MN Guida Musicale File - Progetto e

GUIDA
Mantova città di Musica
Itinerario fra luoghi, immagini e suggestioni
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itinerario musicale
in tre atti e venti scene
L
a musica vive anzitutto nella dimensione sonora, ma ricercarne gli indizi silenti nei
luoghi in cui fu concepita ed eseguita illumina la percezione della storia e del presente. In quest’itinerario quasi circolare, la vita musicale della città racconta se stessa, mantenendo, con rare
deviazioni, il filo del tempo e della contemporaneità. Idealmente, come in una grande partitura,
la narrazione si snoda in tre atti, incorniciati da un prologo e un epilogo, con due intermezzi.
Mantova ha vissuto la propria stagione musicale più intensa tra il tardo Quattrocento e l’inizio del
Seicento, quando il marchesato-ducato dei Gonzaga (1328 – 1707), di cui fu capitale, raggiunse
l’apice della propria fortuna. Dopo un prologo, dedicato a un affaccio sul medioevo, il primo atto si
estende fra il Quattrocento e il primo Cinquecento, periodo in cui la corte di Francesco II Gonzaga
e di Isabella d’Este divenne il fulcro della fioritura della frottola*, Federico II accolse con sfarzo
l’imperatore Carlo V, il cardinale Ercole consolidò la musica liturgica. Dopo un primo intermezzo,
dedicato all’invenzione dell’opera e della sua tradizione, il secondo atto abbraccia una vera età
dell’oro: la cura per la musica sacra toccò con Guglielmo Gonzaga vertici assoluti nella Basilica
palatina di Santa Barbara; il gusto per le nuove forme di spettacolo in musica raggiunse incomparabili livelli di qualità e sperimentazione con Vincenzo I, mentore di Claudio Monteverdi (secondo
intermezzo). La parabola discende repentinamente dopo il devastante sacco della città (1630),
per ritrovare solo con l’ultimo duca Ferdinando Carlo Gonzaga di Nevers una stagione di relativa
intraprendenza. L’età dei lumi e i primi sussulti patriottici e sociali occupano il terzo atto. L’epilogo
guarda alle nuove promesse musicali, ma tutta la narrazione cerca di non trascurare il significato
odierno degli spazi e le prospettive di ricerca.
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Prologo
Premesse medievali: omaggio a Sordello
1. Piazza Sordello
Fig. 1 Sordello da Goito, miniatura su pergamena
(180x108 mm), sec. XV (palazzo D’Arco)
Giungendo dallo scenografico ponte di
S. Giorgio, piazza Sordello offre il primo affaccio ammaliante su Mantova e
anche il primo indizio dell’amore della città per la propria storia culturale e
musicale. Al trovatore Sordello da Goito
(Goito, inizio 1200-?, post 1269), citato
da Dante (Purg, VI, 74: “O Mantoano, io
son Sordello / de la tua terra!”), i mantovani hanno infatti intestato (1867) la
piazza principale, già di S. Pietro (Fig.
2). Parte di quella folta schiera di lirici
che tra Duecento e Trecento poetarono in provenzale, Sordello recitava in
canto i propri testi: «Bel m’es ab motz
leugiers a far / chanson plazen et ab
guay so» («Mi piace fare con parole facili una canzone piacevole e dalla gaia
melodia»). Due profili biografici antichi
(vidas) lo definiscono «buon cantore e
buon trovatore» oltre che gran amatore.
A eccezione di una canzone (Bertran,
le joi de domnas e d’ami), la sua produzione musicale è irreperibile, mentre
rimane un cospicuo repertorio poetico.
Una delle più belle immagini del trovatore mantovano è tramandata dalla
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miniatura su pergamena qui riprodotta (Fig.
1): seduto su uno scranno all’interno di un
padiglione di tessuto blu, Sordello suona il
suo liuto; lo circonda una grande “S” formata
da pesci, congiunti da una spada e da una
mazza ferrata; alla base, Cupido bendato con
un agnello, un liuto e la lettera “V” di Venere
(destra), e Marte con un leone, una spada e
la lettera “M” (sinistra), simboleggiano rispettivamente le doti amorose e valorose di Sordello, celebrate nei lambrecchini (svolazzi) in
alto: «Marte et Amor sun elo / Chi pote star
sur d’elo?» (Marte e Amore son con lui, chi
può sovrastarlo?). Il medaglione in basso potrebbe raffigurarlo come castellano di Goito.
Sul verso della pergamena è miniata Cunizza
da Romano che egli rapì e amò.
Fig. 2 Mantova, piazza Sordello
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Fig. 3 Viola grande “alla spagnola”, sec. XVI
(palazzo San Sebastiano, camera del sole)
Fig. 4 Rinaldo Mantovano (?), Virgilio con la syrinx, sec.
XVI (palazzo San Sebastiano, Museo della città)
AttoPrimo
Primo Rinascimento: frottole, madrigali e musiche sacre
2. Palazzo San Sebastiano. Museo della Città
L’itinerario musicale inizia da palazzo da notare il frammento di affresco (Fig. 4)
San Sebastiano, all’altro capo della città raffigurante Virgilio con la syrinx (zampoantica. Voluto da Francesco II Gonzaga, gna). Il frammento (1540 ca.) proviene dal
l’imponente palazzo fu eretto (1506-1508) palazzo dei Gonzaga del ramo di Bozzolo
come luogo di passatempo vicino all’iso- (ora sede del Municipio). L’intera scena, rila del Te. Ebbe poi diverse destinazioni, costruibile sulla base di un disegno di Giuanche musicali: fu, tra l’altro, sede dell’I- lio Romano, raffigurava un giovane Virgistituto Musicale “L. Campiani” (ora Con- lio nell’atto di comporre la Quarta Ecloga
servatorio). Dal 2005 ospita il Museo della (Georgiche), mediando metaforicamente
Città. Sia le decorazioni rinascimentali, sia tra la Sibilla Tiberina (pagana, in basso) e
le collezioni museali offrono notevoli indizi la Vergine Maria (in alto). Virgilio fu poeta
musicali. L’elegante impianto ornamentale caro anche ai compositori rinascimentali,
si impernia sulla riproduzione di un’impre- come confermano i numerosi madrigasa al centro della volta delle camere. Due li composti su passi dell’Eneide e delle
Bucoliche (Josquin, Rore, Lasso e altri).
lunette della camera del Sole
(piano terra), forse adibita anche a passatempi musicali,
racchiudono la raffigurazione
di strumenti: un liuto con un
trombone, una tromba naturale con una viola grande “alla
spagnola” (vihuela) con la
cassa bicolore (ebano/sandalo e legno chiaro), forse simile
a quella posseduta (1508) da
Isabella d’Este (Fig. 3). Tra le
Fig. 5 Orfeo ed Euridice agli inferi, camera di Ovidio o delle Metamorfosi
collezioni (piano superiore), è
(palazzo Te)
5
3. Palazzo Te
Fig. 6 Giulio Romano, sala di Amore e Psiche (palazzo Te)
A pochi passi dal palazzo San Sebastiano sorge
la stupefacente villa suburbana del Te. Voluta
da Federico II Gonzaga, fu progettata, realizzata e decorata (1524-1534) da Giulio Romano
su un’isola del Lago Paiolo (ora prosciugato).
