neuroscienze Circuiti cerebrali difettosi Le neuroscienze stanno scoprendo i difetti nei circuiti cerebrali che sono all’origine dei disturbi mentali, costringendo gli psichiatri a ripensare le cause delle malattie mentali N in sintesi ■ V isto che i disturbi mentali non manifestano danni cerebrali evidenti, per lungo tempo si è ritenuto che avessero una causa puramente psicologica. ■ O ggi però le immagini dell’attività del cervello mostrano che alla base di diversi disturbi c’è l’attività anomala di reti di strutture, paragonabili a circuiti elettrici, coinvolte nei processi mentali. Quindi per la prima volta si può osservare la disfunzione fisica che causa i sintomi dei disturbi mentali. ■ L a conoscenza della biologia dei disturbi mentali chiarirà le cause ultime del funzionamento anomalo di un circuito, fornirà metodi per una diagnosi oggettiva e porterà a trattamenti mirati. 46 LE SCIENZE ella maggior parte delle aree della medicina, da sempre i clinici hanno raccolto elementi sulle cause della malattia di un paziente prima di proporre un trattamento indirizzato alle radici del problema. Ma quando si trattava di disturbi mentali o comportamentali non era possibile individuare nessuna causa fisica specifica. Così il problema veniva ritenuto solo «mentale», una convinzione a cui facevano seguito terapie corrispondenti. Ora però gli approcci basati su biologia, neuroscienze e genomica stanno rimpiazzando quasi un secolo di teorie psicologiche, portando a nuovi approcci nel trattamento delle malattie mentali. Molte malattie definite in precedenza «mentali» oggi sono ricondotte a un’origine biologica. La causa principale dell’autismo, per esempio, è un’anomalia delle connessioni tra i neuroni, spesso attribuibile a mutazioni genetiche. La schizofrenia è considerata e trattata come un disturbo dello sviluppo cerebrale. Eppure le persone, e addirittura gli specialisti, faticano ad accettare il fatto che altri disturbi mentali, come la depressione, il disturbo ossessivo compulsivo e il disturbo post-traumatico da stress, siano anche disturbi del cervello. Una ragione di questo ritardo è che a differenza delle malattie neurologiche classiche, come il morbo di Parkinson o le conseguenze di un ictus, in cui il danno è visibile, i disturbi mentali non sono caratterizzati da lesioni cerebrali. Tuttavia, grazie a recenti tecnologie che si servono di immagini per individuare la sede di una funzione nel cervello in vivo (le cosiddette neuroimmagini), possiamo rilevare anomalie nell’attività o nella comunicazione tra le aree cerebrali, persino quando non è osservabile una perdita di cellule. Le neuroimmagini hanno aperto quella scatola nera che è il cervello. E finalmente i disturbi mentali si possono studiare come anomalie delle connessioni tra aree cerebrali distanti o, in alcuni casi, come problemi di coordinazione tra aree, la cui attività in genere è sincronizzata. Le regioni del cervello che funzionano insieme per eseguire operazioni mentali si possono considerare come un circuito elettrico. Del resto le ricerche più recenti mostrano che il funzionamento difettoso di interi circuiti potrebbe essere all’origine di molti disturbi mentali. I dettagli dello «schema elettrico» o della mappa di ciascuna malattia sono ancora in una fase iniziale di studio. Tuttavia questa nuova impostazione sta già producendo significative ripercussioni in psichiatria, e sta aprendo la strada a una diagnosi più empirica delle malattie mentali, oltre a una conoscenza più approfondita delle loro cause. Tutto questo promette forme più efficaci di trattamento. Con l’acceleratore bloccato? La depressione è forse il migliore esempio del rapido progresso compiuto nella conoscenza della biologia delle malattie mentali. Il disturbo depressivo maggiore, il termine diagnostico ufficiale 502 giugno 2010 Dwight Eschliman di Thomas R. Insel La centralina dell’umore Costretto all’azione I depressi hanno scarsa energia e umore sotto tono, i loro tempi di reazione e formazione dei ricordi sono inibiti, come se i livelli normali dell’attività cerebrale fossero soppressi. Eppure sintomi comuni, quali ansia e disturbi del sonno, indicano che alcune strutture sono iperattive. Le immagini delle strutture più implicate nella depressione indicano che la fonte degli squilibri è l’area 25: la centralina del circuito