GUIDA Mantova città di Musica Itinerario fra luoghi, immagini e suggestioni 1 itinerario musicale in tre atti e venti scene L a musica vive anzitutto nella dimensione sonora, ma ricercarne gli indizi silenti nei luoghi in cui fu concepita ed eseguita illumina la percezione della storia e del presente. In quest’itinerario quasi circolare, la vita musicale della città racconta se stessa, mantenendo, con rare deviazioni, il filo del tempo e della contemporaneità. Idealmente, come in una grande partitura, la narrazione si snoda in tre atti, incorniciati da un prologo e un epilogo, con due intermezzi. Mantova ha vissuto la propria stagione musicale più intensa tra il tardo Quattrocento e l’inizio del Seicento, quando il marchesato-ducato dei Gonzaga (1328 – 1707), di cui fu capitale, raggiunse l’apice della propria fortuna. Dopo un prologo, dedicato a un affaccio sul medioevo, il primo atto si estende fra il Quattrocento e il primo Cinquecento, periodo in cui la corte di Francesco II Gonzaga e di Isabella d’Este divenne il fulcro della fioritura della frottola*, Federico II accolse con sfarzo l’imperatore Carlo V, il cardinale Ercole consolidò la musica liturgica. Dopo un primo intermezzo, dedicato all’invenzione dell’opera e della sua tradizione, il secondo atto abbraccia una vera età dell’oro: la cura per la musica sacra toccò con Guglielmo Gonzaga vertici assoluti nella Basilica palatina di Santa Barbara; il gusto per le nuove forme di spettacolo in musica raggiunse incomparabili livelli di qualità e sperimentazione con Vincenzo I, mentore di Claudio Monteverdi (secondo intermezzo). La parabola discende repentinamente dopo il devastante sacco della città (1630), per ritrovare solo con l’ultimo duca Ferdinando Carlo Gonzaga di Nevers una stagione di relativa intraprendenza. L’età dei lumi e i primi sussulti patriottici e sociali occupano il terzo atto. L’epilogo guarda alle nuove promesse musicali, ma tutta la narrazione cerca di non trascurare il significato odierno degli spazi e le prospettive di ricerca. 2 Prologo Premesse medievali: omaggio a Sordello 1. Piazza Sordello Fig. 1 Sordello da Goito, miniatura su pergamena (180x108 mm), sec. XV (palazzo D’Arco) Giungendo dallo scenografico ponte di S. Giorgio, piazza Sordello offre il primo affaccio ammaliante su Mantova e anche il primo indizio dell’amore della città per la propria storia culturale e musicale. Al trovatore Sordello da Goito (Goito, inizio 1200-?, post 1269), citato da Dante (Purg, VI, 74: “O Mantoano, io son Sordello / de la tua terra!”), i mantovani hanno infatti intestato (1867) la piazza principale, già di S. Pietro (Fig. 2). Parte di quella folta schiera di lirici che tra Duecento e Trecento poetarono in provenzale, Sordello recitava in canto i propri testi: «Bel m’es ab motz leugiers a far / chanson plazen et ab guay so» («Mi piace fare con parole facili una canzone piacevole e dalla gaia melodia»). Due profili biografici antichi (vidas) lo definiscono «buon cantore e buon trovatore» oltre che gran amatore. A eccezione di una canzone (Bertran, le joi de domnas e d’ami), la sua produzione musicale è irreperibile, mentre rimane un cospicuo repertorio poetico. Una delle più belle immagini del trovatore mantovano è tramandata dalla 3 miniatura su pergamena qui riprodotta (Fig. 1): seduto su uno scranno all’interno di un padiglione di tessuto blu, Sordello suona il suo liuto; lo circonda una grande “S” formata da pesci, congiunti da una spada e da una mazza ferrata; alla base, Cupido bendato con un agnello, un liuto e la lettera “V” di Venere (destra), e Marte con un leone, una spada e la lettera “M” (sinistra), simboleggiano rispettivamente le doti amorose e valorose di Sordello, celebrate nei lambrecchini (svolazzi) in alto: «Marte et Amor sun elo / Chi pote star sur d’elo?» (Marte e Amore son con lui, chi può sovrastarlo?). Il medaglione in basso potrebbe raffigurarlo come castellano di Goito. Sul verso della pergamena è miniata Cunizza da Romano che egli rapì e amò. Fig. 2 Mantova, piazza Sordello 4 Fig. 3 Viola grande “alla spagnola”, sec. XVI (palazzo San Sebastiano, camera del sole) Fig. 4 Rinaldo Mantovano (?), Virgilio con la syrinx, sec. XVI (palazzo San Sebastiano, Museo della città) AttoPrimo Primo Rinascimento: frottole, madrigali e musiche sacre 2. Palazzo San Sebastiano. Museo della Città L’itinerario musicale inizia da palazzo da notare il frammento di affresco (Fig. 4) San Sebastiano, all’altro capo della città raffigurante Virgilio con la syrinx (zampoantica. Voluto da Francesco II Gonzaga, gna). Il frammento (1540 ca.) proviene dal l’imponente palazzo fu eretto (1506-1508) palazzo dei Gonzaga del ramo di Bozzolo come luogo di passatempo vicino all’iso- (ora sede del Municipio). L’intera scena, rila del Te. Ebbe poi diverse destinazioni, costruibile sulla base di un disegno di Giuanche musicali: fu, tra l’altro, sede dell’I- lio Romano, raffigurava un giovane Virgistituto Musicale “L. Campiani” (ora Con- lio nell’atto di comporre la Quarta Ecloga servatorio). Dal 2005 ospita il Museo della (Georgiche), mediando metaforicamente Città. Sia le decorazioni rinascimentali, sia tra la Sibilla Tiberina (pagana, in basso) e le collezioni museali offrono notevoli indizi la Vergine Maria (in alto). Virgilio fu poeta musicali. L’elegante impianto ornamentale caro anche ai compositori rinascimentali, si impernia sulla riproduzione di un’impre- come confermano i numerosi madrigasa al centro della volta delle camere. Due li composti su passi dell’Eneide e delle Bucoliche (Josquin, Rore, Lasso e altri). lunette della camera del Sole (piano terra), forse adibita anche a passatempi musicali, racchiudono la raffigurazione di strumenti: un liuto con un trombone, una tromba naturale con una viola grande “alla spagnola” (vihuela) con la cassa bicolore (ebano/sandalo e legno chiaro), forse simile a quella posseduta (1508) da Isabella d’Este (Fig. 3). Tra le Fig. 5 Orfeo ed Euridice agli inferi, camera di Ovidio o delle Metamorfosi collezioni (piano superiore), è (palazzo Te) 5 3. Palazzo Te Fig. 6 Giulio Romano, sala di Amore e Psiche (palazzo Te) A pochi passi dal palazzo San Sebastiano sorge la stupefacente villa suburbana del Te. Voluta da Federico II Gonzaga, fu progettata, realizzata e decorata (1524-1534) da Giulio Romano su un’isola del Lago Paiolo (ora prosciugato). Discretamente lontana dalle sedi istituzionali, la residenza era destinata allo svago (Honesto ocio). Il fantasioso apparato decorativo è gremito di tracce musicali. A partire dalla loggia delle Muse, che celebrava i temi più cari alla cultura mantovana: Apollo (lunetta ovest) suona la syrinx dalla quale sgorga l’acqua della fonte delle muse (Ippocrene); Virgilio laureato ispira le scene orfiche (parete nord). Nei fregi della camera di Ovidio o delle Metamorfosi (1527) si nota Orfeo con la lira ed Euridice