Pensieri siderali

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Pensieri siderali
di Roberto Zanardo
Il Sole è 109 volte più grande della Terra e trovandosi ad una distanza di quasi 150 milioni di chilometri
(km) riesce a fornirci l’energia di cui necessitiamo. La luce (l’energia, vale a dire i fotoni) emessa da
Sole impiega solo 8 minuti e 20 secondi per arrivare a noi, viaggiando ad una velocità di quasi 300.000
8
km/sec (esattamente 2,988 x 10 m/sec come la determinò Einstein), ma è stata prodotta più di un milione
di anni fa nel nucleo del Sole.
Abbiamo un’idea molto approssimativa ed astratta delle dimensioni e delle distanze cosmiche. Un
tentativo di maggior comprensione può essere fatto utilizzando una scala o un’equivalenza. La misura
minima di più facile percezione è il millimetro (mm), la millesima parte del metro. Rappresentando la
nostra Terra come una minuscola sfera di 1 mm di diametro (un granello di sabbia grossa), dovremo
porre la Luna (un granello di sabbia finissima essendo circa un quarto delle dimensioni della Terra) ad
una distanza di 3 cm da noi ed il Sole ad 11,7 m con una dimensione di quasi 11 cm di diametro (10,9
cm per l’esattezza), quasi come un grosso pompelmo di Sicilia. Se volessimo mantenere questa
rappresentazione, sempre a portata delle nostre comuni capacità di dominio delle dimensioni, per
rappresentare l’intero Sistema Solare, dovremo posizionare Mercurio, il pianeta più vicino al Sole con
il 40% della massa terrestre, a 4 metri e mezzo dallo stesso, Venere (90% della massa della Terra) a 8
metri e mezzo, Marte (50% della Terra) a 17,9 m essendo il più distante dei pianeti cosiddetti
“rocciosi” o “interni” (“interni” alla cintura degli asteroidi o pianetini, corpi solidi di carbonati,
silicati e metalli che in numero di numerose migliaia – da 40 mila visibili a circa un milione di non
visibili – orbitano oltre Marte). Oltre la fascia del “pianeta mancato” costituito dagli asteroidi,
sempre seguendo la scala ideale (Terra = 1 mm), potremo posizionare i pianeti “gassosi” a partire da
Giove (11,1 volte la Terra, già una biglia di vetro) a 61 m dal Sole, Saturno (altra piccola biglia essendo
9,3 volte la Terra) a ben 111,8 m, Nettuno (3,9 volte la Terra, una piccola perla) a 352,3 m. Infine, a
462,3 m, non dovremo dimenticare di mettere Plutone (20% della Terra, piccolissimo), un pianetino
roccioso o un grande asteroide entrato nell’orbita solare.
Questo gioco della rappresentazione delle distanze cosmiche ci annichilisce; chissà se il neo-demiurgo
nazionale si sarà mai fatto due semplici conti in tal senso (improbabile, considerato l’impegno
esclusivo a contare, preservare e moltiplicare il gruzzolo da Paperon de Paperoni di oltre 15 miliardi di
euro, “30.000 miliardi del vecchio conio” per dirla con Bonolis, 300.000 volte le disponibilità
dell’80% dei singoli italiani, accumulato con diabolica astuzia in pochi anni): la sua personale
dimensione corporea, in questa scala, risulterebbe ancora sconosciuta alla fisica quantistica, essendo di
molto inferiore al quark.
Con semplici calcoli risulta che l’homo sapiens sapiens (veramente sapiens), vivendo un’ottantina di
anni, percorre a bordo della sfera terrestre la bellezza di oltre 75 miliardi di km, oltre 500 volte la
distanza Terra-Sole, essendo il nostro annuale giro intorno al Sole di quasi un miliardo di km (940
milioni circa) alla velocità di oltre 107.000 km orari. E di tutto ciò non abbiamo la benché minima
percezione: la navicella spaziale sembra immobile. Il piccolo e lontanissimo Plutone (si fa per dire, tutto
è relativo, come disse il grande fisico) impiega 247 dei nostri anni (tre vite) a fare la rivoluzione intorno
al Sole, anche se viaggia alla non trascurabile velocità di oltre 17.000 km orari. Come si sa, la velocità
orbitale dei pianeti è inversamente proporzionale alla distanza dal Sole e per questo Mercurio il giretto se
lo completa in soli 88 dei nostri giorni ad una velocità record di quasi 48 km/sec (172.000 km orari).
Queste rivoluzioni intorno al Sole avvengono del tutto silenziosamente, altro che la “rivoluzione
leghista” intorno al “Sole delle Alpi” (tanto rumore per nulla).