della depressione. Quest’area si collega a strutture quali l’amigdala, che genera paura e ansia, e l’ipotalamo, coinvolto nelle risposte allo stress. A loro volta queste strutture scambiano segnali con l’ippocampo, centro della memoria, e con l’insula, che elabora le percezioni sensoriali e le emozioni. Si ritiene che un’area 25 più piccola del normale (nel riquadro, in rosso) aumenti il rischio di depressione in soggetti con una variante genetica che inibisce il trasporto di serotonina. Le persone colpite da disturbo ossessivo compulsivo (DOC) paragonano i loro pensieri invadenti e le pulsioni a compiere un’azione a un tic. In effetti c’è un nesso: movimenti involontari come i tic, o come quelli osservati nell’Huntington, hanno origine nei gangli della base, un gruppo di strutture coinvolte nella pianificazione e nella coordinazione delle azioni motorie. Il nucleo caudato dei gangli della base fa parte anche del circuito che guida il DOC, insieme alla corteccia orbitofrontale, essenziale nella presa di decisioni e nel giudizio morale, e al talamo, che ritrasmette e integra l’informazione sensoriale. Nel DOC (nel riquadro, immagine a sinistra) è evidente l’iperattività di parti della corteccia frontale e dei gangli della base: in queste strutture i neuroni scaricano con più sincronia rispetto ai soggetti normali (immagine a destra). Circuito della corea di Huntington Corteccia prefrontale Corteccia prefrontale Insula Ippocampo Area 25 Amigdala della malattia, colpisce il 16 per cento degli statunitensi [il 10 per cento degli italiani, secondo l’Istituto superiore di Sanità, ndr], ed è una potenziale causa di perdita del lavoro, abuso di sostanze e suicidio. Inoltre è fra le malattie più diffuse nel mondo sviluppato: la causa principale di invalidità clinica nelle persone tra 15 e 44 anni di età. Tra i sintomi psichici si registrano un profondo senso di disperazione misto a impotenza, oltre a sintomi fisici quali inappetenza, disturbi del sonno, costipazione e stanchezza, accompagnate spesso da agitazione. Sappiamo che la depressione interferisce con il corretto funzionamento del sistema immunitario e di diversi sistemi ormonali, e che aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. Eppure, nonostante questi effetti sull’organismo, la depressione è sostanzialmente un disturbo del cervello. Prove importanti, inoltre, indicano che una piccola regione della corteccia prefrontale, l’area 25, è una centralina (hub) dei circuiti all’origine della malattia. La definizione «area 25» è stata proposta dal neurologo tedesco Korbinian Brodmann, che assegnò un numero a diverse regioni della corteccia nel suo ormai classico atlante del cervello uma- 48 LE SCIENZE no pubblicato nel 1909. Per i successivi cent’anni, questa regione quasi inaccessibile, immersa nella parte frontale del cervello a livello della linea mediana, è stata messa da parte. Fino a quando, una decina d’anni fa, la scoperta del suo ruolo nella depressione l’ha trasformata in oggetto di estremo interesse per i neuroscienziati con orientamento clinico. Helen Mayberg della Emory University, per esempio, ha dimostrato che l’area 25 è attiva in modo eccessivo durante la depressione e che un miglioramento dei sintomi dopo ogni forma di trattamento, dai farmaci alla psicoterapia, si accompagna a una riduzione dell’attività di questa regione. Altri indizi ci dicono che l’area 25 ha un ruolo cardinale nella depressione, visto che è straordinariamente ricca di trasportatori della serotonina, cioè di molecole che gestiscono la quantità di neurotrasmettitore serotonina disponibile per i neuroni. (Si pensa che molti farmaci antidepressivi agiscano su questi trasportatori, aumentando il traffico di segnali neurali mediato dalla serotonina stessa.) Lukas Pezawas e Andreas Meyer-Lindenberg, del National Institute of Mental Health, hanno analizzato le scansioni cerebrali di oltre 100 502 giugno 2010 Talamo Circuito del DOC Keith Brofsky/Getty Images (fotografia); cortesia Ben J. Harrison, Melbourne Neuropsychiatry Center, Università di Melbourne e Institut d’alta Tecnologia-PRBB, CRC Corporació Sanitària, Barcellona (immagini del cervello); Precision Graphics (illustrazione) Ipotalamo Gangli della base (blu) Nucleo caudato Sami Sarkis/Getty Images (fotografia); da 5-HTTLPR polymorphism impacts human cingulate-amygdala