Alessandro Allemano - Memo, Memorie del Monferrato

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DON VITTORIO GENTA
a cura di
Alessandro Allemano
Mi compiaccio che Ella sia rimasta commossa e conquisa dalla parola del papa nostro Giovanni XXIII. Non è segno di
incipiente vecchiezza, né di paura della morte.È segno... oh, sì! me lo lasci scrivere, che il buon Dio le è vicino sempre:
poiché per un artista tutti gli attimi di ispirazione sono segno della presenza di Lui".
Queste parole rivolgeva nel dicembre 1958, a poche settimane dall'elezione del cardinale Roncalli alla Sede di Pietro,
l'anziano parroco di un paesino montano del Novarese al già famoso scrittore e uomo di cinema Mario Soldati. Esse
stanno in una più ampia lettera che è posta ad introduzione della raccolta di racconti "La messa dei villeggianti", che
Soldati pubblicò nel 1959 dedicandola al prete. Lo scrittore torinese non era certo sospetto di troppa simpatia per i preti
o per la religione, ma nonostante ciò egli dedicò un libro a questo sacerdote, che possedeva doti speciali racchiuse in
una personalità dall'animo travagliato e dal forte sentimento.
Quel prete anziano che prevedeva grandi cose dal pontificato che si stava avviando era don Vittorio Genta, per
quarant'anni sacerdote della diocesi casalese.
Don Vittorio Genta era nato a Torino il 20 novembre 1888: a causa della professione del padre, impresario teatrale,
non poté compiere studi troppo regolari. Svolse la prima parte della propria preparazione umanistica a Genova, poi
ritornò a Torino, dove ebbe come parroco don Luigi Spandre, che sarebbe stato poi nel 1909 Vescovo di Asti. Entrò in
seminario a Casale per seguire il secondo anno di Teologia e venne ordinato sacerdote nel 1911.
Fu viceparroco a Cerrina, Pozzengo e Roncaglia. Nel 1915 passò cappellano a Santa Maria di Moncalvo, dove rimase
fino al maggio dell'anno successivo, quando, chiamato alle armi, dovette lasciare la cura d'anime. A Santa Maria abitò
con la sorellina Elvira, nata dalle seconde nozze del padre, rimasto vedovo.
Dapprima soldato di Sanità, fu poi cappellano militare degli Alpini, poi ancora destinato all'assistenza spirituale in un
ospedale militare. Nell'aprile 1918 fece parte del corpo di spedizione noto come Truppe Ausiliarie Italiane in Francia;
ritornato in patria, nell'agosto 1919 passò al 9° Reggimento di fanteria della brigata "Regina" stanziata presso Fiume.
Prese parte all'impresa di Gabriele D'Annunzio e a Fiume conobbe il padre Reginaldo Giuliani, valoroso domenicano
cappellano militare che sarebbe caduto nella campagna d'Africa del 1935.
Mentre si trovava a Fiume, strinse rapporti di stima e simpatia con il Vate: il sentimento era reciproco, tanto che
D’Annunzio, di certo non troppo praticante in fatto di religione, lo incaricò di celebrare alcune Messe in suffragio dei
suoi genitori.
Smobilitato al termine del conflitto, tornò in diocesi e fu viceparroco a Fubine, Casale Popolo e Castelletto Merli. Il suo
sogno sarebbe stato quello di poter occupare una sede parrocchiale, ma pur partecipando ad una decina di concorsi non
ne vinse mai neppure uno. Dall'analisi delle molte lettere che egli inviò al vescovo Albino Pella emerge il desiderio di
diventare parroco non solo per una più completa azione pastorale ma anche per provvedersi di un sostentamento più
sicuro che non le incerte vicecure.
Accettò l'umiliazione di accuse dimostratesi poi affatto infondate, si piegò tante volte in quegli anni al volere del
proprio Superiore, confidente sempre nel Cuore di Gesù e nella Provvidenza: "Iddio veglia e provvederà anche a me,
ultimo dei suoi preti” scriveva dopo aver fallito l'ennesimo concorso ed essere stato costretto a vendere l'automobile.
Frattanto era stato nominato Cappellano della XI Legione "Monferrato" della Milizia, con sede a Casale e comandata
dal potente Console Giovanni Passerone.
