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«Processo a Gesù»: un’analisi letteraria
e teologica del testo teatrale di Diego Fabbri
di Maria Teresa Capranica*
INDICE
I. PRESENTAZIONE DELL’OPERA
1. Diego Fabbri: breve profilo dell’autore
2. Quando nasce il testo
3. Trama: cosa dice il testo e qual è la sua logica
4. Le tematiche
5. I personaggi
6. Eco dell’epoca e recensioni
II. VALUTAZIONE DELL’OPERA
1. Valutazione teologica: il processo inserito nella passione evangelica
2. Considerazioni personali
3. Problemi aperti
III. PROPOSTA DI PERCORSO DIDATTICO
1. Laboratorio teatrale
2. Considerazioni personali
3. Problemi aperti
BIBLIOGRAFIA
* il testo riproduce la tesina di Baccalaureato presentata nel settembre 2012 presso la Facoltà Teologia dell’Italia
Settentrionale (FTIS) di Milano.
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I. PRESENTAZIONE DELL’OPERA
1. Diego Fabbri: breve profilo dell’autore
Diego Fabbri, nato il 2 luglio del 1911 e formatosi in ambito teatrale da giovanissimo nelle
filodrammatiche cattoliche della nativa Forlì, considera l’arte per sua natura sociale e l’artista
posto al servizio dell’uomo: moltissime sono perciò le sue opere teatrali segnate da una forte
tensione morale e religiosa e capaci di vivaci critiche. Il suo maggiore successo è il dramma
Processo a Gesù, che egli compone e mette in scena per la prima volta nel 1955 al Piccolo
Teatro di Milano, per la regia di Orazio Costa, ottenendo da subito un successo tale da essere
successivamente rappresentato nei teatri di tutto il mondo fino a oggi, a oltre mezzo secolo dal
suo debutto. A ragione è considerato uno dei suoi capolavori, per il suo intrinseco valore di
monito alla ricerca della “verità” e di richiamo ad un’indagine profonda, che superi quella
“verità” facile, inseguita da individui assetati di una giustizia sommaria che antepone gli
egoismi personali e i vantaggi di qualsiasi natura (privilegio, regalia) alla solidarietà.
Quest’opera teatrale parla a quanti compiono un cammino di sofferenza fino al limite della
sopravvivenza, non ascoltati, non visibili.
A una società che negli anni ’50, come oggi, riconosceva solo i vincenti e il successo, Diego
Fabbri pone qui domande ineludibili: “Chi può chiamarsi fuori? Chi può chiudere gli occhi di
fronte all’assoluta mancanza di valori dell’epoca presente?” Interrogativi senza risposta,
apparentemente, che inducono però a un cammino di riflessione e all’apertura a un dialogo
incessante con gli altri e con Dio. Diego Fabbri, con i suoi lavori a sfondo e di ispirazione
cristiana, interpreta appieno le tensioni e le aspirazioni degli uomini. Negli anni ‘40 e ‘50 la
sua intensa attività teatrale trova nel testo Processo a Gesù il suo momento più fortunato, in
cui egli si impone come lo scrittore di un cattolicesimo inquieto e conflittuale, ma anche come
uno degli interpreti più accreditati della crisi dell’uomo contemporaneo, sulla base di quanto
ha appreso dalla “lezione” dei padri della drammaturgia novecentesca, su tutti Pirandello e il
suo “teatro nel teatro”: in quei decenni è, insieme a Ugo Betti, il più rappresentato autore di
spettacoli moralmente e civilmente impegnati in cui i cosiddetti processi morali (ritrovabili
nelle pièces Inquisizione del 1950, Rancore sempre del 1950, Processo di famiglia del 1953,
Processo a Gesù appunto del 1955) trovano una relativa soluzione religiosa e sociale.
Quarantaquattro i suoi testi drammaturgici, che volevano dare al pubblico una “verità”
autentica, che contasse davvero per gli uomini sofferenti di oggi e di domani, come lui stesso
dichiarava. La drammaturgia di Diego Fabbri indica una straordinaria attualità della sua
capacità di “leggere”, con occhi cattolici, il mondo contemporaneo e mostra una plausibile via
percorribile anche da altri suoi epigoni. Dopo aver ricoperto la carica di presidente dell’ETI
(dal 1968 ha tale nomina presso l’Ente Teatrale Italiano), aver diretto numerose riviste teatrali
sulla scia delle sue esperienze giornalistiche su vari quotidiani ed aver sceneggiato svariati
film di maestri del cinema, da Antonioni a Buñuel, nonché film per la RAI, muore il 14
agosto 1980 a Riccione, avendo collaborato intensamente ed in prima persona con continuità
al mondo teatrale, cinematografico e giornalistico del suo tempo.
2. Quando nasce il testo
Data e luogo della prima messa in scena: 2 marzo 1955 al Piccolo Teatro di Milano.
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Composizione del testo drammaturgico: scritto da Diego Fabbri, dopo una lunga gestazione,
dal 1952 al 1954.
La vicenda del processo a Gesù di Nazareth rappresenta l’avvenimento che ha inciso
profondamente sulla storia del mondo occidentale e che è stato oggetto di interpretazioni,
strumentalizzazioni o mistificazioni. Ciò che avvenne tra la Galilea e la Giudea, più di
duemila anni fa, ha dato vita a una fede divenuta la religione di una larga parte dell’umanità e
ha influenzato in maniera determinante la cultura occidentale, nel senso più ampio del
termine, tanto che ancora oggi comunque non possiamo non dirci cristiani. Leggiamo le
parole dello stesso Fabbri a tale proposito dal programma di sala per la Prima di Processo a
Gesù al Piccolo Teatro della Città di Milano il 2 marzo 1955:
A offrirmi un’occasione di struttura più concretamente teatrale fu una nota a piè di pagina che lessi nel
1947 in una Vita di Cristo. Vi si diceva che dei giuristi anglosassoni s’erano fin dal 1929 posti il
problema […] del processo a Gesù e s’erano più tardi nel 1933 recati a Gerusalemme per ricelebrarlo
pubblicamente, quasi dovessero sciogliere al cospetto e con la partecipazione del popolo ebreo un loro
nodo di coscienza; e che all’ultimo la sentenza era stata d’assoluzione. Seppi poi che esistevano
addirittura gli atti di questo processo e che ammontavano a un migliaio di pagine dattiloscritte; ma non
ebbi modo di leggerle e del resto non mi interessavano granché. Quel che subito mi accese grandemente
fu l’idea di quel “processo” fatto da uomini d’oggi a Gesù di Nazareth. Senza saperlo quegli uomini
volevano fare il processo non tanto a Cristo, ma a se stessi, alla loro tenace e spesso oscura e
irragionevole paura di abbandonarsi alla speranza.1
Questo è il punto di vista da cui Diego Fabbri prende ispirazione per il dramma Processo a
Gesù, considerato fino ai nostri giorni uno dei suoi capolavori proprio in virtù della struttura
processuale attribuita al dramma e andato in scena per la prima volta nel 1955 a Milano, ma
periodicamente riproposto come repertorio o rivisitazione, in festival e stagioni teatrali, da
svariate compagnie (nell’ultimo biennio dal Teatro della Pergola di Firenze, dal Teatro Valle
di Roma, da Argot Produzioni e dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato, per
citarne alcuni). Allo scrittore e al commediografo non interessava tanto ricostruire
drammaturgicamente il processo a Gesù, per riconsiderarlo in quella prospettiva, anche se, lo
ripetiamo, il fascino intramontabile del testo sta proprio nella articolazione del procedimento
giudiziario quale appare alla ribalta: la vitalità del testo sta nel “movimento interiore” che il
dramma possiede in sé, riuscendo a trasmetterlo, a mostrarlo, a enunciarlo, a recitarlo, a
proclamarlo, più che nell’ingegnosa inchiesta divisa in due parti (che hanno diviso anche i
critici su quale tra il Primo e il Secondo tempo – termini presi a prestito dal linguaggio
cinematografico, a significare l’esperienza anche in tale campo del versatile autore Fabbri –
fosse il più essenziale, se il primo con la ricostruzione degli avvenimenti dell’epoca di Gesù o
il secondo, che arriva a coinvolgere il pubblico sull’autenticità ed attualità del messaggio
cristiano). Partendo da tale intuizione sulla centralità del “movimento interiore”, l’opera di
Fabbri diventa un’indagine serrata ed emozionante su una società che aveva perso la speranza
della salvezza, la fiducia nei propri valori, soprattutto la fiducia nella condivisione e
nell’amore, rifugiandosi nell’individualismo e nell’edonismo. La visione cattolica del
drammaturgo non ha nulla di consolatorio e pietistico, ma nasce e si nutre della drammaticità
di Dostoevskij, di Pascal, di Manzoni e dei grandi scrittori francesi come Bernanos, Mauriac,
Péguy e Claudel; Fabbri arriva a realizzare, in quest’opera come in molte altre, il documento
di un’epoca confusa e inquieta, dove l’uomo tanto più sente il bisogno di Dio quanto più se ne
1
Diego Fabbri, Programma di sala, Processo a Gesù”, Piccolo Teatro della Città di Milano, 2 marzo 1955.
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allontana, cercandolo, per paradosso, per tutte le strade possibili, dagli amori disordinati alle
esperienze angoscianti, fino alle improvvise folgorazioni del soprannaturale.
Ho provato a rileggere il testo, ritenendo che possa fornire spunti di riflessione e di confronto
proprio al lettore e allo spettatore di oggi, ascoltando le critiche proposte fin negli esordi da
Salvatore Quasimodo che, nel recensire il debutto dell’opera, si chiedeva: «Fallimento del
cristianesimo no, ma decadenza? Questo il punto severo da cui potrebbe cominciare un
dramma moderno: un processo al cristianesimo nelle sue determinazioni umane»2. La scena
presenta un gruppo di ebrei che hanno costituito una sorta di piccola compagnia di giro e
viaggiano per le città, rappresentando nei teatri il “processo” a Gesù di Nazareth, il
personaggio storico, rimettendone le sentenze. La scena è trasformata in un’aula di tribunale,
gli attori estraggono a sorte i propri ruoli e, se ne avanza uno, come nell’occasione descritta
dall’autore, viene invitato uno spettatore a interpretarlo. Si attua così un passaggio dal “teatro
corale” al “teatro nel teatro” fino al coinvolgimento del pubblico. L’imputato non fa parte dei
personaggi presenti, ma viene costantemente evocato dalla madre e anche da gente del
pubblico come una signora irrequieta – la Bionda –, un intellettuale, un sacerdote, un infelice,
un provinciale, la Donnetta delle pulizie, che sono «come i soggetti delle Beatitudini, coloro
che meglio incarnano la struttura dell’umano»3 e che, perciò, per il loro rapporto personale
con Gesù, possono diventare figurae Christi. Il processo è soprattutto giuridico, non religioso,
anche se Elia ha dei dubbi religiosi di cui mette a conoscenza il pubblico. Le domande
principali cui nessuno nella troupe teatrale è riuscito, fino al momento della messa in scena
del processo, a dare una risposta definitiva sono sempre le stesse:
Fu un processo giusto?
Chi lo volle e lo celebrò?
Gli Ebrei, i Romani o entrambi?
Chi fu il responsabile della vicenda giudiziaria che portò alla condanna a morte di Gesù?
Nessuno nella compagnia teatrale ha risposte univoche, la loro ricerca dura da ben venti anni
e vengono riproposte le domande, di cui sopra, proprio la sera di messa in scena partendo,
però, dal desiderio urgente di una loro attrice, Sara, nell’arrivare finalmente ad una soluzione
che sia davvero soddisfacente per le loro vite. L’amara conclusione a cui si giunge è «tutti lo
misero a morte con nascosto rammarico, ma con un sospiro di sollievo».4
Illuminanti, per il seguito del dramma, le parole che Elia dice a Sara:
Noi non fingiamo niente, noi non ripetiamo niente, come tu credi; noi, al contrario, facciamo
ogni giorno del nuovo, perché se quello che succede quassù, tra noi, è quasi sempre lo stesso
dibattito, quel che invece cambia sempre, ogni sera, è ciò che accade attorno a noi, tra la gente
che ci ascolta […].