interactions: a genetic susceptibility mechanism for depression, di Lukas Pezawas e altri, in «Nature Neuroscience», Vol. 8, 8 maggio 2005 (immagine del cervello); Precision Graphics (illustrazione) Circuito della depressione Corteccia motoria Corteccia orbitofrontale soggetti non depressi per confrontare i soggetti portatori di variazioni «corte» con i soggetti portatori di variazioni «lunghe» del gene codificante per il trasportatore della serotonina, scoprendo un’unica ma fondamentale differenza. I portatori della variazione corta del gene, che causa una riduzione della produzione della proteina trasportatore e si ritiene aumenti il rischio di depressione, avevano un’area 25 più piccola. In più, nei soggetti con la variante corta l’attività di quest’area non era collegata all’attività di alcune regioni sottocorticali, per esempio l’amigdala. In seguito a questa e ad altre ricerche oggi la depressione è considerata un disturbo dei circuiti cerebrali in cui è coinvolta un’attività anomala dell’area 25 che interrompe il corretto funzionamento della vasta rete di connessioni riconducibili all’area stessa. Di questa rete fanno parte: ipotalamo e tronco encefalico, che influenzano le variazioni di appetito, sonno ed energia; amigdala e insula, che regolano lo stato d’ansia e l’umore; ippocampo, essenziale nella memoria e nell’attenzione; parti della corteccia frontale, implicata nell’intuizione e nell’autostima. In altre parole, il cervello è un organo di elawww.lescienze.it borazione dell’informazione che integra costantemente i segnali sensoriali in arrivo e coordina le risposte. Estendendo l’analogia del circuito, si può considerare l’area 25 come il regolatore di una vasta rete che percepisce e modula l’attività di altri centri cerebrali per la paura, la memoria e l’autostima. Quindi un’alterazione dell’attività dell’area 25 potrebbe annullare il coordinamento delle attività di questi e di altri centri. Come conseguenza l’elaborazione dell’informazione sarà distorta e porterà a valutazioni alterate sia del mondo interno sia di quello esterno. Se la teoria è corretta, ristabilire l’attività neurale nell’area 25 dovrebbe rallentare l’attività di ciascuno dei centri a valle, riducendo i sintomi della depressione. In effetti, Mayberg ha dimostrato che una stimolazione elettrica vicino all’area 25 riduce l’attività di questo «nodo» e favorisce la guarigione delle persone depresse che non rispondono alle terapie tradizionali. Se l’area 25 induce il cervello a rimanere bloccato in un ciclo di attività anomala, un po’ come accade ai computer, allora l’obiettivo del trattamento potrebbe essere analogo al riavvio di un computer in stallo. Lo stesso principio potrebbe valere per altri disturbi mentali, in particolare LE SCIENZE 49 In passato il disturbo ossessivo compulsivo era considerato la nevrosi per eccellenza, causata da un conflitto psichico, l’ideale per un trattamento psicanalitico. Le persone che soffrono di questo disturbo hanno pensieri intrusivi e ripetitivi (ossessioni) e possono provare un incontenibile bisogno di eseguire rituali stereotipati e ripetitivi (compulsioni). Alcune hanno la sensazione di essere contaminate e si lavano ripetutamente fino a scorticarsi la pelle. Altre sono assillate dalla sensazione di non aver eseguito alcuni compiti e prima di uscire di casa devono controllare più volte il forno o i rubinetti o la maniglia della porta. Pur riconoscendo quasi sempre che i loro pensieri sono irrazionali, queste persone sono incapaci di controllare ossessioni e compulsioni, e nei casi più gravi rischiano l’invalidità. I pazienti ossessivo-compulsivi spesso definiscono «tic mentali» i loro sintomi, come se si trattasse di gesti che sfuggono al controllo volontario. E in effetti molti esibiscono veri tic accompagnati da pensieri ossessivi. La maggior parte dei neuroscienziati ritiene che la regolazione dei movimenti implichi una serie di cicli nel cervello che collegano la corteccia ad altre aree, per esempio ai gangli della base, che pianificano e coordinano vari aspetti del movimento. I movimenti involontari osservati nei tic motori o, in modo molto più marcato nella corea di Huntington, riflettono un’attività anormale di questo circuito, che di solito ha origine nei gangli della base. Alcuni studi su neuroimmagini di pazienti affetti da disturbo