prigioniera di fronte a Plutone e Proserpina (Fig. 5). Si in6 seguono i giochi di putti, anche musicisti: nelle camere delle Aquile, degli Stucchi e degli Imperatori (Felice Campi, 1788-1789), fino al trionfo della sala di Amore e Psiche, tra le più famose del Rinascimento. Il ricco programma iconografico di questa sala include un ensemble musicale che accompagna il banchetto in posizione rialzata rispetto alla tavola (Fig. 6); e dodici vele di soggetto musicale che contornano la sala. A partire in senso orario dalla prima vela (sopra la frase HONESTO OCIO): 1) un amorino con faretra suona il liuto leggendo, un altro regge un libro notato; 2) un amorino con i cimbali; 3) un amorino con lira ‘all’antica’; 4) un amorino suona la viola, l’altro il cornetto; 5) un amorino con il flauto; 6) tre amorini danzanti; 7) un amorino con tamburello a sonagli; 8) un amorino con la ghironda, un altro con il triangolo; 9) un amorino con la syrinx; 10) un amorino suona il flauto a tre buchi e tamburo (tabor-pipe), l’altro i timpani; 11) quattro amorini cantano polifonicamente ‘a libro’; 12) un amorino suona l’organo, un altro forse aziona i mantici. Nell’insieme, le vele raffigurano realisticamente la ricchezza strumentale dell’epoca, sullo sfondo dell’opulenza del banchetto di corte. In questa sala («camarone grande») mangiò l’imperatore Carlo V, in oc- casione della festa (2 aprile 1530), organizzata durante il suo soggiorno mantovano. A quei tempi era al servizio della corte di Mantova uno dei più stimati compositori dell’epoca: Jacquet de Mantua (1483-1559). Accanto a frottole e canzonette di tradizione mantovana, nelle sale del palazzo Te furono forse eseguite sue composizioni profane, come il brano da banchetto Canamus et bibamus e il mottetto Enceladi Ceique soror, inneggiante ai cavalli dei Gonzaga. 4. Basilica concattedrale di S. Andrea Percorrendo la direttrice urbana tracciata da Leon Battista Alberti, si giunge alla basilica concattedrale di S. Andrea. Eretta nel IX secolo sul luogo in cui, secondo la tradizione, Longino seppellì il sangue di Cristo (ora nella Cripta), la basilica fu ricostruita su progetto di Leon Battista Alberti dal 1472, anno in cui fu elevata al rango di collegiata, dopo la soppressione dell’annesso monastero benedettino; terminò la costruzione Luca Fancelli (1494), mentre la cupola di Filippo Juvarra è posteriore (1733-1765). Benché non ci siano prove sulla regolare attività di una cappella musicale, la basilica accolse nel tempo momenti salienti della vita cittadina, con l’ausilio dei musicisti della corte dei Gonzaga e del Duomo. Le notizie sono rarefatte. Si sa che vi era un organo (1387). Della sua biblioteca restano alcuni interessanti codici gregoriani miniati (sec. XIV). Nel primo Seicento raggiunse una maggiore autosufficienza musi- cale: Giulio Cesare Antonelli in una propria raccolta si qualifica «maestro di Capella di S. Andrea di Mantova» (Luzzara 1606). In quegli stessi anni (1611) vi si celebrarono vespri con musiche di Monteverdi. Dopo il sacco della città, Andrea Cazzati si definisce suo «organista e maestro di Capella» (Venezia 1641). Per tutto il Seicento continua- Fig. 7 Organo Serassi, 1851 (basilica di S. Andrea) 7 no le tracce musicali, seppur disorganiche. Dopo la vendita del precedente strumento, nell’Ottocento (1851) la basilica fu dotata dell’attuale imponente organo Serassi (Fig. 7), recentemente restaurato (ditta Formen- telli, 2007). Nel Novecento don Lino Leali fondò la cappella musicale “Mario Pettorelli” (1952), ora non più attiva. Alle principali celebrazioni partecipano attualmente il gruppo vocale Lusit Orpheus e un coro giovanile. 5. Cattedrale di San Pietro. Duomo di Mantova Ritornando in piazza Sordello, ci si trova di fronte la cattedrale di S. Pietro, comunemente chiamata Duomo, di origine paleocristiana. Ricostruita in età medievale in stile romanico, venne ristrutturata da Giulio Romano. La facciata attuale è settecentesca (Nicolò Baschiera). Nel Duomo fu istituita una cappella musicale stabile solo dal 1510, per volere del marchese Francesco II Gonzaga. Già dalla metà del Quattrocento la cattedrale possedeva tuttavia mezzi musicali: un coro di chierici e un organo (1449). L’attività della nuova cappella musicale, di fatto sostenuta dai Gonzaga, si svolgeva nella cappella di Santa Maria de’ Voti (oggi sacrestia, visitabile), ricavata dalla trasformazione in santuario mariano di un corridoio di collegamento fra il Duomo e l’attigua chiesa di S. Paolo. Nel periodo di costruzione, il nuovo luogo di culto fu dotato di codici di canto piano. Francesco II fece inoltre acquistare libri musicali, alcuni dei quali potrebbero trovarsi nel fondo polifonico di S. Barbara (Milano). La direzione della cappella musicale fu affidata a Marchetto Cara (1470 ca.-1525 ca.). Ercole Gonzaga accrebbe il numero dei musicisti: il coro passò da 18 componenti (1528) a 32, mentre il coro polifonico raggiunse il cospicuo numero di 15 cantori, quando 8 Fig. 8 Duomo, Cupola (particolare) la media diffusa era di 12. Ercole assunse inoltre al proprio personale servizio (1527) l’allora già celebre Jacquet de Mantua, che compose quasi esclusivamente per le necessità liturgiche della Cattedrale. Negli anni del Concilio di Trento, sotto il ducato di Guglielmo Gonzaga, il Duomo accrebbe la propria autonomia musicale rispetto alla corte. I primi maestri di cappella di questa nuova fase furono: Ippolito Baccusi, Lodovico Viadana, Stefano Nascimbeni. La cappella musicale fu sciolta dal vescovo Giuseppe Sarto (1887) in piena riforma ceciliana, e sostituita dalla schola cantorum del seminario. All’interno, è notevole la cupola affrescata con un Paradiso (Ippolito Andreasi, Teodoro Ghisi, fine XVI sec.), gremito di angeli musicanti che imbracciano i più diversi strumenti (Fig. 8), con tanto di maestro ripetitore. Sulla can- toria nel transetto di destra si trova un organo moderno di stile neoclassico (ditta Benzi-Franceschini, Crema 1915) bisognoso di restauri. 6. Archivio Storico Diocesano Sul lato della piazza Sordello (civico n. 15) si trova il palazzo Vescovile, al cui interno è situato l’Archivio Storico Diocesano importante per la storia musicale della città. Mantova fu sede vescovile dal VII secolo. Creato nel 1967, l’Archivio accoglie una ricca raccolta di oltre sessanta codici musicali, alcuni incunaboli musicali e giuntine del primo Cinquecento. Si tratta di manufatti preziosi, come il Messale della Cattedrale (sec. XV), appartenuto alla marchesa Barbara di Brandeburgo, celebre per le sue mirabili miniature di Belbello da Pavia e Girolamo da Cremona. Vi sono poi codici notevoli per il contenuto musicale e storico. Come nel caso del Kyriale-Guaduale (1481) del Duomo, che presenta aggiunte relative alle celebrazioni per S. Luigi Gonzaga (santificato 1726) e S. Giuseppe Calasanzio (santificato 1767), a riprova di un uso prolungato. O come nel caso della straordinaria raccolta dei codici corali della basilica palatina di Santa Barbara, che contengono i canti della messa e dell’ufficio, modificati o nuovamente composti per la liturgia della basilica stessa. Voluti dal duca-compositore Guglielmo Gonzaga (1538-1587), negli anni a ridosso del Concilio di Trento, furono forse da lui stesso musicalmente realizzati, con l’ausilio del suo celeberrimo maestro di cappella Giaches Wert (1535 ca.