigua, da una sensibilità ricettiva capace al limite di sfaldarne la solidità. Ora, per
Rovatti, questo coefficiente di passività va
letto come “alterazione” insita nel soggetto
stesso: è su questa linea di alterazione/
alterità che l’io incontra l’Altri, il tu e
l’altro, l’amico silenzioso. Sulla base di
questa fragilità e passività comune che
espone l’uno di fronte all’altro sono possibili gli incontri che, al contrario dell’immedesimazione, si svolgono sotto il registro
della reciproca asimmetrica esposizione.
Su tale polimorficità del soggetto e della
sua mobilità contemporanea ha insistito
anche Alessandro Dal Lago, mentre, su un
versante più attento alla filosofia dell’azio-
TENDENZE E DIBATTITI
ne si è pronunciato Fabio Ciaramelli (“Nota
sull’ultimo Ricoeur”), cercando di stringere i tipici nodi ricoeuriani, tempo-racconto,
tempo-creatività, testo-azione, attorno al
laccio della problematica del soggetto collettivo anonimo. Anche se Ricoeur ha disatteso il proposito, annunciato un tempo,
di lavorare «alla questione fondamentale
della pensabilità del soggetto collettivo come creatività e prassi», Ciaramelli legge
Ricoeur alla luce del problema della creatività e dell’autoreferenzialità di un soggetto politico anonimo, particolarmente in sintonia con alcune preoccupazioni condivise
da Claude Lefort e Cornelius Castoriadis.
Lo stesso Castoriadis all’inizio di giugno,
in un convegno parigino dal titolo: Ecriture
et vérité, ha rivendicato il carattere anonimo e neutro dell’agire politico ad opera di
una collettività corale, i cui soggetti si
costituiscono agendo e non sono mai dati
prima dell’agire comune.
Sulla problematica del “terzo” lavora da
tempo Laura Boella, in particolare nell’ambito della sua interpretazione del pensiero di Hannah Arendt. Nel suo intervento al convegno di Gargnano Boella ha messo in luce come i rapporti di amicizia siano
inassumibili sotto il registro della vicinan-
za e della dualità. Nei rapporti a due ne va
sempre di qualcosa d’altro, che prescinde
dai pronomi e dal loro gioco, ne va del
mondo comune, di quella dimensione neutra che è condizione necessaria dell’agire e
del vivere insieme. Il mondo comune è
l’orizzonte condiviso dalla pluralità delle
opinioni dei soggetti, ma in nessun caso si
riduce alla loro somma. La doxa non è la
semplice opinione ma il fatto che il mondo,
sfondo comune, appare diversamente: esso
dokei moi, mi appare così e non altrimenti.
Su questo sfondo ciascuno può rendersi
visibile nella sua unicità, rendendo visibile
la sua appartenenza a un mondo comune.
Gli individui senza questo mondo terzo che
si frappone fra me e l’altro «si cascherebbero addosso - ricorda Boella, citando la
Arendt - come persone intente a una seduta
spiritica senza un tavolino in mezzo». Proprio insistendo sul carattere neutro e anonimo del mondo comune Boella si è ricollegata alla lignée Bataille, Blanchot, Weil
sotto il profilo della comunità impossibile.
Questi autori infatti considererebbero anacronistica e astratta la politica come dialogo vivente e comunità organica e si richiamerebbero alla radicale messa in questione
delle filosofie della coscienza e della vo-
lontà attraverso l’introduzione di un’istanza terza anonima (l’essere per la morte di
Bataille, l’agire non agente di Weil). Anche se di diversa impostazione problematica, merita qui citare un interessante contributo alla questione dell’altro, dell’altrove e
della sua comprensione, quale ci viene fornito dal recente libro di Renato Troncon,
La filosofia dell’inquietudine (Guerini e
Associati, Milano 1991), che assume l’inquietudine come figura direttiva di ogni
manifestazione dell’alterità. Voler essere
“altrove”, o voler essere “altro”, è la condizione più caratteristica dell’uomo. Quieta
non movere - dicevano gli antichi! Ma la
pulsione contraria, «il cambiare ovunque il
luogo di tutto», le relative forme di vita e di
comportamento, disegnano, per Troncon,
la scena originaria della costituzione non
della sola soggettività, ma della concreta
umanità. E parlare di umanità non è, secondo l’autore, una circostanza qualsiasi, ma
un vero atto di giustizia.
Abbandonato a una critica dell’umanesimo come naturalismo, circoscritto ma anche limitato negli studi specialistici, privato della materialità dell’azione e del sentimento, l’uomo, per taluni aspetti, pare essere una vittima della stessa filosofia e dei
René Magritte. Il capolavoro o il mistero dell'orizzonte. (raccolta Arnold Weissberger, New York)
TENDENZE E DIBATTITI
filosofi. Attraverso cinque capitoli dedicati
a Johann Gottfried v. Herder, Heinrich v.
Kleist, Helmuth Plessner, Arnold Gehlen e
infine Giambattista Della Porta, Troncon
sviluppa l’idea che l’uomo né riposa, né è,
in generale, presso se stesso, mentre, come
avrebbe detto proprio Helmuth Plessner, è
piuttosto «accanto, dietro o anche oltre se
stesso». Le stazioni del pensiero dell’inquietudine sono naturalmente diverse, forse persino contraddittorie. Agli autori citati
è così affidato il compito di mettere ordine,
di mostrare anzitutto due scenari poeticofilosofici, quello della letteratura di viaggio (il Journal di Herder, del 1769), e
quello della filosofia della danza (Kleist e
il suo scritto sul “teatro delle marionette”,
del 1810, ma anche la danza espressiva ed
estatica degli Anni Venti in Germania). In
secondo luogo, di mostrare come gli antichi motivi di una filosofia dell’inquietudine siano, nel Novecento, prima confluiti e
poi siano stati riscritti nel contesto di una
filosofia della biologia umana. Su tutto
questo Troncon innesta le categorie della
filosofia di Gehlen e di Plessner. Chiude la
trattazione un capitolo dedicato agli studi
di fisiognomica del napoletano Giambattista
Della Porta. Alla fisiognomica fu storicamente affidata la difesa e l’organizzazione
della significatività del corpo: è a questo
proposito che Troncon parla di anatomia
ideale. In essa convergono gli interessi di
discipline diverse, dalle arti figurative alla
letteratura, dalla fotografia al teatro, dalla
caratterologia alla letteratura artistica. Per
questa via Troncon propone così una filosofia del corpo come filosofia delle istituzioni, nel senso globale ed esaustivo che fu
di Plessner e di Gehlen. “Istituzione” è, in
questa prospettiva, “concretizzazione dell’altro”, dunque instabilità e comunque apertura, ma anche “ordinamento” e struttura, regole del gioco, gerarchia, tradizione,
proiezione verso il futuro. Filosofia è ora
«l’occupazione, mediante la parola discorsiva, con la generalità dei luoghi nei quali
l’uomo viene a trovarsi: a fare, sentire,
conoscere, in breve a relazionare se stesso
a sé, a decentrare se stesso, secondo punti
di vista che rendano significativo il tutto
dell’uomo, l’unità di corpo, spirito, anima,
il loro regime e la loro costituzione». Un
compito che si può immaginare non affidato ai soli filosofi. In conclusione ci sembra
qui opportuno segnalare un libro di Robert
Legros, L’idée d’humanité (Grasset, Parigi 1991), in cui l’autore interroga il rapporto radicamento/sradicamento nella storia
delle idee a proposito della definizione
possibile di umanità. Richiamandosi alla
Arendt, egli sostiene che nel mondo contemporaneo il dualismo radicamento in una tradizione/sradicamento dalla natura,
non rappresenta un’alternativa; attraverso
l’introduzione di mondo comune i termini
possono invece trovare una loro articolazione feconda. Al di là del binomio oppositivo, la nozione di appartenenza a un
mondo comune, storicamente determinato,
permette di concepire come unica, veritiera
condizione di esistenza “umana” la pluralità in un orizzonte comune. F.M.Z.
La mente ed i suoi limiti
Per la scienza della mente le scoperte
si sono notevolmente accelerate in
questi ultimi anni grazie all’enorme
quantità di dati forniti dalle nuove tecnologie, soprattutto grazie alle simulazioni al computer che hanno permesso un ordine e un allargamento
delle idee e dello spazio logico dei
modelli da analizzare. Al giorno d’oggi
si possono seriamente considerare delle ipotesi che pochi anni fa sarebbero
state giudicate come inconcepibili.
Questo nuovo potere che deriva dallo
sviluppo della scienza del computer è
stato esplorato con entusiasmo da una nuova generazione di teorici e di
sperimentalisti. I filosofi tuttavia hanno generalmente reagito a questo entusiasmo in maniera negativa. Non è
un’eccezione l’ultimo saggio di Colin
McGinn: The problem of consciousness: essays towards a resolution (Il problema della coscienza:
saggi per una risoluzione, Blackwell,
Oxford 1990), che appare come una
delle prese di posizioni più radicali e
d’altra parte permette di fare il punto
sugli ultimi sviluppi di questa scienza.
La tesi centrale di Colin McGinn è che il
problema della coscienza o del libero volere è per noi assolutamente insolubile. Una
tesi che McGinn corregge apparentemente,
aggiungendo che anche se il nostro cervello non è atto a comprendere questi ardui
problemi, non si deve per questo inferire
che la nostra mente è un oggetto intrinsecamente misterioso. Certo è che per coloro
che sostengono una scienza della mente
questa tesi risulta imbarazzante, non tanto
perché con essa si afferma l’esistenza di
fenomeni che in linea di principio rimangono al di fuori della comprensione umana,
quanto perché si arriva a questo verdetto
pessimista semplicemente dopo un misero
esame delle opportunità offerte dalla nuova scienza, senza prendere in considerazione gli abili metodi messi a punto per espandere la mente, scaricando molto del suo
lavoro su macchine disegnate e costruite
proprio per questo scopo.
Il pensiero “nichilistico” di Thomas Nagel
e di Jerry Fodor è importante per capire la
posizione di McGinn, che vi si rifà apertamente. La nozione di “chiusura cognitiva”,
sviluppato in The problem of consciousness da McGinn, è ciò che Fodor chiama
“confine epistemico” (The modularity of
mind, 1983). A sua volta il pensiero di
Fodor richiama quello di Noam Chomsky,
che considera la mente umana come dotata
di limiti: il problema del libero volere sarebbe semplicemente oltre questi limiti.
Sia Chomsky che Fodor accettano la capacità della mente umana di analizzare grammaticalmente frasi, e quindi presumibilmente di capire tutte le infinite frasi gram-
maticali che si possono formare nel linguaggio naturale. Ma per loro è come se
non si potessero capire proprio quelle frasi
che meglio esprimerebbero la soluzione
del problema della coscienza. Di tutti gli
artifici che hanno ampliato la nostra capacità di comprensione, il primo e il più
rilevante è proprio quello legato al linguaggio stesso. Ma Chomsky e Fodor hanno
sempre negato il fatto che il linguaggio
possa accrescere il potere del nostro cervello. Per Chomsky la nostra capacità discorsiva dimostra semplicemente che noi possediamo un potente meccanismo innato per
acquisire il linguaggio, ma il potere linguistico rimane tutto nel cervello; tutti i concetti che possiamo esprimere si trovano nel
cervello fin dalla nascita.
Nonostante la sua posizione rigida e restrittiva, McGinn cerca di dare nel suo libro
espressione e discussione ad alcuni problemi inevasi sulla coscienza. Egli afferma ad
esempio che la coscienza possiede una
“struttura nascosta”, la quale è sistematicamente inaccessibile sia dal punto di vista
della prima persona, attraverso il soliloquio e l’introspezione, sia da quello di una
terza persona, rappresentata dalla scienza.
Ma ciò che complessivamente colpisce del
lavoro di McGinn è che, nonostante l’impegno dichiarato nel titolo, egli sembra
ancora molto lontano da una risoluzione
del problema della coscienza, se non altro
perché è ormai da tempo risaputo che con i
soli concetti che appartengono alla filosofia tradizionale della mente non è possibile
dare risposta alle domande circa la coscienza ed il libero volere. V.R.
La bellezza del conoscere
E’ una questione classica per la riflessione estetica quella relativa al valore
euristico dell’esperienza estetica stessa; più recente è invece l’indagine sulle valenze estetiche della ricerca scientifica. A cavallo fra queste due prospettive, S. Chandrasekar, Verità e
bellezza. Le ragioni dell’estetica nella scienza (trad. di L.
Sosio, Garzanti, Milano 1991), Aldo
Trione, L’ostinata armonia. Filosofia ed estetica fra ‘800 e
‘900 (Laterza, Roma-Bari 1991) e Franco Rella, L’enigma della bellezza
(Feltri-nelli, Milano 1991) tematizzano
la questione dei rapporti fra bellezza,
essere e verità.
E’ senza dubbio molto antica l’idea che il
“vero” sia anche “bello”; che la bellezza
abbia, cioè, un riscontro sul piano conoscitivo. Sulla base del legame ontologico fra
la nozione di verità e quella di bellezza,
Platone riconosce a quest’ultima valore
gnoseologico e ontologico: amando la bellezza di un corpo si può arrivare ad amare
la bellezza delle idee, elevandosi così dal
TENDENZE E DIBATTITI
mondo delle apparenze sensibili, luogo della
molteplicità delle opinioni e della loro
relatività, al mondo delle idee, fonte della
certezza del sapere scientifico. A ben vedere il presupposto platonico è ancora vivo e
vegeto e agisce, neppure troppo dissimulato, dietro le quinte delle argomentazioni di
Subrahmanjan Chandrasekar, astrofisico, premio Nobel nel 1983. Almeno da
Galileo in poi, la “semplicità” di una teoria
scientifica, ovvero la sua economicità nella
spiegazione dei fenomeni naturali, è considerata un valore sul piano epistemologico;
è sufficiente riconoscere, come hanno fatto
molti scienziati, - e come appare, d’altronde, “naturale” al senso comune - che questa
semplicità è anche “bella”, perché esprime
l’armonia del cosmo, e il gioco è fatto. Il
passo ulteriore, sul piano metodologico,
consiste nell’affermare che questa bellezza, così “naturale”, sia il criterio decisivo
non solo per scegliere fra una teoria e
un’altra, ma addirittura per dar vita a una
teoria; passo già compiuto anch’esso da
vari scienziati e da Chandrasekar stesso.
Ciò di cui occorrerebbe far questione, però,
è proprio il carattere “naturale” dell’esperienza estetica, che poggia sulla convinzione di un monismo ontologico del bello (e
del vero). Questa impostazione rimanda a
una metafisica della bellezza, come sostiene Franco Rella, in cui l’indagine ontologica approda a un ben diverso ruolo della
bellezza. Questa nozione rimanda non alla
certezza dell’unità del reale, ovvero del
logos, al di là delle apparenze sensibili, ma
all’esperienza della differenza, dello scollamento fra pensiero ed essere, volere e
fare, fra intenzione, azione ed effetto; l’esperienza, insomma, della discontinuità fra
gli enti nel loro rapporto con il soggetto. In
questo senso la dimensione propria della
bellezza, osserva Rella, è quella del tragico; la bellezza, di fronte al logos universalizzante e oggettivante, si pone come enigma, e tale deve rimanere fintantoché la si
voglia pensare.
L’armonia che Aldo Trione ripropone,
analizzando la funzione poietica, è ostinata proprio perché insiste sulla differenza,
non va oltre essa: la ricerca della visione
organica, che guida ogni atto creativo, si
esercita nella multiformità delle differenze
di cui è intessuto il reale. Anche per Trione,
dunque, la questione estetica ha a che fare
con quella della costituzione dell’Essere, e
quindi con la questione della verità. La
funzione della poiesis assume un ruolo
centrale nel rapporto fra soggetto e mondo,
organo di una “logica poietica” che, nascendo dalla ragione e dai suoi calcoli,
recupera il senso che la nozione di mekanè
aveva presso gli antichi Greci. Non si tratta
qui di una visione “conciliata” e organica
del reale; né, d’altro canto, data la dimensione creativa della poiesis proposta da
Trione, della centralità del soggetto: il carattere “meccanico” della poiesis rimanda
piuttosto alla sua origine combinatoria, nella
“risignificazione” degli eventi che in essa
accadono. L’”ostinata armonia”, né impo-
sta al reale, né “rinvenuta” in esso da un
soggetto che si dà come tale, è la tensione
proveniente dalla “cosmologia simbolica”
che viene a configurarsi nell’esperienza
estetica; cosmologia oggetto di una “scienza della natura”, di cui la “logica poetica”
fa parte con pieno diritto, allo stesso titolo
di quella discorsiva. F.C.
I molti e l'uno
La nuova edizione dell’opera di
Parmenide, Poema sulla natura
(presentazione, traduzione con testo
a fronte e note di Giovanni Reale, introduzione e commentario filosofico
di Luigi Ruggiu, Rusconi, Milano 1991)
è un evento editoriale rilevante non
solo dal punto di vista dello studio
storico della filosofia, ma anche da
quello delle prospettive teoretiche che
l’opera di Parmenide apre e che, con
questa nuova edizione, si aprono su
Parme-nide. A questo proposito, per
quanto riguarda in particolare il rapporto fra la concezione parmenidea e
Platone, si segnala il commentario al
Parmenide platonico di Maurizio Migliori, Dialettica e verità (prefazione di Hans Krämer, introduzione di
Giovanni Reale, Vita e pensiero, Milano 1991) e quello al Sofista, di Gennaro
Sasso, L’essere e le differenze
(Il Mulino, Bologna 1990). Su queste
tematiche, infine, è da ricordare la raccolta di saggi a cura di Virgilio
Melchiorre, L’uno e i molti (Vita e
pensiero, Milano 1990).
Riguardo al Poema sulla natura va anzitutto sottolineato come l’impostazione del
saggio introduttivo e del commento di Luigi
Ruggiu voglia aderire fortemente al testo
curato da Giovanni Reale; più che nella
forma di un’ermeneutica, il lavoro dei due
curatori sembra quasi volersi proporre come un’esegesi, caratterizzata dalla compenetrazione del punto di vista filologico con
quello filosofico. La novità di questa interpretazione consiste nientemeno che nella
valutazione del ruolo che a Parmenide è
stato assegnato dai filosofi successivi, in
primo luogo da Platone, e che conseguentemente l’Eleate si è trovato a ricoprire
nella storia del pensiero. Non da oggi,
correnti anche lontane fra loro del dibattito
filosofico intorno a Parmenide tematizzano anzitutto il suo rapporto con Platone e
vedono in esso l’evento cruciale per la
nascita della filosofia occidentale. Un rapporto, quello tra i due filosofi, tradizionalmente riconducibile alla celebre immagine
del “parricidio”: per poter condurre un discorso rigoroso sulla realtà sensibile, occorreva infrangere il divieto parmenideo e
ammettere nell’analisi filosofica la categoria del divenire, e quindi quella del nulla.
Perché il pensiero potesse essere ricondot-
to nel quadro di un discorso scientifico e
non meramente doxastico, occorreva, insomma, ammettere nel discorso scientifico
ciò che Parmenide voleva tener fuori, il
molteplice, introducendo la categoria di
diversità.
Parricidio inutile - verrebbe da dire seguendo l’interpretazione di Ruggiu - in quanto
frutto di un fraintendimento del detto parmenideo da parte di Platone e della tradizione filosofica a lui successiva. Parmenide,
in altri termini, non avrebbe espunto dalla
propria determinazione dell’Essere il molteplice - operazione compiuta piuttosto da
Zenone e Melisso - ma lo avrebbe incluso,
tentando di dare ad esso un senso. Quella
che Parmenide riceve dalla dea vorrebbe
dunque essere una spiegazione scientifica,
contrapposta a quella doxastica dei mortali, che riguarda tuttavia il medesimo “oggetto”, la realtà del molteplice. Parmenide
non intenderebbe affatto negare quest’ultima, ma spiegarla in modo diverso; l’approccio esplicativo del discorso scientifico
non si differenzierebbe pertanto da quello
dell’opinione per ciò di cui si parla, ma per
come lo si fa. Secondo il Parmenide di
Reale e Ruggiu, illusione allora non è il
mondo sensibile, con la pluralità e il divenire, ma il modo in cui i mortali lo spiegano, attribuendo divenire e molteplicità al
continuo trasmutarsi l’uno nell’altro di essere e nulla; laddove invece i due termini
rimangono irriducibili l’uno all’altro, poiché l’essere è, il nulla non è.
Emanuele Severino, cui Ruggiu riconosce un debito interpretativo, recensendo il
Poema sulla natura prende le distanze; il
suo “ritorno a Parmenide”, seppure in forma diversa da quella platonica, vuole essere ancora un “parricidio”: che Parmenide
abbia già detto ciò che nei suoi frammenti
leggono Reale e Ruggiu - l’illusorietà della
spiegazione del molteplice e del divenire
data dai mortali - anziché ciò che la tradizione filosofica gli ha attribuito - l’illusorietà del molteplice e del divenire stesso - è
per Severino, secondo quanto possiamo
arguire da questi frammenti, questione non
decidibile in via definitiva a livello storiografico. Ne è una riprova il fatto che nell’interpretazione di Ruggiu Parmenide diventi quasi un predecessore di Platone per
quanto riguarda l’introduzione della categoria della diversità. Peraltro, tale introduzione di per sé non risolve i problemi del
rapporto fra l’uno e i molti. A questo riguardo, come osserva Maurizio Migliori,
risulta più proficuo insistere sulla “dottrina
dei principi”: l’Uno e la Diade, di ascendenza pitagorica, superiori alle idee stesse.
Migliori a questo proposito accoglie le
indicazioni della “scuola di Tubinga” - di
cui è recentemente disponibile una chiara e
puntuale disamina critica ad opera di
Domenico Pesce, Il Platone di Tubinga
(Paideia, Brescia 1990) - e sostiene la necessità di integrare le posizioni espresse nei
dialoghi platonici con le “dottrine non scritte”. E’ questa quella che viene definita la
“struttura di soccorso” del dialogo, per cui
TENDENZE E DIBATTITI
stricabilmente connesso con quello che nella
filosofia del Novecento muove dalle posizioni dell’ermeneutica di ascendenza heideggeriana.
A questo medesimo ambito di discussione
appartiene la riflessione sul Sofista platonico che Gennaro Sasso svolge nella sua
ultima opera, L’essere e le differenze. La
tesi di Sasso è tanto esplicita quanto poco
collimante con la tradizione interpretativa:
il Sofista, vero e proprio trattato di ontologia, contiene la dichiarazione, ma non l’autentica dimostrazione, della differenza. In
questo senso la posizione di Sasso è quasi
speculare a quella di Reale e Ruggiu: non
solo Parmenide, ma neppure Platone, pur
volendolo, riescono a fondare le categorie
della diversità, non riuscendo ad abbandonare la concezione assoluta del non-essere
(e dell’Essere) affermata dall’Eleate.
L’introduzione da parte di Platone - o già di
Parmenide, secondo la lettura di Reale e
Ruggiu - della categoria della diversità,
fintantoché la si consideri un genere accanto agli altri (essere, quiete, movimento,
identità), anziché il loro presupposto, rende irresolubile il rapporto fra l’unità e la
molteplicità; su questa base la stessa “dottrina dei principi”, a parere di Sasso, non fa
che riproporre, su un altro piano, le difficoltà della dottrina delle idee, per risolvere
le quali essa era stata introdotta. F.C.
I cicli di Vico
Testa di filosofo identificato con Parmenide.
esso deve necessariamente essere sorretto
dal lavoro dialettico fra maestro e allievo.
La lusinghiera prefazione di Hans Krämer,
il primo esponente della “Scuola di
Tubinga”, non è casuale: il testo di Migliori
è infatti un ponderoso commentario del
Parmenide, dove le scelte teoretiche dell’interprete innervano un analitico lavoro
di decostruzione del testo platonico.
Un’opera che riveste dunque un notevole
interesse dal punto di vista della storiografia filosofica, stante la puntuale disamina
dello status quaestionis e l’ampia discussione che Migliori, come sottolinea Reale,
ha aperto con quasi tutta la letteratura critica moderna relativa al Parmenide.
In riferimento a queste tematiche è opportuno richiamare l’attenzione sulla raccolta
di saggi curata da Virgilio Melchiorre,
pubblicata anch’essa, come il testo di Migliori, dal “Centro di Ricerche di Metafisica” dell’Università Cattolica di Milano. La
figura di Parmenide campeggia sullo sfondo di questi saggi, divisi in una sezione di
“percorsi teoretici” e in una di “percorsi
storiografici”, a segnare un cammino ideale che va dall’Eleate (Luigi Ruggiu) a Hegel
(Valerio Verra), passando per Platone (Giovanni Reale), Aristotele (Enrico Besti),
Plotino (Pietro Prini e Vittorio Mathieu),
Tommaso (Alessandro Ghisalberti),
Cusano (Aldo Bonetti), Kant (Virgilio
Melchiorre), Fichte (Aldo Masullo e Francesco Moiso). Filo conduttore è il tema del
rapporto fra l’Uno e i Molti come rapporto
di fondazione; centro teoretico, la questione ontologica, sia quando l’Uno si coniuga
con l’Essere - come vuole Platone, e come
rifiuta Aristotele - sia quando ciò non avviene; questione ontologica, dunque, che si
pone nei termini della pensabilità e della
dicibilità dell’Uno, in quanto origine dei
Molti. Ne scaturisce un dibattito sulle problematiche parmenidee e platoniche ine-
Non solo in Italia la figura e l’opera di
Vico sono oggetto di rinnovato interesse. Si segnala anzitutto una nuova
pubblicazione delle Opere (a cura di
Andrea Battistini, Mondadori, Milano
1990), a cui si affianca la raccolta di
saggi di Ernesto Grassi, Vico and
Humanism. Essays on Vico,
Heidegger and Rhetoric (Peter
Lang publishing, New York 1990 di
prossima pubblicazione presso l'editore Guerini e Ass. a cura dell'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici) e l’opera critica di Antonio Verri, Cicli storici e rivoluzionari. Da Vico a
Rousseau (Congedo, Lecce 1990). Una
chiara panoramica sull’attualità della
filosofia vichiana ci è offerta oggi dal
volume a cura di Antonio Verri, Vico e
il pensiero contemporaneo (Milella,
Lecce 1991), che raccoglie le relazioni
e gli interventi presentati in occasione
del convegno internazionale: Vico e il
pensiero contemporaneo, tenutosi
presso l’Università di Lecce nei giorni
9-10-11 novembre 1989 (interventi di
Tagliacozzo, Pons, Verri, Franchini,
Martano, Manno, Tessitore, Vallone,
Controneo, Rigo-bello, Pieretti, Signore).
Per capire cosa distingue l’edizione delle
Opere di Giambattista Vico, curata da
TENDENZE E DIBATTITI
René Magritte. Il capolavoro o il mistero dell'orizzonte. (raccolta Arnold Weissberger, New York)
Illustrazione da Principi di scienza nuova di G.B. Vico (Napoli 1744).
TENDENZE E DIBATTITI
Andrea Battistini, dalle molte altre ancora
in commercio, quali siano i criteri di scelta
fondamentali, la prospettiva teorica e metodologica adottata, le opzioni di fondo che
la contraddistinguono, occorre preliminarmente rendere conto delle presenze e delle
assenze. Per esplicita ammissione del curatore stesso, i testi esclusi che fanno maggiormente sentire la loro mancanza sono il
De antiquissima, le Orazioni inaugurali
(di cui è uscita l’edizione critica nel 1983 a
cura di Gian Galeazzo Visconti), il Diritto
universale e le Istitutiones Oratoriae (la
cui edizione critica è del 1989 a cura di
Giuliano Crifò). Esclusioni che vengono
giustificate essenzialmente da due motivi.
Il primo è che la collana accoglie testi
eminentemente letterari e, dunque, Vico
viene proposto come un “classico” della
cultura, di cui vengono presentati l’opera
maggiore (la Scienza nuova nelle sue due
estreme edizioni), la produzione autobiografica (la Vita e le numerose lettere) e gli
scritti più vicini alla sua attività professionale (rappresentati da quelle orazioni che
cronologicamente vanno dal De ratione
fino al De mente heroica). Il secondo motivo, pur legato al primo, è di carattere
editoriale: l’eventuale inclusione delle altre opere, a partire dal Diritto universale,
avrebbe notevolmente ampliato l’opera ben
oltre i due voluminosi tomi, già fin troppo
densi di pagine e di righe, con cui si presenta.
Tutto ciò s’inquadra perfettamente nel particolare approccio teorico e metodologico
avanzato da Battistini: un approccio definibile come retorico-antropologico, secondo
il quale l’intero sforzo teorico vichiano va
letto come un poderoso tentativo di indagare e di ricercare le origini e la natura dell’umanità attraverso un movimento teso a
penetrare il profondo strato di sedimentazioni che si sono sovrapposte. Vico, in tal
senso, può essere considerato come uno dei
padri fondatori di quelle scienze che studiano la cultura umana in senso antropologico, in quanto in tutta la sua opera egli si
dimostra perfettamente consapevole di voler evitare sia quell’atteggiamento ottusamente positivistico, fatto di disprezzo razionalistico per le credenze e le superstizioni dei primitivi, come se esse fossero
completamente prive di senso, sia quell’atteggiamento manifestamente illusorio, secondo il quale dietro la lettera dei miti e dei
racconti arcaici si celerebbe una sapienza
nascosta che sarebbe possibile attingere
nuovamente. Il filosofo della Scienza Nuova, che indaga le origini dell’umanità dietro la lettera delle narrazioni bibliche e
mitiche attraverso le ricostruzioni etimologiche, che si serve dell’analisi psicologica
per ricercare il senso del linguaggio elementare dei popoli primitivi, necessita di
strumenti interpretativi, stilistici, formali e
metodologici che non siano affatto desumibili da un sistema di significazione governato da regole che seguono i principi
della logica e della ragione. Per questo
Vico sembra stabilire una sorta di principio
di corrispondenza tra metodo di indagine e
oggetto di ricerca, principio secondo il quale
per la descrizione dell’infanzia dell’umanità il metodo logico e geometrico di derivazione cartesiana si dimostra del tutto
inattendibile; occorre piuttosto tutta la forza della fantasia, dell’immaginazione, della memoria, in una parola, della retorica. La
retorica non è estranea alla filosofia, piuttosto ne fa parte; poiché la retorica è l’arte
di persuadere proponendo argomenti validi, essa è veicolo di verità, tuttavia di una
verità che vive nel discorso e nel linguaggio, che ha quindi bisogno del consenso di
coloro a cui si rivolge. D’altra parte il
“parlar figurato” e metaforico, il “bel parlare in concetti”, costituisce per Vico la
forma originaria e più propria del linguaggio umano.
Tutto ciò, secondo Battistini, dà all’intera
opera vichiana il senso di una grande enciclopedia di tipo barocco e fa di Vico, secondo la definizione suggerita da Meinecke,
un perfetto Barockmensch, laddove si parla
delle notevoli risorse connettive dell’ingegno (soprattutto nella Scienza nuova) e del
valore della prudenza nel discorso civile
(soprattutto nel De ratione), laddove vengono assemblati i più diversi materiali secondo quell’ars combinatoria che procede
per accostamenti analogici, caratterizzata
da forme simboliche, allegoriche, poetiche, fantastiche, governata dalla lucida capacità dell’ingegno di accostare anche le
cose apparentemente più lontane e disparate. Una tale caratterizzazione dell’opera e
del pensiero di Vico è riscontrabile anche
nella raccolta di saggi dedicata da Ernesto
Grassi a Vico e all’umanismo. Il volume,
che raccoglie scritti della riflessione filosofica di Grassi dal 1969 ad oggi, offre l’opportunità di seguire da vicino i temi e i
termini principali del suo pensiero, che si
focalizza soprattutto intorno alla interconnessione tra l’umanesimo e il pensiero di
Vico, la retorica, da lui intesa come forma
peculiare di conoscenza filosofica, e la
riflessione di Heidegger.
Come in molte altre sue pubblicazioni,
anche in questi scritti americani Grassi
pone in relazione i due motivi fondamentali della sua lunga e interessante riflessione:
da un lato il profondo interesse e la viva
attenzione nei confronti della tradizione
dell’Umanesimo italiano, dall’altro l’incontro con la meditazione heideggeriana,
che ha profondamente influenzato l’articolazione interna del suo pensiero. Nei suoi
lavori sul pensiero rinascimentale, contrariamente alle interpretazioni dominanti,
Grassi ha sempre messo in evidenza l’importanza della parola poetica e retorica
nella letteratura di quel movimento e ha
considerato la figura della metafora non
solamente dal punto di vista strettamente
letterario, ma nella sua più generale e genuina prospettiva filosofica. E ciò gli ha
permesso di stabilire uno stretto legame
con l’universo del linguaggio poetico heideggeriano (quello dell’ultimo Heidegger),
la sua profonda meditazione sulla parola
poetica che si approssima all’Essere, malgrado - sostiene Grassi - Heidegger abbia
male interpretato, o addirittura completamente trascurato, quel movimento. Da qui
emerge anche la centralità della figura di
Vico, dal cui pensiero Grassi trae la convinzione dell’importanza della connessione tra retorica e filosofia, intese come forme originarie del conoscere umano.
Più legato a un’impostazione di tipo storico-filosofico è il lavoro di Antonio Verri,
che riprende e attualizza accanto alla figura
emblematica di Vico quella di Jean-Jacques
Rousseau. Cosa hanno oggi da dire questi
due pensatori al nostro tempo? Qual’è il
terreno di incontro tra Vico e Rousseau?
Quali sono le ragioni profonde e la validità
del loro accostamento? Tali le questioni
fondamentali che l’autore affrontaa nel suo
volume, in cui ricostruisce con rigore critico e speculativo sia i momenti salienti della
riflessione dei due pensatori, sia una ben
documentata e aggiornata storia della critica. L’attualità di Vico e Rousseau è oggi
innegabilmente fuori discussione, poiché
la loro comune e costante preoccupazione
è rivolta ad indagare e a seguire le sorti
dell’uomo, a tornare sempre con inesauribile convinzione a considerare globalmente il rapporto tra l’uomo e la storia, con
tutto ciò che tale rapporto comporta. Se da
parte di Vico l’opposizione al cartesianesimo e allo scientismo del suo tempo si pone
sul piano soprattutto teoretico, investendo
la sfera della cultura, anche se con scarsi
riflessi sul piano dell’azione, da parte sua
l’opposizione di Rousseau alle stesse correnti culturali, cui si aggiunge per motivi
storici anche una più lucida critica allo
spirito dei Lumi, si esprime in una forma
totale, che non riguarda singoli aspetti del
sapere o della conoscenza, ma investe l’intera civiltà in ogni sua componente: intellettuale, sociale, ideologica, politica, morale e così via. Diversamente da quello
vichiano, il pensiero di Rousseau ha avuto
un impatto maggiore sul piano storicopolitico, la sua connessione con gli ideali
della Rivoluzione dell’Ottantanove è evidente e diretta, avendo avuto un’immediata
influenza sul corso storico. In Vico e
Rousseau la concezione della storia, potremmo dire la loro filosofia della storia, è
tuttavia animata da un nucleo tematico
similare: il corso delle vicende storiche, sia
esso ciclico o no, segue un cammino per il
quale l’uomo e la sua piena realizzazione
sono al centro di questo processo. Entrambi ricostruiscono la storia della civiltà partendo dall’uomo e dal suo stato originario,
dalla inciviltà, dalla barbarie. Dalle sue
origini naturali l’uomo segue poi un cammino contrassegnato da leggi che ne caratterizzano le fasi di passaggio secondo un
ordine storico che per Vico riproduce fedelmente quello che presiede alle trasformazioni della mente umana: senso, fantasia e ragione, le tre età degli dei, degli eroi
e degli uomini; per Rousseau segue le fasi:
stato naturale, corruzione della civiltà e
nuovo ordine politico e sociale, ispirato
secondo i principi di ragione e libertà. G.P.
TENDENZE E DIBATTITI
René Magritte. Il capolavoro o il mistero dell'orizzonte. (raccolta Arnold Weissberger, New York)
Illustrazione da Principi di scienza nuova di G.B. Vico (Napoli 1744).
Dioscuride e uno studente. Illustrazione dal De Materia Medica di Dioscuride (1229).
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Filosofia medievale islamica
Di Islam si sente oggi molto parlare.
Oliver Leaman, con il volume An
Introduction to Medieval Islamic
Philosophy (Cambridge 1985), oggi
uscito in edizione italiana, (La filosofia
islamica medievale, Il Mulino, Bologna
1991), permette di entrare in contatto
con le tematiche fondamentali della
filosofia islamica medioevale: dalla
creazione alla conoscenza divina, dal
conflitto tra ragione e rivelazione al
problema dell’immortalità dell’anima.
L’autore delinea inoltre il panorama
dei rapporti che si intrecciano tra la
filosofia islamica e il pensiero greco e
la tradizione ebraica, articolando l’indagine in due direzioni: il riferimento
ai testi e l’analisi delle posizioni delle
figure principali, al-Fârâbi, Avicenna,
al-Ghazâli, Averroè.
«Il fine che ho perseguito in questo libro
non è stato solo di descrivere alcuni aspetti
della filosofia islamica, ma anche di suscitare interesse per il problemi, le argomentazioni e le idee filosofiche più diffusi nel
mondo islamico medioevale». Oliver
Leaman infatti, senza voler fornire un resoconto esaustivo e complessivo dell’epoca storica e dei principali esponenti del
pensiero islamico, desidera discutere alcune delle tematiche fondamentali della filosofia islamica, analizzando le argomentazioni di alcuni dei filosofi più importanti e
collegando tali argomentazioni con la tradizione greca, ottenedo così una affascinante combinazione e una duplice attenzione, una filosofica e l’altra storica.
Prendendo le mosse dall’esame di alcuni
dei principali aspetti della religione e della
storia dell’Islam, da Maometto al Corano,
dalla distinzione tra Sunniti e Sciiti a quella
tra Ash’ariti e Mu’taziliti, Leaman fornisce
le basi per affrontare il ruolo problematico
assunto dalla filosofia nell’Islam. Il musulmano infatti deve solo mantenersi aderente
al Corano, alle Tradizioni del Profeta e dei
suoi Compagni e alle opinioni dei primi
quattro Califfi. Le problematiche più astratte possono venir affrontate per mezzo
del kâlam, che è perfettamente in grado di
articolare analisi teoretiche su concetti quali potere, Dio e libertà. La filosofia invade
il terreno del kâlam, ma rivendica, grazie ai
suoi metodi e al rigore delle sue conclusioni, un maggior grado di certezza. Il volume, la cui traduzione italiana è curata da
Massimo Campanini, è articolato in tre
sezioni: un’ampia introduzione in cui
Leaman presenta il mondo islamico; una
prima parte in cui, partendo dall’attacco di
al-Ghazâli alla filosofia, vengono esaminati tre problemi fondamentali: Dio e la
creazione del mondo, l’immortalità dell’anima e l’intelletto attivo, Dio e la conoscenza dei particolari; una seconda parte in
cui si approfondisce una questione fondamentale tanto sul piano della filosofia quanto su quello della teologia islamica: un’azione è giusta perchè Dio lo dice, oppure
Dio la definisce giusta perchè essa è tale di
per se stessa? Queste problematiche permettono a Leaman di delineare il rapporto
che esiste tra ragione e rivelazione nella
filosofia islamica ed esplorarne talune implicazioni nel campo della teoria politica.
Un approccio alla filosofia islamica, quello di Leaman, che risulta essere innovativo
sotto due punti di vista: sia nella sintesi
critica delle più recenti interpretazioni della filosofia islamica, che si discostano dalle
direttrici di questo studio, sia per l’inserimento di un pensatore ebreo, Mosè
Maimonide, il cui pensiero viene rivisitato
proprio in relazione ad alcuni dei temi
principali della filosofia islamica. Il volume risulta quindi non tanto un manuale di
storia della filosofia islamica medioevale,
quanto piuttosto un testo di stimolo all’approfondimento e alla comprensione di un
ambito di pensiero e di area di civiltà ‘altri’
rispetto alla cultura occidentale. P.M.
L’economia della morale
E’ per la prima volta disponibile in
traduzione italiana la celebre opera di
Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali (a cura di Adelino
Zanini, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991), indispensabile per
la comprensione dell’opera del filosofo inglese, al di là delle ben più note
teorie economiche.
Il fatto che si siano attesi più di duecento
anni dalla prima edizione (1750) della
Theory è già di per sé indicativo di quanto
la ricezione del pensiero di Adam Smith
abbia privilegiato di questo autore gli aspetti economici; in Italia in particolare,
dove la Ricerca sulla natura e le cause
della ricchezza delle nazioni era già stata
tradotta fra il 1790 e il 1791. La reductio
economicista del sistema smithiano, che
abbraccia etica e diritto, politica ed economia, oltre che a una sua mutilazione porta
a deformare l’interpretazione delle sue singole parti, e a difficoltà nel comprenderne
i nessi e le articolazioni.
Significativa è stata la tendenza a vedere
un’evoluzione nel pensiero di Smith fra
due posizioni tra loro inconciliabili, che in
un primo tempo lo vedono, in campo etico,
teorico della simpatia (nella prima edizione della Teoria dei sentimenti morali), poi
sostenitore dell’egoismo utilitarista in campo economico (nella Ricerca sulla natura
e le cause della ricchezza delle nazioni).
Le revisioni della Teoria, importanti ma, a
questo proposito, non decisive, già sarebbero sufficienti a respingere l’ipotesi di
una contraddizione; il problema si pone,
piuttosto, nei termini di ricondurre l’utilitarismo dell’economista nel quadro delle
riflessioni del filosofo sulla natura umana.
A questo scopo la Teoria è indispensabile,
e dà la misura dello spessore filosofico
delle riflessioni di Smith, anche dal punto
di vista dei riferimenti storiografici. La
dimensione teologica presente in
Shaftesbury e Hutchenson riemerge, e viene giocata contro l’utilitarismo humeano:
virtù, giustizia, sentimenti morali non si
fondano sull’egoismo, ma su un altruismo
disinteressato, frutto della “simpatia”, posta in noi da un essere superiore.
L’analisi psicologica, che Smith sviluppa
in un’ ampia casistica, e sulla quale egli
fonda la sua etica, si inserisce dunque in
una teodicea: la simpatia è lo strumento
che l’Essere superiore ha fornito all’uomo
per raggiungere il bene e la felicità, mantenendo il più possibile all’universo la sua
armonia. La simpatia fa cogliere all’individuo se stesso nell’altrui prospettiva. Essa
consiste, in altri termini, nella capacità di
giudicare se stessi con gli occhi altrui, in
qualità di giudici imparziali, e su questa
base valutare sentimenti e azioni. Il criterio
di giudizio morale, per quanto oggettivo ed
PROSPETTIVE DI RICERCA
empirico, non è dunque arbitrario, perché
“filtrato” dalla dimensione intersoggettiva, acquisita dall’Io interiore giudicante.