ossessivo compulsivo hanno individuato un’attività patologica in un ciclo vicino. Questo ciclo include la corteccia orbitofrontale – coinvolta in compiti complessi come la presa di decisioni – il nucleo caudato ventrale, i gangli della base e il talamo, che ritrasmette e integra l’informazione sensoriale. Le prove dell’iperattività di questo circuito nel disturbo ossessivo compulsivo non arrivano solo dalle neuroimmagini. La maggior parte delle persone colpite da questo disturbo riferisce di una riduzione notevole dei sintomi dopo un trattamento comportamentale oppure farmacologico, e il miglioramento si accompagna a una riduzione dell’attività della corteccia orbitofrontale. Nei pazienti che non rispondono alla terapia farmacologica o a quella comportamentale, scollegare fisicamente la corteccia orbitofrontale dal nucleo caudato, reci- 50 LE SCIENZE dendo le fibre nervose che li collegano oppure inibendo l’attività elettrica sempre lungo le fibre, riduce i sintomi di un disturbo ossessivo compulsivo grave. Un effetto così chiaro prodotto da un’alterazione fisica delle connessioni di un circuito cerebrale è una prova concreta del fatto che i sintomi dei disturbi mentali possono emergere dal funzionamento anomalo dei circuiti. La causa del funzionamento anomalo, sia nel disturbo ossessivo compulsivo sia in altre malattie mentali, è una questione diversa, che prevede risposte complesse. In alcuni casi potrebbe esistere una vulnerabilità a priori. Come la predisposizione per un livello elevato di colesterolo o di glucosio nel sangue possono avere un’origine famigliare, così singole variazioni genetiche – per esempio la variante corta del gene che codifica per il trasportatore della serotonina – possono influenzare lo sviluppo e il funzionamento del cervello. Tuttavia, come per altre malattie complesse, una vulnerabilità genetica non è l’unica origine della patologia: di solito ambiente ed esperienze interagiscono con le variazioni genetiche e possono causare la malattia in alcune persone ma non in altre. La scoperta del fatto che la biologia del cervello può interagire con le esperienze, causando o aggravando l’attività anomala dei circuiti, è estremamente utile per capire le conseguenze di un trauma. Una paura cronica Nel disturbo post-traumatico da stress (PTSD), i segnali che evocano un’esperienza traumatica inducono reazioni di paura molto tempo dopo l’evento. Si ritiene che il funzionamento anomalo della corteccia prefrontale ventromediale (CPFvm) aumenti la vulnerabilità al PTSD perché modula l’amigdala, responsabile della paura e dell’ansia. Il recupero dopo un trauma, la cosiddetta estinzione, sostituisce una risposta di paura con una neutra grazie a un processo di apprendimento che coinvolge ippocampo e corteccia prefrontale dorsolaterale. Si ritiene che la CPFvm sia la connessione cruciale tra CPF dorsolaterale e amigdala, e che quindi permetta all’apprendimento dell’estinzione di ridurre la paura. Corteccia prefrontale CPF dorsolaterale Circuito del PTSD Ippocampo CPFvm Amigdala Estinguere la paura L’autore Thomas R. Insel, psichiatra e neuroscienziato, è direttore del National Institute of Mental Health. Le sue prime ricerche hanno scoperto il ruolo della serotonina nel disturbo ossessivo compulsivo, e i suoi studi sulla neurobiologia dell’amore e dell’attaccamento negli animali hanno scoperto l’importanza dei recettori cerebrali dell’ossitocina e di altre sostanze nella formazione dei legami sociali. Con le ricerche sui circuiti neurali responsabili dei disturbi dell’umore, Insel vuole colmare le divisioni tra biologia e psichiatria, mettendo in luce le relazioni reciproche tra attività neurale e comportamento. Il disturbo post-traumatico da stress è uno dei disturbi più comuni fra i reduci di guerra. Un tempo era definito nevrosi da combattimento o stress da battaglia, oggi è classificato come disturbo d’ansia che include pensieri inquietanti intrusivi: per esempio il flashback di un evento traumatico, incubi, un aumento dello stato di vigilanza e disturbi del sonno. Il disturbo post-traumatico da stress è sempre più frequente anche in vittime di violenze civili, come stupri o atti di terrorismo. A un primo sguardo, sembra inverosimile che questo disturbo sia causato dal funzionamento anomalo di circuiti cerebrali. Il nome stesso infatti indica come «causa» un evento esterno, un trauma specifico. Subito dopo un’esperienza traumatica è possibile prevedere sintomi quali un disturbo del sonno e un aumento dello stato di vigilanza. Nella maggior parte delle vittime questi sintomi svaniscono col tempo, ma nel 20 per cento circa dei casi il disturbo post-traumatico da stress si sviluppa a distanza di settimane o di mesi. Queste persone continuano a sperimentare risposte acute – in pratica intense reazioni di paura – allo stress dei ricordi o di altri segnali che evocano il trauma originario. 