1.2 Tecnica e Etica La situazione ci consente a questo punto di poter dichiarare che il fare abbia sopravanzato l'agire. In questo senso l'etica, che viene riferita alle decisioni sull'agire umano viene surclassata dalla tecnica che come tale rappresenta il risultato di procedure e di metodiche avviate. L'etica della responsabilità, in questo caso risulta inadeguata non tanto per sua definizione, ma perchè solo quando sarà possibile creare un sapere individuale e collettivo adeguato all'ordine di grandezza delle competenze tecniche allora potremmo parlare di vera etica della responsabilità. Questo non significa in qualche modo limitare la tecnica, ma consentire all'etica di definirne conseguenze e giudicarne le finalità. Conseguenza del fallimento di queste etiche è infine la massima capacità di mezzi disponibili per l'uomo e la minima conoscenza riguardo gli scopi e conseguenze derivanti dal fare. In questo ambito è proprio la tecnica la principale responsabile della mancata applicazione delle tre tipologie di etica descritte. Ora infatti, per poter delineare una nuova forma di etica, non possiamo più prescindere dalla tecnica. L'etica paradossalmente deve inseguire la tecnica in quanto a questo punto è necessario fare i conti con quelli che sono gli effetti già provocati dal fare. Questa conseguenza è facilmente riscontrabile anche nel mondo del lavoro. Ogni scelta a livello direttivo viene presa esclusivamente considerando in che modo possono essere impiegate le competenze tecniche dei singoli soggetti nella definizione degli obiettivi aziendali. Il modo in cui i risultati devono essere raggiunti non tiene in considerazione le conseguenze che possono provocare nei lavoratori. 11 Il pensiero riguardante l'agire umano non deve in alcun modo distrarre dall'obiettivo primario che nel caso delle organizzazioni produttive è il profitto. Un principio che è bene chiarire è che una visione dove l'etica determina la possibilità di agire della tecnica non nega il concetto del raggiungimento del profitto. Viene piuttosto analizzata nella sua interezza l'azione rivolta al suo ottenimento per calcolarne e giudicarne le conseguenze in modo da non dover affrontare errori che in luogo del fare la tecnica inevitabilmente può provocare. La nostra epoca, che potremmo definire epoca della tecnica, porta a compimento quello che da sempre è stato l'intento della filosofia: conseguire il dominio delle cose disponendo incondizionatamente del loro essere8. Quale altro senso avevano i principi instaurati dalla filosofia, nella sua espressione ontologica e metafisica, quali il principio di non contraddizione, di causalità, di ragione sufficiente, se non quello di assicurarsi il dominio delle cose. La tecnica, con il suo dispiegarsi nel mondo contemporaneo in forma di pianificazione, porta a compimento l'intento della filosofia, costituendo dei fondi e delle stabilità che assicurino il possesso definitivo e incondizionato delle cose. Nella misura in cui il futuro si distingue dal passato solo per la novità dei modi con cui l'uomo si assicura il possesso delle cose, si conclude la storia come annuncio pieno dell'essere e quindi come novità originaria, a favore della a-storicità della civiltà della tecnica che non ha più nulla da attendere dal futuro, perché ogni avvenimento viene condizionato da essa. La volontà che tutto vuole assicurare e garantire, affinché nulla più possa accadere incondizionatamente così da sorprendere, ma tutto si lasci 8 Galimberti U., La casa di psiche, FELTRINELLI, MILANO, 2008 12 ricondurre alla condizioni che l'hanno posto in essere, ha generato la filosofia, che non a caso ha preso avvio da quella domanda che chiede “il principio di tutte le cose”9, e che ha trovato la sua risposta nella scienza e nella tecnica, in cui la filosofia, per soddisfare la sua volontà di sapere, ha dovuto irrimediabilmente risolversi. In questo suo fare scienza e fare tecnica è oggi il modo di fare filosofia, di soddisfare l'esigenza che l'ha generata. In questo senso quello che viene definito il primato della soggettività, che caratterizza l'età moderna, si accompagna al massimo di oggettività degli enti che intanto possono essere posseduti, in quanto stanno di fronte ad un soggetto. Affinchè infine la disponibilità sia universale e il più possibile garantita contro ogni eventuale smarrimento, la soggettività, dovrà essere universale e il più possibile pulita dagli inconvenienti della soggettività, dovrà essere coscienza in generale, intelletto puro che lascia fuori di sé ogni sorta di condizionamento psicologico e ogni dimensione che trascenda l'orizzonte oggettivo. Si sottolinea come la tecnica ha ampliato molto la libertà del fare senza proporsi altro scopo che il proprio autopotenziamento, ha risolto l'agire dell'uomo, che è sempre orientato a uno scopo, in puro e semplice fare azioni descritte e prescritte dall'apparato, dalla cui connessione scaturisce il prodotto nel quale è custodito il senso del fare tecnico di cui però gli scopi finali sono ignorati. Il riflesso di questo scollamento del fare viene ben analizzato dalla specializzazione dell'uomo, il quale, non si trova più nella condizione dell'artigiano che rispecchia se stesso nell'opera, ma in quella del tecnico che si specchia in uno dei sistemi parziali, dalla cui connessione scaturisce il 9 Idem. 13 prodotto nel quale è custodito il senso del fare. L'azione, che aveva generato l'uomo nel suo rapporto con il mondo, diventa esecuzione di un'attività che non scaturisce più dall'uomo stesso, ma dalla razionalità dell'apparato, nel nostro caso il lavoro, rispetto a cui l'azione dell'uomo è solo un parziale riflesso delle leggi che lo presiedono. L'uomo non è più subordinato alla natura ma al potere che ha conseguito per dominarla, oggi l'uomo non può pensare di contenere la tecnica con l'etica che la tradizione gli ha insegnato, perché questa etica, in tutte le sue forme in cui si è espressa, se è capace di regolare l'agire fra gli uomini, non è in grado di esprimere le norme di un sapere e di un potere che è diventato molto più grande della capacità dell'uomo di comprenderlo. Diventa indispensabile perciò rivedere sotto questo aspetto quale deve essere il senso della filosofia nell'età della tecnica, riformare in qualche modo le forme etiche che la tradizione ci ha comunicato per adattarle. In un certo senso plasmare una nuova idea di etica applicata nel nostro caso al lavoro per creare non più in misura solo astratta ma anche tangibile un varco per permettere all'etica di riprendere il suo posto come agente che dirige il sapere tecnico. In questo modo potrebbe essere possibile rivedere scelte e decisioni di livello tecnico in modo da evitare che queste diventino incontrollabili. Nel lavoro infatti, come in qualunque altra azione umana, ogni decisione e ogni scelta effettuata con discernimento e senso etico può cambiare non solo la forma del lavoro ma in un certo modo anche il contenuto del lavoro stesso. Cambiare in questo senso non deve essere inteso come manipolare o modificare il tipo di lavoro di ognuno ma eticamente ripensare al lavoro ed alle sue conseguenze sull'essere umano 14 soprattutto in un'epoca come la nostra dove le incertezze non consentono di svolgere una mansione senza tensioni, creando di conseguenza problematiche legate anche alla salute dei soggetti. Cambiare il contenuto del lavoro significa in ultima analisi ripensare il fare come arricchente del soggetto lavoratore per consentirgli di operare, cosciente dell'importanza che riveste, qualunque mansione tecnica e non, egli si trovi compiere, in quanto frutto di una scelta eticamente valida alla sua origine. 15