© BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org «Processo a Gesù»: un’analisi letteraria e teologica del testo teatrale di Diego Fabbri di Maria Teresa Capranica* INDICE I. PRESENTAZIONE DELL’OPERA 1. Diego Fabbri: breve profilo dell’autore 2. Quando nasce il testo 3. Trama: cosa dice il testo e qual è la sua logica 4. Le tematiche 5. I personaggi 6. Eco dell’epoca e recensioni II. VALUTAZIONE DELL’OPERA 1. Valutazione teologica: il processo inserito nella passione evangelica 2. Considerazioni personali 3. Problemi aperti III. PROPOSTA DI PERCORSO DIDATTICO 1. Laboratorio teatrale 2. Considerazioni personali 3. Problemi aperti BIBLIOGRAFIA * il testo riproduce la tesina di Baccalaureato presentata nel settembre 2012 presso la Facoltà Teologia dell’Italia Settentrionale (FTIS) di Milano. 1 -1- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org I. PRESENTAZIONE DELL’OPERA 1. Diego Fabbri: breve profilo dell’autore Diego Fabbri, nato il 2 luglio del 1911 e formatosi in ambito teatrale da giovanissimo nelle filodrammatiche cattoliche della nativa Forlì, considera l’arte per sua natura sociale e l’artista posto al servizio dell’uomo: moltissime sono perciò le sue opere teatrali segnate da una forte tensione morale e religiosa e capaci di vivaci critiche. Il suo maggiore successo è il dramma Processo a Gesù, che egli compone e mette in scena per la prima volta nel 1955 al Piccolo Teatro di Milano, per la regia di Orazio Costa, ottenendo da subito un successo tale da essere successivamente rappresentato nei teatri di tutto il mondo fino a oggi, a oltre mezzo secolo dal suo debutto. A ragione è considerato uno dei suoi capolavori, per il suo intrinseco valore di monito alla ricerca della “verità” e di richiamo ad un’indagine profonda, che superi quella “verità” facile, inseguita da individui assetati di una giustizia sommaria che antepone gli egoismi personali e i vantaggi di qualsiasi natura (privilegio, regalia) alla solidarietà. Quest’opera teatrale parla a quanti compiono un cammino di sofferenza fino al limite della sopravvivenza, non ascoltati, non visibili. A una società che negli anni ’50, come oggi, riconosceva solo i vincenti e il successo, Diego Fabbri pone qui domande ineludibili: “Chi può chiamarsi fuori? Chi può chiudere gli occhi di fronte all’assoluta mancanza di valori dell’epoca presente?” Interrogativi senza risposta, apparentemente, che inducono però a un cammino di riflessione e all’apertura a un dialogo incessante con gli altri e con Dio. Diego Fabbri, con i suoi lavori a sfondo e di ispirazione cristiana, interpreta appieno le tensioni e le aspirazioni degli uomini. Negli anni ‘40 e ‘50 la sua intensa attività teatrale trova nel testo Processo a Gesù il suo momento più fortunato, in cui egli si impone come lo scrittore di un cattolicesimo inquieto e conflittuale, ma anche come uno degli interpreti più accreditati della crisi dell’uomo contemporaneo, sulla base di quanto ha appreso dalla “lezione” dei padri della drammaturgia novecentesca, su tutti Pirandello e il suo “teatro nel teatro”: in quei decenni è, insieme a Ugo Betti, il più rappresentato autore di spettacoli moralmente e civilmente impegnati in cui i cosiddetti processi morali (ritrovabili nelle pièces Inquisizione del 1950, Rancore sempre del 1950, Processo di famiglia del 1953, Processo a Gesù appunto del 1955) trovano una relativa soluzione religiosa e sociale. Quarantaquattro i suoi testi drammaturgici, che volevano dare al pubblico una “verità” autentica, che contasse davvero per gli uomini sofferenti di oggi e di domani, come lui stesso dichiarava. La drammaturgia di Diego Fabbri indica una straordinaria attualità della sua capacità di “leggere”, con occhi cattolici, il mondo contemporaneo e mostra una plausibile via percorribile anche da altri suoi epigoni. Dopo aver ricoperto la carica di presidente dell’ETI (dal 1968 ha tale nomina presso l’Ente Teatrale Italiano), aver diretto numerose riviste teatrali sulla scia delle sue esperienze giornalistiche su vari quotidiani ed aver sceneggiato svariati film di maestri del cinema, da Antonioni a Buñuel, nonché film per la RAI, muore il 14 agosto 1980 a Riccione, avendo collaborato intensamente ed in prima persona con continuità al mondo teatrale, cinematografico e giornalistico del suo tempo. 2. Quando nasce il testo Data e luogo della prima messa in scena: 2 marzo 1955 al Piccolo Teatro di Milano. 2 -2- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org Composizione del testo drammaturgico: scritto da Diego Fabbri, dopo una lunga gestazione, dal 1952 al 1954. La vicenda del processo a Gesù di Nazareth rappresenta l’avvenimento che ha inciso profondamente sulla storia del mondo occidentale e che è stato oggetto di interpretazioni, strumentalizzazioni o mistificazioni. Ciò che avvenne tra la Galilea e la Giudea, più di duemila anni fa, ha dato vita a una fede divenuta la religione di una larga parte dell’umanità e ha influenzato in maniera determinante la cultura occidentale, nel senso più ampio del termine, tanto che ancora oggi comunque non possiamo non dirci cristiani. Leggiamo le parole dello stesso Fabbri a tale proposito dal programma di sala per la Prima di Processo a Gesù al Piccolo Teatro della Città di Milano il 2 marzo 1955: A offrirmi un’occasione di struttura più concretamente teatrale fu una nota a piè di pagina che lessi nel 1947 in una Vita di Cristo. Vi si diceva che dei giuristi anglosassoni s’erano fin dal 1929 posti il problema […] del processo a Gesù e s’erano più tardi nel 1933 recati a Gerusalemme per ricelebrarlo pubblicamente, quasi dovessero sciogliere al cospetto e con la partecipazione del popolo ebreo un loro nodo di coscienza; e che all’ultimo la sentenza era stata d’assoluzione. Seppi poi che esistevano addirittura gli atti di questo processo e che ammontavano a un migliaio di pagine dattiloscritte; ma non ebbi modo di leggerle e del resto non mi interessavano granché. Quel che subito mi accese grandemente fu l’idea di quel “processo” fatto da uomini d’oggi a Gesù di Nazareth. Senza saperlo quegli uomini volevano fare il processo non tanto a Cristo, ma a se stessi, alla loro tenace e spesso oscura e irragionevole paura di abbandonarsi alla speranza.1 Questo è il punto di vista da cui Diego Fabbri prende ispirazione per il dramma Processo a Gesù, considerato fino ai nostri giorni uno dei suoi capolavori proprio in virtù della struttura processuale attribuita al dramma e andato in scena per la prima volta nel 1955 a Milano, ma periodicamente riproposto come repertorio o rivisitazione, in festival e stagioni teatrali, da svariate compagnie (nell’ultimo biennio dal Teatro della Pergola di Firenze, dal Teatro Valle di Roma, da Argot Produzioni e dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato, per citarne alcuni). Allo scrittore e al commediografo non interessava tanto ricostruire drammaturgicamente il processo a Gesù, per riconsiderarlo in quella prospettiva, anche se, lo ripetiamo, il fascino intramontabile del testo sta proprio nella articolazione del procedimento giudiziario quale appare alla ribalta: la vitalità del testo sta nel “movimento interiore” che il dramma possiede in sé, riuscendo a trasmetterlo, a mostrarlo, a enunciarlo, a recitarlo, a proclamarlo, più che nell’ingegnosa inchiesta divisa in due parti (che hanno diviso anche i critici su quale tra il Primo e il Secondo tempo – termini presi a prestito dal linguaggio cinematografico, a significare l’esperienza anche in tale campo del versatile autore Fabbri – fosse il più essenziale, se il primo con la ricostruzione degli avvenimenti dell’epoca di Gesù o il secondo, che arriva a coinvolgere il pubblico sull’autenticità ed attualità del messaggio cristiano). Partendo da tale intuizione sulla centralità del “movimento interiore”, l’opera di Fabbri diventa un’indagine serrata ed emozionante su una società che aveva perso la speranza della salvezza, la fiducia nei propri valori, soprattutto la fiducia nella condivisione e nell’amore, rifugiandosi nell’individualismo e nell’edonismo. La visione cattolica del drammaturgo non ha nulla di consolatorio e pietistico, ma nasce e si nutre della drammaticità di Dostoevskij, di Pascal, di Manzoni e dei grandi scrittori francesi come Bernanos, Mauriac, Péguy e Claudel; Fabbri arriva a realizzare, in quest’opera come in molte altre, il documento di un’epoca confusa e inquieta, dove l’uomo tanto più sente il bisogno di Dio quanto più se ne 1 Diego Fabbri, Programma di sala, Processo a Gesù”, Piccolo Teatro della Città di Milano, 2 marzo 1955. 3 -3- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org allontana, cercandolo, per paradosso, per tutte le strade possibili, dagli amori disordinati alle esperienze angoscianti, fino alle improvvise folgorazioni del soprannaturale. Ho provato a rileggere il testo, ritenendo che possa fornire spunti di riflessione e di confronto proprio al lettore e allo spettatore di oggi, ascoltando le critiche proposte fin negli esordi da Salvatore Quasimodo che, nel recensire il debutto dell’opera, si chiedeva: «Fallimento del cristianesimo no, ma decadenza? Questo il punto severo da cui potrebbe cominciare un dramma moderno: un processo al cristianesimo nelle sue determinazioni umane»2. La scena presenta un gruppo di ebrei che hanno costituito una sorta di piccola compagnia di giro e viaggiano per le città, rappresentando nei teatri il “processo” a Gesù di Nazareth, il personaggio storico, rimettendone le sentenze. La scena è trasformata in un’aula di tribunale, gli attori estraggono a sorte i propri ruoli e, se ne avanza uno, come nell’occasione descritta dall’autore, viene invitato uno spettatore a interpretarlo. Si attua così un passaggio dal “teatro corale” al “teatro nel teatro” fino al coinvolgimento del pubblico. L’imputato non fa parte dei personaggi presenti, ma viene costantemente evocato dalla madre e anche da gente del pubblico come una signora irrequieta – la Bionda –, un intellettuale, un sacerdote, un infelice, un provinciale, la Donnetta delle pulizie, che sono «come i soggetti delle Beatitudini, coloro che meglio incarnano la struttura dell’umano»3 e che, perciò, per il loro rapporto personale con Gesù, possono diventare figurae Christi. Il processo è soprattutto giuridico, non religioso, anche se Elia ha dei dubbi religiosi di cui mette a conoscenza il pubblico. Le domande principali cui nessuno nella troupe teatrale è riuscito, fino al momento della messa in scena del processo, a dare una risposta definitiva sono sempre le stesse: Fu un processo giusto? Chi lo volle e lo celebrò? Gli Ebrei, i Romani o entrambi? Chi fu il responsabile della vicenda giudiziaria che portò alla condanna a morte di Gesù? Nessuno nella compagnia teatrale ha risposte univoche, la loro ricerca dura da ben venti anni e vengono riproposte le domande, di cui sopra, proprio la sera di messa in scena partendo, però, dal desiderio urgente di una loro attrice, Sara, nell’arrivare finalmente ad una soluzione che sia davvero soddisfacente per le loro vite. L’amara conclusione a cui si giunge è «tutti lo misero a morte con nascosto rammarico, ma con un sospiro di sollievo».4 Illuminanti, per il seguito del dramma, le parole che Elia dice a Sara: Noi non fingiamo niente, noi non ripetiamo niente, come tu credi; noi, al contrario, facciamo ogni giorno del nuovo, perché se quello che succede quassù, tra noi, è quasi sempre lo stesso dibattito, quel che invece cambia sempre, ogni sera, è ciò che accade attorno a noi, tra la gente che ci ascolta […]. Infatti, dopo il Primo Tempo, in cui si ricostruisce la vicenda dell’epoca di Gesù e l’Intermezzo, in cui si rivela il profondo dramma che lega Sara e Davide, il secondo tempo è un dialogo aperto e coinvolgente con il «pubblico»: intervengono “spontaneamente” un sacerdote, un intellettuale, un infelice, un provinciale, una «bionda», una povera donnetta, ognuno dichiarando i motivi della propria adesione a Gesù o del proprio profondo distacco. Verso la conclusione il tono si fa travolgente, anche se forse un poco scontato, perché il vero 2 Salvatore Quasimodo, Scritti sul teatro, Milano, Mondadori, 1961. A. Cascetta, La passione dell'uomo. Voci dal teatro europeo del Novecento, Roma, Studium, 2006. 