Ciascuna coscienza, in linea di principio, è
per Smith in accordo con tutte le altre in
forza dell’armonia stabilita dall’Essere superiore; di fatto Smith ammette che possa
darsi contrasto fra le valutazioni delle coscienze individuali. E’ questa una crepa
nella teodicea smithiana, ed essa trapassa
dall’ambito etico a quello economico, la
cui continuità con il primo, peraltro, consiste proprio nel permanere, nell’uno e nell’altro ambito, della prospettiva teleologica.
Fra la riflessione della Teoria e le dottrine
esposte nella Ricerca non solo non c’è
discrasia, ma intercorre addirittura un rapporto di fondazione: grazie alla situazione
determinata dai “sentimenti morali” è possibile che vadano a buon fine le azioni
egoistiche. Dal punto di vista dello sviluppo concettuale nelle singole opere, l’ottimismo e la fiducia nell’ordine provvidenziale, esposti nella Teoria dei sentimenti
morali, e sui quali si fonda il laissez faire
smithiano, sono, insomma, logicamente anteriori all’utilitarismo che, secondo la Ricerca su natura e cause della ricchezza
delle nazioni, regge le azioni dell’homo
oeconomicus, le quali si inseriscono nell’armonia di quest’ordine. Se ciò non accade - e Smith vede in modo lucidamente
impietoso, esaminando i problemi della
lotta fra le classi, come ciò spesso non
accada - questo è frutto di una difficoltà
intrinseca all’impostazione propriamente
filosofica della riflessione di Smith, non a
un contrasto fra le sue teorie eticopsicologiche e quelle economiche. F.C.
Gottfried Wilhelm Leibniz. Disegno a matita di Adolph Meuzel.
Corrispondenza
tra Leibniz e Arnauld
Sebbene non sia mai stato considerato tra i “grandi” filosofi, Antoine
Arnauld è stato non di meno un pensatore che ha potentemente influenzato
lo sviluppo del pensiero nel diciasettesimo secolo. Questo è quanto Robert
C. Sleigh cerca di mettere in rilievo nel
suo saggio: Leibniz and Arnauld:
a commentary on their corrispondance (Leibniz e Arnauld: un commento alla loro corrispondenza, Yale
University Press, London, 1990). Il pensiero di Arnauld si inserisce nella riflessione seicentesca sul significato
del razionalismo, formulando brillanti
critiche sia agli argomenti di Cartesio
sulla distinzione mente-corpo, sia al
Discorso sulla metafisica (1686) di
Leibniz.
Gottfried Wilhelm Leibniz e Antoine
Arnauld si conobbero a Parigi nel 1670.
Nel 1680 Leibniz fece recapitare ad Arnauld
una copia del suo Discorso sulla metafisi-
Antoine Arnauld. Incisione di G. Edelinck
PROSPETTIVE DI RICERCA
ca. Nacque cosí un’intensa corrispondenza
tra i due, nel reciproco tentativo di migliorare le argomentazioni contenute nel Discorso. Il carteggio mostra la grande abilità
critica di Arnauld nel riuscire a cogliere
con precisione il cuore di un argomento
filosofico e indicarne i punti deboli. Egli
s’interessa soprattutto alla teoria leibniziana della sostanza individuale e alle sue
implicazioni circa l’esistenza della libertá
umana e anche di quella divina. Alle considerazioni di Arnauld tese a mostrare come
la nozione di concetto individuale implichi
di fatto una necessità fatalistica, Leibniz
replica che una decisione come quella di
Cesare di attraversare o meno il Rubicone,
non è una decisione necessaria, ma “certa”.
Dare consistenza a questa affermazione,
soprattutto rispetto alle nozioni di sostanza, predicazione, esistenza e creazione divina è stato per Leibniz un compito assai
complesso.
Robert C. Sleigh nel suo saggio non evita
nessuna delle complessità del pensiero leibniziano; attraverso una minuta analisi fornisce la possibilità di penetrare nelle varie
strategie sviluppate da Leibniz, nel tentativo di soddisfare le critiche mosse da
Arnauld. In particolare egli distingue la tesi
secondo cui ciascuna sostanza individuale
possiede essenzialmente delle proprietà dalla tesi che un individuo possiede intrinsicamente delle proprietà. Accettando la prima
tesi, Leibniz cercò di evitare la seconda.
Nell’introduzione al volume Sleigh mostra
anche un certo interesse per il dibattito sul
“come” si debba fare storia della filosofia
e quali canoni si debbano seguire, un dibattito presente in particolare nell’ambiente
filosofico anglo-americano. Egli distingue
due metodologie nella storia della filosofia, “filosofica” e “esegetica”. Pur rimanendo estraneo a ogni intento polemico,
egli si schiera per quest’ultima tendenza
metodologica, ritenendo come scopo principale della storia della filosofia quello di
spiegare in modo chiaro e dettagliato il
pensiero di un filosofo, nel massimo rispetto delle fonti. La prima tendenza è considerata da Sleigh più valutativa, spesso degenerante in una “chiusa metafisica”, anche
se qualche volta illuminante. Auspicando
una maggiore vicinanza tra esegetica storica e filosofica, egli rileva comunque negli
ultimi dieci anni nell’ambito della filosofia
anglo-americana un’attenzione più scrupolosa al testo e più sensibilità al contesto
storica. V.R.
Realtà individuali
Prima traduzione di un’opera giovanile di Alexius von Meinong, Empirismo
e nominalismo. Studi su Hume (a
cura di R. Brigatti, Ponte alle Grazie,
Firenze 1991) dove sono già presenti
alcuni spunti del successivo realismo
ontologico meinongiano. A ciò fa ri-
scontro la traduzione dell’ultima opera di Willard Van Orman Quine,
Quidditates (a cura di L. Bonatti,
Garzanti, Milano 1991) che si rifà proprio a Meinong. Le posizioni di Quine,
le loro radici nella tradizione filosofica
europea e il dibattito su di esse, sono
al centro delle opere di Michael
Dummett, Alle origini della filosofia analitica (trad. di E. Picardi,
Il Mulino, Bologna 1991), Giovanna
Borradori, Conversazioni americane (Laterza, Roma-Bari 1991) e Franco Restaino, Filosofia e postfilosofia in America (Franco Angeli,
Milano 1991).
La figura di Hume è l’approdo storico e
teorico della connessione fra empirismo e
nominalismo, che il giovane Alexius von
Meinong mette a fuoco in Empirismo e
nominalismo e che fungerà, fra l’altro, come punto di riferimento polemico nelle
successive fasi della sua riflessione, che
porteranno alla “teoria degli oggetti”. La
categoria di “oggetto”, la più generale e
fondamentale, non si identifica con quella
di fenomeno, ma ha piuttosto un valore
logico e ontologico, in quanto si riferisce
anche a oggetti mentali, quali gli enti numerici o immaginari; ciò perché ogni atto
conoscitivo consiste in un atto di intenzionamento verso un oggetto che lo trascende.
Al di là delle ulteriori partizioni meinongiane della categoria “oggetto”, gli assunti
antiempiristici e antinominalistici della
“teoria degli oggetti” sono evidenti: gli
oggetti, ovvero la realtà, non si limitano
alla classe degli oggetti dell’esperienza. Il
carattere di universalità di nomi e concetti,
ovvero i caratteri comuni e unificanti di una
classe di fenomeni rispetto a ciascun fenomeno nella sua singolarità, si fonda, infatti,
su una realtà, quella dell’”oggetto in quanto tale”, che ha un “essere così e così”, che
non deriva da un procedimento astrattivo,
come credono gli empiristi.
Proprio il ruolo e il valore dell’astrazione
sono il filo conduttore della ricostruzione
meinongiana del percorso che porta da
Locke a Hume: se il primo, a parere di
Meinong, non chiarisce l’effettiva portata
dell’astrazione, Berkeley la nega recisamente, rifiutando l’esistenza di idee generali al di fuori dei nomi che le indicano. A
dispetto di ciò, secondo Meinong, l’empirismo e il nominalismo berkeleyano non
hanno ancora raggiunto la posizione di
massima radicalità: la possibilità, ammessa da Berkeley, di un pensiero senza determinazione, lascia aperto uno spiraglio al
concettualismo. E’ invece Hume a portare
l’empirismo alle sue estreme conseguenze
nominalistiche, negando recisamente una
distinzione fra nome e idea, e sostenendo
che solo l’atto linguistico, cioè la nominazione, produce idee generali. Meinong rifiuta il nominalismo degli empiristi attaccando proprio questa posizione humeana;
la “teoria degli oggetti” è il naturale sviluppo di questo rifiuto e di questo attacco.
Eppure, stando a Willard Van Orman
Quine, il nominalismo di Hume è meno
radicale di quanto creda Meinong, nella
misura in cui mantiene il “dogma” della
distinzione fra proposizioni analitiche e
proposizioni sintetiche, cioè fra proposizioni che esprimono soluzioni dipendenti
solo da idee, e altre che presuppongono
invece il ricorso all’esperienza. La distinzione fra proposizioni analitiche e sintetiche, dunque, fa anzitutto appello a un’istanza esperienziale che Quine giudica dogmatica, in quanto presuppone la riduzione
delle strutture logiche a un dato, l’esperienza, ritenuto unico e ultimativo sul piano
ontologico. In questo modo si fa torto alla
indeterminatezza del riferimento della struttura semantica, che non può rifarsi a un’istanza estranea a essa. Quine è sostenitore
di una visione “olistica” del significato,
secondo cui la conoscenza umana è totalmente interna agli atti linguistici in cui si
esprime, e solo in via subordinata viene a
contatto con una “realtà di esperienza”;
esiste perciò la possibilità, a parere di Quine,
di costruire “ontologie alternative”.
La distinzione fra proposizioni analitiche e
sintetiche ripropone, dunque, a dispetto di
Hume, un’impostazione nient’affatto nominalistica, con una realtà ontologica universale e dei concetti che la esprimono. A
dar ragione a Quine, peraltro, interviene
anche il fatto che dall’attacco realista di
Meinong si salva, in Hume, proprio la
distinzione fra proposizioni analitiche e
sintetiche. Quella di Quine intende dunque
porsi come una radicalizzazione del nominalismo empirista, con un’impostazione di
relativismo ontologico che non lascia spazio, sul piano ontologico stesso, a una fondazione della scienza. Di questa, a parere
del pragmatista Quine, il fondamento e la
giustificazione devono essere cercati altrove: nella sua utilità come mezzo di comprensione e trasformazione della realtà.
Una posizione, quella di Quine, che, soprattutto nelle conseguenze esplicitate da
alcuni seguaci - si pensi a Donald Davidson
- rasenta, dal punto di vista gnoseologico, il
solipsismo: il problema linguistico finisce
per riguardare un atto di comprensione
privato. La soluzione adottata per uscire da
questo impasse è la presupposizione di
un’uniformità della comprensione nei soggetti che comunicano, basata su una supposta universalità, fondata sulla funzionalità
pragmatica dei criteri semantici di ciascun
parlante.
Una soluzione debole questa, a parere di
Michael Dummett; la presupposizione di
questa universalità resta una petitio principii, che tenta di spiegare la riuscita dell’atto
linguistico con la pratica dell’atto linguistico stesso. Quello del rapporto fra linguaggio e realtà è da sempre, del resto, un
problema capitale della filosofia analitica e
oggi appare nel panorama statunitense come il tema discriminante tra essa e la “filosofia continentale”, di ispirazione specialmente derridiana, come emerge dall’analisi di Franco Restaino e dalla raccolta di
PROSPETTIVE DI RICERCA
colloqui (fra gli altri, con gli stessi Quine e
Davidson, nonché con Hilary Putnam) di
Giovanna Borradori. Nel senso comune
della cultura statunitense la riflessione dei
derridiani afferisce all’area della critica
letteraria più che a quella della “filosofia
professionale”; la loro impostazione, di cui
Richard Rorty è l’esponente più illustre, è
“post-analitica” proprio per il fatto che al
problema del rapporto fra linguaggio e
realtà sostituisce quello del rapporto fra
testo e testo, e la realtà viene, per così dire,
“respinta” ai confini dell’indagine. Questo
offre però il destro per due ordini di considerazioni: anzitutto che la distinzione tra la
filosofia “analitica” e quella “post-analitica” è meno netta di quanto risulti dalle
“mappe di appartenenza” dei singoli pensatori. In secondo luogo, viene così verificata la tesi di Dummett, relativa all’erroneità di considerare quelli della filosofia
analitica problemi propri della tradizione
filosofica americana: al contrario, essi hanno la loro radice, come dimostra la linea di
continuità fra Meinong, Frege e Russel,
nelle ricerche logico-epistemologiche europee della seconda metà dell’Ottocento, e
nel fecondo dibattito con le odierne correnti dell’ermeneutica. F.C.
Ramsey e Wittgenstein
E’ recente la nascita di un certo interesse per il pensiero di Frank Plumpton
Ramsey, tra i primi ad apprezzare ed
esporre il Tractatus logicus-phil o s o p h i c u s (1921) di Ludwig
Wittgenstein, mentre avanzò critiche
di fondo ai Principia mathematica
(1910-13) di A. N. Whitehead e di B.
Russell. Si segnala la pubblicazione di
due suoi saggi: Philosophical papers (Scritti filosofici, a cura di D. H.
Mellor, Cambridge University Press,
New York 1990) e On truth: original manuscript materials (19271929) from the Ramsey collec-tion at the University of
Pittsburg (Sul vero: materiale manoscritto originale (1927-1929), proveniente dalla raccolta degli scritti di
Ramsey all’Università di Pittsburg, a
cura di Nicholas Rescher e Ulrich
Mayer, Kluwer, Dordrecht 1990 ), e di
un saggio sul suo pensiero: The
philosophy of F. P. Ramsey (La
filosofia di F.P. Ramsey, University
Press, Cambridge 1990).
Nonostante la morte prematura, avvenuta a
ventisette anni, Frank Plumpton Ramsey
(1903-1930) ha lasciato parecchie idee profondamente innovative nei suoi lavori, spaziando dalla filosofia alla logica, dalla matematica pura alla teoria delle probabilità,
dalla teoria delle decisioni all’economia.
Studiò e insegnò a Cambridge e si dedicò
brillantemente a molte discipline, ponen-
do, per esempio, in logica la distinzione,
ormai classica, tra paradossi logici e paradossi semantici e mostrando come i primi si
possano eliminare senza far ricorso alla
complessa teoria degli ordini e all’assioma
di riducibilità di Russell. Per quanto riguarda la filosofia del linguaggio, egli invece si
adoprò per eliminare il riferimento a entità
teoriche all’interno delle teorie scientifiche, proponendo così un indagine di tipo
neo-empirista. Propose anche una teoria
soggettiva della probabilità, che cercava di
tener presente la credenza parziale di un
individuo in presenza di differenti opzioni.
Quasi tutti i suoi scritti sono stati raccolti
postumi da Richard Braithwaite in The
foundations of mathematics and other logical essays (1931). Nel 1922 apparve la
traduzione inglese di Ramsey del Tractatus
logicus-philosophicus di Ludwig
Wittgenstein e nell’anno seguente venne
pubblicata una sua lunga nota critica al
Tractatus, che è anche al sua prima sostanziale pubblicazione di filosofia. Quell’estate
Wittgenstein invitò Ramsey in Austria, ed
insieme iniziarono a lavorare per migliorare e chiarire i passi e i concetti più ambigui
del Tractatus, modifiche apparse poi nella
seconda edizione. In queste loro discussioni, ciò che entrambi tenevano sempre ben
presente erano le teorie dei Principia mathematica di Whitehead. L’obiettivo che
quest’opera si proponeva di ridurre passo
dopo passo tutta la matematica alla logica
pura, venne di fatto proseguito da
Wittgenstein, con la sua indagine sul vero
logico, e da Ramsey che cercò di rendere
attuabile questo disegno attraverso una correzione dell’architettura difettosa dei Principia. La proposta di Ramsey in tal senso
apparve in Proceedings of the London
Mathematical Society (1925) e venne accettata come canonica, anche se non fu
facile difendere il suo logicismo contro il
formalismo di David Hilbert e l’intuizionismo di L.E.J. Brouwer.
Pur lavorando a un medesimo progetto,
Wittgenstein e Ramsey si sono trovati ad
analizzare gli stessi problemi da punti di
vista indipendenti ed opposti. Per esempio
il paradosso di Russell circa la proprietà
della non-auto-applicabilità, è risolto da
Ramsey distinguendo i paradossi logici da
quelli semantici, mentre Wittgenstein afferma che tali contraddizioni non devono
preoccupare, dato che trovandosi di fronte
a tali situazioni non si devono tirare delle
conclusioni, ma trasformarle semplicemente in regole.
Singolare è l’influenza delle ricerche di
Ramsey sulla probabilità come modo di
giudizio, riprese parzialmente successivamente da von Neumann e Morgenstern nel
libro Theory of games and economic behavior (1944) e da L.J Savage in The foundations of statistics (1954). Questa stessa
teoria fu anche sviluppata dal matematico
italiano Bruno de Finetti nello stesso periodo, ed ora fa parte della teoria delle decisioni impiegata in discipline professionali come la medicina.
La Ramsey Collection esistente all’Università di Pittsburgh contiene ancora interessanti saggi non pubblicati. A testimonianza dell’interesse che il suo pensiero sta
suscitando a livello internazionale, è stato
reso noto che i saggi filosofici non ancora
pubblicati appariranno nel prossimo anno
in un volume che sarà pubblicato a Bologna
a cura di Maria Carla Galavotti, mentre
l’economista Margaret Paul, sorella di
Ramsey, sta preparando un’importante biografia sul fratello. V.R.
Sulla banalità del male
Il riaccendersi dell’interesse, in Italia,
attorno al pensiero di Hannah Arendt
è un fatto ormai acquisito. La traduzione in lingua francese di tre testi
della pensatrice ebraica conferma una
tendenza che vuole sollecitare una
nuova riflessione sulle categorie della
filosofia politica. I testi in oggetto sono: Le concept d’amour chez
Augustin (Il concetto di amore in
Agostino, Ed. Deux Temps Tierce, Parigi 1991), testo di cui è prevista la
prossima pubblicazione in lingua italiana a cura di Laura Boella), Auschwitz
et Jerusalem (Ed. Deux temps Tierce,
Parigi 1991) e H e i c h m a n n
à
Jerusalem. Rapport sur la banalit é d u ma l (Heichmann a
Gerusalemme. Rapporto sulla banalità del male, Gallimard, Parigi 1991).
Di carattere più schiettamente teorico, Le
concept d’amour chez Augustin, pubblicato in Germania nel 1929, costituisce la tesi
di laurea di Hannah Arendt negli anni che
la vedono intellettualmente e sentimentalmente legata a Martin Heidegger. Il ruolo
del desiderio, il rapporto con il prossimo e
con Dio, la funzione dell’amore nella vita
sociale, sono i temi affrontati in questo
studio che per certi versi sembrano annunciare i percorsi di riflessione seguiti più
tardi da Lévinas.
Auschwitz et Jerusalem e Eichmann à
Jerusalem rappresentano la raccolta in volume degli articoli usciti rispettivamente
nell’”Aufbau”, giornale in lingua tedesca
pubblicato negli U.S.A, e nel “New Yorker”.
Si tratta di scritti di carattere “militante”,
nel significato letterale del termine, essendo nell’insieme animati dall’intento di rendere possibile una applicazione della teoria
politica sul terreno della realtà storica. In
conformità con l’idea che il giudizio politico ha una originaria determinazione etica,
si tratta per la Arendt di comprendere,
nell’orizzonte della storia, come sia stato
possibile il totalitarismo nazista, quanto la
possibilità dell’Olocausto diventare un fatto e un atto ordinario nelle menti di tanti
mediocri burocrati. Riflettendo sulla “banalità del male”, Hannah Arendt non cerca
affatto di banalizzarlo, come sovente le è
PROSPETTIVE DI RICERCA
stato rimproverato; più forte dell’offesa
rimane l’esigenza di comprendere. Come
la miope normalità di Eichmann, questo
funzionario dello sterminio, possa arrivare
a concepire ed a organizzare l’abominio,
trova forse una prima risposta nell’affermazione dell’ufficiale nazista: «il linguaggio amministrativo è il solo che conosca».
Misurarsi con la terrificante opacità della
contingenza, interrogarla con gli strumenti
di un pensiero che rifiuta la sicurezza di un
modulo interpretativo invariante, mantenere ferma l’esigenza di lucidità, è ciò che
lega questi testi con l’opera maggiore della
Arendt. E.N.
Il piacere della vita
L’attenzione che si avverte nei confronti del pensiero di Marsilio Ficino,
testimoniato dalla prima traduzione
italiana, del Liber de voluptate,
(Del piacere, a cura di Piero Cigada, 2
voll., Philobyblon, Milano 1991), dalla
traduzione del De vita (a cura di
Albano Biondi e Giuliano Pisani Edizioni biblioteca dell’immagine,
Pordenone 1991) e dall’edizione critica del primo libro dell’Epistolarum
familiarum, Lettere I (a cura di
Sebastiano Gentile, Olschki, Firenze
1991), indica un interesse, non solo
filosofico, per una prospettiva squisitamente rinascimentale, che coniuga
riflessione metafisica e considerazioni su aspetti elementari della vita quotidiana.
Che la vita coincida con la ricerca speculativa è un dato di fatto assodato per un gran
numero di filosofi; meno scontato è, invece, che la ricerca speculativa voglia essere
un viatico per la vita quotidiana, un tentativo di spiegazione non solo del suo senso
profondo, ontologico o escatologico, ma
anche dei singoli fatti, apparentemente isolati e casuali nella loro caducità. Lo sguardo del filosofo sa invece trovare, per essi, il
filo conduttore che li inscrive nel grande
ordine del cosmo, la cui chiave di comprensione è data a Marsilio Ficino da Platone.
Per Ficino, però, quella platonica è una
prospettiva appartenente a una dimensione
sapienziale, sedimentata in un corpus di
testi e autori ampio e variegato, più che
circoscrittaalla dottrina del filosofo di Atene. Così nel platonismo ficiniano Platone è
il punto di arrivo di una sapienza molto più
antica, presente nei poeti teologici, nell’orfismo, nel pitagorismo e nell’ermetismo;
se la traduzione latina dei dialoghi platonici è uno dei lasciti spirituali più importanti
fra quelli che Ficino ha consegnato alla
cultura occidentale, va sottolineato che es-
sa è solo il momento di un progetto più
ampio, che emerge dal primo dei dodici
libri dell’Epistolario che contengono, fra
l’altro, brevi trattati filosofici. Attraverso il
tentativo di porre su basi nuove, rispetto
alla Scolastica, l’unione tra religione e speculazione filosofica, il platonismo di Ficino
traccia le linee fondamentali del platonismo rinascimentale, che si impone a partire
dal tardo Quattrocento: l’unità del cosmo e
lo sfondo teologico che la giustifica, il
carattere animato dell’universo, garantito
dall’anima in posizione di copula mundi,
grado mediano fra i cinque (corpo, qualità,
anima, angelo, Dio) in cui si ripartisce la
totalità dell’Essere.
Da questi assunti Ficino deriva la convinzione relativa all’esistenza di un’armonia
nell’universo, governato da una ragione di
stampo pitagorico, e alla connessione di
ciascuna delle sue parti, dove il moto degli
astri è legato in modo biunivoco, al corso
degli eventi della vita dell’uomo, il quale a
sua volta, proprio per questo, può influire
sull’andamento generale del cosmo mediante pratiche magiche. Il De vita evidenzia alcuni di questi aspetti, e la rivalutazione “scientifica” dell’astrologia qui compiuta si svolge attraverso la commistione
fra un impianto filosofico a cui appartengono Platone, Agostino, Cusano, e prescrizioni relative alla cura del corpo e della
psiche, dove le nozioni di medicina empi-
Manoscritto di astronomia del XIV secolo (St. Nicolaus-Hospital, Berukastel-Kues an der Mosel)
PROSPETTIVE DI RICERCA
rica si mescolano a quelle di una psicologia
che affonda le sue radici nell’astrologia.
Un ancor più diretto e evidente riflettersi
dei presupposti filosofici sulle prescrizioni
pratiche, relative questa volta al campo
etico, è presente ne Il libro del piacere, che
espone le giustificazioni filosofiche, valide
non solo per Ficino, dell’ideale di vita
ascetico: esiste, oltre a una gerarchia fra i
piaceri corporei - soggetti all’opinione e al
relativismo culturale e individuale - una
loro netta distinzione da quelli dell’anima,
che sono scientifici, cioè “oggettivi”, in
quanto validi per chiunque abbia un’anima
e una ragione. Tale distinzione si fonda sul
fatto che l’uomo ha il dominio dei piaceri
dell’anima ed è invece schiavo nei confronti di quelli del corpo. L’autonomia come dominio del proprio io interiore è quindi il fine dell’ideale ascetico che, per questa
strada, vuole però essere dominio - nell’indipendenza da esso - di ciò che è esterno
all’io.
Se è facile sorridere degli esiti più ingenui
di tale applicazione di presupposti filosofici ai momenti della vita quotidiana, dal
punto di vista culturale vale la pena riflettere su quanto, dell’odierna produzione editoriale relativa ai consigli sul “vivere
bene”, non abbia a suo fondamento presupposti ideologici di carattere generale, che
trascendono la banale ovvietà dei consigli
stessi; presupposti che, considerati dal punto
di vista più specificamente filosofico, sono
spesso molto meno giustificabili, una volta
evidenziati, di quelli del platonico Ficino.
F.C.
Scritti e carteggi di Kant
Si segnalava nel numero 3 di questa
rivista la pubblicazione di una scelta di
lettere di Immanuel Kant curata da O.
Meo (Epistolario filosofico
1761-1880). Recentissima è la traduzione francese dell’intero epistolario kantiano: Immanuel Kant,
Correspondance (trad. franc. di M.C.
Challiol, M. Halimi, V. Séroussi, N.
Aumenier, M.B. Delaunay e M.
Marcuzzi, Gallimard, Parigi 1991), tratto dalla classica edizione tedesca
dell’Akademieausgabe. In ambito italiano si segnala con il titolo: Scritti
sul criticismo (Laterza, RomaBari 1991) la pubblicazione di alcuni
importanti saggi del filosofo di Königsberg a cura di Giuseppe De Flaviis.
Benché l’attività epistolare non fosse particolarmente coltivata da Immanuel Kant,
la cui flemma era tale che egli poteva
lasciar trascorrere anche un anno prima di
rispondere ai suoi, meno negligenti, corrispondenti, rimane comunque impressionante la lista dei personaggi con i quali il
filosofo di Könisberg intratteneva scambi
epistolari. Tolte le lettere ai familiari e
quelle di carattere più strettamente privato,
tra i corrispondenti di Kant troviamo i nomi
di matematici come Lambert, Bernoulli,
Eulero, di scrittori come Wieland e Schiller,
Lavater, e naturalmente di filosofi: Salomon
Maimon, Fichte, Herder, Jacobi. E’ con
costoro che Kant intrattiene una spesso
occasionale, ma rigorosa conversazione filosofica, tendente a chiarire e a sviluppare
le trame del proprio progetto critico; ne
troviamo il disegno in una lettera del 1766
a Mendelssohn, dove viene prospettata la
possibiltà di una metafisica rinnovata, corretta dallo scetticismo e regolata dall’«esperienza che contiene i dati necessari alla
ragione».
Le lettere, che accompagnano cronologicamente la stesura dell’opera maggiore,
diventano dei preziosi commentari della
stessa e, grazie anche al preciso apparato
critico, permettono di seguire la genesi e la
diffusione del pensiero kantiano all’interno dell’Illuminismo tedesco. La preoccupazione di Kant di essere correttamente
inteso e valutato, come pure la disponibilità ad accettare i suggerimenti e le critiche
per rivedere gli elementi del proprio sistema sono particolarmente evidenti nelle missive inviate ai suoi discepoli Schultz e
Herz. E’ con il convincimento del rigore
del proprio lavoro, unito ad una naturale
disponibilità che Kant scrive a Herz: «Non
considero le obiezioni razionali nell’unica
prospettiva di una loro confutazione, continuo invece a riflettere su di esse e ad
esaminarle costantemente accordando loro
il diritto di farmi recedere dalle opinioni
precedentemente stabilite e sostenute».
Kant è cosciente della difficoltà di risolvere i problemi insiti nel suo progetto di un
sistema metafisico rinnovato. Se tra la stesura della Critica della Ragion Pura (1780)
e la sua pubblicazione intercorrono quasi
dieci anni è perchè il filosofo riflette sulle
contraddizioni che necessariamente sorgono all’interno delle sue tesi metafisiche,
per concludere che le antinomie sono intrinseche alla natura stessa della ragion
pura. Il crescente interesse e il consenso
sorto attorno alla sua opera lo convinceranno della solidità del progetto.
Per l’ormai famoso professore di Königsberg inizia un periodo di intensa attività
pubblica che lo vede protagonista dei dibattiti intellettuali in seno all’Aufklärung.
Gli articoli, le conferenze, le occasioni in
cui viene sollecitato a portare il suo autorevole contributo sono sempre più numerosi.
Alcuni dei più importanti scritti di questo
periodo che va dal 1784 al 1796, nel quale
Kant si trova impegnato ad esporre e a
precisare i temi del proprio sistema, sono
riportati ora nella recente raccolta critica:
Scritti sul Criticismo. Si tratta, per la maggior parte, di saggi che hanno già conosciuto l’attenzione del pubblico degli studiosi
di Kant: contributi importanti per il chiarimento di temi svariatissimi, a volte soltanto accennati nell’opera maggiore. Fa eccezione l’ampio scritto indirizzato contro le
tesi leibniziane di Eberhard, intitolato: Su
una scoperta secondo la quale ogni nuova
critica della ragion pura sarebbe resa superflua da una critica più antica, finora
mai tradotto. Si scopre un Kant vivacemente battagliero nel difendere le proprie tesi,
arrivando a sostenere apertamente la funzione vitale della polemica filosofica: «Questa tendenza, o piuttosto quest’impulso,
dovrebbe essere riguardato come una delle
tante disposizioni benefiche e sagge della
natura, la quale se ne serve per tentar di
distogliere l’uomo dalla grande infelicità
causata dalla decomposisizione del suo corpo vivente». Mentre si fanno più pressanti
le preoccupazioni per la salute, di cui abbiamo l’eco frequente nelle lettere del periodo, è con onesta soddisfazione che Kant
guarda retrospettivamente al proprio lavoro: «Non ho mai, in nessun momento, cercato di costruire delle illusioni, né ho provato a scovare delle ragioni speciose per
rappezzare il mio sistema, ho preferito lasciare passare degli anni per arrivare ad una
una comprensione perfetta che potesse soddisfarmi pienamente». Se c’è orgoglio intellettuale in questa affermazione, esso è
temperato dall’interrogativo sollevato in
Che cosa significa orientarsi nel pensare?
«Quanto penseremmo, e quanto giustamente, se non pensassimo, per così dire, in
comunione con altri, ai quali comunichiamo i nostri pensieri, ricevendone i loro?».
In primo luogo la libertà di pensare - dirà
Kant - è libertà di esprimersi pubblicamente; la comunicazione non è un esito, ma la
condizione necessaria del pensiero. E.N.
Pensare al Medio Evo
Già nel titolo dell’importante saggio
di Alain de Libera: Penser au Moyen
Age (Seuil, Parigi 1991), è subito evidente un duplice intento: ricostruire il
significato che aveva il pensare nell’universo medioevale e interrogarsi su
cosa significhi oggi pensare alla tradizione culturale e religiosa del medioevo. Un’esplorazione storica che è dunque un invito a riconsiderare un momento capitale nella storia del pensiero, quello che vede la nascita degli
“intellettuali” al tornante tra il Tredicesimo e il Quattordicesimo secolo.
Per quest’opera di ricostruzione dell’ideale
filosofico di una nuova classe di intellettuali, nata attorno alle università, Alain De
Libera, da storico delle idee, procede ad
una riesamina dell’aristotelismo in Occidente, rivalutando quella tradizione scolastica che, nei registri culturali e scolastici di
oggi, ha la sarcastica collocazione che gli
aveva dato Rabelais: «Tra il 1480 e il 1550,
in effetti - sostiene De Libera - sotto il
duplice patronato dell’eleganza letteraria e
della semplicità della fede, sono stati definitivamente demoliti dieci secoli di sforzi
intellettuali». La rilettura critica dello stu-
PROSPETTIVE DI RICERCA
dioso francese mostra come la storia dell’aristotelismo sia in larga misura la storia di
un “prestito” culturale che l’Occidente cristiano deve all’Islam, nella cui tradizione
filosofica il pensiero greco ed ellenistico
avevano trovato una prima elaborazione. Il
modello di una filosofia capace di tradursi
in discorso “volgare”, la trasformazione
del sapiente in docente, sono eredità che i
filosofi universitari ricevono dalla cultura
araba, come del resto la figura stessa del
filosofo contemplativo è ricalcata su quelle
di Avicenna, Farabi e Ghazali. In effetti,
attraverso l’insegnamento degli intellettuali, dei filosofi di professione, la filosofia
paradossalmente si deprofessionalizza, comunica ed entra a far parte di altri linguaggi: religiosi, poetici e politici.
De Libera ne misura gli effetti su tre terreni:
quello della morale sessuale, dell’ideale di
felicità intellettuale, rappresentato da Dante, e quello dell’ascesi, illustrato da Meister
Eckhart. Entrambe le personalità rappresentano l’emergere cosciente di una nuova
forma di nobiltà, quella intellettuale. Se la
figura di Dante, “intellettuale totale” e massimo esponente dell’aristotelismo radicale, non è una novità, originale è il ruolo che
De Libera assegna al pensiero di Meister
Eckhart, a cui viene rifiutato l’epiteto di
mistico: il suo ideale di ascesi conduce
infatti al disinteresse e alla libertà dello
spirito che riconciliano ragione e rivelazione. Nel campo della morale sessuale, l’emergenza di un sistema coerente e di una
compiuta visione filosofica dell’uomo è
non soltanto rinvenibile attraverso i documenti lasciati dalla censura, ma - è questa la
tesi paradossale dell’autore - esse sono
promosse dalla opera stessa del censore
che, condannando, forza le tesi a divenire
esplicite e a scoprire il loro progetto filosofico: «Per noi la censura è un operatore
storico. E’ questa che trasforma un enunciato in tesi». Per molti versi sono tesi
provocatorie, nel senso migliore, quello di
aprire il dibattito sul significato che la
cultura medievale conserva per l’attualità.
I motivi di riflessione sono molti. A fronte
del riemergere preoccupante degli integralismi religiosi e della violenta opposizione
tra le culture, diventa importante rinnovare
la conoscenza dei legami e delle comuni
eredità di Occidente ed Islam. In questa
prospettiva, riflettere sulla presenza e il
significato del religioso all’interno della
comunità, accedere alle sue forme di discorso e di razionalità, questo - ribadisce
De Libera - è possibile tornando innanzittutto ad interrogare il pensiero medievale.
E.N.
Portale (part.) 1170 circa. Arles, Saint - Trophine.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Sedicente immagine del giovane Spinoza (anonimo, 1660 circa).
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Spinoza e l’idealismo tedesco
Si è svolto a Hannover il 2 e 3 novembre 1991 il primo convegno della
Spinoza-Gesellschaft, dedicato al tema: Spinoza e l’idealismo tedesco, in cui sono stati discussi, suddivisi in sezioni specifiche, i rapporti di
Spinoza con Kant, Fichte, Schelling e
Hegel.
Nel secolo dell’archiviazione, come è stato
chiamato il nostro, in tempi di edizioni
storico-critiche dei classici e di rinuncia
alle grandi teorizzazioni a favore di un
atteggiamento ermeneutico, non è più necessario prendere partito a favore di un
pensatore per aderire ad una società filosofica che porta il suo nome, o per riunirsi a
convegno sotto le sue bandiere. E’ sufficiente disporre del senso della filologia,
unito ad un interesse storico-filosofico. E’
stato questo il clima in cui si è svolto il
convegno di Hannover, che ha tenuto fede
alle sue promesse ed è stato una riunione,
poco interessata al vasto pubblico, di specialisti, che non hanno cercato di evitare lo
specialismo. Questioni di dettaglio, precisazioni meticolose, divagazioni hanno caratterizzato il convegno, ed in particolare le
discussioni. Quando Reiner Wiehl
(Heidelberg), nella sua relazione di apertura, ha sviluppato l’idea di un triplice significato del concetto kantiano di casualità, ha
messo certo in luce l’originalità di Kant
che, a differenza dei suoi predecessori, ha
colto nel determinismo filosofico di Spinoza
non il rapporto della necessità con la libertà, bensì con la casualità. Tuttavia la relazione di Wiehl non toccava qualcosa di
veramente fondamentale, ma piuttosto un
aspetto particolare, un puro “problema sistematico”. Questa impostazione veniva
confermata e rafforzata dall’intervento di
Marco Ivaldo (Napoli), dedicato a Fichte.
Questi, accusando Spinoza di dogmatismo,
gli ha tuttavia concesso una “metafisica
reale”, sentendo però la mancanza di una
parallela “giustificazione gnoseologica” e
indicando l’ulteriore carenza di una mediazione tra la sostanza Una ed assoluta e la
molteplicità degli attributi.
Ma con questo è stato davvero liquidato
Spinoza? Evidentemente no, ed attorno a
questa acutizzazione polemica del proble-
ma si sono orientati tutti gli interventi, a
partire dai saluti al convegno di Manfred
Walther. Questi, presidente della SpinozaGesellschaft, parlando delle difficoltà incontrate in Germania dalla lettura di
Spinoza, ha affermato che «nessun tedesco
ha mai saputo iniziare dallo Spinoza autentico». Se si aggiunge che la risalita oltre
Kant andrebbe intesa, secondo un giudizio
accademico corrente, come una ricaduta in
qualcosa che è superato, appare allora anche la dissimulata forza esplosiva dell’argomento del convegno. La congiunzione
presente nel titolo è in realtà una disgiunzione, quell’aut-aut di cui già gli innovatori idealisti erano anche troppo consapevoli
e che si era vestito dei panni di una secca
alternativa: se il nostro sistema non fosse la
verità, non resterebbe altro che lo spinozismo. Da una contrapposizione di questo
tipo si è tenuta del tutto lontana la suddivisione organizzativa delle relazioni. Alla
critica di Spinoza ha fatto seguito la critica
della critica.
La separazione corrente tra il sobrio interesse storico e l’attualizzazione impegnata
si è mostrata, in questa circostanza, un’illusione. Peter Rohs (Münster), preoccupato nel suo intervento di sostenere Spinoza
contro Kant, ha replicato aspramente all’idea emersa nella discussione che la filosofia seria vada praticata solo come storia
della filosofia, insistendo, con gran parte
del pubblico schierato dalla sua parte, sul
fatto che bisogna sforzarsi di percepire i
filosofi del passato come partner di un
dialogo vivente.
Fino al 1933 la Germania fu all’avanguardia negli studi su Spinoza. L’eliminazione
degli ebrei e della loro cultura venne vissuta anche dal punto di vista degli studi
spinoziani come un sacrificio, senza che
dopo il 1945 si ritornasse però agli antichi
risultati. Diversamente in Francia e in Italia, dove si può invece parlare di una rinascita della ricerca dedicata a Spinoza, di cui
hanno dato conto Marco Ivaldo e Pierre
Macherey (Parigi).
Macherey ha colto l’occasione per discutere, attraverso Hegel, alcune incomprensioni di Spinoza. Contro il punto di vista del
compimento spinoziano del cartesianismo
egli ha fatto valere il concetto di “dualista
inconseguente”. In generale, nelle differenti appropriazioni da parte della filosofia
tedesca si sarebbe trattato più di nuove
creazioni di pensiero che di una ricezione
di Spinoza - con l’effetto di uno snaturamento, nel quale un esperto stenta a riconoscere il proprio Spinoza.
Klaus Hammacher (Aachen) ha affrontato il tema del rapporto tra Fichte e Spinoza,
collegando la teoria dell’intersoggettività
di Fichte con la dottrina degli affetti di
Spinoza con l’intento di cogliere un punto
nevralgico nel pensiero filosofico: “l’obbligazione alla prassi”. La questione, posta
da Hammacher attraverso la discussione
degli aspetti insoddisfacenti del concetto
di inibizione, suona all’incirca così: in che
modo la moralità può diventare realmente
obbligante? Ciò che possiamo imparare da
Fichte è che l’inibizione si presenta anzitutto laddove incontriamo le esigenze di un
altro. In Spinoza la figura dell’altro è assente, tuttavia essa potrebbe spiegare la
sua deduzione degli “affetti della ragione”,
così come potrebbe chiarire la decisione di
agire moralmente anche in assenza del
concetto di libertà del volere, il che toglierebbe il suo carattere paradossale alla coesistenza in Spinoza di una dottrina della
libertà individuale e di un determinismo
filosofico.
L’intervento di Hammacher è stato forse
l’unico da cui è risultato che l’analisi e la
ricerca di chiarimenti specialistici non esauriscono i motivi che hanno condotto
alla fondazione di una SpinozaGesellschaft. Laddove si discute l’importanza pratica di una filosofia, si è fondamentalmente certi della sua “modernità”,
come ha implicitamente confermato
Manfred Walther rinviando alle posizioni del socio-psicologo americano Fritz
Heider. Questi intende le proprie ricerche
circa i principi secondo cui ci attribuiamo
reciprocamente colpa e responsabilità come uno sviluppo genuino di quanto è stato
iniziato da Spinoza. L’attrazione permanente esercitata da Spinoza sarebbe giustificata proprio, secondo Walther, dalla connessione reperibile nel suo pensiero tra
fondazione filosofica e riflessione sulla
società, sul diritto e sulla politica. Questo
lascia ben sperare per il futuro a tutti coloro
che, pur privi di un’appartenenza scientifica di scuola, si sentono da sempre toccati
dalla «strana metafisica» del «famigerato
ebreo» (così si esprimeva Leibniz dopo
CONVEGNI E SEMINARI
avergli fatto visita all’Aja). In ogni caso, il
prossimo congresso internazionale spinoziano si terrà nel settembre 1992 a Lipsia:
durante la riunione dei partecipanti al convegno di Hannover questo è sembrato un
obbligo del momento: dei 160 iscritti a
questo primo incontro, solo un terzo proveniva dalle regioni della ex-DDR. M.M.