Nel 1928 si imbarcò in prova sulla motonave "Augustus" diretta in America, come aspirante cappellano degli emigranti:
tanta fu la sua gioia che si offrì anche di fare da "corriere speciale" per monsignor Pella tra Casale e gli Stati Uniti.
Ma la delusione fu cocente: il Prelato per l'Emigrazione italiana non ritenne che don Genta avesse le doti per svolgere
questo particolare ministero e lo rimandò in diocesi.
Per interessamento diretto del Vescovo presso l'Ordinario militare mons. Angelo Bartolomasi, nel 1929 don
Vittorio fu assunto quale cappellano presso la Cura Onoranze alle Salme dei Caduti in Guerra, un servizio che si
occupava di raccogliere i resti dei soldati morti durante la guerra mondiale per dar loro degna sepoltura. Furono anni
felici, densi di attività pastorale a Gorizia, a Cividale del Friuli, a Trieste, a Rovereto; il sacerdote si donava interamente
alla propria missione, servendo anche come confessore e predicatore.
“I miei soldati mi amano con il trasporto dei loro 20 anni. I miei poveri Morti? Nulla dicono, poveretti: ma io li
ricordo ogni giorno nella Santa Messa ".
Nel dicembre 1930, trovandosi in licenza, predicò "con tanta facondia" la Novena natalizia nella parrocchia di
Moncalvo e la sua parola dovette smuovere davvero gli animi, se alla Messa di Mezzanotte furono "numerosissime le
Comunioni degli uomini". In questi anni si dedicò pure alla letteratura edificante, scrivendo la biografia "Lina Noceti,
sartina genovese", che, pubblicata da Marietti, ottenne un certo successo.
Ma il suo carattere inquieto lo riportò ancora una volta in Monferrato, a Castelletto Merli, viceparroco del vecchio don
Berrone, ma entrambi sapevano che questa non poteva essere la sua destinazione definitiva.
Si preparava intanto l'impresa africana e don Vittorio tentò il tutto per tutto: nel 1935 ritornò a vestire l'uniforme,
essendo stata accolta la sua domanda di richiamo in servizio, prima in un Ospedale da campo, poi nel 70° Reggimento
di Fanteria della Divisione "Gavinana". La sua ultima lettera a monsignor Pella lasciava presagire un futuro denso di
impegno e di fervore apostolico.
"Sono a questo meraviglioso Reggimento, campo ubertoso di apostolato: ne gioisco e ne sono tanto lieto e sereno!
Compirò tutto il mio dovere: così ne verrà gloria, ne confido, al Cuore dolcissimo di Gesù, e farò onore alla mia cara
Diocesi. Ho chiesto al cuore tanto buono del mio venerato Arcivescovo monsignor Bartolomasi la sistemazione mia
presso l'Esercito al mio rimpatrio, se e quando il buon Dio lo vorrà: e ho tanta confidente speranza di essere esaudito".
Fu in Somalia, dove meritò la prima ricompensa al valore; fece parte delle truppe italiane che combatterono in Spagna
dal 1937 al 1939: qui di ricompense ne guadagnò ben quattro, una delle quali consegnata dal generalissimo Franco in
persona. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, promosso Cappellano militare capo (equiparato al grado di
capitano), fu assegnato al 31° Reggimento di Fanteria della Divisione "Siena" e mandato sul fronte albanese. Nei mesi
di ottobre e novembre 1940 il suo comportamento di soldato e di sacerdote fu tanto ammirevole ed eroico da meritare
una medaglia d'argento al valor militare concessa sul campo: pur seriamente ammalato di bronchite, non aveva voluto
abbandonare i suoi uomini in prima linea ma aveva continuato a curare i feriti e ad assistere i moribondi, finché i suoi
superiori gli ordinarono di ritirarsi nelle retrovie per essere a sua volta curato.
Rimpatriato, fu ancora in forza ai presidi militari di Vercelli e di Asti: dopo i fatti seguenti all'armistizio dell'8 settembre
rimase come cappellano presso l'Ospedale militare astigiano, come cappellano militare della Repubblica Sociale. In
questa veste si adoperò più volte per salvare la vita a certi capi partigiani di certo non sospetti di clericalismo (Primo
Rocca, noto comandante di una Brigata Garibaldi).