-1596). Su queste melodie liturgiche composero le proprie polifonie i più grandi maestri del tempo, primo fra tutti Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 ca.-1594). Anche Claudio Monteverdi basò su di esse almeno il proprio inno a otto voci Ave maris stella (in Vespri della Beata Vergine, Venezia, 1610; Fig. 9). Fig. 9 Ave maris stella, Fondo S. Barbara, Cod. 11 (Archivio Storico Diocesano) 9 Primo Intermezzo Teatro Grande e Casa Rigoletto: l’invenzione dell’opera e della tradizione 7. Teatro Grande orchestra per gli «abbattimenti». Distrutto da un incendio (1588) che annientò pure l’armeria e i trofei che ne ornavano le pareti, fu ricostruito (1598). Al tempo di Monteverdi, presentava numerose finestre, gradoni e forse palchi; sulle pareti campeggiavano i ritratti a guazzo dei Gonzaga; il soffitto era dipinto a «cielo e nuvole»; l’ingresso avveniva attraverso una «grande porta». Il teatro possedeva uno Fig. 10 Teatro Grande, ora Museo Archeologico Nazionale dei più antichi sipari ‘a levata’, certamente utilizzato in occasione delle rappresentazioni del Interrompendo il flusso della narrazione musicale sacra, il Primo intermezzo Pastor Fido (1598) e dell’Idropica di Battiaccenna alla storia teatrale e operistica sta Guarini, del Ballo delle Ingrate di Mondella città. Di fianco al Duomo si trovava teverdi (1608). Non si può escludere che il teatro Grande («scena di corte», «scena una replica di Orfeo, arricchita per l’occadi Castello»), di cui oggi rimane solo l’in- sione dello spettacolare finale apollineo ex vaso, occupato dal Museo Archeologico machina (partitura), sia stata rappresenNazionale (Fig. 10). Progettato da Giovan tata qui. Più volte ristrutturato, nel XVIII Battista Bertani (1549-1561), fu tra i più secolo assunse i nomi di teatro Nuovo e antichi teatri stabili della storia italiana. Si- di Imperial Regio Teatro. Divenuto obsotuato a pianterreno, era dotato di alte gra- leto, fu progressivamente abbandonato e dinate a semicerchio, un palco inclinato demolito (1898). Al tempo di Monteverdi con scena cittadina a rilievo e una grande esisteva in corte anche un «Teatro piccolo 10 di corte» costruito in fondo alla contrada «del Zuccaro» (attuale via Teatro Vecchio) e, alla moda di Firenze, collegato alla corte mediante corridoi e passaggi coperti. Anche di questo teatro resta solo qualche lacerto nell’area ora occupata dal Museo dei Vigili del fuoco. Questi luoghi ospitarono un gran numero di eventi musicali, documentati da libretti e cronache in buona parte conservati nella Biblioteca Comunale Teresiana e nell’Archivio di Stato. 8. Casa di Rigoletto Come direbbe lo storico Eric Hobsbawm, Rigoletto, opera di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave (Venezia, teatro la Fenice, 11 marzo 1851), costituisce un emblematico caso di invenzione della tradizione: realtà e finzione vi si mescolano, producendo vicende più vere del vero. Originariamente ispirato al lavoro teatrale Le Roi s’amuse di Victor Hugo (1832), il libretto metteva in scena le passioni, gli intrighi, la spregiudicatezza della corte di Francia. Vietato dalla censura austriaca, il libretto venne rielaborato dallo stesso Piave in accordo con la Direzione centrale di Polizia. La dirigeva Luigi Martello, che era stato commissario a Mantova, e dei più severi, durante i moti risorgimentali: la diretta conoscenza della storia e dei luoghi mantovani, ispirò la nuova ambientazione nella remota corte cinquecentesca dei Gonzaga, ormai da tempo non più autonoma politicamente (1707). Il buffone Triboulet divenne così Rigoletto, e Parigi divenne Mantova. Il vivido realismo della vicenda, così ripensata, si è riverberato sulla percezione della realtà, sino all’attribuzione di denominazioni ‘rigolettiane’ a luoghi che nulla avevano in comune con l’opera: la casa di Rigoletto (piazza Sordello) in realtà è una casa rinascimentale con giardino (Fig. 11); la locanda di Sparafucile (lago di Mezzo, ponte di S. Giorgio), in realtà è parte delle fortificazioni medievali. Il connubio fra vero e finzione è stato esaltato dal recente film in diretta televisiva Rigoletto a Mantova, regia di Marco Bellocchio e direzione Zubin Metha (2010), in cui le dimore gonzaghesche e gli scorci della città sono divenuti mirabile scenografia. Per approfondimenti: Mantova, la città di Rigoletto (in questa stessa collana di guide tematiche). Fig. 11 Aldo Falchi, statua di Rigoletto (Casa di Rigoletto) 11 AttoSecondo Controriforma e primo barocco: il trionfo del sacro e della meraviglia Fig. 12 Basilica palatina di Santa Barbara, facciata 9. Basilica palatina di Santa Barbara Prima di entrare nel palazzo Ducale, attraversando il grande arco e piazza Castello, si raggiunga la basilica palatina di Santa Barbara (Fig. 12). Non semplice cappella di corte, ma notevole edificio sacro interno alla reggia, Santa Barbara è un unicum nella storia musicale europea. Voluta dal duca-compositore Guglielmo Gonzaga, fu concepita per esaltare il rito, 12 la musica liturgica e lo stato. Fu collegiata indipendente dalla diocesi; ebbe una liturgia propria, un canto piano riformato, un repertorio polifonico dedicato e un’ottima cappella musicale. Costruita (1561-1572) su progetto di Giovan Battista Bertani, fu dotata (1565) del pregiatissimo organo del bresciano Graziadio Antegnati (Fig. 13) con portelle dipinte (Fermo Ghisoni). Perfino la campana doveva avere una voce «dolce» e un’intonazione definita (c sol fa ut, attuale do2). Spazi precisi ospitavano diversi ranghi musicali: i chierici (dietro all’altare), i musici professionisti (cantoria sopra l’ingresso, balconata dell’organo, cantoria di fronte). Questi spazi esaltavano l’alternanza fra canto monodico e polifonia (alternatim). Vi cantarono occasionalmente anche cantatrici professioniste: le sorelle Pellizzari (1583) e la mitica Adriana Basile (1612). L’acustica è tuttora perfetta, sebbene la basilica sia stata privata degli arazzi (su cartoni di Raffaello, ora in palazzo Ducale). Nel primo periodo la cappella fu diretta da Giaches Wert. È ragionevole ipotizzare che Monteverdi abbia concepito brani sacri per questo luo- Fig. 13 Basilica palatina di Santa Barbara, organo Antegnati (1565) go; almeno il suo Ave maris stella (Vespri della Beata Vergine, 1610), fu composto sul canto barbarino riformato. Il repertorio di canto piano della Basilica è tutt’ora a Mantova, mentre il fondo polifonico si trova a Milano (Biblioteca del Conservatorio “G. Verdi”), dove fu trasferito dal governo austriaco (1850) a seguito di un tentativo di acquisto da parte del collezionista don Giuseppe Greggiati (Ostiglia). L’organo, recentemente restaurato (Giorgio Carli, 2006) è divenuto il fulcro di rinomate rassegne musicali: Gaude Barbara beata; Antegnati tour (con altre chiese dotate di organi Antegnati). 