La funzione principale della foglia è la fotosintesi, quella del fusto è

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La funzione principale della foglia è la fotosintesi, quella del fusto è di sostegno e quella della
radice è di ancorare la pianta al terreno e assorbire acqua e sali minerali. Ci sono due categorie di
piante a seme: gimnosperme e angiosperme.
Caratteristiche delle cellule vegetali:
Ogni cellula con parete è cementata alle cellule adiacenti per mezzo della lamella mediana. Le
pareti cellulari 1° sono sottili e sono caratteristiche di cellule giovani e in accrescimento. Le pareti
2° sono più spese e vengono depositate quando le cellule sono differenziate. La resistenza di questa
parete è dovuta alla lignina. Fessurazioni circolari qui presenti danno origine alle punteggiature
semplici. L'accrescimento delle cellule vegetali è concentrato nei meristemi. In una piante giovane
i meristemi più attivi sono localizzati all'estremità del fusto e della radice e prendono il nome di
meristemi apicali contenuti nelle gemme ascellari. Le radici laterali si formano dal periciclo che è
un tessuto meristematico interno. L'accrescimento 1° porta alla formazione di nuovi organi e alla
struttura di base vegetale. E' il risultato dell'attività dei meristemi apicali. Dopo ciò si può avere
l'accrescimento 2° che implica la presenza di due meristemi laterali: il cambio vascolare dà origine
allo xilema (legno) e al floema secondari, mentre il fellogeno produce il periderma costituito da
sughero.
I vacuoli occupano dall' 80 al 90% del volume cellulare e regolano il flusso di ioni e molecole
organiche fuori e dentro il lume. Gli organuli in grado di produrre energia sono i mitocondri e i
cloroplasti. I primi sono la sede della respirazione e hanno una membrana interna, la matrice,
costituita dal 70% di proteine e cardiodipina. I cloroplasti appartengono al gruppo di organuli
costituiti da una doppia unità di membrana chiamati plastidi. Le membrane dei plastidi sono
composte da lipidi formati quasi esclusivamente da glicosilgliceridi in cui la testa polare è formata
da galattosio, digalattosio o galattosio solfato. Le membrane dei cloroplasti contengono clorofilla e
le proteine ad essa associate. Essi posseggono un terzo sistema di membrane chiamato tilacoidi il
cui impilamento forma un granum. Lo scomparto fluido che avvolge i tilacoidi si chiama stroma.
Le cellule vegetali sono in genere collegate tra loro da plasmodesmi che attraversano la parete
cellulare collegando i citoplasmi di cellule adiacenti: il citoplasma forma un continuo (una molecola
piccola può passare di cellula in cellula senza attraversare la membrana). I plasmodesmi permettono
il passaggio di acqua e di soluti tra le cellule ma le molecole grosse (>800-1000 Da) vengono
escluse. L'unione di tutti i citoplasmi delle cellule vegetali è chiamato simplasto.
Il passaggio apoplasto → simplasto richiede sempre l’attraversamento della membrana plasmatica
In assenza di plasmodesmi, una cellula è detta “simplasticamente isolata”. Esempi di cellule
simplasticamente isolate sono:
 le cellule di guardia
 Tricomi (peli sulle foglie)
 Cellule del floema: elementi dei vasi cribrosi (SE) + cellule compagne (CC)
I tessuti vegetali sono:
1) tessuti dermici: l'epidermide è il tessuto dermico delle giovani piante ed è costituito da
cellule specializzate e appiattite. Alcune paia di cellule epidermiche cioè le cellule di guardia
circondano i pori. Cellule di guardia e pori vengono detti stomi che permettono gli scambi
gassosi (perdita di H2O, assorbimento della CO2 e rilascio della O2) tra l'atmosfera e
l'interno della foglia. I peli radicali sono estensioni delle cellule epidermiche e servono per
aumentare l'area della superficie di assorbimento
2) tessuti fondamentali: parenchima costituito da cellule metabolicamente attive con pareti
sottili che svolgono la fotosintesi e l'accumulo; collenchima costituito da cellule strette e
allungate con spesse pareti cellulari 1° in cui queste cellule disposte in fasci o strati vicino al
fusto o ai piccioli fogliari permettono un sostegno strutturale con particolare riferimento ai
germogli e le loro pareti ispessite ma non lignificate possono distendersi mentre l'organo si
allunga; sclerenchima fornisce sostegno meccanico ed è formato da sclereidi con forma
sferica o ramificata e fibre che sono cellule strette e allungate associate ai tessuti vascolari
hanno pareti 2° ispessite
3) tessuti vascolari: lo xilema trasporta acqua e ioni minerali dalla radice al resto della pianta
mentre il floema distribuisce i prodotti della fotosintesi e altri soluti alla pianta. Le tracheidi
e le trachee sono cellule conduttrici dello xilema che hanno elaborato ispessimenti della
parete 2° e perdono il loro citoplasma a maturità cioè sono funzionali quando sono elementi
morti. Le trachee sono anche disposte una sull'altra a formare i vasi. Gli elementi cribrosi e
le cellule cribrose sono responsabili della traslocazione dello zucchero nel floema. I primi
sono presenti nelle angiosperme mentre i secondi nelle gimnosperme. Entrambi i tipi di
cellule sono vivi quando sono attivi. Nei tubi cribrosi le sostanze sono traslocate attraverso
le placche cribrose che sono larghi pori
L’acqua serve per la vita (i processi biochimici la richiedono).