Discretamente lontana dalle sedi istituzionali,
la residenza era destinata allo svago (Honesto
ocio). Il fantasioso apparato decorativo è gremito di tracce musicali. A partire dalla loggia delle
Muse, che celebrava i temi più cari alla cultura mantovana: Apollo (lunetta ovest) suona la
syrinx dalla quale sgorga l’acqua della fonte
delle muse (Ippocrene); Virgilio laureato ispira
le scene orfiche (parete nord). Nei fregi della
camera di Ovidio o delle Metamorfosi (1527)
si nota Orfeo con la lira ed Euridice prigioniera
di fronte a Plutone e Proserpina (Fig. 5). Si in6
seguono i giochi di putti, anche musicisti: nelle
camere delle Aquile, degli Stucchi e degli Imperatori (Felice Campi, 1788-1789), fino al trionfo
della sala di Amore e Psiche, tra le più famose
del Rinascimento. Il ricco programma iconografico di questa sala include un ensemble musicale che accompagna il banchetto in posizione
rialzata rispetto alla tavola (Fig. 6); e dodici vele
di soggetto musicale che contornano la sala. A
partire in senso orario dalla prima vela (sopra
la frase HONESTO OCIO): 1) un amorino con
faretra suona il liuto leggendo, un altro regge un
libro notato; 2) un amorino con i cimbali; 3) un
amorino con lira ‘all’antica’; 4) un amorino suona la viola, l’altro il cornetto; 5) un amorino con
il flauto; 6) tre amorini danzanti; 7) un amorino
con tamburello a sonagli; 8) un amorino con la
ghironda, un altro con il triangolo; 9) un amorino
con la syrinx; 10) un amorino suona il flauto a
tre buchi e tamburo (tabor-pipe), l’altro i timpani;
11) quattro amorini cantano polifonicamente ‘a
libro’; 12) un amorino suona l’organo, un altro
forse aziona i mantici. Nell’insieme, le vele raffigurano realisticamente la ricchezza strumentale dell’epoca, sullo sfondo dell’opulenza del
banchetto di corte. In questa sala («camarone
grande») mangiò l’imperatore Carlo V, in oc-
casione della festa (2 aprile 1530), organizzata durante il suo soggiorno mantovano. A quei
tempi era al servizio della corte di Mantova uno
dei più stimati compositori dell’epoca: Jacquet
de Mantua (1483-1559). Accanto a frottole e
canzonette di tradizione mantovana, nelle sale
del palazzo Te furono forse eseguite sue composizioni profane, come il brano da banchetto
Canamus et bibamus e il mottetto Enceladi Ceique soror, inneggiante ai cavalli dei Gonzaga.
4. Basilica concattedrale di S. Andrea
Percorrendo la direttrice urbana tracciata da
Leon Battista Alberti, si giunge alla basilica
concattedrale di S. Andrea. Eretta nel IX secolo sul luogo in cui, secondo la tradizione,
Longino seppellì il sangue di Cristo (ora nella
Cripta), la basilica fu ricostruita su progetto
di Leon Battista Alberti dal 1472, anno in
cui fu elevata al rango di collegiata, dopo la
soppressione dell’annesso monastero benedettino; terminò la costruzione Luca Fancelli
(1494), mentre la cupola di Filippo Juvarra è
posteriore (1733-1765). Benché non ci siano
prove sulla regolare attività di una cappella
musicale, la basilica accolse nel tempo momenti salienti della vita cittadina, con l’ausilio
dei musicisti della corte dei Gonzaga e del
Duomo. Le notizie sono rarefatte. Si sa che
vi era un organo (1387). Della sua biblioteca
restano alcuni interessanti codici gregoriani
miniati (sec. XIV). Nel primo Seicento raggiunse una maggiore autosufficienza musi-
cale: Giulio Cesare Antonelli in una propria
raccolta si qualifica «maestro di Capella di
S. Andrea di Mantova» (Luzzara 1606). In
quegli stessi anni (1611) vi si celebrarono
vespri con musiche di Monteverdi. Dopo il
sacco della città, Andrea Cazzati si definisce
suo «organista e maestro di Capella» (Venezia 1641). Per tutto il Seicento continua-
Fig. 7 Organo Serassi, 1851 (basilica di S. Andrea)
7
no le tracce musicali, seppur disorganiche.
Dopo la vendita del precedente strumento,
nell’Ottocento (1851) la basilica fu dotata
dell’attuale imponente organo Serassi (Fig.
7), recentemente restaurato (ditta Formen-
telli, 2007). Nel Novecento don Lino Leali
fondò la cappella musicale “Mario Pettorelli”
(1952), ora non più attiva. Alle principali celebrazioni partecipano attualmente il gruppo
vocale Lusit Orpheus e un coro giovanile.
5. Cattedrale di San Pietro. Duomo di Mantova
Ritornando in piazza Sordello, ci si trova di
fronte la cattedrale di S. Pietro, comunemente chiamata Duomo, di origine paleocristiana.
Ricostruita in età medievale in stile romanico,
venne ristrutturata da Giulio Romano. La facciata attuale è settecentesca (Nicolò Baschiera).
Nel Duomo fu istituita una cappella musicale
stabile solo dal 1510, per volere del marchese
Francesco II Gonzaga. Già dalla metà del Quattrocento la cattedrale possedeva tuttavia mezzi
musicali: un coro di chierici e un organo (1449).
L’attività della nuova cappella musicale, di fatto
sostenuta dai Gonzaga, si svolgeva nella cappella di Santa Maria de’ Voti (oggi sacrestia,
visitabile), ricavata dalla trasformazione in santuario mariano di un corridoio di collegamento
fra il Duomo e l’attigua chiesa di S. Paolo. Nel
periodo di costruzione, il nuovo luogo di culto
fu dotato di codici di canto piano. Francesco II
fece inoltre acquistare libri musicali, alcuni dei
quali potrebbero trovarsi nel fondo polifonico di
S. Barbara (Milano). La direzione della cappella musicale fu affidata a Marchetto Cara (1470
ca.-1525 ca.). Ercole Gonzaga accrebbe il numero dei musicisti: il coro passò da 18 componenti (1528) a 32, mentre il coro polifonico raggiunse il cospicuo numero di 15 cantori, quando
8
Fig. 8 Duomo, Cupola (particolare)
la media diffusa era di 12. Ercole assunse inoltre al proprio personale servizio (1527) l’allora
già celebre Jacquet de Mantua, che compose
quasi esclusivamente per le necessità liturgiche della Cattedrale. Negli anni del Concilio di
Trento, sotto il ducato di Guglielmo Gonzaga, il
Duomo accrebbe la propria autonomia musicale rispetto alla corte. I primi maestri di cappella
di questa nuova fase furono: Ippolito Baccusi,
Lodovico Viadana, Stefano Nascimbeni. La
cappella musicale fu sciolta dal vescovo Giuseppe Sarto (1887) in piena riforma ceciliana,
e sostituita dalla schola cantorum del seminario. All’interno, è notevole la cupola affrescata
con un Paradiso (Ippolito Andreasi, Teodoro
Ghisi, fine XVI sec.), gremito di angeli musicanti che imbracciano i più diversi strumenti (Fig.
8), con tanto di maestro ripetitore. Sulla can-
toria nel transetto di destra si trova un organo
moderno di stile neoclassico (ditta Benzi-Franceschini, Crema 1915) bisognoso di restauri.
6. Archivio Storico Diocesano
Sul lato della piazza Sordello (civico n. 15)
si trova il palazzo Vescovile, al cui interno è
situato l’Archivio Storico Diocesano importante per la storia musicale della città. Mantova
fu sede vescovile dal VII secolo. Creato nel
1967, l’Archivio accoglie una ricca raccolta di
oltre sessanta codici musicali, alcuni incunaboli musicali e giuntine del primo Cinquecento.
Si tratta di manufatti preziosi, come il Messale
della Cattedrale (sec. XV), appartenuto alla
marchesa Barbara di Brandeburgo, celebre
per le sue mirabili miniature di Belbello da Pavia e Girolamo da Cremona. Vi sono poi codici
notevoli per il contenuto musicale e storico.