10. Palazzo Ducale Il palazzo Ducale, stupefacente per ampiezza, complessità e stratificazioni architettoniche, rappresenta un libro aperto, ma anche segreto, sulla storia della musica a Mantova. Benché il percorso principale di visita inizi dal piano nobile della corte Vecchia, un ideale itinerario musicale non può che partire dall’appartamento vedovile di Isabella d’Este Gonzaga (piano terra). Studiolo e grotta Allieva a Ferrara di Battista Guarini, Isabella d’Este (1474-1539), sposa di Francesco II Gonzaga, trasformò la corte in un modello di cui imitare mode e tendenze. Isabella sapeva di musica, cantava e suonava diversi strumenti (liuto, viola da gamba). A Mantova favorì la fioritura delle frottole*. Le composizioni dei suoi principali musicisti, Marchetto Cara e Bartolomeo Tromboncino, furono stampate (Frottole, Venezia, Ottaviano Petrucci). I suoi ideali divennero anche ‘musica per gli occhi’. Ispirandosi ad altri studioli coevi, creò uno studiolo (1491) e una sottostante grotta (1498) di Isabella d’Este Gonzaga Fig. 14 Studiolo di Isabella d’Este (palazzo Ducale) *frottola: brano polifonico ammiccante ai piaceri della vita e della natura, solitamente eseguito a una voce con strumenti. 13 nella torre del Castello (vicino alla camera degli Sposi), quali luoghi di meditazione e di autorappresentazione. Arricchì i propri camerini di rarità e di quadri dei maggiori artisti del tempo (Mantegna, Perugino, Lorenzo Costa). Con l’avanzare dell’età, Isabella preferì trasferirsi (1523) in corte Vecchia (piano terra), ricollocando anche lo studiolo e la grotta (Fig. 14). Le sue raccolte furono vendute al re d’Inghilterra o saccheggiate (1630). I camerini isabelliani offrono un esemplare programma iconografico. Tra i rilievi marmorei che decorano gli stipiti della porta dello studiolo (Gian Cristoforo Romano), si noti Isabella stessa in veste di protettrice delle arti con syrinx a 7 canne. Le tarsie lignee (Paolo e Antonio della Mola, 1506) della grotta raffigurano realisticamente strumenti musicali: a fiato di varie taglie, una viola, una chitarra, un’arpa, un liuto, un clavicordo e un libro chiuso, simbolo della perfetta conoscenza (Fig. copertina); alla base della veduta urbana è tracciato un canone* (Ockegem). In alto, tra le varie imprese, campeggia quella delle Pause, amatissima (Fig. 15): un polifonico canone* di silenzi evoca l’armonia del macrocosmo e del microcosmo interiore. Nel primo Novecento rinacque l’interesse per questi spazi: Gabriele d’Annunzio vi ambientò la prima lunga sequenza del suo romanzo Forse che sì, forse che no (1910); l’esposizione universale (1911) ne propose una ricostruzione. *canone: brano polifonico generato dalla ripetizione di una stessa melodia proposta in rigorosa successione. Fig. 15 Impresa delle pause, Grotta di Isabella d’Este (palazzo Ducale) Sala del Labirinto Proseguendo la visita ordinaria del palazzo Ducale, si passa per la sala del Labirinto così denominata per il soffitto ligneo dipinto e dorato in foggia di labirinto, legato anche alla storia musicale mantovana (Fig. 16). Nei primi anni del Cinquecento, il detto Forsi che sì, forsi che no apparve scritto, anzi stampato, non come semplice espressione gergale o letteraria, bensì rivestito di canto 14 in una barzelletta a quattro voci di Marchetto Cara, composta dunque nella cerchia di Isabella d’Este: «Forsi che sí forsi che no / El tacer nocer non po» (Frottole, libro tertio, 1505). A quello stesso periodo risale la creazione dello stupendo soffitto ligneo decorato da Lorenzo Leonbruno (1477-1537), recante nei lacunari l’ossessiva ripetizione di questa frase. Originariamente collocato nel palaz- zo San Sebastiano, fu poi trasferito (1601) nel palazzo Ducale per decorare il soffitto di una delle sale dell’appartamento del duca Vincenzo I. In quell’occasione il fregio venne anche arricchito con una scritta esterna, evocante la terza spedizione del duca contro i turchi a Canessa (1601), e con una frase centrale, riferita al significato mitologico del labirinto. L’intreccio fra poesia, musica e materializzazione decorativa, è così avviluppato da non consentire la certa identificazione dell’archetipo del motto, la cui traccia più antica resta quella poetico-musicale. Quando Gaetano Cesari pubblicò (1953) la prima edizione moderna delle frottole, Forsi che sì, forsi che no divenne uno dei brani più conosciuti del rinascimento italiano. È noto che d’Annunzio conobbe l’enigmatico detto proprio in questa sala (1907, 1909), sce- Fig. 16 Sala del Labirinto, soffitto (palazzo Ducale) gliendolo poi come titolo del suo omonimo romanzo (1910); è improbabile tuttavia che egli conoscesse la sua versione musicale. Sala dello Specchio Fig. 17 Sala dello Specchio (palazzo Ducale) Il percorso ordinario di visita non include un luogo di grande interesse musicale: la ritrovata sala dello Specchio (visitabile a richiesta). «Ogni venere di sera si fa musica nella sala de’ Specchi», scrive Claudio Monteverdi al cardinale Ferdinando Gonzaga a Roma (28 dicembre 1610, 22 gennaio 1611). Questo accenno, riconsiderato insieme ad altre fonti, ha condotto all’incredibile riscoperta della sala dello Specchio (o de’ Specchi) in uso ai tempi di Monteverdi (Fig. 17). La sala faceva parte di un nuovo appartamento 15 (1582-1585), commissionato dal duca-compositore Guglielmo Gonzaga all’architetto Bernardino Facciotto. Dopo il saccheggio della città, la sala dello Specchio divenne stanza del tesoro e fu arredata con armadi. Parzialmente crollata, fu sezionata in due piani; quello sottostante venne diviso in cinque stanze, destinate agli uffici di scalcheria (1735) e più tardi (1934) date all’incisore Antonio Carbonati. Resa irriconoscibile e dimenticata, la sala è stata a lungo confusa con il «Logion serato» (grande loggia chiusa), ricavata dalla trasformazione di un loggiato nel primo Seicento, ma solo più tardi (1779) denominata anch’essa Galleria degli Specchi (Fig. 18). Lo studio comparativo (Paola Besutti) fra l’irregolare disegno planimetrico ritrovato (Paolo Carpeggiani; Fig. 19) e la foto aerea del palazzo Ducale (Fig. 20) ha portato all’identificazione dell’area in cui si trovava la sala. Dopo la riscoperta (1998), il solaio intermedio è stato demolito e sono state restaurate le lunette (Fig. 21). Lo studio dei frammenti murari, ha permesso una prima ricostruzione virtuale (Roberto Soggia) della copertura a ombrello, scenograficamente composta da venti vele, ciascuna