La filosofia come sapere storico
La Filosofia come sapere storico è stato il tema di un convegno
tenutosi il 12 e 13 ottobre 1990 presso
la Ruhr-Universität di Bochum, durante il quale filosofi e storici hanno discusso il problema delle premesse filosofiche e delle funzioni della storia
della filosofia.
Per quanto riguarda le premesse con cui
deve fare i conti chi scrive la storia della
filosofia, è stato anzitutto discusso il problema se esse vadano pensate come qualcosa che è in linea di principio invariabile,
come un fondamento trascendentale, antropologico o sistematico, o piuttosto se
non siano esse stesse qualcosa di storico, se
non siano dunque condizioni mutabili, tanto dal lato delle filosofie del passato, quanto da quello dell’attuale orientamento degli
storici della filosofia. Per Hans Michael
Baumgartner (Bonn) premesse antropologiche e trascendentali sono implicite in
ogni storia della filosofia che - dopo Hegel
- non intenda assicurarsi in maniera speculativa della propria adeguatezza: così, ad
esempio, l’idea dell’umanità come principio trascendentale della storiografia in generale; l’orientamento in base alla costellazione antropologica di individuo, natura e
società, che viene sempre interpretato dal
punto di vista di una specifica cultura;
l’attenzione per le condizioni socioculturali delle filosofie del passato e per la loro
struttura interna argomentativa e concettuale; il concetto dei “grandi filosofi”
(Jaspers), che hanno progettato qualcosa di
nuovo, significativo e suscettibile di sviluppare nuovi effetti; infine, quelle determinazioni che vengono da noi sviluppate
come idee regolative, ma che non possiamo né concepire compiutamente, né dissolvere del tutto, in quanto la storia della
filosofia si presenta sempre come qualcosa
di plurale e viene sempre di nuovo riscritta.
Poiché non è possibile giungere attraverso
la ricerca storica pura ad una decisione
circa le pretese di verità sollevate dalle
filosofie del passato, e dato che il conflitto
tra teorie e proposte di soluzione dei conflitti ci obbliga a determinare la validità
delle teorie - così Karl Acham (Graz) - le
filosofie del passato devono venire anche
messe a confronto (accanto alla loro considerazione storica) con sistemi assiomatici
di riferimento.
Nel suo intervento Jörn Rüsen (Bielefeld)
ha preso le mosse dal carattere narrativo di
ogni storiografia e dalla constatazione della necessità di rendere storiche le narrazioni attraverso determinate modalità della
costituzione del senso. Contro la tendenza
post-moderna a rendere coerente, attraverso procedimenti retorici, la costituzione
del senso delle narrazioni, Rüsen ha fatto
valere l’esigenza di razionalità sollevata in
generale dalla storiografia a partire dal
XVIII secolo, nella misura in cui essa intende sviluppare le proprie interpretazioni
in maniera scientifica, cioè attraverso un
procedimento regolato metodicamente.
Rüsen ha posto la questione se la narrazione storico-filosofica sia contraddistinta dal
fornire una forma di coerenza razionale
alle pretese di verità e di razionalità che
sono state sollevate dalle filosofie del passato. Kurt Flasch (Bochum) ha invece
sostenuto il concetto di una storiografia
filosofica conseguentemente storicizzante. Non gli universali storici, che in ogni
epoca vengono intesi in modo diverso, bensì
le concrete condizioni storiche, come ad
esempio le tradizioni di scuola, hanno coniato le idee della filosofia in modo tale da
rendere necessario lo studio di tali condizioni per chi intenda dare un giudizio sull’attività di un pensatore, considerata all’interno del suo contesto reale.
Storicizzazione conseguente significa, dal
punto di vista metodico, prendere le mosse
dai testi in quanto documenti, per caratterizzarli attraverso la loro posizione cronologica, il loro rinvio ad altri testi e la determinazione della distanza del loro linguaggio concettuale rispetto al nostro, e per
tener fermo alla particolarità delle relazioni che si producono - non più la rappresentazione di una totalità, dunque, bensì il
documento singolo, l’autore, l’epoca. Il
legame di ogni filosofia con il tempo viene
fondato da Josef Simon (Bonn) in base alla
dipendenza della filosofia da segni che solo
in un periodo determinato significano qualcosa in maniera indubitabile, ma il cui
significato diventa dubbio non appena essi
trapassano in altri segni. Bernhard
Waldenfels (Bochum) ha rifiutato tanto la
disgiunzione di K. Acham tra criteri sistematici del giudizio e fatti storici, quanto il
concetto di J. Rüsen di una formazione
storiografica del senso, rinviando al contrario da un lato a strutture storiche - come
ad esempio la polis greca - che costituiscono una provocazione per la filosofia, ma
che non sono universali, dall’altro ai processi di formazione del senso nella storia
stessa, le cui condizioni sono l’oggetto della ricerca dello storico; la narrazione dello
storico potrebbe del resto acquisire coerenza anche attraverso le problematiche che
emergono in diversi contesti della discussione storica, senza per questo annunciare
qualcosa come la verità.
Basandosi sul caso concreto della filosofia
del Rinascimento, Cesare Vasoli (Firenze) ha mostrato come un concetto normativo di filosofia possa indurre a misconoscere la funzione di un movimento culturale
all’interno della storia della filosofia. Se si
concepisce ad esempio la filosofia come
teoria dell’essere (così Kristeller sotto l’influsso di Heidegger), o se si separano,
come fa Gilson, le idées dalle lettres, si
contesterà che sia esistita una filosofia specifica del Rinascimento, ed un autore come
Ficino verrà scomposto e diventerà da una
parte un umanista, dall’altra un filosofo di
provenienza scolastica (Field). Se si ammette invece che il Rinascimento abbia
trasformato la filosofia, si scoprirà invece
ad esempio nella “retorica” degli umanisti
una critica del linguaggio, che si riferisce in
Valla a concetti centrali della metafisica, e
si osserva in generale che attraverso gli
umanisti si è trasformato il rapporto della
filosofia con il proprio presente e con l’antichità. In base ad un esempio tratto dalla
storia della storiografia filosofica, Gregorio
Piaia (Padova) ha poi mostrato come le
categorie della storiografia filosofica stessa possano venire criticate storicamente.
Quando in Pierre Coste, nel XVII secolo, il
termine “moderni” assume per la prima
volta la connotazione di “riflessione attraverso il metodo e attraverso ampie conoscenze”, si esprime l’autocoscienza storica
dei cartesiani, che ammettono i filosofi
dell’antichità solo in quanto propri predecessori, escludendo i filosofi medioevali. Il
chiarimento di questo contesto fonda storicamente una rielaborazione della categoria
di “moderno”. Diversi tra i partecipanti
hanno delineato una possibile funzione della storiografia filosofica, ma su questo tema non si è sviluppata una discussione.
Secondo H. M. Baumgartner la storiografia filosofica mette a disposizione del pensiero del presente un potenziale critico,
anche nel senso che attraverso essa vengono messi chiaramente in risalto il condizionamento storico e la provvisorietà del filosofare. Wolfgang Bialas (Berlino) attribuisce ai propri studi su Hegel una funzione critica nel contesto politico della exDDR. Karl Acham ha affermato di attendersi dalla storia della filosofia non solo
nuove prospettive di ricerca, ma anche un
contributo all’autoconoscenza umana attraverso lo specchio del passato. Con questo ultimo scopo, orientato in base alla
prassi, Tilman Borsche (Hildesheim) ha
dedicato i propri studi al tentativo di Cusano
di relativizzare il conflitto politico-religioso
con i musulmani - e con ciò la propria
azione politica - attraverso riflessioni teoretico-razionali.
K. Flasch ha preso le mosse dal fatto che il
passato viene adattato in maniera irriflessa
a valutazioni e regole linguistiche attuali.
Lo storico può confermare la comprensione del passato di volta in volta corrente, ma
anche turbarla e correggerla, attraverso la
presentazione di documenti tralasciati o
attraverso una nuova caratterizzazione di
documenti già conosciuti. L’intenzione di
essere utili nel presente guida la posizione
storica dei problemi e la ricerca dei documenti. Tuttavia una storiografia così intesa
non è arbitraria, essa piuttosto sostituisce
l’ideale di obiettività con criteri di control-
CONVEGNI E SEMINARI
labilità e di fecondità dei documenti .
M.M.
Heidegger: la guerra e la colpa
All’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, dal 10 al 14 giugno,
Domenico Losurdo ha tenuto un seminario sul tema: La guerra e la
colpa: la cultura tedesca e il
bilancio di due conflitti mondiali, il cui intento è stato quello di
operare una contestualizzazione storico-politica del pensiero di Heidegger
che ne rivelasse i legami profondi col
nazismo.
Il punto di partenza per questa analisi non
è il 1929, ma il 1914, l’anno cioè in cui si
diffonde in tutta Europa quella che Thomas
Mann ha definito l’”ideologia della guerra” (Kriegsideologie), vale a dire, l’esaltazione della guerra “bella e meravigliosa”
che, in modo particolare, impregna larga
parte della cultura e della filosofia tedesca.
Di questa generazione di intellettuali che
aderiscono massicciamente all’ideologia
della guerra, alcuni riescono a staccarsene
in modo più o meno radicale, giungendo, in
casi rari ed isolati, a una lucida autocritica:
così Thomas Mann. Altri, pur continuando ben oltre il 1918 ad esser ispirati dalla
Kriegsideologie, non varcano tuttavia la
soglia fatale del Nazismo: è il caso di Karl
Jaspers. Non è invece il caso di Martin
Heidegger che, non solo varca questa soglia, ma continua a giustificare fino alla
fine, pur nell’ambito di una tormentata
reinterpretazione, il suo rapporto col
Nazismo.
Il 1914 è infatti in Germania l’anno del
trionfo dell’idea di una “comunità”
(Gemeinschaft) forgiata dalla guerra, nella
quale ciascuno si sente stretto in unità con
la nazione tedesca, pronto ad affrontare il
“sacrificio” e la “morte” per essa. Proprio
questo tema della comunità, centrale nella
Kriegsideologie di quell’epoca, è fortemente presente in Heidegger, in contrapposizione alla “società” (Gesellschaft) e in
stretto rapporto col tema del “destino
(Geschick) e della morte (Tod). Il ricorrere
del tema del “destino” in rapporto a quello
di “comunità” serve a chiarire il significato, decisamente “antiuniversalistico”, in
cui Heidegger intende la “comunità”. Si
tratta di una “comunità” fortemente radicata nel suolo e nei legami di sangue che
stringono insieme il popolo (Volk) nella
sua irriducibile peculiarità storica. Il Dasein,
l’Esserci, si oppone in Essere e Tempo alla
Gattnung, al genere: l’uomo è sempre hic
et nunc, cioè la sua esistenza è sempre
storica. Heidegger condanna lo Spirito perché questo è indice di universalismo, al
quale egli invece oppone la “storicità” intesa come “radicamento nel suolo”
(Bodenstellt).
In tal modo il concetto di “comunità” in
Heidegger si oppone nettamente agli ideali
universalistici della Rivoluzione francese
e del Socialismo. Anzi, rispetto alla
Kriegsideologie, Heidegger procede ad un
approfondimento e ad una radicalizzazione dell’antagonismo nei confronti di tutta
la cultura non tedesca. Secondo gli stereotipi della “ideologia della guerra”, egli continua ad interpretare la guerra come lotta
decisiva fra “storicità” tedesca e “mancanza di storicità” dei nemici della Germania.
Si tratta, per Heidegger, di liquidare una
volta per sempre, la concezione “romana”
e moderna della verità come rectitudo (pensiero calcolante e organizzazione del dominio dell’uomo sulla natura) per ricostruire l’aletheia della grecità originaria (la
verità come disvelamento dell’essere).
Nella sua prospettiva la guerra annuncia la
morte del Cristianesimo e di tutti i suoi
surrogati: la democrazia, il socialismo, il
pacifismo, la felicità universale, ovvero la
felicità dei più. Si tratta di ideali tutti ispirati dalla pretesa di rimuovere dall’esistenza il pericolo, il rischio, l’incertezza, ideali
tutti caratterizzati dal mito della “sicurezza” che ha rivelato definitivamente la sua
vacuità e inconsistenza, appunto col primo
conflitto mondiale.
Già in Essere e Tempo alcune categorie
appaiono centrate proprio su quelle che
sono le parole chiave della Kriegsideologie:
“comunità”, “fedeltà”, “destino”. Si comprende così il pathos della «fedeltà a ciò
che è da ripetere», fedeltà che caratterizza
l’”esistenza autentica”, mentre quella “inautentica” persegue soltanto quegli ideali
del moderno che si esprimono nei termini
di tecnicizzazione della vita e perdita della
storicità nella dimensione impersonale del
“Si”. L’analisi dell’esistenza inautentica
finisce così col configurarsi come critica
della modernità, nonostante l’assicurazione di Essere e Tempo, di volersi mantenere
lontano dall’atteggiamento moralizzante
della filosofia della cultura. In effetti, la
dimensione pubblica del “Si”, s’identifica
in Heidegger con la Gesellschaft, che era
stata il bersaglio polemico principale di
tutta la cultura tedesca dal 1914 in poi. La
stessa categoria centrale della “cura” (Sorge), sembra avere la sua genesi nella “ideologia della guerra”: la “sicurezza”, di cui la
Sorge è l’antitesi, costituisce, come si è
Martin Heidegger
CONVEGNI E SEMINARI
detto, un altro dei più significativi bersagli
polemici della Kriegsideologie. A questa
quotidianità come securitas, Heidegger oppone un “sentimento originario” costitutivo dell’anima occidentale, che comporta
“custodia della tradizione e volontà di futuro”: questo sentimento è appunto la “cura”,
che non è soltanto la struttura dell’esistere,
ma si lega fortemente al tema della “angoscia” e della “decisione” che nell’ “attimo”
apre all’ “essere per la morte”. Non si tratta
soltanto di tonalità affettive tipiche di un
contesto bellico, ma dell’appello al riconoscimento della vacuità del mito della sicurezza di fronte alla necessità della morte e
quindi al “sacrificio” per la nazione tedesca, cioè la fondazione filosofica del “coraggio” e del “cameratismo” dei soldati al
fronte, che nasce, secondo Heidegger, non
dall’entusiasmo, ma dalla meditazione solitaria e angosciosa sulla morte, in cui si
avverte in qualche modo la voce dell’essere che chiama al proprio destino. G.De
R.
Empirismo logico a Costanza
In occasione del centenario della nascita di Rudolf Carnap, Hans Reichenbach e Edgar Zilsel si è recentemente
svolto a Costanza un convegno dedicato all’empirismo logico e organizzato dal locale Zentrum Philosophie und
Wissenschaftstheorie (Centro di filosofia e teoria della scienza). Ospiti del
convegno sono stati W.V. Quine e C.G.
Hempel, due tra i maggiori rappresentanti delle attuali filosofie di indirizzo
neo-empiristico e analitico.
Il centenario della nascita, ricorrente nel
1991, di Rudolf Carnap, Hans
Reichenbach e Edgar Zilsel può forse
rappresentare l’occasione per un bilancio
storico-critico e teoretico circa le attuali
prospettive di quell’indirizzo filosofico che,
denominato inizialmente neo-positivismo
o anche positivismo logico, è ora più conosciuto come neo-empirismo o empirismo
logico. L’abbandono del termine “positivismo” per la caratterizzazione di questo
orientamento filosofico esprime tra l’altro
la tendenza al distacco da una immagine
negativa del movimento neo-empiristico
introdotta nella cultura tedesca, non da
ultimo, dalle critiche di pensatori come
Adorno, Horkheimer e Marcuse. D’altra
parte, negli ultimi dieci/quindici anni l’immagine della filosofia del “Circolo di
Vienna”, della “Società berlinese per la
filosofia empirica” e di altri analoghi raggruppamenti neo-empiristici si è in Germania via via differenziata e arricchita di
nuovi elementi, grazie alla pubblicazione
di testi degli esponenti del movimento (molti
dei quali usciti nella serie “Circolo di
Vienna/Scritti sull’empirismo logico” dell’editore Suhrkamp di Francoforte) e di
dettagliati studi storico-critici, che hanno
messo in luce la presenza di diverse fasi di
sviluppo e di posizioni filosofiche e politiche differenziate all’interno del movimento.
Con “empirismo logico” s’intende caratterizzare il movimento sorto nei circoli intellettuali di Vienna, Praga, Berlino e Varsavia,
che già negli anni Trenta aveva assunto le
dimensioni di una corrente filosofica di
livello internazionale. Nato nelle grandi
città dell’Europa centrale, il movimento
neo-empiristico, che si ricollega alla tradizione empirista di Bacon, Hume e Stuart
Mill, e che fa ampio uso delle tecniche
dell’analisi logica e linguistica sviluppate
da pensatori come Frege, Peano, Russel e
Wittgenstein, ha però esercitato la sua influenza soprattutto sulle filosofie anglosassoni, ritornando così, per così dire, alla
propria matrice culturale e linguistica originaria.
Nonostante il grande valore assegnato dai
neo-empiristi alla chiarezza del linguaggio, al carattere unitario della terminologia
ed alla trasparenza logica, il loro pensiero
dà luogo ancora oggi a conflitti interpretativi. Un esempio di problemi controversi è
offerto dalla diversa interpretazione nei
circoli di Vienna e Berlino dei concetti di
“analitico” e “sintetico”, di “a priori” e “a
posteriori”, che sono stati appunto materia
di discussione nel convegno di Costanza
per Michael Friedman (Chicago), Richard
Creath (Tempe) e Don Howard
(Lexington). In particolare, Friedman ha
messo in risalto il fatto che in alcuni empiristi logici si darebbe la ricerca di una sorta
di “terza via” tra una posizione di matrice
kantiana ed una più propriamente empiristica: così ad esempio sia Carnap che
Reichenbach lascerebbero spazio ad un “a
priori relativizzato”.
Rifacendosi alla concezione neo-empirista
della filosofia - non più opera di un sapiente
o di un erudito isolato, ma un’impresa che
è il frutto di una cooperazione con le diverse scienze e di un lavoro di critica reciproca
- Gereon Wolters (Costanza) ha messo in
luce come la cooperazione critica e la sua
condizione, la chiarezza del linguaggio,
siano due componenti essenziali della razionalizzazione e della modernizzazione
introdotte dai neo-empiristi in filosofia.
Wolfgang Spohn (Bielefeld) si è ricollegato, con la propria teoria probabilistica
del processo di causazione, all’idea della
connessione tra causalità e verosimiglianza sviluppata da Reichenbach nella sua
tarda opera The direction of time (La direzione del tempo). Le suggestioni sviluppate da Felix Mühlhölzer (Monaco) nella
direzione di un concetto adeguato dell’equivalenza cognitiva tra le diverse teorie
vanno collegate alle prime proposte teoriche in questo senso avanzate da
Reichenbach, e più tardi da Quine.
Tra gli ospiti d’onore del convegno, oltre a
Maria Reichenbach, moglie di Hans
Reichenbach, e ad alcuni famigliari di
Carnap, vi erano due grandi della filosofia
di matrice empiristica e analitica, i cui inizi
filosofici sono strettamente legati al Circolo di Vienna e al neo-empirismo berlinese.
Il primo, W. V. Quine (1907), che va
annoverato tra i più influenti filosofi analitici del momento, trascorse da studente un
periodo a Vienna, Praga e Varsavia, dove
ebbe modo di incontrare gli esponenti del
nuovo indirizzo filosofico e logico, ed elaborò nei decenni successivi, in un confronto costante con il suo maestro Carnap, la
concezione di un empirismo naturalistico,
che coincide per diversi aspetti con l’idea
di Neurath di un empirismo radicale, liberato da ogni residuo non legittimato dall’esperienza. Il secondo, Carl Gustav Hempel
(1905), che iniziò la sua tesi di laurea con
Reichenbach e fu poi assistente di Carnap,
si è opposto con decisione all’idea che
l’empirismo logico appartenga al passato:
le critiche al neo-empirismo coglierebbero
nel segno quando si rivolgono al progetto
di Schlick e Carnap di stabilire norme assolute della razionalità; ma le idee di Neurath
per una filosofia della scienza pragmatica e
naturalistica, che tenda ad una analisi empirica della scienza, non solo resterebbero
ancora valide, ma acquisterebbero col tempo maggiore attualità.
Il convegno di Costanza è stato il primo di
una serie di incontri dedicati al neo-empirismo, che si terranno nel corso dei prossimi due anni a Costanza e a Pittsburgh. La
collaborazione tra i due Centri di filosofia
e storia della scienza darà luogo ad uno
scambio dei materiali presenti nei rispettivi
archivi: in quello americano sono disponibili tra l’altro scritti e lettere di Carnap,
Reichenbach, Ramsey e Feigl, mentre a
Costanza è possibile accedere ai lasciti di
Ernst Mach e Hugo Dingler. M.M.
Tradizione ed emancipazione
Invitato da Werner Schneiders e Claude
Weber per conto della Bibliothèque
Nationale Luxembourg, un folto gruppo di studiosi si è riunito, dal 30 giugno al 3 luglio 1991, al castello di
Vianden per un colloquio internazionale sul tema: Tradition et émancipation. Attraverso gli interventi
dei partecipanti è stato fatto il punto
sul rapporto tra tradizione e emancipazione, tra peso del passato e innovazione nella ricerca sull’Illuminismo.
Raramente capita di trovare riunito in un
ambiente suggestivo quanto il castello di
Vianden, alla frontiera tra Lussemburgo,
Belgio e Germania, un pubblico affiatato di
docenti, ricercatori, intellettuali e studenti,
convenuti per misurarsi con una serie di
questioni che, senza esser cospirative, sono
sentite come molto urgenti dalla critica:
Quanto tradizionalista è stato l’illuminismo? Quanto emancipatorie le sue richieste? Nelle sue linee teoriche, la “tradizio-
CONVEGNI E SEMINARI
ne” è stata tematizzata dall’ormai celebre
lavoro su Innovation und Folgelast (1972)
di Rainer Specht, presente al convegno
con un intervento su “Funktionen der
Tradition”; e per l’ “emancipazione” ha
avuto valore paradigmatico la ricerca sulla
condizione della donna nel XVIII secolo,
come si è visto fin dal saggio d’apertura di
Werner Schneiders, “Das philosophische
Frauenzimmer”.
Due le prospettive di ricerca: da una parte
la filosofia della politica, l’interpretazione
dei fenomeni di emancipazione nel quadro
delle tradizioni costituite - per fare un esempio: Jacques D’Hondt ha ritessuto il
filo con le discussioni del bicentenario ed
ha parlato della “rottura” costituita dalla
Rivoluzione Francese, muovendo dalla prospettiva della tradizione dei Lumi; dall’altra la storia delle fonti, l’individuazione di
punti di contatto tra i filosofi e il loro
passato - per fare un esempio: Norbert
Hinske ha seguitol’evoluzione del pensiero di Kant rispetto alla Querelle des Anciens
et des Modernes.
Il catalogo bilingue, in francese e in tedesco, preparato da Claude Weber e Frank
Grunert per la mostra di libri su Tradition
et émancipation (Bibliothèque Nationale,
Fonds des imprimés anciens, Luxembourg
1991), allestita nel castello di Vianden, ha
messo a disposizione una traccia squisitamente erudita per seguire gli argomenti
affrontati dai relatori. Naturalmente largo
spazio era dato alla filosofia di Wolff e dei
wolffiani, da una parte liberatoria innovazione, nel solco di Leibniz, dall’altra saldamente legata alla tradizione della scolastica. Se ne sono occupati Jean Ecole (“La
doctrine wolfienne de la nécessité et son
enracinement dans la tradition”), Piero
Pimpinella (“Von der Dichtkunst zur
Ästhetik. Die Emanzipation der Sinnlichkeit
im 18 Jahrhundert”), Martin Fontius
(“Eine Debatte über die Aufklärung im
Jahrhe 1767”). Notevoli, inoltre, i contributi sui canali della trasmissione delle innovazioni proposti da Hanspeter Marti
(“Die Schweizer Zeitschrift in der ersten
Hälfte des 18 Jahrhunderst. Gelehrtes
Raritätkabinett oder Plattform der
Aufklärung?”) e Joseph Kohnen
(“Emanzipationsversuche im Königsberger Verlagswesen”). Decisamente stimolante infine la sezione dedicata all’emancipazione della donna, aperta da Geneviève
Rodis-Lewis (“Vers l’émancipation de la
femme au XVIIème siècle”), seguita da
Germaine Berg-Goetzinger (su “Die
Ehelosen di Therese Huber), Simone
Zurbuchen (sull’idea di tolleranza) e
Katrin Tenenbaum (che ha legato l’emancipazione degli ebrei - si veda il saggio
di C.W. von Dohm su Die bürgerliche
Verbesserung der Juden - a quella delle
donne - il saggio di T. G. von Hippel su Die
bürgerliche Verbesserung der Weiber). La
questione centrale, come è stato qui argomentato, è che i Lumi hanno aperto gli
spazi per l’emancipazione solo di determinati soggetti, escludendone altri - si tratti
delle donne o degli ebrei - e in ciò risiede un
limite, che equivale a una ricaduta nelle
tradizionali discriminazioni. Non a caso il
dibattito sull’emancipazione è stato poi
riaperto dall’affascinante relazione di
Emmanuel Bulz sulla filosofia dell’ebraismo (“Tradition et émancipation - Tensions
et compleméntarités dans le judaïsme moderne”).
Tra i contributi di filosofia della politica,
Jean-Jacques
Tatin-Gourier
e
Karlfriedrich Herb hanno studiato le resistenze dei lettori “devoti” e “tradizionalisti” di Jean-Jacques Rousseau, e Reinhard
Brandt quelle di Kant in quanto lettore di
Locke, mentre un contributo sulla “Francmaçonnerie, reflet des contradictions des
Lumières” è stato proposto da Pierre A.
Bois. Ha chiuso il convegno una conferenza di Herbert Schnädelbach su “Kultur
und Kulturkritik”, che ha ricostruito il dibattito sulla concezione della storia nel
secolo XVIII da Dilthey a oggi. Non resta
che attendere gli atti, che usciranno a cura
di Werner Schneiders e Claude Weber
presso l’editore Hitzeroth di Marburgo.
R.P.
Eugen Fink: mondo e finitezza
Si è tenuto dal 28 al 30 settembre
1990, presso la Pädagogische
Hochschule di Freiburg, un convegno
internazionale organizzato dallo Eugen
Fink-Archiv con il sostegno della
Deutsche Forschungsgemeinschaft sul
tema: Mondo e finitezza in Eugen
Fink. L’occasione immediata di questo convegno è stata la pubblicazione,
a cura di F. A. Schwarz, delle lezioni
tenute da Eugen Fink a Friburgo nel
semestre estivo del 1949, raccolte ora
sotto il titolo: Welt und Endlichkeit
(Mondo e finitezza, Königshausen und
Neu-mann, Würzburg 1991).
In queste lezioni Eugen Fink si proponeva
di sviluppare, partendo da un’interpretazione della problematica kantiana del mondo (della dottrina delle antinomie) e ripercorrendo la trasformazione che questa subisce nell’opera di Martin Heidegger (nel
saggio sull’opera d’arte), un concetto non
metafisico di mondo, esemplificato anzitutto sulla scorta dell’opera di Friedrich
Nietzsche, ma fissato in seguito attraverso
un ritorno agli inizi della filosofia occidentale. L’intima conoscenza che Fink aveva
della fenomenologia di Edmund Husserl,
testimoniata incisivamente dalla sua rielaborazione delle husserliane Meditazioni
cartesiane, e la sua interiore affinità con i
contenuti delle opere di Heidegger, ma
soprattutto il suo decennale interesse per
Kant, delineano un ambito filosofico di
discussione in cui la problematica fenomenologica del mondo doveva essere messa
alla prova tanto riguardo alla sua origine,
quanto al suo fine.
Questo invito, proveniente dalle opere presenti nel Nachlass di Eugen Fink, è stato
accolto dai partecipanti al convegno, salutati dal rettore della Pädagogische
Hochschule di Friburgo, R. Denk, e dal
direttore del Seminario statale di pedagogia scolastica, J. A. Meyer. Ha aperto il
convegno R. Bruzina (Università del
Kentucky) con un intervento che ha ripercorso passo dopo passo i temi dell’analisi
del mondo di Eugen Fink negli anni 19281938. «Guardare dietro le quinte dell’essere-nel-mondo» significa sviluppare accuratamente la trasformazione interna della
problematica fenomenologica del mondo,
in modo da scongiurare una sua troppo
precipitosa fissazione ontologica, ma anche mantenendone il significato ontologico. Risulta qui chiara l’importanza che
bisogna ascrivere ai numerosi appunti di
ricerca e progetti di Fink reperibili nel
Nachlass e riguardanti la sua collaborazione con Husserl. Appare quanto mai raccomandabile una pubblicazione di questi quaderni di appunti, estremamente istruttivi
per quanto riguarda la storia del movimento fenomenologico. José Javier San
Martin (Università di Madrid) e Hans
Rainer Sepp (Freiburg) hanno offerto, con
i loro interventi rispettivamente “Sul concetto di mondo nella rielaborazione di Fink
della VI Meditazione cartesiana” e “Sul
concetto di mondo in Husserl e Fink”, un
contributo rilevante per un approfondimento della comprensione del problema fenomenologico del mondo. In primo piano la
trasformazione da parte di Fink della questione husserliana della fondazione a partire dal mondo-della-vita nei suoi Abbozzi
per una nuova prima Meditazione (193132), sviluppata da Javier San Martin sotto i
titoli: “rappresentazione del mondo”, “ritaglio del mondo”, “pre-datità del mondo” e
“datità del mondo”, con l’intento di mettere in rilievo l’a priori originario del mondo,
il sapere riguardante il mondo come la luce
più interna del nostro comprendere. Sepp
ha presentato l’opposizione tra le interpretazioni del concetto di mondo in Husserl e
Fink alla luce dei concetti contrastanti di
“orizzonte totale” e di “ambito temporale”,
ha identificato gli elementi di una critica di
Husserl nel percorso creativo di Fink ed ha
messo alla prova quei tentativi di mediazione, che presentano una possibilità reale
e una prospettiva ragionevole di passaggio
solo attraverso un mutamento del quadro
dell’analisi intenzionale, e attraverso l’introduzione di una metafisica non speculativa e dell’ego fenomenologizzante all’interno del problema fenomenologico del
mondo.
In un difficile confronto con il principio
ontologico di Heidegger, Renato Cristin
(Università di Trieste) ha tentato, nel suo
contributo: “L’abissalità del mondo. Osservazioni sui concetti di fondamento e di
abisso nell’interpretazione del mondo di
Fink e Heidegger”, di pensare il fondamento (Grund) come abisso (Abgrund). Il mon-
CONVEGNI E SEMINARI
do come fondamento che dà essere si presenta rispettivamente nelle figure dell’evento e nel simbolo del gioco, indagate da
Cristin in un circostanziato confronto che
ha messo in luce parallelismi e limiti dell’analogia.
Oltre ai contributi di Milan Uselac e Antonio Rivera Garcia (Università di Madrid),
nel convegno sono stati discussi gli importanti interventi di M. Richir (Collège
International de Philosophie, Parigi - Università libera di Bruxelles) su “Mondo e
fenomeni” e di Algis Mickunas (Università dell’Ohio) su “La differenza cosmica”.
Richir ha ripreso l’idea fondamentale di
Fink della connessione tra spazio, tempo e
fenomeno ed ha indagato i tre concetti
operativi di mondo: “orizzonte”, “radura”
(Lichtung) e “fenomeno”. Qui Richir ha
introdotto una doppia questione: 1) la questione circa il mondo come idea dell’orizzonte simbolico dell’esperienza e 2) la questione circa l’orizzonte del fenomeno stesso del mondo. Muovendo dalla terza Critica kantiana, egli ha proposto, nel modo di
una libera meditazione, di pensare i fenomeni del mondo rispettivamente come correlato di una schematizzazione all’infinito
priva di concetti e di una riflessione estetica
senza concetto, per avvicinarsi da questo
punto di vista alla problematica della radura (Lichtung) e del nascondimento
(Verbergung) e della loro interpretazione
cosmica in Fink. Richir ha posto in primo
piano l’occupazione simbolica dell’inconscio fenomenologico attraverso cieche essenzialità. Un passo ulteriore ha condotto
ad una nuova valutazione dell’”apparenza
trascendentale” (transzendentaler Schein)
in quanto coazione a pensare i fenomeni del
mondo come un tutto, come totalità essenziante. La “differenza cosmica” messa in
rilievo da Fink in Welt und Endlichkeit è
stata oggetto dell’intervento di Mickunas.
Questi ha indagato, prevalentemente in rapporto alla problematica del tempo, l’origine della cosificazione della fenomenalità
del fenomeno. Il tentativo di pensare la
differenza tra cosa e mondo ha condotto
Mickunas ai concetti di campo strutturale e
di movimento spazio-temporale come deformazione e ristrutturazione dell’evento.
Il convegno si è concluso con una tavola
rotonda per il prossimo incontro del 1992,
che sarà dedicato al tema della “filosofia
dell’educazione” in Eugen Fink. G.van
K.
In cerca del Dio assente
Il servizio formazione permanente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano ha organizzato dal 14 al 17
settembre un corso residenziale a
Castelnuovo Fogliani (Piacenza) su:
Ateismo e ricerca di Dio nella
tradizione filosofica e nel
pensiero contemporaneo.
Le quattro giornate di studio, sotta la direzione scientifica di Giancarlo Penati, hanno voluto fornire un approfondimento di
alcuni esempi di ricerca di Dio del pensiero
occidentale, nel senso dell’onto-teologia e
della mistica, mettendo in luce anche i
caratteri della condizione dell’uomo di oggi che sembrano rendere questi esempi
insufficienti. Il corso si è articolato in due
momenti: l’analisi dell’ateismo e della ricerca di Dio a) nel pensiero contemporaneo
e b) nella tradizione filosofica. Francesco
Botturi ha affrontato la questione della
teologia dell’azione nella filosofia cristiana del ‘900, in riferimento a M. Blondel, a
Maréchal e a De Finance. Giancarlo Penati
ha invece preferito accostarsi al tema, evidenziando le diverse risposte date al problema di Dio da Nietzsche (“Nietzsche e la
morte di Dio: antecedenti e valutazioni”),
da Heidegger (“Dio in Heidegger: crisi o
rinnovamento
dell’onto-teologia?
Agnosticismo, o nuova mistica della ‘Parola’ e ricerca del ‘Dio divino’?”) e da Maritain
(“Compresenza e sintesi di postmodernità
positiva e tradizione: le tre ‘saggezze’ di J.
Maritain”).
La seconda parte del corso è stata aperta da
Alessandro Ghisalberti che ha analizzato
diverse tematiche teologiche proprie del
Medioevo: dalla mistica (“Alle radici della
mistica: la teologia negativa di Dionigi
Aeropagita”), al rapporto tra Dio e felicità
(“Dio come fine dell’uomo: felicità terrena
e felicità eterna in Tommaso d’Aquino”),
all’argomento ontologico (“L’impossibilità della negazione di Dio: una rilettura
dell’argomento ontologico di Anselmo
d’Aosta”). Domenico Bosco ha infine affrontato le questioni relative all’ateismo
libertino e alla posizione di Malebranche a
proposito del male. P.M.
Le metamorfosi della ragione
ermeneutica
Escono ora gli atti del convegno internazionale: Paul Ricoeur: les métamorphoses de la raison herménéutique (Cerf, Parigi 1991), tenutosi
a Cerisy-la-Salle dal 1 al 11 agosto
1988. Riferimento obbligato per chi
voglia inoltrarsi nella complessa geografia ermeneutica di questa originale
figura filosofica.
Il décalage temporale fra l’estate dello
svolgimento del convegno e la pubblicazione degli atti nell’estate del 1991 permette uno strano sguardo a ritroso, o, se si
vuole, uno sguardo al futuro prossimo,
particolarmente illuminante se si tiene presente la pubblicazione nel 1990 dell’ultima
opera di Paul Ricoeur: Soi même comme
un autre. In una parola: molte delle discussioni alimentate dai dubbi e dalle critiche
dei partecipanti nei riguardi di alcuni tratti
del pensiero di Ricoeur, così pure come
molte delle lucide e pazienti repliche del
filosofo, trovano nel suo ultimo saggio
quasi una ripresa, uno svolgimento, una
risposta. E’ certo che gli atti non rendono il
clima particolare del convegno di allora e
cioè uno spazio fecondo di dialogo e di
incontro tra ex-allievi di Ricoeur, ora maturi studiosi tesi tra eredità e innovazione
(non era forse Simmel a riferirsi all’eredità
intellettuale lasciata da un maestro agli
allievi come “denaro contante”?); neppure
sono riportate le lunghe e meticolose discussioni post-intervento, incoraggiate dallo stesso Ricoeur. Tuttavia questi atti costituiscono una fonte importante a cui attingere per cogliere lo svolgimento interno del
pensiero di Ricoeur e l’eterogenea influenza da lui esercitata su campi e autori di
discipline differenti.
Il volume è infatti diviso in tre sezioni: la
prima, “Héritages”, mira a rintracciare la
genesi dell’originale riflessione filosofica
dell’autore, con particolare riguardo per le
fonti (il rapporto con Dilthey, trattato da
Jocelyne Dunphy; l’eredità fenomenologica, evidenziata da Françoise Dastur,
specialista di Husserl e di Heidegger); la
seconda parte, “Epistémologie et herménéutique”, ha un intento dialogico, poiché
fa interloquire l’ermeneutica di Ricoeur
con le scienze umane (si veda l’intervento
di Charles Reagan), con l’epistemologia
(di cui si è occupato Jean Ladrière, uno
dei partecipanti più attivi e polemici del
convegno), con la narratologia (tema dell’intervento di David Carr, teso a esplicitare il fondo ontologico della narrazione).
Sono comunque le due ultime sezioni:
“L’herménéutique à l’oeuvre” e
“Horizons”, a porsi come prospettive “lungimiranti” sull’ultima produzione filosofica di Ricoeur. Qui gli interventi hanno
infatti portato su due aspetti del pensiero
ricoeuriano: il carattere “enciclopedico” e
l’esigenza assai più importante di una “riflessione etica”. Lungo il primo asse si
situano i tentativi di mettere in opera/all’opera alcuni assunti teorici di Ricoeur; si
veda per esempio l’intervento di Domenico
Jervolino teso ad un rilancio, nella filosofia politica e nella prassi, delle considerazioni etiche presenti in Du texte à l’action,
e a reinterpretare in chiave di “etica della
liberazione”, la poetica della volontà degli
scritti degli anni ’50. Su un altro piano,
Jean Greisch, uno degli organizzatori del
convegno, ha riproposto l’ermeneutica di
Ricoeur nella particolare “metamorfosi”
della filosofia della religione. Lungo il secondo asse si sono orientate le proposte
teoretiche di alcuni partecipanti, intese ad
approfondire e oltrepassare alcune tematiche ricoeuriane su un versante etico. E’il
caso, per esempio, delle nozioni di identità
narrativa, di promessa, di responsabilità,
che stanno al centro dell’ultima riflessione
dell’autore. A questo proposito si veda
l’articolo di Ricoeur: “Le juste entre le
légal et le bon” (“Esprit”, n. 9, settembre
1991) ed il commento di Vincent
CONVEGNI E SEMINARI
Paul Ricoeur
CONVEGNI E SEMINARI
Descombes alla nozione di sé come un
altro (“Le pouvoir d’être soi”, in “Critique”,
n. 529/530, giugno/luglio 1991). Su questa
linea si è espresso Richard Kearney, proponendo di stringere il nesso fra immaginazione poetico-metaforica e tropismo verso
la vera vita nel mondo post-moderno, insistendo in particolare sulle nozioni di promessa e di fedeltà, già presenti in Temps et
récit e in Du texte à l’action. Da parte sua,
Peter Kemp ha voluto invece rivendicare
il rapporto tra racconto ed azione in un
orizzonte aristotelico - particolarmente presente nell’ultimo Ricoeur - che ha al suo
centro le nozioni di virtù e di eccellenza. In
definitiva, questa scansione tra eredità, rilancio, nuovi orizzonti, permette di cogliere in atto la fecondità teorica ed i possibili
“cantieri” di applicazione della lunga ed
elaborata frequentazione di Ricoeur con la
storia, il pensiero e, non ultima l’etica,
dell’ermeneutica contemporanea. F.M.Z.
Questioni d’esperienza
L’Associazione per gli scambi culturali
italo-germanici ha organizzato alla fine del 1989 un Colloquio su Il concetto d’esperienza dall’età idealistico-romantica al presente, le cui relazioni e comunicazioni sono state ora raccolte, a cura di
Valeria E.Russo, nel volume: La questione dell’esperienza (Ponte
delle Grazie, Firenze 1991).
In Esperienza e povertà (1933) Walter
Benjamin ha sottolineato come le “quotazioni dell’esperienza” siano precipitate soprattutto in una generazione come quella
uscita dalla prima guerra mondiale, travolta dalla contingenza radicale dei tempi,
ammutolita dalle sue conseguenze. Nel corso di questo secolo una tale condizione di
“mutore coatto” non ha smesso di angustiare generazioni d’uomini sempre più espropriati della propria esperienza, in forme
spesso sottilmente violente, dettate dai ritmi dello sviluppo della tecnica. Sulla base
della convinzione che i concetti devono
rinnovarsi continuamente, riuscendo a portare gli elementi che li compongono fino
alla prossimità di altri concetti, in una sorta
di operazione di raccordo, libera da pregiudiziali dogmatiche e da chiusure che bloccano la sperimentazione intellettuale, i partecipanti al convegno si sono impegnati in
un lavoro di approfondimento del concetto
d’esperienza, considerato come uno dei
luoghi teorici più importanti del pensiero
moderno e contemporaneo. Concentrando
ovviamente l’attenzione sull’ambito culturale di lingua tedesca, vari studiosi italiani
tedeschi si sono confrontati all’interno di
orizzonti disciplinari diversificati (filosofico, sociologico, letterario, psicanalitico),
articolando momenti di riflessione sul concetto d’esperienza nell’età idealistico-
romantica, sulla coppia Erlebnis-Erfahrung
(esperienza vissuta-esperienza) tra Ottocento e Novecento, su alcuni percorsi del
nostro secolo caratterizzati dalla difficoltà
di considerare l’esperienza nei termini di
una “pacifica modalità” di rapporto dell’uomo con il reale.