Come nel caso del Kyriale-Guaduale (1481)
del Duomo, che presenta aggiunte relative
alle celebrazioni per S. Luigi Gonzaga (santificato 1726) e S. Giuseppe Calasanzio (santificato 1767), a riprova di un uso prolungato. O
come nel caso della straordinaria raccolta dei
codici corali della basilica palatina di Santa
Barbara, che contengono i canti della messa
e dell’ufficio, modificati o nuovamente composti per la liturgia della basilica stessa. Voluti
dal duca-compositore Guglielmo Gonzaga
(1538-1587), negli anni a ridosso del Concilio
di Trento, furono forse da lui stesso musicalmente realizzati, con l’ausilio del suo celeberrimo maestro di cappella Giaches Wert (1535
ca.-1596). Su queste melodie liturgiche composero le proprie polifonie i più grandi maestri
del tempo, primo fra tutti Giovanni Pierluigi da
Palestrina (1525 ca.-1594). Anche Claudio
Monteverdi basò su di esse almeno il proprio
inno a otto voci Ave maris stella (in Vespri
della Beata Vergine, Venezia, 1610; Fig. 9).
Fig. 9 Ave maris stella, Fondo S. Barbara, Cod. 11
(Archivio Storico Diocesano)
9
Primo Intermezzo
Teatro Grande e Casa Rigoletto: l’invenzione dell’opera e della tradizione
7. Teatro Grande
orchestra per gli «abbattimenti».
Distrutto da un incendio (1588)
che annientò pure l’armeria e i
trofei che ne ornavano le pareti, fu ricostruito (1598). Al tempo di Monteverdi, presentava
numerose finestre, gradoni e
forse palchi; sulle pareti campeggiavano i ritratti a guazzo dei
Gonzaga; il soffitto era dipinto a
«cielo e nuvole»; l’ingresso avveniva attraverso una «grande
porta». Il teatro possedeva uno
Fig. 10 Teatro Grande, ora Museo Archeologico Nazionale dei più antichi sipari ‘a levata’,
certamente utilizzato in occasione delle rappresentazioni del
Interrompendo il flusso della narrazione musicale sacra, il Primo intermezzo Pastor Fido (1598) e dell’Idropica di Battiaccenna alla storia teatrale e operistica sta Guarini, del Ballo delle Ingrate di Mondella città. Di fianco al Duomo si trovava teverdi (1608). Non si può escludere che
il teatro Grande («scena di corte», «scena una replica di Orfeo, arricchita per l’occadi Castello»), di cui oggi rimane solo l’in- sione dello spettacolare finale apollineo ex
vaso, occupato dal Museo Archeologico machina (partitura), sia stata rappresenNazionale (Fig. 10). Progettato da Giovan tata qui. Più volte ristrutturato, nel XVIII
Battista Bertani (1549-1561), fu tra i più secolo assunse i nomi di teatro Nuovo e
antichi teatri stabili della storia italiana. Si- di Imperial Regio Teatro. Divenuto obsotuato a pianterreno, era dotato di alte gra- leto, fu progressivamente abbandonato e
dinate a semicerchio, un palco inclinato demolito (1898). Al tempo di Monteverdi
con scena cittadina a rilievo e una grande esisteva in corte anche un «Teatro piccolo
10
di corte» costruito in fondo alla contrada «del
Zuccaro» (attuale via Teatro Vecchio) e, alla
moda di Firenze, collegato alla corte mediante corridoi e passaggi coperti. Anche di questo
teatro resta solo qualche lacerto nell’area ora
occupata dal Museo dei Vigili del fuoco. Questi luoghi ospitarono un gran numero di eventi
musicali, documentati da libretti e cronache
in buona parte conservati nella Biblioteca
Comunale Teresiana e nell’Archivio di Stato.
8. Casa di Rigoletto
Come direbbe lo storico Eric Hobsbawm, Rigoletto, opera di Giuseppe Verdi, su libretto
di Francesco Maria Piave (Venezia, teatro la
Fenice, 11 marzo 1851), costituisce un emblematico caso di invenzione della tradizione:
realtà e finzione vi si mescolano, producendo
vicende più vere del vero. Originariamente
ispirato al lavoro teatrale Le Roi s’amuse di
Victor Hugo (1832), il libretto metteva in scena le passioni, gli intrighi, la spregiudicatezza
della corte di Francia. Vietato dalla censura
austriaca, il libretto venne rielaborato dallo
stesso Piave in accordo con la Direzione centrale di Polizia. La dirigeva Luigi Martello, che
era stato commissario a Mantova, e dei più
severi, durante i moti risorgimentali: la diretta
conoscenza della storia e dei luoghi mantovani, ispirò la nuova ambientazione nella remota
corte cinquecentesca dei Gonzaga, ormai da
tempo non più autonoma politicamente (1707).
Il buffone Triboulet divenne così Rigoletto,
e Parigi divenne Mantova. Il vivido realismo
della vicenda, così ripensata, si è riverberato
sulla percezione della realtà, sino all’attribuzione di denominazioni ‘rigolettiane’ a luoghi che
nulla avevano in comune con l’opera: la casa
di Rigoletto (piazza Sordello) in realtà è una
casa rinascimentale con giardino (Fig. 11); la
locanda di Sparafucile (lago di Mezzo, ponte
di S. Giorgio), in realtà è parte delle fortificazioni medievali. Il connubio fra vero e finzione è stato esaltato dal recente film in diretta
televisiva Rigoletto a Mantova, regia di Marco
Bellocchio e direzione Zubin Metha (2010), in
cui le dimore gonzaghesche e gli scorci della
città sono divenuti mirabile scenografia. Per
approfondimenti: Mantova, la città di Rigoletto
(in questa stessa collana di guide tematiche).
Fig. 11 Aldo Falchi, statua di Rigoletto (Casa di Rigoletto)
11
AttoSecondo
Controriforma e primo barocco: il trionfo del sacro e della meraviglia
Fig. 12 Basilica palatina di Santa Barbara, facciata
9. Basilica palatina di Santa Barbara
Prima di entrare nel palazzo Ducale, attraversando il grande arco e piazza Castello, si raggiunga la basilica palatina di
Santa Barbara (Fig. 12). Non semplice
cappella di corte, ma notevole edificio sacro interno alla reggia, Santa Barbara è
un unicum nella storia musicale europea.
Voluta dal duca-compositore Guglielmo
Gonzaga, fu concepita per esaltare il rito,
12
la musica liturgica e lo stato. Fu collegiata
indipendente dalla diocesi; ebbe una liturgia propria, un canto piano riformato, un
repertorio polifonico dedicato e un’ottima
cappella musicale. Costruita (1561-1572)
su progetto di Giovan Battista Bertani, fu
dotata (1565) del pregiatissimo organo del
bresciano Graziadio Antegnati (Fig. 13)
con portelle dipinte (Fermo Ghisoni). Perfino la campana doveva avere una voce
«dolce» e un’intonazione definita (c sol fa
ut, attuale do2). Spazi precisi ospitavano
diversi ranghi musicali: i chierici (dietro
all’altare), i musici professionisti (cantoria
sopra l’ingresso, balconata dell’organo,
cantoria di fronte). Questi spazi esaltavano l’alternanza fra canto monodico e
polifonia (alternatim). Vi cantarono occasionalmente anche cantatrici professioniste: le sorelle Pellizzari (1583) e la mitica
Adriana Basile (1612). L’acustica è tuttora
perfetta, sebbene la basilica sia stata privata degli arazzi (su cartoni di Raffaello,
ora in palazzo Ducale). Nel primo periodo
la cappella fu diretta da Giaches Wert. È
ragionevole ipotizzare che Monteverdi abbia concepito brani sacri per questo luo-
Fig. 13 Basilica palatina di Santa Barbara,
organo Antegnati (1565)
go; almeno il suo Ave maris stella (Vespri della Beata Vergine,
1610), fu composto sul canto barbarino riformato. Il repertorio
di canto piano della Basilica è tutt’ora a Mantova, mentre il fondo polifonico si trova a Milano (Biblioteca del Conservatorio “G.