 acquisizione CO2
 crescita, sostegno (turgore)
 mantenere bassa la T fogliare
 trasportare soluti dal terreno a radici e foglie
Le piante continuamente assorbono e perdono acqua: 1 g sostanza organica/ 500 g acqua traspirata
Proprietà dell’acqua
 ottimo solvente polare (legami a H)
 alto calore di evaporazione (liquido → gas)
 alta coesione
 adesione a superfici polari
 tensione superficiale (minimizza superficie esposta all’aria)
Le molecole d’acqua all’interfaccia aria/acqua sentono la forte attrazione da parte delle molecole
d’acqua (coesione), ma interagiscono debolmente con le molecole di ossigeno e azoto. L’attrazione
tende a minimizzare la superficie di contatto tra aria e acqua. Per creare nuova superficie occorre
spendere energia (e spezzare i legami a H). Questa energia (misurata per m2) si chiama tensione
superficiale (J/m2) o anche N/m, che per l’acqua è decisamente alta. Quanto meglio le molecole
d’acqua aderiscono su una superficie (perchè l’interazione è forte), tanto più tenderanno a bagnarne
la superficie e quindi ad aumentare la superficie di contatto. La coesione insieme all’adesione
permette la risalita nei capillari.
Il potenziale chimico:
Le piante richiedono un imput continuo di energia libera per mantenere e ricostruire le loro strutture
e i loro stati di organizzazione. Il potenziale chimico μj dell'acqua è l'espressione quantitativa
dell'energia libera associata all'acqua. E' la differenza tra il potenziale di una sostanza in un
determinato stato e il potenziale della stessa sostanza in condizioni standard e la sua unità di misura
è J/mol (4,18 J = 1 caloria). La conoscenza di μj serve per predire la direzione del cambiamento
spontaneo di un sistema che passa dallo stato A (μj A) allo stato B (μj B). Il cambiamento
spontaneo procede sempre nella direzione della diminuzione di energia libera.
Se μj B < μj A allora Δ μ < 0 quindi processo spontaneo
Se μj B = μj A allora Δ μ = 0 processo all’equilibrio
Se μj B > μj A allora Δ μ > 0 avviene solo con immissione di energia nel sistema
Il potenziale idrico:
Il potenziale d’acqua è una misura della tendenza dell’acqua a muoversi da uno stato a più alta
energia libera verso uno ad energia libera minore. E' rappresentato dal potenziale chimico
dell'acqua diviso il volume molale parziale dell'acqua in cui il volume di una mole d'acqua è
1,8*10^-6 m^3/mol.
MPa = megaPascal = N/m2 oppure Joule/m3
1 MPa = 10 bar o circa 10 (9.9) atmosfere
0,1 MPa = 1 bar o = 1 atm
Il campo elettrico non influisce su ψ perché H20 non ha carica netta. L'acqua si muove
spontaneamente verso potenziali più bassi.
ψ = ψs + ψp + ψg
ψs è -RTCs ed è sempre negativo
ψp può essere positivo o negativo
ψg ρgh sempre positivo se h positivo
In cui ψs indica gli effetti dei soluti, ψp la pressione e ψg la gravità sull'energia libera dell'acqua. Ψs
è definito potenziale del soluto o potenziale osmotico e rappresenta l'effetto sul potenziale idrico
della presenza di soluti disciolti. Poiché la diluiscono, i soluti diminuiscono l'energia libera
dell'acqua e questo effetto è entropico cioè miscelare soluti e acqua aumenta il disordine e quindi
abbassa l'energia libera. Questo significa che il potenziale osmotico è indipendente dalla natura
specifica del soluto.
ψs è -RTCs ed è sempre negativo dove R= 8,32 J/(mol*K) T invece è la temperatura in Kelvin e Cs
è la concentrazione del soluto in soluzione espressa come osmolarità cioè mol/L
In cui ψp è la pressione idrostatica della soluzione. Pressioni positive innalzano il potenziale
idrico mentre pressione negative lo riducono. Ψp può essere negativo nello xilema e nelle pareti tra
le cellule dove si può sviluppare una tensione o una pressione negativa. Ψp per l'acqua è 0 MPa
anche se la sua pressione assoluta è di 0,1 MPa cioè 1 atm.
a) la pressione idrostatica positiva all’interno delle cellule è detta turgore. E’ una conseguenza della
presenza della parete e di un’alta concentrazione di soluti
b) la pressione idrostatica negativa (come quella generata all’interno dello xilema) è detta tensione
In cui ψg dipende dall'altezza dell'acqua al di sopra dell'acqua di riferimento, dalla densità
dell'acqua e dall'accelerazione dovuta alla gravità e quindi è ρgh dove ρwg = 0,01 MPa/m ma
quando si considera il trasporto dell'acqua a livello cellulare la componente gravitazionale ψg si
omette. Si considera quando si confrontano i potenziali dell’acqua ad altezze diverse (radicichioma). E' significativo solo quando la differenza di altezza è in metri in cui h > 10 metri.
1) Una cellula flaccida viene immersa in una soluzione 0,1M di saccarosio. Poiché il potenziale
idrico di partenza della cellula è minore di quello della soluzione, la cellula assorbe acqua.