In un contesto d’indagini altamente qualificato e significativo, è possibile indicare,
in maniera puramente esemplificativa, alcuni dei contributi che possono testimoniare dell’ampiezza e profondità dei temi trattati: M. Bollacher si è occupato del concetto di esperienza nella filosofia della storia
di J. Herder, richiamandone anche la matrice antropologica di un sapere “non scomponibile”; S. Givone ha sottolineato la possibilità di connettere la diagnosi nietzscheana sull’esito della modernità con il primo
romanticismo, sia pure in forme estremamente complesse; B. Nedelmann ha insistito sulla distinzione rigorosa attuata da G.
Simmel tra i processi di Erleben e le situazioni di Erlebnis; G. Cacciatore ha analizzato il ruolo che il concetto di “empiria
storica” ha nei tentativi di realizzare una
“filosofia materiale della storia” operati da
Droysen a Dilthey, da Meinecke a Troeltsch;
R. Bodei ha ricostruito alcuni dei modi
d’ordinare certi aspetti dell’esperienza che
caratterizzano rilevanti itinerari teorici della
modernità; H. Dubiel si è impegnato a
chiarire alcuni tratti della storia della Teoria Critica francofortese in rapporto anche
con le elaborazioni, fornite da quest’ultima, dell’esperienza storica; G. Mattenklott
ha riflettuto sull’estetica del labirinto e la
curatrice del volume; V. E. Russo, ha da
parte sua ricordato come ogni comprensione storica necessiti di categorie gnoseologiche capaci d’individuare il fitto tessuto di
passato e futuro che definisce lo specifico
qualitativo di ogni momento dell’accadere.
U.F.
I giorni dell’arte
Alla Fondazione Corrente di Milano è
stata recentemente presentata una
raccolta di saggi di Dino Formaggio, I
giorni dell’arte (Franco Angeli,
Milano 1991). Il volume, che fa seguito
e completa un’altra raccolta, pubblicata quasi contemporaneamente,
Problemi di estetica (Aesthetica
edizioni, Palermo 1991), riunisce in contesti problematici comuni scritti pubblicati in epoche diverse, ripercorrendo in modo significativo un’ampia parte della riflessione estetica dell’autore, giungendo fino ai nostri giorni e
lanciando importanti segnali per la
“comprensione dell’umanità dell’arte” nel momento in cui l’uomo si avvia
alla svolta del secolo. Alla presentazione del volume hanno partecipato,
oltre all’autore, Fulvio Papi, Attilio
Rossi, Gabriele Scaramuzza, Raffaele
De Grada, autori tutti legati in maniera
rilevante, anche se per motivi diversi,
alla biografia filosofica e alla militanza
artistica di Formaggio.
La ricerca che fin dal 1938, in pieno clima
idealistico e spiritualistico, Dino Formaggio conduce in campo filosofico è quella di
una metariflessione volta a fondare su basi
“scientifiche” una possibile idea di Estetica come teoria generale della sensibilità e
teoria speciale dell’esperienza artistica.
Questo il “filo rosso” che lega la presente
raccolta di scritti, redatti in epoche e in
occasioni culturali diverse. Una serie di
riflessioni, che sviluppandosi tra il puro
teorizzare e un concreto immergersi nel
mondo vivente del fare artistico alternano
momenti di approfondimento teorico a pragmatiche considerazioni storico-critiche su
movimenti d’arte emergenti nella cultura
di un epoca, a trattazioni di particolari
problemi concreti di certi orientamenti dell’arte contemporanea. Tra gli altri, un aspetto sembra emergere in particolare da
queste analisi: la rivalutazione della tecnica artistica come fattore strutturale determinante, come potenza corporea e lavorativa, costitutiva non solo del mondo dell’arte, ma di qualunque esperienza sensibile e artistica.
E’ su questo sfondo problematico che
Fulvio Papi ha introdotto brevemente la
presentazione di questi scritti di Formaggio, tracciando opportunamente i contorni
dell’itinerario di pensiero che ne sta alla
base. Una “scheda” - come Papi stesso ha
definito questa sua introduzione - che ha
avuto il merito di fissare sinteticamente i
punti cardini di questo pensiero, in primo
luogo l’idea regolativa di “artisticità” da
una parte e quella di “esteticità” dall’altra,
la prima che definisce la legge di campo del
farsi tecnico dell’arte, la seconda che apre
all’ambito della comunicazione corporea
nelle sue tre valenze, intuitiva, immaginativa, memorativa. Attilio Rossi ha voluto
invece ripercorrere alcune tappe biografiche della lunga frequenza che lega la sua
attività artistica alla ricerca estetica di Formaggio. Sono così emersi i tratti di quello
che si potrebbe definire un dialogo ininterrotto tra un pittore e un filosofo di fronte ai
gravi interrogativi dell’arte contemporanea, in primo luogo la necessità che s’impone nel fare artistico di una ridefinizione
della materia.
Ad una definizione dello “scientifico” nella riflessione estetica di Formaggio si è
rivolto l’ampio e documentato intervento
di Gabriele Scaramuzza, che ha inteso
ricostrire teoreticamente lo sviluppo di pensiero che caratterizza tale riflessione. A
questo proposito Scaramuzza ha preso spunto dai due scritti che costituiscono l’esordio
teorico di Formaggio: Arte e tecnica (1938)
e Delacroix di fronte al problema dell’arte
(1939), in cui si tentava, anche se in modo
ancora incompleto, di postulare la presenza
della scientificità nel teorizzare vivente,
facendo in particolare ricorso agli autori
CONVEGNI E SEMINARI
francesi di estetica - cosa che all’epoca fu
registrata con un certo interesse da F. Papini.
Ciò che innanzitutto veniva qui proponendosi era una consapevole rottura con ogni
entusiasmo romantico, con ogni idealismo
e spiritualismo, per riportare l’arte sul terreno concreto della materia e del fare artistico. Questa impostazione avrebbe ben
presto portato Formaggio ad una progressiva costruzione della scientificità dell’Estetica su fondamenti fenomenologici e alla
conseguente assunzione del metodo fenomenologico, opportunamente liberato da
istanze soggettivistiche o idealistiche, come base “rigorosa” per una possibile instaurazione epistemologica dell’Estetica.
Ciò conferiva all’Estetica un posto particolare all’interno delle scienze dell’uomo,
venendo ad assumere un ruolo preliminare
metodico di superamento di ogni atteggiamento naturalistico, quanto di ogni obiettivismo scientifico. Sono questi in particolare i temi centrali di un’altra raccolta di
saggi, pubblicati tra il 1945 e il 1990, riuniti
ora sotto il titolo: Problemi di estetica, che
vanno a completare il contesto teorico in
cui si dipana la ricerca di Formaggio. Ad
esso di fatto si è riallacciato lo stesso Dino
Formaggio nel suo intervento, ribadendo
come la scientificità propria dell’Estetica,
il suo statuto epistemologico, possa essere
ottenuto solo sulla base di un’autonomia di
campo e di un’autonomia metodica dell’estetica che la sottragga, come già ammoniva Giulio Preti, da ogni dissoluzione in
letteratura e poesia. In definitiva si tratta di
mantenere il campo estetico distinto dal
piano della critica letteraria e artistica, come pure da quello delle ricerche sulle poetiche. Su questi presupposti si fonda appunto la più recente riflessione estetica di
Formaggio, volta a uno studio delle correnti estetiche impegnate sul versante scientifico, al fine di mettere in luce l’affinità che
lega arte e scienza. Qui i riferimenti sono
Thom, Prigogine, Petitot, Kuhn, da cui
Formaggio trae gli spunti necessari per una
riconferma della interdisciplinarietà dell’Estetica dal punto di vista della sua inclinazione verso la scienza. R.R.
Il sentire del senso
E’ stato presentato il 18 giugno 1991 al
Circolo Carlo Rosselli di Milano il testo
di Mario Perniola, Del sentire
(Einaudi, Torino 1991). Contro la riduzione del “sentire” a “sensologia”,
all’esperienza affettiva reificata, al già
sentito, Perniola propone un sentire
cosmico, che ha le sue radici nel sentire “teatrico” degli antichi dei. Al dibattito, presieduto da Pierluigi De Stefano, hanno partecipato, insieme all’autore, Um-berto Eco e Paolo Fabbri.
Nel suo libro Mario Perniola ripercorre
tutti gli aspetti del sentire, per arrivare a
colpire la riduzione dell’esperienza al “già
esperito”, del sentire al “già sentito”. E’ da
sottolineare che la “morte del senso” non
comporta necessariamente la “morte dei
sensi”: non comporta cioè una freddezza
del sentire, un prevalere dell’elemento logico-razionale nei confronti di quello affettivo-sensibile. Contrapposizione, quest’ultima, tanto frequentata, quanto, a questo
proposito, fuori luogo: la reificazione del
senso determina, infatti, un suo apparente
primato nell’illusoria immediatezza di una
comunicazione “globale” fra gli individui.
Immediatezza illusoria e primato apparente del senso è ciò che appunto viene realizzato dai media, espressione di esperienza
comunicativa del sentire reificato; i media
e non si innestano sui sensi, potenziandoli
e amplificandone la portata, ma li trapiantano o li creano, come già Condillac aveva
ben capito. Il fatto che questi sensi, questo
“sentire”, siano atti inautentici nella loro
impersonalità, è sintomo della dimensione
alienata di questa affezione non comunicativa. E’ un processo che raggiunge il suo
culmine negli anni Sessanta, ma che ha le
sue radici ben più lontano: tutta la cultura
occidentale, con l’identificazione di affettività e effettualità, che caratterizza la dimensione del “già sentito”, trova le sue
condizioni nel “sentire economico” del
Settecento e dell’Ottocento e, ancora più in
là, presso gli antichi Greci, nel primato
dell’atto sulla potenza, della forma sulla
materia. Tuttavia nell’ultimo capitolo, proprio a partire dal dualismo tra l’elemento
apollineo e quello dionisiaco, Perniola trova in una serie di forme del “sentire” una
possibile redenzione della dimensione del
“già sentito” nella vita filosofica. Il testo di
Perniola, come l’autore stesso tiene a sottolineare, vuole essere una rivalutazione del
pensiero stoico e di quello neostoico, incarnato, in particolare, nella figura di Leibniz;
una rivendicazione della cateria del logos cui è inerente, in una prospettiva materialistica, la nozione di aìsthesis - contro quella
platonica del nous. Un recupero, dunque,
della ragione scientifica del razionalismo
secentesco e illuminista, contro l’esaltazione romantica e idealistica della categoria del “non pensato”.
Umberto Eco ha messo in dubbio che la
religione estetica della “vita”, piuttosto che
il sentimento amoroso, possano davvero
restituire all’individuo, attraverso una manìa liberatrice, la sua dimensione originaria, quella di un’affettività non reificata. Se
così stessero le cose, obietta Eco, se la
possibilità di liberazione fosse davvero effettuale, allora la dimensione del “già sentito” perderebbe il suo carattere di necessità, la sua consustanzialità al sentire, e priverebbe così l’analisi della condizione umana del suo carattere tragico. Contro
Perniola che, difendendo l’intento unitario
del proprio testo, nega l’esistenza di una
soluzione di continuità fra l’analisi - come
è stata definita - “adorniana” o “habermasiana” del primo capitolo e la soluzione
proposta al termine dell’opera, Eco vi leg-
ge, dunque, una sorta di contraddizione di
fondo.
Paolo Fabbri si è piuttosto soffermato
sullo stile filosofico di Perniola, sul suo
“argomentare per figure”; di quest’opera,
Fabbri ha sottolineato la preminenza che
assumono il carattere comunicativo e quello processuale dell’esperire affettivo, valorizzandone l’hic et nunc in una radicale
adesione all’esistenza e all’esistente, al di
fuori di qualsiasi forma di trascendenza, sia
essa, in quanto desiderio, un tendere al
futuro o, in quanto nostalgia, un tendere al
passato. La “gioia” insita in questa adesione all’esistente è estremamente solipsistica
e chiude dunque la comunicazione. Da
questo punto di vista, ha sostenuto Fabbri
in risposta a Eco, questa adesione non appare certo un superamento della dimensione tragica dell’esistenza, dal momento che
non appare all’orizzonte alcuna speranza
di liberazione, alcuna prospettiva di conciliazione. F.C.
Topografia dell’ “anima”
estetica
Nel maggio del 1990, presso la Certosa di Pontignano, sede dei convegni
dell’Università di Siena, si è tenuto un
congresso internazionale di estetica,
organizzato da Maria Grazia Marchianò. A distanza di un anno vengono
pubblicati gli atti con il titolo: Le grandi correnti dell’estetica novecentesca (Guerini e Associati,
Milano 1991). La raccolta, piuttosto
voluminosa, rappresenta un’utile guida lungo i crocevia, gli snodi, gli intrichi della riflessione estetica contemporanea.
La densa introduzione e la cura “certosina”
di Maria Grazia Marchianò eludono,in
un certo senso, la classica presentazione di
una raccolta di contributi eterogenei per
tema e prospettiva: già il volume presenta
alcuni “bilanci” e resoconti della situazione della riflessione estetica in Italia, in
Europa, nei paesi d’Oltre Oceano. Si è
trattato anche - per la curatrice - di definire
le linee di un discorso che intreccia «discorsi e racconti, logoi e mythoi» e che
voglia raccogliere nel laccio delle parole lo
stile, l’aura di questo convegno come la
realizzazione, per una volta, di una civitas,
di una “cittadella” spirituale di contrade e
dialetti eterogenei e che nello stesso tempo
partecipi della medesima pubblica attività
di dialogo. Il convegno di Pontignano testimonia di fatto di una certa “topografia”
dell’anima estetica contemporanea, poichè
raccoglie molteplici interventi di autori di
lingua e civiltà molto “distanti” (europei,
orientali, mediorientali) tracciando i luoghi geografici e intellettuali della attuale
ricerca estetica. Gli atti contemplano, a
seconda del caso, le tre lingue adottate al
CONVEGNI E SEMINARI
convegno, non per suggerire un elemento
di confusione bensì per segnalare ben più
profondi intrecci, asimmetrie, convergenze e lontananze che alimentano la stessa
qualità della ricerca.
Tre i momenti decisamente significativi di
questi atti: il primo di carattere istituzionale-formativo concerne il progetto italiano
di coniugare gli sforzi nel mondo della
cultura per incentivare le iniziative didattico-istituzionali nel campo della ricerca estetica (dottorati interni e stranieri, convegni, bollettini periodici, ricerche comparate e interdisciplinari). Il secondo momento
coincide con un’occasione, quella di un
incontro fecondo fra diverse generazioni di
estetologi italiani (“padri, figli, nipoti”)
che ha permesso una messa a punto delle
problematiche, delle “scuole”, degli orientamenti della ricerca estetica italiana contemporanea. In questo senso le eredità, gli
“svezzamenti “, le autonomie e i ripudi
dell’età adulta hanno messo in circolo il
pensiero. Così Anceschi ha ricevuto il duplice contributo di Benassi e di Gentili;
altri come Morpurgo-Tagliabue hanno
esposto le loro posizioni coltivate con gli
anni. Gli interventi di Givone, Amoroso,
Russi hanno rilanciato alcune tematiche
cruciali quali il rapporto fra Italia e Europa,
autonomia e eteronomia della poesia, nesso fra filosofia dell’arte e estetica. Il terzo
contributo ha voluto farsi promotore di un
dialogo polifonico con culture diverse, intrecciando confronti con le preoccupazioni
teoriche di storie culturali eterogenee. Si
pensi solo che una traduzione in compendio del volume di questi atti è annunciata in
cinese a cura della Sichuan Aesthetics and
Art Research Association della Repubblica Popolare di Cina. F.M.Z.
Hölderlin.
Colloquio internazionale
Organizzato dal Goethe-Institut di Torino, in collaborazione con l’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e con il Dipartimento di
Ermeneutica dell’Università di Torino,
si è tenuto nei giorni 16 e 17 maggio
1991 un Colloquio internazionale dedicato a Friedrich Hölderlin, che ha toccato vari aspetti dell’attuale ricezione della sua opera: dalla critica dell’Illuminismo al rapporto
antichità-modernità, dall’ideale di rivoluzione al concetto di tragedia, alla
metaforica del linguaggio poetico.
Ha aperto i lavori Christoph Jamme
(Bochum) con una relazione centrata sulla
ricostruzione della tragedia La morte di
Empedocle attraverso le sue tre stesure, dal
cosiddetto Frankfurter Plan fino al commento teorico dell’autore stesso sul “fondamento” della tragedia, il Grund zum
Empedokles. Muovendo dal presupposto
che l’intero progetto della tragedia nei suoi
vari abbozzi si fonda sul tentativo di Hölderlin di trovare una legittimazione alla morte
volontaria di Empedocle, Jamme individua
in tre fonti principali i motivi che hanno
dato adito alla nascita dell’opera: la leggenda di Empedocle come viene tramandata da Diogene Laerzio, l’influsso della figura di Rousseau e della sua concezione
della natura nella caratterizzazione dell’eroe tragico, la ripresa di motivi della simbolica cristiana. L’analisi delle prime due
stesure mostra, secondo Jamme, l’incapacità di Hölderlin di rendere tragico il destino di Empedocle, cioè di configurare in
senso drammatico la conciliazione di
Empedocle con gli agrigentini e al contempo la morte volontaria dell’eroe nel cratere
dell’Etna come un evento unitario, identico. In queste stesure la tragedia di fatto non
perviene al suo compimento, poiché il destino dell’eroe e il destino dell’epoca rimangono tra loro privi di mediazione. Sarà
invece tema specifico della terza stesura e
del cosiddetto Grund zum Empedokles la
ricerca della conciliazione tra destino individuale ed epocale nell’azione storica dell’uomo. Empedocle viene in tal senso posto da Hölderlin come personificazione del
destino del suo tempo, e quanto più in
un’epoca di crisi, di profondo rivolgimento, il destino si radicalizza in un singolo
uomo, tanto più questi deve soccombere
alla necessità dei tempi. Gettandosi nell’Etna Empedocle salda la propria azione al
divenire storico, portando in tal modo a
compimento il proprio destino tragico e
con esso l’intero significato della tragedia.
Alla tarda produzione poetica di Hölderlin,
per lo più gli inni e le elegie a partire dal
1799-1800, si sono rivolti nei loro interventi Luciano Zagari e Ugo Ugazio. Zagari
ha individuato il fondamento delle tarde
composizioni poetiche di Hölderlin nel superamento del tempo lineare storico in favore del divenire ciclico della natura, con la
conseguente apertura ad una concezione “a
spirale” del poetico, frutto di un faticoso
approfondimento concettuale e filosofico
di quel periodo, che portava il poeta ad
afferrare l’unità del divenire solo nel trapassare necessario e significativo delle fasi
storiche. Con questo Hölderlin intendeva
ricostituire l’idea di rivoluzione come funzione temporale. Lo stesso ideale greco
veniva coinvolto in questa revisione storico-filosofica della poesia, divenendo ora
modello di un divenire che è perdita del
proprio carattere originario, acquisizione
di ciò che ad esso risultava estraneo e
tentativo di recuperare ad un livello più alto
la spinta originaria. Di una medesima riproposizione dell’ideale di grecità si è fatto
portavoce anche Ugazio, che ha ripreso
sostanzialmente le considerazioni di
Heidegger sulla tarda poesia hölderliniana.
Non interpretare filosoficamente o sentimentalmente la poesia di Hölderlin, ma
pensare il “poetato” della poesia, è stata la
proposta interpretativa mossa da Ugazio.
Questo significa innanzitutto pensare la
migrazione dello spirito poetico dalla Grecia all’Esperia come presupposto per un
nuovo inizio, un inizio “altro”, che non
accade nella serie degli eventi legati al
primo, ma pensa, fondandolo, ciò che i
Greci, “sul loro suolo”, non hanno potuto
pensare, pensa cioè l’essere come “evento”: questo diviene ora il presupposto per
iniziare a comprendere i Greci e la storia
dell’Occidente.
Jean-Pierre Lefebvre ha spostato l’attenzione sul campo della ricerca storicobiografica per tentare di fornire una base
concreta alla produzione poetica di Hölderlin tra il 1801 e il 1807. Si tratta del periodo
che va dal dicembre 1801 al luglio 1802, in
cui Hölderlin si reca in Francia, soggiornando alcuni mesi presso il Console di
Amburgo a Bordeaux. La quasi totale mancanza di documenti biografici ha sollevato
le ipotesi mitico-liriche più svariate su questo oscuro periodo della vita del poeta.
Nella sua ricostruzione storico-biografica
Lefebvre ha richiamato l’attenzione dei
critici su due eventi fondamentali. Si tratta
da una parte della lunga attesa di Hölderlin
a Strasburgo per ottenere il visto d’ingresso
in Francia e la conseguente, apparentemente assurda deviazione per Lione nel viaggio
di andata verso Bordeaux, dall’altra del
periodo di composizione e del ritardo che
subì la pubblicazione del poema
Friedensfeier (Festa di pace), nonostante
fosse da tempo ultimato, e del vero evento
storico che dette spunto a questa composizione. Il passaggio per Lione deve essere
probabilmente giustificato dall’annuncio
della visita del Console Bonaparte in quella
città, previsto per i primi giorni del gennaio
1802. Hölderlin apprese la notizia sicuramente a Strasburgo e non volle perdere una
tale occasione, anche se poi l’incontro non
si avverò per via del ritardato arrivo del
Primo Console a Lione (11 gennaio), che
non conciliò con i quattro giorni di permesso di soggiorno in quella città ottenuti da
Hölderlin. Per quanto riguarda invece l’epoca di composizione di Friedensfeier, risulterebbe secondo Lefebvre che la rielaborazione in poema pindarico operata da
Hölderlin nell’autunno del 1802, poco dopo il suo rientro dalla Francia, di un frammento del poema risalente al febbraio 1801,
comunemente messo in relazione con la
pace di Lunéville, appunto di quegli anni,
deve essere riferita a un evento storico di
significato ben più ampio per la Francia,
quale solo la pace di Amiens con l’Inghilterra e insieme le leggi del Concordato
potevano offrire. All’insieme di questi eventi deve essere dunque fatto risalire il
motivo che sta alla base del poema. Il fatto
poi che esso non venisse subito pubblicato
è una conseguenza del medesimo fatto storico. Quando il poema fu ultimato era già
troppo tardi; le condizioni storiche erano di
nuovo mutate e la guerra era ripresa. La
storia aveva smentito ogni pronostico di
una “festa di pace” per gli uomini. Su un
altro versante della ricerca critico-biografia
va invece posto l’intervento di D. E. Sattler,
CONVEGNI E SEMINARI
Friedrich Hölderlin all'età di 72 anni. Disegno di Louise Keller.
CONVEGNI E SEMINARI
promotore e curatore dell’edizione storicocritica francofortese delle opere di Hölderlin. Nodo problematico delle considerazioni di Sattler è stata una interpretazione
dell’Antigone di Sofocle nella versione e
nel commento teorico della tragedia ad
opera di Hölderlin, con l’intento di metterne in evidenza alcuni caratteri della follia
con cui viene descritta Antigone con con
quelli di cui fu preda Hölderlin nella seconda metà della sua vita.
Ad una ricostruzione del concetto di
Erinnerung (ricordo/interiorizzazione) come motivo fondante della concezione storico-filosofica della poesia di Hölderlin si è
rivolto l’intervento di Domenico Carosso.
La Erinnerung è essenzialmente luogo interiore di una storia “altra” rispetto a quella
che ha condotto al presente reale, un luogo
in cui si raccoglie tutto ciò che il presente
liquida come storicamente divenuto e immutabile. A contatto con il sentimento totale della vita, che la Erinnerung rende possibile interiorizzando ciò che pareva dissolto, il presente si infinitizza sempre di
più. Questo mantenersi aperti nel presente
finito verso un presente infinito è ciò che
permette ora l’incontro con il divino: ricordare coincide qui con il dimenticare, con la
Vergessenheit dionisiaca. Di carattere critico-storiografico l’intervento infine di
Riccardo Ruschi, che ha preso in considerazione un periodo specifico della formazione di Hölderlin, i primi anni di università a Tubinga e le reazioni filosofiche del
giovane seminarista al dibattito sull’illuminismo, che all’epoca accompagnava e
più spesso condizionava la ricezione dei
testi kantiani, soprattutto in ambito teologico. Una ricostruzione del clima culturale
presente allo Stift di Tubinga, nonché dei
presupposti storico-culturali, sociali e religiosi con cui fino a quel momento si era
sviluppata la formazione del giovane
Hölderlin, permette a Ruschi di individuare la fondamentale domanda filosofica che
assilla Hölderlin nei primi anni di studi
all’università di Tubinga. Si tratta della
dimostrazione razionale dell’esistenza di
Dio e dell’immortalità dell’anima. A questo proposito Hölderlin sembra optare per
una concezione che non riproduce passivamente le considerazioni che notoriamente
Kant aveva svolto sul tema. Piuttosto, alla
luce della lettura approfondita dei testi spinoziani e di quelli relativi al cosidetto
Pantheismusstreit (disputa sul panteismo),
il giovane studente di Tubinga si appropria
di quella concezione dell’indimostrabilità
di Dio che accomunava a questo proposito
la dottrina kantiana alla critica della religione e della morale positiva di Friedrich
Heinrich Jacobi. Ne scaturisce una posizione originale, che ha il suo centro di forza
nell’immediatezza dell’esperienza divina,
unica fonte autentica di conoscenza di Dio,
e che a conferma di ciò chiama in causa uno
dei fondamenti della teologia supranaturalista, il contenuto di verità insito nei miracoli di Cristo descritti nella Bibbia. Forte di
queste considerazioni Hölderlin si rivolge
ora alla formulazione di un concetto d’illuminismo che tende a rivalutare il fondamento sensibile della critica della conoscenza, avviandosi con esso a ripercorrere
criticamente quel processo di estraneazione e dominio della natura che fonda la
civiltà moderna. R.R.
Il Pluralismo metodologico
La questione del Pluralismo metodologico in filosofia è al centro
del convegno organizzato dalla cattedra di Filosofia Morale in collaborazione con il Dipartimento di Ricerche
Filosofiche della II Università di Roma
“Tor Vergata”, che si svolgerà nei giorni 24, 25 e 26 ottobre 1991, con l’adesione della Società Filosofica Italiana.
Nel momento in cui vengono meno la validità universale del metodo trascendentale,
le pretese idealistiche di un sapere assoluto
e l’ambizione obiettivistica dello scientismo, sulla scena filosofica contemporanea
cominciano ad affacciarsi alcune prospettive interpretative che tematizzano ampiamente il pluralismo delle metodologie e
delle prospettive di ricerca. Almeno a partire da Martin Heidegger, la filosofia contemporanea ha messo radicalmente in discussione l’idea dell’univocità e dell’assolutizzazione del metodo filosofico.
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg
Gadamer, che di qui si diparte, insieme ad
altri pensatori e ad alcune correnti di pensiero ad essa legati (si pensi a Ricoeur, a
Derrida, alla “decostruzione” e al “pensiero debole”) hanno in seguito ulteriormente
approfondito il distacco, ponendo al centro
della propria posizione non solo la pluralità
degli orizzonti interpretativi, ma anche il
pluralismo delle metodologie di indagine
filosofica. La situazione della filosofia contemporanea pare, dunque, sempre più caratterizzarsi per un pluralismo dei metodi
di ricerca, tuttavia senza il prevalere di uno
di essi. Lo statuto metodologico della filosofia si presenta quindi come un problema
quanto mai suggestivo, aperto e complesso, un tema che è stato anche affrontato
negando persino la possibilità del suo stesso statuto. Alcune recenti posizioni di anarchismo metodologico, come è certamente
noto, sono state avanzate anche nel campo
dell’epistemologia contemporanea di Paul
Feyerabend.
La problematica del convegno trova un
singolare spunto di riflessione in ciò che
Paul Ricoeur (la cui presenza al convegno
dovrebbe peraltro essere assicurata) chiama “rottura metodologica”, espressione che,
presso di lui, indica l’impossibilità di continuare a portare avanti la ricerca sulla
realtà umana con il metodo trascendentale
e la necessità, quindi, una volta esperite
tutte le possibilità offerte dal trascendentalismo, di passare al metodo ermeneutico.
“Rottura” metodologica ed “anarchia” metodologica rappresentano, però, solo due
delle numerose prospettive a partire dalle
quali è possibile affrontare la articolata
questione del pluralismo metodologico in
filosofia. Il convegno si propone di stabilire innanzitutto, dopo una approfondita analisi della situazione di fatto, in che modo si
possa oggi porre il problema del metodo in
filosofia. La pluralità dei metodi non significa necessariamente una sovrapposizione
di uno sull’altro, ma talvolta ci si trova di
fronte ad un intrecciarsi di metodologie che
denunciano la complessità del contesto cui
ci si riferisce. Il convegno quindi si propone di affrontare i problemi della compatibilità o della limitazione reciproca dei metodi. Continuità metodologica oppure rottura? Univocità o pluralismo metodologico?
Gli interrogativi verranno confrontati anche con analoghe problematiche emergenti
a livello del pensiero scientifico, delle scienze umane in generale e in connessione con
lo status quaestionis nell’attuale dibattito
filosofico. La complessificazione generalizzata della realtà in cui siamo immersi
impedisce di fatto ogni assolutizzazione di
una sola prospettiva metodologica, sollecitando invece l’integrazione e la compresenza di diverse metodologie per indagare
proprio la complessità e la ricchezza dell’esperienza contemporanea. G.P.
I rami d’oriente:
la ricerca comparativa in Italia
Due appuntamenti estivi nella cheta
Toscana, volti all’incontro di due universi, Oriente e Occidente, segnano il
passo della ricerca comparativa nella
filosofia estetica: il primo congresso
Siena-Kyoto ( 7-13 giugno 1991) a
Siena e il convegno Il bosco sacro,
Percorsi iniziatici nell’immaginario artistico e letterario
a Monteporzio Catone (5-8 settembre
1991) sono l’occasione di un intrico
complesso, ma orientato di discorsi,
favole, esperienze e metodi interdisciplinari. Una breve intervista con la
professoressa Maria Grazia Marchianò,
dell’Università di Siena-Arezzo, organizzatrice del primo dei due convegni
e lei stessa relatrice al secondo, ci
permette di rintracciare le linee programmatiche delle due manifestazioni.
L’incontro italo-giapponese di Siena e gli
interventi interdisciplinari di Monteporzio
infoltiscono un già fitto sottobosco di tematiche, approcci, preoccupazioni, confronti differenziati per aree culturali e prospettive di ricerca. Ma questo lavoro sotterraneo e polimorfico si rivela fecondo per
ciò che viene denominato “filosofia della
cultura”, quell’approccio cognitivo unificato volto a istituire confronti fra i diversi
segmenti culturali delle civiltà occidentale
e orientale.
Alla luce di questi rilievi abbiamo posto a
Maria Grazia Marchianò queste due do-
CONVEGNI E SEMINARI
Hokusai: Great Wave Off Kanagawa
mande:
Signora Marchianò, Lei è una studiosa e
teorica del pensiero comparativo. Come
intende il lavoro interdisciplinare per quanto riguarda in particolare il confronto fra
culture differenti? «Lo intendo - ci viene
risposto - come una conoscenza fondata dei
segmenti culturali presi via via. In altre
parole: come uno slittare, con precisione e
insight da un segmento all’altro, come uccelli in volo fra l’uno e l’altro ramo di un
unico albero di conoscenza. Il lavoro avviato qui a Siena è iniziato da troppo poco
tempo per dare già frutti maturi. Abbiamo
incominciato a prendere coscienza delle
differenze, il che è assolutamente inevitabile in quanto tale diversità costituisce un
problema nel settore delle arti, delle scienze umane, piuttosto che in quello delle
scienze naturali e dell’economia, dove metodi e obiettivi di ricerca partecipano di
standards in una certa misura comuni».
Come mai Lei ha scelto per la sezione di
scienze umane del convegno il titolo “Nature and artifice”? «Per quanto perplessi
fossero i nostri colleghi giapponesi, il convegno è ruotato implicitamente o esplicitamente attorno al rapporto natura/artificio:
pensi alla relazione antropologica di Raveri
di Venezia sulle tecniche di automummificazione di certi asceti nipponici, oppure al
confronto fra la pittura di Leonardo e quella
cinese Sung in merito all’idea di natura e di
catastrofe ciclica nella relazione di Saito di
Kyoto e ancora alle riflessioni di Nakagawa
Hisayasu sulla natura e sull’artificio in
Diderot, per non dimenticare poi l’intervento di Adriana Boscaro sugli spinosi
problemi della traduzione non solo di una
lingua orientale ma del suo stile e della sua
tecnica narrativa».
Già da queste brevi risposte si può cogliere
quanto l’estetica debba alla riflessione sui
nessi natura/arte e sul rapporto fra arte e
artificio: la ricerca comparativa offre un
campo variegato e concreto di prospettive,
di agganci, di analogie, particolarmente
fertile per l’interrogazione sul bello, sull’arte, sull’appartenenza dell’uomo alla natura. Su questa linea, il convegno su Il
bosco sacro ha proposto itinerari differenziati (letterari, filosofici, pittorici) per segnalare gli sviluppi delle scienze esoteriche e l’unità universale della mitologia:
riti, culti, iniziazioni, il carattere sacrale di
certe topografie spirituali, testimoniano,
nell’intreccio dei discorsi del convegno
organizzato da Marina Maymone
Siniscalchi e da Cesare Nissirio, la presenza di un ancestrale albero mitico.
Ci pare opportuno segnalare infine, in questo contesto, l’ampio respiro culturale che
caratterizza la recente collana “Mille Gru”,
curata da Adriana Boscaro per Marsilio, il
cui preciso obiettivo culturale è quello di
proporre una rosa di classici della letteratura giapponese, tradotti e commentati da
una piccola comunità di specialisti della
lingua e della storia nipponica. F.M.Z.
Hegel e il sapere matematico
Ad alcuni nodi problematici della cele-
bre Prefazione alla Fenomenologia
dello Spirito, Girolamo Cotroneo
ha dedicato il suo annuale seminario
(6-9 maggio 1991) di approfondimento del pensiero di Hegel all’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.
Che Girolamo Cotroneo abbia voluto dedicare molta parte del suo seminario alla
chiarificazione della critica hegeliana della
matematica, quale emerge prepotentemente nelle pagine della Prefazione, è frutto
della convinzione che la contestazione di
Hegel al sapere matematico sia il documento più importante dell’incapacità della
matematica stessa, o meglio della filosofia
matematizzante, di poter essere fondamento della Verità. Sebbene sia l’argomento
kantiano della cosa in sé a segnalare indirettamente l’indomabilità di certi problemi
conoscitivi e l’impossibilità di risolverli
dentro la griglia concettuale del meccanicismo matematizzante, è solo con Hegel che
la scienza dimostra di non poter venire a
capo della frattura tra epistème e tèchne. In
quanto la matematica è solo il nostro pensare la cosa, non il movimento della cosa
stessa, essa è un operare esteriore. Nella
matematica il vero si costituisce come vero
solo perchè ha espulso arbitrariamente da
sé ogni elemento negativo. Se la filosofia
riconcilia entrambi i momenti particolari
dell’esserci e dell’essenza, la matematica,
invece, costruisce la propria verità espellendo il lato interiore della cosa, il lato non
quantificabile. La sua evidenza si paga al
prezzo della soppressione dell’elemento
CONVEGNI E SEMINARI
Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Dipinto di Jack Schlesinger, 1825 circa.
CONVEGNI E SEMINARI
più essenziale della cosa, del suo lato concettuale ed effettuale.
Tuttavia, non è solo la matematica ad esprimere nel campo del sapere le caratteristiche del pensiero dogmatico. L’idealismo
post-kantiano non si è liberato dal formalismo perchè ha continuato a contrapporre
alla conoscenza compiuta e distinta la «monotonia e l’universalità astratta dell’Assoluto». Schelling è il campione di questo
punto di vista della filosofia per il quale la
considerazione della distinzione dei particolari costituenti l’intero sprofonda immediatamente nell’affermazione ingenua e fatua secondo cui l’Assoluto è un tutto eguale. I vivaci moniti di Hegel contro Schelling
sono rivolti, di fatto, contro una concezione
dell’Assoluto che proprio perchè precipita
le differenze «nell’abisso della vacuità»,
non sa guardare allo Spirito come a quella
potenza che «guadagna la sua verità solo a
patto di ritrovare sé nell’assoluta devastazione». Compito della Prefazione, il cui
scopo teoretico è quello di stabilire un
nesso tra Fenomenologia e Logica, consiste infatti nel lumeggiare la natura precipua
dell’Assoluto, mettendone in risalto la sua
essenza di intiero «che si completa mediante il suo sviluppo». L’unità dialettica non
mantiene il negativo di fronte a sé, bensì
affonda in esso come in se stessa. Il negativo non è nemmeno un momento della
Verità, quasi che questa si potesse separare
da esso, ma è la Verità passata attraverso se
stessa: è il suo sviluppo. In tale movimento
lo Spirito riscatta il proprio scacco solo in
quanto conserva la memoria della sua negazione: «Anzi lo spirito è questa forza
solo perchè sa guardare in faccia il negativo
e soffermarsi presso di lui». La mediazione
è la cifra dell’Assoluto come Spirito, come
automovimento dell’intero che nella sua
costituzione è la critica vivente sia dell’astrattezza dell’intelletto, che separa senza
congiungere, sia dell’assoluta indifferenza, che eguaglia tutto a sé, prescindendo
dalle forme differenziate del molteplice e
mortificando la distinzione nell’immediatezza della statica uniformità. Proprio questa domanda intorno alla problematica voracità dello Spirito è quanto il seminario di
Cotroneo ha lasciato in eredità: che ne è
della libertà dello Spirito e dell’uomo, se lo
Spirito fagocita nel procedere metodico del
concetto ogni determinazione, ogni possibilità, la Vita stessa? G.L.D.D.
Hegel a Wroclaw
Si è svolto a Wroclaw in Polonia il
convegno annuale della Internationale
Hegel-Gesellschaft e dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dedicato
al tema: Hegel nella storia della
sua ricezione. La scelta di Wroclaw,
città legata nel passato, con il nome di
Breslavia, alla storia politica e culturale tedesca, come sede del convegno è
stata dettata da ragioni storiche ed
insieme attuali: storiche, poiché Hegel
esercitò una notevole attrazione sugli
studenti polacchi presenti alle sue lezioni; attuali, per l’attesa di nuovi sviluppi sociali e politici nei paesi dell’Europa dell’Est.
Nel suo saluto al convegno in qualità di
rappresentante della presidenza della società il filosofo di Rotterdam Heinz
Kimmerle ha potuto a buon diritto proclamare, con Hegel: «Lo spirito del mondo, se
c’è qualcosa di simile, ha dato in questo
momento di nuovo uno scossone». Ed ha
ricondotto tutto ciò alla politica di
Gorbaciov, «circoscritta dalle espressioni
Glasnost e Perestrojka».
Anche prescindendo dai suoi risultati, il
tentativo di un incontro scientifico internazionale tedesco-polacco (ed anche tra tedeschi dell’Est e dell’Ovest) a Wroclaw, città
caratterizzata da una complessa tradizione
di rapporti culturali tra i due popoli, è
senz’altro degno di nota. In questo senso il
teologo di Tubinga, Hans Küng, ha auspicato nel suo intervento che alla rilevante
attività di sostegno dell’amicizia culturale
tedesco-francese segua ora una analoga
conciliazione tedesco-polacca, che porti a
rapporti di “buon vicinato culturale”. Il
filosofo Karol Bal, attivo a Wroclaw, ha
espresso nel suo discorso di saluto l’aspettativa che il congresso possa avere l’effetto
di stabilire un ponte che aiuti a superare le
divisioni tra le parti del continente europeo
che sinora sono rimaste separate, ma anche
tra le diverse Società hegeliane. Egli ha
anche dichiarato di aspettarsi dal convegno
quantomeno un contributo al superamento
delle “macchie bianche” nella carta geografica della cultura europea, e ha sottolineato energicamente il significato che ebbe
un tempo Breslavia per la Germania e che
può avere oggi Wroclaw per la Polonia. A
questo proposito egli ha menzionato - per
quanto riguarda Hegel - i suoi allievi, Carové
(a cui è stata dedicata la relazione di
Christine Weckwerth) e Hinrichs, attivi
nell’allora Breslavia, e ha citato Lasalle,
sepolto a Wroclaw, a cui sono stati poi
dedicati gli interventi di W.R. Beyer, presidente onorario della società hegeliana, e
di T. Bautz. Bal ha inoltre rinviato a
Breslavia come luogo dove si è dispiegato
l’influsso di Fülleborn, Garve e Theodor
Mommsen, che hanno insegnato nella città
allora appartenente alla Germania, ma anche a Breslavia come luogo di nascita di
Christian Wolff, Dietrich Bonhöffer, Edith
Stein e del celebre studioso dell’ermeneutica e interprete di Hegel, Hans-Georg
Gadamer. Oltre ai circa cento polacchi che
hanno studiato presso Hegel e che hanno
esercitato una forte influenza sulla storia
culturale polacca, Bal ha poi ricordato la
nuova intensa attività di studio su Hegel
nella seconda metà del nostro secolo, iniziata in particolare da Tadeusz Kronski e
Bronislaw Baczko e sviluppata dagli attuali specialisti di Hegel: Zbignew
Kuderowicz, Andrzej Walicki, Ryszard
Panasiuk e Marek Siemek (e qui Bal ha
modestamente taciuto il proprio nome).
Durante il convegno sono state presentate
180 relazioni, divise in circa 40 tra sezioni
e sedute plenarie. Si è discusso delle fonti
filosofiche di Hegel, nel senso più ampio
del termine, ma anche, ancora una volta,
del suo rapporto con la rivoluzione francese (Martin Bondeli, Berna-Bochum;
Davor Rodin, Zagabria); si è parlato poi
della scuola hegeliana nel XIX secolo, ed
in particolare dei giovani hegeliani, ad esempio di Feuerbach (Gabriel Amengual,
Palma de Mallorca) e di Marx; non sono
stati tralasciati neanche temi particolari,
come l’influenza dell’hegelismo sul neokantismo (Helmut Holzey, Zurigo). Molti
interventi hanno indagato l’effetto di Hegel
in diversi paesi; una particolare attenzione
è stata dedicata al tema dell’influsso di
Hegel in Polonia. Tra i tanti interventi su
questo tema, il più importante è stato quello
di Zbigniew Kuderowicz, che si è domandato se la storia dell’influenza di Hegel
sulle figure di Stefan Garczynski, Josef
Kremer, Karol Libelt, Zygmut Helcel, Josef
Ignaci Kraszewski, ma in particolare sulla
filosofia della storia e dell’azione di August
Cieszkowski e sulla filosofia della creazione di Edward Dembowski, rappresenti una
continuità nell’ortodossia con il pensiero
di Hegel, o se non sia piuttosto una deformazione produttiva e via via più autonoma
delle premesse hegeliane di partenza.