Infatti, dopo il Primo Tempo, in cui si ricostruisce la vicenda dell’epoca di Gesù e
l’Intermezzo, in cui si rivela il profondo dramma che lega Sara e Davide, il secondo tempo è
un dialogo aperto e coinvolgente con il «pubblico»: intervengono “spontaneamente” un
sacerdote, un intellettuale, un infelice, un provinciale, una «bionda», una povera donnetta,
ognuno dichiarando i motivi della propria adesione a Gesù o del proprio profondo distacco.
Verso la conclusione il tono si fa travolgente, anche se forse un poco scontato, perché il vero
2
Salvatore Quasimodo, Scritti sul teatro, Milano, Mondadori, 1961.
A. Cascetta, La passione dell'uomo. Voci dal teatro europeo del Novecento, Roma, Studium, 2006.
4
Diego Fabbri, Processo a Gesù, Firenze, Vallecchi, 1955
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pregio dell’opera sta comunque nel suo svolgimento dialettico e serrato, con Elia che a gran
voce afferma:
Chi è - chi è per voi, Gesù di Nazareth? […] Perché non lo gridate forte, dovunque e sempre,
quel che avete detto stasera? Tutti dovete gridarlo! Tutti! Perché altrimenti si ripete anche per
voi, quello che accadde per noi, allora. Di rinnegare… di condannare… di crocifiggere Gesù. Io
debbo ormai proclamare… alto… e al cospetto di tutti… che non so ancora se Gesù di Nazareth
sia stato quel Messia che noi aspettavamo… non lo so… ma è certo che Lui, Lui solo, alimenta
e sostiene da quel giorno tutte le speranze del mondo! E io lo proclamo innocente… e martire…
e guida […]
La conclusione vera e propria sarà paradossale in quanto, in luogo di risposte, si proporranno
ulteriori interrogativi. Sono proprio tali quesiti degli attori del dramma, degli spettatori di
quando fu messo in scena, e di noi oggi, lettori - spettatori del dramma teatrale, che rivelano,
forse, un senso alla nostra vita e, se non ci fossero oppure si arrivasse ad una risposta
giudiziaria definitiva, come l’accusa anziché l’assoluzione, toglierebbero forza alla
provocazione per eccellenza: portare sulla scena l’Incarnazione del Figlio di Dio.
3. Trama: cosa dice il testo e qual è la sua logica
Una compagnia teatrale di ebrei gira da vent’anni l’Europa, inscenando ogni sera lo stesso
dramma: il processo al personaggio storico Gesù di Nazareth, sulla cui innocenza questi ebrei
inquieti si interrogano. Si tratta di un processo di natura squisitamente giuridica, anche se nel
farlo, Elia, il capo della compagnia, pone al pubblico lo stesso dubbio tormentoso che assilla
loro. Accanto ad Elia, ci sono Rebecca, sua moglie, Sara la loro figlia, vedova di Daniele, il
giudice mancante, vittima dei nazisti, e Davide, che ebbe, ai tempi in cui era ancora vivo
Daniele, una storia d’amore, adultera, con Sara e che denunciò ai nazisti il marito della donna
da lui amata, pensando così di liberarsi di colui che rappresentava, a suo dire, l’ostacolo al
compimento del proprio amore. Ai membri di questa famiglia si aggiungono gli attoripersonaggi: la troupe che veste i panni dei protagonisti, come Caifa o Pilato, che allora
presero parte al processo. Elia, Rebecca, Sara e Davide interpretano la parte dei giudici,
dividendosi i ruoli, sempre in modo diverso attraverso l’espediente del sorteggio, a garantire
ogni sera un nuovo andamento processuale e affidando il ruolo di Daniele, ormai morto, a un
giudice improvvisato che sale dalla platea. La sera in cui il processo va in scena, Sara è stanca
della solita procedura ormai sterile, che ripete parti prestabilite dividendosi, di sera in sera, i
ruoli di chi si mette all’accusa e chi alla difesa, con un dibattito serrato e polemico (tanto da
far supporre qualche personale implicazione dei personaggi, tutti ebrei e quindi tutti implicati
nell’antico processo al Cristo) e perciò chiede che si sentano altri testimoni, oltre ai soliti
membri del Sinedrio. Vengono così interrogati, oltre a Caifa e Pilato, anche coloro che
conobbero Gesù da vicino, personaggi della troupe, ma che interpretano ruoli improvvisati:
gli apostoli Pietro, Giovanni, Tommaso e Giuda, la madre Maria, Giuseppe e infine la
Maddalena. Da queste deposizioni il processo prende una piega imprevista e si umanizza. A
tal punto che nel Secondo Tempo il dibattito si sposta in platea animando il pubblico, dopo un
intermezzo in cui Sara e Daniele, legati da una passata relazione adultera, che ora li
contrappone anziché unirli, entrano apertamente in conflitto sugli esiti dell’indagine e Sara
sembra, infatti, persuadersi dell’innocenza di Cristo.
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Dalla platea salgono sul palcoscenico nuovi attori-spettatori. Un intellettuale che ha studiato
in seminario, un prete, un giovane infelice che ha abbandonato la casa paterna e si è perso,
una prostituta detta“la Bionda”, infine una donnetta delle pulizie. Ognuno ha visto sé stesso
nell’uno o nell’altro personaggio storico del Primo Tempo. La coralità del dramma si fa
completa. Il processo, nato come rivisitazione di un pezzo di storia sacra, attraverso la sua
rievocazione, a questo punto si trasforma in una ricerca di verità, che investe la storia
contemporanea, messa dichiaratamente sotto accusa senza troppi giri di parole. Gli
interrogativi di Elia non nascono, infatti, solo dal timore di aver commesso una colpa
imperdonabile: sarebbe l’abituale e radicata convinzione, degli ebrei di ogni tempo, che Gesù
non possa essere il Messia a lungo atteso, sia per l’esito della sua vita sia per la mancata
attuazione nel mondo di oggi del messaggio di Cristo, che smentirebbe ogni giorno la sua
natura divina. L’idea del processo è quindi doppia: processo a Cristo e processo alla
cristianità, che chiamata in causa ritorna, però, a gridare alla fine del processo il suo bisogno
di Cristo, perché, come conclude la donnetta delle pulizie, se condannassero nuovamente
Gesù, a lei, a loro, a tutti gli uomini, non resterebbe veramente più nulla.
4. Le tematiche
Nel testo si possono scorgere molteplici direttrici percorribili anche oggi, che possono fornire
diverse linee guida di interpretazione.
1) Un processo nuovamente a Cristo.
2) Un processo al cristianesimo.
3) Un processo a se stessi come credenti e alla propria fede.
4) Una presentazione del tentativo di vincere la solitudine dell’uomo contemporaneo
attraverso il “vivere insieme” della comunità cristiana.
5) Una coralità salvifica: il senso della comunità tipico del cristianesimo che, attraverso
le molteplici tipologie di esseri umani, indicate dall’autore, mostra come ci si possa
salvare solo stando insieme.
6) Un costante appello alla libertà e alla scelta individuale.
7) Una libertà valida per tutti: la libertà non secondo il modello settecentesco proposto
dall’illuminismo né ottocentesco dell’individualismo romantico né novecentesco
pirandelliano“ a soggetto”, ma una libertà in cui non si può più tornare a come si era
prima dell’incontro con Cristo, il quale fa sperimentare il contagio della Sua libertà.
8) Una sottolineatura che ogni diminuzione dell’uomo, così com’è nel suo essere, anche
peccaminoso, è una diminuzione di Dio, che si è fatto carne.
9) Una presentazione di Cristo come il seduttore, capace di attrarre a sé e di trascinare,
perciò vincitore della paura di amare caratteristica dell’uomo e dell’attuale società.
10) Un legame tra verità e paura: la paura di Cristo è la paura della Verità e dell’Amore.
11) Una consapevolezza dell’assoluzione “indegna” che riceviamo da Colui che, secondo
la logica e il senso di giustizia umano, dovrebbe condannarci in quanto peccatori.
5. I personaggi
I personaggi si possono così individuare:
A. la compagnia teatrale degli ebrei con le loro personali storie d’amore e di tradimenti: il
vecchio Elia, uomo saggio e colto e dotato di una fede certa; Rebecca, sua moglie; la
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loro figlia Sara, vedova di Daniele, ucciso dai nazisti probabilmente perché tradito da
un delatore interno alla compagnia; il giovane Davide, che soltanto nell’intermezzo si
rivela essere stato amante di Sara, che ora però lo respinge, caricandosi di sensi di
colpa imperdonabili, ma attribuendogli l’accusa di delatore.
B. Gli avvocati difensori dei personaggi coinvolti nelle vicende del Gesù storico, che
vengono individuati tra gli attori e gli spettatori, uno per ogni personaggio chiamato in
causa.
C. I personaggi: il governatore romano Pilato, il capo dei sacerdoti farisei Caifa, la madre
di Gesù Maria di Nazareth, la peccatrice perdonata convertitasi e divenuta la discepola
amata Maddalena, l’amico Lazzaro, gli apostoli Giovanni, Pietro, Tommaso e colui
che l’ha tradito Giuda.
D. Gli spettatori che assistono allo spettacolo della sera in cui Sara chiede di sentire altri
testimoni, cambiando l’usuale modalità di procedura, che accettano di intervenire nel
dibattito, di esporsi e di condividere pubblicamente le loro riflessioni, nate dalla
domanda “Chi è per te Gesù?”: una signora irrequieta detta la Bionda, un sacerdote, un
intellettuale, un contraddittore bonario, un infelice, un provinciale, una donnetta delle
pulizie.
Per tutti costoro Gesù è lo snodo con cui confrontarsi o per allontanarsene o per convergervi,
come risposta a tutti i loro interrogativi, dubbi, perplessità e paure. Sembra di assistere alle
risposte che ognuno potrebbe formulare di fronte all’invito di andare e vedere con i propri
occhi, da parte dell’Angelo che annuncia la Resurrezione, narrato nel vangelo di Marco 16,67 quando egli si rivolge alle donne giunte per ungere ed imbalsamare il corpo di Gesù,
dicendo loro di non aver timore perché Gesù Nazareno, il crocifisso, che loro cercano è risorto
e non è qui. Basta che osservino il luogo dove l’avevano deposto, che è rimasto vuoto. Ora
non rimane altro da fare che andare e riferire ai suoi discepoli che Lui precede tutti in Galilea,
dove potranno vederlo, come aveva loro promesso. Anche con questo nuovo processo a Gesù,
o per meglio dire in questa rievocazione dello storico processo, tutte le persone coinvolte nella
rappresentazione è come se ascoltassero l’annuncio di una richiesta di conversione, un appello
a vincere paure e timori inerenti la propria fede, cominciando, nel loro cuore, a rileggere il
proprio passato come una realtà di apatia e indifferenza, avvertendo, soltanto di fronte alla
ricostruzione dei fatti sulla morte di Gesù, tutta l’aridità interiore che fino a quel momento ha
caratterizzato le relazioni personali e le scelte esistenziali di ognuno di loro.
Grazie al fatto che Gesù, l’Assente – Presente, venga evocato proprio sulla scena sia dalle
parole degli attori, che si sono impegnati nel passare al vaglio della ragione la domanda di
sempre “Chi è Gesù?”, sia dal dibattito che si accende tra gli spettatori intorno alle diverse
convinzioni su chi sia per loro Gesù, tutti i presenti capiscono quanto la vita possa in verità
essere miracolosa, colma di gioia e di amore, pur nel dolore e nella tragedia personale. Il
lettore del dramma teatrale è come se assistesse all’attualizzazione sempre di un testo
evangelico, quello di Matteo 16,13-20, dove Gesù domanda ai suoi discepoli dapprima chi la
gente dice sia il Figlio dell’uomo e, immediatamente dopo, chiede loro chi dicano che Egli
sia. Questa è la domanda centrale per la fede di ciascuno, perché dalla risposta al quesito
dipende la relazione dell’uomo con Lui e il Padre.