Terminato il conflitto venne assegnato all'Ospedale militare di Novara e nel 1951 collocato a riposo per limiti di età.
In quello stesso anno don Genta richiedeva al vescovo monsignor Giuseppe Angrisani, di essere escardinato dalla
diocesi di Casale per essere poi incardinato in quella di Novara. Assunse -finalmente!- la carica di parroco di Vezzo
sopra Stresa, frazione del comune di Gignese e qui rimase, amatissimo e stimato, fino alla morte che lo colse
improvvisamente il 25 ottobre 1966. Nel suo paese di montagna don Vittorio aveva condotto vita frugale, più attento al
bene delle anime che al proprio personale benessere: abitò in una canonica umida e poco riscaldata, dove l'inverno
riacutizzava le vecchie invalidità di guerra. Promosse vasti restauri alla chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Giovanni e
Paolo e si prodigò, dispensando anche del suo, perché la piccola frazione avesse un asilo infantile.
Personaggio sempre un po’ controcorrente, negli anni Cinquanta in occasione delle elezioni amministrative dichiarò di
appoggiare un candidato socialcomunista, confidando (lui che nel ’22 aveva partecipato alla Marcia su Roma!) più
nell’onestà della persona piuttosto che badare all’ideologia professata: questo gesto gli provocò un severo rimprovero
da parte del Vescovo di Novara, l’intransigente mons. Gilla Vincenzo Gremigni, che impose a quel povero parroco di
montagna due settimane di esercizi spirituali a Torino.
A Vezzo don Genta conobbe un villeggiante illustre, Mario Soldati, che gli dedicò i racconti della "Messa dei
villeggianti" e che di questo prete tutto particolare parla nel racconto che da il titolo all'intera raccolta. Il protagonista
del racconto, scettico in fatto di religione, entra per caso nella chiesa di Vezzo, più per far piacere ai figli che per intimo
convincimento.
"Scettico, sfiduciato, preparato così poco devotamente alle domeniche in cui per tutto giugno e luglio avevo visitato la
mia famiglia in una spiaggia del Tirreno, scendevo dunque la prima domenica d'agosto una valletta del Vergante, dalla
parte del Maggiore; conducevo di nuovo i bambini alla Messa, e questa volta alla parrocchiale di Vezzo, poche case
alte sul lago, tre o quattrocento metri sopra Stresa ". La sua attenzione è conquistata dalla figura del celebrante.
"Era un vecchietto piccolo, tozzo, con i capelli bianchi ricci, e gli occhiali. Prima ancora che udissimo la sua voce, il
suo aspetto deciso, le sue mosse nervose avevano attratto la nostra attenzione".
Giunto al momento della predica, subito dopo il Vangelo, che quella domenica era dedicato al tema della carità
cristiana, lo scrittore è a poco a poco conquistato dalla parola di don Vittorio che ricorda un suo superiore nella
campagna di Spagna, un ufficiale di religione israelita. In un'epoca ancora poco aperta ai fermenti ecumenici, il parroco
di Vezzo rivendicava l'onore di essere stato amico dell'ebreo, perché a lui come prete interessava poco la professione
religiosa dell'interlocutore ma assai di più la sua limpidezza di cuore e la rettitudine delle intenzioni: "Era l'anima più
bella che io conoscessi -afferma quando gli comunicano che l'ufficiale è in fin di vita- io gli volevo bene, e pensavo alle
sue sofferenze, e correndo sotto il cielo stellato attraverso i campi deserti e sconvolti dalle bombe e poi nelle trincee,
correndo più in fretta che potevo, pensavo al pericolo della sua vita e pregavo". Il militare morì, assistito dal
cappellano monferrino che non pensò neppure alla possibilità di battezzarlo in punto di morte: "Al Battesimo, in quel
momento, non ci ho pensato! Mi sono dimenticato, sissignori, mi sono dimenticato che egli era, come si dice ancora,
come forse qualcuno di voi dice ancora, un ebreo, o anche un giudeo... Era un amico che moriva, e basta, e certo
vedendolo morire pregavo per lui e con lui, e basta!".