Verdi”), dove fu trasferito dal governo austriaco (1850) a seguito
di un tentativo di acquisto da parte del collezionista don Giuseppe Greggiati (Ostiglia). L’organo, recentemente restaurato
(Giorgio Carli, 2006) è divenuto il fulcro di rinomate rassegne
musicali: Gaude Barbara beata; Antegnati tour (con altre chiese
dotate di organi Antegnati).
10. Palazzo Ducale
Il palazzo Ducale, stupefacente per ampiezza, complessità e stratificazioni architettoniche, rappresenta un libro aperto, ma anche segreto, sulla storia della musica a Mantova. Benché il percorso
principale di visita inizi dal piano nobile della corte Vecchia, un ideale itinerario musicale non può
che partire dall’appartamento vedovile di Isabella d’Este Gonzaga (piano terra).
Studiolo e grotta
Allieva a Ferrara di Battista Guarini, Isabella d’Este (1474-1539), sposa di Francesco II
Gonzaga, trasformò la corte in un modello di
cui imitare mode e tendenze. Isabella sapeva
di musica, cantava e suonava diversi strumenti (liuto, viola da gamba). A Mantova favorì la
fioritura delle frottole*. Le composizioni dei
suoi principali musicisti, Marchetto Cara e
Bartolomeo Tromboncino, furono stampate
(Frottole, Venezia, Ottaviano Petrucci). I suoi
ideali divennero anche ‘musica per gli occhi’.
Ispirandosi ad altri studioli coevi, creò uno studiolo (1491) e una sottostante grotta (1498)
di Isabella d’Este
Gonzaga
Fig. 14 Studiolo di Isabella d’Este (palazzo Ducale)
*frottola: brano polifonico ammiccante ai piaceri della vita e della natura, solitamente eseguito a una voce con strumenti.
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nella torre del Castello (vicino alla camera degli Sposi), quali luoghi di meditazione e di autorappresentazione. Arricchì i propri camerini di
rarità e di quadri dei maggiori artisti del tempo
(Mantegna, Perugino, Lorenzo Costa). Con
l’avanzare dell’età, Isabella preferì trasferirsi
(1523) in corte Vecchia (piano terra), ricollocando anche lo studiolo e la grotta (Fig. 14). Le
sue raccolte furono vendute al re d’Inghilterra
o saccheggiate (1630). I camerini isabelliani
offrono un esemplare programma iconografico. Tra i rilievi marmorei che decorano gli stipiti
della porta dello studiolo (Gian Cristoforo Romano), si noti Isabella stessa in veste di protettrice delle arti con syrinx a 7 canne. Le tarsie
lignee (Paolo e Antonio della Mola, 1506) della grotta raffigurano realisticamente strumenti
musicali: a fiato di varie taglie, una viola, una
chitarra, un’arpa, un liuto, un clavicordo e un
libro chiuso, simbolo della perfetta conoscenza (Fig. copertina); alla base della veduta urbana è tracciato un canone* (Ockegem). In
alto, tra le varie imprese, campeggia quella
delle Pause, amatissima (Fig. 15): un polifonico canone* di silenzi evoca l’armonia del
macrocosmo e del microcosmo interiore. Nel
primo Novecento rinacque l’interesse per questi spazi: Gabriele d’Annunzio vi ambientò la
prima lunga sequenza del suo romanzo Forse
che sì, forse che no (1910); l’esposizione universale (1911) ne propose una ricostruzione.
*canone: brano polifonico generato dalla ripetizione di una
stessa melodia proposta in rigorosa successione.
Fig. 15 Impresa delle pause, Grotta di Isabella d’Este (palazzo Ducale)
Sala del Labirinto
Proseguendo la visita ordinaria del palazzo
Ducale, si passa per la sala del Labirinto
così denominata per il soffitto ligneo dipinto
e dorato in foggia di labirinto, legato anche
alla storia musicale mantovana (Fig. 16).
Nei primi anni del Cinquecento, il detto Forsi che sì, forsi che no apparve scritto, anzi
stampato, non come semplice espressione
gergale o letteraria, bensì rivestito di canto
14
in una barzelletta a quattro voci di Marchetto Cara, composta dunque nella cerchia di
Isabella d’Este: «Forsi che sí forsi che no /
El tacer nocer non po» (Frottole, libro tertio,
1505). A quello stesso periodo risale la creazione dello stupendo soffitto ligneo decorato
da Lorenzo Leonbruno (1477-1537), recante
nei lacunari l’ossessiva ripetizione di questa
frase. Originariamente collocato nel palaz-
zo San Sebastiano, fu poi trasferito (1601)
nel palazzo Ducale per decorare il soffitto di
una delle sale dell’appartamento del duca
Vincenzo I. In quell’occasione il fregio venne anche arricchito con una scritta esterna,
evocante la terza spedizione del duca contro
i turchi a Canessa (1601), e con una frase
centrale, riferita al significato mitologico del
labirinto. L’intreccio fra poesia, musica e materializzazione decorativa, è così avviluppato da non consentire la certa identificazione
dell’archetipo del motto, la cui traccia più
antica resta quella poetico-musicale. Quando Gaetano Cesari pubblicò (1953) la prima
edizione moderna delle frottole, Forsi che
sì, forsi che no divenne uno dei brani più
conosciuti del rinascimento italiano. È noto
che d’Annunzio conobbe l’enigmatico detto
proprio in questa sala (1907, 1909), sce-
Fig. 16 Sala del Labirinto, soffitto (palazzo Ducale)
gliendolo poi come titolo del suo omonimo
romanzo (1910); è improbabile tuttavia che
egli conoscesse la sua versione musicale.
Sala dello Specchio
Fig. 17 Sala dello Specchio (palazzo Ducale)
Il percorso ordinario di visita non include un
luogo di grande interesse musicale: la ritrovata
sala dello Specchio (visitabile a richiesta). «Ogni
venere di sera si fa musica nella sala de’ Specchi», scrive Claudio Monteverdi al cardinale Ferdinando Gonzaga a Roma (28 dicembre 1610,
22 gennaio 1611). Questo accenno, riconsiderato insieme ad altre fonti, ha condotto all’incredibile riscoperta della sala dello Specchio (o de’
Specchi) in uso ai tempi di Monteverdi (Fig. 17).
La sala faceva parte di un nuovo appartamento
15
(1582-1585), commissionato dal duca-compositore Guglielmo Gonzaga all’architetto Bernardino
Facciotto. Dopo il saccheggio della città, la sala
dello Specchio divenne stanza del tesoro e fu
arredata con armadi. Parzialmente crollata, fu
sezionata in due piani; quello sottostante venne diviso in cinque stanze, destinate agli uffici
di scalcheria (1735) e più tardi (1934) date all’incisore Antonio Carbonati. Resa irriconoscibile e
dimenticata, la sala è stata a lungo confusa con
il «Logion serato» (grande loggia chiusa), ricavata dalla trasformazione di un loggiato nel primo
Seicento, ma solo più tardi (1779) denominata
anch’essa Galleria degli Specchi (Fig. 18). Lo
studio comparativo (Paola Besutti) fra l’irregolare
disegno planimetrico ritrovato (Paolo Carpeggiani; Fig. 19) e la foto aerea del palazzo Ducale
(Fig. 20) ha portato all’identificazione dell’area in
cui si trovava la sala. Dopo la riscoperta (1998),
il solaio intermedio è stato demolito e sono state
restaurate le lunette (Fig. 21). Lo studio dei frammenti murari, ha permesso una prima ricostruzione virtuale (Roberto Soggia) della copertura a
ombrello, scenograficamente composta da venti
vele, ciascuna corrispondente a una lunetta affrescata (Giovan Battista Giacarelli) con giochi
di putti, ispirati a Mantegna e Giulio Romano.