Nel testo teatrale di Diego Fabbri si va oltre: la domanda “Chi è Gesù?” diventa senza alcuna
esitazione la domanda di senso per il modo di vivere del soggetto che, di fronte a questo
interrogativo, viene smascherato e denudato, mostrando la verità di se stesso, vale a dire
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quella di un povero peccatore, bisognoso dell’amore di Gesù, per riscattarsi dalle proprie
colpe, trasformando la mera condizione comune di uomo errante bisognoso di perdono in
uomo amato dal Padre per merito dell’incontro con il Figlio e, proprio per questo, capace di
amare i propri simili chiedendo loro clemenza e dimenticando, a sua volta, le offese ricevute,
in quanto ha sperimentato su di sé il dono della Grazia ricevuta.
6. Eco dell’epoca e recensioni
In Italia, date di varie messe in scena, dalla Prima:
2 marzo 1955 a Milano: Compagnia Stabile del “Piccolo Teatro della città di Milano”
diretto da Paolo Grassi, regia di Orazio Costa
13 gennaio 1956: denuncia al Sant’Uffizio da Alleanza Cattolica Tradizionalista con
un esame critico pagina per pagina del lavoro teatrale concludendo con l’accusa per
“offesa alla religione e istigazione all’odio sociale”
1967: regia Gianfranco Bettetini, al Teatro Stabile di Trieste per la Compagnia Stabile
del Teatro San Babila di Milano
1975: Compagnia diretta da Filippo Torriero
1975: ripreso, sempre dal regista Orazio Costa, al Teatro Biondo di Palermo
1990: Festival alla Versiliana, regia Giancarlo Sepe (medesimo successo)
26 e 27 maggio 2005: nel cinquantesimo di Processo a Gesù, a Forlì tre sessioni di
studio dal titolo Umanità e cristologia nella scena di Diego Fabbri.
All’estero, date di varie messe in scena immediatamente dopo la prima:
13 novembre del 1955, tradotto, a Kassel in Germania al “Kasseler Stadstheater”, a cui
seguiranno i maggiori teatri tedeschi – mentre ancora si stava replicando a Milano –
mentre rilevante resta la rappresentazione sul sagrato della Cattedrale di Colonia nel
settembre 1956.
1955 Het proces om Jezus all’Aia al “De Haagse Comedia” e a seguire nelle principali
città olandesi
13 gennaio 1956 a Vienna al “Theater in der Josefstadt”
23 gennaio 1956 Proceso de Jesu in Spagna a Madrid al “Teatro Espanol”
1956 in Argentina a Buenos Aires al “Teatro Versailles”
1957 in Uruguay a Montevideo alla “Sala Verdi”, poi in Brasile e in Ecuador
31 marzo 1957 a Londra tradotto col titolo Man in Trial al “Lyric Theatre”
26 febbraio 1958 Procès à Jesus in Francia al “Theatre Jacques Hebertor” e
memorabile la rappresentazione del 16 dicembre dello stesso anno al “ Vel d’Hiv”
davanti a 30.000 studenti
10 febbraio 1960 negli Stati Uniti con il titolo rivisto e tradotto in Between two thieves
(In mezzo a due ladroni) a New York al “York Playhouse”
10 febbraio 1961 in Svezia al “Malmö Stadsteater”
A cinquant’anni di distanza dalla prima rappresentazione di Processo a Gesù, dell’autore
Diego Fabbri con la regia di Orazio Costa al Piccolo Teatro della città di Milano, il giornalista
A. Bisicchia scrive sul quotidiano La Sicilia:
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In una fredda sera primaverile del 1955, il sacro irrompe sul palcoscenico laico del Piccolo Teatro, aprendo un ampio dibattito che non si verificava dal debutto dei “Sei personaggi in cerca d’autore”. Le cronache del tempo registrarono il successo dell’operazione, ma non nascosero certe divisioni tra credenti e
non credenti, e qualche perplessità negli stessi organi ecclesiastici (il copione fu passato al vaglio della
censura del Tribunale della Santa Sede), oltre che in quelli della politica [...] Quello che fu considerato il
capolavoro di Fabbri, la cui fama varcò subito la nostra penisola, ebbe un contrastato battesimo in scena,
in un Teatro Stabile, con un regista di prestigio, ma con un successo pari ad un avvenimento [...] La critica non capì se si trattasse di commedia, di disputa religiosa, di dibattito morale, di Sacra rappresentazione, dato l’argomento ed i problemi ad esso inerenti […] e data anche la conclusione, col dibattito che dal
palcoscenico di dilatava verso la platea, coinvolgendo gli spettatori, come in un vero e proprio dramma
medioevale, dove, però, tutto appariva semplice, chiaro, diretto, mentre il dramma di Fabbri non nascondeva certe perplessità, oltre che difficoltà di comunicazione, per i molti dubbi, per l’intricarsi delle domande, per la macchinosità delle risposte. Insomma, il testo aveva bisogno di una regia chiarificatrice, e
tale fu quella di Orazio Costa, una regia attenta ad eliminare i grovigli intellettualistici e a dare dialettica
[…] alle varie tesi contenute nel testo […]. Il dramma di Fabbri tendeva ad una conciliazione, col suo mistico abbandono e con la consapevolezza che Cristo è soltanto amore. La serata ebbe un esito felice, con
tutti gli attori più volte chiamati in proscenio […]. 5
Eligio Possenti sul Corriere della Sera, il giorno dopo il debutto, osserva:
Sacra rappresentazione? Affatto. Non se ne vedono i caratteri. Piuttosto sintesi drammatica condotta con
anima di credente e spirito di poeta, nella quale il passato e il presente si fondono in una continuità di indagini, di sofferenze e di consolazioni.6
In alcuni appunti di regia di Orazio Costa, scritti in occasione del debutto milanese, inseriti
nel programma di sala per la Prima di Processo a Gesù al Piccolo, si legge:
Nella realizzazione al Processo di Gesù, spettacolo e testo saranno alla pirandelliana: una specie di “Personaggi in cerca di Gesù”. Mi appassiona da tempo il destino religioso dell’opera di Pirandello, nonostante le apparenze filosofiche in contrario. Il cristianesimo, si direbbe, si manifesta in Pirandello attraverso il
lato formale più che in quello concettuale del personaggio. 7
Fabbri fu più volte invitato alle prove e certe sere gli capitava di essere estenuato ed angosciato per la prospettiva di un risultato incerto e, forse, non comprensibile al pubblico di allora.
Racconta come, in quei casi, intervenisse il direttore del Piccolo, Paolo Grassi, portandolo via
a mangiare perché, come affermava, bisognava nutrire i poeti. Fabbri aveva stima di Grassi,
come testimonia scrivendo un lungo articolo, di cui il già citato recensore e critico giornalista
Bisicchia, riporta solo la parte dedicata al Processo e alla coraggiosa intuizione di Grassi:
E poi come potrei non parlare del nostro “Processo a Gesù”? Si dice spesso, e credo un po’ ipocritamente,
che non si dovrebbero mai fare “questioni personali”. Ora io sono persuaso che solo di “questioni personali”, quelle cioè che ci hanno coinvolto personalmente, noi possiamo parlare con pienezza e profondità
di conoscenza. E dunque parliamo di “Processo a Gesù”, che mi venne richiesto alla fine dell’estate del
1954 e fu rappresentato ai primi di marzo del ’55. Questo episodio di collaborazione mi consente di lumeggiare la figura di Paolo come quella di un personaggio singolarissimo: uomo di una franca fede ideologica e politica, militante da anni nelle file socialiste, ma anche uomo di alto livello culturale che si ri5
A. Bisicchia, Sulla croce in cerca d’autore - Cinquant’anni dalla prima milanese di “Processo a Gesù” di
Diego Fabbri con la regia di Orazio Costa, La Sicilia, 10 maggio 2005
6
Eligio Possenti, Corriere della Sera, 3 marzo 1955
7
Orazio Costa, Programma di sala, “Processo a Gesù”, Piccolo Teatro della Città di Milano, 2 marzo 1955
9
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chiama essenzialmente alla libertà, dunque in qualche modo imprevedibile. Il modo con cui “Processo a
Gesù” fu scelto, e poi accettato e realizzato, mi dà la certezza di questa libertà e di un insolito coraggio e
indipendenza di giudizio. 8
Diego Fabbri valuta positivamente il fatto che Paolo Grassi, il direttore del Piccolo, dichiaratamente vicino al partito socialista, scelse il testo cristianamente impegnato del suo Processo in chiave cristiana “impegnato” non voleva dire “militante politicamente vicino ai democristiani”, bensì coraggiosamente sbilanciato verso una precisa idea della fede cristiana come fede di amore verso gli ultimi, gli emarginati della società ed infatti conclude il suo intervento
scrivendo: «non v’è dubbio che [Grassi] diede una chiara prova di apertura e di coraggio che
[nel teatro] si vedranno, poi, raramente o addirittura mai più».9 Questi ricordi rivelano riconoscenza e rispettabilità di un modo di far teatro, ma sono anche testimonianza della genesi di
un’opera importante per la storia del teatro italiano, a cui anche il regista Costa si dedicò con
severità e lucidità di intellettuale, regista e credente. Quest’ultima caratteristica fu poi travisata, a partire dagli anni Settanta, come espressione di una concezione reazionaria da cui si difese rispondendo:
La mia posizione esige di essere considerato quale affermazione del rispetto alla personalità
dell’interprete e ancor più della responsabilità individuale all’interno di ogni collettività. Tuttavia è chiaro
che ogni estetica ha la sua dimensione ideologica.10
Nei decenni successivi in cui il testo fu ripreso, Processo a Gesù si mostrò come dramma che
riusciva in modo criticamente costruttivo anche a “dividere”, in quanto sapeva suscitare riflessioni, inculcare dubbi e chiedere risposte a domande impegnative. L’opera perciò sembra “aver aperto una breccia” nel cuore dello spettatore; attraverso di essa le domande sono riproponibili in ognuno, soprattutto quando la forza del messaggio cristiano viene contrapposta alla
sua possibile agonia o quando si cerca di seguire l’indicazione del personaggio del sacerdote
che, di fronte ad ogni decisione da prendere o ad ogni atto che si presenta, sostiene che dovremmo sempre chiederci: “Come si comporterebbe Gesù?”.
8
Diego Fabbri in A. Bisicchia, Sulla croce in cerca d’autore - Cinquant’anni dalla prima milanese di “Processo
a Gesù” di Diego Fabbri con la regia di Orazio Costa, “La Sicilia”, 10 maggio 2005
9
Ibidem
10
Orazio Costa in ibidem
10
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II. VALUTAZIONE DELL’OPERA
1. Valutazione teologica: il processo inserito nella passione evangelica
Ho letto e analizzato i capitoli dei quattro Vangeli dedicati alla Passione, notando che, al
contrario dei racconti della vita pubblica di Gesù, siamo in presenza di un racconto continuo,
che costituisce una lunga unità dall’inizio alla fine. L’ordine generale della narrazione si
inscrive in uno schema solido e comune a tutti gli evangelisti. Questo schema è articolato
attorno a tre svolte importanti: arresto, processo e crocifissione. Quello della Pasqua è il
momento più forte del racconto della salvezza. Qui la concentrazione del senso è la più
grande che si possa immaginare. Qui più che altrove l’annuncio della salvezza, che comporta
una “dottrina” della salvezza, si presenta sotto forma narrativa. Se l’annuncio (Kérygma) ha
preceduto il racconto, richiede a sua volta il racconto, gli fa spazio, lo motiva e lo pervade
dall’inizio alla fine. Ciò che si adempie per noi si rivela davanti a noi in un racconto, in cui ci
è chiesto di ascoltare, di guardare, di comprendere. Il racconto si fa teologia, così come la
teologia successiva rimarrà sempre legata a uno o a un altro elemento del racconto. Dobbiamo
quindi in qualche modo lasciarci guidare dal racconto per coglierne il senso, rispettando le sue
tappe nella loro successione e nella loro solidarietà. Con Gesù dobbiamo discendere in tutto lo
spessore umano e nella profondità divina del dramma, vivere con lui la sua oscurità per
scoprirne progressivamente la luce.