4 Diego Fabbri, Processo a Gesù, Firenze, Vallecchi, 1955 3 4 -4- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org pregio dell’opera sta comunque nel suo svolgimento dialettico e serrato, con Elia che a gran voce afferma: Chi è - chi è per voi, Gesù di Nazareth? […] Perché non lo gridate forte, dovunque e sempre, quel che avete detto stasera? Tutti dovete gridarlo! Tutti! Perché altrimenti si ripete anche per voi, quello che accadde per noi, allora. Di rinnegare… di condannare… di crocifiggere Gesù. Io debbo ormai proclamare… alto… e al cospetto di tutti… che non so ancora se Gesù di Nazareth sia stato quel Messia che noi aspettavamo… non lo so… ma è certo che Lui, Lui solo, alimenta e sostiene da quel giorno tutte le speranze del mondo! E io lo proclamo innocente… e martire… e guida […] La conclusione vera e propria sarà paradossale in quanto, in luogo di risposte, si proporranno ulteriori interrogativi. Sono proprio tali quesiti degli attori del dramma, degli spettatori di quando fu messo in scena, e di noi oggi, lettori - spettatori del dramma teatrale, che rivelano, forse, un senso alla nostra vita e, se non ci fossero oppure si arrivasse ad una risposta giudiziaria definitiva, come l’accusa anziché l’assoluzione, toglierebbero forza alla provocazione per eccellenza: portare sulla scena l’Incarnazione del Figlio di Dio. 3. Trama: cosa dice il testo e qual è la sua logica Una compagnia teatrale di ebrei gira da vent’anni l’Europa, inscenando ogni sera lo stesso dramma: il processo al personaggio storico Gesù di Nazareth, sulla cui innocenza questi ebrei inquieti si interrogano. Si tratta di un processo di natura squisitamente giuridica, anche se nel farlo, Elia, il capo della compagnia, pone al pubblico lo stesso dubbio tormentoso che assilla loro. Accanto ad Elia, ci sono Rebecca, sua moglie, Sara la loro figlia, vedova di Daniele, il giudice mancante, vittima dei nazisti, e Davide, che ebbe, ai tempi in cui era ancora vivo Daniele, una storia d’amore, adultera, con Sara e che denunciò ai nazisti il marito della donna da lui amata, pensando così di liberarsi di colui che rappresentava, a suo dire, l’ostacolo al compimento del proprio amore. Ai membri di questa famiglia si aggiungono gli attoripersonaggi: la troupe che veste i panni dei protagonisti, come Caifa o Pilato, che allora presero parte al processo. Elia, Rebecca, Sara e Davide interpretano la parte dei giudici, dividendosi i ruoli, sempre in modo diverso attraverso l’espediente del sorteggio, a garantire ogni sera un nuovo andamento processuale e affidando il ruolo di Daniele, ormai morto, a un giudice improvvisato che sale dalla platea. La sera in cui il processo va in scena, Sara è stanca della solita procedura ormai sterile, che ripete parti prestabilite dividendosi, di sera in sera, i ruoli di chi si mette all’accusa e chi alla difesa, con un dibattito serrato e polemico (tanto da far supporre qualche personale implicazione dei personaggi, tutti ebrei e quindi tutti implicati nell’antico processo al Cristo) e perciò chiede che si sentano altri testimoni, oltre ai soliti membri del Sinedrio. Vengono così interrogati, oltre a Caifa e Pilato, anche coloro che conobbero Gesù da vicino, personaggi della troupe, ma che interpretano ruoli improvvisati: gli apostoli Pietro, Giovanni, Tommaso e Giuda, la madre Maria, Giuseppe e infine la Maddalena. Da queste deposizioni il processo prende una piega imprevista e si umanizza. A tal punto che nel Secondo Tempo il dibattito si sposta in platea animando il pubblico, dopo un intermezzo in cui Sara e Daniele, legati da una passata relazione adultera, che ora li contrappone anziché unirli, entrano apertamente in conflitto sugli esiti dell’indagine e Sara sembra, infatti, persuadersi dell’innocenza di Cristo. 5 -5- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org Dalla platea salgono sul palcoscenico nuovi attori-spettatori. Un intellettuale che ha studiato in seminario, un prete, un giovane infelice che ha abbandonato la casa paterna e si è perso, una prostituta detta“la Bionda”, infine una donnetta delle pulizie. Ognuno ha visto sé stesso nell’uno o nell’altro personaggio storico del Primo Tempo. La coralità del dramma si fa completa. Il processo, nato come rivisitazione di un pezzo di storia sacra, attraverso la sua rievocazione, a questo punto si trasforma in una ricerca di verità, che investe la storia contemporanea, messa dichiaratamente sotto accusa senza troppi giri di parole. Gli interrogativi di Elia non nascono, infatti, solo dal timore di aver commesso una colpa imperdonabile: sarebbe l’abituale e radicata convinzione, degli ebrei di ogni tempo, che Gesù non possa essere il Messia a lungo atteso, sia per l’esito della sua vita sia per la mancata attuazione nel mondo di oggi del messaggio di Cristo, che smentirebbe ogni giorno la sua natura divina. L’idea del processo è quindi doppia: processo a Cristo e processo alla cristianità, che chiamata in causa ritorna, però, a gridare alla fine del processo il suo bisogno di Cristo, perché, come conclude la donnetta delle pulizie, se condannassero nuovamente Gesù, a lei, a loro, a tutti gli uomini, non resterebbe veramente più nulla. 4. Le tematiche Nel testo si possono scorgere molteplici direttrici percorribili anche oggi, che possono fornire diverse linee guida di interpretazione. 1) Un processo nuovamente a Cristo. 2) Un processo al cristianesimo. 3) Un processo a se stessi come credenti e alla propria fede. 4) Una presentazione del tentativo di vincere la solitudine dell’uomo contemporaneo attraverso il “vivere insieme” della comunità cristiana. 5) Una coralità salvifica: il senso della comunità tipico del cristianesimo che, attraverso le molteplici tipologie di esseri umani, indicate dall’autore, mostra come ci si possa salvare solo stando insieme. 6) Un costante appello alla libertà e alla scelta individuale. 7) Una libertà valida per tutti: la libertà non secondo il modello settecentesco proposto dall’illuminismo né ottocentesco dell’individualismo romantico né novecentesco pirandelliano“ a soggetto”, ma una libertà in cui non si può più tornare a come si era prima dell’incontro con Cristo, il quale fa sperimentare il contagio della Sua libertà. 8) Una sottolineatura che ogni diminuzione dell’uomo, così com’è nel suo essere, anche peccaminoso, è una diminuzione di Dio, che si è fatto carne. 9) Una presentazione di Cristo come il seduttore, capace di attrarre a sé e di trascinare, perciò vincitore della paura di amare caratteristica dell’uomo e dell’attuale società. 10) Un legame tra verità e paura: la paura di Cristo è la paura della Verità e dell’Amore. 11) Una consapevolezza dell’assoluzione “indegna” che riceviamo da Colui che, secondo la logica e il senso di giustizia umano, dovrebbe condannarci in quanto peccatori. 5. I personaggi I personaggi si possono così individuare: A. la compagnia teatrale degli ebrei con le loro personali storie d’amore e di tradimenti: il vecchio Elia, uomo saggio e colto e dotato di una fede certa; Rebecca, sua moglie; la 6 -6- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org loro figlia Sara, vedova di Daniele, ucciso dai nazisti probabilmente perché tradito da un delatore interno alla compagnia; il giovane Davide, che soltanto nell’intermezzo si rivela essere stato amante di Sara, che ora però lo respinge, caricandosi di sensi di colpa imperdonabili, ma attribuendogli l’accusa di delatore. B. Gli avvocati difensori dei personaggi coinvolti nelle vicende del Gesù storico, che vengono individuati tra gli attori e gli spettatori, uno per ogni personaggio chiamato in causa. C. I personaggi: il governatore romano Pilato, il capo dei sacerdoti farisei Caifa, la madre di Gesù Maria di Nazareth, la peccatrice perdonata convertitasi e divenuta la discepola amata Maddalena, l’amico Lazzaro, gli apostoli Giovanni, Pietro, Tommaso e colui che l’ha tradito Giuda. D. Gli spettatori che assistono allo spettacolo della sera in cui Sara chiede di sentire altri testimoni, cambiando l’usuale modalità di procedura, che accettano di intervenire nel dibattito, di esporsi e di condividere pubblicamente le loro riflessioni, nate dalla domanda “Chi è per te Gesù?”: una signora irrequieta detta la Bionda, un sacerdote, un intellettuale, un contraddittore bonario, un infelice, un provinciale, una donnetta delle pulizie. Per tutti costoro Gesù è lo snodo con cui confrontarsi o per allontanarsene o per convergervi, come risposta a tutti i loro interrogativi, dubbi, perplessità e paure. Sembra di assistere alle risposte che ognuno potrebbe formulare di fronte all’invito di andare e vedere con i propri occhi, da parte dell’Angelo che annuncia la Resurrezione, narrato nel vangelo di Marco 16,67 quando egli si rivolge alle donne giunte per ungere ed imbalsamare il corpo di Gesù, dicendo loro di non aver timore perché Gesù Nazareno, il crocifisso, che loro cercano è risorto e non è qui. Basta che osservino il luogo dove l’avevano deposto, che è rimasto vuoto. Ora non rimane altro da fare che andare e riferire ai suoi discepoli che Lui precede tutti in Galilea, dove potranno vederlo, come aveva loro promesso. Anche con questo nuovo processo a Gesù, o per meglio dire in questa rievocazione dello storico processo, tutte le persone coinvolte nella rappresentazione è come se ascoltassero l’annuncio di una richiesta di conversione, un appello a vincere paure e timori inerenti la propria fede, cominciando, nel loro cuore, a rileggere il proprio passato come una realtà di apatia e indifferenza, avvertendo, soltanto di fronte alla ricostruzione dei fatti sulla morte di Gesù, tutta l’aridità interiore che fino a quel momento ha caratterizzato le relazioni personali e le scelte esistenziali di ognuno di loro. Grazie al fatto che Gesù, l’Assente – Presente, venga evocato proprio sulla scena sia dalle parole degli attori, che si sono impegnati nel passare al vaglio della ragione la domanda di sempre “Chi è Gesù?”, sia dal dibattito che si accende tra gli spettatori intorno alle diverse convinzioni su chi sia per loro Gesù, tutti i presenti capiscono quanto la vita possa in verità essere miracolosa, colma di gioia e di amore, pur nel dolore e nella tragedia personale. Il lettore del dramma teatrale è come se assistesse all’attualizzazione sempre di un testo evangelico, quello di Matteo 16,13-20, dove Gesù domanda ai suoi discepoli dapprima chi la gente dice sia il Figlio dell’uomo e, immediatamente dopo, chiede loro chi dicano che Egli sia. Questa è la domanda centrale per la fede di ciascuno, perché dalla risposta al quesito dipende la relazione dell’uomo con Lui e il Padre. Nel testo teatrale di Diego Fabbri si va oltre: la domanda “Chi è Gesù?” diventa senza alcuna esitazione la domanda di senso per il modo di vivere del soggetto che, di fronte a questo interrogativo, viene smascherato e denudato, mostrando la verità di se stesso, vale a dire 7 -7- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org quella di un povero peccatore, bisognoso dell’amore di Gesù, per riscattarsi dalle proprie colpe, trasformando la mera condizione comune di uomo errante bisognoso di perdono in uomo amato dal Padre per merito dell’incontro con il Figlio e, proprio per questo, capace di amare i propri simili chiedendo loro clemenza e dimenticando, a sua volta, le offese ricevute, in quanto ha sperimentato su di sé il dono della Grazia ricevuta. 