All'equilibrio il potenziale idrico della cellula raggiunge quello della soluzione e il risultato
è una cellula con una pressione di turgore positiva
2) Se si aumenta la concentrazione di saccarosio nella soluzione si ha che la cellula perde
acqua poiché l'aumento abbassa il potenziale idrico della soluzione, estrae acqua dalla
cellula e quindi ne riduce la pressione d turgore. Qui il protoplasto si scolla dalla parete
cellulare poiché le molecole di saccarosio sono in grado di passare attraverso i pori
relativamente grandi della parete cellulare. La differenza di potenziale idrico tra cellula e
soluzione è interamente attraverso la membrana plasmatica così il protoplasmo si restringe
3) Se la cellula si comprime tra due placche essa perde acqua perchè viene rimossa metà
dell'acqua della cellula e raddoppia quindi il potenziale osmotico cellulare
Esercizio:
Qual’è il potenziale osmotico (Ψs) di una soluzione 100 mM a 20 °C e a pressione atmosferica?
Si applica van’t Hoff:
Ψs = -RTcs
Ψs = -(8.3x10-3 L MPa mol-1°K-1) x (273 + 20 °K) x (0.1 mol L-1) = -0.244 Mpa
Una conc. 0.1 M di soluto genera una pressione osmotica di 2.42 atm (0.244 Mpa).
Il trasporto dell'acqua:
Il trasporto dell'acqua può avvenire per diffusione o per flusso di massa e se c'è di mezzo una
membrana si parla di osmosi. Nella diffusione le molecole si spostano spinte da un gradiente di
concentrazione e in assenza di gradienti di pressione o gravitazionali. L'entità del trasporto è
definita da: Jv=Lp*ΔΨ dove Jv è la velocità di trasporto, o “flow rate” cioè è il volume di acqua
che fluisce (es. attraverso la membrana) per unità di area e per unità di tempo(m/s), Lp è la
conduttività idraulica, ΔΨw è il gradiente di driving force. La conduttività idraulica è la misura
della facilità con cui l'acqua si muove attraverso il suolo e varia in base al tipo di suolo e contenuto
idrico. I suoli sabbiosi hanno elevate conduttività mentre i suoli argillosi hanno conduttività basse.
La perdita di conduttività dipende dalla forza centrifuga, dalla specie in esame e ultimamente dalle
dimensioni dei pori nella parete che a loro volta determinano la forza che occorre per far passare
l’aria attraverso di essi.
Ψw è il punto permanente di appassimento cioè il punto al quale il potenziale idrico del suolo è
così basso che le piante non possono più ripristinare la pressione di turgore. Il potenziale idrico del
suolo Ψw è minore o uguale al potenziale osmotico Ψs della pianta.
Il flusso di massa è quantità che fluisce nell’unità di tempo e la densità di flusso, indicata con Jv
(ma anche con Js o J) è la quantità che fluisce nell’unità di tempo per unità di area. E' il sistema con
cui l'acqua si sposta nello xilema, dalle radici alle foglie.
P = (ΔP π r^4) / (8ηL)
in cui P è la portata; η è la viscosità; p è la pressione; r è il raggio e L la lunghezza del tubo
La diffusione è il movimento delle molecole mediante agitazione termica casuale e permette il
movimento da zone ad alta concentrazione verso zone a concentrazione minore cioè secondo il
gradiente di concentrazione. Una sostanza diffonde più velocemente quando aumenta il gradiente di
concentrazione o quando aumenta il coefficiente di diffusione
Js= -Ds * Δcs / Δx
in cui Js è la velocità di trasporto del suolo o densità di flusso cioè la quantità di sostanza s che
attraversa un'unità di area nell'unità di tempo; Ds è il coefficiente di diffusione cioè una costante di
proporzionalità che misura la facilità di una sostanza s di muoversi attraverso un particolare mezzo
e dipende dal mezzo e dalla temperatura ed è negativo perchè si sposta secondo i gradienti di
concentrazione
La velocità di diffusione è elevata a breve distanza ma bassa a lunga distanza: il tempo medio
impiegato da una sostanza per diffondere a una distanza L equivale a L2/Ds dove Ds è il
coefficiente di diffusione che dipende sia dall'identità della particella che dal mezzo in cui essa
diffonde. Il tempo richiesto perchè una sostanza diffonde a una data distanza dipende dal quadrato
della distanza.
Diffusione:
- veloce su piccole distanze, ma molto lenta su grandi distanze
- il tempo che una molecola ci mette a diffondere è proporzionale a x2
- una molecola di glucosio ci mette 2.5 sec ad attraversare una cellula (50 μm) ma 32 anni ad
attraversare una foglia di mais lunga 1 m
- una molecola piccola diffonde più velocemente
- molto più veloce nei gas che nei liquidi
L’acqua , sotto forma di vapor acqueo, DIFFONDE dalle foglie all’atmosfera
Il movimento del'acqua nel suolo e nella pianta:
Eccetto che nei suoli salini, φs è piccolo (le soluzioni nel terreno sono molto diluite (circa 1-10
mM). Perciò il potenziale nel terreno è quasi tutto a carico della componente di pressione (ψp). In
un suolo ben irrigato ψp è circa 0. Quando il suolo asciuga, si formano bolle d’aria e l’acqua si ritira
negli interstizi fra le (e all’interno delle) particelle del terreno/residui di sostanza organica.