Nella sua passione più che altrove Gesù è il sacramento della salvezza: è nel “segno”
costituito dal suo modo di vivere, di morire e di risuscitare che Gesù opera “effettivamente” la
nostra salvezza ed esercita la “mediazione causale” di riconciliazione fra Dio e l’umanità, che
è l’oggetto della sua missione. Egli adempie ciò che significa: è causa in quanto segno. La sua
causalità è efficace in quanto esemplare. Essa si esercita secondo uno schema relazionale e
interpersonale, secondo lo schema del ristabilimento dello scambio amoroso fra Dio e l’uomo,
scambio che opera nel medesimo tempo la liberazione dal peccato e la divinizzazione. Lo
specifico d’una simile causalità di tipo sacramentale consiste nell’includere nel corso del suo
processo il momento della libera risposta dell’uomo, sollecitato nella sua conoscenza e nel
suo amore. Per questo, stante la dura realtà del peccato, tale causalità sacramentale si incarna
in un dramma che si svolge a livello di libertà: si tratta della lotta tra la libertà divina, che
viene a cercare umanamente l’uomo, e la libertà umana, che si dibatte prima di convertirsi e di
arrendersi. La tematica caratteristica è quella del “giusto perseguitato”: Gesù ha reso
testimonianza fino alla morte, è stato martirizzato a motivo della sua professione di fede, cioè
a motivo della testimonianza che la sua vita rendeva al Padre e, quindi, all’immagine
autentica di Dio. La Passione di Gesù è stata un martirio. Il conflitto fra lui e i suoi avversari
si è acutizzato fino ad assumere la forma dell’emulazione drammatica. La giustizia e la santità
di Gesù fanno uscire allo scoperto la violenza e la menzogna, che vanno fino in fondo alla
loro logica: la giustizia provoca la violenza, l’amore provoca l’odio. Le prime manifestano le
seconde e si rivelano attraverso di esse. Seguendo la tematica del giusto “martire” si arriva a
mettere in luce la “triangolazione” dei protagonisti nel dramma della passione, triangolazione
che si riassume nei differenti significati del verbo consegnare.
Da un lato vi è il mondo dei malvagi, nelle cui mani Gesù è stato consegnato, in particolare dal tradimento
di Giuda; dall’altra parte vi è Gesù il giusto, il quale si consegna liberamente, e dietro di lui il silenzio del
11
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Padre che lo consegna, poiché lo abbandona11.
Soffermiamoci sulla figura di Giuda. Teologicamente è un carattere tragico e oscuro, per la
Bibbia è il traditore, il mentitore. Personalità letteraria interessante, nelle opere di grandi
autori, però, non è quasi mai negativo, tutti lo giustificano oppure lo considerano votato ad
attuare un disegno superiore, come per esempio, nel romanzo dello scrittore greco
Kazantzakis L’ultima tentazione12, dove Giuda è costretto a tradire Gesù per poter realizzare
l’Amore. Diego Fabbri è interessato al fatto che Giuda venda Gesù, quasi senza sapere che
sarebbe stato ucciso, peraltro non certo per soldi, ma per motivi politici. Anche il Sinedrio si
giustifica nello stesso modo: inscena contro Gesù un finto processo, dove lo riconosce
innocente, ma temendo per la propria religione lo manda da Pilato, che ugualmente lo trova
innocente; egli, però, avendo paura di Caifa, sommo sacerdote, si rimette alla Legge ebraica.
Giuda cioè avrebbe anche una sua giustificazione nel cosiddetto tradimento, visto che è il
finanziatore della “causa” di Gesù e dei suoi apostoli e ha criticato i sommi sacerdoti, ma in
quanto banchiere e mercante è abbandonato dagli apostoli stessi, nel momento cruciale,
quando avrebbe potuto decidere di stare con gli altri. Giuda perciò appare come colui che
deciderà di sacrificare la vittima innocente per il presunto bene della comunità, salvo poi
essere, lui stesso, vittima del meccanismo a cui si presta, rimanendone cioè a sua volta
invischiato col senso di colpa e di inadeguatezza, arrivando al suicidio. Così di legge in
Matteo 27,3-10:
Allora Giuda che l’aveva consegnato, vedendo che era stato condannato, preso dal rimorso, restituì i
trenta denari d’argento ai pontefici ed agli anziani, dicendo: ‘Ho peccato, avendo consegnato un sangue
innocente’. Ma quelli risposero: ‘Che importa a noi? pensaci tu’. E gettati i denari nel tempio, si allontanò
ed andò a impiccarsi. Ma i pontefici, presi i denari, dissero: ‘Non è lecito metterli nel tesoro, perché è
prezzo di sangue’. E, dopo aver tenuto consiglio, comprarono con essi il campo del vasaio per la sepoltura
degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato ‘Campo di sangue’ fino ad oggi. Allora si adempì ciò che
era stato detto per mezzo del profeta Geremia: ‘Presero i trenta denari d’argento, prezzo di colui che era
stato venduto, messo a prezzo dai figli d’Israele, e li diedero per il campo del vasaio, come il Signore mi
aveva ordinato’.
Si segue qui lo svolgersi del ragionamento di René Girard13 che, nel suo saggio La violenza e
il sacro, presenta il sacro come il male, come la violenza interna alla comunità, che, espulsa
con la vittima, è diventata bene per la comunità; il sacro è la violenza sovrana che si allontana
e “da fuori” incute venerazione. Il misconoscimento consiste nel credere fermamente che la
vittima sia l’unica responsabile del male, al posto della violenza collettiva, dunque che sia
giusto sacrificarla. Non solo il pensiero religioso ma tutto il pensiero, il linguaggio, il simbolo, la cultura hanno la loro origine nel meccanismo della vittima/colpevole che deve diventare
espiatrice. Procedendo con tale analisi, che Girard sviluppa con il suo successivo saggio, Il
capro espiatorio, appare chiaramente come la novità della Bibbia sia che la vittima è fermamente decisa a respingere le illusioni persecutorie, generando il solo testo in grado di sbarazzarci di tutte le mitologie attraverso una rappresentazione veritiera. Con il cristianesimo non
11
B. Sesboüé, Gesù Cristo l’unico mediatore. Saggio sulla redenzione e la salvezza – 2, S. Paolo, Cinisello
Balsamo 1994, 173.
12
Nicolas Kazantzakis, L'ultima tentazione, 1960, Milano, Frassinelli, 1987
13
René Girard, La violence et le sacré (1972), tr. it. La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 1980 e id., Le bouc
emissaire (1982), tr. it. Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 1987.
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solo i meccanismi della violenza vengono rivelati, ma c’è di più: una persona resiste al loro
contagio, offrendo con tutta la sua esistenza le modalità concrete per superare i problemi derivanti dalla violenza umana. Gesù è il modello alternativo che insegna la Via, la Verità e la Vita e apre la strada alla possibilità del Regno di Dio, della civiltà dell’Amore. A differenza di
tutti i pensatori precedenti e di quelli che verranno, Gesù non pretende di essere unico e originale: anche Lui imita il Padre e ne rivela così il vero volto.
Non si fa nessuna illusione sul successo del suo messaggio.
Per tre volte prevede la sua fine.
Dopo aver invitato invano gli uomini a seguirlo, si mette lui al posto della vittima innocente.
Subisce la tortura e la morte, perdonando i suoi uccisori.
La Bibbia sta dalla parte della vittima. Nella Passione di Cristo le quattro narrazioni evangeliche raccontano gli eventi dal punto di vista della vittima evidenziandone l’innocenza.
Questo percorso è ciò che ho ritrovato proprio nel testo teatrale di Diego Fabbri. Credo però
che, prima di affrontarle teologicamente, sia necessario provare a entrare nel vivo di qualcuna
delle questioni giuridiche riguardanti il processo, che le narrazioni evangeliche evidenziano.
Ho messo a confronto tra loro i quattro racconti evangelici per mezzo di una serie di tabelle di
comparazione delle sezioni dei Vangeli. Il racconto di Giovanni, diversamente dai sinottici,
mostra una conoscenza diretta delle procedure di Legge ebraiche e sembra indicare che il reato di “sedizione” fosse di espressa competenza romana: Caifa interroga Gesù praticamente da
solo e, probabilmente, una volta accertato che il reato non era di competenza del Sinedrio, lo
conduce direttamente da Pilato, investendolo della questione. In questo particolare contesto,
narrato da Giovanni, nessuna riunione del Sinedrio appare necessaria. Si tratta di un arresto di
un “criminale” condotto immediatamente alle autorità competenti, per il grave reato commesso di ribellione: il tradimento verso Cesare e Roma, la sobillazione contro le autorità costituite, la proibizione di pagare i tributi a Cesare, l’affermare di essere Re e Scelto (o Unto). Tali
accuse appaiono chiaramente evidenziate in Luca e risultano giustificate e confortate, nella
sostanza, dal comportamento precedente di Gesù (temporanea “occupazione” del tempio
quando si scaglia contro i mercanti, proclamazione della propria Maestà, rifiuto di pagare il
tributo a Roma). Secondo la mentalità di Caifa, che valuta anche il fatto che Gesù goda di un
notevole seguito e che i tempi di decisione fossero stretti, una riunione del Sinedrio avrebbe
presentato non pochi rischi: Nicodemo e parecchi altri giudici farisei avrebbero potuto invalidare le decisioni assunte, come si potrà notare leggendo gli Atti degli Apostoli, nel successivo
processo a Pietro.
PRIMO SINEDRIO - di notte, la convocazione appare ufficiosa e irregolare: nel periodo pasquale era vietato al Sinedrio di riunirsi. Sono presenti testimoni, falsi o non concordi, sia discepoli sia altri soggetti non appartenenti alla corte. Vengono portate accuse di blasfemia e
viene “estorta” una sorta di confessione, con seguente unanimità dei voti. I primi interrogatori
vengono posti in essere da singoli individui ed in assenza di una corte legale. L’arrestato viene indebitamente maltrattato.
MARCO 14,53-65
53 Allora, essi condussero
Gesù davanti al capo dei
MATTEO 26,57-68
57 Quelli che avevano
arrestato Gesù lo con-
LUCA 22,54
54 Dopo averlo preso, lo
condussero via e lo porta-
13
GIOVANNI18,12-24
12 La coorte allora, il
tribuno e le guardie dei
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sacerdoti, gli anziani e gli
scribi. 54 E Pietro lo seguì
da lontano fin dentro l’atrio
del capo dei sacerdoti. E si
mise a sedere coi servi e si
scaldava al fuoco. 55 Ora i
capi dei sacerdoti e tutto il
sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù
per farlo morire, ma non la
trovavano, 56 perché molti
testimoniavano falsamente
contro di lui, ma le loro testimonianze non erano
concordi, 57 E alcuni dei
presenti testimoniavano il
falso contro di lui dicendo:
58 “Noi l’abbiamo sentito
dire: Io distruggerò questo
tempio fatto da mano
d’uomo e in tre giorni ne
costruirò un altro non fatto
da mani d’uomo”. 59 Ma
neppure così la loro testimonianza era concorde. 60
E alzatosi in mezzo, il capo
dei sacerdoti interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi
nulla? Di cosa costoro ti
accusano?”. 61 Ma egli taceva e non rispose nulla. Di
nuovo il capo dei sacerdoti
lo interrogava e gli dice:
“Tu sei il Cristo, il Figlio
del Benedetto?”. 62 Gesù
rispose: “Io lo sono, e vedrete il Figlio dell’Uomo
seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi
del cielo”. 63 Allora il capo
dei sacerdoti, strappandosi
le vesti, dice: “Che bisogno
abbiamo ancora di testimoni? 64 Avete sentito la bestemmia? Che vi pare?”,
Tutti allora sentenziarono
che era reo di morte. 65 E
alcuni cominciarono a sputargli addosso, gli coprivano il volto e lo schiaffeggiavano dicendogli: “Indovina”. E i servi gli davano
degli schiaffi.