corrispondente a una lunetta affrescata (Giovan Battista Giacarelli) con giochi di putti, ispirati a Mantegna e Giulio Romano. La volta originaria, decorata con motivi vegetali, era costruita con materiali leggeri (legno e canne). Gli specchi erano forse posti alla sommità della bizzarra copertura, o all’interno di boiseries. Quasi attraversando un bosco incantato, vi si 16 Fig. 18 Galleria degli Specchi ‘Logion serato’ (palazzo Ducale) Fig. 19 Bernardino Facciotto, Planimetria della sala dello Specchio (Archivio di Stato di Torino) giungeva dal giardino pensile e dal corridoio dei Fauni; il duca poteva entrarvi dalla parte opposta, mediante un proprio ingresso riservato. La sala era dotata di un apprezzatissimo organo con le canne di legno. È verosimile che la sala fosse prevalentemente destinata alla musica. Qui si tenne la celeberrima prova dell’Arianna di Rinuccini e Monteverdi (14 marzo 1608) du- rante la quale Virginia Andreini eseguì le parti appena imparate, in sostituzione di Caterina Martinelli, morta di vaiolo. Recentemente è stata ricostruita una parte della copertura della volta in materiale leggero. Il restauro non è del tutto compiuto poiché un corpo di fabbrica settecentesco si incunea ancora nella sala, ingombrandola. Per il suo peculiare interesse musicale, la sala è stata comunque spesso aperta alle visite, ospitando talvolta eventi ed esecuzioni musicali. Fig. 20 Palazzo Ducale, foto aerea (in evidenza la sala dello Specchio) Sala di Orfeo «Hieri fu recitata la Comedia nel solito scenico Teatro et con la consueta magnificenza, et dimani sera il Ser.mo Signor Prencipe [Francesco Gonzaga] ne fa recitare una, nella sala del partimento che godeva Madama Serenissima di Ferrara [Margherita Gonzaga], che sarà singolare, posciaché tutti li interlocutori parleranno musicalmente» (Mantova, Archivio di Stato, 23 febbraio 1607) Fig. 21 Sala dello Specchio, lunetta (palazzo Ducale) La storia della sala degli Specchi, unica ambientazione musicale mantovana menzionata da Monteverdi, si è intersecata con uno dei misteri irrisolti della reggia gonzaghesca: l’identificazione della sala in cui ebbe luogo la prima rappresentazione (24 febbraio 1607) di La favola d’Orfeo. Lo spettacolo fu promosso dal principe ereditario Francesco nella «nostra accademia» degli Invaghiti per l’ultimo sabato di carnevale. Innovativo esempio di teatro ‘da camera’, esso offriva un’aggiornata alternativa alla commedia con intermedi, fatta rappresentare dal padre, duca Vincenzo I, «nel solito teatro» (22 febbraio, giovedì grasso). L’unico documento relativo al luogo di rappresentazione dell’Orfeo è quello qui sopra riportato. La sala faceva parte dell’appartamento («partimento») assegnato a Margherita Gonzaga («Madama Serenissima di Ferrara»), vedova di Alfonso II d’Este, dopo il suo ritorno a Mantova (1598) e 17 prima del suo ritiro nel convento di Sant’Orsola. Si ipotizza che l’appartamento fosse in corte Vecchia, a piano terra, nei pressi della chiesa di Santa Croce (Fig. 22), in un’area ora molto rimaneggiata. Un inventario (1665) menziona ancora un «appartamento di Madama Serenissima» con una «Galleria», ora non riconoscibile, che potrebbe aver ospitato la rappresentazione. Verosimilmente per l’occasione fu attrezzata con una semplice pedana e con quinte, come per le recite dei comici. In seguito lo spettacolo fu forse replicato nel teatro Grande. I documenti portano dunque a escludere altri luoghi adatti a un simile scopo, come la sala di Manto e il Refettorio (ora sala dei Fiumi); così come sono da escludere, per le dimensioni ridotte, la ritrovata sala dello Specchio e la sala Imperiale. Fig. 22 Cortile di Santa Croce (palazzo Ducale) Sala di Troia Fig. 23 Sala di Troia (palazzo Ducale) Nella sezione museale della corte Nuova, la visita include la sala di Troia (Fig. 23). Realizzata da Giulio Romano (1536-1539), ebbe anche un ruolo musicale, ora impensabile, date le sue dimensioni relativamente contenute. Dopo 18 il tragico saccheggio della città e del palazzo Ducale la vita di Mantova lentamente riprese. L’attenzione della corte si concentrò sui nuovi generi spettacolari: drammi per musica, balli, tornei. Durante l’ultimo ducato di Ferdinando Carlo (1665-1708), la produzione di opere si infittì, con l’intervento anche dei numerosissimi cantanti, fregiati del titolo di «virtuoso del duca di Mantova». Dal 1672, su iniziativa della corte e dell’ordine dei Teatini, cominciarono a essere prodotti oratori musicali nella cui produzione eccelsero Maurizio Cazzati (1616-1678), Giovan Battista Tomasi (fl. 1679-1692) e Antonio Caldara (1670-1736). Dalle carte della drapperia di corte (Archivio di Stato) risulta che gli oratori venivano eseguiti (1695) anche nella sala di Troia, attrezzata con spalliere in tessuto e con tutte le sedie («cadreghe nobili») disseminate per il palazzo. La sala fu utilizza- ta per la rappresentazione di opere (L’Oronte, 1659). In quegli stessi anni (1698) furono occasionalmente utilizzate anche la sala del Refettorio (ora dei Fiumi), la sala di Manto (1622, 1696) e la sala degli Arcieri (salone da ballo, sec. XVII). I magnifici spazi del palazzo Ducale accolgono oggi molti eventi culturali e da qualche tempo (2013) sono il fulcro di Trame sonore. Mantova Chamber Music Festival, promosso dall’Orchestra da Camera di Mantova. 11. Sinagoga Tempio Norsa-Torrazzo La vita culturale e musicale, indipendente dalla corte dei Gonzaga, fu alimentata da famiglie eminenti e da comunità che, aprendo oggi i propri archivi, favoriscono nuove ricerche. Nell’ambito della musica e dello spettacolo la comunità ebraica fu la più attiva. Con una piccola deviazione, si può visitare la splendida Sinagoga Tempio Norsa-Torrazzo (via Gilberto Govi, 13; Fig. 24). Frutto della traslazione, realizzata nel primo Novecento, dell’antica sinagoga privata (1480), è l’unica rimasta delle sei anticamente attive in città. Fra la corte dei Gonzaga e la comunità ebraica locale vi fu un’equilibrata collaborazione. Durante il Cinquecento le compagnie ebraiche furono apprezzate per la qualità della recitazione, degli interventi musicali e delle tecniche scenografiche. Leone de’ Sommi (1525 ca.-1590 ca.) ebbe rapporti con la corte e con l’Accademia degli Invaghiti. Le compagnie contribuirono alla realizzazione dei maggiori eventi, come il Pastor fido di Battista Guarini (1598). Tra i musicisti spicca la figura del violinista e compositore Salomone Rossi ‘Ebreo’ (1570?