Le molecole d'acqua in un'interfaccia aria-acqua sono più fortemente attratte dalle vicine molecole
d'acqua che dalla fase gassosa dall'altra parte della superficie. L'interfaccia aria-acqua assume una
forma che riduce la sua area di superficie. Per aumentare l'area di interfaccia occorre rompere dei
legami idrogeno. T per H2O a 20 C = 0.078 J/m2. La forza dovuta alla tensione superficiale è:
F2πRT*cosα minore è il raggio, maggiore è l'altezza che raggiunge l'acqua
Forza che si oppone = π r^2hρg che è il peso della colonna d'acqua
2πRT*cosα = π r^2hρg
Per l'acqua su superfici idrofile abbiamo che α=0 quindi cosα = 1 e quindi avremo h = 2T / rρg
Capillarità:
E' generata dalla coesione, dall'adesione e dalla tensione superficiale. Quando l'acqua scarseggia,
nel capillare si instaura una pressione negativa che trattiene l'acqua:
-Pπ r^ 2 = 2π r T cosα
P = -2Tcosα / 2r
Il ψp negativo richiama acqua da altre zone del terreno più bagnate in cui ψp è circa zero. Il
movimento di acqua nel terreno arido avviene per flusso di massa ed è guidato dalla differenza
di pressione. In questo caso i valori di ψw del terreno sono negativi e la cellula radicale per
assorbire acqua dal terreno dovrà avere valori di ψw inferiori. L’assorbimento avviene a livello della
parte più giovane della radice non ancora suberificata, ed è massimo a livello dei peli radicali che
sono delle estensioni microscopiche di cellule epidermiche della radice che aumentano l'area di
superficie della radice fornendo una capacità superiore di assorbimento di ioni e acqua.
L'acqua entra nella radice più facilmente nella zona dell'apice. Zone più differenziate della radice
contengono uno strato esterno di tessuto protettivo, definito esoderma o ipoderma, contenenti nelle
pareti sostanze idrofobe relativamente impermeabili all'acqua. Le zone più vecchie delle radici
devono essere sigillate affinché l'assorbimento dell'acqua possa avvenire nelle zone che attivamente
esplorano nuove zone del suolo.
Vie attraverso cui può fluire l'acqua:
1) apoplasto: con questo temine ci riferiamo al sistema continuo di pareti cellulari e di spazi
aeriferi intercellulari dei tessuti della pianta che hanno perso il loro citoplasma. In questa via
l'acqua può muoversi attraverso le pareti cellulari e qualsiasi spazio extracellulare ripieno di
acqua senza quindi attraversare la membrana. Il movimento dell'acqua attraverso questa via
è bloccato dalle bande di Caspary cioè strisce di parete cellulare radiale dell'endodermide
impregate di suberina (sostanza idrofoba). Questa fa da barriera al movimento dell'acqua e
dei soluti. L'endodermide è suberificata nella zona della radice che ha cessato
l'accrescimento. Queste bande servono a forzare l'acqua e i soluti che attraversano
l'endodermide a passare attraverso la membrana plasmatica
2) simplasto: è rappresentato dalla continuità di tutto l'intreccio dei citoplasmi cellulari
collegati dal plasmodesmi. In questa via l'acqua si muove attraverso il parenchima corticale
viaggiando da una cellula a quella successiva tramite i plasmodesmi. La forza motrice di
rilievo per il flusso di massa è il gradiente di pressione idrostatica
3) via transmembana: è quella seguita dall'acqua che sequenzialmente entra da una parte della
cellula e ne esce dall'altra. In questa via l'acqua attraversa almeno due membrane. Può anche
essere coinvolto il trasporto attraverso il tonoplasto. In questa via la presenza di membrane
semipermeabili indica che la forza motrice prevalente è il gradiente totale del potenziale
idrico
L'assorbimento dell'acqua diminuisce quando le radici sono sottoposte a basse temperature, a
condizioni anaerobiche o quando sono trattate con inibitori della respirazione. Radici sommerse
esauriscono l'ossigeno che di solito è fornito dalla diffusione attraverso gli spazi aeriferi del suolo.
Le radici anaerobiche trasportano meno acqua al fusto che quindi soffre per la perdita netta di acqua
e inizia ad appassire. La diminuzione della velocità di respirazione può indurre all'aumento del pH
citoplasmatico e questo altera la conduttanza delle acquaporine coinvolte nel movimento dell'acqua
attraverso la radice, rendendo le radici marcatamente meno permeabili all'acqua. Il fatto che le
acquaporine possano essere regolate in risposta al pH o ad altri segnali permette l'utilizzo di un
meccanismo con il quale le radici possono alterare attivamente la loro permeabilità all'acqua in
risposta all'ambiente che le circonda.
Nella via simplastica l'acqua scorre fra le cellule tramite i plasmodesmi, senza attraversare la
membrana plasmatica. Nella via transmembrana l'acqua si sposta attraverso le membrane
plasmatiche, passando velocemente attraverso lo spazio della parete cellulare. La via apoplastica è
bloccata dalle bande di Caspary dell'endodermide.
L'acqua nello xilema:
Nel passaggio da cellula a materiale inerte (parete, suolo) si ha in genere un’inversione nella
componente maggioritaria che determina il valore del potenziale idrico (Ψ): nelle cellule la
pressione (Ψp) è in genere elevata e positiva, mentre la componente osmotica (Ψs) è grande (e
ovviamente negativa). Nel suolo, nello xilema e in genere nelle pareti (es. mesofillo) la pressione
(Ψp) è negativa mentre la componente osmotica (Ψs) è piccola (e ancora negativa). L'acqua che si
trova in cima agli alberi sviluppa una pressione idrostatica negativa che è in grado di aspirare
l'acqua presente nello xilema. Questo meccanismo è definito dalla teoria della coesione-tensione
della linfa ascendente poiché richiede la presenza delle proprietà coesive dell'acqua per tollerare le
grandi tensioni presenti nella colonna d'acqua dello xilema. Questa pressione negativa si sviluppa
sulla superficie delle pareti cellulari della foglia e causa il movimento ascensionale dell'acqua. La
situazione è analoga a quella del suolo: la cellula agisce come un capillare immerso nell'acqua,
questa aderisce alle microfibrille di cellulosa e agli componenti idrofili della parete. Le cellule del
mesofillo fogliare sono in contatto diretto con l'atmosfera tramite un esteso sistema di spazi aeriferi.