La nostra presenza nell’Universo in espansione è infinitesimale. Le distanze siderali non possono
nemmeno più trovare sostanza in rappresentazioni equivalenti quando tentiamo di sconfinare oltre il
Sistema Solare: i numeri sono da matematica superiore. Il Sole, la stella che ci nutre, appartiene ad una
galassia, anticamente chiamata Via Lattea, ed è collocato in uno dei due bracci della spirale galattica che
contiene un centinaio di miliardi di stelle. Il Sole impiega 250 milioni dei nostri anni a completare un
giro intorno al centro della galassia (“Bulge”) viaggiando ad una velocità di 250 km/sec. Si è pertanto
fatto, nella sua vita, una ventina di giri. Per sfizio, mi sono fatto i soliti due conti in croce ed ho ricavato
che la nostra distanza dal centro della Via Lattea, pari a 248 milioni di miliardi di km, 26.213 anni luce,
nel rapporto sopra ideato (Terra grande come un granello di sabbia), è di quasi 19,5 milioni di km, una
riduzione in scala che comunque fatichiamo a percepire. Non a caso sono stati adottati gli anni luce come
unità di misura spaziale. L’anno luce è la misura del percorso della luce nello spazio di un anno
terrestre, corrispondente a 9.460,8 miliardi di km (9,46 x 1012 km). La particolarità dell’anno luce
riferito alla nostra osservazione stellare è quella di osservare il passato. Quando nelle notti d’aria tersa
ed in assenza d’inquinamento luminoso puntiamo il nostro sguardo nella meravigliosa galassia che ci
ospita (ricordo un fantastico cielo nero splendente di stelle sopra la pampa argentina), ciò che vediamo
non è ciò che è nel momento dello sguardo, ma ciò che era migliaia di anni fa, quando come specie ci
apprestavamo pian piano a colonizzare il mondo errando come nomadi a caccia di animali da spellare e
cogliendo la frutta e le erbe spontanee, quando non c’era alcuna città o paese o villaggio stanziale ed in
tutto saremo stati qualche migliaio di primati pensanti. Ma la cosa più sorprendente (per chi come me è
un neofita di elementari conoscenze) è che questa nostra galassia, che ha due galassie satelliti che le
orbitano attorno, ha una forma spiraliforme discoidale, segno di un vorticoso movimento rotatorio, ed ha
un’estensione diametrale di 775 miliardi di miliardi di km (quasi 82.000 anni luce) ed uno spessore di
31 milioni di miliardi di km (oltre 3.000 anni luce). I numeri cosmici ci fanno definitivamente scomparire
quando pensiamo alle altre 500 milioni di galassie. La più prossima alla nostra, Andromeda, non si trova
proprio a due passi, ma a 21,7 miliardi di miliardi di km (2,3 milioni di anni luce). Se una civiltà molto
più evoluta della nostra posta nella galassia di Andromeda guardasse ora la nostra Terra con potentissimi
telescopi la vedrebbe com’era più di due milioni d’anni fa, con pochi ominidi vegetariani simili a
Lucy chiamati poi Australopitechi o qualche “homo abilis” già onnivoro scorrazzare per le savane
dell’Africa australe. I nostri telescopi spaziali hanno individuato quasar (il tipo più luminoso di galassia
con nucleo attivo centrale con massa pari a centinaia di milioni di volte la massa solare) anche a 10
miliardi di anni luce: ciò significa che l’osservazione spaziale ci consente di vedere l’Universo
quand’era giovane, cioè all’inizio della sua formazione (iniziata 15 miliardi di anni fa). Tornando in
qua nel tempo e nello spazio, godiamoci ad occhi nudi la stella più vicina dopo il Sole, Proxima
Centauri, che si trova a soli 4,2 anni luce (quasi 40.000 miliardi di km), anche se per vederla dobbiamo
andare nell’emisfero sud (è l’occasione buona per un viaggio), sorprendiamoci di fronte a Pistola, la
più luminosa di tutte, che si trova a 236 milioni di miliardi di km (25.000 anni luce) con un diametro di 4
anni luce, combiniamo nella giusta costellazione le altre tremila stelle che vediamo ad occhio nudo. Delle
circa 500 milioni di galassie con 50-100 miliardi di miliardi di stelle che qualcuno si è preso la briga di
contare, qualcuna potrebbe anche non esserci più. Ciò che vediamo sopra di noi, a parte la Luna ed il
Sole e gli altri pianeti, è il passato, con buona pace di tutti gli aficionados dell’astrologia, convinti di
interpretare la posizione ed il transito spaziale di quei lontanissimi corpi celesti come un segno del
destino, qualcosa che condiziona inequivocabilmente la direzione delle nostre vite, i caratteri, le