-1630), responsabile delle orchestre di corte. Compose per i maggiori spettacoli, tra i quali, L’Idropica di Guarini (1608) e la Maddalena di Giovan Battista Andreini, rappresenta- ta con musiche anche di Monteverdi (1617). Il ricco catalogo a stampa documenta il suo innovativo apporto alla storia del madrigale accompagnato (1600) e della sonata a tre. Unica nel suo genere è la raccolta di salmi e cantici ebraici polifonici (Hashirim asher leShlomo). Nello stesso edificio sono ospitati: l’Archivio storico (1522-1861), l’Archivio amministrativo (1861 in poi) e un piccolo fondo di musiche sacre dell’Ottocento (consultazione riservata a ricercatori). Per approfondimenti: Mantova, la città e gli ebrei (in questa collana di guide tematiche). Fig. 24 Sinagoga Tempio Norsa-Torrazzo, interno 19 Secondo Intermezzo Monteverdi a Mantova 12. Chiesa dei Santi Simone e Giuda Fig. 25 Chiesa dei Santi Simone e Giuda, facciata 20 Sulla splendida età di Vincenzo I Gonzaga svetta la figura di Claudio Monteverdi (Cremona 1567-Venezia 1643), al servizio della corte (1590 ca.) prima come suonatore di viola e poi come «maestro della musica» del duca (1601). Definito, a ragione, ‘creatore della musica moderna’, egli trascorse a Mantova anni decisivi per la propria maturazione artistica, portando all’apice il linguaggio madrigalistico, forgiando il moderno teatro per musica, schiudendo al repertorio sacro orizzonti inusitati. In quel periodo diede alle stampe (Venezia): il Terzo (1592), il Quarto (1603) e il Quinto (1605) libro dei madrigali, gli Scherzi musicali a tre voci (1607), L’Orfeo (1609), La messa e i Vespri della Beata Vergine (1610); compose inoltre (1608) L’Arianna, il Ballo delle Ingrate e altri brani irreperibili o stampati dopo il licenziamento da Mantova (1612). Nella dichiarazione annessa al Quinto libro e nell’appendice degli Scherzi (a cura del fratello Giulio Cesare), difendendo le proprie scelte, egli si professò creatore di una nuova e più libera pratica compositiva («seconda pratica»), tesa alla trasposizione in musica del senso più profondo della poesia (oratione) e degli umani affetti, in ciò preceduto da Giaches Wert, ancora attivo in corte quando egli vi giunse. A Mantova, Monteverdi costruì anche la propria vita di uomo: sposò (20 marzo 1599) la cantante Claudia Cattaneo, ebbe tre figli e divenne vedovo (1607). Amava conversare e comporre lontano dagli assilli della vita di corte e perciò scelse di vivere al di fuori del palazzo Ducale, pagando un affitto che veniva incluso nel suo compenso. Abitava nella zona prossima alla chiesa dei Santi Simone e Giuda (via Domenico Fernelli; Fig. 25), allora da poco riedificata (1593), dove si sposò e dove, di recente (1993), gli è stata dedicata una via. Approfondimenti sui luoghi in cui risuonarono le sue musiche o per i quali le compose in: Claudio Monteverdi (in questa collana di guide tematiche). Fig. 26 Autografo di Rossini (Accademia Nazionale Virgiliana) 21 AttoTerzo Settecento e Ottocento: i lumi e i primi fermenti sociali 13. Accademia Nazionale Virgiliana L’odierna Accademia Nazionale Virgiliana (via Accademia, 47) discende dall’accademia rinascimentale e occupa un settecentesco palazzo che è l’evoluzione della sede originaria. La prima accademia mantovana ad avere consistenti legami con la musica fu quella degli Invaghiti. Fondata (1562) da Cesare Gonzaga conte di Guastalla, ebbe sede nel suo palazzo mantovano che comprendeva anche di un teatrino delle dimensioni dell’attuale teatro del Bibiena. Aristocratici e altoborghesi, gli Invaghiti incentravano le proprie dispute teoriche sull’arte oratoria e poetica, concedendo qualche spazio al teatro (Leone de’ Sommi) e, di riflesso, alla musica. All’inizio del Seicento le attività furono trasferite nel palazzo Ducale, mentre nella sede originaria nacque l’antagonistica Accademia degli Invitti (poi Timidi). Patrocinati dal principe ereditario Francesco Gonzaga, gli Invaghiti festeggiarono l’ultimo sabato di carnevale del 1607 con la rappresentazione de La favola d’Orfeo di Claudio Monteverdi, su libretto dell’invaghito Alessandro Striggio jr. 22 (Fig. 29). Le accademie continuarono a operare seppur in modo più rarefatto, anche dopo il sacco di Mantova e nei successivi decenni. All’età di Maria Teresa d’Austria si deve il rilancio illuministico e la creazione (1767, 1768) della Reale Accademia di Scienze, Belle lettere e Arti, che riunì gradualmente le accademie antiche, la locale Colonia arcadica (1747), l’Accademia Teresiana di pittura (1752) e la Colonia filarmonica, fondata dall’arpista Leopoldo Micheli (1761). A questa fase è da ricondurre il raro fondo musicale (Fig. 26), che documenta l’attività dei nobili musicisti dilettanti, coadiuvati da professionisti; tra questi ultimi si ricorda Luigi Gatti (17401817), colui che divenne maestro di cappella a Salisburgo in luogo di Leopold Mozart. La nuova accademia fu dotata di un proprio nuovo splendido teatro scientifico, realizzato da Antonio Galli Bibiena. Qui ebbe luogo il concerto (16 gennaio 1770) di Wolfgang Amadeus Mozart quattordicenne (Fig. 27), L’attuale Accademia Nazionale Virgiliana, così ridenominata in periodo napoleoni- co (1797), favorisce le ricerche musicali, sostiene l’attività di gruppi cameristici (Quartetto dell’Accademia, Archi dell’Accademia) e pro- muove la rassegna I concerti dell’Accademia (dal 2004), quale punto di incontro della musica con i più diversi campi della conoscenza. 14. Teatro Bibiena Nello stesso edificio dell’Accademia Virgiliana (via Accademia, 47) si trova l’imperdibile teatro Bibiena (teatro Scientifico; teatro Accademico), ideato e costruito (1767-1769) da Antonio Galli Bibiena nello spazio precedentemente occupato dal teatro dell’Accademia degli Invaghiti (talvolta detto della Madonna del Popolo). Le proporzioni, la peculiare pianta a forma di campana, i palchetti lignei, lo dotano di un’acustica perfetta per i repertori musicali cameristici (Fig. 28). Nato per ospitare le attività scientifiche, umanistiche e musicali dell’Accademia, è caratterizzato da un’intima e avvolgente atmosfera che favorisce l’ascolto e l’attenzione. Poco dopo la sua inaugurazione (3 dicembre 1769), ebbe come protagonista di una propria riunione musicale (Fig. 27) Wolfgang Amadeus Mozart. Leopold Mozart descrivendo con ammirazione il teatro scrisse: «in vita mia non ne ho mai visto uno più bello […] non è un teatro, bensì una sala con dei palchi, costruita come un teatro d’opera; dove dovrebbe esserci la scena vi è il piano rialzato per la musica, dietro il quale c’è ancora una galleria». Per le sue caratteristiche il teatro ha continuato nel tempo a ospitare eventi musicali che non prevedessero Fig. 27 Programma del concerto di W. A. Mozart (Accademia Nazionale Virgiliana) 23 apparati scenici elaborati. Qui ha avuto luogo la rappresentazione in forma semi-scenica (24 febbraio 2007) dell’Orfeo di Monteverdi, in occasione del quarto centenario della sua prima esecuzione (1607). Di proprietà del Comune di Mantova, attualmente accoglie buona parte dei concerti promossi dall’Orchestra da Camera di Mantova, dal Consorzio Mantova Musica e dall’Accademia Nazionale Virgiliana. Per approfondimenti: Teatro Scientifico Bibiena (in questa stessa collana di guide tematiche). Fig. 28 Teatro Bibiena 