6. Eco dell’epoca e recensioni In Italia, date di varie messe in scena, dalla Prima: 2 marzo 1955 a Milano: Compagnia Stabile del “Piccolo Teatro della città di Milano” diretto da Paolo Grassi, regia di Orazio Costa 13 gennaio 1956: denuncia al Sant’Uffizio da Alleanza Cattolica Tradizionalista con un esame critico pagina per pagina del lavoro teatrale concludendo con l’accusa per “offesa alla religione e istigazione all’odio sociale” 1967: regia Gianfranco Bettetini, al Teatro Stabile di Trieste per la Compagnia Stabile del Teatro San Babila di Milano 1975: Compagnia diretta da Filippo Torriero 1975: ripreso, sempre dal regista Orazio Costa, al Teatro Biondo di Palermo 1990: Festival alla Versiliana, regia Giancarlo Sepe (medesimo successo) 26 e 27 maggio 2005: nel cinquantesimo di Processo a Gesù, a Forlì tre sessioni di studio dal titolo Umanità e cristologia nella scena di Diego Fabbri. All’estero, date di varie messe in scena immediatamente dopo la prima: 13 novembre del 1955, tradotto, a Kassel in Germania al “Kasseler Stadstheater”, a cui seguiranno i maggiori teatri tedeschi – mentre ancora si stava replicando a Milano – mentre rilevante resta la rappresentazione sul sagrato della Cattedrale di Colonia nel settembre 1956. 1955 Het proces om Jezus all’Aia al “De Haagse Comedia” e a seguire nelle principali città olandesi 13 gennaio 1956 a Vienna al “Theater in der Josefstadt” 23 gennaio 1956 Proceso de Jesu in Spagna a Madrid al “Teatro Espanol” 1956 in Argentina a Buenos Aires al “Teatro Versailles” 1957 in Uruguay a Montevideo alla “Sala Verdi”, poi in Brasile e in Ecuador 31 marzo 1957 a Londra tradotto col titolo Man in Trial al “Lyric Theatre” 26 febbraio 1958 Procès à Jesus in Francia al “Theatre Jacques Hebertor” e memorabile la rappresentazione del 16 dicembre dello stesso anno al “ Vel d’Hiv” davanti a 30.000 studenti 10 febbraio 1960 negli Stati Uniti con il titolo rivisto e tradotto in Between two thieves (In mezzo a due ladroni) a New York al “York Playhouse” 10 febbraio 1961 in Svezia al “Malmö Stadsteater” A cinquant’anni di distanza dalla prima rappresentazione di Processo a Gesù, dell’autore Diego Fabbri con la regia di Orazio Costa al Piccolo Teatro della città di Milano, il giornalista A. Bisicchia scrive sul quotidiano La Sicilia: 8 -8- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org In una fredda sera primaverile del 1955, il sacro irrompe sul palcoscenico laico del Piccolo Teatro, aprendo un ampio dibattito che non si verificava dal debutto dei “Sei personaggi in cerca d’autore”. Le cronache del tempo registrarono il successo dell’operazione, ma non nascosero certe divisioni tra credenti e non credenti, e qualche perplessità negli stessi organi ecclesiastici (il copione fu passato al vaglio della censura del Tribunale della Santa Sede), oltre che in quelli della politica [...] Quello che fu considerato il capolavoro di Fabbri, la cui fama varcò subito la nostra penisola, ebbe un contrastato battesimo in scena, in un Teatro Stabile, con un regista di prestigio, ma con un successo pari ad un avvenimento [...] La critica non capì se si trattasse di commedia, di disputa religiosa, di dibattito morale, di Sacra rappresentazione, dato l’argomento ed i problemi ad esso inerenti […] e data anche la conclusione, col dibattito che dal palcoscenico di dilatava verso la platea, coinvolgendo gli spettatori, come in un vero e proprio dramma medioevale, dove, però, tutto appariva semplice, chiaro, diretto, mentre il dramma di Fabbri non nascondeva certe perplessità, oltre che difficoltà di comunicazione, per i molti dubbi, per l’intricarsi delle domande, per la macchinosità delle risposte. Insomma, il testo aveva bisogno di una regia chiarificatrice, e tale fu quella di Orazio Costa, una regia attenta ad eliminare i grovigli intellettualistici e a dare dialettica […] alle varie tesi contenute nel testo […]. Il dramma di Fabbri tendeva ad una conciliazione, col suo mistico abbandono e con la consapevolezza che Cristo è soltanto amore. La serata ebbe un esito felice, con tutti gli attori più volte chiamati in proscenio […]. 5 Eligio Possenti sul Corriere della Sera, il giorno dopo il debutto, osserva: Sacra rappresentazione? Affatto. Non se ne vedono i caratteri. Piuttosto sintesi drammatica condotta con anima di credente e spirito di poeta, nella quale il passato e il presente si fondono in una continuità di indagini, di sofferenze e di consolazioni.6 In alcuni appunti di regia di Orazio Costa, scritti in occasione del debutto milanese, inseriti nel programma di sala per la Prima di Processo a Gesù al Piccolo, si legge: Nella realizzazione al Processo di Gesù, spettacolo e testo saranno alla pirandelliana: una specie di “Personaggi in cerca di Gesù”. Mi appassiona da tempo il destino religioso dell’opera di Pirandello, nonostante le apparenze filosofiche in contrario. Il cristianesimo, si direbbe, si manifesta in Pirandello attraverso il lato formale più che in quello concettuale del personaggio. 7 Fabbri fu più volte invitato alle prove e certe sere gli capitava di essere estenuato ed angosciato per la prospettiva di un risultato incerto e, forse, non comprensibile al pubblico di allora. Racconta come, in quei casi, intervenisse il direttore del Piccolo, Paolo Grassi, portandolo via a mangiare perché, come affermava, bisognava nutrire i poeti. Fabbri aveva stima di Grassi, come testimonia scrivendo un lungo articolo, di cui il già citato recensore e critico giornalista Bisicchia, riporta solo la parte dedicata al Processo e alla coraggiosa intuizione di Grassi: E poi come potrei non parlare del nostro “Processo a Gesù”? Si dice spesso, e credo un po’ ipocritamente, che non si dovrebbero mai fare “questioni personali”. Ora io sono persuaso che solo di “questioni personali”, quelle cioè che ci hanno coinvolto personalmente, noi possiamo parlare con pienezza e profondità di conoscenza. E dunque parliamo di “Processo a Gesù”, che mi venne richiesto alla fine dell’estate del 1954 e fu rappresentato ai primi di marzo del ’55. Questo episodio di collaborazione mi consente di lumeggiare la figura di Paolo come quella di un personaggio singolarissimo: uomo di una franca fede ideologica e politica, militante da anni nelle file socialiste, ma anche uomo di alto livello culturale che si ri5 A. Bisicchia, Sulla croce in cerca d’autore - Cinquant’anni dalla prima milanese di “Processo a Gesù” di Diego Fabbri con la regia di Orazio Costa, La Sicilia, 10 maggio 2005 6 Eligio Possenti, Corriere della Sera, 3 marzo 1955 7 Orazio Costa, Programma di sala, “Processo a Gesù”, Piccolo Teatro della Città di Milano, 2 marzo 1955 9 -9- © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org chiama essenzialmente alla libertà, dunque in qualche modo imprevedibile. Il modo con cui “Processo a Gesù” fu scelto, e poi accettato e realizzato, mi dà la certezza di questa libertà e di un insolito coraggio e indipendenza di giudizio. 8 Diego Fabbri valuta positivamente il fatto che Paolo Grassi, il direttore del Piccolo, dichiaratamente vicino al partito socialista, scelse il testo cristianamente impegnato del suo Processo in chiave cristiana “impegnato” non voleva dire “militante politicamente vicino ai democristiani”, bensì coraggiosamente sbilanciato verso una precisa idea della fede cristiana come fede di amore verso gli ultimi, gli emarginati della società ed infatti conclude il suo intervento scrivendo: «non v’è dubbio che [Grassi] diede una chiara prova di apertura e di coraggio che [nel teatro] si vedranno, poi, raramente o addirittura mai più».9 Questi ricordi rivelano riconoscenza e rispettabilità di un modo di far teatro, ma sono anche testimonianza della genesi di un’opera importante per la storia del teatro italiano, a cui anche il regista Costa si dedicò con severità e lucidità di intellettuale, regista e credente. Quest’ultima caratteristica fu poi travisata, a partire dagli anni Settanta, come espressione di una concezione reazionaria da cui si difese rispondendo: La mia posizione esige di essere considerato quale affermazione del rispetto alla personalità dell’interprete e ancor più della responsabilità individuale all’interno di ogni collettività. Tuttavia è chiaro che ogni estetica ha la sua dimensione ideologica.10 Nei decenni successivi in cui il testo fu ripreso, Processo a Gesù si mostrò come dramma che riusciva in modo criticamente costruttivo anche a “dividere”, in quanto sapeva suscitare riflessioni, inculcare dubbi e chiedere risposte a domande impegnative. L’opera perciò sembra “aver aperto una breccia” nel cuore dello spettatore; attraverso di essa le domande sono riproponibili in ognuno, soprattutto quando la forza del messaggio cristiano viene contrapposta alla sua possibile agonia o quando si cerca di seguire l’indicazione del personaggio del sacerdote che, di fronte ad ogni decisione da prendere o ad ogni atto che si presenta, sostiene che dovremmo sempre chiederci: “Come si comporterebbe Gesù?”. 8 Diego Fabbri in A. Bisicchia, Sulla croce in cerca d’autore - Cinquant’anni dalla prima milanese di “Processo a Gesù” di Diego Fabbri con la regia di Orazio Costa, “La Sicilia”, 10 maggio 2005 9 Ibidem 10 Orazio Costa in ibidem 10 - 10 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org II. VALUTAZIONE DELL’OPERA 1. Valutazione teologica: il processo inserito nella passione evangelica Ho letto e analizzato i capitoli dei quattro Vangeli dedicati alla Passione, notando che, al contrario dei racconti della vita pubblica di Gesù, siamo in presenza di un racconto continuo, che costituisce una lunga unità dall’inizio alla fine. L’ordine generale della narrazione si inscrive in uno schema solido e comune a tutti gli evangelisti. Questo schema è articolato attorno a tre svolte importanti: arresto, processo e crocifissione. Quello della Pasqua è il momento più forte del racconto della salvezza. Qui la concentrazione del senso è la più grande che si possa immaginare. Qui più che altrove l’annuncio della salvezza, che comporta una “dottrina” della salvezza, si presenta sotto forma narrativa. Se l’annuncio (Kérygma) ha preceduto il racconto, richiede a sua volta il racconto, gli fa spazio, lo motiva e lo pervade dall’inizio alla fine. Ciò che si adempie per noi si rivela davanti a noi in un racconto, in cui ci è chiesto di ascoltare, di guardare, di comprendere. Il racconto si fa teologia, così come la teologia successiva rimarrà sempre legata a uno o a un altro elemento del racconto. Dobbiamo quindi in qualche modo lasciarci guidare dal racconto per coglierne il senso, rispettando le sue tappe nella loro successione e nella loro solidarietà. Con Gesù dobbiamo discendere in tutto lo spessore umano e nella profondità divina del dramma, vivere con lui la sua oscurità per scoprirne progressivamente la luce. Nella sua passione più che altrove Gesù è il sacramento della salvezza: è nel “segno” costituito dal suo modo di vivere, di morire e di risuscitare che Gesù opera “effettivamente” la nostra salvezza ed esercita la “mediazione causale” di riconciliazione fra Dio e l’umanità, che è l’oggetto della sua missione. Egli adempie ciò che significa: è causa in quanto segno. La sua causalità è efficace in quanto esemplare. Essa si esercita secondo uno schema relazionale e interpersonale, secondo lo schema del ristabilimento dello scambio amoroso fra Dio e l’uomo, scambio che opera nel medesimo tempo la liberazione dal peccato e la divinizzazione. Lo specifico d’una simile causalità di tipo sacramentale consiste nell’includere nel corso del suo processo il momento della libera risposta dell’uomo, sollecitato