Man mano che l'acqua viene persa nell'aria la superficie dell'acqua che rimane viene trascinata
verso gli interstizi della parete cellulare cioè le incranature e le fenditure tra le cellule e fra le fibrille
della parete. La curvatura di queste interfacce, causata dall'elevata tensione superficiale dell'acqua,
induce una pressione negativa sull'acqua. Man mano che l'acqua viene rimossa dalla parete, la
superficie dell'acqua porta alla formazione di menischi sempre più ricurvi e la pressione dell'acqua
diventa più negativa. La teoria di coesione-tensione spiega come può avvenire il movimento netto
dell'acqua attraverso la pianta senza dover spendere direttamente energia metabolica. L'imput
energetico viene dal sole che aumentando la temperatura delle foglie e dell'aria che le circonda
causa l'evaporazione dell'acqua.
Se ammettiamo la validità della teoria TAC, ne consegue:
1- le strutture devono essere resistenti per non collassare
2- la colonna d’acqua deve avere alta forza tensile per non rompersi
3- se entra l’aria richiamata dalla depressione si formano delle bolle che interrompono la colonna
d’acqua
L’acqua sotto tensione è in uno stato fisicamente metastabile. Man mano che la pressione scende,
l’acqua tende a passare in fase gassosa (pressione di vapor saturo 0.002 MPa; tensione nello xilema:
fino a -3 Mpa). La coesione e l’adesione innalzano l’energia di attivazione del cambiamento di fase
da liquido a vapore. La struttura dello xilema minimizza la presenza di punti di nucleazione.
La grande tensione che si sviluppa nello xilema degli alberi presenta sfide fisiche. L'acqua sotto
tensione trasmette alle pareti cellulari dello xilema forze rivolte verso l'interno. Gli ispessimenti
secondari e la lignificazione della parete delle tracheidi e dei vasi sono adattamenti volti ad
impedire il collassamento sotto l'influsso della tensione. L'acqua sotto tensione è in uno stato
fisicamente metastabile. Quando la pressione idrostatica dell'acqua liquida equivale alla sua
pressione di vapore saturo essa va incontro ad un cambiamento di fase, cioè bolle. L'acqua nello
xilema è nello stato metastabile in quanto persiste nello stato liquido nonostante l'esistenza di uno
stato energetico termodinamicamente minore. Questa situazione si verifica poiché:
1) la coesione e l'adesione delle molecole di acqua innalzano molto l'energia di attivazione del
cambiamento di fase da liquido a vapore
2) la struttura dello xilema minimizza la presenza di punti di nucleazione responsabili di questa
energia di attivazione
Bolle, cavitazione ed embolia:
I punti di nucleazione più importanti sono bolle di gas di ampiezza sufficiente a far sì che la forza
diretta verso l'interno risultante dalla tensione superficiale sia minore della forza diretta verso
l'esterno dovuta alla pressione negativa della fase liquida. Quando questo si verifica la bolla si
espande e la forza diretta verso l'interno dovuta alla tensione superficiale tende a diminuire poiché
l'interfaccia aria-acqua assume una curvatura minore. Così una bolla che eccede l'ampiezza critica
per l'espansione si dilata fino a riempire l'intero condotto. L'assenza di bolle di gas di ampiezza tale
da destabilizzare la colonna d'acqua nello xilema sotto tensione è dovuta all'azione filtrante delle
radici mediante la forzatura a far fluire l'acqua simplasticamente verso l'endodermide. All'aumentare
della tensione nell'acqua aumenta la tendenza ad assorbire aria attraverso pori microscopici presenti
nelle pareti dello xilema, generando il fenomeno conosciuto come dispersione dell'aria. Le regioni
più permeabili delle pareti dello xilema sono le stesse membrane delle punteggiature, il sito dove
l'acqua fluisce fra i condotti. Di solito esse prevengono la diffusione dei gas, ma quando sono
esposte ad aria presente solo da una parte, dovuta al danno, diventano un facile sito di ingresso
d'aria. Questo avviene se la differenza di pressione attraverso la membrana della punteggiatura è
sufficiente o a sopraffare le forze di capillarità dell'interfaccia aria-acqua all'interno della matrice di
microfibrille di cellulosa delle membrane strutturalmente omogenee delle punteggiature o a spostare
il toro della membrana della punteggiatura di una conifera. Una seconda ragione per cui si formano
le bolle nello xilema è a causa della bassa solubilità dei gas nel ghiaccio: poiché l'acqua dello
xilema contiene dei gas in essa disciolti il congelamento dei condotti xilematici può portare alla
formazione di bolle. Questo fenomeno della formazione di bolle è detto cavitazione e il vuoto
riempito da gas che si forma è detto embolia. La cavitazione dello xilema spezza la continuità della
colonna d'acqua e arresta il trasporto di acqua sotto tensione. Tali interruzioni della colonna d'acqua
non sono rare nelle piante. Bloccando la via di trasporto principale dell'acqua verso le foglie, tali
bolle causerebbero la disidratazione e la morte delle foglie.