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dussero da Caifa, sommo
sacerdote, presso il quale
gli scribi e gli anziani si
erano radunati. 58 Pietro
lo seguiva da lontano fino al cortile del sommo
sacerdote, ed entratovi,
sedeva con i servi per
vedere la fine. 59 Ora i
pontefici e tutto il sinedrio cercavano qualche
falsa testimonianza contro Gesù per farlo morire, 60 ma non ne trovavano, pur essendosi presentati molti falsi testimoni. Finalmente, accostatisi due, 61 dissero:
“Costui ha detto: Io posso distruggere il tempio
di Dio e riedificarlo in
tre giorni”. 62 Il sommo
sacerdote, alzatosi, gli
disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testificano
costoro contro di te?” 63
Ma Gesù taceva. Il
sommo sacerdote gli disse: “ Ti scongiuro per il
Dio vivente, che tu ci dica se sei il Cristo, il Figlio di Dio”. 64 Gesù gli
risponde: “Tu l’hai detto.
Anzi vi dico: da ora vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della
Potenza, venire sulle nubi del cielo”. 65 Allora il
sommo sacerdote si
stracciò le vesti, dicendo: “Ha bestemmiato!
Che bisogno abbiamo
ancora di testimoni? Ecco, ora voi avete udito la
sua bestemmia. 66 Che
ve ne pare?”. Ora quelli,
rispondendo, dissero: “
E’ reo di morte!”. 67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri poi lo percossero, 68 dicendo: “Indovina, o Cristo, chi ti ha
percosso”.
14
rono nella casa del sommo
sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano.
Giudei si impadronirono
di Gesù. Lo legarono 13
e lo condussero prima da
Anna, che era suocero
di Caifa, il quale era
pontefice quell’anno. 14
Caifa era colui che aveva
consigliato i Giudei:
“Conviene che un uomo
solo muoia per il popolo”……..
19 Il pontefice dunque
interrogò Gesù intorno ai
suoi discepoli e al suo
insegnamento. 20 Gesù
gli rispose: “Io ho parlato apertamente al mondo, ho sempre insegnato
nella sinagoga e nel
tempio dove tutti i Giudei si radunano e nulla
ho detto di nascosto. 21
Perché interroghi me?
Interroga quelli che hanno udito che cosa ho detto loro, ecco, essi sanno
che cosa ho detto”. 22
Ma avendo egli detto
queste cose, uno dei ministri presenti diede uno
schiaffo a Gesù dicendo:
“Così rispondi al pontefice?”. 23 Gesù gli rispose: “Se ho parlato
male testimonia del male, ma se ho parlato bene
perché mi percuoti?”. 24
Anna allora lo mandò
legato dal pontefice Caifa.
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SECONDO SINEDRIO: manca il rispetto del periodo di Legge tra prima e seconda eventuale udienza.
MARCO 15,1
1 E subito, la mattina, i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio, con gli anziani e gli
scribi, dopo aver tenuto
consiglio, legato Gesù, lo
condussero e lo consegnarono a Pilato.
MATTEO27,1-2
1 Fattosi poi giorno, presero consiglio tutti i pontefici e gli anziani del
popolo contro Gesù per
farlo morire. 2 Legatolo,
lo condussero e consegnarono al governatore
Pilato.
LUCA 22,66-71
66 Quando si fece giorno,
si radunò il consiglio degli
anziani del popolo, capi
dei sacerdoti e scribi e lo
fecero condurre davanti al
loro sinedrio, 67 dicendo:
“Se tu sei il Cristo, diccelo”. Ma egli disse loro:
“Se ve lo dico non mi crederete, 68 se vi interrogherò non mi risponderete. 69 D’ora innanzi il Figlio dell’uomo siederà alla
destra della potenza di Dio”. 70 Allora tutti dissero:
“Dunque tu sei il Figlio di
Dio?”. Egli rispose loro:
“Sì, lo sono”. 71 Allora
essi dissero: “Abbiamo
ancora bisogno di testimonianze? Noi stessi
l’abbiamo udito dalla sua
bocca”.
GIOVANNI 18,28
28 Intanto conducono
Gesù da Caifa, nel pretorio. Era mattina. Ed essi
non entrarono nel pretorio per non contaminarsi
e poter mangiare la pasqua.
PILATO ed ERODE: sequenza di accuse apparentemente incongrue sino a quella di tradimento e rivolta contro Cesare e Roma. Doppia sanzione (flagellazione e crocifissione). Usanza pasquale di rilasciare un prigioniero.
MARCO 16,2-15
MATTEO 27,11-26
LUCA 23,2-25
2 Allora Pilato lo interrogò:
“Tu sei il re dei Giudei?”.
Ed egli, rispondendo, gli
dice: “Tu lo dici”. 3 I capi
dei sacerdoti intanto lo accusavano di molte cose. 4
E Pilato lo interrogava di
nuovo dicendo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano”. 5 Ma
Gesù non rispose più nulla,
tanto che, Pilato rimase
meravigliato. 6 Ora per la
festa soleva liberare loro un
carcerato, qualunque richiedessero. 7 Vi era uno,
11 Gesù poi comparve
davanti al governatore e
il governatore lo interrogò dicendo: “Tu sei il re
dei Giudei?” Gesù rispose: “Tu lo dici”. 12 Ma
egli, mentre era accusato
dai pontefici e dagli anziani, non rispose nulla.
13 Pilato allora gli dice:
“Non senti quante cose
attestano contro di te?” .
14 Ma non rispose neppure ad una parola, sicché il governatore se ne
meravigliò assai. 15 In
1 Allora, tutta l’assemblea
si alzò, lo condusse da Pilato 2 e cominciarono ad
accusarlo dicendo: “Abbiamo trovato costui che
sovverte la nostra gente e
proibisce di pagare i tributi a Cesare, dicendo di essere il re messia”. 3 Pilato
lo interrogò dicendo: “Sei
tu il re dei Giudei?”. Egli
rispondendo gli disse: “Tu
lo dici”. 4 Pilato allora
disse ai capi dei sacerdoti
e alle folle: “Non trovo alcuna colpa in
15
GIOVANNI 18,2919,16
29 Pilato uscì dunque
fuori da loro e disse:
“Quale accusa portate
voi contro
quest’uomo?”. 30 Gli risposero e dissero: “Se
costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo consegnato”. 31
Pilato allora disse loro:
“Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra
legge”. Gli dissero i
Giudei: “A noi non è lecito uccidere alcuno”. 32
Affinché fosse adempiu-
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chiamato Barabba, incarcerato insieme a dei sediziosi
che in una ricolta avevano
commesso un omicidio. 8 E
la folla, facendosi avanti,
cominciò a chiedere quanto
egli era solito concedere loro. 9 Pilato rispose loro dicendo: “Volete che vi liberi
il re dei Giudei?”. 10 Capiva bene infatti che i capi
dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia.
11 Ma i capi dei sacerdoti
istigarono la folla, perché
liberasse loro piuttosto Barabba. 12 E Pilato, rispondendo di nuovo, diceva loro: “Che farò dunque di colui che chiamate il re dei
Giudei?” 13 Ma quelli urlarono di nuovo. “Crocifiggilo”. 14 E Pilato diceva loro: “Che ha fatto dunque di
male?”. Ma quelli gridavano ancora più forte: “Crocifiggilo”. 15 Pilato, allora,
volendo fare cosa gradita
alla folla, liberò loro Barabba e consegnò Gesù,
dopo averlo fatto flagellare,
perché fosse crocifisso.....
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ogni festa, il governatore
era solito rilasciare alla
folla un prigioniero,
quello che essi volevano.
16 Allora, avevano un
prigioniero famoso detto
Barabba. 17Pilato dunque, essendo essi radunati, disse loro: “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù detto il Cristo?”. 18 Egli infatti sapeva che glielo avevano
consegnato per invidia.
19 Mentre sedeva in tribunale, la moglie gli
mandò a dire: “Non vi
sia nulla fra te e quel
giusto perché oggi, in
sogno, ho molto sofferto
per causa sua”. 20 Ora, i
pontefici e gli anziani
persuasero le folle a
chiedere Barabba e a
perdere Gesù. 21 Riprendendo la parola, il
governatore disse loro:
“Quale dei due volete
che io vi liberi?”. Allora
essi dissero: “Barabba”.
22 Dice loro Pilato: “Cosa dunque farò di Gesù
detto il Cristo?” Rispondono tutti: “Sia crocifisso”. 23 Ma egli replicò:
“Che male dunque ha
fatto?”. Essi intanto gridavano più forte dicendo: “Sia crocifisso”. 24
Allora Pilato, visto che
non approdava a nulla
ma anzi, ne nasceva un
tumulto, prese
dell’acqua e si lavò le
mani davanti al popolo
dicendo : “Io sono innocente del sangue di questo giusto. Ve la vedrete
voi”. 25 E tutto il popolo
rispose: “ Il sangue suo
ricada su di noi e sui nostri figli”. 26 Allora, egli
lasciò loro libero Barabba e, dopo averlo fatto
flagellare, consegnò loro
16
quest’uomo”. 5 Ma essi
insistevano dicendo: “Solleva il popolo, insegnando
per tutta la Giudea, a cominciare dalla Galilea fin
qui”.. 6 Udito ciò Pilato
chiese se quell’uomo fosse galileo 7 e, saputo che
era della giurisdizione di
Erode, lo mandò ad Erode
il quale, in quei giorni, si
trovava a Gerusalemme. 8
Erode, visto Gesù, si rallegrò molto: era infatti
molto tempo che desiderava vederlo per tutto
quello che aveva udito dire di lui e sperava che
l’avrebbe visto compiere
un miracolo. 9 Gli rivolse
dunque molte domande,
ma egli non rispose nulla.
10 I capi dei sacerdoti e
gli scribi che stavano lì,
l’accusavano con violenza. 11 Ed Erode, dopo averlo disprezzato insieme
ai suoi soldati e averlo vestito con una veste bianca,
lo rimandò a Pilato. 12
Erode e Pilato quel giorno
divennero amici, essi che
prima erano nemici l’un
l’altro.13 Pilato poi, convocati i capi dei sacerdoti,
i magistrati e il popolo, 14
disse loro: “Mi avete condotto quest’uomo come un
sobillatore del popolo, ed
ecco che io, dopo averlo
esaminato alla vostra presenza, non ho trovato in
quest’uomo nessuna delle
colpe di cui l’accusate, 15
ma neppure Erode: infatti
l’ha rimandato a noi ed
ecco, non ha fatto niente
che sia degno di morte. 16
Perciò, dopo averlo flagellato, lo libererò”.
17 Ora, egli doveva in occasione della festa liberare
loro un prigioniero. 18
Tutti insieme gridarono
dicendo: “Togli via costui
ta la parola che Gesù aveva proferito alludendo
alla sorta di morte di cui
doveva morire: 33 Pilato
entrò dunque ancora nel
pretorio, chiamò Gesù e
gli disse: “Tu sei il re dei
Giudei?”. 34 Rispose
Gesù: “Dici questo da te
stesso o altri te lo dissero
di me?”. 35 Rispose Pilato: “Sono forse io giudeo? La tua gente e i
pontefici ti hanno consegnato a me. Che cosa hai
fatto?”. 36 Rispose Gesù: “Il mio regno non è
di questo mondo; se il
mio regno fosse di questo mondo i miei ministri avrebbero combattuto perché io non fossi
consegnato ai Giudei.
Ma il mio regno non è di
qui”. 37 Gli disse allora
Pilato: “Dunque, sei tu
re?”. Rispose Gesù: “Tu
dici bene che sono re. Io
per questo sono nato e
per questo sono venuto
al mondo: per rendere
testimonianza di verità.
Chiunque è della verità
ascolta la mia voce”. 38
Gli dice Pilato: “Che cosa è la verità?”. E detto
questo, uscì di nuovo dai
Giudei e dice loro: “Io
non trovo in lui alcuna
colpa. 39 Ora , è consuetudine che io vi liberi
uno nella pasqua. Volete
dunque che vi liberi il re
dei Giudei?”. 40 Allora
gridarono di nuovo dicendo: “Non costui, ma
Barabba”. E Barabba era
un ladro.
19, 1 Pilato dunque prese Gesù e lo fece flagellare. 2 E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e lo vestirono con un
pallio di porpora. 3 Poi
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Gesù, perché fosse crocifisso....
17
e liberaci Barabba”. 19
Costui era in carcere per
una sommossa capeggiata
in città e per un omicidio.
20 Di nuovo Pilato parlò
loro, volendo liberare Gesù, 21 ma essi gridavano
dicendo: “Crocifiggilo!