nella sua conoscenza e nel suo amore. Per questo, stante la dura realtà del peccato, tale causalità sacramentale si incarna in un dramma che si svolge a livello di libertà: si tratta della lotta tra la libertà divina, che viene a cercare umanamente l’uomo, e la libertà umana, che si dibatte prima di convertirsi e di arrendersi. La tematica caratteristica è quella del “giusto perseguitato”: Gesù ha reso testimonianza fino alla morte, è stato martirizzato a motivo della sua professione di fede, cioè a motivo della testimonianza che la sua vita rendeva al Padre e, quindi, all’immagine autentica di Dio. La Passione di Gesù è stata un martirio. Il conflitto fra lui e i suoi avversari si è acutizzato fino ad assumere la forma dell’emulazione drammatica. La giustizia e la santità di Gesù fanno uscire allo scoperto la violenza e la menzogna, che vanno fino in fondo alla loro logica: la giustizia provoca la violenza, l’amore provoca l’odio. Le prime manifestano le seconde e si rivelano attraverso di esse. Seguendo la tematica del giusto “martire” si arriva a mettere in luce la “triangolazione” dei protagonisti nel dramma della passione, triangolazione che si riassume nei differenti significati del verbo consegnare. Da un lato vi è il mondo dei malvagi, nelle cui mani Gesù è stato consegnato, in particolare dal tradimento di Giuda; dall’altra parte vi è Gesù il giusto, il quale si consegna liberamente, e dietro di lui il silenzio del 11 - 11 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org Padre che lo consegna, poiché lo abbandona11. Soffermiamoci sulla figura di Giuda. Teologicamente è un carattere tragico e oscuro, per la Bibbia è il traditore, il mentitore. Personalità letteraria interessante, nelle opere di grandi autori, però, non è quasi mai negativo, tutti lo giustificano oppure lo considerano votato ad attuare un disegno superiore, come per esempio, nel romanzo dello scrittore greco Kazantzakis L’ultima tentazione12, dove Giuda è costretto a tradire Gesù per poter realizzare l’Amore. Diego Fabbri è interessato al fatto che Giuda venda Gesù, quasi senza sapere che sarebbe stato ucciso, peraltro non certo per soldi, ma per motivi politici. Anche il Sinedrio si giustifica nello stesso modo: inscena contro Gesù un finto processo, dove lo riconosce innocente, ma temendo per la propria religione lo manda da Pilato, che ugualmente lo trova innocente; egli, però, avendo paura di Caifa, sommo sacerdote, si rimette alla Legge ebraica. Giuda cioè avrebbe anche una sua giustificazione nel cosiddetto tradimento, visto che è il finanziatore della “causa” di Gesù e dei suoi apostoli e ha criticato i sommi sacerdoti, ma in quanto banchiere e mercante è abbandonato dagli apostoli stessi, nel momento cruciale, quando avrebbe potuto decidere di stare con gli altri. Giuda perciò appare come colui che deciderà di sacrificare la vittima innocente per il presunto bene della comunità, salvo poi essere, lui stesso, vittima del meccanismo a cui si presta, rimanendone cioè a sua volta invischiato col senso di colpa e di inadeguatezza, arrivando al suicidio. Così di legge in Matteo 27,3-10: Allora Giuda che l’aveva consegnato, vedendo che era stato condannato, preso dal rimorso, restituì i trenta denari d’argento ai pontefici ed agli anziani, dicendo: ‘Ho peccato, avendo consegnato un sangue innocente’. Ma quelli risposero: ‘Che importa a noi? pensaci tu’. E gettati i denari nel tempio, si allontanò ed andò a impiccarsi. Ma i pontefici, presi i denari, dissero: ‘Non è lecito metterli nel tesoro, perché è prezzo di sangue’. E, dopo aver tenuto consiglio, comprarono con essi il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato ‘Campo di sangue’ fino ad oggi. Allora si adempì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: ‘Presero i trenta denari d’argento, prezzo di colui che era stato venduto, messo a prezzo dai figli d’Israele, e li diedero per il campo del vasaio, come il Signore mi aveva ordinato’. Si segue qui lo svolgersi del ragionamento di René Girard13 che, nel suo saggio La violenza e il sacro, presenta il sacro come il male, come la violenza interna alla comunità, che, espulsa con la vittima, è diventata bene per la comunità; il sacro è la violenza sovrana che si allontana e “da fuori” incute venerazione. Il misconoscimento consiste nel credere fermamente che la vittima sia l’unica responsabile del male, al posto della violenza collettiva, dunque che sia giusto sacrificarla. Non solo il pensiero religioso ma tutto il pensiero, il linguaggio, il simbolo, la cultura hanno la loro origine nel meccanismo della vittima/colpevole che deve diventare espiatrice. Procedendo con tale analisi, che Girard sviluppa con il suo successivo saggio, Il capro espiatorio, appare chiaramente come la novità della Bibbia sia che la vittima è fermamente decisa a respingere le illusioni persecutorie, generando il solo testo in grado di sbarazzarci di tutte le mitologie attraverso una rappresentazione veritiera. Con il cristianesimo non 11 B. Sesboüé, Gesù Cristo l’unico mediatore. Saggio sulla redenzione e la salvezza – 2, S. Paolo, Cinisello Balsamo 1994, 173. 12 Nicolas Kazantzakis, L'ultima tentazione, 1960, Milano, Frassinelli, 1987 13 René Girard, La violence et le sacré (1972), tr. it. La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 1980 e id., Le bouc emissaire (1982), tr. it. Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 1987. 12 - 12 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org solo i meccanismi della violenza vengono rivelati, ma c’è di più: una persona resiste al loro contagio, offrendo con tutta la sua esistenza le modalità concrete per superare i problemi derivanti dalla violenza umana. Gesù è il modello alternativo che insegna la Via, la Verità e la Vita e apre la strada alla possibilità del Regno di Dio, della civiltà dell’Amore. A differenza di tutti i pensatori precedenti e di quelli che verranno, Gesù non pretende di essere unico e originale: anche Lui imita il Padre e ne rivela così il vero volto. Non si fa nessuna illusione sul successo del suo messaggio. Per tre volte prevede la sua fine. Dopo aver invitato invano gli uomini a seguirlo, si mette lui al posto della vittima innocente. Subisce la tortura e la morte, perdonando i suoi uccisori. La Bibbia sta dalla parte della vittima. Nella Passione di Cristo le quattro narrazioni evangeliche raccontano gli eventi dal punto di vista della vittima evidenziandone l’innocenza. Questo percorso è ciò che ho ritrovato proprio nel testo teatrale di Diego Fabbri. Credo però che, prima di affrontarle teologicamente, sia necessario provare a entrare nel vivo di qualcuna delle questioni giuridiche riguardanti il processo, che le narrazioni evangeliche evidenziano. Ho messo a confronto tra loro i quattro racconti evangelici per mezzo di una serie di tabelle di comparazione delle sezioni dei Vangeli. Il racconto di Giovanni, diversamente dai sinottici, mostra una conoscenza diretta delle procedure di Legge ebraiche e sembra indicare che il reato di “sedizione” fosse di espressa competenza romana: Caifa interroga Gesù praticamente da solo e, probabilmente, una volta accertato che il reato non era di competenza del Sinedrio, lo conduce direttamente da Pilato, investendolo della questione. In questo particolare contesto, narrato da Giovanni, nessuna riunione del Sinedrio appare necessaria. Si tratta di un arresto di un “criminale” condotto immediatamente alle autorità competenti, per il grave reato commesso di ribellione: il tradimento verso Cesare e Roma, la sobillazione contro le autorità costituite, la proibizione di pagare i tributi a Cesare, l’affermare di essere Re e Scelto (o Unto). Tali accuse appaiono chiaramente evidenziate in Luca e risultano giustificate e confortate, nella sostanza, dal comportamento precedente di Gesù (temporanea “occupazione” del tempio quando si scaglia contro i mercanti, proclamazione della propria Maestà, rifiuto di pagare il tributo a Roma). Secondo la mentalità di Caifa, che valuta anche il fatto che Gesù goda di un notevole seguito e che i tempi di decisione fossero stretti, una riunione del Sinedrio avrebbe presentato non pochi rischi: Nicodemo e parecchi altri giudici farisei avrebbero potuto invalidare le decisioni assunte, come si potrà notare leggendo gli Atti degli Apostoli, nel successivo processo a Pietro. PRIMO SINEDRIO - di notte, la convocazione appare ufficiosa e irregolare: nel periodo pasquale era vietato al Sinedrio di riunirsi. Sono presenti testimoni, falsi o non concordi, sia discepoli sia altri soggetti non appartenenti alla corte. Vengono portate accuse di blasfemia e viene “estorta” una sorta di confessione, con seguente unanimità dei voti. I primi interrogatori vengono posti in essere da singoli individui ed in assenza di una corte legale. L’arrestato viene indebitamente maltrattato. MARCO 14,53-65 53 Allora, essi condussero Gesù davanti al capo dei MATTEO 26,57-68 57 Quelli che avevano arrestato Gesù lo con- LUCA 22,54 54 Dopo averlo preso, lo condussero via e lo porta- 13 GIOVANNI18,12-24 12 La coorte allora, il tribuno e le guardie dei - 13 - © BIBBIA E SCUOLA sacerdoti, gli anziani e gli scribi. 54 E Pietro lo seguì da lontano fin dentro l’atrio del capo dei sacerdoti. E si mise a sedere coi servi e si scaldava al fuoco. 55 Ora i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per farlo morire, ma non la trovavano, 56 perché molti testimoniavano falsamente contro di lui, ma le loro testimonianze non erano concordi, 57 E alcuni dei presenti testimoniavano il falso contro di lui dicendo: 58 “Noi l’abbiamo sentito dire: Io distruggerò questo tempio fatto da mano d’uomo e in tre giorni ne costruirò un altro non fatto da mani d’uomo”. 59 Ma neppure così la loro testimonianza era concorde. 60 E alzatosi in mezzo, il capo dei sacerdoti interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi nulla? Di cosa costoro ti accusano?”. 61 Ma egli taceva e non rispose nulla. Di nuovo il capo dei sacerdoti lo interrogava e gli dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Benedetto?”. 62 Gesù rispose: “Io lo sono, e vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo”. 63 Allora il capo dei sacerdoti, strappandosi le vesti, dice: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? 64 Avete sentito la bestemmia? Che vi pare?”, Tutti allora sentenziarono che era reo di morte. 65 E alcuni cominciarono a sputargli addosso, gli coprivano il volto e lo schiaffeggiavano dicendogli: “Indovina”. E i servi gli davano degli schiaffi. www.bes.biblia.org dussero da Caifa, sommo sacerdote, presso il quale gli scribi e gli anziani si erano radunati. 58 Pietro lo seguiva da lontano fino al cortile del sommo sacerdote, ed entratovi, sedeva con i servi per vedere la fine. 59 Ora i pontefici e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù per farlo morire, 60 ma non ne trovavano, pur essendosi presentati molti falsi testimoni. Finalmente, accostatisi due, 61 dissero: “Costui ha detto: Io posso distruggere il tempio di Dio e riedificarlo in tre giorni”. 62 Il sommo sacerdote, alzatosi, gli disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testificano costoro contro di te?” 63 Ma Gesù taceva. Il sommo sacerdote gli disse: “ Ti scongiuro per il Dio vivente, che tu ci dica se sei il Cristo, il Figlio di Dio”. 64 Gesù gli risponde: “Tu l’hai detto. Anzi vi dico: da ora vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza, venire sulle nubi del cielo”. 65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti, dicendo: “Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora voi avete udito la sua bestemmia. 66 Che ve ne pare?”. Ora quelli, rispondendo, dissero: “ E’ reo di morte!”. 