Nel senso di una medesima deformazione
produttiva va interpretato anche l’intervento di Marek Siemek che, con il titolo:
“Hegel: l’universalismo e il potere del particolare”, si è interrogato sul significato del
concetto hegeliano di libertà per il nostro
presente. Per Siemek il celebre detto hegeliano secondo cui la filosofia è il proprio
tempo, colto attraverso il pensiero, va inteso nel senso che nella sua filosofia non solo
il suo tempo, ma proprio anche il nostro
viene «colto attraverso il pensiero». Per
questo aspetto la nottola di Minerva, attraverso il cui volo Hegel vede simbolizzato il
ritardo della filosofia, inizia il suo volo
tanto tardi, da poter scorgere la luce del
giorno all’alba. Dall’analisi, basata su
Hegel, delle società dell’Europa dell’Est
risulta, per Siemek, che il primato della
politica sulla “società civile” e la liquidazione del diritto astratto hanno condotto
alla bancarotta del socialismo reale. Per il
ripristino di questi ambiti (società civile e
diritto) si può allora ricorrere all’aiuto di
Hegel.
Con la sua critica dell’emancipazione a
favore di un riconoscimento reciproco dell’eguaglianza e dell’alterità, Heinz
Kimmerle ha preso posizione contro Kant,
Hegel e Marx, e si è riferito a Jacques
Derrida, da cui ha tratto spunto per affermare che il riconoscimento reciproco significa qualcosa di più dell’uguaglianza
giuridica. Forse il grande interesse per la
sezione del convegno dedicata a Derrida
(J.-M. Ripalda, V. Rühle, entrambi di
Madrid; H.-C. Lucas, Bochum; P.U.
Philipsen, Berlino) è stato anche l’espres-
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
La filosofia
e le “storie” della filosofia
Riallacciandoci alla rassegna dei nuovi
manuali di storia della filosofia per le
scuole, svolta nel numero 3 di questa
rivista, segnaliamo qui l’uscita di due
importanti lavori sul pensiero del ‘900,
che si rivolgono alle università e che
sollecitano una riflessione sui compiti
più generali della storiografia filosofica. Alla celebre Storia della filos o f i a in tre volumi di Nicola
Abbagnano si affianca ora un quarto
volume (Storia della filosofia,
IV, Utet, Torino 1991, pp. 964), che reca
ancora l’indicazione del nome del filosofo recentemente scomparso, ma la
cui esecuzione è stata affidata all’allievo Giovanni Fornero, che si è avvalso
della collaborazione di F. Restaino e L.
Lentini. Antimo Negri ha curato per la
Casa editrice Marzorati la pubblicazione dei primi due volumi di un’opera
prevista in cinque volumi e dedicata ai
protagonisti del pensiero filosofico e
scientifico contemporaneo (Novecento filosofico e scientifico.
Protagonisti, vol. I, pp. 884, vol. II,
pp. 930, Marzorati, Milano 1991).
Non si trattava di un impegno facile, aggiornare con un quarto volume, dedicato
interamente al pensiero contemporaneo, la
Storia della filosofia di Nicola Abbagnano,
un’opera che per le sue doti di completezza
dell’informazione e di equilibrio nell’interpretazione dei filosofi ha conosciuto un’amplissima diffusione nelle Facoltà universitarie di filosofia. Da essa Abbagnano aveva
già tratto un manuale che, in una recente
versione rinnovata e aggiornata grazie anche alla collaborazione di Giovanni
Fornero, ha trovato in questi ultimi anni
una larga fortuna nei licei (cfr. Nicola
Abbagnano, Giovanni Fornero, Filosofie e
filosofie nella storia, in tre voll., Paravia,
Torino, 1a ediz. 1986). Il quarto volume
dell’edizione maggiore della Storia della
filosofia, a cui Abbagnano aveva atteso
negli ultimi tempi, ma la cui effettiva esecuzione è dell’allievo e collaboratore G.
Fornero, ha suscitato alcune prese di posizioni negative da parte di filosofi e studiosi,
che non vi hanno ritrovato quelle caratteri-
stiche di apertura intellettuale sulla totalità
dei fatti filosofici e di equilibrio nella trattazione della materia, nella valutazione
degli autori e delle correnti, che invece
contraddistinguevano i precedenti volumi
scritti dal maestro. In un articolo dai toni
polemici: Un paese senza filosofia. Bobbio,
Del Noce, Garin, Geymonat: chi li ha visti? (“Corriere della sera”, 9 giugno 1991),
Emanuele Severino accusa esplicitamente Fornero di avere svolto una lunga compilazione, da cui è stata sistematicamente
esclusa ogni informazione sulla filosofia
italiana contemporanea, che risulterebbe
dunque declassata rispetto a quella straniera. Se sono stati riservati alcuni riferimenti
ai filosofi italiani, questi compaiono per lo
più solo in bibliografia o solo in quanto
studiosi del pensiero di filosofi stranieri. In
realtà, dalla lettura del volume curato da
Fornero deriverebbe l’impressione che non
hanno lasciato alcuna traccia nel pensiero
contemporaneo filosofi come Spirito,
Calogero, Garin, e inoltre Bobbio, Rensi,
Paci, Preti, oppure Guzzo, Bontadini, Del
Noce e molti altri tra cui lo stesso
Abbagnano (fa eccezione solo Pareyson).
«Il risultato è che da questa Storia della
filosofia ... risulta che la filosofia italiana
più recente non ha dato alcun contributo
all’avanzamento del pensiero filosofico».
Con la sostanza di questa critica, cioè di far
“sparire” la filosofia italiana contemporanea dall’opera di Abbagnano, si dichiara
d’accordo anche Ludovico Geymonat nella sua replica: Cari colleghi, nessuno è un
profeta in patria (“Il sole 24 ore”, 16 giugno 1991), in cui il filosofo dichiara come
recentemente, dinanzi al compito di aggiornare il suo manuale per i licei, gli fosse
sembrato importante includervi anche i
nomi dei maggiori esponenti del pensiero
italiano contemporaneo del dopoguerra;
un compito analogo egli se lo porrebbe se
dovesse aggiornare la grande Storia del
pensiero filosofico e scientifico della
Garzanti, in considerazione del contributo
tutt’altro indifferente fornito dai filosofi
italiani all’avanzamento del pensiero filosofico-scientifico del nostro secolo.
L’esclusione da parte di Fornero della filosofia italiana contemporanea risalirebbe,
secondo Geymonat, alla moda, diffusa
quanto mai oggi in Italia, per cui «tutti i
meriti vanno riconosciuti ai Paesi coloniz-
zatori non più di lingua francese come una
volta, ma di lingua americano-inglese».
La “difesa” di Fornero è contenuta in due
prese di posizione: in una presentazione
delle finalità del suo lavoro (“Sole 24 ore”,
9 giugno 1991: la pagina è interamente
dedicata alle “Storie della filosofia”) e in
una replica diretta alle accuse di Severino
(“Sole 24 ore”, 30 giugno 1991). Le argomentazioni di Fornero gravitano nella sostanza intorno a due punti. In primo luogo
egli sottolinea come Abbagnano (che aveva approvato il piano e l’esecuzione dell’opera) non ritenesse opportuno - lui vivente - di «collocare se stesso e i suoi amici
o ex-colleghi cattedratici nella propria storia della filosofia». Ciò non toglie che in
futuro i suoi allievi potranno parlare anche
di Abbagnano e della filosofia italiana del
dopoguerra. Ma, precisa Fornero, «non
abbiamo alcuna intenzione di collocare,
accanto a Gadamer, Popper e Derrida, tutti
i fratelli filosofi d’Italia»: la Storia della
filosofia è infatti costruita per autori e
correnti di rilievo internazionale e intende
dare rilievo pertanto solo a quelle figure di
filosofi che hanno oggettivamente inciso
sulla problematica contemporanea. Emerge qui il secondo punto delle argomentazioni di Fornero: l’espressione “filosofia
contemporanea” non va intesa semplicemente come sinonimo di “filosofia odierna”. La scelta di omettere dal IV volume la
trattazione del pensiero di alcuni autori
italiani nasce dall’esigenza di distinguere
dalla filosofia contemporanea «ciò che,
per ora, è più “cronaca” che storia vera e
propria».
Al di là dei toni polemici e a tratti risentiti
di questo “botta e risposta” fra Severino e
Fornero, ci sembra di cogliere qui un punto
meritevole di approfondimento: quello che
riguarda i confini, quanto mai difficili da
stabilire perché mobili, tra ciò che è ancora
soltanto attualità e ciò che deve e può
trovare una collocazione in una storia del
pensiero contemporaneo, la quale non può
peraltro prescindere dagli apporti non marginali dei filosofi italiani del dopoguerra.
Il dibattito suscitato dalla pubblicazione
del IV volume della Storia della filosofia
di Abbagnano, ha dato adito ad altri interventi sulle recenti iniziative in campo editoriale dedicate alla storia della filosofia,
fra cui si segnalano due recensioni di
DIDATTICA
Studente nel proprio studio. Incisione del 1660 circa.
DIDATTICA
Umberto Galimberti e di Maurizio
Ferraris (“Sole 24 ore”, 9:6 giugno 1991)
dei recenti manuali di E. Berti e di E.
Severino (sui quali abbiamo già riferito nel
numero 3 della rivista). Cogliendo una medesima occasione, Antimo Negri ha presentato i caratteri e le finalità di Novecento
filosofico e scientifico. Protagonisti, i cui
primi due volumi sono già in libreria.
L’obiettivo principale di quest’opera è stato quello di «immetterci, con i protagonisti
del pensiero filosofico e scientifico del
Novecento..., in un mondo delle cose e
degli uomini che, nonostante la sua vastità,
con i grandi mezzi di comunicazione di
massa, è diventato, tuttavia, un “villaggio
globale”». Per la verità non si tratta di due
“mondi” da separare o da contrapporre,
giacché si tratta «di un unico mondo fondamentale» e la conoscenza del mondo delle
cose comporta quella del mondo degli uomini o, per dirla in una formula più energica, «l’antropologia è cosmologia e la cosmologia è antropologia». Se la filosofia
vuole essere «comprensione del tutto», essa peraltro esige (secondo le parole di Ugo
Spirito, che Antimo Negri richiama) una
«corona di scienziati concordi», da ultimo
«intenti allo stesso compito antropologico»: quello, socratico, di conoscere l’uomo.
A ciascuno dei “Protagonisti” del pensiero
filosofico-scientifico del ‘900 è stato riservato un capitolo monografico curato da
uno specialista e articolato in tre momenti:
un profilo critico, una nota bio-bibliografica,
una scelta di testi. Ciascun filosofo riceve
pertanto una trattazione autonoma, anche
quando questa risulta inserita in un insieme
di capitoli organizzati con riferimento ad
una corrente o a un problema e preceduti da
un breve discorso introduttivo. La materia
complessiva appare distribuita in due parti:
1. Correnti ed itinerari teoretici; 2. Filosofia: altre sue forme, tematiche, dimensioni.
Particolare attenzione è stata dedicata alla
scelta dei testi, alcuni dei quali presentati
per la prima volta in traduzione italiana.
Interventi, proposte, ricerche
Nell’editoriale di apertura del n. 1 di
«Nuova Secondaria» (15 settembre
1991, anno IX, Editrice La Scuola),
Evandro Agazzi affronta il problema
del significato della presenza della filosofia nei curricoli della nuova secondaria superiore. Sullo stesso numero
della rivista, Luciana Vigone, segretario generale della Società Filosofica
Italiana, affronta il problema della specificità dell’insegnamento filosofico nei
licei.
E’ noto come il progetto di riforma della
scuola secondaria superiore approntato dalla Commissione Brocca prevede che la
filosofia, come tale o come «filosofia di...»
(della scienza, dell’economia e del diritto),
sia presente in tutti gli indirizzi del triennio.
A questo proposito Evandro Agazzi rileva
come non si sia trattato soltanto di «liceizzare» gli istituti tecnici, e in generale di
qualificare in senso fortemente culturale la
scuola secondaria, ma anche di rispondere
alla crescente «domanda di filosofia» che,
nei sondaggi di opinione effettuati fra i
giovani, risulta essere la disciplina più richiesta. E’ ovvio che il ruolo della filosofia
nel nuovo ordinamento degli studi superiori non può ridursi a quella vecchia immagine che la vedeva come una sorta di «coronamento» della formazione umanistica.
Oggigiorno il giovane si sentirà interessato
alla filosofia «nella misura in cui verranno
poste in evidenza e analizzate situazioni
antinomiche nelle quali egli si sente coinvolto a vari livelli della sua esperienza
individuale, sociale, culturale; nella misura in cui verrà portato alla consapevolezza
delle ragioni di tali difficoltà, alla riflessione sulla complessità delle valutazioni e dei
presupposti, quasi sempre inespressi, che
sottostanno alle varie alternative che egli
stesso si propone, o che gli vengono proposte dai canali della comunicazione sociale
(...); nella misura in cui verrà aiutato a
comprendere le conseguenze implicite nelle diverse posizioni e nelle scelte alternative che potrebbe compiere». In quanto poi
la filosofia può riflettere sui fondamenti
delle varie discipline, non per prevaricare
sulla loro specificità, ma ponendosi in un
certo modo al servizio di queste discipline,
essa corrisponde in pieno alle esigenze
della formazione del giovane, consentendogli di sfruttare per davvero e a fondo il
contributo culturale dei vari saperi.
Alla domanda diffusa di motivare e di
giustificare l’importanza della filosofia nei
curricoli degli studi, Luciana Vigone risponde mettendo in luce il significato etico
e formativo della filosofia nel mondo odierno, dove si richiede anzitutto che i
giovani acquisiscano in primo luogo la
«capacità di apprendere» nonché di «ragionare eticamente». Se è vero che l’«empirismo utilitarista» risulta nocivo all’istruzione e alle stesse professioni, la scuola non
può rinunciare al compito di far acquisire ai
giovani un atteggiamento razionale di fondo e una coscienza morale matura. L’assunto fondamentale dell’intervento di L.
Vigone è la convinzione che l’insegnamento filosofico non si deve limitare a
trasmettere pensieri, ma deve avviare a
filosofare, a pensare.
Sotto questo profilo «fare filosofia non è
questione di età, bensì di capacità di riflettere su ciò che si ritiene importante»: che la
filosofia possa svolgere un ruolo centrale
fin dalle prime fasi del processo educativo,
è una tesi che L. Vigone mutua dall’indirizzo inaugurato da Matthew Lipman, della
Columbia University, e ormai noto come
«Philosophy for Children». A questo proposito l’autrice richiama le esperienze svolte
da E. Martens di Amburgo (cfr. «Auf dem
Marktplatz»: Forum Philosophie, Compu-
ter-Denken, a c. di D. Birnbacher, Th. H.
Macho, E. Martens, ed. Schroedel,
Hannover 1990) e a Graz, in Austria, da
Daniela Camhy (cfr. D. Camhy, Wenn
Kinder Philosophieren, ed. Leykam, Graz
1990).
La parte conclusiva dell’articolo è dedicato
a disegnare un’ipotesi di curriculum liceale
di filosofia che mantiene come punto di
riferimento l’attuale scansione storica dei
programmi.
Convegni
L’Associazione per la Ricerca e l'Insegnamento di Filosofia e Storia ha programmato, in collaborazione con l’Università di Torino, un convegno nazionale per l’aggiornamento degli insegnanti sul tema: Fenomenologia ed
esistenzialismo. Il convegno si
svolgerà a Brescia dal 20 al 22 marzo
1992, presso la Camera di Commercio,
via Luigi Einaudi 23.
Il calendario di massima dei lavori è il
seguente: venerdì 20 marzo: inizio dei lavori alle h. 9.00 con Presentazione da parte
di Giancarlo Conti, presidente dell’Associazione; h. 9.15 - Psicologismo, antipsicologismo e origini della fenomenologia (Ettore Casari); h. 10.15 - La fenomenologia
come metodo filosofico (Giovanni Piana);
h. 15.00 - Fenomenologia e psicologia
(Stefano Poggi); h. 16.00 - L’approccio
fenomenologico ai valori (Reiner Wiehl).
Sabato 21 marzo: h. 9.00 - Heidegger dalla
fenomenologia all’analisi esistenziale
(Valerio Verra); h. 10.00.- Il concetto di
mondo della vita in Husserl (Giuseppe
Semerari); h. 15.00 - era stata prevista,
prima della sua improvvisa scomparsa, una
relazione di Luigi Pareyson sul tema:
Jaspers dalla teoria delle intuizioni del
mondo alla filosofia dell’esistenza; h. 16.00
- L’ultimo Heidegger (Gianni Vattimo).
Domenica 22 marzo: h. 9.00 - Filosofie
dell’esistenza e cultura italiana (Antonio
Santucci); h. 10.30 - tavola rotonda conclusiva con la partecipazione di tutti i relatori, presieduta da Pietro Rossi, sul tema:
L’eredità della fenomenologia e dell’esistenzialismo.
Per iscriversi al convegno (per il quale è
stato richiesto l’esonero ministeriale) occorre versare £. 40.000 sul C.C. postale
12808259 intestato a A.R.I.F.S. (c.p. 103 25100 Brescia) e inviare domanda di iscrizione, su apposito modulo e con acclusa
ricevuta del versamento, a A.R.I.F.S. - casella postale 103 - 25100 Brescia. Per informazioni telefonare al 030/57341 dalle
18 alle 19 dei giorni feriali (esclusi i prefestivi). Agli iscritti verranno inviate informazioni su alberghi e ristoranti. Il termine
delle iscrizioni è il 15 dicembre.
DIDATTICA
Si è svolto a Lubecca (RFT) dal 26 al 28
settembre il convegno regionale dell’Associazione degli insegnanti di filosofia sul tema: filosofia politica
nel quadro europeo.
Hanno preso la parola H.C. Rauh (Sulla
politicizzazione della filosofia nella DDR),
E. Martens (Democrazia e filosofia.
Socrate e Rorty), Rohbeck (La filosofia
politica di H. Arendt), Schneider-Valand
(Nazionalità e sovranazionalità come problema filosofico), R. Brandt (La filosofia
politica dell’illuminismo), W.F. Haug (La
filosofia politica nel terzo Reich), R.
Schränder (Il significato e i compiti della
filosofia in Germania).
Informazioni: Fachverband Philosophie,
Landesverband Schleswig-Holstein, Faru
Jutta Kähler, Adolfplatz 1, D-2400 Lübeck.
Organizzato dalla Società Filosofica
Romana e dal Dipartimento di Filosofia e teoria delle Scienze Umane dell’Università di Roma “La Sapienza” si
è svolto a Roma nei giorni 4-5-6 aprile
un convegno che aveva come proposito quello di discutere i problemi connessi all’insegnamento della filosofia
nella scuola media superiore e nell’Università. Hanno preso parte al convegno filosofi italiani (Franco Bianco,
Giuseppe Semerari, Pietro Rossi, Carlo Sini) e filosofi stranieri, rappresentanti delle maggiori aree culturali dell’Europa: la Francia con Paul Ricoeur,
l’Austria con Rudolf Haller, l’Inghilterra con Brian MacGuinnes.
Ha aperto i lavori Franco Bianco che ha
sottolineato la sollecitazione proveniente
dagli insegnanti di filosofia della scuola
secondaria a ripensare insieme con i colleghi dell’Università i problemi della ricerca
e della didattica della filosofia. Ricorda
così che questo è il cuore stesso della filosofia nella sua origine socratica, dove il
rapporto dialogico, nella parità dei dialoganti, manifesta l’intrinseca unità di ricerca filosofica e di insegnamento della filosofia. Quest’ultimo non deve essere inteso,
infatti, come trasmissione di nozioni in sé
compiute, ma come sollecitazione a riflettere. Rudolf Haller ha iniziato la sua relazione ricordando la trasformazione che nei
secoli ha subito il ruolo della filosofia, che
da madre di tutte le scienze sembra ora
avviarsi sulla via del tramonto, avendo
perso la sua rigorosità. Di fronte all’odierna anarchia dei sistemi filosofici, il filosofo
austriaco propone di partire dal relativismo, non però per rimanere in una giungla
di opinioni, ma per aiutare lo studente ad
orientarsi in essa, a fare delle scelte proprie
alla luce della giustificazione, l’unico criterio che rende una teoria “vera”.
Secondo Giuseppe Semerari, invece, il
punto di partenza dell’insegnamento filo-
sofico non può che essere la meraviglia,
madre della filosofia. Ha raccontato così la
sua esperienza di studente, di insegnante di
liceo e di professore di filosofia all’Università; ha ricordato l’opera decostruttiva del
testo di scuola che ha appreso dal suo
insegnante liceale, del groviglio di opinioni che si trasmettono nei testi scolastici a
discapito di quello che ha veramente detto
l’autore. Le sue indicazioni sono dunque di
partire dalla vita e da ciò che ci circonda,
secondo l’insegnamento socratico a cui
siamo debitori prima di essere degli storici
della filosofia. Pertanto l’insegnante potrà
direttamente dirigere l’attenzione verso l’opera di un filosofo del nostro mondo, e a
partire da lì allargare poi in un orizzonte
storico le problematiche. Completamente
diversa è la prospettiva di Pietro Rossi, che
difende l’insegnamento storico della filosofia, non perchè sia ancora valida la teoria
idealistica gentiliana, ma perchè nonostante tutto è l’unica forma di insegnamento
che permette una certa rigorosità. La prospettiva sociologistica o psicologistica, che
son pur andate di moda alcuni anni fa, a suo
avviso riescono solo a creare degli sbandati
alla luce di una pretesa concezione dei
bisogni dell’adolescente. E’ allora evidente che la filosofia non deve essere insegnata
in tutti i curricula, ma rimanere terreno di
specialisti o di futuri specialisti, che apprendono come accostare l’eredità che ci è
stata tramandata. La prima giornata si è
conclusa con una relazione di Brian
McGuinnes, che ha trattato dei problemi
connessi alla scissione dell’insegnamento
sistematico dai problemi storici della filosofia, e con un’ampia discussione sull’insegnamento universitario della filosofia nei
diversi paesi rappresentati. La seconda giornata è stata dedicata ai problemi della nuova scuola. Beniamino Brocca, presidente
della Commissione per la riforma dei programmi della scuola secondaria superiore,
ha illustrato i nuovi programmi che prevedono l’insegnamento della filosofia in ogni
tipo di scuola: come filosofia della scienza
sarà infatti introdotta anche negli studi tecnici. Lorenzo Vigna del Ministero della
Pubblica Istruzione ha presentato da una
parte la storia della normativa didattica
della filosofia, dall’altra l’effettiva realizzazione di tale insegnamento come si può
appurare dai concorsi per il reclutamento
degli insegnanti e dagli esami di maturità.
Giancarlo Conti, Gianna Di Caro,
Annalisa Miletti, Elena Picchi Piazza,
rappresentanti di varie associazioni degli
insegnanti, hanno poi presentato le loro
proposte riguardo alla necessità di un continuo aggiornamento degli insegnanti, riguardo alle finalità e ai metodi dell’insegnamento della filosofia. In ultimo è stata
presentata una mozione che sottolinea l’arretratezza delle proposte ministeriali rispetti ai dibattiti che in questi anni si sono
svolti nelle Università sull’argomento.
Dalla discussione è emerso un certo malcontento fra gli insegnanti, che hanno ribadito come impegno dell’insegnamento del-
la filosofia la formazione umana e civile
dei giovani.
“Come insegnare filosofia” è stato poi il
tema di una tavola rotonda a cui hanno
partecipato Paolo Casini, Carlo Cellucci,
Ugo Perone, Armando Rigobello e Anna
Scheri Costantini. Centro della discussione sono stati i nessi problematici tra storicismo e insegnamento della storia della
filosofia. Paolo Casini ha evidenziato il
lungo cammino dell’emancipazione delle
scienze dalla filosofia. Egli ritiene che la
filosofia non può essere praticata a prescindere da questo evento, ma aggiunge che
l’emancipazione non è totale e che troppo
spesso lo scienziato ignora gli aspetti storico-metodologici delle teorie odierne. Compito dell’insegnamento filosofico è allora
di non avviare a degli specialismi, ma di
infondere cultura ai futuri specialisti. Carlo
Cellucci ha sottolineato l’aspetto ideologico dello storicismo, che è tutt’altra cosa
dalla storia della filosofia. Armando
Rigobello ha evidenziato come anche l’insegnamento della storia della filosofia parta dal presente e dalla problematica propria
per sospenderla e incontrare l’altro da sé e
ritrovare poi se stessi alla fine. Ugo Perone
propone, per evitare ogni dogmatismo nell’insegnamento, un punto di equilibrio che
salvi alcuni contenuti essenziali della filosofia, come per esempio il problema della
verità e tutte le problematiche nascenti dal
confronto con l’attualità. ma questo non
può essere insegnato che in uno sfondo
storico (non storicistico).
Hanno concluso il convegno due relazioni
teoriche, quella di Paul Ricoeur e quella di
Carlo Sini, che hanno discusso i complessi
rapporti tra filosofia e storia della filosofia.
Ricoeur ha affermato che la storia della
filosofia fa parte integrante della filosofia
stessa, a patto però di non dare una valenza
univoca al concetto di storia della filosofia,
come per esempio fa Heidegger. Nella storia della filosofia è possibile invece cogliere la polisemia profonda che emerge nei
sistemi ogni volta diversi. La filosofia vive
della tensione tra l’ambizione alla verità,
che vuole cogliere in sistema tutto il reale,
e la storicità che ridimensiona queste pretese. Occorre dunque che si rifletta storicamente, ma si sappia pensare filosoficamente. Conclude con indicazioni pratiche per
l’insegnamento, dove a suo avviso l’esperienza storica agevola a rendere trasparente
la propria pre-comprensione. Carlo Sini,
infine, sottolinea la differenza tra la storia
della filosofia e la tradizione della filosofia, tra cultura filosofica e paideia filosofica. La storiografia, che è nata con l’enciclopedismo, sembra negare e dimenticare le
sue stesse origini storiche che la relativizzano. Più originaria è invece la tradizione
filosofica, che è stata affidata prima alla
parola ed in seguito alla scrittura, L’indicazione di Sini è pertanto di approfondire
questa differenza, per ritrovare la paideia,
che si serve del passato per il futuro; allora
le grandi teorie sono da abbandonare per
abitare le pratiche filosofiche. P.C.
NOTIZIARIO
NOTIZIARIO
A partire dal 1 gennaio 1990, il Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane dell’Università di Macerata è sede di un progetto
triennale, finanziato dal CNR, che prevede
nuove ricerche coordinate di un gruppo di
studio sulla vita, la opere, il pensiero, le
fonti , la fortuna di BARUCH SPINOZA.
Di tale gruppo, coordinato da F. Mignini,
fanno parte F. Biasutti, G. Saccaro Battisti,
J. Levi, O. Proietti, L. Spruit, G. Totaro.
Oltre a costituire un programma di ricerca
autonomo, il Progetto Spinoza rappresenta
anche il contributo italiano ad un programma internazionale a cui partecipano ricercatori francesi e olandesi. Tale programma
ha come obiettivo la pubblicazione di una
nuova edizione critica integrale delle opere
di Spinoza, indici e concordanze di tutte le
opere, documenti inediti o rari relativi al
filosofo.
Nel quadro di questo progetto, l’attività
degli studiosi italiani si propone le seguenti
finalità: una nuova edizione critica del
Tractatus de intellectus emendatione, con
traduzione italiana a fronte e commento;
una nuova edizione e ricostruzione storica
della genesi e della trasmissione delle
Adnotationes al Tractatus theologicopoliticus; una nuova edizione critica del
Compendium grammatices linguae
hebreae; ricerche sulle fonti averroistiche
ed ebraiche del pensiero spinoziano; ricerche sulla fortuna di Spinoza nel Settecento
italiano; ricerche di archivio ad Amsterdam
sull’ambiente e sulla vita di Spinoza; preparazione di indici e concordanze del
Tractatus de intellectus emendatione,
dell’Epistolario, del Tractatus theologicopoliticus.
Risveglio di interesse per la figura e l’opera
di CESARE BECCARIA, non solo come
giurista - da segnalare una nuova edizione
del Dei delitti e delle pene, a cura di Alberto
Burgio e con la prefazione di Stefano Rodotà
(Feltrinelli, Milano 1991), che ripropone
l’opera nell’edizione critica di Gianni
Francioni - ma anche come economista e
uomo di governo. Si segnalano la pubblicazione di Cesare Beccaria and Modern
Criminal Police (Giuffré, Milano 1991)
atti di un convegno organizzato dal Centro
nazionale di prevenzione e difesa sociale,
dedicato all’influenza di Beccaria sulle
odierne concezioni di politica criminale, e
Cesare Beccaria tra Milano e l’Europa
(Cariplo-Laterza, Milano-Roma-Bari
1991), volume collettivo che porta l’attenzione, fra l’altro, sulla formazione filosofica e sulle teorie economiche di Beccaria.
Da segnalare, infine, nel quadro dell’Edizione nazionale delle opere di Cesare
Beccaria, la pubblicazione dei primi due
volumi degli Atti di governo, a cura Rosalba
Canetta (Mediolanea, Milano 1991).
All’età di novant’anni, il 21 giugno, è scomparso il filosofo e sociologo HENRY
LEFEBVRE. Allievo di Maurice Blondel
negli anni Venti, poi marxista, Lefebvre è
stato l’incarnazione tipica dell’intellettuale engagé. Marx, Hegel, poi Nietzsche i
suoi punti di riferimento. Autore di Le
materialisme dialectique negli anni Trenta, nel 1936 fu tra i fondatori della rivista
L’esprit. Fra i testi più importanti, Critica
della vita quotidiana (del 1947, tradotto in
italiano nel 1961) in cui, ponendo la dimensione della quotidianità come luogo di
nascita e verifica dei criteri dell’indagine
storica e dell’azione politica, critica l’appiattimento, verificatosi negli epigoni degli “annalisti”, dell’una e dell’altra sulla
“micro-storia”, con la rinuncia a trovare
per essa un senso e una logica interpretabili.
Fra le altre sue opere tradotte in italiano,
Sociologia di Marx, La fine della storia.
Ancora due eventi editoriali che hanno per
oggetto la figura e il pensiero di JEANPAUL SARTRE. La sua biografia illustrata viene presentata nella classica serie della
Pléiade da Annie Cohen-Solal: Album
Jean-Paul Sartre (iconografia scelta e commentata, Gallimard, Bibliothèque de la
Pléiade, Parigi 1991), mentre una interessante intervista del filosofo curata da Pierre
Victor, suo ultimo segretario, è proposta
dalle edizioni Verdier di Rieux en Val,
unitamente ad un breve saggio di Benny
Levy: Jean-Paul Sartre. L’espoir
maintenant. Les entretiens de 1980 (JeanPaul Sartre. La speranza adesso. Le interviste del 1980).
Simone de Beauvoir aveva accolto con
molto scetticismo, all’epoca, la lettura di
questa intervista che sembrava in molti
punti sconfessare l’opera e il percorso di
ricerca sartriano: «Ciò di cui Sartre
innanzitutto non si è reso conto - valutava
la Beauvoir - è che Victor l’aveva portato
a rinnegarsi». Giudizio eccessivo, forse,
anche se tra le righe di questi colloqui si
può leggere la sconfessione dell’ateismo,
una riflessione nuova sui fini messianici
del marxismo o dell’ebraismo. Conclusioni che tuttavia non valgono come testamento spirituale di Sartre, che sarebbe
scomparso di lì a poco, quanto piuttosto
come trattazione a due voci, dove viene
fatta salva la differenza tra gli interlocutori,
dei temi morali che erano al centro della
riflessione dell’ultimo Sartre: il rapporto
tra morale e politica, la contraddizione tra
le idee di scacco e di speranza.
All’età di 87 anni è morto a Tubinga il
pedagogo e filosofo OTTO F. BOLLNOW.
Nato a Stettino nel 1903, studiò matematica e fisica prima di dedicarsi alla filosofia.
Come successore di Eduard Spranger, fu
chiamato nel 1953 alla cattedra di filosofia
dell’Università di Tubinga. Il suo impegno
primario fu la correzione della filosofia
dell’esistenza (Existenz-philosophie,
1943), che egli condusse anche attraverso
una critica dell’esi-stenzialismo francese,
arrivando a proporre una immagine dell’uomo, fortemente segnata dall’impegno
verso ciò che per l’uma-nità si rivela come
un possibile positivo.
Poesia, scienza, critica letteraria e mineralogia: gli interessi di ROGER CAILLOIS
attraversano il mare magnum della cultura
e sembrano specchiarsi in una rifrazione
infinita, come certi minerali di quarzo.
Sulla figura di questo intellettuale eclettico, compagno di strada di Bataille, affascinato naturalista alla ricerca della sintassi
delle forme, si concentrano una serie di
eventi culturali. L’Universo di Roger
Caillois è il titolo di un omaggio critico che
ha avuto luogo alla Sorbona a cura di Paul
Verdevoyes, Laurent Jenny e Michel
NOTIZIARIO
Maffesoli. In questa occasione sono stati
trattati i temi del rapporto di Caillois con le
scienze umane, i suoi studi di mineralogia
e la sua attività di appassionato “scrittore
delle pietre”. Due esposizioni hanno dato
forma e raccolto i materiali della sua attività di ricerca, coniugando arte e natura,
accostando i saggi di Caillois ai minerali
raccolti nei suoi viaggi di studio. Si segnala
infine l’uscita nelle librerie di un libro di
interviste a cura di Jeannine Worm,
Entretiens avec Roger Caillois (Interviste
a Roger Caillois, Ed. de la Différence,
Parigi 1991) e l’edizione del carteggio con
Jean Paulhan: Correspondance Jean
Paulhan-Roger Caillois 1934-1967 (Corrispondenza tra J. Paulhan e R. Caillois
1934-1967, “Cahiers Jean Paulhan” n. 6,
Gallimard, Parigi 1991).
Ristabilire il luogo e il ruolo della FILOSOFIA CABALISTICA all’interno della vicenda filosofica occidentale è il non ultimo
intendimento del saggio di Marc-Alain
Ouaknin, Concerto pour quatre consonnes
sans voyelles. Au-delà du principe d’identité
(Concerto per quattro consonanti senza
vocali. Oltre il pricipio d’identità, Balland,
Parigi 1991).
Era stato Blanchot a sottolineare come il
carattere fondamentale del pensiero ebraico fosse l’erranza, l’esigenza di un percorso del sapere che non si chiudesse con il
raggiungimento di una verità stabilita, ma
che facesse valere l’idea del cammino come
movimento giusto verso una verità nomade. La lingua ebraica si scrive senza vocali;
spetta al lettore il compito di ricostruire le
parole accostando le vocali alle consonanti, ricostituendo la pluralità del senso secondo l’ordine variabilissimo delle possibilità. Lo stesso processo - rivela MarcAlain Ouaknin - si rinnova nell’esegesi del
testo. In ebraico «esistono delle consonanti
in attesa di diventare vocali». Soltanto il
nome di Dio non tollera vocali e si sottrae
al gioco infinito dell’interpretazione. Un
viaggio attraverso il linguaggio ed il testo
della Torah, con incursioni nella filosofia
classica e contemporanea, è quello a cui
invita Ouaknin, rifiutando le fissazioni
dogmatiche che hanno voluto separare due
tradizioni culturali che non possono che
arrichirsi nel confronto, «perchè - spiega
l’autore - è nel giusto mezzo delle culture
che nasce la ricchezza».
I filosofi tedeschi prendono posizione riguardo alla questione dell’UNITA’ TEDESCA. L’ “evento epocale” della (ri-)unificazione tedesca deve rappresentare, secondo Rüdiger Bubner (Tubinga), «una provocazione per il pensiero». Bubner prende
spunto dalla recensione di un recente scritto di Jürgen Habermas: Die nacholende
Revolution (La rivoluzione riparatrice,
1990) e da uno di Dieter Henrich: Eine
Repubblik Deutschland (Una repubblica di
Germania, 1990) per difendere il concetto
di nazione (“Philosophische Rundschau”,
n. 38, 1991). Per Bubner i nuovi processi
nell’Europa dell’Est mostrano che il desiderio di libertà non può essere nel concreto
slegato da forme di vita storiche. Sul piano
politico queste forme di vita sono appunto
le nazioni. Se l’autodeterminazione deve
avere un significato politico, deve esserci
un’individualità che determini se stessa.
Bubner propende significativamente in
questo verso la posizione di Henrich. Il
concetto di “patriottismo costituzionale”,
che Habermas ha nuovamente rimesso in
discussione, appare a Bubner come un concetto vuoto.
Non esiste in TURCHIA una filosofia
islamica. Nelle Università turche si può
constatare la presenza di un alto numero di
studentesse e di un ancor più rilevante
numero di donne tra i docenti. E non solo:
una donna siede alla presidenza della Società Filosofica Turca (“Neue Zürcher
Zeitung”, 24 gennaio 1991). Izmir è l’unica
Università della Turchia in cui venga insegnata Filosofia islamica, che tuttavia ha un
carattere prettamente storico-filosofico e
tratta in particolare l’epoca d’oro del pensiero islamico, cioè filosofi come Ibn Sina
(Avicenna) e Ibn Ruschd (Averroè). Difficile trovare in questo un interesse
apologetico, quanto la prova dell’esistenza
di una genuina filosofia islamica all’interno del sistema odierno del pensiero. Per il
resto la filosofia viene insegnata in Turchia
esattamente come da noi. Molti docenti di
oggi hanno studiato in Europa o in America, o si sono formati presso i tanti docenti
turchi che hanno compiuto i loro studi
all’estero. Vi fu un periodo che in Turchia
insegnavano anche professori stranieri,
come fu il caso di Joachim Ritter (19531955). In ogni modo una “filosofia islamica”
che si occupi specificatamente dei problemi teologici dell’islamismo non rappresenta un particolare interesse per i filosfi
turchi: il loro impegno filosofico è assorbito piuttosto dalla teoria dei diritti dell’uomo.
WOLFGANG WELSCH (Bamberga) ha
pubblicato una raccolta di saggi con il
titolo: Ästhetisches Denken (Pensiero estetico, Reclam, Stuttgart 1990). Il significato
attuale del pensiero estetico è per Welsch
risultato di quella tradizione inaugurata da
Kant, che vede la realtà sempre più come
immaginaria, “estetica”. L’estetica viene
conseguentemente compresa facendo ricorso al concetto aristotelico di aisthetica,
in quanto tematizzazione di percezioni di
ogni tipo. La condizione elmentare dell’estetico è dunque la capacità di percezione, vale a dire al contempo capacità di
sentimento e di giudizio. Welsch vede il
pensiero estetico soprattutto all’opera nei
pensatori “postmoderni”. Come concetto
opposto egli utilizza quello di “anestetica”,
mancanza di sentimento, a cui mira la cosiddetta moderna “società della cultura”.
La svolta presa dalla rivista DEUTSCHE
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHIE di
Berlino Est è un chiaro indizio del profondo cambiamento in atto nella ex-DDR,
nonché dei molti problemi che un tale cambiamento ha causato in campo culturale.
Fondata nel 1953 da un gruppo di eminenti
filosofi, Arthur Baumgartner, Ernst Bloch,
Wolfgang Harich e Karl Schröter, negli
anni dello stalinismo la rivista venne risucchiata sempre di più dalla propaganda ufficiale della filosofia marxista-leninista, divenendo “organo di pubblicazione” del
SED, che con le sue istituzioni e i suoi
membri finì con il condizionare considerevolmente la struttura della rivista. A molti
collaboratori indesiderati, non conformi alla
linea ufficiale della rivista, fu vietato di
pubblicare, se non addirittura di esercitare
la loro professione intellettuale, o, come
nel caso di Harich, primo direttore della
rivista, costretto nel 1956 a essere internato
per più anni in un reclusorio. Tra questi
“esclusi” sono da annoverare anche HansPeter Krüger, che già negli anni ’70 faceva
parte di un gruppo di opposizione all’interno del partito e che oggi è stato riabilitato
come direttore dell’Istituto centrale dell’allora Accademia delle Scienze della
DDR, Peter Ruben, che agli inizi degli anni
’80 fu politicamente “messo al fresco”, e
Camilla Warnke, che solo grazie a una
massiccia protesta dei colleghi occidentali
potè godere di un minimo di esistenza
intellettuale tra gli storici. L’originaria
ampiezza che nella sua fase iniziale aveva
caratterizzato la “Deutsche Zeitschrift”,
grazie anche al contributo di Bloch e Lukács,
andò sempre più perdendosi negli anni
successivi. Con il condizionamento dogmatico subentrò allora una quasi totale
chiusura nei confronti degli sviluppi di
pensiero e della produzione letteraria filosofica internazionale, in particolare tedesco-occidentale. I recenti rivolgimenti nella parte orientale della Germania hanno ora
codotto la rivista a una svolta: nel novembre 1989 un gruppo di giovani e impegnati
redattori si è sostituito, non senza difficoltà, ai membri del vecchio collegio direttivo,
tra i quali Erich Hahn, Alfred Kosing,
Wolfgang Eichhorn, Herbert Hörz, Manfred
Buhr. Da allora la rivista si è progressivamente trasformata da un organo dell’ideologia marxista-leninista a rivista specialistica di settore, con intendimenti di indipendenza e di pluralismo teoretico, aperto
a posizioni controverse. Questa
trsformazione è stata così repentina che
l’odierna “Deutsche Zeitschrift” nella sua
ultima veste editoriale corrisponde già allo
standard occidentale.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
ARCHIV FÜR GESHICHTE DER
PHILOSOPHIE
Vol. 72, n.3/1990
Walter de Gruyter, Berlin
Über die Reception eines aristotelischen
Begriffes bei Thomas von Aquin, di K.
Hedwig: il concetto aristotelico di alter
ipse e l’originale ricezione medievale che
esso ha avuto, con particolare riferimento a
S. Tommaso.
Giordano Bruno, Matthias Aquarius und
die eklektische Scholastik, di P. R. Blum:
tradizionalmente Giordano Bruno appare
come il filosofo platonico, seguace di
Raimondo Lullo, polemico nei confronti
dell’aristotelismo e della scolastica. Ma,
prendendo spunto dalle tesi di Charles
Schmitt, Bruno si lascia piuttosto definire,
pur tra molte cautele, uno scolastico eclettico, la cui filosofia muove da metodi e
problemi della scolastica. Un’ipotesi da
verificare attraverso la considerazione del
pensiero del domenicano Aquarius.