Cavitazione:
L'impatto della cavitazione sulla pianta è minimizzato in diversi modi. Una bolla di gas potrebbe,
per principio, espandersi fino a riempire l'intero sistema poiché gli elementi tracheali dello xilema
sono interconnessi. In realtà le bolle di gas non si espandono molto lontano perchè sono bloccate a
livello delle pareti perforate presenti tra le tracheidi e i vasi sovrapposti. Poiché i capillari dello
xilema sono interconnessi, una bolla di gas non blocca completamente il flusso idrico attraverso un
vaso o una colonna di tracheidi. Al contrario l'acqua può girare attorno al punto bloccato passando
attraverso i condotti che collegano le cellule vicine. Così la presenza di pareti non perforate oltre ad
aumentare la resistenza al flusso idrico, limita anche la cavitazione. Le piante sono in grado di
eliminare le bolle di gas dallo xilema. Di notte, quando la traspirazione è bassa, aumenta lo Ψp
xilematico e il vapor d'acqua e i gas possono semplicemente ritornare nella soluzione xilematica e
nello spazio libero. Alcune piante sviluppano una pressione positiva nello xilema. Tale pressione
restringe le bolle di gas e porta i gas a ri-dissolversi. La capacità di una specie di resistere alla
cavitazione (e quindi di crescere in climi aridi) dipende principalmente dalla diametro delle
perforazione tra i vasi. Quando un vaso cavita, il toro si stampa contro gli ispessimenti del bordo
della punteggiatura e blocca il passaggio. Una volta che si forma la bolla (che penetra da un vaso
vuoto adiacente), questa si espande velocemente e fa perdere di conduttività al vaso. L’espansione
della bolla rende più acqua disponibile e fa diminuire la tensione. La bolla tende a fermarsi quando
incontra delle perforazioni (ad es. tra un elemento del vaso ed il successivo).
Non c'è cavitazione quando ci sono i legami ad idrogeno perchè c'è alta coesione tra le molecole di
acqua e quanto più stretto il tubo, tanto maggiore la tensione che la colonna d’acqua può sopportare
senza rottura. Il mantenimento della colonna d’acqua è permesso anche dall’adesione delle
molecole alle pareti del tubo.
Guttazione:
Le piante che sviluppano una pressione radicale mostrano la fuoriuscita di liquido dalle foglie, un
fenome detto guttazione. La pressione xilematica positiva causa l'essudazione di succo xilematico
dagli idatodi, strutture specializzate e localizzate vicino a tracheidi terminali di fasci che sboccano
lungo i margini delle foglie. Le gocce di rugiada che possono essere osservate sulla punta delle
foglie delle graminacee al mattino sono in realtà gocce di guttazione essudate da tali pori. La
guttazione è maggiormente osservabile quando la traspirazione è soppressa e l'umidità relativa è alta
come di notte. L'esistenza di una pressione positiva xilematica durante la notte può contribuire a
sciogliere bolle di gas formatesi in precedenza e giocare quindi un ruolo nell'invertire gli effetti
deleteri della cavitazione.
Conduttanza idraulica:
Aumenta quando lo xilema contiene una soluzione salina, questo è un meccanismo fisiologico per
regolare la conduttività dei vasi. Le pectine presenti nella parete si contraggono in presenza di K+.
Gli elementi tipici dello xilema sono i vasi la cui suddivisione, basata sul tipo di ispessimenti della
parete, è la seguente:
 vasi anulati: ispessimenti secondari lignificati di forma anulare distribuiti lungo tutto l'asse
del vaso. Si ritengono i più semplici e primitivi (Siluriano 420 milioni anni fa) Estensibile.
In zone di attiva crescita per distensione.
 vasi spiralati: molto simili ai precedenti, ispessimenti ad elica semplice o doppia. Esistono
anche anulo-spiralati.
 vasi scalariformi: pareti estesamente lignificate, zone non lignificate come fessure
oblunghe. Derivati dagli spiralati. Non estensibili, presenti in zone con accrescimento
completato.
 vasi reticolati. derivati dai precedenti per ulteriore estensione delle zone ispessite.
 vasi punteggiati: estensione massima della lignificazione. Le aree lasciate libere si dicono
punteggiature areolate
Osmosi:
Il movimento è guidato dalla somma del gradiente di concentrazione e di Pressione. L’acqua si
muove per osmosi dal terreno alle cellule della radice e in generale ogni volta che c’è il passaggio
dall’apoplasto al simplasto (si deve attraversare la membrana cellulare). Diventa rilevante la
permeabilità della membrana alle varie specie chimiche importanti per le cellule (tra cui l’acqua)
ψw = ψs + ψp
Come misurare Ψv, Ψs, Ψp:
1) Psicometria isopiestica: serve per misurare Ψw ed è basata sul fatto che la pressione di
vapore dell'acqua diminuisce riducendo il suo potenziale idrico. Gli psicometri misurano la
pressione di vapore dell'acqua di una soluzione o di un campione vegetale in base al
principio che l'evaporazione dell'acqua da una superficie ne abbassa la temperatura. Per
compiere una misurazione viene sigillato un pezzo di tessuto all'interno di una camera
contenente un sensore di temperatura in contatto con una goccia di una soluzione standard
con concentrazione nota. Se il tessuto ha un potenziale idrico minore rispetto a quello della
goccia, l'acqua evapora dalla goccia, diffonde nell'aria e viene assorbita dal tessuto.