La volta originaria, decorata con motivi vegetali,
era costruita con materiali leggeri (legno e canne). Gli specchi erano forse posti alla sommità
della bizzarra copertura, o all’interno di boiseries.
Quasi attraversando un bosco incantato, vi si
16
Fig. 18 Galleria degli Specchi ‘Logion serato’ (palazzo Ducale)
Fig. 19 Bernardino Facciotto, Planimetria della sala dello Specchio
(Archivio di Stato di Torino)
giungeva dal giardino pensile e dal corridoio dei
Fauni; il duca poteva entrarvi dalla parte opposta, mediante un proprio ingresso riservato. La
sala era dotata di un apprezzatissimo organo
con le canne di legno. È verosimile che la sala
fosse prevalentemente destinata alla musica.
Qui si tenne la celeberrima prova dell’Arianna
di Rinuccini e Monteverdi (14 marzo 1608) du-
rante la quale Virginia Andreini eseguì le parti
appena imparate, in sostituzione di Caterina
Martinelli, morta di vaiolo. Recentemente è stata
ricostruita una parte della copertura della volta
in materiale leggero. Il restauro non è del tutto
compiuto poiché un corpo di fabbrica settecentesco si incunea ancora nella sala, ingombrandola. Per il suo peculiare interesse musicale, la
sala è stata comunque spesso aperta alle visite,
ospitando talvolta eventi ed esecuzioni musicali.
Fig. 20 Palazzo Ducale, foto aerea
(in evidenza la sala dello Specchio)
Sala di Orfeo
«Hieri fu recitata la Comedia nel solito scenico Teatro
et con la consueta magnificenza, et dimani sera
il Ser.mo Signor Prencipe [Francesco Gonzaga]
ne fa recitare una, nella sala del partimento che godeva Madama Serenissima di Ferrara [Margherita Gonzaga],
che sarà singolare, posciaché tutti li interlocutori
parleranno musicalmente»
(Mantova, Archivio di Stato, 23 febbraio 1607)
Fig. 21 Sala dello Specchio, lunetta (palazzo Ducale)
La storia della sala degli Specchi, unica ambientazione musicale mantovana menzionata
da Monteverdi, si è intersecata con uno dei
misteri irrisolti della reggia gonzaghesca: l’identificazione della sala in cui ebbe luogo la
prima rappresentazione (24 febbraio 1607) di
La favola d’Orfeo. Lo spettacolo fu promosso
dal principe ereditario Francesco nella «nostra
accademia» degli Invaghiti per l’ultimo sabato
di carnevale. Innovativo esempio di teatro ‘da
camera’, esso offriva un’aggiornata alternativa
alla commedia con intermedi, fatta rappresentare dal padre, duca Vincenzo I, «nel solito teatro» (22 febbraio, giovedì grasso). L’unico documento relativo al luogo di rappresentazione
dell’Orfeo è quello qui sopra riportato. La sala
faceva parte dell’appartamento («partimento»)
assegnato a Margherita Gonzaga («Madama
Serenissima di Ferrara»), vedova di Alfonso II
d’Este, dopo il suo ritorno a Mantova (1598) e
17
prima del suo ritiro nel convento di Sant’Orsola. Si ipotizza che l’appartamento fosse in corte Vecchia, a piano terra, nei pressi della
chiesa di Santa Croce (Fig. 22), in un’area ora molto rimaneggiata.
Un inventario (1665) menziona ancora un «appartamento di Madama Serenissima» con una «Galleria», ora non riconoscibile, che
potrebbe aver ospitato la rappresentazione. Verosimilmente per
l’occasione fu attrezzata con una semplice pedana e con quinte,
come per le recite dei comici. In seguito lo spettacolo fu forse replicato nel teatro Grande. I documenti portano dunque a escludere
altri luoghi adatti a un simile scopo, come la sala di Manto e il Refettorio (ora sala dei Fiumi); così come sono da escludere, per le dimensioni ridotte, la ritrovata sala dello Specchio e la sala Imperiale.
Fig. 22 Cortile di Santa Croce
(palazzo Ducale)
Sala di Troia
Fig. 23 Sala di Troia (palazzo Ducale)
Nella sezione museale della corte Nuova, la
visita include la sala di Troia (Fig. 23). Realizzata da Giulio Romano (1536-1539), ebbe anche un ruolo musicale, ora impensabile, date le
sue dimensioni relativamente contenute. Dopo
18
il tragico saccheggio della città e del palazzo
Ducale la vita di Mantova lentamente riprese.
L’attenzione della corte si concentrò sui nuovi
generi spettacolari: drammi per musica, balli,
tornei. Durante l’ultimo ducato di Ferdinando
Carlo (1665-1708), la produzione di opere si
infittì, con l’intervento anche dei numerosissimi cantanti, fregiati del titolo di «virtuoso del
duca di Mantova». Dal 1672, su iniziativa della
corte e dell’ordine dei Teatini, cominciarono a
essere prodotti oratori musicali nella cui produzione eccelsero Maurizio Cazzati (1616-1678),
Giovan Battista Tomasi (fl. 1679-1692) e Antonio Caldara (1670-1736). Dalle carte della
drapperia di corte (Archivio di Stato) risulta
che gli oratori venivano eseguiti (1695) anche
nella sala di Troia, attrezzata con spalliere in
tessuto e con tutte le sedie («cadreghe nobili»)
disseminate per il palazzo. La sala fu utilizza-
ta per la rappresentazione di opere (L’Oronte,
1659). In quegli stessi anni (1698) furono occasionalmente utilizzate anche la sala del Refettorio (ora dei Fiumi), la sala di Manto (1622,
1696) e la sala degli Arcieri (salone da ballo,
sec. XVII). I magnifici spazi del palazzo Ducale accolgono oggi molti eventi culturali e da
qualche tempo (2013) sono il fulcro di Trame
sonore. Mantova Chamber Music Festival, promosso dall’Orchestra da Camera di Mantova.
11. Sinagoga Tempio Norsa-Torrazzo
La vita culturale e musicale, indipendente dalla corte dei Gonzaga, fu alimentata da famiglie
eminenti e da comunità che, aprendo oggi i propri archivi, favoriscono nuove ricerche. Nell’ambito della musica e dello spettacolo la comunità
ebraica fu la più attiva. Con una piccola deviazione, si può visitare la splendida Sinagoga
Tempio Norsa-Torrazzo (via Gilberto Govi, 13;
Fig. 24). Frutto della traslazione, realizzata nel
primo Novecento, dell’antica sinagoga privata
(1480), è l’unica rimasta delle sei anticamente attive in città. Fra la corte dei Gonzaga e
la comunità ebraica locale vi fu un’equilibrata
collaborazione. Durante il Cinquecento le compagnie ebraiche furono apprezzate per la qualità della recitazione, degli interventi musicali e
delle tecniche scenografiche. Leone de’ Sommi
(1525 ca.-1590 ca.) ebbe rapporti con la corte e
con l’Accademia degli Invaghiti. Le compagnie
contribuirono alla realizzazione dei maggiori
eventi, come il Pastor fido di Battista Guarini
(1598). Tra i musicisti spicca la figura del violinista e compositore Salomone Rossi ‘Ebreo’
(1570?-1630), responsabile delle orchestre di
corte. Compose per i maggiori spettacoli, tra i
quali, L’Idropica di Guarini (1608) e la Maddalena di Giovan Battista Andreini, rappresenta-
ta con musiche anche di Monteverdi (1617).
Il ricco catalogo a stampa documenta il suo
innovativo apporto alla storia del madrigale accompagnato (1600) e della sonata a tre. Unica
nel suo genere è la raccolta di salmi e cantici
ebraici polifonici (Hashirim asher leShlomo).