67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri poi lo percossero, 68 dicendo: “Indovina, o Cristo, chi ti ha percosso”. 14 rono nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Giudei si impadronirono di Gesù. Lo legarono 13 e lo condussero prima da Anna, che era suocero di Caifa, il quale era pontefice quell’anno. 14 Caifa era colui che aveva consigliato i Giudei: “Conviene che un uomo solo muoia per il popolo”…….. 19 Il pontefice dunque interrogò Gesù intorno ai suoi discepoli e al suo insegnamento. 20 Gesù gli rispose: “Io ho parlato apertamente al mondo, ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio dove tutti i Giudei si radunano e nulla ho detto di nascosto. 21 Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito che cosa ho detto loro, ecco, essi sanno che cosa ho detto”. 22 Ma avendo egli detto queste cose, uno dei ministri presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: “Così rispondi al pontefice?”. 23 Gesù gli rispose: “Se ho parlato male testimonia del male, ma se ho parlato bene perché mi percuoti?”. 24 Anna allora lo mandò legato dal pontefice Caifa. - 14 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org SECONDO SINEDRIO: manca il rispetto del periodo di Legge tra prima e seconda eventuale udienza. MARCO 15,1 1 E subito, la mattina, i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio, con gli anziani e gli scribi, dopo aver tenuto consiglio, legato Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato. MATTEO27,1-2 1 Fattosi poi giorno, presero consiglio tutti i pontefici e gli anziani del popolo contro Gesù per farlo morire. 2 Legatolo, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato. LUCA 22,66-71 66 Quando si fece giorno, si radunò il consiglio degli anziani del popolo, capi dei sacerdoti e scribi e lo fecero condurre davanti al loro sinedrio, 67 dicendo: “Se tu sei il Cristo, diccelo”. Ma egli disse loro: “Se ve lo dico non mi crederete, 68 se vi interrogherò non mi risponderete. 69 D’ora innanzi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio”. 70 Allora tutti dissero: “Dunque tu sei il Figlio di Dio?”. Egli rispose loro: “Sì, lo sono”. 71 Allora essi dissero: “Abbiamo ancora bisogno di testimonianze? Noi stessi l’abbiamo udito dalla sua bocca”. GIOVANNI 18,28 28 Intanto conducono Gesù da Caifa, nel pretorio. Era mattina. Ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la pasqua. PILATO ed ERODE: sequenza di accuse apparentemente incongrue sino a quella di tradimento e rivolta contro Cesare e Roma. Doppia sanzione (flagellazione e crocifissione). Usanza pasquale di rilasciare un prigioniero. MARCO 16,2-15 MATTEO 27,11-26 LUCA 23,2-25 2 Allora Pilato lo interrogò: “Tu sei il re dei Giudei?”. Ed egli, rispondendo, gli dice: “Tu lo dici”. 3 I capi dei sacerdoti intanto lo accusavano di molte cose. 4 E Pilato lo interrogava di nuovo dicendo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano”. 5 Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che, Pilato rimase meravigliato. 6 Ora per la festa soleva liberare loro un carcerato, qualunque richiedessero. 7 Vi era uno, 11 Gesù poi comparve davanti al governatore e il governatore lo interrogò dicendo: “Tu sei il re dei Giudei?” Gesù rispose: “Tu lo dici”. 12 Ma egli, mentre era accusato dai pontefici e dagli anziani, non rispose nulla. 13 Pilato allora gli dice: “Non senti quante cose attestano contro di te?” . 14 Ma non rispose neppure ad una parola, sicché il governatore se ne meravigliò assai. 15 In 1 Allora, tutta l’assemblea si alzò, lo condusse da Pilato 2 e cominciarono ad accusarlo dicendo: “Abbiamo trovato costui che sovverte la nostra gente e proibisce di pagare i tributi a Cesare, dicendo di essere il re messia”. 3 Pilato lo interrogò dicendo: “Sei tu il re dei Giudei?”. Egli rispondendo gli disse: “Tu lo dici”. 4 Pilato allora disse ai capi dei sacerdoti e alle folle: “Non trovo alcuna colpa in 15 GIOVANNI 18,2919,16 29 Pilato uscì dunque fuori da loro e disse: “Quale accusa portate voi contro quest’uomo?”. 30 Gli risposero e dissero: “Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo consegnato”. 31 Pilato allora disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”. Gli dissero i Giudei: “A noi non è lecito uccidere alcuno”. 32 Affinché fosse adempiu- - 15 - © BIBBIA E SCUOLA chiamato Barabba, incarcerato insieme a dei sediziosi che in una ricolta avevano commesso un omicidio. 8 E la folla, facendosi avanti, cominciò a chiedere quanto egli era solito concedere loro. 9 Pilato rispose loro dicendo: “Volete che vi liberi il re dei Giudei?”. 10 Capiva bene infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. 11 Ma i capi dei sacerdoti istigarono la folla, perché liberasse loro piuttosto Barabba. 12 E Pilato, rispondendo di nuovo, diceva loro: “Che farò dunque di colui che chiamate il re dei Giudei?” 13 Ma quelli urlarono di nuovo. “Crocifiggilo”. 14 E Pilato diceva loro: “Che ha fatto dunque di male?”. Ma quelli gridavano ancora più forte: “Crocifiggilo”. 15 Pilato, allora, volendo fare cosa gradita alla folla, liberò loro Barabba e consegnò Gesù, dopo averlo fatto flagellare, perché fosse crocifisso..... www.bes.biblia.org ogni festa, il governatore era solito rilasciare alla folla un prigioniero, quello che essi volevano. 16 Allora, avevano un prigioniero famoso detto Barabba. 17Pilato dunque, essendo essi radunati, disse loro: “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù detto il Cristo?”. 18 Egli infatti sapeva che glielo avevano consegnato per invidia. 19 Mentre sedeva in tribunale, la moglie gli mandò a dire: “Non vi sia nulla fra te e quel giusto perché oggi, in sogno, ho molto sofferto per causa sua”. 20 Ora, i pontefici e gli anziani persuasero le folle a chiedere Barabba e a perdere Gesù. 21 Riprendendo la parola, il governatore disse loro: “Quale dei due volete che io vi liberi?”. Allora essi dissero: “Barabba”. 22 Dice loro Pilato: “Cosa dunque farò di Gesù detto il Cristo?” Rispondono tutti: “Sia crocifisso”. 23 Ma egli replicò: “Che male dunque ha fatto?”. Essi intanto gridavano più forte dicendo: “Sia crocifisso”. 24 Allora Pilato, visto che non approdava a nulla ma anzi, ne nasceva un tumulto, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti al popolo dicendo : “Io sono innocente del sangue di questo giusto. Ve la vedrete voi”. 25 E tutto il popolo rispose: “ Il sangue suo ricada su di noi e sui nostri figli”. 26 Allora, egli lasciò loro libero Barabba e, dopo averlo fatto flagellare, consegnò loro 16 quest’uomo”. 5 Ma essi insistevano dicendo: “Solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, a cominciare dalla Galilea fin qui”.. 6 Udito ciò Pilato chiese se quell’uomo fosse galileo 7 e, saputo che era della giurisdizione di Erode, lo mandò ad Erode il quale, in quei giorni, si trovava a Gerusalemme. 8 Erode, visto Gesù, si rallegrò molto: era infatti molto tempo che desiderava vederlo per tutto quello che aveva udito dire di lui e sperava che l’avrebbe visto compiere un miracolo. 9 Gli rivolse dunque molte domande, ma egli non rispose nulla. 10 I capi dei sacerdoti e gli scribi che stavano lì, l’accusavano con violenza. 11 Ed Erode, dopo averlo disprezzato insieme ai suoi soldati e averlo vestito con una veste bianca, lo rimandò a Pilato. 12 Erode e Pilato quel giorno divennero amici, essi che prima erano nemici l’un l’altro.13 Pilato poi, convocati i capi dei sacerdoti, i magistrati e il popolo, 14 disse loro: “Mi avete condotto quest’uomo come un sobillatore del popolo, ed ecco che io, dopo averlo esaminato alla vostra presenza, non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui l’accusate, 15 ma neppure Erode: infatti l’ha rimandato a noi ed ecco, non ha fatto niente che sia degno di morte. 16 Perciò, dopo averlo flagellato, lo libererò”. 17 Ora, egli doveva in occasione della festa liberare loro un prigioniero. 18 Tutti insieme gridarono dicendo: “Togli via costui ta la parola che Gesù aveva proferito alludendo alla sorta di morte di cui doveva morire: 33 Pilato entrò dunque ancora nel pretorio, chiamò Gesù e gli disse: “Tu sei il re dei Giudei?”. 34 Rispose Gesù: “Dici questo da te stesso o altri te lo dissero di me?”. 35 Rispose Pilato: “Sono forse io giudeo? La tua gente e i pontefici ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”. 36 Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo i miei ministri avrebbero combattuto perché io non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di qui”. 37 Gli disse allora Pilato: “Dunque, sei tu re?”. Rispose Gesù: “Tu dici bene che sono re. Io per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza di verità. Chiunque è della verità ascolta la mia voce”. 38 Gli dice Pilato: “Che cosa è la verità?”. E detto questo, uscì di nuovo dai Giudei e dice loro: “Io non trovo in lui alcuna colpa. 39 Ora , è consuetudine che io vi liberi uno nella pasqua. Volete dunque che vi liberi il re dei Giudei?”. 40 Allora gridarono di nuovo dicendo: “Non costui, ma Barabba”. E Barabba era un ladro. 19, 1 Pilato dunque prese Gesù e lo fece flagellare. 2 E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e lo vestirono con un pallio di porpora. 3 Poi - 16 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org Gesù, perché fosse crocifisso.... 17 e liberaci Barabba”. 19 Costui era in carcere per una sommossa capeggiata in città e per un omicidio. 20 Di nuovo Pilato parlò loro, volendo liberare Gesù, 21 ma essi gridavano dicendo: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”. 22 Egli disse loro per la terza volta: “Quale male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che sia meritevole di morte perciò, dopo averlo flagellato, lo rimetterò in libertà”. 23 Ma quelli insistevano a gran voce perché venisse crocifisso e le loro voci ingrossavano sempre di più. 24 Allora Pilato deliberò che fosse fatto ciò che chiedevano. 25 Liberò invece colui che per sedizione e omicidio era stato gettato in carcere e che essi avevano richiesto, consegnando Gesù alla loro volontà. gli venivano davanti e dicevano : “Salve, o re dei Giudei”. e gli davano delle percosse. 4 Pilato intanto uscì ancora fuori e dice loro: “Ecco, ve lo conduco fuori affinché sappiate che non trovo in lui alcuna colpa”. 5 Gesù uscì dunque fuori, portando la corona di spine e il pallio di porpora. E dice loro: “Ecco l’uomo!”. 6 Quando dunque lo videro i pontefici e i ministri gridarono dicendo: “Crocifiggilo, crocifiggilo”. Dice loro Pilato: “ Prendetelo voi e crocifiggetelo, ché io non trovo in lui alcuna colpa”. 7 Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una legge e secondo la legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”. 8 Quando dunque Pilato udì questo discorso si impaurì di più, 9 entrò ancora nel pretorio e dice a Gesù: “Tu, di dove sei?”. Gesù però non gli diede risposta. 10 Gli dice dunque Pilato: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti?”. 11 Rispose Gesù: “Non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo ha una colpa più grande chi mi ha consegnato a te”. 12 Da allora Pilato cercava di liberarlo. I Giudei invece gridavano dicendo: “Se liberi costui non sei amico di Cesare, chiunque si fa re va contro Cesare”. 13 Uditi questi discorso, Pilato condusse fuori Gesù e si assise in tribunale nel luogo detto Litostroto, in - 17 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org ebraico Gabbata. 14 Era la vigilia della pasqua, era quasi l’ora sesta. Ed egli dice ai giudei: “Ecco il vostro re!”. 15 Quelli allora gridarono: “Via, via, crocifiggilo”. Dice loro Pilato: “Devo crocifiggere il vostro re?”. Risposero i pontefici: “Non abbiamo altro re che Cesare”. 