Berkeley’s philosophy of geometry, di D.
Jesseph: la riflessione di Berkeley sulla
filosofia della geometria appare come un
caso emblematico delle difficoltà dell’applicazione dell’epistemologia empiristica
alla conoscenza matematica.
Thomas von Aquin Lehre von der Liebe als
menschlicher Grundleidenschaft, di P.
Oesterreich.
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE
FORSCHUNG
Vol. 44, n. 3/1990
Klostermann, Frankfurt a/M
“Das Wort sie sollen lassen stahn”. Zur
edition und Interpretation philosophischer
Texte, erläutert am Beispiel Kants, di R.
Brandt.
Teleologie: chance oder Belastung für die
Philosophie, di J.E. Pleines: l’argomentazione teleologica ed il suo significato per la
filosofia attraverso Kant, Goethe, Schelling,
Hegel, Aristotele.
Schellings metaphysikkritische Sprachphilosophie, di H. Rosenau.
Moral und Verwirklichung, di P. Kleingeld:
riflessione su alcuni temi della Critica della ragion pratica e sul suo nesso con la
filosofia della storia kantiana.
Philosophische Überlegungen zu
“Menschenwürde” und FortpflanzungsMedizin, di B. Schöne-Seifert.
THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE
66, n.1/91
Herder Verlag, Freiburg, Basel, Wien
Die französischen Minoritätsbischöfe auf
dem 1. Vatikanum, di K. Schatz.
REVUE DE METAPHYSIQUE
ET DE MORALE
Anno 95, n.4, ottobre/dicembre 1990
A. Colin, Paris
Tema monografico della rivista: la guerra.
“Charisma” Versuch einer Sprachregelung, di N. Baumert: il termine “Charisma” nella teologia: cenni allo sviluppo
semantico dalla grecità al XVII secolo ed il
rapporto con le questioni teologiche.
Moore-Sätze,
Regelfolgen
und
antiskeptische Strategien in Wittgensteins
Über Gewissheit, di H. Lauterbach.
Zur Krise der Mystagogie in der alten
Kirche, di C. Jacob.
dello spirito profondo della sua opera.
Réflexions sur l’idée de la guerre dans la
philosophie présocratique, di J. Freund:
rassegna del pensiero presocratico sulla
guerra, includendo tra i presocratci anche i
sofisti.
Le partage des philosophes, di P. Soulez.
Relativité et quanta: leurs mutuelles
exigenses et les corrélations d’EinsteinPodolsky-Rosen, di O. Costa de Beauregard.
REVUE DE METAPHYSIQUE
ET DE MORALE
Anno 95, n.1, gennaio/marzo 1991
A. Colin, Paris
Tema della rivista é il libro di J. L. Marion:
Réduction et donation. Recherches sur
Husserl-Heidegger et la phénoménologie
(Paris, PUF 1990), a cui sono dedicati i
seguenti articoli: Quatre principes de la
phénoménologie, di M. Henry; L’Appel et
le Phénomène, di F. Laruelle;
L’herméneutique dans la “phénoménologie comme telle”, di J. Greisch; Rèponses à
quelques questions, di J. L. Marion; Le
sujet en dernier appel, di J. L. Marion.
Les causes de la mort, di B. Saint-Sernin:
recensione di A. Fagot-Largeault: Les causes de la mort. Histoire naturelle et facteurs de risque (Paris/Lyon, Institut interdisciplinaire d’études épistémologiques
1989).
Complication et singularité, di C. Frémont:
recensione di G. Deleuze: Le pli (Paris, Ed
de Minuit 1989).
Le stratège militaire, di L. Poirier.
Le droit de l’etat et le devoir de l’individu,
di O. Pfersmann: la questione etica ed il
problema della guerra nucleare; la necessità di estendere il regime democratico.
Clausewitz ou l’oeuvre inachevée: l’esprit
de la guerre, di A. Philonenko: l’opera
sistematica di Clausewitz si colloca all’interno della cultura dell’idealismo: esame
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
ottobre/dicembre 1990
PUF, Paris
Tema della rivista: psicologia e filosofia.
Le problème de l’intentionalité de la conscience:”vécu intentionnel” ou “esse in-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
tentionale”?, di L. Millet: le analisi di
Husserl sull’intenzionalità della coscienza.
Une approche profane de la psycologie
clinique, di M. Jouhaud.
Le corp comme étranger intime, di F.
Rouger: il corpo rappresenta una sorta di
Crux phenomenologica e le difficoltà circa
un’esatta interpretazione della corporeità
emergono in Husserl anche a livello lessicale; sia nella teoria dell’esistenza, sia nell’analitica del Dasein, neppure Heidegger
prende in considerazione il fatto dell’esistenza corporea. A partire da queste difficoltà viene esaminata la molteplicità delle
dimensioni ontologiche del corpo , il concetto di corpo trascendentale e la sua apertura al mondo.
Tema monografico della rivista: Descartes,
Spinoza, Leibniz.
Les sens trompeurs. Usage cartésien d’un
motif sceptique, di J.P. Cavaillé: Cartesio e
le argomentazioni scettiche sui sensi ingannatori; l’utilizzo delle armi scettiche
per criticare lo scetticismo stesso.
L’habitude, activité fondatrice de
l’existence actuelle dans la philosophie de
Spinoza, di L. Bove.
La substance composée chez Leibniz, di J.
F. Chazerans.
La Phénoménologie aujourd’hui, di A.
Himy: questioni di fenomenologia in M.
Henry, Phénoménologie matérielle (PUF,
Paris 1990).
La fausse reconnaissance, le pressentiment
et l’inquiétante étrangeté, di A. Vinson:
Freud, Bergson e la concezione del presentimento.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
Jan Patocka, critique de Husserl, di J.
Sivak: una lettura metafisica della fenomenologia husserliana.
Tema della rivista: caos, filosofia, mitologia.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
gennaio/marzo 1991
PUF, Paris
Tema della rivista: fenomenologia e psicologia cognitiva.
Husserl et les sciences cognitives, di H. L.
Dreyfus: lo sviluppo della teoria dell’intenzionalità e l’anticipazione husserliana
della psicologia cognitiva; il solipsismo
metodologico come preludio all’intelligenza artificiale.
n.2, aprile/giugno 1991
La philosophie du chaos, di A. Boutot:
principi della teoria moderna del caos nelle
sue implicazioni epistemologiche e filosofiche.
Philosophie et mythologie dans la dernière
philosophie de Schelling, di M.
Maesschalck.
Traduction nouvelle des Meditationes de
Descartes, di J.L. Chedu: la nuova edizione delle Meditationes de prima philosophia (1641), curata da M. Beyssade (Paris,
Le livre de poche 1990).
Husserl et la théorie représentationelle de
l’esprit, di R. Mc Intyre: recensione critica
del libro di H.L. Dreyfus: Husserl,
intentionality and cognitive Science
(Cambridge, A. Bradford Book 1982).
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
L’épiphénoménologie de Husserl , di H.L.
Dreyfus: risposta al precedente articolo di
Mc Intyre.
L’horizon philosophique de Pierre
Charron, di M. Adam.
Le concept husserlien de noème, di R.
Bernet.
Quelques remarques sur la lecture cognitiviste de Husserl, di E. Rigal.
n.3, luglio/settembre 1991
Tema della rivista: Charron, Pascal, Huet.
Pascal critique des philosophes, Pascal
philosophe, di H. Bouchilloux: qual’é il
rapporto tra Pascal e la filosofia? E’ possibile individuare, nella molteplicità di interessi, scientifici, apologetici, teologici, che
animano i Pensieri, una riflessione propriamente filosofica , critica più che sistematica?
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
Descartes censuré par Huet, di G. Malbreil.
n.1, gennaio/marzo 1991
P.U.F., Paris
Phrases nominales énonciatives et phrases
verbales, di G. Stahl.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LOUVAIN
Vol.89, Febbraio ’91
L’institut supérieur de philosophie
Louvain La Neuve
Gli articoli di questo numero sono il risultato di un progetto, promosso e voluto dal
presidente dell’Institut supérieur de philosophie, Jean Ladrière, centrato sul tema:
“critique du modèle industiel de développement”; questo progetto si é sviluppato
attraverso seminari, ricerche, incontri tra il
1986 ed il 1989 che approdano ora alla
rivista: la prima parte é dedicata al tema
della società industriale, la seconda al tema
della società moderna.
De la critique de la société indistrielle à la
critique de la modernité,di J. Landrière: le
motivazioni che hanno ispirato la tematica
in oggetto, il “modello industrial”, la prospettiva filosofica relativa a questo tema.
Le modèle industriel comme modèle énergétique, di A. Berten:
natura e tecnologia della società industriale.
Maîtrise, marchéet societé industrielle, di
P. Van Parijs: le modalità economiche connesse alla societa industriale.
La critique du modèle industriel comme
histoire de la rareté, di H. Achterhuis; Le
genre vernaculaire ou la nostalgie de la
traditions, di A. Berten: entrambi questi
articoli sono dedicati al pensiero di Ivan
Illich, uno dei critici più radicali della società industriale.
Modernité et postmodernité: un enjeu politique, di A. Berten: il dibattito relativo alla
modernità ed alla postmodernità nella filosofia attuale.
La pensée de Rawls face au défi communautarien, di P. Ireogbu; Au-delà de la
critique communautarien du libéralisme?
Da Alasdair MacIntyre à Stanley
Hauerwas, di J Van Gerwen; L’être de
l’humain. Notes sur la tradition communautarienne, di J.M. Chaumont: questi tre
articoli fanno il punto sulla critica della
società moderna, quale proviene dai pensatori “communautariens” contemporanei.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE
LOUVAIN
Vol. 89, maggio 1991
L’institut supérieur de philosophie
Louvain La Neuve
La transformation de la philosophie de
Platon dans le “Prologos” d’Albinus, di A.
B. Netschke-Hentschke: l’introduzione ai
dialoghi platonici di Albinus testimonia
una solida interpretazione sistematica, se-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
condo la quale i dialoghi platonici sarebbero fonte di un insegnamento completo che
tende a Dio come fine supremo.
Essai sur le développement historique de la
voie phénoménologique, di M.
Maesschalck: la fenomenologia posthusserliana e il ritorno di Merleau-Ponty a una
posizione metafisica della coscienza.
L’inspiration aristotélicienne de la
métaphysique de Bergson, di R. Waszkinel:
lo scritto di Bergson dal titolo Quid
Aristoteles de loco senserit é fondamentale
per comprendere il punto centrale della
metafisica positiva bergsoniana, cioé la
questione del tempo come durée réelle.
Bibliographie de Paul Ricoeur (19851990), di F. Vansina.
L’actualité de la pensée politique hégélienne selon Henri Denis, di G. Gerard:
recensione di H. Denis: Hegel penseur politique (Lousanne, l’Age d’Homme 1989).
La critique du langage comme éthique philosophique. A propos d’un livre récent, di
M. Maesschalck: recensione di J. P. SaintFleur: Logiques de la représentation: Essai
d’épistémologie wittgensteinienne
(Louvain-La-Neuve, Academia 1988).
Travaux récents sur la pensée du XIII siècle, di F. Van Steenberghen.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 54, n. 2, aprile/giugno ’91
Beauchesne, Paris
Du libre arbitre selon S. Thomas D’Aquin,
di M. Corbin: due definizioni di libertà,
inconciliabili tra di loro, hanno dato forse
origine alle posteriori divisioni della Chiesa; in accordo con la Patristica e la teologia,
libertà é il solo potere di dire sì a Dio; in
accordo con Aristotele ed il razionalismo la
libertà é facoltà indifferente al sì ed al no.
Le temps du souffrir. Remarques critiques
sur la phénoménologie de Michel Henry, di
J. Porée.
L’esthétique de John Dewey et le contexte
urbain, di W. J. Gavin: i differenti aspetti
della nozione di “contesto”, riferita a
Dewey; la biografia del filosofo, considerata con particolare attenzione al passaggio
da un contesto agricolo (Vermont) ad uno
urbano (New York); la filosofia di Dewey
come riflessione critica sulle preoccupazioni ed i valori di una comunità specifica;
le concezioni di Dewey applicate a “la città
come contesto” e le nozioni di spazio e
tempo.
Verbum-Signum. La définition du langage
chez S. Augustin et Nicolas de Cues, di J.
Hennigfeld: già nella filosofia greca sul
linguaggio era presente il conflitto tra naturalità ed arbitrarietà del rapporto tra parole
e cose; S. Agostino, la cui posizione é
emblematica dell’atteggiamento medievale sul problema del linguaggio, eredita tale
conflitto e vede da un lato la parola umana
come puro segno che non contribuisce alla
conoscenza delle cose, dall’altro la produzione del linguaggio interiore come fonte
della più alta immagine della Trinità divina
e del Verbum Dei. Cusano nel suo scritto
Idiota de mente giunge ad una sintesi di
questa dualità.
Le kantisme de la théorie cantorienne de
l’infini, di A. Bachta: il legame CantorKant a proposito della definizione delle
condizioni di possibilità ed esistenza dell’infinito.
concept of authenticity, di D. BertholdBond: una delle questioni centrali di Essere
e Tempo, questione oscura e lungamente
dibattuta fra gli studiosi, é costituita dal
rapporto tra essere inautentico ed essere
autentico. Questo problema viene qui rivisitato alla luce del pensiero di Kierkegaard
in una chiave di lettura heideggeriana.
Kant’s first analogy revisited, di G.E.
Buessen: quest’importante argomentazione della Critica della ragion pura kantiana
viene riesaminata al fine di dimostrare,
contrariamente ai recenti esiti della critica,
che tale argomentazione non risulta nè confusa, nè incompleta, come generalmente si
crede.
Prudence and providence: on Hobbes’s
theory of practical reason, di A.S. Hance.
Nelle pagine finali della rivista figura il
“Bollettino di studi hobbessiano” per il
1989.
From philosophy to politics:on Nietzsche
‘s ironic metaphysics of will to power, di E.
Parens: il pensiero politico di Nietzsche e il
legame essenziale con la sua filosofia a
partire da Al di là del bene e del male.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
To tell a good tale: kierkegaardian reflections on moral narrative and moral truth,
di J.S. Turner.
n. 175, 4/’90 e n. 176, 1/’91
Universa, Wetteren
Questi due fascicoli della rivista contengono una serie di articoli dedicati alla Critica
del giudizio (1790-1990).
La réflexion dans l’ésthétique kantienne, di
J. F. Lyotard; Kants “Reflexionen zur
Ästhetik”. Zur Werkgeschichte der “Kritik
der ästhetischen Urteilkraft”, di M. Frank;
Nomologie et anomie: lecture de deux antinomies, di V. Zanetti; Quelques remarques sur la composition de la Dialectique
de la faculté de juger téléologique, di J.
Kopper; Nature’ song, di J. Sallis; Aesthetic
liberalism: Kant and the ethics of modernity,
di A.J. Cascardi: la funzione etica dell’arte
a partire da un ripensamento della categoria di “liberalismo estetico” che Kant fonda
nella Critica del Giudizio in contrasto con
i convenzionali tentativi dell’estetismo liberale di stabilire il valore della letteratura
e delle arti; Kant, community and the evil
poem, di S. Kemal: la relazione tra soggetto
e comunità nel giudizio estetico da un punto di vista morale; Kants Logik der
Synthesis, di G. Funke; Kant und
Wittgenstein, di C. Stetter; Der Übergang
vom Bestimmt-Bestimmenden zum freien
Schema in Kants Kritik der Urteilskraft, di
F. Kaulbach.
MAN AND WORLD
Vol.24, n.2, aprile ’91
Dordrecht, Boston, London
Kluwer Academic Publishers
A kierkegaardian critique of Heidegger’s
Ist die Naturphilosophie eine abgelegte
Gestalt des modernen Geistes?, di R.
Wahsner: la filosofia della natura ha ancor
oggi un senso?
The other comes to teach me: a review of
recent Levinas publications, di R. Gibbs:
recenti pubblicazioni in lingua inglese di
antologie di Lévinas.
J.B.S.P.
Vol 22, n. 2, maggio ’91
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: psicoanalisi, emozione
e mito.
Phenommenology and psychoanalysis: the
hermeneutical mediation, di R. Sundara
Rajan: l’ermeneutica come possibile medium tra fenomenologia e psicoanalisi. La
referenza fenomenologica come modo per
descrivere l’esperienza psicoanalitica di
essere nel mondo; l’analogia tra le libere
associazioni della psicoanalisi e la riduzione fenomenologica; l’”epoché psicoanalitica”. Accanto a queste analogie, vengono
anche riscontrati elementi di differenza, in
particolare nel concetto di riflessione.
Governance by emotion, di R. T. Allen:
l’importanza dell’emozione nell’agire umano. La proposta di una versione modificata della tavola di Stephen Strasser sulla
relazione tra azione ed emozione.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Husserl and Hume: overcoming scepticism?, di R. T. Murphy.
Heidegger and myth: a loop in the history
of Being, di L. J. Hatab: le connessioni tra
il pensiero post-filosofico di Heidegger ed
il mito pre-filosofico greco.
Heraclitus: Heidegger’s 1944 lecture held
at Freiburg University, di M. S. Frings: il
recupero heideggeriano del fondamento della logica nel pensiero presocratico.
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
Vol. XXIX, n. 1, gennaio ’91
Washington University, St. Louis
THe intelligible world-animal in Plato’s
Timaeus, di R. D. Parry.
Spontaneity and the generation of rational
beings in Leibniz’s theory of biological
reproduction, di D. C. Founke.
Moral imagination, objectivity and practical wisdom, di J. Jacobs: immaginazione
morale nella letteratura e nella filosofia
contemporanea.
Eliminative materialism and substantive
commitments, di M. T. Nelson.
Nietzsche’s use of atheism, di R.A. Roth:
benchè l’immagine di un Nietzsche sostenitore dell’ateismo venga generalmente accolta, é tuttavia innegabile il suo profondo
interesse per la religione. Per comprendere
questa apparente contraddizione occorre
compiere una reinterpretazione dell’ateismo nietzscheano tenendo presente il contesto in cui si sviluppa il suo pensiero,
delineando accuratamente la differenza tra
morte di Dio ed ateismo, esaminando le sue
dichiarazioni di ateismo alla luce dell’ateismo nella storia della filosofia, con particolare riguardo a Schopenhauer.
Kierkegaardian transitions: paradox and
pathos, di M. J. Ferreira.
Corpuscles, mechanism and essentialism
in Berkeley and Locke, di M. Atherton: le
posizioni contraddittorie che emergono all’interno delle opere dei due filosofi a proposito del meccanicismo corpuscolare.
Deconstructing Lonergan, di R. H.
McKinney.
John Stuart Mill on induction and
Hypotheses, di S. Jacobs: seguendo un cammino opposto a quello della maggior parte
degli studiosi, l’articolo vuole tentare un
recupero accurato delle oscillazioni interne
all’opera di Stuart Mill a proposito dei
metodi scientifici. E’ opinione comune che
Mill sia, da un punto di vista epistemologico, un induttivista. Ma la sua visione della
natura sembra piuttosto fondarsi sul concetto di ipotesi come origine delle leggi
scientifiche.
Reply to Chmielewski: cooperation by definition, di D. Gordon: replica all’articolo
di P. J. Chmielewski, Economic partecipation: the discours of work (“International
philosophical quarterly”, XXX, 1990, pp
331-342).
Hume’s “Of miracles”, Peirce and the
balancing of likelihoods, di K.R. Merrill: il
metodo humeano come applicazione del
calcolo delle probabilità e l’avversione di
Peirce al metodo di Hume.
INTERNATIONAL
PHILOSOPHICAL QUARTERLY
Vol. XXXI, n. 1, marzo ’91
Fordham University, New York
Kant, teleology and sexual ethics, di V.M.
Cooke: il ruolo della dottrina delle teleologia per l’etica kantiana e le implicazioni di
etica sessuale.
The postmodern flavor of Blondel’s method, di F. Long: le tematiche postmoderne
presenti nell’opera di Blondel; il problema
della percezione dell’ermeneutica postkantiana; la questione sul luogo del Sè; la
sfida della vita umana di fronte alla scienza
contemporanea.
possibili punti di incontro tra la dottrina
della causalità di Aristotele e quella dell’indiano Sankara.
Habermas on Heidegger’s Being and Time,
di R. C. Scharff.
How is philosophy possible?, di T. W.
Schick: in polemica con le tesi di Rorty
circa l’impossibilità della filosofia speculativa, l’articolo vuole dimostrarne la possibilità come visione coerente e comprensiva del mondo.
Reply to Davies: creation and existence, di
W. F. Vallicella: replica a B. Davies, Does
God create existence? (comparso nella medesima rivista XXX/1990, pp. 151-157).
Reply to Gordon: discourse at work, di P.
S. Chmielewski: replica agli interventi di
D. Gordon comparsi sulla medesima rivista (XXX/1990, pp. 331-342 e XXXI/1991,
pp. 105-108).
Reply to Vallicella: Heidegger and idealism, di Q. Smith: replica ad una serie di
interventi di Vallicella comparsi su questa
ed altre riviste su Heidegger.
Reply to McKinney on Lonergan: a deconstruction, di J. L. Marsch.
INTERNATIONAL
PHILOSOPHICAL QUARTERLY
Vol. XXXI, n. 2, giugno ’91
Fordham University, New York
Charles S. Peirce’s theory of infinitesimals, di H. Levy.
Sartre and political legitimacy, di P. Knee:
una riflessione sul pensiero politico maturo
di Sartre; anarchismo, al di là di qualsiasi
riferimento di ordine storico, é forse il
termine migliore per definire la sua riflessione politica, sia prebellica, sia postbellica, quando l’influenza sartriana é ben presente negli slogans studenteschi del 1968.
Two varieties of temperance in the Gorgias,
di H. J. Curzer: un’interpretazione di Gorgia
506 c-509 c a proposito della distinzione tra
temperanza con saggezza e temperanza
senza saggezza.
Kant’s Apotheosis of Genius, di T. S. Quinn:
la dottrina del genio in Kant, nel suo rapporto con la teoria del gusto, ed il confronto
con Schiller.
Causality: Sankara and Aristotle, di M.
Dhavamony: divergenze, convergenze e
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXII, n. 2-3, aprile/settembre ’90
Vita e Pensiero, Milano
I metodi della metafisica platonico-accademica “generalizzante” ed “elementarizzante nei libri “M” e “N” della Metafisica
di Aristotele, di E. Cattanei.
Giustino martire, il primo platonico cristiano, di G. Girgenti: tradizionalmente si
suole far cominciare la filosofia cristiana
con Giustino, il primo che tenta di giustificare la fede anche in maniera razionale.
Figlio dell’intreccio di quest’epoca tra pensiero greco, mondo romano, religione giudaica e cristiana, egli approda al Cristianesimo facendo tesoro dei complessi motivi
culturali che animano il suo tempo e che
trovano risonanza nel Dialogo con Trifone,
opera a cui Giustino affida il racconto del
suo itinerario filosofico. A quest’ultimo
aspetto é dedicata l’analisi di questo articolo, che propone anche un’attenta disamina
delle posizioni degli studiosi in proposito.
La dignità dell’uomo da Kant ad Hegel, di
M. Paolinelli: l’interrogazione sulla
Bestimmung dell’uomo presente nella riflessione di Kant, Fichte ed Hegel; il tratto
comune é rappresentato proprio dalla convinzione che la filosofia, attraverso l’individuazione di tale Bestimmung, colga il
senso della dignità umana.
Le relazioni divine secondo S. Tommaso
D’Aquino. Riproposizione di un problema
RASSEGNA DELLE RIVISTE
e prospettive di indagine, di G. Ventimiglia:
l’articolo si propone, alla luce di un confronto diretto con i testi del filosofo, di
mostrare l’inadeguatezza degli studi sulle
relazioni divine in S. Tommaso.
Ateismo e società, di F. Rossi: resoconto
del IX Congresso di studi di filosofia della
religione in Italia dal titolo Ateismo e società, svoltosi a Perugia 3-5 Ottobre 1990.
zo (Adelphi, Milano 1988).
La mediterraneità del filosofare, di S.
Buscaroli.
La ricerca nel campo delle scienze pedagogiche, di G. Giugni.
LA RAGIONE POSSIBILE
La seconda parte del fascicolo é dedicata ad
una serie di scritti che ricostruiscono il
pensiero neoscolastico italiano e vuole essere anche un omaggio alle figure di G.
Bontadini e S. Vanni Rovighi recentemente scomparsi.
La disputa sulle origini della neoscolastica
italiana. Salvatore Roselli, Vincenzo
Buzzetti e Gaetano Sanseverino, di H.M.
Schmidinger; La neoscolastica italiana dalle sue prime manifestazioni all’enciclica
Aeterni Patris, di G. F. Rossi; I centri
tomisti a Roma , Napoli, Perugia, ecc., di
H.M. Schmidinger; La neoscolastica italiana, di A. Molinaro, Giuseppe Zamboni,
di A. Pertoldi; Gemelli- Olgiati, di G.
Cenacchi; Umberto Padovani, di A. Bonetti;
Gustavo Bontadini, di V. Melchiorre; Sofia
Vanni Rovighi, di M. Sina
Cornelio Fabro, di A. Pieretti.
Anno I, n. 2, dicembre 1990
Bagatto Libri, Roma
Tema di questo fascicolo: tempo della natura, tempo della storia.
Il “sogno di una cosa”. Riflessioni intorno
alla filosofia della storia, di D. Ferreri:
riflessione sull’attuale statuto della filosofia della storia attraverso un’analisi di tipo
“archeologico”.
Il linguaggio tragico della storia in Hölderlin, di P. Vinci: la tematica della filosofia
della storia in Hölderlin dall’Iperione ai
grandi inni.
Note sulla filosofia della natura e della
storia in Schelling e Hegel, di R. Finelli.
La concezione comptiana della storia e la
biologia dell’800, di S. Mariani.
tà, di E. Berti; La verità sotto condizione, di
S. Natoli; Il vero, il falso, l’insignificante,
di R. Thom; Il vero ed il falso: ossia il
probabile, di I. Scardovi; Il vero ed il falso.
Filosofare dopo Hegel e Marx, di D.
Losurdo; La verità come categoria fondamentale della filosofia, di V. Hoesle; Vero
e falso nella scienza, di M. Ageno; Vero,
falso e surrogati, di F. Barone; La verità
come consenso, di K.O. Apel; Il vero ed il
falso. Logiche del consenso e del dissenso,
di R. Bodei; La “verità” nella prospettiva
delle scienze naturali, di E. Bellone; La
“verità” nella prospettiva della storia della scienza, di P. Rossi; Il vero ed il falso, di
U. Galimberti; Di una triplice “navigazione” alla verità, di A. Poppi.
La leva di Archimede e il fantasma di
Platone, di V. Meattini: il concetto di verità
nel pensiero di Rorty.
Appunti sul rapporto filosofia-scienza, di
G. De Crescenzo: la concezione evoluzionistica della conoscenza scientifica.
RIVISTA DI ESTETICA
Anno XXX, n. 34/35, 1990
Rosemberg & Sellier, Torino
Tema della rivista: “Romanticismo e filosofia”.
Paradigmi e capricci, di G. Iorio Giannoli.
IL CONTRIBUTO
Anno XV, n. 2, aprile/giugno 1991
Editoriale B.M. Italiana, Roma
Il postmoderno nella filosofia italiana oggi, di P. A. Rovatti.
Nichilismo come cifra del moderno? Le
tradizioni alternative, di E. Berti: la scuola
di pensiero dominante nel panorama filosofico contemporaneo farebbe capo al nichilismo postmoderno di origine nietzscheana e heideggeriana; tenendo presente l’ambito della filosofia pratica, l’articolo si propone di individuare un’alternativa al nichilismo postmoderno nella tradizione aristotelica che nel corso della seconda metà del nostro secolo é fiorita in Europa ed in America.
Fenomenologia e psicologia: il corpo, di
C. Gambacorta: a partire da un articolato
confronto delle relazioni che sia in campo
filosofico, sia in campo psicologico e psichiatrico, sono state messe in luce tra la
fenomenologia di Husserl e la moderna
psicologia, viene esaminata la tematica del
corpo vissuto nella riflessione di MerleauPonty.
Idea della metafisica, di F. Bazzani: recensione di A. Laganà: Idea della metafisica
(Gangemi, Roma-Reggio Calabria 1990).
Romanzo e modernità, di C. Tugnoli: recensione di M. Kundera: L’arte del roman-
Appunti sulle “Lezioni” rodaniane, di L.
Lattarulo: rensione di F. Rodano, Lezioni
su servo e signore (Editori Riuniti, Roma
1990).
Natura del servo, natura del signore, di L.
De Fiore: riflessione sul testo di F. Rodano
sopracitato e su quello di C. Napoleoni,
Cercate ancora (Editori Riuniti, Roma
1990).
Note di viaggio verso la Turingia, di M.
Riedel (1989).
NUOVA CIVILTA’
DELLE MACCHINE
Anno IX, n. 2, 1991
Nuova ERI, Roma
Questo numero della rivista contiene gli
interventi del convegno sul tema: Il vero ed
il falso: filosofare oggi, svoltosi all’interno
del decimo ciclo di conferenze dal titolo:
“Cosa fanno i filosofi oggi?”, ( Cattolica
1989). Del problema dell’attualità del metodo della quaestio per la discussione filosofica odierna si sono occupati i seguenti
articoli: Il dogma del divenire e la fine della
verità, di E. Severino; Prometeo e Sisifo, di
H.G. Gadamer; La concezione logica del
vero e del falso, di M. L. Della Chiara; Il
vero ed il falso nella prospettiva dello
psicologo, di P. Bozzi; Vero, falso e liber-
Frühromantik, ermeneutica, decostruzionismo, di H. G. Gadamer: sul rapporto
Gadamer-Derrida.
Grazia e spirito creatore in Schiller, di E.
Franzini.
L’estetica di Schleiermacher e il romanticismo, di P. D’Angelo: la tesi, di origine
diltheyana, secondo cui Schleiermacher sarebbe il filosofo dell’estetica della Romantik
appare oggi decisamente problematica, anche alla luce delle considerazioni di Wellek
che, proprio a partire da presupposti
diltheyani, mette in luce la scomparsa di
motivi romantici nelle sue tarde lezioni di
estetica. La proposta dell’articolo non é
tuttavia quella di contrapporre rigidamente
ad un giovane Schleiermacher “romantico” un maturo Schleiermacher “sistematico”, quanto piuttosto problematizzare in
senso teorico e storico sia l’estetica di
Schleiermacher, sia l’estetica romantica,
un’estetica che ha il suo proprio valore
nella tensione alla sistematicità che la caratterizza. Soltanto evitando di considerare
l’estetica di Schleiermacher come l’estetica del romanticismo é possibile procedere
ad una revisione dell’originalità della sua
proposta.
Anima e destino nella “simbolica del sogno” di G. H. Schubert, di C. Sandrin.
Metafora e realtà in Friedrich Schlegel:
verso una “simbolica” elementare, di F.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Cuniberto.
Sistematica estetica: la casa, il libro, di P.
Kobau: l’elaborazione kantiana della moderna nozione di sistema non ha soltanto
delle valenze filosofiche, ma apre anche
delle prospettive storico-sociali, ancor più
evidenti se si pensa al primo movimento
romantico; la sistematicità di tipo critico e
progressivo proposta da Kant implica un’importante apertura della filosofia al dibattito critico-letterario. E’ in quest’ottica
che si può cogliere il trapasso da un’estetica come filosofia del bello, quale si dà nella
terza Critica kantiana, ad un’estetica come
filosofia dell’arte, sviluppata storicamente.
Il “Signore delle Potenze”. Compimento e
crisi del romanticismo tedesco nell’ultimo
Schelling e in Bachofen, di G. Moretti.
Palingenesi e mito in Friedrich Hölderlin,
di M. Cometa: le suggestioni herderiane
che alimentano la poesia di Hölderlin.
Liturgie del linguaggio poetico. Pietismo e
misticismo biblico nella formazione lirica
del giovane Hölderlin, di R. Ruschi: una
ricostruzione dei presupposti storicosociali, culturali e religiosi che stanno alla
base non solo delle primissime composizioni poetiche di Hölderlin, ma dell’intera
opera letteraria del poeta.
AESTHETICA
30, dicembre 1990
Centro Internazionale Studi di Estetica
Il presente volume porta come titolo: Pensare l’arte e prende occasione dall’omonimo seminario, tenutosi a Palermo, dal 14 al
15 Dicembre 1990, promosso dal Centro
Internazionale di Studi di Estetica nel decennale della sua fondazione.
Estetica e filosofia critica, di E. Garroni:
l’autore invita a pensare l’estetica non tanto come una filosofia dell’arte, ma come un
uso critico del pensiero che ha nell’arte
«non un oggetto epistemico che la definisca specificamentee dappertutto, ma un
referente esemplare e privilegiato». Questo é il senso della riflessione estetica fin
dalle sue origini.
Hölderlin e il divenire come trapasso, di E.
Grassi: interpretazione del frammento di
Hölderlin del 1790 dal titolo Divenire come trapasso, da cui emerge un concetto di
metafora come significato speculativo di
fondo; il divenire, e quindi il metapherein
originario, artistico e fantastico, di ciò che
appare, rappresenta uno degli aspetti fondamentali ed antihegeliani della riflessione
del poeta tedesco, riflessione che si lega
anche alle tesi di Novalis.
Pensare la poesia, di A. Trione.
Le arti: un bilancio di fine secolo, di R.
Barilli;
Le arti alla fine del millennio, di G. Dorfles:
entrambi gli articoli sono dedicati ad un
bilancio della contemporaneità artistica e
ad una ricerca dell’inizio della modernità.
Se Barilli, prendendo le mosse dal 1789,
individua nei concetti di “implosione” ed
“esplosione” i due versanti dell’arte moderna, Dorfles rimanda ad una sorta di
neomodernità tesa a recuperare la naturalità del corporeo che rifiuti l’elettronica ed il
meccanicismo come fattori fondamentali
di un’arte d’avanguardia
In chiusura del fascicolo viene presentato
un testo di Georg Friedrich Meier, allievo e
“volgarizzatore” dell’Estetica di
Baumgarten, dal titolo: Introduzione ai fondamenti primi di tutte le scienze belle (1754).
IDEE
Anno V, nn.13-15, gennaio/dicembre 1990
Milella, Lecce
Tema della rivista: la genesi del senso.
Materialità e semiotica in Hjelmslev, di C.
Caputo
Senso e significato in Michail Bachtin, di
A. Ponzio: il problema del senso rappresenta un aspetto centrale della riflessione di
Bachtin, soprattutto per quanto riguarda la
sua differenza con il “significato”. Il problema del senso si apre alla ricerca metalinguistica di Bachtin ricostruita in questo
articolo.
Semiosi iconica e comprensione della Terra, di E. Riverso: l’uso linguistico della
parola “terra” ed il riferimento ad un’icona
nella quale entra una moltitudine di cose
osservate e percezioni.Il carattere di Mediazione dell’icona per la denotazione: origini.
Il problema dell’origine ed il rimando husserliano alla “parola vissuta”, di M. Signore.
Senso e analogia nel metalinguaggio di
Victoria Welby, di S. Petrilli.
Genesi del senso e differenza sessuale:
figure, orizzonti, nomi, di P. Calefato: la
costruzione del femminile.
Icona e reversibilità del senso, di A.
Biancofiore: la nozione di icona e l’opera
di Gérard de Nerval Aurèlia.
Estetica metastabile, di C. Gandelmam: le
opere d’arte più importanti del nostro secolo: la “realizzazione” nella “derealizzazione” e “derealizzazione” nella realizzazione
Trasparenza e riflessione in Walter
Benjamin, di G. Bruno.
Il socioletto nella fiction e nella teoria, di
P.V. Zima: ripresa di una sociologia del
testo.
Immagine e nome proprio: uno studio sulle
silhouettes dei dasaparecidos, di M. Del
Valle Ledesma.
L’epocalità del logos e la perenne rimemorazione dell’origine, di F. Bosio.
Senso, Significato, Significatività, di V.
Welby.
Il carteggio Rossi- Landi-Morris, di S.
Petrilli.
Il Linguaggio tra Platone ed Orwell, di A.
Ponzio: analisi di N. Chomsky: La conoscenza del linguaggio. Natura, origine ed
uso (Il Saggiatore, Milano, 1985).
Bio-logia vs semio-logia. La proposta di
Giorgio Prodi, di C. Caputo.
Metafore epistemiche del tempo e dello
spazio: M. Bachtin, K. Mannheim e i modernisti, di I. M. Zavala.
La profondità del superficiale di G. Pranzo.
Il paesaggio sonoro, di F. Degrassi.
Ragioni e regioni della filosofia del linguaggio, di G. Mininni.
Nominalismo e critica della lingua in Franz
Brentano, di L. Albertazzi.
STUDI KANTIANI III, 90
Pisa, Giardini editori e stampatori
Kant e l’immaginazione conoscitiva nella
Critica del Giudizio, di S. Marcucci.
L’immaginazione in Kant. Aspetti della
seconda edizione della Critica della Ragion
pura (1787), di G. Severino.
Il Saggio di una critica di ogni rivelazione
di J. G. Fichte e la filosofia pratica di Kant,
di G. Rotta.
William Hamilton e il criticismo kantiano.
La” rifondazione” della filosofia del senso
comune, di M. Napolitano.
From Kant to Marx. A note on the interpretation of the gnoseological relatioship of
subject and object, di M. Cekic.
Sulla metafisica kantiana dell’analogia, di
S. Marcucci: analisi di P. Faggiotto, Metafisica e dialettica in Kant (Cusl Nuova
Vita, Padova 1988) e dello stesso, Introdu-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
zione alla metafisica kantiana dell’analogia (Massimo editore, Milano 1989).
LA CULTURA
Anno XXVIII, n.2, luglio/dicembre 1990
Le Monnier, Firenze
Il Regno e la Legge. Longobardi, Romani e
Franchi nello sviluppo dell’ordinamento
pubblico (secoli VI-X), di S. Gasparri.
Il “Philedonius” di Franciscus van den
Enden e la formazione retorico-letteraria
di Spinoza (1656-1658), di O. Proietti: un’analisi del Philedonius appare importante
per una ricostruzione storico-biografica di
un periodo cruciale della formazione spinoziana, la scuola “latina” che il filosofo
attraversa tra il 1656 ed il 1661.
genza di una nuova idea di ragione che può
essere definita neoilluminustica e la cui
validità si pone essenzialmente su un piano
metodologico. E’ in questa’ottica che vengono quindi riproposti i profili di pensatori
neoilluministi, come Abbagnano, Bobbio,
Geymonat Rossi-Landi, Preti, che rivestono il ruolo di un intellettuale “seminatore di
dubbi, misurato e circospetto, capace di
valutare gli argomenti prima di pronunciarsi, che non decide mai a guisa di oracolo dal quale dipende, in modo irrevocabile,
una scelta perentoria e definitiva”. La seconda parte della rivista é dedicata ad un’ampia analisi di alcuni momenti cruciali
del dibattito epistemologico in Italia; viene
inoltre presentato un saggio inedito di
Giulio Preti sul problema dell’immanenza.
Nicola Abbagnano tra esistenzialismo e
neoilluminismo, di A. Quarta.
Sulla genesi dell’Istituto italiano di studi
storici: la ricerca del primo direttore, di G.
Sasso
Norberto Bobbio ideologo del neoilluminismo. Per una rilettura di “Politica e cultura”, di M. Quaranta.
Histoire de l’être et révolution politique.
Réflexions sur un ouvrage posthume de
Heidegger, di N. Tertulian: riflessione sulla più importante opera heideggeriana dopo Essere e Tempo, l’opera pubblicata postuma: Beiträge zur Philosophie.
Bobbio e la scienza politica in Italia, di A.
Mancarella.
Fichte, Hegel e la rivoluzione francese, di
F.S. Trincia: fisionomia logica dei concetti
di “contratto” e di “rivoluzione” nel Beitrag
fichtiano.
Ricordo di Harold Cherniss, di M. Isnardi
Parente. Contributo per rettificare i giudizi
del pubblico sulla rivoluzione francese
(1792).
IL PROTAGORA
Anno XXVIII-XXIX, gennaio 1988/dicembre 1989
Istituto di Filosofia, Università degli Studi,
Lecce
Come spiega nella premessa Antonio Quarta, questo fascicolo della rivista contiene
una serie di saggi dedicati ad alcuni studiosi italiani il cui comun denominatore é
rappresentato dall’apertura ad esperienze
speculative particolarmente rilevanti maturate fuori dall’Italia; ciò in nome di una
dichiarata consapevolezza dell’insufficienza delle risposte della cultura italiana postbellica ai problemi di un mondo in rapida
evoluzione. Particolarmente rilevante per
questi intellettuali, nonostante la diversità
degli esiti a cui approdano le rispettive
riflessioni, appare il peso attribuito alla
conoscenza scientifica nelle sue ampie implicazioni filosofiche e culturali, a cui si
lega non soltanto il desiderio di una ridefinizione analitica e precisa di limiti e validità dei concetti filosofici, ma anche l’emer-
Aspetti del neoilluminismo di Ludovico
Geymonat, di A. Stomeo.
L’epoché di Husserl in Ferruccio RossiLandi, di A. Ponzio.
Sulla semiotizzazione dell’”a priori”. Rossi-Landi e Hjelmslev, di C. Caputo.
Il “parlare comune” come lume storiconaturale della “riproduzione sociale”, di
G. Mininni: ricostruzione del percorso speculativo di Rossi-Landi come sintesi ed
integrazione organica di filosofia analitica
oxoniense, dialettica marxista, dottrina del
segno di ispirazione peirceiana e morrissiana; l’elaborazione di un progetto teorico
fondato sulle nozioni di “parlare comune”
e “riproduzione sociale".
Materiali per una storia dell’epistemologia in Italia, di M. Castellana: in un clima
di rinnovato interesse per una ricostruzione
delle vicende della filosofia della scienza
italiana, particolarmente importante appare il ruolo della rivista “Analisi” (19451947) come centro di dibattito dei rapporti
tra scienza e filosofia.
“Sigma”: conoscenza e metodo, di G. Sava:
la breve, ma importantissima, vicenda editoriale della rivista “Sigma” (1947.1964).
Filosofia e cultura ne “Il Politecnico” di
Elio Vittorini, di S. De Siena.
Metodi e immagini della scienza nel “Centro di studi metodologici” di Torino (19451952), di A. Quarta.