Crocifiggilo!”. 22 Egli
disse loro per la terza volta: “Quale male ha fatto
costui? Non ho trovato
nulla in lui che sia meritevole di morte perciò, dopo
averlo flagellato, lo rimetterò in libertà”. 23 Ma
quelli insistevano a gran
voce perché venisse crocifisso e le loro voci ingrossavano sempre di più. 24
Allora Pilato deliberò che
fosse fatto ciò che chiedevano. 25 Liberò invece
colui che per sedizione e
omicidio era stato gettato
in carcere e che essi avevano richiesto, consegnando Gesù alla loro volontà.
gli venivano davanti e
dicevano : “Salve, o re
dei Giudei”. e gli davano
delle percosse. 4 Pilato
intanto uscì ancora fuori
e dice loro: “Ecco, ve lo
conduco fuori affinché
sappiate che non trovo in
lui alcuna colpa”. 5 Gesù
uscì dunque fuori, portando la corona di spine
e il pallio di porpora. E
dice loro: “Ecco
l’uomo!”. 6 Quando
dunque lo videro i pontefici e i ministri gridarono
dicendo: “Crocifiggilo,
crocifiggilo”. Dice loro
Pilato: “ Prendetelo voi e
crocifiggetelo, ché io
non trovo in lui alcuna
colpa”. 7 Gli risposero i
Giudei: “Noi abbiamo
una legge e secondo la
legge deve morire, perché si è fatto Figlio di
Dio”. 8 Quando dunque
Pilato udì questo discorso si impaurì di più, 9
entrò ancora nel pretorio
e dice a Gesù: “Tu, di
dove sei?”. Gesù però
non gli diede risposta. 10
Gli dice dunque Pilato:
“Non mi parli? Non sai
che ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti?”. 11 Rispose
Gesù: “Non avresti nessun potere su di me, se
non ti fosse stato dato
dall’alto. Per questo ha
una colpa più grande chi
mi ha consegnato a te”.
12 Da allora Pilato cercava di liberarlo. I Giudei invece gridavano dicendo: “Se liberi costui
non sei amico di Cesare,
chiunque si fa re va contro Cesare”. 13 Uditi
questi discorso, Pilato
condusse fuori Gesù e si
assise in tribunale nel
luogo detto Litostroto, in
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ebraico Gabbata. 14 Era
la vigilia della pasqua,
era quasi l’ora sesta. Ed
egli dice ai giudei: “Ecco
il vostro re!”. 15 Quelli
allora gridarono: “Via,
via, crocifiggilo”. Dice
loro Pilato: “Devo crocifiggere il vostro re?”.
Risposero i pontefici:
“Non abbiamo altro re
che Cesare”. 16 Allora
lo consegnò loro affinché fosse crocifisso.
IL CARTIGLIO o TITULUS CRUCIS fatto collocare da Pilato sopra la croce, reciterebbe
la causa reale della pena inflitta vale a dire il tradimento e la rivolta contro Roma. Infatti, INRI sono le iniziali dell’espressione latina «Jesus Nazarenus Rex Iudaeorum» che rimanda al
testo greco del Vangelo di Giovanni così tradotto da san Girolamo nella Vulgata.
MARCO 15,26
MATTEO 27,37
LUCA 23,38
GIOVANNI 19,19-22
26 E l’iscrizione che indicava il motivo della sua
condanna diceva: “Il re dei
Giudei”
37 Al di sopra del suo
capo posero scritto il
motivo della sua condanna: “Questi è Gesù, il
re dei Giudei”
38 C’era anche sopra di
lui una scritta in greco, latino ed ebraico: “Questi è
il re dei Giudei”
19 Pilato scrisse anche
un cartello e lo pose sulla croce. E vi era scritto:
“Gesù Nazareno, re dei
Giudei”. 20 Questo cartello lo lessero molti dei
Giudei, perché il luogo
dove fu crocifisso Gesù
era vicino alla città e lo
scritto era in ebraico, latino e greco. 21 Dicevano dunque a Pilato i pontefici dei Giudei: “Non
scrivere: Re dei Giudei,
ma che egli ha detto: sono re dei Giudei”. 22 Pilato rispose: “Quel che
ho scritto, ho scritto”.
Il fatto reale della crocifissione resta, secondo i testi evangelici, ma stando alla tesi presentata
nel saggio Il processo a Gesù14 di Samuel Brandon, un Gesù come quello descritto nei vangeli
è difficile da dimostrare, tenendo anche conto delle numerose contraddizioni mostrate.
L’assenza di fonti scritte prima del II secolo d.C. e la presenza di strati temporalmente diversi
in Marco ed in “Q” (dei quali il più antico ed originale sembra essere costituito dalla raccolta
di detti e parabole) porta lo studioso a ritenere che sia stato prodotto progressivamente una
14
Samuel Brandon, “Il processo a Gesù”, traduzione italiana di Matilde Segre, Ivrea, Edizioni di Comunità,
1974.
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sorta di “racconto” (sempre con nuove aggiunte ed adattamenti) di senso compiuto, forse facente perno su uno dei numerosi messia che vennero giustiziati per sedizione (una sorta di antico “mito metropolitano”). La ricerca di Brandon rivela che nei vangeli sono confluiti due diversi filoni: l’interpretazione che i seguaci diretti di Gesù avevano di lui inserito nelle vicende
della Palestina ebraica del tempo e la visione, che Paolo di Tarso elabora in parallelo e in contrasto con la prima, per organizzare il cristianesimo in una fede sovranazionale nel mondo ellenizzato dominato dalla potenza di Roma. Il capitolo finale del saggio presentato dello studioso anglicano Il processo a Gesù nella tradizione e nell’arte cristiana antica presenta
l’interpretazione di molti reperti pittorici e soprattutto scultorei, fino al V secolo dopo Cristo,
che rappresentano alcuni momenti del processo e che con intento apologetico si focalizzano
sul momento di Gesù davanti alla volontà deresponsabilizzante di Pilato, mentre nell’epoca
delle catacombe e della persecuzione contro i cristiani si privilegiano immagini di resurrezione e quelle relative alla certezza di una ricompensa dopo la morte, che era la preoccupazione
quotidiana dei cristiani della prima ora. Sarà il Medioevo che non temerà di puntare
l’attenzione sulla crocifissione e, in rappresentazioni teatrali, sul lungo processo che ebbe assicurato l’interesse dei credenti dalla prosa vivace dei vangeli, divenuta familiare a tutti attraverso la sua lettura nelle cerimonie liturgiche. Perché il processo a Gesù come evento storico
cominci a suscitare interesse bisogna attendere l’acuto senso della storia che caratterizza il
pensiero occidentale moderno dal 1800 in poi. Gran parte di tale nuovo interesse è stato ispirato dal desiderio di difendere l’autenticità delle narrazioni evangeliche, derivata
dall’apologetica originale di Marco.
Proprio in tale direzione si può inserire anche il testo teatrale di Diego Fabbri, che vuole attualizzare l’evento per ridestare con successo la riflessione sulla figura di Gesù e su ciò che possa
simbolicamente rappresentare per ogni uomo. Così i personaggi storici di Caifa, Pilato, Pietro
e Giuda hanno dei paralleli epigoni nei personaggi della compagnia di ebrei che ogni sera
mettono in scena il Processo a Gesù: Elia incarna la colpa di Caifa nel Sinedrio, Rebecca il
distacco di Pilato, Sara la prossimità di Pietro, mentre Davide la discolpa e il “tradimento” di
Giuda. Il loro agire e interrogarsi sulla scena riporta quesiti di natura teologica, che hanno eco
e risonanza fino ai lettori e spettatori contemporanei, oltre che semplicemente interessati a un
testo inusuale come è quello di Diego Fabbri. Infatti, dopo una lettura e diverse riletture del
breve ma intenso dramma teatrale, rimane persistente la domanda: in che modo è ancora possibile vivere l’essenziale dell’esperienza cristiana nell’epoca contemporanea, segnata dal fenomeno imponente della secolarizzazione? Il cristianesimo si trova, infatti, a dover verificare
la propria capacità di reggere la prova della vita, facendo percepire la bellezza del credere e
portando a riconoscere e praticare il giusto senso dell’esistenza, nell’ascolto vitale della Parola di Dio capace di attestare la verità che rende liberi. Da questa prospettiva, anche la secolarizzazione non è più soltanto un pericolo da scongiurare, quanto piuttosto una buona opportunità per l’accoglienza proprio del Vangelo.
Fabbri accompagna il lettore nella ricerca di risposte, invitandolo a misurarsi con le sfide
dell’oggi. Penso per esempio alla sfida che le paure odierne impongono all’esistenza
dell’uomo e che assumono svariati nomi: ansia, paura, attacchi di panico e stress. La paura, in
senso stretto e rilevante per la nostra analisi testuale, è quello stato di allarme generalizzato
che si attiva nei confronti di una situazione minacciosa. Ecco, in particolare da questo testo, si
deduce come sia proprio la paura della verità a prevalere su tutte le riprove essenziali del senso del processo. Su questa linea conduttrice ho provato ad analizzare la posizione di ogni personaggio nello svolgimento della vicenda narrata. Lo afferma Elia fin dalle sue prime battute,
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in un appassionato monologo iniziale che ricostruisce come sia potuta cominciare l’avventura
della compagnia di teatro, per lui che, prima, era un giovane professore universitario della facoltà di Tubinga; egli conclude la ricostruzione degli inizi della messa in scena della pièce,
dicendo: «Sono diventato vecchio per questo assillo che non mi ha più lasciato», quasi a dimostrazione di aver convissuto per tanti anni con la paura di trovarla questa risposta di verità
alla sua domanda basilare per il processo: «Cosa accadde veramente sul monte Calvario: quella crocifissione fu soltanto una dolorosa crudeltà umana o invece una colpa ben più grave che
in qualche modo ci segue?». Elia è mosso dal tormento di trovare una verità; ha il sospetto
che non sia stato solo un processo sbagliato verso un presunto sobillatore del popolo, ma che
si siano toccati alcuni punti sicuramente nevralgici per cui si rileggerebbe con la nota calunnia
di “deicidio” la persecuzione di tutti loro come ebrei: «Perché noi, da duemila anni, siamo stati perseguitati da tutti?Perché la naturale cattiveria degli uomini si è concentrata con tanta assiduità proprio su noi ebrei?». Davide è l’Accusatore di un dibattito, a suo dire, prettamente
giuridico, allora come ora: non ha dubbi né tentennamenti, che sono per lui un segno di debolezza tipico dei cristiani. «Ti hanno rovinata i cristiani. Sì, perché ti hanno messo il dubbio
dentro» risponderà a Sara, che esprime la sua amarezza nel sentirsi indegna e nel vergognarsi
di se stessa per la mancanza di coraggio che prevale in lei e in loro da un ventennio, da quando continuano ad inscenare questo per lei ormai stanco e ripetitivo “processo al processo”.
Davide, in modo intransigente, sulla scena di ricostruzione del processo cerca l’unica verità
possibile per spiegare la condanna di Gesù, che è semplicemente l’accusa di sobillazione popolare. Egli non vuole andare più a fondo di questo aspetto superficiale relativo all’oggetto
del contendere, perché la sua fedele presenza nella compagnia è da lui stesso spiegata solo dal
suo tenace amore per Sara, quando nell’intermezzo si confessa proprio davanti a lei: «(fermandola per un braccio)…è per poterti vivere accanto che fingo di interessarmi ancora a questo…processo», ma anche le sue parole per reagire alla decisione di Sara, ormai esausta, di
andarsene per sempre dalla famiglia, dalla compagnia teatrale e dalle interminabili serate dedicate alla rivisitazione del processo al Vero o falso Messia tanto atteso dal popolo ebraico:
«Dovunque tu vada, io ti verrò dietro – ricordalo!».