16 Allora lo consegnò loro affinché fosse crocifisso. IL CARTIGLIO o TITULUS CRUCIS fatto collocare da Pilato sopra la croce, reciterebbe la causa reale della pena inflitta vale a dire il tradimento e la rivolta contro Roma. Infatti, INRI sono le iniziali dell’espressione latina «Jesus Nazarenus Rex Iudaeorum» che rimanda al testo greco del Vangelo di Giovanni così tradotto da san Girolamo nella Vulgata. MARCO 15,26 MATTEO 27,37 LUCA 23,38 GIOVANNI 19,19-22 26 E l’iscrizione che indicava il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei” 37 Al di sopra del suo capo posero scritto il motivo della sua condanna: “Questi è Gesù, il re dei Giudei” 38 C’era anche sopra di lui una scritta in greco, latino ed ebraico: “Questi è il re dei Giudei” 19 Pilato scrisse anche un cartello e lo pose sulla croce. E vi era scritto: “Gesù Nazareno, re dei Giudei”. 20 Questo cartello lo lessero molti dei Giudei, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città e lo scritto era in ebraico, latino e greco. 21 Dicevano dunque a Pilato i pontefici dei Giudei: “Non scrivere: Re dei Giudei, ma che egli ha detto: sono re dei Giudei”. 22 Pilato rispose: “Quel che ho scritto, ho scritto”. Il fatto reale della crocifissione resta, secondo i testi evangelici, ma stando alla tesi presentata nel saggio Il processo a Gesù14 di Samuel Brandon, un Gesù come quello descritto nei vangeli è difficile da dimostrare, tenendo anche conto delle numerose contraddizioni mostrate. L’assenza di fonti scritte prima del II secolo d.C. e la presenza di strati temporalmente diversi in Marco ed in “Q” (dei quali il più antico ed originale sembra essere costituito dalla raccolta di detti e parabole) porta lo studioso a ritenere che sia stato prodotto progressivamente una 14 Samuel Brandon, “Il processo a Gesù”, traduzione italiana di Matilde Segre, Ivrea, Edizioni di Comunità, 1974. 18 - 18 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org sorta di “racconto” (sempre con nuove aggiunte ed adattamenti) di senso compiuto, forse facente perno su uno dei numerosi messia che vennero giustiziati per sedizione (una sorta di antico “mito metropolitano”). La ricerca di Brandon rivela che nei vangeli sono confluiti due diversi filoni: l’interpretazione che i seguaci diretti di Gesù avevano di lui inserito nelle vicende della Palestina ebraica del tempo e la visione, che Paolo di Tarso elabora in parallelo e in contrasto con la prima, per organizzare il cristianesimo in una fede sovranazionale nel mondo ellenizzato dominato dalla potenza di Roma. Il capitolo finale del saggio presentato dello studioso anglicano Il processo a Gesù nella tradizione e nell’arte cristiana antica presenta l’interpretazione di molti reperti pittorici e soprattutto scultorei, fino al V secolo dopo Cristo, che rappresentano alcuni momenti del processo e che con intento apologetico si focalizzano sul momento di Gesù davanti alla volontà deresponsabilizzante di Pilato, mentre nell’epoca delle catacombe e della persecuzione contro i cristiani si privilegiano immagini di resurrezione e quelle relative alla certezza di una ricompensa dopo la morte, che era la preoccupazione quotidiana dei cristiani della prima ora. Sarà il Medioevo che non temerà di puntare l’attenzione sulla crocifissione e, in rappresentazioni teatrali, sul lungo processo che ebbe assicurato l’interesse dei credenti dalla prosa vivace dei vangeli, divenuta familiare a tutti attraverso la sua lettura nelle cerimonie liturgiche. Perché il processo a Gesù come evento storico cominci a suscitare interesse bisogna attendere l’acuto senso della storia che caratterizza il pensiero occidentale moderno dal 1800 in poi. Gran parte di tale nuovo interesse è stato ispirato dal desiderio di difendere l’autenticità delle narrazioni evangeliche, derivata dall’apologetica originale di Marco. Proprio in tale direzione si può inserire anche il testo teatrale di Diego Fabbri, che vuole attualizzare l’evento per ridestare con successo la riflessione sulla figura di Gesù e su ciò che possa simbolicamente rappresentare per ogni uomo. Così i personaggi storici di Caifa, Pilato, Pietro e Giuda hanno dei paralleli epigoni nei personaggi della compagnia di ebrei che ogni sera mettono in scena il Processo a Gesù: Elia incarna la colpa di Caifa nel Sinedrio, Rebecca il distacco di Pilato, Sara la prossimità di Pietro, mentre Davide la discolpa e il “tradimento” di Giuda. Il loro agire e interrogarsi sulla scena riporta quesiti di natura teologica, che hanno eco e risonanza fino ai lettori e spettatori contemporanei, oltre che semplicemente interessati a un testo inusuale come è quello di Diego Fabbri. Infatti, dopo una lettura e diverse riletture del breve ma intenso dramma teatrale, rimane persistente la domanda: in che modo è ancora possibile vivere l’essenziale dell’esperienza cristiana nell’epoca contemporanea, segnata dal fenomeno imponente della secolarizzazione? Il cristianesimo si trova, infatti, a dover verificare la propria capacità di reggere la prova della vita, facendo percepire la bellezza del credere e portando a riconoscere e praticare il giusto senso dell’esistenza, nell’ascolto vitale della Parola di Dio capace di attestare la verità che rende liberi. Da questa prospettiva, anche la secolarizzazione non è più soltanto un pericolo da scongiurare, quanto piuttosto una buona opportunità per l’accoglienza proprio del Vangelo. Fabbri accompagna il lettore nella ricerca di risposte, invitandolo a misurarsi con le sfide dell’oggi. Penso per esempio alla sfida che le paure odierne impongono all’esistenza dell’uomo e che assumono svariati nomi: ansia, paura, attacchi di panico e stress. La paura, in senso stretto e rilevante per la nostra analisi testuale, è quello stato di allarme generalizzato che si attiva nei confronti di una situazione minacciosa. Ecco, in particolare da questo testo, si deduce come sia proprio la paura della verità a prevalere su tutte le riprove essenziali del senso del processo. Su questa linea conduttrice ho provato ad analizzare la posizione di ogni personaggio nello svolgimento della vicenda narrata. Lo afferma Elia fin dalle sue prime battute, 19 - 19 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org in un appassionato monologo iniziale che ricostruisce come sia potuta cominciare l’avventura della compagnia di teatro, per lui che, prima, era un giovane professore universitario della facoltà di Tubinga; egli conclude la ricostruzione degli inizi della messa in scena della pièce, dicendo: «Sono diventato vecchio per questo assillo che non mi ha più lasciato», quasi a dimostrazione di aver convissuto per tanti anni con la paura di trovarla questa risposta di verità alla sua domanda basilare per il processo: «Cosa accadde veramente sul monte Calvario: quella crocifissione fu soltanto una dolorosa crudeltà umana o invece una colpa ben più grave che in qualche modo ci segue?». Elia è mosso dal tormento di trovare una verità; ha il sospetto che non sia stato solo un processo sbagliato verso un presunto sobillatore del popolo, ma che si siano toccati alcuni punti sicuramente nevralgici per cui si rileggerebbe con la nota calunnia di “deicidio” la persecuzione di tutti loro come ebrei: «Perché noi, da duemila anni, siamo stati perseguitati da tutti?Perché la naturale cattiveria degli uomini si è concentrata con tanta assiduità proprio su noi ebrei?». Davide è l’Accusatore di un dibattito, a suo dire, prettamente giuridico, allora come ora: non ha dubbi né tentennamenti, che sono per lui un segno di debolezza tipico dei cristiani. «Ti hanno rovinata i cristiani. Sì, perché ti hanno messo il dubbio dentro» risponderà a Sara, che esprime la sua amarezza nel sentirsi indegna e nel vergognarsi di se stessa per la mancanza di coraggio che prevale in lei e in loro da un ventennio, da quando continuano ad inscenare questo per lei ormai stanco e ripetitivo “processo al processo”. Davide, in modo intransigente, sulla scena di ricostruzione del processo cerca l’unica verità possibile per spiegare la condanna di Gesù, che è semplicemente l’accusa di sobillazione popolare. Egli non vuole andare più a fondo di questo aspetto superficiale relativo all’oggetto del contendere, perché la sua fedele presenza nella compagnia è da lui stesso spiegata solo dal suo tenace amore per Sara, quando nell’intermezzo si confessa proprio davanti a lei: «(fermandola per un braccio)…è per poterti vivere accanto che fingo di interessarmi ancora a questo…processo», ma anche le sue parole per reagire alla decisione di Sara, ormai esausta, di andarsene per sempre dalla famiglia, dalla compagnia teatrale e dalle interminabili serate dedicate alla rivisitazione del processo al Vero o falso Messia tanto atteso dal popolo ebraico: «Dovunque tu vada, io ti verrò dietro – ricordalo!». Caifa afferma a proposito di Gesù che, sostanzialmente, ha potuto avere tanto seguito perché la sua natura è quella letteralmente di essere un seduttore, “colui che trae a sé” chi lo circonda; è il fascino che Gesù emana a spiegare perfino la sua inevitabile morte, per uomo così pericoloso quasi dovuta come forma di “auto-protezione” da parte della comunità, in cui Egli viveva e operava, in modo così innovativo, lontano dalla faziosità, dalle divisioni politiche e da ogni tentativo di ribellione territoriale tra i diversi popoli presenti in quella terra (ebrei di Giudea, di Samaria, di Galilea, così come gli occupatori Romani per citare i principali): Non aveva bisogno di convincere, perché incantava - che è molto di più [...] a un certo punto lo facemmo seguire durante le sue peregrinazioni… cominciammo allora a misurare la gravità del pericolo […] il popolo l’ascoltava ma non l’intendeva affatto, subiva egualmente il fascino di quelle parole: credeva. Ecco il pericolo nuovo: credere. Di fatto, nel corso della deposizione, Caifa ammette che lui stesso è incantato da Gesù e ne ha subito il fascino seduttivo che Egli con la sua figura, la sua predicazione e le sue azioni miracolose emana, tanto che risponde al pubblico ministero, all’accusatore Davide «C’è una tale luce in quelli che tu consideri accecamenti che non l’immagini nemmeno». Caifa nel testo di Fabbri non sembra proprio condannare Gesù, anzi: è perciò diverso dal personaggio evangeli20 - 20 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org co. Più avanti quando si fa serrato il faccia a faccia inevitabile tra Caifa e Pilato, il capo del Sinedrio deve ammettere che la paura è il sentimento che prevalse tra di loro, la «paura di non poterlo condannare perché le sue risposte avevano il timbro della buona fede, della verità», timore che costrinse i capi ebraici a mandarlo da Ponzio Pilato, governatore romano al Pretorio, che a sua volta lo invia ad Erode Antipa, soltanto per la pigrizia di non volersi immischiare in «una faccenda che consideravo di fanatici», così Pilato afferma, per poi doverlo affrontare comunque in un faccia a faccia inevitabile la cui domanda cardine fu proprio “Che cosa è la verità?”