personalità, le prerogative di ognuno. Questa magica e strana interpretazione delle nostre vite attraversate
dalle dodici costellazioni dello Zodiaco (in realtà di costellazioni ne sono state ideate 88, 40 dell’elenco
tolemaico risalente al sec. II d.C. steso, per l’appunto, dall’astronomo alessandrino Tolomeo
nell’opera Almagesto, 48 aggiunte successivamente), ognuna delle quali è vincolata essenzialmente ad
un segno avviluppato ad un altro segno chiamato “ascendente” (la determinazione di quest’ultimo
rispetta regole ferree), caratterizza le nostre quotidiane abitudini e la nostra vita di relazione, resiste alla
rivoluzione copernicana ed a tutte le straordinarie e importantissime scoperte scientifiche in ambito
astronomico degli ultimi secoli, degli anni recenti, supera ogni fede religiosa. Il fascino dell’astrologia
soddisfa aneliti mistici, appaga il super Io nel bisogno di dominio della vastità e della complessità, può
dare senso alle nostre estemporanee e talvolta faticose vite individuali e collettive. Ci piace percepirci
“figli di un immenso e preciso disegno cosmico”, discendenti di un’articolata, non casuale e magica
combinazione d’astri. Tutto è scritto nel cielo e nel palmo delle mani, basta imparare a leggere, capire,
intuire, interpretare i segni ed i movimenti, così come da millenni è stato fatto. Non siamo riusciti ancora
a sostituire il fascino dell’astrologia con il fascino dell’astronomia; preferiamo, per pigrizia mentale,
dubitare della scienza e credere all’effetto sul nostro carattere (quello del Capricorno è veramente
ostinato, mentre quello della Vergine è tendenzialmente aspro) e sulle nostre prerogative (il Toro è
veramente creativo, la Bilancia è equilibrata) del transito planetario in mezzo a costellazioni dalle
inequivocabili morfologie. Margherita Hack, che non è l’ultima arrivata in campo scientifico mondiale
e che abbiamo incontrato a metà gennaio di quest’anno, sostiene che l’effetto energetico delle stelle
sulla nostra Terra e sulla vita degli umani, ad eccezione naturalmente del Sole, è paragonabile
all’effetto di un secchio d’acqua buttato nell’oceano, che l’astrologia appartiene
all’immaginazione, alla superstizione, alle credenze, alla non conoscenza (tanto per usare un eufemismo
politically correct), alla ritualità arcaica e sociale. Sono argomentazioni da non sostenere con fermezza in
nessun contesto di comune convivialità, pena la vanificazione del piacere dell’incontro. Consiglio ad
ognuno, agli scettici come agli agnostici, di stare serenamente al gioco, di subire ogni tipo di spassionato
giudizio sulla propria persona a partire dal segno zodiacale di appartenenza, anche perché come si può
confutare l’evidenza, ad esempio, delle caratteristiche del Toro inequivocabilmente orientate alla
creatività, del Leone pure, ma in maniera meno continuativa, dei Gemelli che hanno una personalità
doppia, tendenzialmente ambigua, dello Scorpione del quale non bisogna fidarsi mai completamente, del
Sagittario che quando si mette ferisce, dei Pesci che sono guardinghi, che non se la bevono facilmente,
dell’Acquario che è il simbolo della logica, dell’Ariete che invece è indubbiamente istintivo e se non
lo fosse (capita) dipende sicuramente dall’ascendente Cancro il quale, per conto suo, non è mai proprio
proprio soddisfatto. Ad una cena, qualche anno fa, un’acculturata signora che avevo conosciuto
nell’occasione non mi ha più prestato attenzione dopo aver scoperto che sono un Toro con ascendente
Gemelli, il peggio delle combinazioni possibili, un summa dell’inaffidabilità, proprio come il suo ex
marito che se n’era andato con un’altra, il vigliacco. Ma altre volte è andata meglio: alla domanda di
qualche gentile convenuta “E tu, cosa sei?”, ho risposto senza esitazioni “Toro” e sono stato preso
sulla parola.
P.S. Oderzo, 1 aprile 2005
Nella tradizione occidentale, le 88 zone in cui è stato suddiviso l’intero cielo, in base a una
convenzione internazionale del 1928, contengono un gruppo di stelle a cui anticamente è stata associata
una figura (Orsa Maggiore, Orione, Toro, Scorpione, etc.). In realtà, le stelle per proprio conto non
formano nessuna immagine e l’apparente raggruppamento individuato dagli umani nelle diverse epoche
appartiene ai miti o alla vita di ogni giorno.
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