Nello stesso edificio sono ospitati: l’Archivio
storico (1522-1861), l’Archivio amministrativo
(1861 in poi) e un piccolo fondo di musiche sacre
dell’Ottocento (consultazione riservata a ricercatori). Per approfondimenti: Mantova, la città e
gli ebrei (in questa collana di guide tematiche).
Fig. 24 Sinagoga Tempio Norsa-Torrazzo, interno
19
Secondo Intermezzo
Monteverdi a Mantova
12. Chiesa dei Santi Simone e Giuda
Fig. 25 Chiesa dei Santi Simone e Giuda, facciata
20
Sulla splendida età di Vincenzo I Gonzaga
svetta la figura di Claudio Monteverdi (Cremona 1567-Venezia 1643), al servizio della corte (1590 ca.) prima come suonatore
di viola e poi come «maestro della musica»
del duca (1601). Definito, a ragione, ‘creatore della musica moderna’, egli trascorse a Mantova anni decisivi per la propria
maturazione artistica, portando all’apice il
linguaggio madrigalistico, forgiando il moderno teatro per musica, schiudendo al
repertorio sacro orizzonti inusitati. In quel
periodo diede alle stampe (Venezia): il
Terzo (1592), il Quarto (1603) e il Quinto
(1605) libro dei madrigali, gli Scherzi musicali a tre voci (1607), L’Orfeo (1609),
La messa e i Vespri della Beata Vergine
(1610); compose inoltre (1608) L’Arianna,
il Ballo delle Ingrate e altri brani irreperibili
o stampati dopo il licenziamento da Mantova (1612). Nella dichiarazione annessa al
Quinto libro e nell’appendice degli Scherzi
(a cura del fratello Giulio Cesare), difendendo le proprie scelte, egli si professò
creatore di una nuova e più libera pratica
compositiva («seconda pratica»), tesa alla
trasposizione in musica del senso più
profondo della poesia (oratione) e degli umani affetti, in ciò preceduto da
Giaches Wert, ancora attivo in corte
quando egli vi giunse. A Mantova,
Monteverdi costruì anche la propria
vita di uomo: sposò (20 marzo 1599)
la cantante Claudia Cattaneo, ebbe
tre figli e divenne vedovo (1607).
Amava conversare e comporre lontano dagli assilli della vita di corte e
perciò scelse di vivere al di fuori del
palazzo Ducale, pagando un affitto
che veniva incluso nel suo compenso. Abitava nella zona prossima alla
chiesa dei Santi Simone e Giuda
(via Domenico Fernelli; Fig. 25), allora da poco riedificata (1593), dove
si sposò e dove, di recente (1993),
gli è stata dedicata una via. Approfondimenti sui luoghi in cui risuonarono le sue musiche o per i quali le
compose in: Claudio Monteverdi (in
questa collana di guide tematiche).
Fig. 26 Autografo di Rossini (Accademia Nazionale Virgiliana)
21
AttoTerzo
Settecento e Ottocento: i lumi e i primi fermenti sociali
13. Accademia Nazionale Virgiliana
L’odierna Accademia Nazionale Virgiliana (via Accademia, 47) discende
dall’accademia rinascimentale e occupa
un settecentesco palazzo che è l’evoluzione della sede originaria. La prima
accademia mantovana ad avere consistenti legami con la musica fu quella degli Invaghiti. Fondata (1562) da Cesare
Gonzaga conte di Guastalla, ebbe sede
nel suo palazzo mantovano che comprendeva anche di un teatrino delle dimensioni dell’attuale teatro del Bibiena.
Aristocratici e altoborghesi, gli Invaghiti
incentravano le proprie dispute teoriche
sull’arte oratoria e poetica, concedendo qualche spazio al teatro (Leone de’
Sommi) e, di riflesso, alla musica. All’inizio del Seicento le attività furono trasferite nel palazzo Ducale, mentre nella
sede originaria nacque l’antagonistica
Accademia degli Invitti (poi Timidi). Patrocinati dal principe ereditario Francesco Gonzaga, gli Invaghiti festeggiarono
l’ultimo sabato di carnevale del 1607
con la rappresentazione de La favola
d’Orfeo di Claudio Monteverdi, su libretto dell’invaghito Alessandro Striggio jr.
22
(Fig. 29). Le accademie continuarono
a operare seppur in modo più rarefatto, anche dopo il sacco di Mantova e
nei successivi decenni. All’età di Maria
Teresa d’Austria si deve il rilancio illuministico e la creazione (1767, 1768)
della Reale Accademia di Scienze, Belle lettere e Arti, che riunì gradualmente
le accademie antiche, la locale Colonia
arcadica (1747), l’Accademia Teresiana
di pittura (1752) e la Colonia filarmonica, fondata dall’arpista Leopoldo Micheli
(1761). A questa fase è da ricondurre il
raro fondo musicale (Fig. 26), che documenta l’attività dei nobili musicisti dilettanti, coadiuvati da professionisti; tra
questi ultimi si ricorda Luigi Gatti (17401817), colui che divenne maestro di cappella a Salisburgo in luogo di Leopold
Mozart. La nuova accademia fu dotata
di un proprio nuovo splendido teatro
scientifico, realizzato da Antonio Galli
Bibiena. Qui ebbe luogo il concerto (16
gennaio 1770) di Wolfgang Amadeus
Mozart quattordicenne (Fig. 27), L’attuale Accademia Nazionale Virgiliana,
così ridenominata in periodo napoleoni-
co (1797), favorisce le ricerche musicali, sostiene l’attività di gruppi cameristici (Quartetto
dell’Accademia, Archi dell’Accademia) e pro-
muove la rassegna I concerti dell’Accademia
(dal 2004), quale punto di incontro della musica con i più diversi campi della conoscenza.
14. Teatro Bibiena
Nello stesso edificio dell’Accademia Virgiliana
(via Accademia, 47) si trova l’imperdibile teatro
Bibiena (teatro Scientifico; teatro Accademico),
ideato e costruito (1767-1769) da Antonio Galli
Bibiena nello spazio precedentemente occupato dal teatro dell’Accademia degli Invaghiti
(talvolta detto della Madonna del Popolo). Le
proporzioni, la peculiare pianta a forma di campana, i palchetti lignei, lo dotano di un’acustica perfetta per i repertori musicali cameristici
(Fig. 28). Nato per ospitare le attività scientifiche, umanistiche e musicali dell’Accademia,
è caratterizzato da un’intima e avvolgente atmosfera che favorisce l’ascolto e l’attenzione.
Poco dopo la sua inaugurazione (3 dicembre
1769), ebbe come protagonista di una propria
riunione musicale (Fig. 27) Wolfgang Amadeus
Mozart. Leopold Mozart descrivendo con ammirazione il teatro scrisse: «in vita mia non ne
ho mai visto uno più bello […] non è un teatro,
bensì una sala con dei palchi, costruita come
un teatro d’opera; dove dovrebbe esserci la
scena vi è il piano rialzato per la musica, dietro
il quale c’è ancora una galleria». Per le sue caratteristiche il teatro ha continuato nel tempo a
ospitare eventi musicali che non prevedessero
Fig. 27 Programma del concerto di W. A. Mozart
(Accademia Nazionale Virgiliana)
23
apparati scenici elaborati. Qui ha avuto luogo
la rappresentazione in forma semi-scenica (24
febbraio 2007) dell’Orfeo di Monteverdi, in occasione del quarto centenario della sua prima
esecuzione (1607). Di proprietà del Comune
di Mantova, attualmente accoglie buona parte
dei concerti promossi dall’Orchestra da Camera di Mantova, dal Consorzio Mantova Musica e dall’Accademia Nazionale Virgiliana. Per
approfondimenti: Teatro Scientifico Bibiena
(in questa stessa collana di guide tematiche).