. Il confronto tra Caifa e Pilato durante la ricostruzione del processo è ciò che fa infuriare Sara, perché di fronte al loro continuo rinfacciarsi le responsabilità e le colpe, ella reagisce mostrando la sterilità di questo accanirsi nel capire chi ha sbagliato giuridicamente: ella cioè sposta il confronto su un piano interessante e risolutivo, quello del dibattito spirituale di coscienza. «Se vi accontentate della logica e della coerenza devo dire che Gesù fu ben condannato. Ma devo anche aggiungere che per arrivare a questa conclusione formale non c’era proprio bisogno di tanta messinscena. Io ho finito». Nel solco di Georges Bernanos, il personaggio di Sara nel testo di Diego Fabbri esprime il suo sarcasmo e il suo disprezzo del limite di attenersi al processo nel suo aspetto di condanna e sentenza di un imputato; sembra, infatti, che sia lei stessa che dice le parole che si leggono in uno dei numerosi scritti di Bernanos: Innanzitutto non è affatto certo che avremmo messo in croce il Salvatore. Poi giratela pure come volete, i deicidi appartenevano alla categoria dei devoti. No, giratela come volete, non si potrebbe mettere il deicidio tra i delitti comuni. È un delitto raffinato, anzi il più raffinato dei delitti, un delitto raro perpetrato da sacerdoti opulenti con l’approvazione dell’alta borghesia e degli intellettuali di quel tempo, che si chiamano scribi15. Addirittura si potrebbe pensare che Sara veda una “riconciliazione” degli avversari prestigiosi sul caso Gesù: Giudei, Romani che si odiavano reciprocamente preoccupati per il loro prestigio più che della verità, si sono trovati d’accordo e così Gesù è potuto soccombere a causa di questo incauto convergere sul caso benché per i motivi più disparati tra Erode, Ponzio Pilato, Caifa. Nel procedere dell’opera di Fabbri effettivamente è il personaggio di Sara che trasforma la sua incertezza iniziale in disagio ed infine in coraggio di ricercare la verità oltre la superficie, costringendo così gli spettatori a prendere posizione di fronte alla memoria di Gesù. Elia, il padre la segue su questa strada, perché qualcosa dentro rode anche lui e non gli permette di accontentarsi né tantomeno di avere paura. Il discorso poi si sposta anche sul valore dei miracoli e sulla controversia fede / gesti miracolosi: la paura di non essere di fronte al Messia assale tutti, anche i suoi più stretti discepoli, perché nel momento cruciale della prova per Lui, il tanto atteso miracolo salvifico finale non arriva; lo scendere dalla croce che tutti si aspettavano, sia i fedeli seguaci sia i suoi detrattori, non arriva. La logica del Gesù Via – Verità – Vita è quella che Sara interpreta meglio, seguita poi dal personaggio della Maddalena: per comprendere tale logica è necessario camminare sulla via spirituale dell’Amore, lontana dalle più battute “strade” della logica prettamente umana. 15 G. Bernanos, I grandi cimiteri sotto la luna, Milano, Mondadori, 1992 21 - 21 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org 2. Considerazioni personali Affascinata dalla lettura di un testo così attuale, benché lontano nel tempo, mi sono resa conto che può risultare, alla sensibilità e all’abitudine del lettore odierno, come desueto e datato, forse perché rimane legato nella sua composizione anche al particolare momento storico italiano e all’impegno socio-politico dell’autore, inserito nell’atmosfera culturale italiana ed europea degli anni Cinquanta volta da parte cattolica a privilegiare un dramma unitario apologetico della Verità cristiana. Conscia che la sensibilità contemporanea privilegia la complessità, la contraddizione, vale a dire il pensiero “debole”, ho comunque provato a rileggerlo slegato dalle suddette influenze. Trovo che Processo a Gesù sia una forma di teatro “aperto”, corale, sempre incentrato sul gioco del “teatro nel teatro”, che attiva nuove strategie di coinvolgimento del pubblico. Gesù è al centro come presenza-assenza: funge da spartiacque tra i personaggi (Elia, Rebecca, Sara, Davide e gli altri) i quali si interrogano sulla propria prossimità - lontananza, sull’appartenenza o meno a Gesù e sulla responsabilità o discolpa relativamente alla sua morte, meglio dire alla sua condanna a morte. CONCETTI Responsabilità/colpa Lontananza/distacco Prossimità/appartenenza Discolpa/giustificazione SPARTIACQUE-SNODO G E S U PERSONAGGI Elia (Mediazione) Rebecca (Contraddizione) Sara (Speranza) Davide (Intransigenza) Il processo appare come un itinerario di conversione, il cui significato etimologicamente può essere tradotto in tre modi simili ma diversi quasi a suggerire che il processo a Gesù sia un passaggio a tappe, che vuol partire dall’unica riscoperta possibile per le nostre vite che è l’epistrofé, il ritorno alla sorgente autentica, Gesù, per poi giungere ad una katastrofé, un capovolgimento, che porti a una vera metànoia, la piena conversione finale personale e corale. Il processo è intentato, da parte di una compagnia teatrale di ebrei, a un imputato, Gesù, che pur assente occupa la scena con la sua presenza. Essi mettono in scena ogni sera da venti anni questo processo con gli interrogativi laceranti ad esso connessi; la domanda che formulo è: “Cos’è emersa come consapevolezza o come possibile risposta in costoro, che per così lungo tempo si sono voluti confrontare con tali quesiti?” Nello spettatore – lettore del dramma di Diego Fabbri si insinua, fin dalle prime battute, la consapevolezza graduale che il processo sia celebrato a tutti noi; il senso dell’esistenza individuale e di tutti è ciò che viene sottoposto al giudizio della giuria, degli spettatori, ma prima di tutto al giudizio della coscienza di ognuno. Emerge infatti che tutti, tra gli attori e gli spettatori, hanno perso il senso della vita, sono paralizzati nell’incapacità di capire il dolore personale di ognuno di loro e questo li porta agli interrogativi umani fondamentali per l’esistenza: “Chi sono io? Che senso ha la mia vita?”. Alla conclusione del testo trovano una risposta, perché l’autore fa affermare ai suoi personaggi che il senso della vita lo può dare soltanto l’incontro personale con Gesù, che assume così il valore di soluzione redentrice alla tragedia messa in scena. Sembra che il testo teatrale proponga che il processo a Gesù non finisca e possa durare finché ci saranno uomini e donne che prendono posizione nei suoi confronti; l’esito non è scontato soprattutto se si riflette sulle parole di Gesù che l’evangelista Luca nel capitolo 18 al versetto 8 riporta così «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Viene in mente perfino Dostoevskij quando nel suo romanzo I fratelli Karamazov fa narrare all’intellettuale Ivan un poema da lui ideato, intitolato Il Grande Inquisitore, che presenta in tutta la sua forza di muto 22 - 22 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org testimone il ritorno di Gesù per le vie del mondo e che fa nascere interrogativi e dilemmi in chi l’ha imprigionato, perché Gesù incarna la libertà di una scelta di fede rispetto ad ogni ideologia. 3. Problemi aperti Nell’impostazione del testo teatrale, come spesso capita leggendo o assistendo a drammi cristiani, dal Medioevo in poi, a un certo punto il lettore e lo spettatore si chiedono se la mentalità cristiana sia capace di vera tragedia: il punto è che ogni conflitto appare già risolto in Dio, che conferma con la sua grazia e la sua misericordia l’elezione di ogni uomo peccatore a figlio di Dio, amato e perdonato. Ci potranno essere, in questi testi, momenti di alta drammaticità, di sofferenza e di orrore, ma anche queste lacerazioni si riassorbono nel disegno salvifico di Dio, e per così dire non fanno più male. La tragedia invece è il ‘far male’, lo scandalo del soffrire e del far male per eccellenza… lo specifico drammatico, quello che – se non s’intende l’espressione in senso esteriore – si chiama teatralità… quella crudeltà senza la quale non si fa tragedia ma solo qualcosa che le assomiglia16. Tale problematica si può individuare anche nel testo di Diego Fabbri e in altri suoi testi, che nel finale trovano la soluzione redentrice al conflitto e alla tragedia, messi in scena. «Fabbri è un fenomeno anomalo nell’ambito della famiglia degli scrittori cattolici italiani [...] le cose dette da Fabbri potevano inquietare in modo diverso l’anima del cattolicesimo italiano».17 Seguendo la lezione di Artaud, infatti, sembra che: Un teatro dell’incarnazione è un teatro che precipita nel gesto del sacrificio e dell’offerta che l’attore fa di sé sul luogo del teatro, altare o forse ring su cui si gioca la partita ultima col destino; si potrà soccombere, o scontrarsi col silenzio o il vuoto, oppure, il senso, un dio, proverà a reincarnarsi e ritornerà forse a dire qualcosa di rivelativo circa la nostra esistenza.18 16 Italo Alighiero Chiusano, L’otage di Paul Claudel: proposta di tragedia cristiana, in “Teatro europeo tra esistenza e sacralità: Francia – Atti del Convegno di Forlì 16-17-18 novembre 1984”, Incontri internazionale Diego Fabbri, Vita e pensiero, Milano 1986, 72, 77 e 80. 17 Carlo Bo, Voci e silenzi del ’900 francese in “Teatro europeo tra esistenza e sacralità: Francia – Atti del Convegno di Forlì 16-17-18 novembre 1984”, Incontri internazionali Diego Fabbri, Vita e Pensiero, Milano 1984, 86. 18 Riccardo Bonacina, “Incarnazione” e rappresentazione: a partire da Artaud in “Teatro europeo tra esistenza e sacralità: Francia – Atti del Convegno di Forlì 16-17-18 novembre 1984”, Incontri internazionali Diego Fabbri, Vita e Pensiero, Milano 1984, 106. 23 - 23 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org III. PROPOSTA DI PERCORSO DIDATTICO Il testo teatrale di Diego Fabbri mi spinge a proporne la realizzazione scenica sotto forma di laboratorio teatrale in un contesto educativo pedagogico come la scuola, anche in qualità di insegnante della materia di italiano, disciplina che, secondo me, può prestarsi a proporre testi biblici o ispirati a episodi biblici come “Processo a Gesù” da analizzare come parte integrante della storia della letteratura. Ambito di intervento: Scuola secondaria di secondo grado 1. Fase di pre-laboratorio Attuata in una classe prima liceo composta da 23 alunni Incontri: n. 3 Durata ogni incontro: 2 ore Scansione dei tre incontri preparatori: 1. Incontro di presentazione e motivazione dell’attività: con il metodo del “tempo del cerchio” ogni alunno ha risposto alla domanda riguardo a chi è oggi il proprio “mito”, la propria singolare creazione immaginaria su quella persona che ora nella sua vita rappresenta un modello, uno stimolo, una sfida esistenziale; inoltre ha motivato brevemente il perché della sua scelta e cercato di esprimere l’emozione principale che il “mito” gli procurava (ammirazione, invidia, voglia di emulazione). Gli obiettivi del primo incontro sono stati: la condivisione immediata di una riflessione personale su un soggetto che assurge a ruolo di personaggio/riferimento; la motivazione del gruppo verso un’attività in cui si verifica coinvolgimento e protagonismo; provare a far esprimere emozioni e sentimenti come base per futura esperienza teatrale. Di fatto sono stati indicati o familiari e conoscenti (fratello, nonna, genitori, amico del cuore) o attori/personaggi del cinema del ‘900 e odierno (Marilyn Monroe, Charlie Chaplin, Audrey Hepburn, i personaggi interpretati dall’attore Will Smith in svariate pellicolee, dall’attrice Kate Winslet nel film Titanic, dall’attrice Nicole Kidman nel film Moulin Rouge) così come alcuni soggetti di cultura o della scena politica che hanno segnato la storia novecentesca (Martin Luther King, Charles Darwin, Coco Chanel) e un paio di personaggi immaginari (Alice nel Paese delle Meraviglie, il canarino Titti). Le motivazioni addotte per aver scelto questi “miti” sono state individuate nella capacità di stupire, di reagire alle difficoltà della vita, di saper mostrare comportamenti da imitare in circostanze della vita simili, di avere coraggio e generosità, di saper andare oltre le “convenzioni” dettate dalla società, di sapersi costruire delle valide ed invidiabili vie di fuga dalla “penosa e triste realtà”. Il sentimento più ricorrente è quello dell’ammirazione e del desiderio di emulazione. 