15. Biblioteca Teresiana Collocata nel palazzo degli studi in cui operarono i gesuiti sino al 1773 (via Ardigò, 13), la Biblioteca Comunale Teresiana (1780) è frutto di un grande progetto di rilancio illuministico della città. Splendide le due sale teresiane (Paolo Pozzo), dotate di grandi scaffalature in noce, disposte su più piani con ballatoi. La collezione originaria nacque dalla fusione, voluta dal conte Carlo Firmian (1718-1782), vicegovernatore del ducato imperiale di Mantova, fra la biblioteca dei gesuiti e quella dell’accademia. A queste si aggiunsero le preziose raccolte degli ordini monastici e religiosi soppressi. Tale composito nucleo antico è di notevole rilevanza per gli studi musicologici poiché include, fra l’altro: 24 una parte del fondo di manoscritti provenienti dal monastero di S. Benedetto in Polirone, alcuni dei quali con notazione musicale (es. Breviarium antiquum […] cum notis musicis, sec. XII); qualche raccolta musicale, tra le pochissime rimaste dopo la dispersione (1630) della biblioteca gonzaghesca (es. Il primo libro di madrigali a sei voci di Alessandro Striggio, Venezia 1579); una cospicua raccolta di libretti d’opera e di feste, indispensabile per la ricostruzione della vita musicale e teatrale della città. Tra questi, spiccano per rarirà: La favola d’Orfeo (Mantova, Osanna, 1607) di Alessandro Striggio jr. e Claudio Monteverdi; Compendio delle sontuose feste fatte l’anno MDCVIII di Federico Follino (Fig. 29). 16. Archivio di Stato Fig. 29 Compendio delle sontuose feste fatte l’anno MDCVIII, frontespizio L’Archivio di Stato (via Roberto Ardigò, 11) fu istituito (1868) poco dopo l’annessione della città al Regno d’Italia (1866). Inizialmente ebbe sede nel palazzo Ducale, per essere poi trasferito nel palazzo degli studi, ex collegio e convento dei Gesuiti (1883), dove ancora si trova; sono di sua pertinenza anche la torre medievale dei Gambulini e l’ex chiesa della Ss. Trinità (navata centrale, deposito principale). I 25.000 metri lineari di scaffali custodiscono documenti, mappe, pergamene, inventari (secc. XI – XX), essenziali per la ricostruzione della storia musicale di Mantova. Oltre all’immenso Archivio Gonzaga (1328-1707), molto frequentato dai musicologi di tutto il mondo, vi si conservano archivi notarili, catastali, ecclesiastici e delle corporazioni artiere, nonché archivi familiari donati nel tempo (es. Castiglioni, Cavriani, Capilupi, D’Arco). Le carte di interesse musicologico sono innumerevoli. Si pensi che le sole lettere autografe sinora conosciute di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 ca.-1594) sono conservate qui (Fig. 30); il compositore non fu mai a Mantova, ma intrattenne un carteggio (1568-1587) ricco di dettagli tecnici con il duca-compositore Guglielmo Gonzaga, committente delle famose messe ‘mantovane’ in forma di alternanza fra la polifonia e il canto liturgico riformato per Santa Barbara (alternatim). L’Archivio custodisce anche la maggior parte delle lettere di Claudio Monteverdi, che 25 scrisse spesso alla corte per sostenere le proprie richieste economiche. Insieme alla notizie biografiche, sono importanti le testimonianze su acquisto e committenza di strumenti musicali, uso degli spazi, pratiche musicali e festive. L’Archivio, oltre ad accogliere gli studiosi, valorizza le proprie raccolte promuovendo mostre, conferenze e presentazioni di libri. 17. Palazzo d’Arco L’antica casata dei conti d’Arco di Trento, ebbe contatti con Mantova sin dal Medioevo. L’attuale palazzo (piazza d’Arco), ereditato dai conti Chieppio (1740), si presenta nelle eleganti fogge della ristrutturazione settecentesca (1785). Donata alla città dalla contessa Giovanna d’Arco (1880-1973), la dimora è oggi Museo aperto al pubblico. Unica nel suo genere, la residenza conserva suppellettili e arredi acquisiti nel tempo dai proprietari. Data l’elevata posizione sociale e le molteplici passioni culturali, la famiglia fu in relazione con la vita musicale della città. Fu il conte Giorgio d’Arco, maestro di corte del principe-vescovo di Salisburgo, ad annunciare con una lettera al cugino mantovano Francesco Eugenio l’arrivo (10 gennaio 1770) del vicemaestro di cappella Leopold Mozart, con il figlio quattordicenne Wolfgang Amadeus, dotato di talento prodigioso. Con l’intercessione dei conti d’Arco, i Mozart poterono incontrare la migliore società mantovana. La piccola raccolta di strumenti musicali è frutto delle passioni collezionistiche della famiglia. Su tutti spicca (saletta 26 Fig. 30 Palestrina, lettera autografa (Archivio di Stato di Mantova) della musica) una preziosa tiorba veneziana (arciliuto) di Matteo Sellas (1647), uno dei più rinomati liutai del primo Seicento; dotata di 18 ordini di corde (6 doppie tastabili; 12 singole sul secondo cavigliere), la tiorba ci ricorda che Mantova fu ricchissima di strumenti di pregio, ora dispersi (Fig. 32). Nella stessa saletta, vi è un’arpa (Erards), mentre nella sala principale (degli Antenati) tre vetrine racchiudono strumenti dell’Otto e Novecento: 4 chitarre, 1 violino, 1 colascione, 3 mandolini, 1 liuto a sei corde, 1 mandola, 2 cetre da tavolo. Nell’attuale camera “Andreas Hofer” (Fig. 31) è collocato un fortepiano (Gaetano Menotti, Mantova, 1819). Ben conservate, infine, alcune ‘macchine’ musicali: un grammofono e un carillon (S. Troll, Genève) che riproduce, tra l’altro, brani di G. Verdi (La donna è mobile, da Rigoletto). Fig. 31 Camera Andreas Hofer, fortepiano (palazzo d’Arco) Fig. 32 Tiorba Matteo Sellas, 1647 (palazzo d’Arco) 27 18. Teatro Sociale Usciti da palazzo d’Arco e percorrendo via Corrado, si giunge al teatro Sociale (piazza Felice Cavallotti, 14). Ritornando Mantova sotto il dominio austriaco (1816), una società di novanta notabili della città si riunì per finanziare la costruzione di un teatro moderno e più centrale, rispetto alla nuova espansione urbanistica e rispetto all’ormai desueto Imperial Regio teatro. Progettato da Luigi Canonica, artefice tra l’altro dell’ampliamento del teatro alla Scala di Milano, il teatro fu inaugurato (26 dicembre 1822) con l’opera Alfonso ed Elisa (Saverio Mercadante) e il balletto Gundeberga (Giuseppe Coppini). L’elegante aspetto neoclassico venne conciliato con aggiornate esigenze: un ampio peristilio per l’agevole arrivo delle carrozze, una bottega del caffè, ambienti per l’accoglienza dei musicisti (Fig. 33). La sala, composta da tre ordini di palchi e tre gallerie, fu decorata da Francesco Hayez. Da quel momento il teatro ospitò i principali eventi della città: adunanze, visite di imperatori, re e presidenti. Nel tempo furono allestite opere dei principali maestri europei. In epoca recente: Mario del Monaco ha cantato in Otello (1971); Placido Domingo ha festeggiato i 150 anni del teatro con Un ballo in maschera (1972); Leo Nucci è stato un acclamatissimo Rigoletto. Ora il basso buffo mantovano