502 giugno 2010 David Leeson, «The Dallas Morning News»/Corbis Sygma (fotografia); Precision Graphics (illustrazione) Coazione a ripetere Nel caso della depressione l’obiettivo di un trattamento potrebbe essere simile al riavvio di un computer bloccato Cortesia National Institutes of Health per il disturbo ossessivo compulsivo, che genera la sensazione, addirittura in un osservatore inesperto, che il soggetto colpito sia vittima di un circolo vizioso di pensieri e di comportamenti patologici. In psicoterapia, il processo di riduzione della paura è chiamato «estinzione». Significa che, attraverso l’esposizione ripetuta a un particolare ricordo o segnale correlato al trauma e privo di conseguenze negative, il paziente separa quel ricordo da una risposta automatica di paura, imparando una nuova risposta neutra. Quindi il disturbo posttraumatico da stress si può considerare un’assenza di estinzione, e la guarigione, naturale o terapeutica, richiederà un nuovo apprendimento. Prove recenti ricavate da studi su animali e su persone indicano che il funzionamento anomalo di un circuito potrebbe ostacolare il processo di estinzione, predisponendo al disturbo. Gli hub fondamentali della paura nel cervello sono l’amigdala e una galassia adiacente di cellule, il cosiddetto nucleo del letto della stria terminale. Queste regioni controllano praticamente tutti i sintomi della paura: accelerazione del battito cardiaco, aumento della sudorazione, blocco motorio (freezing) e risposte di trasalimento esagerate. Alcuni neuroni dell’amigdala inviano i loro assoni lunghi e sottili verso i centri del tronco encefalico che influenzano la motivazione, la presa di decisioni e la rilevanza di stimoli particolari. Se però l’amigdala è la macchina della paura, qualcosa nel www.lescienze.it cervello dovrebbe spegnerla quando la paura non è più necessaria o è fuori luogo. Gli studi di Greg Quirk, dell’Università di Puerto Rico, hanno mostrato che nei roditori una minuscola area della corteccia prefrontale, conosciuta come area infralimbica, è centrale nell’estinzione della paura. Nel corso degli esperimenti, le cavie prima erano condizionate a spaventarsi in funzione di certi stimoli, poi grazie all’addestramento di estinzione imparavano a vincere la paura. In questo modo Quirk ha scoperto che l’attività nell’area infralimbica aumentava durante l’estinzione, come se agisse da freno sull’amigdala. La stimolazione delle cellule nella zona infralimbica sembra alla base del comportamento di estinzione addirittura in animali non addestrati a superare la paura. In più, il blocco della funzionalità neurale di questa piccola area compromette l’estinzione in cavie già addestrate, suggerendo che la sua attività è necessaria e sufficiente per superare la paura. Nel caso dei pazienti sofferenti di disturbo posttraumatico da stress, gli studi basati sulle neuroimmagini indicano un’attività anormale nella corteccia prefrontale ventromediale, l’equivalente dell’area infralimbica dei roditori. Cinque differenti ricerche hanno scoperto che persone colLE SCIENZE 51 Nuove finestre sul cervello 5 millisecondi Verso nuove diagnosi e trattamenti Nuove tecniche perfezioneranno la conoscenza delle anomalie dei circuiti implicati nei disturbi mentali grazie a immagini dettagliate dell’attività e della struttura del cervello. Un marcatore sensibile al potenziale elettrico emette un colore rosso fluorescente nelle aree di un ippocampo di topo che scaricano con più intensità (a sinistra). L’ingegneria genetica produce topi con neuroni che emettono colori fluorescenti e generano una figura delle strutture del cervello in fase di sviluppo (in basso al centro). Immagini ottenute con lo spettro di diffusione, che usa la risonanza magnetica per evidenziare le fibre che collegano parti