Fig. 28 Teatro Bibiena
15. Biblioteca Teresiana
Collocata nel palazzo degli studi in cui operarono i gesuiti sino al 1773 (via Ardigò, 13),
la Biblioteca Comunale Teresiana (1780) è
frutto di un grande progetto di rilancio illuministico della città. Splendide le due sale
teresiane (Paolo Pozzo), dotate di grandi
scaffalature in noce, disposte su più piani
con ballatoi. La collezione originaria nacque
dalla fusione, voluta dal conte Carlo Firmian
(1718-1782), vicegovernatore del ducato imperiale di Mantova, fra la biblioteca dei gesuiti
e quella dell’accademia. A queste si aggiunsero le preziose raccolte degli ordini monastici e religiosi soppressi. Tale composito
nucleo antico è di notevole rilevanza per gli
studi musicologici poiché include, fra l’altro:
24
una parte del fondo di manoscritti provenienti dal monastero di S. Benedetto in Polirone,
alcuni dei quali con notazione musicale (es.
Breviarium antiquum […] cum notis musicis,
sec. XII); qualche raccolta musicale, tra le pochissime rimaste dopo la dispersione (1630)
della biblioteca gonzaghesca (es. Il primo libro di madrigali a sei voci di Alessandro Striggio, Venezia 1579); una cospicua raccolta di
libretti d’opera e di feste, indispensabile per
la ricostruzione della vita musicale e teatrale della città. Tra questi, spiccano per rarirà:
La favola d’Orfeo (Mantova, Osanna, 1607)
di Alessandro Striggio jr. e Claudio Monteverdi; Compendio delle sontuose feste fatte
l’anno MDCVIII di Federico Follino (Fig. 29).
16. Archivio di Stato
Fig. 29 Compendio delle sontuose feste
fatte l’anno MDCVIII, frontespizio
L’Archivio di Stato (via Roberto Ardigò, 11) fu
istituito (1868) poco dopo l’annessione della città al Regno d’Italia (1866). Inizialmente
ebbe sede nel palazzo Ducale, per essere poi
trasferito nel palazzo degli studi, ex collegio
e convento dei Gesuiti (1883), dove ancora si trova; sono di sua pertinenza anche la
torre medievale dei Gambulini e l’ex chiesa
della Ss. Trinità (navata centrale, deposito
principale). I 25.000 metri lineari di scaffali
custodiscono documenti, mappe, pergamene, inventari (secc. XI – XX), essenziali per
la ricostruzione della storia musicale di Mantova. Oltre all’immenso Archivio Gonzaga
(1328-1707), molto frequentato dai musicologi di tutto il mondo, vi si conservano archivi
notarili, catastali, ecclesiastici e delle corporazioni artiere, nonché archivi familiari donati
nel tempo (es. Castiglioni, Cavriani, Capilupi,
D’Arco). Le carte di interesse musicologico
sono innumerevoli. Si pensi che le sole lettere autografe sinora conosciute di Giovanni
Pierluigi da Palestrina (1525 ca.-1594) sono
conservate qui (Fig. 30); il compositore non
fu mai a Mantova, ma intrattenne un carteggio (1568-1587) ricco di dettagli tecnici con il
duca-compositore Guglielmo Gonzaga, committente delle famose messe ‘mantovane’ in
forma di alternanza fra la polifonia e il canto
liturgico riformato per Santa Barbara (alternatim). L’Archivio custodisce anche la maggior
parte delle lettere di Claudio Monteverdi, che
25
scrisse spesso alla corte per sostenere le proprie richieste economiche. Insieme alla notizie
biografiche, sono importanti le testimonianze
su acquisto e committenza di strumenti musicali, uso degli spazi, pratiche musicali e festive. L’Archivio, oltre ad accogliere gli studiosi,
valorizza le proprie raccolte promuovendo
mostre, conferenze e presentazioni di libri.
17. Palazzo d’Arco
L’antica casata dei conti d’Arco di Trento, ebbe
contatti con Mantova sin dal Medioevo. L’attuale palazzo (piazza d’Arco), ereditato dai conti
Chieppio (1740), si presenta nelle eleganti fogge della ristrutturazione settecentesca (1785).
Donata alla città dalla contessa Giovanna d’Arco (1880-1973), la dimora è oggi Museo aperto
al pubblico. Unica nel suo genere, la residenza
conserva suppellettili e arredi acquisiti nel tempo dai proprietari. Data l’elevata posizione sociale e le molteplici passioni culturali, la famiglia
fu in relazione con la vita musicale della città.
Fu il conte Giorgio d’Arco, maestro di corte del
principe-vescovo di Salisburgo, ad annunciare
con una lettera al cugino mantovano Francesco
Eugenio l’arrivo (10 gennaio 1770) del vicemaestro di cappella Leopold Mozart, con il figlio
quattordicenne Wolfgang Amadeus, dotato di
talento prodigioso. Con l’intercessione dei conti
d’Arco, i Mozart poterono incontrare la migliore
società mantovana. La piccola raccolta di strumenti musicali è frutto delle passioni collezionistiche della famiglia. Su tutti spicca (saletta
26
Fig. 30 Palestrina, lettera autografa
(Archivio di Stato di Mantova)
della musica) una preziosa tiorba veneziana
(arciliuto) di Matteo Sellas (1647), uno dei più
rinomati liutai del primo Seicento; dotata di 18
ordini di corde (6 doppie tastabili; 12 singole
sul secondo cavigliere), la tiorba ci ricorda che
Mantova fu ricchissima di strumenti di pregio,
ora dispersi (Fig. 32). Nella stessa saletta, vi è
un’arpa (Erards), mentre nella sala principale
(degli Antenati) tre vetrine racchiudono strumenti dell’Otto e Novecento: 4 chitarre, 1 violino, 1 colascione, 3 mandolini, 1 liuto a sei corde, 1 mandola, 2 cetre da tavolo. Nell’attuale
camera “Andreas Hofer” (Fig. 31) è collocato
un fortepiano (Gaetano Menotti, Mantova,
1819). Ben conservate, infine, alcune ‘macchine’ musicali: un grammofono e un carillon (S.
Troll, Genève) che riproduce, tra l’altro, brani
di G. Verdi (La donna è mobile, da Rigoletto).
Fig. 31 Camera Andreas Hofer, fortepiano
(palazzo d’Arco)
Fig. 32 Tiorba Matteo Sellas, 1647
(palazzo d’Arco)
27
18. Teatro Sociale
Usciti da palazzo d’Arco e percorrendo via
Corrado, si giunge al teatro Sociale (piazza
Felice Cavallotti, 14). Ritornando Mantova sotto il dominio austriaco (1816), una società di
novanta notabili della città si riunì per finanziare la costruzione di un teatro moderno e più
centrale, rispetto alla nuova espansione urbanistica e rispetto all’ormai desueto Imperial
Regio teatro. Progettato da Luigi Canonica,
artefice tra l’altro dell’ampliamento del teatro
alla Scala di Milano, il teatro fu inaugurato (26
dicembre 1822) con l’opera Alfonso ed Elisa
(Saverio Mercadante) e il balletto Gundeberga (Giuseppe Coppini). L’elegante aspetto
neoclassico venne conciliato con aggiornate
esigenze: un ampio peristilio per l’agevole arrivo delle carrozze, una bottega del caffè, ambienti per l’accoglienza dei musicisti (Fig. 33).
La sala, composta da tre ordini di palchi e tre
gallerie, fu decorata da Francesco Hayez. Da
quel momento il teatro ospitò i principali eventi
della città: adunanze, visite di imperatori, re e
presidenti. Nel tempo furono allestite opere dei
principali maestri europei. In epoca recente:
Mario del Monaco ha cantato in Otello (1971);
Placido Domingo ha festeggiato i 150 anni
del teatro con Un ballo in maschera (1972);
Leo Nucci è stato un acclamatissimo Rigoletto. Ora il basso buffo mantovano Enzo Dara,
stella di rinomanza mondiale, ha scelto di rap28
presentare qui alcune produzioni del suo “Laboratorio sul teatro musicale del Settecento”.