Caifa afferma a proposito di Gesù che, sostanzialmente, ha potuto avere tanto seguito perché
la sua natura è quella letteralmente di essere un seduttore, “colui che trae a sé” chi lo circonda; è il fascino che Gesù emana a spiegare perfino la sua inevitabile morte, per uomo così pericoloso quasi dovuta come forma di “auto-protezione” da parte della comunità, in cui Egli
viveva e operava, in modo così innovativo, lontano dalla faziosità, dalle divisioni politiche e
da ogni tentativo di ribellione territoriale tra i diversi popoli presenti in quella terra (ebrei di
Giudea, di Samaria, di Galilea, così come gli occupatori Romani per citare i principali):
Non aveva bisogno di convincere, perché incantava - che è molto di più [...] a un certo punto lo facemmo
seguire durante le sue peregrinazioni… cominciammo allora a misurare la gravità del pericolo […] il popolo l’ascoltava ma non l’intendeva affatto, subiva egualmente il fascino di quelle parole: credeva. Ecco il
pericolo nuovo: credere.
Di fatto, nel corso della deposizione, Caifa ammette che lui stesso è incantato da Gesù e ne ha
subito il fascino seduttivo che Egli con la sua figura, la sua predicazione e le sue azioni miracolose emana, tanto che risponde al pubblico ministero, all’accusatore Davide «C’è una tale
luce in quelli che tu consideri accecamenti che non l’immagini nemmeno». Caifa nel testo di
Fabbri non sembra proprio condannare Gesù, anzi: è perciò diverso dal personaggio evangeli20
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co. Più avanti quando si fa serrato il faccia a faccia inevitabile tra Caifa e Pilato, il capo del
Sinedrio deve ammettere che la paura è il sentimento che prevalse tra di loro, la «paura di non
poterlo condannare perché le sue risposte avevano il timbro della buona fede, della verità»,
timore che costrinse i capi ebraici a mandarlo da Ponzio Pilato, governatore romano al Pretorio, che a sua volta lo invia ad Erode Antipa, soltanto per la pigrizia di non volersi immischiare in «una faccenda che consideravo di fanatici», così Pilato afferma, per poi doverlo affrontare comunque in un faccia a faccia inevitabile la cui domanda cardine fu proprio “Che cosa è la
verità?”.
Il confronto tra Caifa e Pilato durante la ricostruzione del processo è ciò che fa infuriare Sara,
perché di fronte al loro continuo rinfacciarsi le responsabilità e le colpe, ella reagisce mostrando la sterilità di questo accanirsi nel capire chi ha sbagliato giuridicamente: ella cioè sposta il confronto su un piano interessante e risolutivo, quello del dibattito spirituale di coscienza. «Se vi accontentate della logica e della coerenza devo dire che Gesù fu ben condannato.
Ma devo anche aggiungere che per arrivare a questa conclusione formale non c’era proprio
bisogno di tanta messinscena. Io ho finito». Nel solco di Georges Bernanos, il personaggio di
Sara nel testo di Diego Fabbri esprime il suo sarcasmo e il suo disprezzo del limite di attenersi
al processo nel suo aspetto di condanna e sentenza di un imputato; sembra, infatti, che sia lei
stessa che dice le parole che si leggono in uno dei numerosi scritti di Bernanos:
Innanzitutto non è affatto certo che avremmo messo in croce il Salvatore. Poi giratela pure come volete, i
deicidi appartenevano alla categoria dei devoti. No, giratela come volete, non si potrebbe mettere il deicidio tra i delitti comuni. È un delitto raffinato, anzi il più raffinato dei delitti, un delitto raro perpetrato da
sacerdoti opulenti con l’approvazione dell’alta borghesia e degli intellettuali di quel tempo, che si chiamano scribi15.
Addirittura si potrebbe pensare che Sara veda una “riconciliazione” degli avversari prestigiosi
sul caso Gesù: Giudei, Romani che si odiavano reciprocamente preoccupati per il loro prestigio più che della verità, si sono trovati d’accordo e così Gesù è potuto soccombere a causa di
questo incauto convergere sul caso benché per i motivi più disparati tra Erode, Ponzio Pilato,
Caifa. Nel procedere dell’opera di Fabbri effettivamente è il personaggio di Sara che trasforma la sua incertezza iniziale in disagio ed infine in coraggio di ricercare la verità oltre la superficie, costringendo così gli spettatori a prendere posizione di fronte alla memoria di Gesù.
Elia, il padre la segue su questa strada, perché qualcosa dentro rode anche lui e non gli permette di accontentarsi né tantomeno di avere paura.
Il discorso poi si sposta anche sul valore dei miracoli e sulla controversia fede / gesti miracolosi: la paura di non essere di fronte al Messia assale tutti, anche i suoi più stretti discepoli,
perché nel momento cruciale della prova per Lui, il tanto atteso miracolo salvifico finale non
arriva; lo scendere dalla croce che tutti si aspettavano, sia i fedeli seguaci sia i suoi detrattori,
non arriva. La logica del Gesù Via – Verità – Vita è quella che Sara interpreta meglio, seguita
poi dal personaggio della Maddalena: per comprendere tale logica è necessario camminare
sulla via spirituale dell’Amore, lontana dalle più battute “strade” della logica prettamente umana.
15
G. Bernanos, I grandi cimiteri sotto la luna, Milano, Mondadori, 1992
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2. Considerazioni personali
Affascinata dalla lettura di un testo così attuale, benché lontano nel tempo, mi sono resa conto
che può risultare, alla sensibilità e all’abitudine del lettore odierno, come desueto e datato,
forse perché rimane legato nella sua composizione anche al particolare momento storico
italiano e all’impegno socio-politico dell’autore, inserito nell’atmosfera culturale italiana ed
europea degli anni Cinquanta volta da parte cattolica a privilegiare un dramma unitario
apologetico della Verità cristiana. Conscia che la sensibilità contemporanea privilegia la
complessità, la contraddizione, vale a dire il pensiero “debole”, ho comunque provato a
rileggerlo slegato dalle suddette influenze. Trovo che Processo a Gesù sia una forma di teatro
“aperto”, corale, sempre incentrato sul gioco del “teatro nel teatro”, che attiva nuove strategie
di coinvolgimento del pubblico. Gesù è al centro come presenza-assenza: funge da
spartiacque tra i personaggi (Elia, Rebecca, Sara, Davide e gli altri) i quali si interrogano sulla
propria prossimità - lontananza, sull’appartenenza o meno a Gesù e sulla responsabilità o
discolpa relativamente alla sua morte, meglio dire alla sua condanna a morte.
CONCETTI
Responsabilità/colpa
Lontananza/distacco
Prossimità/appartenenza
Discolpa/giustificazione
SPARTIACQUE-SNODO
G
E
S
U
PERSONAGGI
Elia (Mediazione)
Rebecca (Contraddizione)
Sara (Speranza)
Davide (Intransigenza)
Il processo appare come un itinerario di conversione, il cui significato etimologicamente può
essere tradotto in tre modi simili ma diversi quasi a suggerire che il processo a Gesù sia un
passaggio a tappe, che vuol partire dall’unica riscoperta possibile per le nostre vite che è
l’epistrofé, il ritorno alla sorgente autentica, Gesù, per poi giungere ad una katastrofé, un
capovolgimento, che porti a una vera metànoia, la piena conversione finale personale e corale.
Il processo è intentato, da parte di una compagnia teatrale di ebrei, a un imputato, Gesù, che
pur assente occupa la scena con la sua presenza. Essi mettono in scena ogni sera da venti anni
questo processo con gli interrogativi laceranti ad esso connessi; la domanda che formulo è:
“Cos’è emersa come consapevolezza o come possibile risposta in costoro, che per così lungo
tempo si sono voluti confrontare con tali quesiti?” Nello spettatore – lettore del dramma di
Diego Fabbri si insinua, fin dalle prime battute, la consapevolezza graduale che il processo sia
celebrato a tutti noi; il senso dell’esistenza individuale e di tutti è ciò che viene sottoposto al
giudizio della giuria, degli spettatori, ma prima di tutto al giudizio della coscienza di ognuno.
Emerge infatti che tutti, tra gli attori e gli spettatori, hanno perso il senso della vita, sono
paralizzati nell’incapacità di capire il dolore personale di ognuno di loro e questo li porta agli
interrogativi umani fondamentali per l’esistenza: “Chi sono io? Che senso ha la mia vita?”.
Alla conclusione del testo trovano una risposta, perché l’autore fa affermare ai suoi
personaggi che il senso della vita lo può dare soltanto l’incontro personale con Gesù, che
assume così il valore di soluzione redentrice alla tragedia messa in scena. Sembra che il testo
teatrale proponga che il processo a Gesù non finisca e possa durare finché ci saranno uomini e
donne che prendono posizione nei suoi confronti; l’esito non è scontato soprattutto se si
riflette sulle parole di Gesù che l’evangelista Luca nel capitolo 18 al versetto 8 riporta così
«Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Viene in mente perfino
Dostoevskij quando nel suo romanzo I fratelli Karamazov fa narrare all’intellettuale Ivan un
poema da lui ideato, intitolato Il Grande Inquisitore, che presenta in tutta la sua forza di muto
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testimone il ritorno di Gesù per le vie del mondo e che fa nascere interrogativi e dilemmi in
chi l’ha imprigionato, perché Gesù incarna la libertà di una scelta di fede rispetto ad ogni
ideologia.
3. Problemi aperti
Nell’impostazione del testo teatrale, come spesso capita leggendo o assistendo a drammi
cristiani, dal Medioevo in poi, a un certo punto il lettore e lo spettatore si chiedono se la
mentalità cristiana sia capace di vera tragedia: il punto è che ogni conflitto appare già risolto
in Dio, che conferma con la sua grazia e la sua misericordia l’elezione di ogni uomo peccatore
a figlio di Dio, amato e perdonato.
Ci potranno essere, in questi testi, momenti di alta drammaticità, di sofferenza e di orrore, ma anche
queste lacerazioni si riassorbono nel disegno salvifico di Dio, e per così dire non fanno più male. La
tragedia invece è il ‘far male’, lo scandalo del soffrire e del far male per eccellenza… lo specifico
drammatico, quello che – se non s’intende l’espressione in senso esteriore – si chiama teatralità… quella
crudeltà senza la quale non si fa tragedia ma solo qualcosa che le assomiglia16.
Tale problematica si può individuare anche nel testo di Diego Fabbri e in altri suoi testi, che
nel finale trovano la soluzione redentrice al conflitto e alla tragedia, messi in scena. «Fabbri è
un fenomeno anomalo nell’ambito della famiglia degli scrittori cattolici italiani [...] le cose
dette da Fabbri potevano inquietare in modo diverso l’anima del cattolicesimo italiano».17
Seguendo la lezione di Artaud, infatti, sembra che:
Un teatro dell’incarnazione è un teatro che precipita nel gesto del sacrificio e dell’offerta che l’attore fa di
sé sul luogo del teatro, altare o forse ring su cui si gioca la partita ultima col destino; si potrà soccombere,
o scontrarsi col silenzio o il vuoto, oppure, il senso, un dio, proverà a reincarnarsi e ritornerà forse a dire
qualcosa di rivelativo circa la nostra esistenza.18
16
Italo Alighiero Chiusano, L’otage di Paul Claudel: proposta di tragedia cristiana, in “Teatro europeo tra
esistenza e sacralità: Francia – Atti del Convegno di Forlì 16-17-18 novembre 1984”, Incontri internazionale
Diego Fabbri, Vita e pensiero, Milano 1986, 72, 77 e 80.
17
Carlo Bo, Voci e silenzi del ’900 francese in “Teatro europeo tra esistenza e sacralità: Francia – Atti del
Convegno di Forlì 16-17-18 novembre 1984”, Incontri internazionali Diego Fabbri, Vita e Pensiero, Milano
1984, 86.
18
Riccardo Bonacina, “Incarnazione” e rappresentazione: a partire da Artaud in “Teatro europeo tra esistenza
e sacralità: Francia – Atti del Convegno di Forlì 16-17-18 novembre 1984”, Incontri internazionali Diego Fabbri,
Vita e Pensiero, Milano 1984, 106.
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III. PROPOSTA DI PERCORSO DIDATTICO
Il testo teatrale di Diego Fabbri mi spinge a proporne la realizzazione scenica sotto forma di
laboratorio teatrale in un contesto educativo pedagogico come la scuola, anche in qualità di
insegnante della materia di italiano, disciplina che, secondo me, può prestarsi a proporre testi
biblici o ispirati a episodi biblici come “Processo a Gesù” da analizzare come parte
integrante della storia della letteratura.