Il principio di immanenza nel dibattito
filosofico italiano degli anni Trenta: il confronto tra Giulio Preti e Carmelo Ottaviano,
di F. Minazzi.
Manoscritto inedito di Giulio Preti sul problema dell’immanenza, a cua di F. Minazzi.
AUT AUT
242, marzo/aprile 1991
La Nuova Italia, Firenze
Politiche dell’amicizia, di J. Derrida.
Soggetto e alterità, di P.A. Rovatti: in riferimento al precedente testo di Derrida viene svolto l’esame delle riflessioni sull’amicizia di P. Ricoeur contenute in Soi-même
comme un autre (Seuil, Paris 1990).
Il poliedro di scrittura: Joyce e Vico, di G.
Gabetta: l’impatto della filosofia di Vico su
Finnegans Wake di Joyce.
L’ermeneutica di Gadamer in Italia, di V.
Verra: l’ermeneutica é senz’altro la protagonista della filosofia italiana degli anni
Ottanta, benchè la penetrazione del pensiero di Gadamer in Italia sia senz’altro anteriore. Più in particolare la riflessione gadameriana ha consentito inizialmente di entrare in possesso di strumenti di critica
all’astrattezza della coscienza storica ed
estetica e poi di cogliere in maniera sempre
più esaustiva ed approfondita il valore universale dell’ermeneutica per la filosofia.
Di qui l’incontro ricco e stimolante con la
riflessione sul linguaggio e le successive
aperture alle problematiche della decostruzione, del nichilismo, del postmoderno,
tematiche recentissime e intrinsecamente
connesse all’ermeneutica. Breve excursus
su trent’anni di filosofia italiana.
Gadamer: l’umanismo tra memoria e promessa, di M. Ferraris.
Dimenticare Foucault?, di E. Greblo: panoramica sulla recente “Foucault reinaissance”.
Ipseità, alterità e pluralità. Nota sull’ultimo Ricoeur, di F. Ciaramelli: a partire dai
testi più recenti di Ricoeur, si procede all’esame della questione della pensabilità del
soggetto dell’agire collettivo; questa questione, al tempo stesso ontologica e politica, rappresenta sia il presupposto dell’analisi ricoeuriana del rapporto temporacconto, sia l’orizzonte entro cui si colloca il superamento di una soggettività come
“dire io”.
Nota su Agnes Heller, la filosofia e il postmoderno, di L. Boella: analisi della figura
intellettuale di Agnes Heller.
un testo di A. Heller dal titolo: La modernità può sopravvivere?.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
TEORIA
n. 2, ottobre 1990/X
Pisa, ETS
Questo fascicolo è dedicato al tema: logica
e filosofia del linguaggio.
La teoria aristotelica dell’apodissi, di V.
Sainati: introduzione a An. Post., A: la
questione dei principi, l’originario modello matematico della “scienza” aristotelica,
il problema delle scienze fisiche, la composita struttura teorica di An. Post.,A.
Remarks on analogy, di N. C. A. da Costa:
studio sul ragionamento induttivo, con particolare attenzione al ragionamento analogico; secondo l’autore ogno tipo di inferenza induttiva può essere ricondotta ad un
ragionamento analogico. Alla luce di queste osservazioni viene inoltre presa in esame la nozione di analogia di Haraguchi.
Semantica aristotelica e sillogistica modale, di M. Mariani: preso atto di una sostanziale assenza negli studi aristotelici recenti
di riferimenti precisi alla sillogistica modale, ritenuta forse troppo confusa in relazione ad alcuni concetti centrali di ontologia e
semantica, l’articolo si propone di chiarire
i significati di alcune nozioni di semantica
aristotelica e sillogistica modale, con particolare riferimento ai concetti di de dicto e
de re
L’interpretazione costruttiva dell’implicazione, di E. Moriconi: il connettivo dell’implicazione nella teoria dei tipi di Martin
Löf.
Diagonalization and fixed points,di G.
Tonella.
Su psicosemantica, di C. Marletti: recensione di J. A. Fodor: Psicosemantica. Il
problema del significato nella filosofia della
mente (Bologna, Il Mulino 1990).
Some remarks on the linguistic turn, di A.
Peruzzi.
Prior’s disease, di G. Usberti.
PARADIGMI
Anno IX, n.26, maggio/agosto ’91
Brindisi, Schena Editore
Trasformazioni della filosofia e verità, di
G. Semerari: l’autore si propone di esaminare la trasformazione della filosofia dei
nostri tempi a partire da tre situazioni teoriche, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel mettere in atto questa trasformazione: alcuni postulati sul linguaggio delle
Philosophische Untersuchungen di
Wittgenstein, il problema dell’individuazione e le sue conseguenze nella fenome-
nologia di Husserl, la logica come “teoria
dell’indagine” proposta da Dewey. Alla
luce di questo esame, l’attuale trasformazione della filosofia si dà come un “filosofare dal basso” che pone un nuovo rapporto
tra formazioni ideali, scientifiche, logiche
e processi esistenziali, facendo svolgere ai
primi una funzione di autochiarificazione
dei secondi, in quanto da essi derivati, ed
indagando i processi esistenziali stessi all’interno del loro orizzonte. La filosofia di
oggi pensa in termini di processi esistenziali, quali possibilità e contingenza, temporalità, negatività e relazionalità, ed é
impegnata a cogliere i cambiamenti prodotti verso le cose e nei rapporti interpersonali alla luce di tali orientamenti. Sul piano
del problema della verità questa nuova
metodologia filosofica implica una sfida al
modo “sacrale” di intendere la verità e
quest’ultima si propone come criterio di
organizzazione delle relazioni ontologiche
dell’esistente, alla luce del riconoscimento, già proposto da Kierkegaard, che tra
Essere ed esistente non esiste nè un rapporto di natura creaturale, nè di natura posizionale, nè di differenza ontologica, ma l’Essere si dà attraverso le relazioni che l’esistente instaura con se stesso e con gli altri;
é cioé la proposta di una ontologia delle
relazioni.
Sul concetto di oggetto fisico, di E. Bitsakis:
partendo dalle tesi che i micro-oggetti sono
delle entità fisiche, indipendenti dall’osservatore e dagli strumenti scientifici, viene analizzato il concetto di oggetto fisico.
Il problema della comunicazione, di E.
Melandri: il problema della comunicazione, quale si dà nella teoria dell’espressione
di Darwin e Wundt; la concezione ermeneutica fondata sul ruolo dell’ascoltatore/
interprete di Anton Marty; gli apporti delle
recenti ricerche di filologia classica e la
“comunicazione totale” del teatro.
Genealogia del tempo moderno. Ipotesi su
Kant ed Hegel, di G. Barletta: l’ipotesi
interpretativa qui delineata prende le mosse dal riconoscimento dell’assoluta centralità del problema del tempo in Kant; abbandonando ogni prospettiva di ipostatizzazione di stampo logicistico e metafisico, il
tempo si dà come intuizione, forma fondamentale, Anschauung, ed inaugura la visione moderna epistemico-rappresentativa del
tempo, un tempo che si propone come
possibile struttura dell’esistenza in quanto
condizione universale ed oggettiva. Tuttavia l’approdo alla seconda Critica implica
una perdita dell’onnipervasività del tempo,
in quanto Kant, per salvare l’incondizionatezza dell’imperativo morale, si vede costretto a negare la temporalità della ragion
pratica. La frattura che si determina in Kant
tra piano fenomenico e piano morale comporta lo sforzo hegeliano di saldare essere
e dover essere attraverso una filosofia come sistema che si dia e si sappia come
filosofia del tempo. Di qui la necessità di
trasformare il tempo da a piori logico a
storia, concreta materia umana razionalizzata su un piano teorico. Tempo, Storia,
Concetto sono quindi i cardini su cui si
imposta il superamento hegeliano della concezione puramente logicistico-formale del
tempo kantiano.
Sartre critico di Kant, di F. Scanzio.
La fiamma e la lampada. Riflessioni sul
pensiero di E. Severino e sul nichlismo in
Occidente, di M. De Paoli.
Attualità della filosofia, di G. Scibilia: resoconto del convegno: Filosofia, conoscenza, verità, svoltosi a Pavia il 17-18 maggio
1990.
Il Problema del realismo nella fisica contemporanea, di M. Centrone.
Schelling: filosofia e mitologia, di C.
Tatasciore: recensione di F. W. Schelling,
Filosofia della mitologia, a cura di L.
Procesi (Milano, Mursia 1990); F. Moiso,
Vita, natura, libertà. Schelling (1795-1809)
(Milano, Mursia 1990); G. Riconda,
Schelling storico della filosofia (1794-1820)
(Milano Mursia 1990).
Nella sezione “Università e Scuola” appaiono inoltre:
“Normalità” e “rivoluzione” in filosofia,
di B. Coppola.
Sull’identità culturale dell’insegnante di
filosofia nelle scuole medie superiori, di F.
Papi.
EPISTEMOLOGIA (Vol. 13, n. 2. 1990,
Tilgher, Genova) propone, tra gli altri, un
articolo di A. Grünbaum, Perchè le affinità
tematiche fra eventi non dimostrano la loro
connessione causale, che critica la teoria
freudiana delle connessioni di significato,
inficiando la stessa teoria del transfert. Segnaliamo anche nello stesso numero un
articolo di F. Minazzi su Popper: Riflessioni critiche sulla filosofia di Popper.
MARX CENTOUNO (Anno VII, n. 4, feb-
braio ’91, Edizioni associate, Roma) presenta un inedito di L. Althusser dal titolo:
Solitudine di Machiavelli. Nel numero successivo della stessa rivista (Anno VII, n. 5,
maggio ’91) viene proposta una riflessione
su Althusser con l’articolo di G. Lock:
Teoria generale e statuto della filosofia.
Un confronto fra le elaborazioni di
Althusser e del marxismo analitico.
GIORNALE DI METAFISICA (Anno XII, n.
2, maggio/agosto 1990) propone un articolo di G. A. Roggerone su Rousseau: Emile:
NOVITA' IN LIBRERIA
AA.VV
Hegel e la comprensione
della modernità
Guerini, Milano giugno 1991
pp.120, L. 18.000
La “Scienza della logica” rappresenta il
punto più alto della comprensione hegeliana della modernità. Il volume raccoglie quattro diverse prospettive di interpretazione del significato di “moderno”.
AA.VV
Dio e la Filosofia
a cura di Daniele Goldoni
Guerini e Ass., Milano luglio 1991
pp.176, L. 26.000
I limiti che la cultura moderna e illuminata ha tracciato fra teologia e sapere
sono scossi oggi da movimenti che avvengono non solo all’interno della riflessione teologica, ma anche dalle crisi
che investono le interpretazioni del mondo offerte dal moderno antropocentrismo e dalla secolarizzazione. Queste
crisi lasciano di nuovo allo scoperto le
enigmaticità dell’antico nesso tra Dio e
la filosofia.
AA.VV.
Quaderno di Filosofia 1
Guerini e Ass., Milano giugno 1991
pp.128, L. 20.000
AA.VV.
La tolérance
Autrement, Paris luglio 1991
pp.221
La molteplicità degli interventi persegue un progetto comune: quello di un
“umanesimo eretico” teso ad affrancarsi dall’ortodossia dei dogmi ed abbracciare un’attitudine generalizzata di tolleranza del diverso.
AA.VV.
La questione dell’esperienza
a cura di Valeria E. Russo
Ponte alle Grazie, Firenze luglio 1991
pp.230, L. 25.000
La raccolta monografica è dedicata all’approfondimento di uno dei più importanti luoghi teorici del pensiero moderno e contemporaneo: il concetto di
esperienza. Il libro contiene 22 interventi di studiosi italiani e tedeschi ed è
ordinato secondo differenti ambiti tematici e disciplinari (filosofico, sociologico, letterario, psicanalitico) e segue
una rigorosa scansione temporale: “L’età
idealistico-romantica”, “Erlebnis ed
Erfahrung tra Ottocento e Novecento”,
“Percorsi novecenteschi”.
Abbagnano, Nicola
Storia della Filosofia
Vol.IV. La filosofia Contemporanea
Utet, Torino giugno 1991
pp.964, L. 110.000
Questo libro esamina le ragioni storiche
della reputazione di Li Ao, a partire da
un’attenta analisi del “Fu-hsing shu”,
l’opera che ha maggiormente influenzato il primo neoconfucianesimo.
Goodman, Russel B.
American philosophy
and the romantic tradition
Cambridge University Press,
Cambridge luglio 1991
pp.174, £ 27.50
Il più grande impulso del pensiero americano non deriva dalla teologia puritana, né dalla scienza empirica, ma da un
particolare genere americano di Romanticismo. Questo modo di sentire riporta
Goodman, attraverso Cavell, a Emerson,
Thoreau e di conseguenza a William
James e a John Dewey, quando assimilarono le correnti del pensiero europeo
da Kant a Wittgenstein.
Bayer, Oswald
Autorität und Kritik.
Zu Hermeneutik
und Wissenschaftstheorie
Mohr, Tübingen giugno 1991
pp.224, DM 60
Ansell-Pearson, Keith (a cura di)
Nietzsche
and modern german thought
Routledge, London luglio 1991
pp.336, £ 40
Questa raccolta di saggi riflette l’urgenza di un serio interesse, da parte di
filosofi, sociologi e teorici della politica, verso la collocazione di Nietzsche
nella tradizione kantiana. Gli autori esaminano i rapporti tra Nietzsche, Kant e
la tradizione post-kantiana.
Aune, Bruce
Knowledge of the external world
Routledge, London giugno 1991
pp.256, £ 35
Axelos, Kostas
Métamorphoses
Ed. de Minuit, Paris maggio 1991
pp.192, FF 78
Dal paesaggio mitico della Grecia arcaica fino a quello della tecoscienza. Le
metamorfosi culturali del nostro mondo, cicli di crisi e di rinnovamento, ci
permettono di riflettere sul presente e di
interrogarci su quelle a venire.
Barret, T.H.
Li Ao: Buddhist, Taoist
or Neo-confucian?
Oxford University Press,
Oxford giugno 1991
pp.192, £ 20
Li Ao è generalmente riconosciuto come un precursore del neoconfucianesimo, nondimeno si è stabilito che egli è
stato influenzato anche dal buddismo.
Beck, Elke
Identität der Person.
Sozialphilosophische Studien
zu Kierkegaard, Adorno und Habermas
Königshausen und Neumann
Würzburg, agosto 1991
pp.152, DM 36
Beckmann, D. (a cura di)
Humangenetik Segen für di Menschheit
oder unkalkulbares Risiko?
Lang, Frankfurt a.M., giugno 1991
pp.328, DM 58
Benjamin, Andrew
Art, mimesis and the avant-garde:
Aspects of philosophy of difference
Routledge, London giugno 1991
pp.320, £ 12.99
Berman, David
Berkeley
Cassel, London maggio 1991
pp.160, £ 16.95
Uno studio sulla vita di George Berkeley (1685-1753), conosciuto quasi esclusivamente per il suo insegnamento,
è forse superfluo e incomprensibile. Ma
come l’autore dimostra, gran parte della
sua vita è stata influenzata da interessi
religiosi, sia pratici che speculativi.
Bernard, J. - Kelemen, J.
(a cura di)
Zeiche, Denken, Praxis.
Österreisch-ungarische Dokumente
zur Semiotik und Philosophie.
In Kooperation mit dem Institut für
Philosophie
der Ungarischen Akademie der
Wissenschaften,
Doxa Library
ÖGS/ISSS, Wien giugno 1991
pp.452, ÖS 380
Bianca, Mariano
Saggio sul male
Pontecorboli Editore,
Firenze giugno 1991
pp.139, L. 22.000
La natura del male, le ragioni della sua
presenza tra gli uomini, le sue forme e le
rappresentazioni culturali della «potenza del male», indagate alla luce di una
prospettiva antropologica.
Bicca, Luiz
Marxismus und Freiheit.
Versuch einer Bestimmung
möglicher Verhältnisse
auf der Grundlage
der Philosophie Ernst Blochs
Schwäbische Verlagsges,Tübingen giugno 1991
pp.320, DM 34
Bollino, Fernando
Ragione e Sentimento: Idee estetiche
nel Settecento francese
Editrice Clueb, Bologna giugno 1991
pp.305, L. 30.000
Nel Settecento francese si assiste, da più
parti, al tentativo di una «ricostruzione
del mondo» in cui «tutto è messo in
gioco simultaneamente: la ragione, la
sensibilità, l’immaginazione, persino il
senso». All’interno di questo progetto,
la ragione e il sentimento non vanno
viste come polarità irriducibili ma come
presenze complementari e necessarie al
programma di costituzione dell’uomo
moderno. Su questo sfondo vanno a
collocarsi quei processi della riflessione
estetica, analizzati da Bollino, intesi a
fondare il sistema moderno delle belle
arti, a definire le idee di genio, di gusto,
di imitazione, a indagare la specificità
dei linguaggi artistici, ed è ancora in
questo ambito che si determinano quei
fenomeni di rottura che portano il segno
della nostalgia (la poetica delle rovine)
e dell’utopia (l’architettura visionaria).
Bourassa, Steven C.
The aesthetics of landscape
Belhaven Press, London luglio 1991
pp.256, £ 32
Sviscera l’idea della bellezza del paesaggio dal punto di vista filosofico, artistico, psicologico, storico e architettonico. Offre una struttura per l’analisi
estetica del paesaggio e conclude con
una teoria metaestetica, discutendo come potrebbe essere applicata alla progettazione e al design.
Bourdieu, Pierre
La responsabilità
NOVITA' IN LIBRERIA
degli intellettuali
Laterza, Roma-Bari luglio 1991
pp.105, L. 19.000
Una critica originale e rigorosa della
attuale produzione filosofica, sociologica, estetica, con un vibrato richiamo
alla responsabilità dell’intellettuale. Dal
punto di vista metodologico, tale responsabilità coincide con la necessità
mettere in discussione e di collocare nel
proprio contesto innanzitutto il soggetto
stesso che conduce l’indagine, e i suoi
strumenti critici.
della teoria politica del diciassettesimo
e diciottesimo secolo. Dimostra che la
teoria del senso morale di Hume fu un
tentativo di puntellare il diritto naturale
con una psicologia morale adeguata.
Braidotti, Rosi
Patterns of dissonance:
A study of women
and contemporary philosophy
Polity Press, London giugno 1991
pp.250, £ 35
La prima parte di questo libro esamina
la filosofia contemporanea francese elaborata da uomini come Foucault, Derrida
e Deleuze. La seconda parte riguarda
pensatrici femministe europee e statunitensi, soffermandosi in particolare sul
lavoro di Irigaray, Daly e Le Doueff.
Caadaev, Petr
Prima lettera filosofica
Il Melangolo, Genova luglio 1991
pp.48, L. 8.000
E’ la prima delle otto lettere filosofiche
che Petr Jakovlevic Caadaev scrisse tra
il 1829 e il 1831. Provocò la chiusura
della rivista sulla quale apparve nel 1836,
la condanna all’esilio del direttore e la
dichiarazione ufficiale di pazzia per l’autore. In questa lettera Caadaev denuncia
l’arretratezza e la sterilità culturale russa e ne indica la causa nella mancanza di
rapporti con l’Occidente.
Breil, Reinhold
Hönigswald und Kant.
Transzendentalphilosophische
Untersuchungen
zur Letztbegründung
und Gegenstandskonstitution
Bouvier, Bonn maggio/giugno 1991
pp.241, DM 68
Broadie, Sarah Waterlow
Ethics with Aristotle
Oxford UP, New York giugno 1991
pp.496, $ 45
Un’esposizione esauriente e un’interpretazione della teoria etica aristotelica
sviluppata nell’Etica Nicomache e in
quella Eudemia
Brooke, Roger
Jung and phenomenology
Routledge, London giugno 1991
pp.204, £ 30
Brooke prende i concetti fondamentali
della psicologia analitica e li reinterpreta in chiave fenomenologica, proponendo una nuova lettura degli scritti di
Jung.
Buchheim, Thomas
Eins von Allem.
Die Selbstbescheidung des Idealismus
in Schellings Spätphilosophie
Meiner, Hamburg maggio 1991
pp.229, DM 86
L’interesse di rendere comprensibile al
pensiero l’ampia totalità del reale si
risolve per la filosofia non solo in una
sconfitta che deriva dalla mancanza di
capacità, ma inoltre lede la verità interna di ciò che definiamo realtà. Questa
prospettiva inserisce il libro nella continuità e al culmine dell’ultima filosofia
di Schelling.
Buckle, Stephen
Natural law
and the theory of property
Clarendon Press, Londra maggio 1991
pp.344, £ 35
Fornisce una prospettiva storica sulle
filosofie politiche di Locke e Hume,
identificando continuità nello sviluppo
Burkhart, Holger
Sprachreflexion und
Transzendentalphilosophie
Königshausen & Neumann,
Würzburg maggio/giugno 1991
pp.280, DM 68
Cadava, E. (a cura di)
Who comes after the subject?
Routledge, London luglio 1991
pp.256, £ 35
Offre un panorama esaustivo delle opinioni dei pensatori francesi contemporanei, a riguardo della questione del
“soggetto” nella prospettiva filosofica,
politica, storica e psicoanalitica.
Carboncini, Sonia
Transzendentale Wahrheit und Traum.
Christian Wolffs Antwort
auf die Herausforderung
durch den Cartesianischen Zweifel
Frommann-Holzbog, Stuttgart, agosto
1991
pp.290, DM 92
Cattepoel, Jan
Dämonie und Gesellschaft.
Soren Kierkegaard als Sozialkritiker
und Kommunikationstheoretiker
Alber, Freiburg maggio 1991
pp.300, DM 68
Cayla, Fabien - Chisholm, R Sellars, W.
Routes e déroutes de l’intentionnalité.
La correspondance
R. Chrisholm, W. Sellars
Eclat, Combas maggio 1991
pp.80, FF 65
L’analisi del carteggio ChrisholmSellars dove si dibatte il problema dell’intenzionalità.
Celada Ballanti, Roberto
Libertà e mistero dell’Essere:
Saggio su Gabriel Marcel
Tilgher, Genova giugno 1991
pp.205, L. 27.000
Libertà e mistero dell’essere definiscono le estreme polarità entro cui si aduna
la meditazione di Gabriel Marcel. La
libertà attesta la presenza originaria dell’essere, che la sollecita nel mentre che
le si affida. La rivelazione dell’essere è
dunque consegnata all’iniziativa della
persona che sappia disporsi all’ascolto
dell’appello ontologico. E’ in forza di
tale vincolo di essere e libertà che la
prospettiva filosofica di Marcel si emancipa dal razionalismo per recuperare il senso agostiniano della libertà: aspirazione a liberarsi, tensione al bene
che trova il suo compimento nella
Plenitudo della fruitio Dei.
Coffa, J.A.
The semantic tradition from Kant
to Carnap to Vienna Station
Cambridge U.P., luglio 1991
pp.464, £ 35
Una storia della tradizione semantica in
filosofia, dai primi dell’ottocento sino
all’incarnazione nel lavoro del Circolo
di Vienna.
Cozzoli, Leonardo
Il significato della bellezza.
Estetica e linguaggio in Kant
Mucchi Editore, Modena maggio 1991
pp.116, L..15.000
Per Kant la bellezza è sempre segno
(della conoscibilità del mondo, della
destinazione morale dell’uomo, della
tendenza umana alla socialità); un segno da leggersi, da parte dell’uomo giusto, non secondo la via universale-oggettiva del concetto, ma attraverso la via
universale-soggettiva del sentimento. I
prodotti delle belle arti costituiranno
allora un linguaggio sui generis, del
quale è autore il genio come logoteta.
Créau, Anne
Kommunikative Vernunft
als “entmystifiziertes Schicksal”.
Denkmotive des frühen Hegel
in der Theorie von Jürgen Habermas
Hain, Frankfurt a.M. maggio/giugno
1991
pp.225, DM 74
Dallmayr, Fred
Life-world, modernity and critique:
Paths between Heidegger
and The Frankfurt School
Polity Press, London giugno 1991
pp.220, £ 29.50
Indirizza il dibattito tra coloro che difendono la metafisica tradizionale e i
suoi legami con l’avvento della modernità, e coloro che rigettano questa concezione argomentando a favore di un
sistema post-moderno. Il libro si sofferma su un confronto tra Heidegger e la
Scuola di Francoforte e ne indaga i
rapporti.
Debray, Regis
Cours de médiologie génerale
Gallimard, Paris maggio1991,
pp.395, FF 120
Il potere di trasformazione, positivo e
negativo, della parola, del dire umano è
il punto di partenza per la ricerca di una
pragmatica della parola.
Dilman, Ilham
Philosophy and the philosophic life:
A study in Plato’s “Phaedo”
Macmillan Acad. and Prof., Londra
maggio 1991
pp.176, £ 35
Una discussione della concezione filosofica di Socrate nel Fedone; un tentativo di cogliere il rapporto tra ciò che
conosciamo attraverso la ragione e i
nostri sensi; una lotta per vivere un’esi-
stenza in cui la verità spirituale trionfi
sull’ego.
Dosse, François
Histoire du Structuralisme. Tomo I,
Ed. de la Découverte,
Paris giugno 1991
pp.490
Storia e bilancio degli anni 45/66 quando la moda intellettuale per eccellenza
era lo strutturalismo; quando Lacan,
Foucault, Althusser, in campi diversi, si
dividevano il monopolio della verità.
L’autore ha voluto rendere il clima e la
cronaca del tempo raccogliendo numerose testimonianze e interviste di filosofi e intellettuali di ieri e di oggi.
Double, Richard
The non-reality of free will
Oxford UP, New York giugno 1991
pp.256, $ 26
Una monografia che propone una teoria
sul libero arbitrio e la responsabilità
morale che si identifica con il compatibilismo gerarchico (esposta da filosofi
come Neely, Watson, Levin e Dennett)
come la spiegazione più plausibile del
libero arbitrio.
Drechsler, G. - Kühn, R.
Menschenbild, Individualität,
Wertoptionen.
Aspekte politischer Philosophie
Krämer, Hamburg, agosto 1991
pp.64, DM 19,80
Drescher, Johannes
Glück und Lebensinn.
Eine religionsphilosophisce
Untersuchung
Alber, Freiburg maggio/giugno 1991
pp.400, DM 98
“Che cosa devo fare perché la mia vita
abbia un senso?” Come dal senso prevalente dell’agire si ricavi la felicità perfetta. Alla domanda se tale obiettivo,
soprattutto relativamente alla morte, sia
raggiungibile in qualche modo, vengono opposte tutte le concezioni di questa
possibilità e la speranza come accesso
al possibile raggiungimento della felicità.
Duby, George
L’histoire continue
Odile Jacob, Paris giugno 1991
pp.221
L’autore rilegge la storia della Nouvelle
Histoire attraverso il prisma della propria biografia di studioso, a partire dal
1942 fino ai giorni nostri. Il libro riprende il primo tentativo di autobiografia
spirituale tracciato nel precedente Essais
d’ego-histoire del 1988.
Düttmann, Alexander Garcia
Das Gedächtnis des Denkens.
Versuch über Heidegger und Adorno
Suhrkamp, Frankfurt a.M., agosto 1991
pp.280, DM 44
Che tra il pensiero e il nome esista una
relazione, che la dialettica negativa abbia qualcosa a che fare con il nome di
Auschwitz e il pensiero di sé con il nome
Germania, rimanda alla portata filosofica che Heidegger e Adorno conferirono
all’evento, come fondazione e colpa della storia.
NOVITA' IN LIBRERIA
Ebert, Theodor
Dialektiker und frühe Stoiker
bei Sextus Empiricus.
Untersuchungen zur Entstehung
der Aussagenlogik
Vandenhoeck und Ruprecht
Göttingen, agosto 1991
pp.350, DM 84
Eells, Ellery
Probabilistic causality
(Cambridge studies in probability,
induction and decision theory)
Cambridge UP, luglio1991
pp.448, £ 30
L’autore esplora e affina le concezioni
filosofiche correnti sulla causalità probabilistica. In una teoria probabilistica
della causa, le cause aumentano le probabilità dei propri effetti, anziché averne bisogno come sostengono le tradizionali teorie deterministiche.
Elders, Leo (a cura di)
Edith Stein Leben, Philosophie, Vollendung.
Abhandlung des Internationalen
Edith-Stein-Symposiums,
Rolduc, 2.-4. November 1990
Naumann, Würzburg giugno 1991
pp.280, DM 34,80
Eming, Knut
Idee und Logos. Studien zum Umkreis
von Platons Phaidon
Meiner, Hamburg maggio 1991
pp.160, DM 58
Con l’interpretazione analitica di Platone, la sua filosofia delle idee viene nuovamente sospinta al centro di una critica
logico-ontologica. Il punto di vista di
Platone viene messo a confronto e giustificato con i moderni criteri logici.
Engel, Pascal
The norm of truth:
Introduction to the philosophy
of logic
Harvester Wheatsheaf, giugno 1991
pp.224, £ 35
L’autore introduce lo studente alla filosofia della logica, offrendo un’alternativa alla moderna filosofia della logica
inglese e trattando l’argomento come
una branca della filosofia della scienza.
Si sofferma sulle teorie e sui concetti
elaborati dalla logica formale.
Fazio, Domenico M.
Nietzsche e il criticismo
Quattroventi, Urbino aprile 1991
pp.217, L.. 34.000
Una ricostruzione storico-critica delle
tappe della formazione filosofica del
giovane Nietzsche che consente, da un
lato, di evidenziare gli influssi delle
“filosofie del ritorno a Kant” e, dall’altro, di esplicitare i motivi teoretici sottesi alle critiche nicciane alla dialettica di
Hegel, mostrando un Nietzsche insolito
e da conoscere.
Fetzer, J.H. (a cura di)
Definitions and definability.
Philosophical perspectives.
Kluver Acad. Publ.,
Lancaster luglio 1991
pp.328
Gli scritti riusciranno interessanti ad
ognuno, filosofo o studioso, che voglia
comprendere meglio la natura del linguaggio e il processo della ricerca filosofica.
Feyerabend, Paul
Dialoghi sulla conoscenza
Laterza, Bari luglio 1991
pp.120, L.18.000
In forma di fantasie platoniche, due brillanti dialoghi nei quali l’attività conoscitiva si scompone e ricompone continuamente in quella primaria peculiarità
umana che è la comunicazione: di idee,
ma anche di sentimenti, passioni, di
desideri, di speranze.
Fietze, Katharina
Spiegel der Vernunft.
Theorien zum Menschsein der Frau
in der Anthropologie des 15. Jhdts
Schöningh, Paderborn, agosto 1991
pp.189, DM 58
Figal, Günther
Martin Heidegger Phänomenologie der Freiheit
Hain, Frankfurt giugno 1991
pp.428, DM 48
Filmer, Robert
Patriarca ou le puvoir naturel
des rois; Observations sur Hobbes
a cura di P. Tierry
L’Harmattan
Ecole normale superieure de Fontenay
luglio 1991
pp.204, FF 110
Teorico del potere monarchico del XVII
secolo, Filmer è noto nella storia della
filosofia politica per la sua posizione
assolutamente contraria alla teoria del
diritto naturale e della democrazia politica.
Formaggio, Dino
I giorni dell’arte
Franco Angeli, Milano luglio 1991
pp 219, L. 30.000
Una raccolta di saggi che abbraccia oltre un trentennio (1957-1990) dell’attività filosofica di Formaggio, che dal
1838 si sviluppa soprattutto nel senso di
una costante ricerca dei possibili fondamenti dell’estetica come disciplina autonoma, nella consapevolezza dei problemi che coinvolgono la natura e l’umanità dell’arte all’interno delle contraddizioni della cultura contemporanea. In quest’orizzonte di pensiero vengono presi in esame alcune figure fondamentali dell’arte moderna, Goya, Van
Gogh, Picasso, Klee, nonché alcune situazioni concrete del fare artistico.
Formaggio, Dino
Problemi di estetica
Aesthetica edizioni,
Palermo giugno 1991
Il volume raccoglie una serie di quindici
saggi, scaglionati tra il 1945 e il 1990,
che segnano un cammino di ricerca volto a fissare i confini di campo e di
metodo dell’Estetica come teoria generale della sensibilità e teoria speciale
dell’esperienza artistica, confini che ponevano questa disciplina all’interno delle
scienze dell’uomo. Sostenuta da un metodo fenomenologico “allargato” l’Estetica si pone, nella riflessione di Formaggio, in funzione antidogmatica e antina-
turalistico-pragmatica, come attitudine
analitica, in grado di comprendere le
esperienze della sensibilità e dell’arte
nell’intero ciclo del loro farsi storico e
dei loro movimenti.
Formenti, Carlo
Piccole apocalissi.
Tracce della divinità
nell’ateismo contemporaneo
Cortina Editore, Milano luglio 1991
pp.193, £. 23.000
L’ateismo, deriva teologica della cultura occidentale, religione senza Dio e
religione dell’uomo che ignora i suoi
stessi presupposti teologici. Il libro di
Formenti ne analizza i miti, le rivelazioni, i messaggi di salvezza. Conoscerli è
fondamentale per evitare che si smarriscano nel deserto del nichilismo politico e morale, nel disincanto senza valori
e principi.
Fox Bourne, Henry Richard
The life of John Locke (1876)
Thoemmes Press, London giugno 1991
pp.1096 (2 vol.), £ 88
Una biografia di J.Locke che verte sul
lavoro di Locke come filosofo. Il libro
cerca di collocare i suoi lavori filosofici
nel contesto della sua vita. L’autore
narra gli studi di Locke ad Oxford, la sua
avversione per lo scolasticismo e il ruolo dei suoi interessi medici e scientifici.
Franzini, Elio
Fenomenologia.
Introduzione tematica
al pensiero di Husserl
Franco Angeli, Milano luglio 1991
pp. 121, L. 20.000
Vengono qui presentati, in una sintesi
chiara ed esauriente che ne rispetta il
senso filosofico, i temi principali della
fenomenologia di Edmund Husserl, pensatore che si pone come fondamentale
crocevia teorico della filosofia del Novecento. La fenomenologia prende infatti avvio dall’esigenza di fondare, o
rifondare, la possibilità delle scienze nel
loro rapporto con la filosofia. I nuclei
teorici della fenomenologia aprono pertanto l’orizzonte su cui si confronta l’intera filosofia contemporanea, da
Heidegger a Merleau-Ponty, da Adorno
a Derrida.
Freadman, Richard Reinhardt, Lloyd
On literary theory and philosophy:
a cross-disciplinary encounter
Macmillan Academic and Professional
London luglio 1991
pp.246, £ 35
Analizza i rapporti tra la teoria letteraria
contemporanea e la filosofia analitica.
Tra gli argomenti trattati: l’io, l’etica,
l’interpretazione, il linguaggio e le caratterizzazioni della filosofia “analitica” e “continentale”.
Fuchs, Josef
Für eine menschliche Moral.
Grundfragen der theologischen Ethik.
Band 3: Die Spannung
zwischen objektiver
und subjektiver Moral
Herder, Freiburg, agosto 1991
pp.208, DM 39
Gadamer, Hans-G.
Vernunft im Zeitalter
der Wissenschaft. Aufsätze
Suhrkamp, Frankfurt a.M.
agosto 1991
pp.168, DM 16,80
Gadamer, Hans-Georg
Il Dramma di Zaratustra
Il Melangolo, Genova luglio 1991
pp.56, L. 8.000
Gadamer analizza in questo breve ma
densissimo saggio il ruolo che Così parlò Zaratustra svolge nell’itinerario filosofico di Nietzsche. Nel dramma di
Zaratustra Gadamer vede profilarsi la
tragedia stessa del suo autore, i grandi
temi della sua filosofia e le irresolubili
contraddizioni che pongono al lettore di
oggi.
Galenus, Claudius
On the therapeutic method:
books I & II
a cura di R.J. Hankinson
Clarendon Press, London luglio 1991
pp.304, £ 35
Uno dei testi classici più letti nel Medioevo e nel Rinascimento; questo libro
rappresenta la quintessenza delle concezioni di Galeno sulla natura, la genesi,
le giuste classificazioni e la cura delle
malattie.
Gardeya, Peter
Platons Parmenides.
Interpretation und Bibliographie
Königshausen und Neumann
Würzburg, agosto 1991
pp.54, DM 26
Garnham, Alan
The mind in action:
A personal view of cognitive science
Routledge, London giugno 1991
pp.160, £ 25
Quest’opera interdisciplinare delinea e
persegue un’analogia tra mente e computer, al fine di formulare una spiegazione scientifica comparata del modo in
cui la mente lavora. Psicologia, filosofia e intelligenza artificiale, sono le discipline chiamate a sostegno della tesi.
Gatens, Moira
Feminism and philosophy:
Perspectives on difference
and equality
Polity Press, London maggio 1991
pp.200, £ 29.50
Un’analisi delle relazioni tra filosofia e
pensiero femminista. Adottando un approccio storico, l’autrice esamina sia le
critiche femministe alle concezioni filosofiche, sia i modi attraverso i quali la
teoria femminista può essere guidata
dall’analisi e dal dibattito filosofico.
Gatzenmeier, Matthias
Einführung in die Ethik.
Argumentationstheoretische
Rechtfertigung von Normen
Wissenschaftsvlg., Mannheim giugno
1991
pp.150, DM 19,80
Generali, Dario (a cura di)
Antonio Vallisneri: epistolario
Volume I: 1679-1710
NOVITA' IN LIBRERIA
Franco Angeli, Milano giugno 1991
pp.656, L. 70.000
Geymonat, Ludovico
La Vienna dei paradossi
Il Poligrafo, Padova maggio 1991
pp.206, L. 32.000
Il dibattito teorico che ha caratterizzato
l’attività filosofica e scientifica del Circolo di Vienna, analizzato criticamente
da Ludovico Geymonat, che del Circolo
viennese è stato un brillante allievo. In
un conclusivo e finora inedito saggio,
l’autore elabora la sua proposta di razionalismo critico, che fa propria l’esigenza di rigore che è stata alla base della
riflessione epistemologica del Circolo
di Vienna.
Giannini, Umberto
La Réflexion quotidienne:
vers une archéologie
de l’expression
Ed. Alinea, Paris maggio 1991
pp.200, FF 139
Gold, Peter
Darstellung und Abstaktion.
Aporien formaler Ästhetik
Hain, Frankfurt giugno 1991
pp.350, DM 88
Gray, John - Smith, G.W
(a cura di)
J.S. Mill’s On liberty in focus
Routledge, London maggio 1991
pp.320, £ 40
Questo volume raccoglie per la prima
volta “Sulla libertà” di J.S. Mill e una
selezione di saggi di eminenti studiosi
come Isaiah Berlin, Alan Ryan, John
Reeds, C.L. Ten e Richard Wollheim.
Hayoun, Maurice-Ruben
La Philosophie médiévale juive
P.U.F., Paris maggio 1991
pp.128, FF 34
Il panorama del pensiero ebraico medievale da Saadia Gaon fino ai filosofi
della Spagna del XV secolo.
Heinzmann, Richard
Philosophie des Mittelalters
Kohlhammer, Stuttgart
maggio 1991
pp.192, DM 20
Herbstrith, W. (a cura di)
Denken im Dialog.
Zur Philosophie Edith Steins
Attempto, Tübingen giugno 1991
pp.200, DM 29,80
Hespe, Fr. - Tuschling, B.
(a cura di)
Psychologie und Anthropologie
oder Philosophie des Geistes.
Beiträge zu einer Hegel-Tagung
in Marburg 1989
Frommann-Holzboog, Stuttgart
giugno 1991
pp.700, DM 235
Hodgson, David
The mind of matters.
Consciousness and choice
in a quantum world
Oxford UP, Oxford giugno 1991
pp.500, £ 50
Contro la concezione rigorosamente
meccanicistica del cervello, viene elaborata l’ipotesi che la “mente importi”,
spaziando su argomenti come la coscienza, la ragione informale, i computer, l’evoluzione, l’indeterminatezza dei
quanti e la non-località.
Griffiths, A.Ph. (a cura di)
Wittgenstein. Centenary essays
Cambridge University Press,
Cambridge luglio 1991
pp.250, £ 11
Quattordici relatori esaminano l’importanza dell’influenza di Wittgenstein sul
pensiero contemporaneo.
Holzhey, H. (a cura di)
Ethischer Sozialismus.
Zur politischen Philosophie
des Neukantianismus
Suhrkamp, Frankfurt a.M., agosto 1991
pp.280, DM 18
Haskar, Vinit
Persons and morals:
Indivisible selves and practical life
Edinburgh University Press,
Edinburgh giugno 1991
pp.240, £ 27.50
Sostiene che i presupposti nella nostra
vita etica e pratica dovrebbero esercitare un’influenza su ciò che pensiamo
delle persone e della identità personale.
L’autore difende l’indivisibile punto di
vista dell’io attraverso l’osservazione
della schizofrenia e di altre patologie
della personalità.
Humboldt von, Wilhelm
La diversità delle lingue
a cura di Donatella di Cesare,
Laterza, Roma-Bari maggio 1991
pp.370, £. 55.000
Per la prima volta tradotto in italiano il
classico di Humboldt che segna l’inizio
della filosofia del linguaggio contemporanea e che, grazie alla recente riscoperta, è destinato ad aprire nuove prospettive agli studi linguistici. Una premessa di Tullio De Mauro, l’ampia introduzione della curatrice e l’utile apparato critico bibliografico ne fanno un’edizione di riferimento per gli studiosi
del grande linguista tedesco.
Haslett, David
Ethics and economic systems
Clarendon Press, London luglio 1991
pp.224, £ 20
Analizzando i sistemi economici da un
punto di vista filosofico, questo studio
indaga tematiche etiche per differenti
tipi di sistemi economici. L’autore considera i vantaggi e gli svantaggi dei
sistemi trattati e discute su possibili
compromessi accettabili.
Hyman, J. (a cura di)
Investigating psychology.
Sciences of the mind after Wittgenstein
Routledge, London luglio 1991
pp.240, £. 35
I saggi raccolti in questo volume furono
scritti da filosofi convinti che le ricerche
di Wittgenstein nel campo della psicologia filosofica siano di precisa importanza per la corrente psicologia sperimentale.
Jardine, Nicholas
The scenes of inquiry.
On the reality of question
in the sciences
Clarendon Press, London luglio 1991
pp.264, £ 27.50
L’autore propone un radicale mutamento di interesse negli studi filosofici, storici e sociologici delle scienze: dal fornire risposte e fissare dottrine, all’interrogarsi ed affrontare problemi. Analizza inoltre le conseguenze di un tale
mutamento.