Caso ormai quasi unico in Italia, il teatro Sociale
è ancora oggi di proprietà della Società dei palchettisti, responsabile della programmazione
artistica e dell’affitto ai diversi produttori. Con il
supporto di contributi esterni, è stata compiuta
(2011) la catalogazione e la digitalizzazione del
vasto Archivio Storico (manifesti, locandine, documenti, fotografie), collocato nel teatro stesso.
È riconosciuto “teatro di tradizione” (Ministero
per i Beni, le Attività Culturali e del Turismo).
Fig. 33 Teatro Sociale
19. Teatro Andreani
Oltre al teatro Sociale, nell’Ottocento a Mantova erano attivi diversi teatri: Imperial Regio
teatro, teatro della Pace, teatro Bibiena, teatro
Andreani, teatro effimero Arnoldi, Arena virgiliana (dal 1821, demolita). L’attività musicale
era intensa: in un secolo (1822-1922) sono
state contate circa quattrocento produzioni
operistiche. Lasciandosi alle spalle il teatro
Sociale e percorrendo corso Vittorio Emanuele
II (già corso Pradella), si incontra il luogo in cui
era il teatro Andreani (ora trasformato in abitazioni), il quale ebbe un ruolo storicamente e
socialmente rilevante negli anni dell’unificazione italiana (Fig. 34). Nato dall’intraprendenza
di Pacifico Andreani, il teatro fu inaugurato
(26 dicembre 1862) con l’opera I masnadieri
di Giuseppe Verdi. L’Andreani proponeva una
programmazione teatrale e musicale di vario
livello, rivolgendosi a un pubblico più indifferenziato, rispetto a quello che frequentava
abitualmente il teatro Sociale. In ciò coglie
l’intento di intercettare le istanze di diverse
fasce della popolazione. Qui furono eseguite
la Cantata a Dante di Lucio Campiani (1865)
e la cantata per soli, coro e orchestra Manto
(1865) dello stesso Campiani, composta per
sostenere la creazione di monumenti a Dante, Virgilio e Sordello. Qui furono organizzati
eventi musicali «a beneficio dei feriti resi inabili
al lavoro nell’ultima guerra» (1866) e spettacoli durante la prima visita di Vittorio Emanuele
II re d’Italia (novembre 1866). Nel primo No-
Fig. 34 Teatro Andreani
vecento il teatro promuoveva il proprio programma con il periodico «Perché?» (1900).
L’apertura a forme di spettacolo moderne, portò il teatro a proporre anche operette, il cinematografo (1905) e, dopo la ricostruzione del
secondo dopoguerra, l’avanspettacolo. Trasformato in cinema, ha recentemente cessato
la propria attività, per essere destinato ad altro
uso, immemore del suo ruolo storico e sociale.
29
Epilogo
La musica a Mantova oggi e … domani
20. Conservatorio di musica “Lucio Campiani”
Il percorso volge al termine, ma con un’apertura sul futuro musicale della città.
Imboccando via Conciliazione (traversa
di corso Vittorio Emanuele II) si incontra
infatti la nuova sede del Conservatorio di
musica “Lucio Campiani” (via Conciliazione 33). Si tratta di uno spazio, antico per
fascino, ma moderno per destinazione e
funzionalità. Nato dalla graduale trasformazione della Scuola Popolare di musica
dell’Accademia (1777) in Scuola comunale (1869) e finalmente in istituzione statale (1972), il Conservatorio ha occupato
nel tempo diverse sedi. La sede attuale è
il risultato del recupero del convento barnabita di clausura (1497) di Santa Maria
della Misericordia, a lungo adibito impropriamente a caserma (1797). Oltre alle
aule didattiche e al bel chiostro maggiore,
utilizzato in estate per concerti, il grande
complesso edilizio (7000 m2) accoglie la
notevole sala (Fig. 35), dedicata a Girolamo Cavazzoni (ca.1525-ca.1577),
organista della chiesa ducale di Santa
Barbara. Già refettorio conventuale con
decori cinquecenteschi (Gianfrancesco
Tura), la sala ora ospita un elegante or30
gano (ditta Glauco Ghilardi, 2011), realizzato e intonato nello stile del barocco tedesco, ma fruibile anche per repertori diversi.
Nell’ambiente a fianco (aula Cesare Rossi)
è collocato l’organo in stile barocco italiano
(ditta Franz Zanin, 1988). Il complesso include la biblioteca specializzata “Luigi Gatti” che custodisce, tra l’altro, numerosi fondi
(Lucio Campiani, Narciso Sabbadini, Fausto Negrini). All’auditorium “Claudio Monteverdi” (180 posti), è infine annesso il Museo
del Conservatorio, che conserva strumenti
musicali, partiture e cimeli, in parte esposti
nelle teche del foyer dell’auditorium stesso.
Fig. 35 Organo Ghilardi, 2011 (Conservatorio, sala Cavazzoni)
Prologo
1. Piazza Sordello
Atto I
2. Palazzo S. Sebastiano
(Museo della Città)
3. Palazzo Te
4. Basilica di S. Andrea
5. Duomo 6. Archivio Storico Diocesano Intermezzo I
7. Teatro Grande
8. Casa di Rigoletto
Atto II
9. Basilica palatina di S. Barbara
10. Palazzo Ducale
11. Sinagoga Tempio Norsa-Torrazzo
Epilogo
20. Conservatorio di musica
“Lucio Campiani”
1
6
12
7
9
4
16
10
13
14
18
19
15
11
20
Intermezzo II
12. Chiesa SS. Simone e Giuda
Atto III
13. Accademia Nazionale Virgiliana
14. Teatro Bibiena
15. Biblioteca Teresiana
16. Archivio di Stato
17. Palazzo d’Arco
18. Teatro Sociale
19. Teatro Andreani
8
5
17
2
3
Accademia Nazionale Virgiliana
Archivio del Comune di Mantova
Archivio di Stato di Mantova
Archivio di Stato di Torino
Archivio Storico Diocesano di Mantova
Biblioteca Comunale Teresiana
Conservatorio di musica “Lucio Campiani” di Mantova
Diocesi di Mantova
Direzione Generale Musei, Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova
• Fondazione d’Arco
• Gazzetta di Mantova
• Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Si ringraziano per la gentile collaborazione:
Giordano Fermi
Livio Volpi Ghirardini
Leonardo Giuliani
Antonio Lodigiani
Mariangela Malavasi
Mons. Giancarlo Manzoli
Licia Mari
Ines Mazzola
Irma Pagliari
Diletta Piazza
Susanna Sassi
Rodolfo Signorini
Monica Viviani
Livio Volpi Ghirardini
Testi: Paola Besutti
Grafica: Pietro Costantini
co n
Informazioni turistiche
IAT Mantova Piazza Mantegna, 6 | 46100 Mantova
T. +39 0376 432432 | www.turismo.mantova.it | [email protected]
Infopoint Casa del Rigoletto Piazza Sordello, 23 | 46100 Mantova
T +39 0376 288208 | [email protected]
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collab o razio n e
Info e approfondimenti
www.comune.mantova.gov.it
www.mantova2016.it
www.accademianazionalevirgiliana.org
www.antegnatisantabarbara.it
www.archiviodistatomantova.beniculturali.it
www.bibliotecateresiana.it
www.conservatoriomantova.com
www.diocesidimantova.it
www.mantovachamber.com
www.mantovaducale.beniculturali.it
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Si ringraziano per la concessione delle immagini:
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