2. Somministrazione di un questionario scritto, da compilare in forma anonima o no, a scelta, che permettesse di passare da una riflessione sul proprio “personaggio” alla persona Gesù: le domande a cui rispondere erano due, “Chi è per te Gesù? Che emozioni provi per lui?” L’obiettivo in questo passaggio è stato quello di circoscrivere l’ambito di riflessione, puntando sulla figura di Gesù, da proporre come una persona vicina che può avere significato 24 - 24 - © BIBBIA E SCUOLA 3. www.bes.biblia.org per la propria vita. Dalle risposte è emerso che per un terzo del gruppo il riferimento a Gesù suscita indifferenza o rifiuto, mentre per i rimanenti due/terzi Gesù è persona viva, che fa nascere un sentimento d’amore fino alla sfida, o perché lo si reclama a viva voce come più presente nella vita di ognuno o perché Egli mi sfida a seguirlo ed essere come Lui. (Problema aperto: è stato indebito e forzato il passaggio dal lavoro condiviso in gruppo sul “personaggio-mito” al lavoro più individuale su Gesù, che non è semplice mito, ma lo possiamo percepire come tale, fino a capire che è veramente una persona viva per tutti noi?) Lettura ad alta voce del brano della Passione di Cristo tratta da un’evangelista, nel caso specifico ho scelto Giovanni che fornisce il suo particolare punto di vista sulla vicenda. Al termine si è proposto un tema scritto facoltativo (svolto da quattro studenti). Obiettivo: confrontarsi direttamente con pagine evangeliche per affrontare la questione della Passione e del Processo a Gesù con lo sviluppo tematico di una traccia assegnata circa l’identificazione di se stessi con un personaggio del processo e motivando tale scelta. Ho continuato con l’elenco di alcune possibili domande considerate imprescindibili da rivolgere a Gesù, ai suoi amici e ai suoi nemici. Risultato: il personaggio in cui gli alunni si sono identificati è Pietro, per la paura personale che fa emergere e perché mostra, di fronte alla generosità inconcepibile dell’amore di Dio, i limiti umani, che tante volte anche un adolescente si accorge di far prevalere su quelle che considera qualità, prima fra tutte il coraggio. Le domande più ricorrenti sono state dirette a Pilato, che avrebbe potuto far valere il suo potere di governatore romano e che invece ha lasciato che prevalessero gli interessi particolari dei farisei ebrei, senza curarsi di approfondire la questione. Infine le domande che sono state scritte rivolte a Gesù, figlio di Dio, riguardano la difficoltà di comprendere come mai nel mondo è permesso il male e il dolore. (Problema aperto: la scelta facoltativa del tema è stata poco opportuna, in quanto forse era meglio proporre la traccia unica per il compito scritto a tutti? Questo lo dico a lavoro svolto, accorgendomi che solo 4 alunni hanno scelto tale traccia, mentre avrei voluto raccogliere più materiale da valutare pertinente all’argomento di lavoro proposto, per cui penso si debba recuperare questo aspetto in un’ulteriore fase) Obiettivi del momento di pre-laboratorio: Si è cercato di instaurare nei partecipanti un loro rapporto diretto e “vivo” con un testo teatrale, per attivare e sviluppare le capacità espressive teatrali insite in ognuno. A tale proposito vorrei qui ricordare le parole di Karol Wojtyla in uno dei suoi mini-saggi, scritti tra gli anni Cinquanta e Sessanta, con uno pseudonimo, riportati da Benvenuto Cuminetti sul quotidiano L’Eco di Bergamo il 7 giugno 1985 nella rubrica “Teatro e dintorni”: «L’uomo, tanto l’attore che lo spettatore-ascoltatore, si libera dall’eccesso importuno del gesto, dall’attivismo che, lungi dallo strutturare l’essenza interiore e spirituale dell’uomo, la soffoca anziché svilupparla, e coglie quelle proporzioni che nel quotidiano non può cogliere né raggiungere. Con questo la partecipazione alla rappresentazione teatrale diventa per lui, anche fuori dalla sua volontà, qualcosa di solenne, in quanto ricostruisce in lui stesso quelle proporzioni tra pensiero e gesto alle quali l’uomo, se non altro inconsciamente, a volte tende...» 25 - 25 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org 2. Fase di laboratorio Da attuare con la classe con cui si è svolta l’attività preparatoria al laboratorio: − all’interno della programmazione curricolare per la materia di italiano, come modulo annuale sull’argomento teatro, previsto per il biennio della scuola secondaria di secondo grado (2 ore mattutine a settimana); − oppure da proporre come attività facoltativa extra-curricolare (2 ore pomeridiane a settimana), che può fornire anche punti di credito formativo, per un gruppo di minimo 10 studenti interessati a svolgere un’attività di teatro a scuola. In questo secondo caso serve l’approvazione del Collegio Docenti e del Consiglio d’Istituto della scuola. Finalità del laboratorio: Il teatro, nei suoi molteplici significati che ha sia nella tradizione sia lungo la strada della ricerca e della sperimentazione, è una risorsa per un intervento educativo – didattico e risponde perciò alle finalità della scuola. In primo luogo per il valore formativo che ha l’esperienza teatrale: 1- sviluppa la creatività 2- sviluppa il senso critico 3- sviluppa l’apprendimento ( in particolare: uso della memoria, fare confronti e collegamenti, prestare attenzione ai particolari, non lasciare nulla al caso ) 4- sviluppa l’auto-valutazione 5- incoraggia a liberarsi da ritrosie e inibizioni adolescenziali 6- fa riscoprire il piacere e l’utilità del gioco (l’inglese “to play” si traduce con “giocare”, ma anche con “suonare” e meglio con “recitare”) 7- crea concrete occasioni di risoluzione di conflitti fra / con gli studenti 8- crea effettiva integrazione tra tutti gli alunni, anche con quelli in difficoltà 9- diversifica il lavoro dell’insegnante ( passaggio dal ruolo del docente trasmettitore di informazioni della lezione frontale al ruolo del docente conduttore – coordinatore - regista ) Obiettivi del laboratorio: Promuovere un’attiva e partecipe esperienza di gruppo. Fornire elementi di drammaturgia per sperimentare semplici forme non canoniche di comunicazione dei testi biblici. In specifico il laboratorio si propone di seguire, in parallelo, due linee guida: LO STRUMENTO CORPO 1- scoperta e appropriazione del linguaggio non verbale 2- uso della corporeità: gesto, movimento, voce, suono e parola 3- primi rudimenti di costruzione del personaggio: l’improvvisazione e l’immedesimazione LO STRUMENTO PAROLA 1- Introduzione al linguaggio del teatro: la sua grammatica (regole, sintassi, morfologia) recupera capacità già presenti in ogni persona: ricordare, sentirsi, immaginare, porsi in rapporto con l’altro da sé, capire gli altri 2- Rapportarsi al “teatro - testo come pretesto” dell’uomo per comunicare, esprimere, capire, conoscere gli altri e se stesso, maturare il proprio rapporto col mondo 26 - 26 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org 3- Rapportarsi al “teatro – testo come pre – testo”: il racconto tramandato oralmente e recitato è la materia narrativa da cui gli scrittori hanno attinto per fissare in opere (racconti, drammi, commedie, romanzi) la loro creazione di autori 4- Testo: avvicinamento al testo letterario- teatrale (scrittura e lingua di uno specifico genere) 5- Avvicinamento ad un autore significativi della storia letteraria teatrale. Metodi e contenuti: Il metodo tiene conto dei sue strumenti paralleli sulle cui ho inteso lavorare, perché siano raggiunte nella loro totalità o in parte, a secondo dell’interesse e della motivazione del gruppo. Il lavoro si considera perciò in progress, ma in vista di una messa in scena finale, vale a dire di una presentazione teatrale del lavoro svolto. LO STRUMENTO CORPO: Si chiede agli alunni di portare materiale libero, preparato a casa o improvvisato, con cui presentarsi nella propria espressività e nelle proprie preferenze, utilizzando lo strumento corpo (danzo, ballo, canto, recitazione); dopo essere stato valutato come competenza personale di ogni allievo, il materiale rimane archiviato per la messa in scena finale. L’insegnante propone nella fase immediatamente a seguire: 1- esercizi per socializzare, 2- per occupare lo spazio scenico, 3- di percezione, 4- di rilassamento, 5- per esplorare lo spazio sonoro, 6- per giocare con la voce, 7- di gestualità, 8- per rapportarsi con gli altri, 9- l’improvvisazione: non verbale “l’attore entra e si siede” e verbale “l’attore entra e dice” LO STRUMENTO PAROLA: 1- Prove di scrittura creativa: dalla biografia fino alla stesura di un copione del personaggio 2- Prove di narrazione: raccontare un testo proprio o ascoltato o letto “come se...” 3- Autobiografia e lettera: raccontarsi per iscritto e verbalmente “Mi presento, io sono...” e “Caro/a.....ti scrivo a proposito di te!” 4- Biografia del proprio personaggio 5- Lettura del testo proposto dall’insegnante, motivato secondo l’analisi presentata sopra, di “Processo a Gesù” di Diego Fabbri. Strumenti e metodi operativi: Cerchio neutro, circle-time, lavoro a gruppi, approfondimenti a casa, fotocopie, palcoscenico in classe, prove di spettacolo, supporti audio e video. Valutazione: 27 - 27 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org La valutazione complessiva del lavoro terrà conto dell’interesse individuale, della partecipazione, dell’impegno, del grado di socializzazione, della capacità di mettersi in gioco, di usare lo strumento corpo, di sentire e provare sul campo la grammatica teatrale, a partire dalle osservazioni iniziali sulle competenze personali che ogni alunno ha mostrato al principio del percorso. 28 - 28 - © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org BIBLIOGRAFIA Le citazioni bibliche sono abitualmente riprese dal testo biblico in adozione (La Bibbia di Gerusalemme, Bologna, EDB, 1998). Opere di Diego Fabbri Processo a Gesù, Firenze, Vallecchi, 1957 Processo a Gesù, Milano, Arnoldo Mondadori, 1977 Teatro I, II, III, Firenze, Vallecchi, 1959, 1960, 1964 AA.VV., Teatro europeo tra esistenza e sacralità, Francia – Atti del Convegno di Forlì 16-1718 novembre 1984 (Incontri internazionali Diego Fabbri), Milano, Vita e Pensiero, 1984 Studi sul processo a Gesù e sul teatro AA.VV., Gesù nella letteratura contemporanea, a cura di J. Imbach, Assisi, Città nuova, 1983 G. ANGELINI, La testimonianza, Milano, Centro Ambrosiano, 2008 A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 2000 C. AUGIAS, M. PESCE, Inchiesta su Gesù, Milano, Mondadori, 2006 E. BARBA, La canoa di carta – Trattato di antropologia teatrale, Bologna, Il Mulino, 1993 G. BERNANOS, Quasi una vita di Gesù, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1998 C. BERNARDI, Il teatro sociale, Roma, Carocci, , 2006. E. BIANCHI, Gesù di Nazareth. Passione morte resurrezione, Brescia, Editrice Morcelliana, 2010 J. BLINZER, Il processo di Gesù, tr. it. Paideia Editrice, Brescia, 1966 S. G. F. BRANDON, Il processo a Gesù, Milano, Edizioni di Comunità, 1974 A. CASCETTA, La passione dell’uomo. Voci dal teatro europeo del Novecento, Roma, Studium, 2006 F. CASTELLI, Volti di Gesù nella letteratura moderna, vol. I, II, III, Torino, Paoline, 1990, 1995 B. CUMINETTI, (a cura di), Educazione e teatro, in “Comunicazioni sociali” VII (1985), n. 2-3. R. GIRARD, La violence et le sacrè, Grasset, Paris, 1972, tr. it. La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 1980. G. JOSSA, Il processo di Gesù, Paideia Editrice, Brescia, 2002 H. MARCUSE, Saggio sulla liberazione, Torino, Einaudi, 1969 S. NATOLI, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Milano, Feltrinelli, 2002 P. PAIARDI, Il processo di Gesù, Giuffrè Editore, Milano, 1994 R. PESCH, Il processo continua, tr. it. Editrice Queriniana, Brescia, 1993 J. RATZINGER, Gesù di Nazareth, Editrice Vaticana, 2011 G. SAVAGNONE, Processo a Gesù, Torino, Elledici, 2007 B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo l’unico mediatore. Saggio sulla redenzione e la salvezza – 2, Cinisello Balsamo, Ed. S. Paolo, 1994, 173. A. STEINWENTER, Il processo di Gesù, in “JUS- Rivista di scienze giuridiche a cura dell’Università Cattolica del sacro Cuore”, anno III, fascicolo IV, Milano, 1952 F. TAVIANI, Uomini di scena, uomini di libro, Bologna, Il Mulino, 1995 29 - 29 -