L'evaporazione dell'acqua raffredda la goccia; maggiore sarà la differenza di potenziale
idrico tra tessuto e goccia e più alta sarà la velocità di trasferimento dell'acqua e quindi più
fredda sarà la goccia. Se la soluzione standard ha un potenziale idrico minore di quello del
campione da misurare, l'acqua diffonderà dal tessuto alla goccia, causando il riscaldamento
della goccia stessa. Misurando il cambiamento di temperatura della goccia per soluzioni
diverse con Ψw noto è possibile calcolare il potenziale idrico della soluzione per la quale il
movimento dell'acqua fra la goccia e il tessuto è zero, indicando che la goccia e il tessuto
hanno raggiunto lo stesso potenziale idrico. Gli psicometri sono anche usati per misurare Ψs
e Ψw, questo metodo è molto utile ma molto sensibile alle fluttuazioni termiche.
2) Bomba a pressione: si usa per stimare Ψw di grandi frammenti di tessuto. L'organo da
misurare viene reciso dalla pianta e parzialmente sigillato in una camera a pressione. La
colonna xilematica d'acqua, prima della recisione, è sotto tensione. Quando la colonna
d'acqua viene spezzata dalla recisione dell'organo, l'acqua viene attratta rapidamente dallo
xilema per osmosi dalle cellule circostanti. La superficie di taglio risulta quindi opaca e
secca. Per poter compiere le misurazioni la camera viene pressurizzata con gas compressi
fino a quando l'acqua dello xilema raggiunge di nuovo la superficie di taglio. La pressione
necessaria per riportare di nuovo l'acqua alla superficie è definita pressione di
bilanciamento ed è facilmente riscontrabile dal cambiamento dell'apparenza della superficie
di taglio che diventa umida e luccicante quando questa pressione viene raggiunta. Quando
non c'è traspirazione sulla foglia o sul germoglio, il potenziale idrico delle cellule della
foglia e dello xilema raggiungono l'equilibrio. La pressione di bilanciamento misurata in
questi tessuti non traspiranti è = ma di segno opposto alla pressione dello xilema Ψp.
Possiamo calcolare il potenziale idrico sommando Ψp e Ψs dello xilema (Ψs misura > -0,1
Mpa). Il fatto che l'acqua scorra dallo xilema alla foglia indica l'esistenza di differenze nel
potenziale idrico. Quando la foglia o il fusto che traspirano sono tagliati si libera
immediatamente la tensione presente nello xilema e l'acqua si ritira nelle cellule fino a
quando il potenziale idrico dello xilema e delle cellule raggiunge l'equilibrio. Poiché il
volume totale delle cellule della foglia è di gran lunga superiore a quello del succo
xilematico, questo potenziale idrico di equilibrio avrà un contributo maggiore dato dalla
foglia
3) Osmometro crioscopico: serve per misurare Ψs di una soluzione valutandone il punto di
congelamento. Le soluzioni hanno proprietà colligative che dipendono dal n° di particelle
disciolte e non dalla natura del soluto. Una di queste proprietà è la diminuzione del punto di
congelamento all'aumentare della concentrazione del soluto. Con questo strumento campioni
fino a 10^-9 L vengono posti su un mezzo oleoso situato su un piatto portaoggetti a
temperatura controllata. L'ampiezza piccola del campione permette di misurare il succo di
una singola cellula fornendo un equilibrio termico rapido con un piatto portaoggetti. Per
impedire l'evaporazione i campioni sono sospesi su pozzetti ripieni di olio posti su una
piastra d'argento. La temperatura del piatto portaoggetti arriva a -30°, provocando il
congelamento del campione. La temperatura viene innalzata molto lentamente e il processo
di diffusione del campione viene osservato al microscopio. Quando l'ultimo cristallo di
ghiaccio del campione si scioglie si prende nota della temperatura del piatto; si calcola
direttamente la concentrazione del soluto dall'abbassamento del punto di congelamento e
dalla concentrazione del soluto Cs, si calcola Ψs come -RTCs
4) Micromanometro: si usa per misurare Ψp e si inserisce in una cellula un tubo di vetro
riempito di aria e sigillato da una parte. L'alta pressione della cellula comprime il gas
intrappolato e dal cambiamento di volume si può facilmente calcolare la pressione della
cellula dalla legge generale dei gas ideali (p*v = cost). Questo metodo funziona bene solo
con cellule che hanno un volume relativamente grande. Per cellule più piccole la perdita di
succo cellulare all'interno del tubo di vetro basta per sgonfiarle generando delle basse
pressioni che in realtà sono artefatti. La sonda a pressione è simile a una siringa. Viene
prodotto un tubo microcapillare con una punta molto fine e viene inserito all'interno di una
cellula. Il microcapillare è riempito con olio al silicone. Quando la punta del microcapillare
viene inserita nella cellula, il succo cellulare comincia a fluire all'interno del capillare a
causa della bassa pressione iniziale di questa zona. Tale movimento del succo viene
osservato al microscopio e viene contrapposto spingendo sul pistone dello strumento
creando una pressione. Si può spingere verso la punta del microcapillare che è il limite tra
l'olio e il succo cellulare. Quando lo strato di olio viene riportato alla punta e viene
mantenuto in una posizione costante, si ristabilisce il volume iniziale della cellula e la
pressione al suo interno è esattamente bilanciata dalla pressione all'interno del capillare.
Questa pressione viene misurata tramite un sensore di pressione e quindi si può calcolare
direttamente la pressione idrostatica di cellule singole
Usato anche per misurare tensione nello xilema: il problema è che in un sistema sotto tensione (in
cui non esiste una membrana) basta che attraverso il varco aperto nel punto di inserzione del
capillare si inserisca una bolla d’aria ed il vaso cavita. Non è un sistema adeguato per misurare la
tensione nei vasi.