D'altra parte l'obiezione di don Vittorio alle probabili critiche degli intransigenti è ben decisa:
"Ah, miei cari, io mi auguro che tra di voi non ci sia proprio nessuno che si stupisca. Ma se sventuratamente ci fosse,
questo qualcuno non deve mai aver letto il Vangelo, o, se lo ha letto, deve averne capito ben poco! Che cosa cercava,
Gesù, negli uomini? Cercava forse la razza la religione la nazionalità la ricchezza la professione l'intelligenza? Voi
sapete bene di no. Voi tutti ricordate almeno qualche parola del Vangelo dov'è chiaro, lampante come la luce del sole,
che Gesù dell'intelligenza della professione della ricchezza della nazionalità della religione della razza non faceva
nessun conto (...)". E conclude, con estrema semplicità: "Gesù faceva conto dell'anima, Gesù cercava l'amore".
L’impressione provocata dal ricordo del vecchio prete sul laico Soldati fu vivissima, tanto che il racconto termina con
una frase che potrebbe suonare retorica se non fosse scritta da un insospettabile: "La religione, nella quale ero stato
educato e nella quale avevo pur voluto che fossero educati i miei figli, era di nuovo, una volta tanto, viva anche per
me".
È bello per me aver ricordato a tante persone i tratti essenziali della personalità e della vita di don Vittorio Genta. Quasi
per caso, compiendo mie ricerche, mi sono imbattuto nella figura di questo prete, dallo stile epistolare forbito e
dall'elegante calligrafia.
Ho così scoperto un sacerdote dall'animo travagliato, per cui il vivere quotidiano non fu questione scontata: ho scoperto
un'anima bella, candida, sebbene non immune in certi momenti da qualche sospetto di scarsa ortodossia (fu sospetto di
adesione al modernismo, più tardi fu lettore della rivista protestante "Bilychnis", ma ne bruciò tutte le copie dietro
ingiunzione del vescovo).
Ho scoperto di certo la figura di un uomo che seppe adeguarsi al proprio dovere di sacerdote e seppe mantenere fede al
proprio giuramento di soldato d'Italia.
Ho insomma scoperto un prete che da Sacerdote visse nel mondo e visse le contraddizioni del mondo, ma seppe
mantenere la propria fede e conquistare l'altrui fiducia, tanto che lo stesso Soldati in un altro suo racconto, "Il Natale di
Iride", non esiterà ad ancora ricordarlo come "(...) il vecchio parroco di Vezzo, don Vittorio, quello che diceva sempre la
verità".
I segni del valore
Questo è l'elenco delle principali ricompense al valore e al merito acquisite da don Vittorio Genta (fonte: Ordinariato
militare per l'Italia, Roma)
Croce al merito di guerra, 1 novembre 1918
Croce di guerra al valor militare: Somalia, 2 marzo 1936
Medaglia d'argento al valor militare: Spagna, marzo e agosto 1937
Croce di guerra al valor militare: Spagna, marzo 1937
Croce di guerra al valor militare: Spagna, aprile 1938
Croce di guerra al valor militare: Spagna, luglio 1938
"Cruz de guerra" spagnola, 20 dicembre 1938
Medaglia d'argento al valor militare "sul campo": Albania, ottobre - novembre 1940 ("Volontario di guerra per la
quarta volta in un Reggimento di Fanteria, portava nel Reggimento tutto l'entusiasmo del proprio passato e l'ardore
della propria Fede, così dimostrandosi degno soldato di Cristo e della Patria. Allorquando il Reggimento fu duramente
provato in aspri combattimenti, si prodigò sempre in prima linea e nei punti più battuti dal fuoco nemico, incurante del
pericolo e dando meraviglioso esempio di abnegazione nell'assolvere il compito pietoso di curare i feriti e di assistere i
morenti. Febbricitante per bronchite, rifiutava il ricovero in Ospedale per non abbandonare il reparto, dominando con
volontà indomita e con splendido entusiasmo le proprie sofferenze fisiche.
Mirabile esempio di spirito di sacrificio e di attaccamento al dovere. Zona di Operazioni, ottobre-novembre 1940")
Croce al merito di guerra, 22 marzo 1941
Croce al merito di guerra per la campagna 1940-43
Onorificenze civili
Cavaliere della Corona d'Italia, 28 dicembre 1919 Cavaliere della Stella Coloniale, 28 ottobre 1936 Cavaliere ufficiale
della Corona d'Italia, 1 giugno 1942
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