Ambito di intervento: Scuola secondaria di secondo grado
1. Fase di pre-laboratorio
Attuata in una classe prima liceo composta da 23 alunni
Incontri: n. 3
Durata ogni incontro: 2 ore
Scansione dei tre incontri preparatori:
1. Incontro di presentazione e motivazione dell’attività: con il metodo del “tempo del cerchio” ogni alunno ha risposto alla domanda riguardo a chi è oggi il proprio “mito”, la
propria singolare creazione immaginaria su quella persona che ora nella sua vita rappresenta un modello, uno stimolo, una sfida esistenziale; inoltre ha motivato brevemente il
perché della sua scelta e cercato di esprimere l’emozione principale che il “mito” gli procurava (ammirazione, invidia, voglia di emulazione).
Gli obiettivi del primo incontro sono stati: la condivisione immediata di una riflessione
personale su un soggetto che assurge a ruolo di personaggio/riferimento; la motivazione
del gruppo verso un’attività in cui si verifica coinvolgimento e protagonismo; provare a
far esprimere emozioni e sentimenti come base per futura esperienza teatrale.
Di fatto sono stati indicati o familiari e conoscenti (fratello, nonna, genitori, amico del
cuore) o attori/personaggi del cinema del ‘900 e odierno (Marilyn Monroe, Charlie Chaplin, Audrey Hepburn, i personaggi interpretati dall’attore Will Smith in svariate pellicolee, dall’attrice Kate Winslet nel film Titanic, dall’attrice Nicole Kidman nel film Moulin
Rouge) così come alcuni soggetti di cultura o della scena politica che hanno segnato la
storia novecentesca (Martin Luther King, Charles Darwin, Coco Chanel) e un paio di personaggi immaginari (Alice nel Paese delle Meraviglie, il canarino Titti). Le motivazioni
addotte per aver scelto questi “miti” sono state individuate nella capacità di stupire, di reagire alle difficoltà della vita, di saper mostrare comportamenti da imitare in circostanze
della vita simili, di avere coraggio e generosità, di saper andare oltre le “convenzioni”
dettate dalla società, di sapersi costruire delle valide ed invidiabili vie di fuga dalla “penosa e triste realtà”. Il sentimento più ricorrente è quello dell’ammirazione e del desiderio
di emulazione.
2. Somministrazione di un questionario scritto, da compilare in forma anonima o no, a scelta, che permettesse di passare da una riflessione sul proprio “personaggio” alla persona
Gesù: le domande a cui rispondere erano due, “Chi è per te Gesù? Che emozioni provi
per lui?”
L’obiettivo in questo passaggio è stato quello di circoscrivere l’ambito di riflessione, puntando sulla figura di Gesù, da proporre come una persona vicina che può avere significato
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per la propria vita. Dalle risposte è emerso che per un terzo del gruppo il riferimento a
Gesù suscita indifferenza o rifiuto, mentre per i rimanenti due/terzi Gesù è persona viva,
che fa nascere un sentimento d’amore fino alla sfida, o perché lo si reclama a viva voce
come più presente nella vita di ognuno o perché Egli mi sfida a seguirlo ed essere come
Lui.
(Problema aperto: è stato indebito e forzato il passaggio dal lavoro condiviso in gruppo
sul “personaggio-mito” al lavoro più individuale su Gesù, che non è semplice mito, ma lo
possiamo percepire come tale, fino a capire che è veramente una persona viva per tutti
noi?)
Lettura ad alta voce del brano della Passione di Cristo tratta da un’evangelista, nel caso
specifico ho scelto Giovanni che fornisce il suo particolare punto di vista sulla vicenda.
Al termine si è proposto un tema scritto facoltativo (svolto da quattro studenti).
Obiettivo: confrontarsi direttamente con pagine evangeliche per affrontare la questione della
Passione e del Processo a Gesù con lo sviluppo tematico di una traccia assegnata circa
l’identificazione di se stessi con un personaggio del processo e motivando tale scelta.
Ho continuato con l’elenco di alcune possibili domande considerate imprescindibili da rivolgere a Gesù, ai suoi amici e ai suoi nemici.
Risultato: il personaggio in cui gli alunni si sono identificati è Pietro, per la paura personale
che fa emergere e perché mostra, di fronte alla generosità inconcepibile dell’amore di Dio, i
limiti umani, che tante volte anche un adolescente si accorge di far prevalere su quelle che
considera qualità, prima fra tutte il coraggio.
Le domande più ricorrenti sono state dirette a Pilato, che avrebbe potuto far valere il suo potere di governatore romano e che invece ha lasciato che prevalessero gli interessi particolari dei
farisei ebrei, senza curarsi di approfondire la questione. Infine le domande che sono state
scritte rivolte a Gesù, figlio di Dio, riguardano la difficoltà di comprendere come mai nel
mondo è permesso il male e il dolore. (Problema aperto: la scelta facoltativa del tema è stata
poco opportuna, in quanto forse era meglio proporre la traccia unica per il compito scritto a
tutti? Questo lo dico a lavoro svolto, accorgendomi che solo 4 alunni hanno scelto tale traccia,
mentre avrei voluto raccogliere più materiale da valutare pertinente all’argomento di lavoro
proposto, per cui penso si debba recuperare questo aspetto in un’ulteriore fase)
Obiettivi del momento di pre-laboratorio:
Si è cercato di instaurare nei partecipanti un loro rapporto diretto e “vivo” con un testo
teatrale, per attivare e sviluppare le capacità espressive teatrali insite in ognuno. A tale
proposito vorrei qui ricordare le parole di Karol Wojtyla in uno dei suoi mini-saggi, scritti tra
gli anni Cinquanta e Sessanta, con uno pseudonimo, riportati da Benvenuto Cuminetti sul
quotidiano L’Eco di Bergamo il 7 giugno 1985 nella rubrica “Teatro e dintorni”:
«L’uomo, tanto l’attore che lo spettatore-ascoltatore, si libera dall’eccesso importuno del gesto,
dall’attivismo che, lungi dallo strutturare l’essenza interiore e spirituale dell’uomo, la soffoca anziché
svilupparla, e coglie quelle proporzioni che nel quotidiano non può cogliere né raggiungere. Con questo la
partecipazione alla rappresentazione teatrale diventa per lui, anche fuori dalla sua volontà, qualcosa di
solenne, in quanto ricostruisce in lui stesso quelle proporzioni tra pensiero e gesto alle quali l’uomo, se
non altro inconsciamente, a volte tende...»
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2. Fase di laboratorio
Da attuare con la classe con cui si è svolta l’attività preparatoria al laboratorio:
− all’interno della programmazione curricolare per la materia di italiano, come modulo
annuale sull’argomento teatro, previsto per il biennio della scuola secondaria di secondo
grado (2 ore mattutine a settimana);
− oppure da proporre come attività facoltativa extra-curricolare (2 ore pomeridiane a
settimana), che può fornire anche punti di credito formativo, per un gruppo di minimo 10
studenti interessati a svolgere un’attività di teatro a scuola. In questo secondo caso serve
l’approvazione del Collegio Docenti e del Consiglio d’Istituto della scuola.
Finalità del laboratorio:
Il teatro, nei suoi molteplici significati che ha sia nella tradizione sia lungo la strada della
ricerca e della sperimentazione, è una risorsa per un intervento educativo – didattico e
risponde perciò alle finalità della scuola. In primo luogo per il valore formativo che ha
l’esperienza teatrale:
1- sviluppa la creatività
2- sviluppa il senso critico
3- sviluppa l’apprendimento ( in particolare: uso della memoria, fare confronti e collegamenti, prestare attenzione ai particolari, non lasciare nulla al caso )
4- sviluppa l’auto-valutazione
5- incoraggia a liberarsi da ritrosie e inibizioni adolescenziali
6- fa riscoprire il piacere e l’utilità del gioco (l’inglese “to play” si traduce con “giocare”,
ma anche con “suonare” e meglio con “recitare”)
7- crea concrete occasioni di risoluzione di conflitti fra / con gli studenti
8- crea effettiva integrazione tra tutti gli alunni, anche con quelli in difficoltà
9- diversifica il lavoro dell’insegnante ( passaggio dal ruolo del docente trasmettitore di informazioni della lezione frontale al ruolo del docente conduttore – coordinatore - regista )
Obiettivi del laboratorio:
Promuovere un’attiva e partecipe esperienza di gruppo.
Fornire elementi di drammaturgia per sperimentare semplici forme non canoniche di
comunicazione dei testi biblici.
In specifico il laboratorio si propone di seguire, in parallelo, due linee guida:
LO STRUMENTO CORPO
1- scoperta e appropriazione del linguaggio non verbale
2- uso della corporeità: gesto, movimento, voce, suono e parola
3- primi rudimenti di costruzione del personaggio: l’improvvisazione e l’immedesimazione
LO STRUMENTO PAROLA
1- Introduzione al linguaggio del teatro: la sua grammatica (regole, sintassi, morfologia)
recupera capacità già presenti in ogni persona: ricordare, sentirsi, immaginare, porsi in
rapporto con l’altro da sé, capire gli altri
2- Rapportarsi al “teatro - testo come pretesto” dell’uomo per comunicare, esprimere, capire, conoscere gli altri e se stesso, maturare il proprio rapporto col mondo
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3- Rapportarsi al “teatro – testo come pre – testo”: il racconto tramandato oralmente e recitato è la materia narrativa da cui gli scrittori hanno attinto per fissare in opere (racconti, drammi, commedie, romanzi) la loro creazione di autori
4- Testo: avvicinamento al testo letterario- teatrale (scrittura e lingua di uno specifico genere)
5- Avvicinamento ad un autore significativi della storia letteraria teatrale.
Metodi e contenuti:
Il metodo tiene conto dei sue strumenti paralleli sulle cui ho inteso lavorare, perché siano
raggiunte nella loro totalità o in parte, a secondo dell’interesse e della motivazione del
gruppo. Il lavoro si considera perciò in progress, ma in vista di una messa in scena finale, vale
a dire di una presentazione teatrale del lavoro svolto.
LO STRUMENTO CORPO:
Si chiede agli alunni di portare materiale libero, preparato a casa o improvvisato, con cui
presentarsi nella propria espressività e nelle proprie preferenze, utilizzando lo strumento
corpo (danzo, ballo, canto, recitazione); dopo essere stato valutato come competenza
personale di ogni allievo, il materiale rimane archiviato per la messa in scena finale.
L’insegnante propone nella fase immediatamente a seguire:
1- esercizi per socializzare,
2- per occupare lo spazio scenico,
3- di percezione,
4- di rilassamento,
5- per esplorare lo spazio sonoro,
6- per giocare con la voce,
7- di gestualità,
8- per rapportarsi con gli altri,
9- l’improvvisazione: non verbale “l’attore entra e si siede” e verbale “l’attore entra e dice”
LO STRUMENTO PAROLA:
1- Prove di scrittura creativa: dalla biografia fino alla stesura di un copione del personaggio
2- Prove di narrazione: raccontare un testo proprio o ascoltato o letto “come se...”
3- Autobiografia e lettera: raccontarsi per iscritto e verbalmente “Mi presento, io sono...”
e “Caro/a.....ti scrivo a proposito di te!”
4- Biografia del proprio personaggio
5- Lettura del testo proposto dall’insegnante, motivato secondo l’analisi presentata sopra,
di “Processo a Gesù” di Diego Fabbri.
Strumenti e metodi operativi:
Cerchio neutro, circle-time, lavoro a gruppi, approfondimenti a casa, fotocopie, palcoscenico
in classe, prove di spettacolo, supporti audio e video.
Valutazione:
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La valutazione complessiva del lavoro terrà conto dell’interesse individuale, della
partecipazione, dell’impegno, del grado di socializzazione, della capacità di mettersi in gioco,
di usare lo strumento corpo, di sentire e provare sul campo la grammatica teatrale, a partire
dalle osservazioni iniziali sulle competenze personali che ogni alunno ha mostrato al principio
del percorso.
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BIBLIOGRAFIA
Le citazioni bibliche sono abitualmente riprese dal testo biblico in adozione (La Bibbia di Gerusalemme,
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