Jones, Peter (a cura di)
The “science of man”
in the Scottish Enlightenment:
Hume, Reid and
their contemporaries
Edimburgh University Press,
Edinmburgh luglio 1991
pp.224, £ 9.95
Una raccolta di saggi che tenta di fornire
nuove interpretazioni dell’Illuminismo
Scozzese e dei suoi pensatori di spicco.
Gli scritti di Hume, Reid e altri studiosi
del diciottesimo secolo, sono analizzati
in modo da gettare luce sia sulle concezioni che esprimono, sia sul contesto in
cui furono scritti.
Jordan, Mark D. (a cura di)
Medieval philosophy and theology: vol.1
University of Notre Dame Press,
luglio 1991
pp.256, £ 23.95
Primo volume di un periodico annuale
dedicato agli studi originali di filosofia
e di teologia. Sostenendo un rilevante
numero di argomenti, cerca di stimolare
il dibattito oltre i confini disciplinari
tradizionali, confrontando le metodologie scolastiche e la tradizione.
Kant, Immanuel
Scritti sul criticismo
a cura di Giuseppe De Flaviis
Laterza, Bari giugno 1991
pp.340
Gli scritti raccolti in questo volume offrono un complesso preziosissimo di
materiali sulle tesi principali del
kantismo e sono una fonte insostituibile
di chiarimenti in merito a questioni diverse, affrontate o solo toccate nelle
opere maggiori.
Kierkegaard, Søren
La ripetizione
Un esperimento psicologico
di Constantin Constantius
Guerini e Ass., Milano luglio 1991
pp.192, L. 28.000
Terzo degli scritti pseudonimi di
Kierkegaard, La ripetizione può essere
definito al contempo una storia d’amore, un saggio filosofico e un’opera buffa. La storia d’amore è riferita da uno
psicologo sperimentale, cui il giovane
protagonista si confida, diventando un
saggio filosofico, arricchito dal senso
d’ironia di cui il narratore è dotato. Da
qui l’opera buffa.
King, Peter
The life of John Locke,
with extracts
from his correspondence, journals
and commonplace books (1830)
Thoemmes Press, giugno 1991
pp.994 (2 vol.), £ 88,
Una biografia che ci presenta la vita di
John Locke, per quanto possibile attraverso i suoi stessi occhi. Il lettore scopre
come le sue opposizioni distintive derivino dalla riflessione sugli eventi del
suo tempo. I semplici fatti della vita di
Locke sono integrati dalla sua corrispondenza e da alcuni estratti dai suoi
diari e manoscritti.
Knowles, D. (a cura di)
Explanation and its limits
Cambridge UP, Cambridge giugno 1991
pp.315, £ 11
La presente raccolta di nuovi saggi esplora la natura della spiegazione e della
causalità, proponendo uno stimolante
dibattito ad ampio raggio su una questione secolare che ha interessato filosofi e scienziati, cioè la natura epistemologica della propria ricerca.
Kullmann, Wolfgang
Il pensiero politico di Aristotele
Guerini e Ass., Milano giugno 1991
pp.144, L. 24.000
Cinque lezioni che trattano dettagliatamente alcuni temi del pensiero politico
di Aristotele di estremo interesse perchè
alla radice di molte problematiche attuali, come l’uguaglianza o la diseguaglianza degli uomini, il ruolo della guerra o l’aggressività dell’uomo.
Lamb, David
Discovery, creativity
and problem-solving
Avebury, New York luglio 1991
pp.200, $ 30
E’ opinione comune a molti filosofi, che
la creatività e la scoperta scientifica
andrebbero escluse dall’analisi filosofica. Questo libro afferma il contrario e
suggerisce che è possibile uno studio
razionale della creatività. Sono esaminati vari approcci alla creatività e alla
scoperta.
Lambert, J.Karel (a cura di)
Philosophical applications
of free logic
Oxford University Press, luglio 1991
pp.288, £ 32
Una raccolta di saggi che discutono
l’applicazione della “logica libera” agli
argomenti filosofici. Le tematiche trattate spaziano tra la definizione di una
teoria logica, la metafisica e la filosofia
della religione.
Lavater, Johann Caspar
Lichtenberg, Georg Christoph
Lo specchio dell’anima.
Pro o contro la fisiognomica,
un dibattito settecentesco
a cura di Giovanni Gurisatti
Il Poligrafo, Padova maggio 1991
pp.220, L. 32.000
Nella seconda metà del Settecento, gli
studi di Lavater avevano riproposto, in
termini religiosi e metafisici, l’antica
scienza di leggere il volto quale “specchio dell’anima”. Contro l’entusiasmo
per la fisiognomica scende in campo
l’illuminista Lichtenberg, scienziato e
filosofo. Le sue argomentazioni polemiche che utilizzano le armi critiche del
buon senso e della satira inaugurano un
dibattito ricco di implicazioni tanto sul
piano estetico e gnoseologico quanto su
quello letterario e del costume.
NOVITA' IN LIBRERIA
Lefebvre, Henri
The production of space
Blackwell Publishing,
Londra giugno 1991
pp.400, £ 12.95
Lévinas, Emmanuel
Entre nous
Grasset, Paris maggio 1991
pp.312, FF 125
Il libro di Lévinas ritorna sulle questioni
cardinali della filosofia: la vita, la morte, la conoscenza, non dimenticando i
problemi di argomento politico, quali i
diritti dell’uomo.
Livingston, Donald W. Martin, Marie (a cura di)
Hume as a philosopher of society,
politics and history
University of Rochester Press, Rochester giugno 1991
pp.188, £ 29.50
Una collezione di saggi, inizialmente
pubblicati nel “Diario della storia delle
idee”, che esamina il lavoro di Hume
come filosofo della società, della politica e della storia. I fondamenti della
filosofia di Hume sono collocati nel suo
primo libro “Trattato sulla natura umana”.
Loewer, Barry;
Rey, Georges (a cura di)
Meaning in mind:
Fodor and his critics
Blackwell Publ., Londra giugno 1991
pp.336, £ 37.50
Durante gli ultimi vent’anni Jerry Fodor
ha sviluppato una teoria sugli stati mentali intenzionali e i loro correlativi sintatticamente strutturati. Questo libro contiene una serie di disamine e verifiche
delle teorie di Fodor, condotte dai suoi
critici; costituisce una risposta al criticismo dello stesso Fodor.
Lohmann, Georg
Indifferenz und Gesellschaft.
Eine kritische Auseinandersetzung
mit Marx
Suhrkamp, Frankfurt/M. giugno 1991
pp.380, DM 48
Il saggio tenta di ricavare in un’interpretazione critico-rappresentativa del Capitale il modo in cui Marx analizza la
costituzione dello stato di indifferenza
dello specifico capitalistico, ma dimostra anche quanto tale indifferenza sia
avversa alla critica marxiana della società capitalistica.
Lorenzen, Max O.
Metaphysik als Grenzgang.
Die Idee der Aufklärung
und ihre Vollendung
durch Immanuel Kant
Meiner, Hamburg giugno 1991
pp.368, DM 96
I problemi della filosofia pratica derivanti dall’idea di illuminismo costituiscono il punto di partenza decisivo del
pensiero di Kant. Nella risposta a questa
domanda di universale importanza sta il
punto centrale del suo sitema filosofico.
Ludlam, Thomas
Logical tracts:
Comprising observations and essays
illustrative of Mr. Locke’s treatise
upon the human understanding (1790)
Thoemmes Press, London giugno 1991
pp.114, £ 28,
Un libro riguardante il ruolo della Ragione in teologia. Include argomenti
come la filosofia del “Senso comune” di
Reid e Stewart, il ruolo delle idee astratte nel ragionamento e la proposta di
Locke nei “Saggi” di rendere dimostrabili le teorie etiche.
Luserke, M.
(a cura e con un’introduzione di)
Die aristotelische Katharsis.
Dokumente ihrer Deutung
im 19. und 20. Jahrhundert
Olms, Hildesheim, agosto 1991
p.446, DM 78
Interpretazioni psicologiche, psicoanalitiche, pedagogiche, oltre alla critica
letteraria e teatrale, accostate a lavori di
filologia tradizionale (tra cui i classici
dell’interpretazione catartica) e filosofici.
Lüthe, Rudolf
David Hume.
Historiker und Philosoph
Alber, Freiburg giugno 1991
pp.200. DM 34
Il libro presenta la filosofia di David
Hume come il fondamento di una scienza empirica dell’uomo e analizza la dipendenza sistematica della riflessione
filosofica e dell’esperienza storica in
tutta l’opera di Hume.
Lyons, David
In the interest of the governed:
A study in Bentham’s philosophy
of utility and law
Clarendon Press, London maggio 1991
pp.176, £ 20
Basato su uno studio dei più importanti
lavori di Jeremy Bentham, questo libro
offre una reinterpretazione delle sue principali dottrine filosofiche, del suo principio di utilità e della sua analisi del
diritto.
Lyotard, Jean-François
Leçons sur l’analitique du sublime.
Kant, Critique de la faculté de juger,
Paragraphes 23-29
Galilée, Paris giugno 1991
pp.294, FF 205
Magnani, Lorenzo
Epistemologia applicata.
Conoscenza e metodo nelle scienze
prefaz. di Fulvio Papi
Marcos y Marcos, Milano
luglio 1991
pp. 334.
Il volume, che compendia organicamente testi già apparsi su varie riviste e testi
inediti, mette a fuoco problemi epistemologici di più generale interesse filosofico. Le tematiche spaziano dal rapporto fra l’epistemologia e l’intelligenza artificiale, a quello fra antropologia e
conoscenza matematica, all’individuazione di modelli epistemologici del sapere psicoanalitico, in un panorama di
riferimenti filosofici che va da Kant,
Hegel e Marx a Poincaré e Gödel.
Magnani, Lorenzo (a cura di)
Conoscenza e matematica
introduz. a cura di Fulvio Papi
Marcos y Marcos, Milano settembre
1991
pp. 497.
Raccolta di saggi (fra gli altri, di Giorello,
Magnani, Petitot, Toth) il cui intendimento è anche quello di mostrare come
la matematica abbia spesso fornito paradigmi conoscitivi per la riflessione
gnoseologica.
Makkreel, Rudolf A.
Dilthey.
Philosoph der Geisteswissenschaften
Suhrkamp, Frankfurt giugno 1991
pp.440, DM 64
Contrariamente alla tendenza diffusa di
separare i primi scritti psicologici di
Dilthey dagli ultimi, ermeneutici e storici, il presente saggio cerca di dimostrare la loro sostanziale continuità.
Malcolm, John
Plato on the self-predication
of forms: early and middle dialogues
Clarendon Press, London luglio 1991
pp.240, £ 27.50
Un’interpretazione dei primi dialoghi
platonici; afferma che i pochi esempi di
autopredicazione in essi contenuti, sono
accettabili solo come affermazioni concernenti gli universali e che conseguentemente Platone non è suscettibile di
essere confutato attraverso l’argomento
del “terzo uomo”.
Mall, Ram A.
Buddhismus Religion der Postmoderne?
Ed. Collage Peter Herwig
Hildesheim giugno 1991
pp.130, DM 25
Questa analisi del (primo) buddhismo
di Ram A. Mall rappresenta fra le numerose pubblicazioni sul tema come qualcosa di particolare: partendo dall’idea
degli iniziati all’essenza di questa “religione”, Mall elabora una spregiudicata
analisi critica di estrema precisione, che
è allo stesso tempo esposizione e interpretazione, dell’insegnamento di Buddha, soprattutto nei suoi aspetti etici e
psicologici.
Marchesi, Angelo
Filosofia e Religione.
Una integrazione possibile
Unicopli, Milano maggio 1991
pp.182, L.. 22.000
La problematica filosofica relativa al
rapporto che intercorre tra l’esistenza
concreta dell’uomo e l’Essere assoluto
e divino viene ripercorsa in una esposizione storico-critica. L’indagine di Marchesi intende dimostrare la possibilità
teoretica di un convergente e costruttivo
rapporto tra quello che viene indicato
come “orizzonte filosofico” e quello
che, reciprocamente, viene chiamato “orizzonte religioso”.
Marchianò, Grazia (a cura di)
Le grandi correnti
dell’Estetica moderna
Guerini e Ass., Milano giugno 1991
pp.480, L. 58.000
L’opera, unica nel suo genere per la
vastità e l’importanza dei contributi, è
una ricognizione delle scuole e dei protagonisti dell’estetica novecentesca valutata criticamente da studiosi provenienti da ogni parte del mondo.
Markova, Ivana Foppa, Klaus (a cura di)
Assymetries in dialogue
Harvester Wheatsheaf, luglio 1991
pp.256, £ 35
Questa raccolta di saggi esplora l’interazione tra il liguaggio e i suoi diversi
contesti psicologici e sociali. L’opera
riguarda soprattutto il ruolo del linguaggio nell’accertazione e nella trasmissione del sapere.
Matilal, Bimal Krishna
Perception
Clarendon Press, Londra giugno 1991
pp.452, £ 15
Presenta la visione filosofica Nyaya e la
esamina criticamente contro quella del
suo oppositore tradizionale, la versione
buddista del fenomenalismo e dell’idealismo. L’autore afferma che Nyaya
non affronta solo le tradizionali critiche
buddiste, ma anche quelle dei moderni
rappresentazionalisti dei dati sensoriali.
Mc Allester Jones, Mary
Gaston Bachelard,
subversive humanist: texts
and readings
University of Wisconsin Press,
luglio 1991
pp.192, $ 29.95
Un’introduzione agli scritti di Bachelard
sui rapporti tra scienza, poesia e coscienza umana. Il libro contiene estratti,
cos~ come saggi critici che esaminano
lo sviluppo del suo pensiero e chiarificano il suo legame con la rivoluzione
intellettuale comunemente associata a
Foucault e Derrida.
McGinn, Colin
The problem of consciousness.
Essays toward a resolution
Basil Blackwell, Oxford giugno 1991
pp.232, £ 30
Il problema della coscienza nel mondo
materiale. L’autore sostiene che credere
nell’esistenza della coscienza non inficia il naturalismo ateistico, anche se al
momento la coscienza possa essere spiegata in termini di scienze fisiche. Il
problema, egli dice, è di tipo concettuale.
Meinwald, Constance C.
Plato’s Parmenides
Oxford UP, New York giugno 1991
pp.224, $ 24
Questo saggio propone una nuova soluzioone all’annoso dilemma della cosidetta metà “ginnica” del Parmenide platonico. L’autore dimostra che l’opera
serve a introdurre una metafisica che
nasce dai problemi comunemente legati
ai dialoghi centrali di Platone, istituendo un collegamento con le opere successive.
Mersch, D. - Nyíri, J.C. (a cura di)
Computer, Kultur, Geschichte.
Beiträge zur Philosophie
des Informationszeitalter
Passagen-Vlg., Wien giugno 1991
pp.168, ÖS 280
Meyerson, Denise
False consciousness
Clarendon Press, Londra giugno 1991
pp.192, £ 25
NOVITA' IN LIBRERIA
L’autore adopera le tecniche della filosofia analitica per sviscerare il concetto
marxista di “falsa coscienza”; sostiene
che il marxismo è connesso all’idea di
un credo motivato e che tale idea è
filosoficamente difensibile.
Micinski, Boleslaw
Diligence philosophique
Ed. Noir sur blanc, Paris maggio 1991
pp.183, FF 116
Raccolta di saggi del filosofo, critico
d’arte e poeta polacco.
Millar, Alan
Reasons and experience
Clarendon Press, London luglio 1991
pp.240, £ 27.50
Un certo pensiero filosofico moderno
tende a considerare l’esperienza sensibile come un tipo particolare di abito
proposizionale. L’autore argomenta contro questa concezione, interpretando l’esperienza sensibile come una sorta di
stato psicologico. Esamina inoltre la
natura della fede a partire da questi
presupposti.
Morell, Thomas
Notes and annotations of Locke
on the human understanding (1794)
Thoemmes Press, London giugno 1991
pp.130, £ 30
Questi “appunti e annotazioni” furono
scritti su richiesta della regina Caroline,
ma rimasero in forma di manoscritto fra
le carte di Morell fino alla sua morte
avvenuta nel 1784. Nel libro sono inclusi chiarimenti sulla terminologia di
Locke, spiegazioni sulle tematiche centrali e sul criticismo sostanziale.
Moretto, Giovanni
Giustificazione e interrogazione.
Giobbe nella filosofia
Guida Editori, Napoli giugno 1991
pp.220, L. 30.000
La nostra tradizione di pensiero ha una
duplice radice, greca e giudaicocristiana. In entrambe queste radici vive
l’idea che l’esistenza umana sia segnata
dalla tragedia del male. Da qui prende
spunto Moretto per indagare il problema del male e del negativo con cui, nella
sua storia millenaria, la filosofia si è
confrontata.
Müller, Karl Otfried
Prolegomeni a una
mitologia scientifica
trad. di Luciano Andreotti
Guida Editori, Napoli giugno 1991
pp.250, L. 30.000
Il saggio affronta il tema della comprensione storica del mito. Müller mostra
come nella mitologia compaiano sempre due elementi indissociabili: il fatto
realmente accaduto, e storicamente riscontrabile, e una pura rappresentazione del pensiero. La comprensione storica, per Müller, non si arresta dinanzi al
contenuto ideale del mito; la mitologia
scintifica accede, nelle pagine di questo
libro, alla comprensione della rappresentazione mitica interrogando la religiosità degli antichi e penetrando nella
sfera del loro puro pensiero.
Nicole, Pierre
Discourses:
Translated from Nicole’s Essays
by John Locke
with important variations
from the original french (1828)
Thoemmes Press, London giugno 1991
pp.274, £ 32,
I “Saggi sulla morale” di Nicole consistono di tre discorsi. Quando Locke
lesse i “Saggi”, ne fu talmente colpito
che li tradusse in inglese. I temi di Nicole,
il ruolo della ragione nella religione, le
debolezze umane e l’armonia sociale,
furono tutti considerati da Locke di perenne interesse.
Noica, Constantin
Six maladies
de l’esprit contemporain
Critérion, Paris maggio 1991
pp. 234, FF 125
Il sentimento dell’esilio, la noia metafisica e la coscienza del vuoto come sintomi di altrettante malattie dello spirito.
Öffenberger, Niels
Zur Vorgeschichte der
mehrwertigen Logik in der Antike
(Zur modernen Deutung
der aristotelischen Logik IV)
Georg Olms, Hildesheim giugno 1991
pp.172, DM 44,80
Ophir, Adi
Plato’s invisible cities
Routledge, London giugno 1991
pp.240, £ 35
Una lettura della Repubblica di Platone,
una delle opere che più hanno influenzato la nascita della filosofia occidentale. L’autore mira a fornire una base per
un riesame dei rapporti fra filosofia e
politica.
Osler, Margaret J. (a cura di)
Atoms, pneuma and tranquillity:
Epicurean and stoic themes
in european thought.
Cambridge University Press,
maggio 1991
pp.288, £ 32.50
Uno studio dell’influenza che epicureismo e stoicismo, due filosofie della natura e della natura umana elaborate in
epoca classica, hanno esercitato sullo
sviluppo del pensiero illuminista europeo nei campi letterario, filosofico, religioso e scientifico.
Papadis, Dimitrios
Die Seelenlehre
bei Alexander von Aphrodisias
Introduzione di Olof Gigon
Lang, Frankfurt a.M. giugno 1991
pp.391, DM 100
Parrochia, Daniel
Le Réel
Bordas, Paris maggio 1991
pp. 191, FF 58
Il reale, fisico, metafisico e antropologico in tutte le sue rappresentazioni.
Perronet, Vincent
A second vindication
of Mr. Locke (1738)
Thoemmes Press, London giugno 1991
pp.158, £ 34,
Nel 1736 Perronet pubblicò la sua prima
“Difesa di Mr.Locke”, difendendo
Locke dall’accusa, diretta da Browne ed
altri, di incoraggiamento degli scettici e
dei miscredenti. In questa seconda “Difesa”, Perronet replica a Butler e alle
critiche simili di Andrew Baxter e Isaac
Watts
Pierre-Jean, Simon
Histoire de la sociologie
P.U.F., Paris giugno 1991
pp.534
Prezioso per gli studiosi, utile per gli
studenti, questo libro si preoccupa di
ricercare le origini della sociologia al di
là della data ufficiale di nascita, scovandone le tracce in Platone e in
Montesquieu. Si sofferma a lungo sull’opera dei padri fondatori e prosegue
fino alla scuola di Chicago.
Pippin, Robert B.
Modernism
as a philosophical problem:
On the dissatisfactions
of european high culture
Basil Blackwell, London maggio 1991
pp.224, £ 35
La cultura europea recente si è interessata largamente all’idea di modernità.
Questo libro verte sul contributo filosofico a tale aspetto della cultura; percorre
le insoddisfazioni espresse nel lavoro di
Nietzsche, Hegel e Heidegger, così come le argomentazioni di Adorno e
Habermas.
Platts, Mark
Moral realities. An essay
in philosophical psychology
Routledge, London maggio 1991
pp.288, £ 35
Una metafisica descrittiva della morale,
che cerca di svelare il modo in cui la
critica filosofica ha mal identificato l’istituzione della moralità. L’autore si
rifà alle classiche filosofie morali di
Hume, Mandeville e Nietzsche.
Pöldinger, W. - Wagner, W.
(a cura di)
Ethik in der Psychiatrie.
Wertebegründung - Wertedurchsetzung
Springer, Berlin, agosto 1991
pp.244, DM 48
Un’indagine sul ruolo dell’antropologia e della metafisica nel ricavare sia il
mondo etico, i principi medici e il loro
mutare, sia i problemi pratici che si
presentano a una persona responsabile
nella prassi quotidiana.
Postl, Gertrude
Weibliches Sprechen.
Feministische Entwürfe
zu Sprache & Geschlecht
Passagen-Vlg., Wien giugno 1991
pp.336, DM 47,20 - ÖS 330
Poulain, Jacques (a cura di)
Critique de la raison
phénoménologique:
la transformation pragmatique
Cerf, Paris maggio 1991
pp. 248, FF 150
Gli atti del Convegno di Vienna (10-13
maggio 1985), dove riprendendo l’interrogazione husserliana vengono interrogate la possibilità e la necessità ontologica di confrontare la vita umana al
problema della verità.
Poulaine, Jacques
L’Age pragmatique
ou l’Experimentation totale
L’Harmattan, Paris maggio 1991
pp. 232, FF 130
Priest, Stephen
Theories of the mind
Penguin Books, Londra giugno 1991
pp.240, £ 6.99
Esamina le concezioni dei filosofi sulla
filosofia della mente. Il libro affronta
inizialmente il dualismo, la tradizionale
concezione secondo cui mente e corpo
sono realtà totalmente separate, e percorre poi il comportamentismo, il materialismo, il funzionalismo, le teorie del
“doppio aspetto” e la fenomenologia.
Prouvost, Géry
Catholicité
de l’intelligence métaphysique:
la philosophie dans la foi
selon Jacques Maritain
Ed. Téqui, Rennes maggio 1991
Putallaz, François-Xavier
La Connaissance de soi au XII siècle.
De Matthieu d’Aquasparta
à Thierry de Freiberg
Vrin, Paris maggio/giugno 1991
pp.444, FF 295
Ravera, Marco
Introduzione
al Tradizionalismo francese
Laterza, Bari luglio 1991
pp.210
Il libro presenta una chiara ed efficace
esposizione storiografica del tradizionalismo francese e dei suoi maggiori
protagonisti: J. de Maistre, L. de Bonald,
F. de Lamennais.
Renner, R.G. (a cura di)
Denken, das dieWelt veränderte.
Schlüsseltexte
der europäischen Geistesund Wissenschaftsgeschichte
Herder, Freiburg, agosto 1991
2 voll., pp.384 ciascuno, DM 78
Rhode, Wolfgang
Schopenhauer huete.
Seine Philosophie aus der Sicht
naturwissenschaftlicher Forschung
Schäuble, Rheinfelden maggio 1991
pp.250, DM 92
Risse, W. (a cura di)
Thesaurus Logicus.
Microfiche-Edition zur Geschichte
der Logik
Georg Olms, Hildesheim giugno 1991
DM 9.180
Questa edizione in microfilm ripercorre
in modo esauriente e originale circa 200
dei più importanti lavori sulla storia
della logica dall’inizio dei libri a stampa
fino a tutto il XVIII secolo.
Roberts, Richard
From Hegel to Heidegger:
Explorations in the afterlife
of religion
The Bristol Press
London maggio 1991
pp.176, £ 19.95
NOVITA' IN LIBRERIA
Una raccolta di saggi sul pensiero filosofico tedesco da Hegel a Heidegger,
dalla tecnica interdisciplinare e di orientamento teologico. Il volume esplora la “vita ultraterrena” della religione,
in un’epoca di ambiguità in cui ogni
cosa tende a divenire diversa dal proprio
io apparente.
Rohs, Peter
Johann Gottlieb Fichte
C.H. Beck, München giugno 1991
pp.190, DM 22
La presente introduzione al pensiero di
Fichte dimostra che la sua filosofia dell’io, spesso a torto pensata come soggettivismo e individualismo, è un tentativo, ancora oggi affascinante, di fondare
e di giustificare la spontaneità, la creatività e la coscienza di sé come fonte
dell’umanità.
Rorty, Richard
Philosophical papers.
Vol.1: Objectivity, relativism
and truth
Cambridge UP
Cambridge giugno 1991
pp.236, £ 27,50
Questa raccolta di saggi di Richard
Rorty, scritti negli anni ’80 e ora pubblicati in due volumi, affronta alcuni dei
temi che dividono i filosofi analitici
anglosassoni e i filosofi contemporanei
francesi e tedeschi, proponendo qualcosa di simile a un compromesso.
Rorty, Richard
Philosophical papers.
Vol.2: Essays on Heidegger
and others
Cambridge UP
Cambridge giugno 1991
pp.250, £ 27,50
Secondo volume della raccolta di saggi
di Richard Rorty, in cui vengono portati
avanti i temi del primo, nel contesto dei
dibattiti sulla recente filosofia europea
incentrata sull’opera di Heidegger e
Derrida.
Rutherford, R.B.
The Meditation of Marcus Aurelius:
A study
Clarendon Press, London giugno 1991
pp.304, £ 14.95
Questo studio cerca di facilitare al lettore moderno l’approccio alle “Meditazioni”, spiegando il loro retroterra storico e filosofico, percorrendo i nodi fondamentali del pensiero di Marco Aurelio
e riportando i dettagli stilistici della sua
prospettiva intellettuale e morale.
Sandkühler, J. - Pätzold, D.
(a cura di)
Die Wirklichkeit der Wissenschaft.
Probleme des Realismus
Meiner, Hamburg giugno 1991
pp.203, DM 30
Sandvoss, Ernst R.
Philosophie, Selbstverständnis,
Selbsterkenntnis, Selbstkritik
Wiss. Buchges., Darmstadt giugno 1991
pp.252, DM 38
Sartre, Jean-Paul - Levy, Benny
L’Espoir maintenant:
les entretiens de 1980
Verdier, Rieux en Val giugno 1991
pp. 104, FF 85
In queste interviste dell’ultimo periodo,
Sartre tenta di ripensare il concetto di
inizio.
Scalia, Gianni
Tra avanguardie e altre cose
discorsi di ordinaria letteratura,
politica, filosofia
Il Poligrafo, Padova giugno 1991
pp.224, L. 35.000
Il saggio è costituito da un insieme di
interventi provocatori su questioni e personaggi centrali nell’odierno dibattito
politico-culturale. Dal problema storico-teorico delle avanguardie novecentesche, la riflessione di Scalia si sposta
su quelle tematiche letterarie particolarmente sensibili ai risvolti filosofici e
politici via via sollevati dalle posizioni
dei più significatici maître à penser
come Roland Barthes e Edmond Jabès.
Scheler, Max
Von der Ganzheit des Menschen.
Ausgewählthe Schriften.
Liebe, Ethik, Erkenntnis, Leiden,
Zukunft, Realität, Soziologie,
Philosophie
A cura di Manfred S. Frings
Bouvier, Bonn giugno 1991
pp.283, DM 38
Schrift, Alan
Nietzsche and the question
of interpretation
Routledge, London luglio 1991
pp.256, £ 35
Questo studio lega Nietzsche alla tradizione ermeneutica, affermando che una
certa tensione nelle sue osservazioni
sull’interpretazione anticipa l’ermeneutica pluralista alternativa ad Heidegger.
Schwabe-Hansen, Elling
Das Verhältnis zwischen
transzendentaler und konkreter
Subjektivität
in der Phänomenologie
Edmund Husserls
W. Fink, München giugno 1991
pp.250, DM 58
Schwabe-Hansen interpreta la fenomenologia come un tipo a se stante di
filosofia trascendentale, rendendola
plausibile sulla base di un’ampia e precisa lettura di Husserl.
Seager, William
Methaphysics of consciousness
Routledge, London giugno 1991
pp.256, £ 35
Questa monografia delinea una concezione fisicalista del pensiero mentale,
indipendente dalle correnti teorie “mente-cervello”. Esplora la nozione di “sopravvenenza” come le ragioni di un
fisicalismo plausibile che richiede meno ricerche della spiegazione fisica dei
processi mentali.
Searle, John Rogers
Pour réitérer les differences:
réponse à Derrida
Eclat, Combas 1991
pp. 24, FF 30
L’articolo di Searle che ha inaugurato la
polemica con J. Derrida sull’interpreta-
zione del pensiero di Austin.
Sebba, Helen - Bueno, Anibal A. Boers Hendrikus (a cura di)
The collected essays of Gregor Sebba:
truth, history and the imagination.
Louisiana State University Press,
luglio 1991
pp.480, $ 29.95
Questa raccolta di saggi tutti pubblicati
tra il 1950 e il 1981, riflette la disparità
degli interessi di Gregor Sebba. Tra le
materie trattate vi sono la filosofia, la
storia delle idee, la letteratura e l’arte.
La maggior parte delle argomentazioni
riguardano la creatività e la ricerca del
vero.
Sheehan, J.J. - Sosna, M.
(a cura di)
The bounsaries of humanity.
Human, animals, machines
University of California Press,
Berkeley giugno 1991
pp.264, $ 35
Eminenti studiosi di sociobiologia e di
intelligenza artificiali uniscono la propria riflessione a quelle di filosofi, storici e scienziati sociali. I curatori del
volume, nel brano introdotti, analizzano
il dibattito.
Sichirollo, Livio (a cura di)
Il resistibile declino dell’Università
Guerini e Ass., Milano luglio 1991
pp.192, L. 28.000
Una raccolta di scritti di P. Calamandrei,
B. Croce, G. De Carlo, P. Piovani, G.
Pasquali, G. Pugliese Carratelli, E.
Renan, E. Weil. E’ un fatto forse poco
noto che dagli anni Venti la polemica
sull’Università si indirizzasse contro una struttura “massiccia e sgretolata a un
tempo”. Studiosi, docenti, educatori che
nella situazione attuale individuano i
sintomi di una ben prevedibile catastrofe, si richiamano alla riflessione di chi,
nel passato, aveva riconosciuto i segni
premonitori del disastro e li aveva denunciati a chiare lettere.
Singer, Peter
A companion to ethics
Basil Blackwell,
London luglio 1991
pp.560, £ 40
Questo volume, composto da quarantasette articoli, ricopre l’intero campo dell’etica, dalle origini della materia, attraverso le grandi tradizioni etiche, sino
alle teorie su come dovremmo vivere. Si
sofferma su specifiche questioni etiche
e sulla natura dell’etica stessa.
Snare, Francis
Morals, motivation
and convention:
Hume’s influential doctrines
Cambridge University Press,
Cambridge maggio 1991
pp.344, £ 30
Uno studio sulla continua influenza delle opinioni di Hume sulla filosofia morale e su quella politica. Il libro è in parte
un’ esegesi critica delle dottrine incisive e provocatorie di Hume contenute
nel terzo libro del “Trattato sulla natura
umana”; pone in rilievo l’importanza di
questo dibattito per la filosofia contemporanea.
Sosa, Ernest
Knowledge in perspective:
Selected essays in epistemology
Cambridge University Press,
Cambridge maggio 1991
pp.320, £ 30
Sin da Platone i filosofi si sono posti una
domanda fondamentale: qual è l’ambito
e quale la natura della conoscenza umana? In questo volume il filosofo Ernest
Sosa ha raccolto dei saggi a riguardo,
scritti nell’arco di venticinque anni. Tutti
i più importanti argomenti dell’epistemologia contemporanea sono trattati.
Spinnici, Paolo
Il significato e la forma linguistica.
Pensiero, esperienza e linguaggio
nella filosofia di Anton Marty
Franco Angeli, Milano giugno 1991
pp.344, L. 35.000
Sterenly, Kim
The representational theory of mind.
An introduction
Basil Blackwell, Oxford giugno 1991
pp.256, £ 37,50
Il libro illustra e sostiene una teoria
fisica dell’intelligenza in due parti: la
prima consiste nell’esposizione e nella
difesa di una delle principali teorie contemporanee della sesnsibilità umana
(teoria funzionalista della mente), la seconda considera opposizioni e obiezioni.
Stewart, M.A.
Studies in the philosophy
of the scottish Enlightenment
Clarendon Press, London maggio 1991
pp.336, £ 14.95
In questa serie di saggi sulla filosofia
scozzese nell’età di Hutcheson e Hume,
si sottolinea l’importanza dell’uso di
fonti storiche originali e dello studio del
contesto, come chiavi dell’interpretazione filosofica. La raccolta include ricerche sulla prima educazione scientifica e religiosa di Hume.
Strauss, Leo
Le testament de Spinoza:
écrits de Leo Strauss
sur Spinoza et le judaisme
a cura di A. Barraquin e
M. Depadt-Ejchenbaum
Cerf, Paris luglio 1991
pp. 359, FF 240
La tesi sostenuta da Strauss è che la
comprensione del problema ebraico inerisce a una nuova lettura del Trattato
teologico-politico di Spinoza.
Tallis, Raymond
The explicit animal.
A defence of human consciousness
MacMillan Acad. and Prof.,
Londra giugno 1991
pp.320, £ 35
Il testo fornisce un quadro completo
delle attuali teorie materialiste della coscienza e sostiene che i tentativi di sistemare o eliminare l’esperienza soggettiva sono mal concepiti. La coscienza
viene considerata la base di una nuova
visione, quella dell’”uomo esplicito”.
Tester, Keith
Animals and society.
The humanity of animal rights
Routledge, Londra giugno 1991
NOVITA' IN LIBRERIA
pp.208, £ 30
Il saggio fornisce un resoconto esauriente dei rapporti fra uomini e animali
e tenta di sollevare questioni di ampia
portata sulla filosofia, la storia e la politica dei diritti animali.
Thielen, Helmut
Revolution des Glaubens.
Religionsphilosophische Versuche
über Befreiung
Prefazione di Kuno Füssel
Argument, Hamburg giugno 1991
Track, Joachim
Philosophie im 20. Jahrhundert
Kohlhammer, Stuttgart
giugno 1991
pp.220, DM 29
Traversa, Guido
L’unità che lega l’uno ai molti.
La Darstellung in Kant
Japadre Ed., Roma maggio 1991
pp.268
Trutmann, Bruno
Der unbekannte Gott.
Eine kritische Aufeinandersetzung
mit dem offiziellen Gottesglauben
Rasch und Röhring,
Hamburg giugno 1991
pp.208, DM 28
Türcke, Christoph
Violenza e tabù.
Percorsi filosofici di confine
Garzanti, Milano maggio 1991
pp.141, L. 16.000
La raccolta di saggi di Türcke che affronta temi apparentemente disparati
come il concetto di non-violenza, l’etica
ambientalista, il rispetto per la vita, la
teoria degli archetipi junghiana e il rapporto tra Freud e la religione, rifiuta
l’approccio interdisciplinare per puntare sugli elementi di intersezione che
percorrono tutti questi temi. L’argomentazione di Türke è lucida, volutamente
polemica nel demistificare i luoghi comuni e le banalità rassicuranti di tante
nobili posizioni che, per un malinteso
assolutismo morale, si sottraggono al
compito di pensare.
Untersteiner, Mario
La fisiologia del mito
Bollati Boringhieri,
Torino giugno 1991
pp.564, L. 42.000
L’autore ripercorre il cammino “dal mito al logos” indagando soprattutto le
relazioni tra mito e religione, tra due
manifestazioni dello spirito che si differenziarono quando i miti presero uno
sfondo storico, o si colorirono di un
intento etico, allegorico o eziologico.
Vallentyne, Peter (a cura di)
Contractarianism
and rational choice.
Essays on David Gauthier’s
Morals by agreement
Cambridge University Press,
luglio 1991
pp.352, £ 35
“Morals by agreement”(1986) di David
Gauthier, offre una completa e suggestiva teoria contrattuale della moralità. In
questa antologia, alcuni filosofi della
politica e della morale forniscono un
esame critico della teoria di Gauthier e
dei suoi tre programmi principali.
Vasilyuk, F.
The psychology of experiencing
Harvester Wheatsheaf, giugno 1991
pp.258, £ 40
Sostiene che l’esperienza sensibile, un
lavoro della persona nel mondo, conferma la posizione dell’io rispetto al mondo; costituisce una replica alle epistemologie del disgiuntivismo e suggerisce modi in cui i singoli individui possono rimediare ai propri mali.
Verene, Donald Phillip
The new art of autobiography:
an essay on the “Life
of Giambattista Vico
written by himself”
Clarendon Press, London
luglio 1991
pp.280, £ 30
Uno studio sull’ autobiografia di Vico.
Questo libro colloca l’opera nello sviluppo del genere autobiografico; l’autore afferma che Vico fa del racconto della
propria vita un’applicazione filosofica
alla storia umana. Tale racconto è considerato in rapporto alle “Confessioni”
di Agostino e ai “Discorsi” di Cartesio.
Virno, Paolo
Opportunisme, cynisme et peur:
ambivalence du désenchantement
Eclat, Combas 1991
pp. 64, FF 55
Un’analisi della modernità e delle malattie sintomatiche del disincanto.
Waxman, Wayne
Kant’s model of the mind
Oxford UP, Oxford giugno 1991
pp.352, £ 35
Questa monografia propone una nuova
interpretazione delle concezioni
kantiane sulla percezione umana e la
conoscenza, così come vengono impostate nella prima parte della Critica della ragion pura.
Weatherford, Roy
The implications of determinism
Routledge, Londra giugno 1991
pp.240, £ 35
Weatherford intreccia temi metafisici,
etici, religiosi, del senso comune e della
fisica quantistica, dando luogo al quadro più chiaro possibile del problema in
tutte le sue forme.
Wellmer, Albrecht
The persistence of modernity:
Aesthetics, ethics
and postmodernism
Polity Press, maggio 1991
pp.200, £ 35
Un’analisi delle dimensioni estetiche,
etiche e filosofiche dell’era moderna;
questo libro discute il lavoro di figure
come Adorno, Peter Burger, Habermas
e Jean Francois Lyotard. Per tutto il
testo l’autore argomenta a favore di un
riesame degli scopi della diffusione della cultura.
Wenzel, Harald
Die Ordnung des Handelns.
Talcott Parson’s Theorie
des allgemeinen Handlungssystems
Suhrkamp, Frankfurt a.M.
giugno 1991
pp.528, DM 68
Weymann-Weyhe, Walter
Leben in der Vergängichkeit.
Über die Sinnfrage,
die Erfahrung des Anderen
und den Tod
Patmos, Düsseldorf giugno 1991
pp.192, DM 29,80
Whitford, Margaret
Luce Irigaray.
Philosophy in the feminine
Routledge, Londra giugno 1991
pp.304, £ 35
Introduzione al pensiero e all’opera di
Luce Irigaray. Pensandola come una
filosofia della differenza sessuale, Margaret Whitford suggerisce che si tratti di
un’opera di filosofia al femminile.
Wiggins, David
Needs, values, truth
Blackwell Publishing,
Londra giugno 1991
pp.380, £ 14.95
Una raccolta di dieci saggi che ricoprono i territori dell’etica, della metaetica,
della filosofia del linguaggio e della
logica. Tra i tanti argomenti toccati vi è
la controversa questione del cognitivismo in etica.
Wilhelms, Günther
Sinnlichkeit und Rationalität.
Der Beitrag Alfred Lorenzers
zu einer Theorie
religiöser Sozialisation
Kohlhammer, Stuttgart giugno 1991
pp.238, DM 74
Al centro della ricerca c’è l’interrogativo sulle possibilità di tramandare il mondo simbolico religioso e le tradizioni
nella situazione culturale e sociale odierna.
Wils, J.-P. - Mieth, D. (a cura di)
Ethik ohne Chance? Erkundungen
im technologischen Zeitalter
Attempto-Vlg., Tübingen, agosto 1991
2 ed. ampliata e riveduta
pp.294, DM 36,80
Wilson, Fred
Empiricism
and Darwin’s science
Kluwer Acad.Publ.,
Lancaster luglio 1991
pp.368
Difende un certo empirismo e la teoria
darwiniana sull’origine delle specie attraverso la selezione naturale.
Witzany, G. (a cura di)
Zur Theorie der
philosophischen Praxis
Die Blaue Eule, Essen giugno 1991
pp.147, DM 38
Wood, Allen W.
Hegel’s ethical thought
Cambridge UP, Cambridge giugno 1991
pp.315, £ 30
Notevole esposizione della teoria etica
che sta alla base della filosofia hegeliana sociale, politica e storica.
Wren, Thomas E
Caring about morality:
Philosophical perspectives
in moral psychology
Routledge, Londra giugno 1991
pp.208, £ 30
Si tratta di uno studio di filosofia morale
che cerca di mettere in dubbio gli assunti filosofici che puntellano gli aspetti
psicologici e motivazionali della moralità. L’autore propone la sua teoria della
“cautela morale” che è una tendenza a
pensare la realtà in termini morali.
Zimmermann, Rainer E.
Selbstreferenz
und poetische Praxis.
Entwurf zur Grundlegung
einer axiomatischen Systemdialektik
Junghans, Cuxhaven giugno 1991
pp.115, DM 28
Zingari, Guido
Leibniz, Hegel
e l’idealismo tedesco
Mursia, Milano 1991
pp.229, L. 30.000
Il libro indaga in maniera approfondita
i rapporti tra Leibniz e l’Idealismo tedesco e in particolar modo tra il pensatore
di Hannover e lo Hegel della Scienza
della logica. Tali rapporti vengono affrontati secondo il duplice andamento
dell’influsso e della ricezione concentrandosi soprattutto sui temi della logica
formale, della filosofia della matematica e della scienza.