differenti del cervello umano, aiutano lo studio delle anomalie funzionali dei circuiti (in basso a destra). Le discrepanze nel trattamento dei disturbi mentali, per esempio la depressione, e delle malattie cardiache, altro esempio, dipendono dalla diversa conoscenza della biologia alla base della malattia. Nel caso dei disturbi mentali, conoscere cause e natura dei circuiti che funzionano in modo anomalo faciliterà la diagnosi con neuroimmagini e test del sangue capaci di individuare «marcatori» genetici e proteine che segnalano un problema. Gli interventi quindi sarebbero personalizzati in modo da affrontare la causa in modo rapido e diretto. depressione: trattamenti passati, presenti e futuri 25 millisecondi 1960 2010 obiettivo per il 2020 Predittori del rischio Nessuno Deboli (familiarità, eventi traumatici) Forti (geni, proteine, neuroimmagini) Diagnosi Con intervista Con intervista Con neuroimmagini, biomarcatori, intervista Interventi Ricovero in istituti di cura, terapia elettroconvulsivante, coma insulinico Farmaci antidepressivi, terapia cognitiva Alto rischio di ricadute, alta mortalità 50 per cento delle risposte dopo 12 settimane, alto rischio di ricadute e di mortalità Risultati 52 LE SCIENZE pite da disturbo post-traumatico da stress esposte a segnali correlati al trauma hanno un’attività ridotta nella corteccia prefrontale ventromediale. Inoltre, la corteccia prefrontale ventromediale di questi persone è più piccola rispetto ai soggetti di controllo esposti al trauma, ma che non avevano sviluppato il disturbo. In effetti, Mohammed Milad, del Massachusetts General Hospital, ha riferito che in volontari sani lo spessore di questa regione era correlato alla capacità di estinguere i ricordi di paura. Ed Elizabeth Phelps, della New York University, ha dimostrato che nell’uomo l’apprendimento dell’estinzione implica, come nei roditori, un aumento di attività nella corteccia prefrontale ventromediale e una diminuzione di attività nell’amigdala. Grazie alle immagini dell’attività del cervello abbiamo iniziato a identificare i fondamenti biologici dei risultati ottenuti con la terapia cognitivo-comportamentale, cioè con una terapia della parola finalizzata a cambiare le risposte a situazioni difficili. Le immagini illustrano l’importanza dell’ippocampo nella valutazione del contesto e della corteccia prefrontale dorsolaterale nell’imparare a tollerare e a superare la paura. Tuttavia, visto che la corteccia prefrontale dorsolaterale non ha collegamenti diretti con l’amigdala, si ipotizza che l’anello di congiunzione tra queste due aree sia la corteccia prefrontale ventromediale. Un anello che permette al trattamento cognitivo di generare un nuovo apprendimento e dunque di guarire. Rivoluzione copernicana Gli esempi descritti di persone che soffrono di depressione, disturbo ossessivo compulsivo e disturbo post-traumatico da stress comportano una correlazione tra l’attività di regioni cerebrali collegate e il comportamento e le sensazioni patologiche caratteristiche dei disturbi. In ciascun caso è coinvolta la corteccia prefrontale, fatto non sorprendente. Questa regione è meno sviluppata in altri mammiferi, una peculiarità che la rende più difficile da studiare ma allo stesso tempo ne suggerisce un ruolo centrale nella natura umana. Sulla base dei risultati, possiamo dire che la corteccia prefrontale ha una funzione di regolatore generale del cervello ed è l’area in cui vengono elaborati gli obiettivi più complessi e le motivazioni, in modo da prendere decisioni e pianificare il futuro. Tuttavia, in ciascuno di questi disturbi sembrano coinvolte una struttura diversa della corteccia prefrontale e varie regioni collegate. Oltre a questi esempi, in casi di schizofrenia si è osservata un’attività anomala della corteccia prefrontale dorsolaterale, in casi di deficit di attenzione e di iperattività tra 7 e 12 anni di età si è osservato un ritardo di maturazione della corteccia prefrontale. Queste correlazioni sono convincenti, ma saranno necessarie ulteriori ricerche per stabilire quali aspetti dell’attività cerebrale sono alla base di questi e di altri disturbi. A questo scopo saranno utili anche dati su geni che potrebbero aumentare il rischio di soffrire di malattia mentale. 