Enzo Dara, stella di rinomanza mondiale, ha scelto di rap28 presentare qui alcune produzioni del suo “Laboratorio sul teatro musicale del Settecento”. Caso ormai quasi unico in Italia, il teatro Sociale è ancora oggi di proprietà della Società dei palchettisti, responsabile della programmazione artistica e dell’affitto ai diversi produttori. Con il supporto di contributi esterni, è stata compiuta (2011) la catalogazione e la digitalizzazione del vasto Archivio Storico (manifesti, locandine, documenti, fotografie), collocato nel teatro stesso. È riconosciuto “teatro di tradizione” (Ministero per i Beni, le Attività Culturali e del Turismo). Fig. 33 Teatro Sociale 19. Teatro Andreani Oltre al teatro Sociale, nell’Ottocento a Mantova erano attivi diversi teatri: Imperial Regio teatro, teatro della Pace, teatro Bibiena, teatro Andreani, teatro effimero Arnoldi, Arena virgiliana (dal 1821, demolita). L’attività musicale era intensa: in un secolo (1822-1922) sono state contate circa quattrocento produzioni operistiche. Lasciandosi alle spalle il teatro Sociale e percorrendo corso Vittorio Emanuele II (già corso Pradella), si incontra il luogo in cui era il teatro Andreani (ora trasformato in abitazioni), il quale ebbe un ruolo storicamente e socialmente rilevante negli anni dell’unificazione italiana (Fig. 34). Nato dall’intraprendenza di Pacifico Andreani, il teatro fu inaugurato (26 dicembre 1862) con l’opera I masnadieri di Giuseppe Verdi. L’Andreani proponeva una programmazione teatrale e musicale di vario livello, rivolgendosi a un pubblico più indifferenziato, rispetto a quello che frequentava abitualmente il teatro Sociale. In ciò coglie l’intento di intercettare le istanze di diverse fasce della popolazione. Qui furono eseguite la Cantata a Dante di Lucio Campiani (1865) e la cantata per soli, coro e orchestra Manto (1865) dello stesso Campiani, composta per sostenere la creazione di monumenti a Dante, Virgilio e Sordello. Qui furono organizzati eventi musicali «a beneficio dei feriti resi inabili al lavoro nell’ultima guerra» (1866) e spettacoli durante la prima visita di Vittorio Emanuele II re d’Italia (novembre 1866). Nel primo No- Fig. 34 Teatro Andreani vecento il teatro promuoveva il proprio programma con il periodico «Perché?» (1900). L’apertura a forme di spettacolo moderne, portò il teatro a proporre anche operette, il cinematografo (1905) e, dopo la ricostruzione del secondo dopoguerra, l’avanspettacolo. Trasformato in cinema, ha recentemente cessato la propria attività, per essere destinato ad altro uso, immemore del suo ruolo storico e sociale. 29 Epilogo La musica a Mantova oggi e … domani 20. Conservatorio di musica “Lucio Campiani” Il percorso volge al termine, ma con un’apertura sul futuro musicale della città. Imboccando via Conciliazione (traversa di corso Vittorio Emanuele II) si incontra infatti la nuova sede del Conservatorio di musica “Lucio Campiani” (via Conciliazione 33). Si tratta di uno spazio, antico per fascino, ma moderno per destinazione e funzionalità. Nato dalla graduale trasformazione della Scuola Popolare di musica dell’Accademia (1777) in Scuola comunale (1869) e finalmente in istituzione statale (1972), il Conservatorio ha occupato nel tempo diverse sedi. La sede attuale è il risultato del recupero del convento barnabita di clausura (1497) di Santa Maria della Misericordia, a lungo adibito impropriamente a caserma (1797). Oltre alle aule didattiche e al bel chiostro maggiore, utilizzato in estate per concerti, il grande complesso edilizio (7000 m2) accoglie la notevole sala (Fig. 35), dedicata a Girolamo Cavazzoni (ca.1525-ca.1577), organista della chiesa ducale di Santa Barbara. Già refettorio conventuale con decori cinquecenteschi (Gianfrancesco Tura), la sala ora ospita un elegante or30 gano (ditta Glauco Ghilardi, 2011), realizzato e intonato nello stile del barocco tedesco, ma fruibile anche per repertori diversi. Nell’ambiente a fianco (aula Cesare Rossi) è collocato l’organo in stile barocco italiano (ditta Franz Zanin, 1988). Il complesso include la biblioteca specializzata “Luigi Gatti” che custodisce, tra l’altro, numerosi fondi (Lucio Campiani, Narciso Sabbadini, Fausto Negrini). All’auditorium “Claudio Monteverdi” (180 posti), è infine annesso il Museo del Conservatorio, che conserva strumenti musicali, partiture e cimeli, in parte esposti nelle teche del foyer dell’auditorium stesso. Fig. 35 Organo Ghilardi, 2011 (Conservatorio, sala Cavazzoni) Prologo 1. Piazza Sordello Atto I 2. Palazzo S. Sebastiano (Museo della Città) 3. Palazzo Te 4. Basilica di S. Andrea 5. Duomo 6. Archivio Storico Diocesano Intermezzo I 7. Teatro Grande 8. Casa di Rigoletto Atto II 9. Basilica palatina di S. Barbara 10. Palazzo Ducale 11. Sinagoga Tempio Norsa-Torrazzo Epilogo 20. Conservatorio di musica “Lucio Campiani” 1 6 12 7 9 4 16 10 13 14 18 19 15 11 20 Intermezzo II 12. Chiesa SS. Simone e Giuda Atto III 13. Accademia Nazionale Virgiliana 14. Teatro Bibiena 15. Biblioteca Teresiana 16. Archivio di Stato 17. Palazzo d’Arco 18. Teatro Sociale 19. Teatro Andreani 8 5 17 2 3 Accademia Nazionale Virgiliana Archivio del Comune di Mantova Archivio di Stato di Mantova Archivio di Stato di Torino Archivio Storico Diocesano di Mantova Biblioteca Comunale Teresiana Conservatorio di musica “Lucio Campiani” di Mantova Diocesi di Mantova Direzione Generale Musei, Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova • Fondazione d’Arco • Gazzetta di Mantova • Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Si ringraziano per la gentile collaborazione: Giordano Fermi Livio Volpi Ghirardini Leonardo Giuliani Antonio Lodigiani Mariangela Malavasi Mons. Giancarlo Manzoli Licia Mari Ines Mazzola Irma Pagliari Diletta Piazza Susanna Sassi Rodolfo Signorini Monica Viviani Livio Volpi Ghirardini Testi: Paola Besutti Grafica: Pietro Costantini co n Informazioni turistiche IAT Mantova Piazza Mantegna, 6 | 46100 Mantova T. +39 0376 432432 | www.turismo.mantova.it | [email protected] Infopoint Casa del Rigoletto Piazza Sordello, 23 | 46100 Mantova T +39 0376 288208 | [email protected] • • • • • • • • • collab o razio n e Info e approfondimenti www.comune.mantova.gov.it www.mantova2016.it www.accademianazionalevirgiliana.org www.antegnatisantabarbara.it www.archiviodistatomantova.beniculturali.it www.bibliotecateresiana.it www.conservatoriomantova.com www.diocesidimantova.it www.mantovachamber.com www.mantovaducale.beniculturali.it www.mantovamusica.com www.museodarcomantova.it www.museodellacitta.mn.it www.ocmantova.com www.palazzote.it http://moked.it/mantovaebraica Si ringraziano per la concessione delle immagini: In Comune di Mantova Settore Promozione Culturale e Turistica della Cittá Via Frattini, 60 I 46100 Mantova T +39 0376 338627 - 207 - 680 - 645 F. +39 0376 2738072 www.comune.mantova.gov.it [email protected]