502 giugno 2010 Mark Harmel/Photo Researchers, Inc. Gli studi sul funzionamento dei circuiti cerebrali hanno mostrato il modo in cui certi trattamenti potrebbero funzionare alterando l’attività del cervello Da High-Speed Imaging Reveals Neurophysiological Links to Behavior in an Animal Model of Depression, di Karl Deisseroth e altri, in «Science», Vol. 317, 10 agosto 2007. Riprodotto con il permesso dell’AAAS (ippocampo); Getty Images (cervello colorato); cortesia Van J. Wedeen, Massachusetts General Hospital (connessioni tra fibre nervose) 45 millisecondi Identificare i difetti di funzionamento dei circuiti cerebrali alla base della malattia mentale potrebbe avere implicazioni significative su diagnosi e trattamento. Attualmente i disturbi mentali sono classificati in base ai sintomi, che in molti casi potrebbero sovrapporsi e non sono legati ad alcuna prova biologica. Riclassificare i disturbi sulla base della funzionalità cerebrale potrebbe portare a un sistema diagnostico basato su marcatori biologici, quali manifestazioni di attività cerebrale o cambiamenti chimici o strutturali caratteristici di un dato disturbo. Come i test ematici del colesterolo o dei livelli di antigene prostatico sono usati in altri ambiti clinici, allo stesso modo i disturbi mentali potrebbero essere diagnosticati con maggiore precisione e più precocemente grazie a marcatori biologici. Oggi un criterio diagnostico per la schizofrenia è la presenza di episodio psicotico, come una volta la cardiopatia era diagnosticata da un infarto. Nei disturbi cerebrali, i sintomi comportamentali e cognitivi potrebbero essere manifestazioni finali della disfunzione di un circuito, e potrebbero manifestarsi solo dopo che i meccanismi di compensazione diventano insufficienti. Nel morbo di Parkinson, sintomi osservabili emergono solo dopo che l’80 per cento dei neuroni dopaminergici della substantia nigra è deteriorato; nella corea di Huntington i problemi motori sono evidenti dopo una perdita del 50 per cento dei neuroni dei gangli della base. Gli interventi dipenderanno dalla natura del disturbo. Gli studi sul funzionamento dei circuiti cewww.lescienze.it ■ Preventivi: terapia cognitiva o vaccino Opzioni terapeutiche personalizzate: farmaci migliori, terapia cognitiva, stimolazione cerebrale ■ Risposta alle terapie in 24 ore, basso rischio di ricadute, bassa mortalità rebrali hanno dimostrato non solo l’efficacia di trattamenti come la terapia cognitivo-comportamentale, ma anche il modo in cui questi trattamenti potrebbero funzionare modificando l’attività cerebrale. Queste conoscenze si potrebbero usare per migliorare le terapie. Certo, molti farmaci sono efficaci, ma non più efficaci dei farmaci disponibili quarant’anni fa. Una migliore conoscenza delle anomalie alla base della depressione probabilmente aprirà la strada a trattamenti più mirati ed efficaci. Forse l’approccio secondo cui i disturbi mentali sono disturbi del funzionamento dei circuiti cerebrali porterà un cambiamento nella percezione pubblica di queste malattie. Le persone con disturbi mentali sono state e sono marchiate con epiteti diversi: possedute, pericolose, senza volontà. Oppure sono state e sono penalizzate da pessimi genitori. Ma la scienza ha ribaltato questa visione. Un approccio scientifico consentirebbe alle persone che soffrono di disturbi mentali di essere accettate e di ricevere un’assistenza adeguata. È difficile trovare in medicina un precedente analogo a quello che sta accadendo in psichiatria. Il fondamento intellettuale di questo campo si sta spostando: da una disciplina basata su fenomeni mentali soggettivi a un’altra disciplina, le neuroscienze. Probabilmente la conoscenza che stiamo sviluppando rivoluzionerà la prevenzione e il trattamento della malattia mentale, portando un sollievo concreto e duraturo a milioni di persone in tutto il mondo. n ➥ Letture Targeting Abormal Neural Circuits in Mood and Anxiety Disorders: From the Laboratory to Clinic. Ressler K.J. e Mayberg H.S., in «Nature Neuroscience», Vol. 10, n. 9. pp. 11161124, settembre 2007. Neural Circuitry underlying the Regulation of Conditoned Fear and Its Relation to Extinction. Delgado M.R. e altri, in «Neuron», Vol. 59, n. 5, pp. 829-838, 11 settembre 2008. Disruptive Insight in Psychiatry: Transforming a Clinical Discipline. Insel T.R., in «Journal of Clinical Investigation», Vol. 119, n. 4, pp. 700705, 1 aprile 2009. LE SCIENZE 53