5) Bilancia: si preparano una serie di soluzioni a concentrazione di sali crescente (e quindi Ψw
nota), si immerge il tessuto da misurare dopo averlo pesato, si ripesa dopo averlo lasciato
per un certo tempo. Il tessuto assume o perde acqua se il potenziale idrico è diverso da
quello della soluzione
6) Centrifuga: serve per misurare Ψxyl e quando la velocità di rotazione è sufficiente
determina la cavitazione dei vasi e l’uscita dell’acqua
Il movimento dell'acqua nel suolo e nella pianta:
La tensione tende ad aumentare (pressione sempre più negativa) all’aumentare della traspirazione
(che aumenta con la temperatura della foglia). Per ogni 10 metri di risalita, Ψw aumenterà di 0.1
MPa per il solo effetto della gravità. Per fare fluire la soluzione nello xilema occorrerà un gradiente
di Ψw maggiore di (0.1MPa /10 m) per vincere la resistenza al flusso che si sperimenta nei tubi.
L'equazione di Poiseuille è:
Jv = r^2 / 8 viscosità)*(Δrp/Δx) sapendo che la viscosità del succo è simile a quella dell'acqua
cioè 10^-3 Pa*s
Esercizio:
Qual’è il ΔψP minimo richiesto per far risalire l’acqua?
Raggio vasi = 40 µm
Velocità salita misurata: 4 mm/s
µx = altezza su cui calcoliamo la differenza di pressione
Applico Poiseuille, nella formulazione di densità di flusso Jv (m/s)
Jv = [(r^2/8η)]*ΔP/Δx
4 = [(40)^2 /8 (10-3)] * (ΔP/Δx)
ΔP/Δx = 0.02 MPa/m  Per 100 m = 2MPa
Traspirazione:
La traspirazione è la perdita d’acqua da una pianta dovuta all’evaporazione. L’acqua può solo
evaporare dalla pianta se il suo potenziale nell’atmosfera è minore di quello nella pianta. La
maggior parte della traspirazione nelle piante avviene attraverso le foglie, in particolare attraverso
gli stomi. L'acqua è trasportata dallo xilema verso le pareti cellulari del mesofillo, dove evapora
negli spazi aeriferi all'interno della foglia. Per diffusione il vapor d'acqua si sposta quindi attraverso
gli spazi aeriferi della foglia, tramite la rima stomatica, e attraversa lo stato limite di aria immobile
che aderisce sulla superficie esterna della foglia. La CO2 diffonde in direzione opposta secondo il
suo gradiente di concentrazione (bassa all'interno, elevata fuori). La traspirazione dipende da:
1) differenza di concentrazione del vapor d'acqua
2) resistenza alla diffusione (1 / conduttività)
La concentrazione del vapor d'acqua diminuisce a ogni passaggio nella via dalla superficie della
parete cellulare all'aria libera al di fuori della foglia. La forza motrice per la perdita di acqua dalla
foglia è il gradiente di concentrazione assoluto e questa differenza dipende dalla temperatura della
foglia. Questa concentrazione si indica con Cwv foglia – Cwv aria. Cwv aria si misura facilmente
mentre Cwv foglia si ricava ipotizzando che l’acqua negli spazi aerei all’interno della foglia sia in
equilibrio con l’acqua che bagna le pareti delle cellule (è una buona approssimazione, anche se non
può essere strettamente vero in quanto l’acqua continua ad evaporare dalle pareti delle cellule).
La velocità di traspirazione è:
E = (Cwv foglia – Cwv aria) / Rs+Rb
il numeratore è la driving force mentre il denominatore è la resistenza cioè 1/conduttività
Il potenziale dell'acqua allo stato di vapore dipende solo dalla componente di concentrazione:
Ψw = RT / Vw * ln (RH) in cui se Ψw=0 si ha che RH=1
in cui RH è l'umidità relativa ed è la concentrazione di vapor acqueo espressa come frazione della
concentrazione a saturazione: RH = Cwv / Cwv ( a saturazione)
Valori di Ψ fisiologici corrispondono a RH intorno a 0.99 e l’aria con RH di 0.5 ha valori di Ψ
estremamente bassi. Se la temperatura della foglia aumenta a causa dell’irraggiamento, l’umidità
relativa crolla e altra acqua passerà in fase gassosa, aumentando la cwv e quindi il gradiente.
L’umidità relativa può risalire a causa della temperatura ma la cwv scende man mano che ci si
allontana dalla foglia. Quando T foglia = T aria abbiamo che RH = Cwv. NB = Una foglia esposta
alla luce del sole ha in genere una temperatura superiore a quella dell’aria che la circonda
Il gradiente del vapor d'acqua è (1.27 – 0,50 mol/m^3) = 7,7 mol/m^3
Il gradiente della CO2 è (0,015 – 0,08 mol/m^3) = 0,07 mol/m^3
La resistenza alla diffusione consiste di due variabili: resistenza stomatica fogliare Rs e resistenza
dello strato di aria ferma Rb. Questo è la resistenza dovuta allo strato di aria immobile che si
trova sulla superficie fogliare e attraverso il quale il vapor d'acqua deve diffondere per raggiungere
lo strato turbolento di aria nell'atmosfera. Lo spessore dello strato limite è determinato dalla velocità
del vento e dall'ampiezza della foglia. Quando l'aria che circonda la foglia è immobile, lo strato di
aria ferma sulla superficie della foglia può essere così spesso da rappresentare il principale
deterrente per la perdita fogliare di vapor d'acqua. L'aumento della temperatura stomatica ha in
queste condizioni scarso effetto sulla velocità di traspirazione. Quando la velocità del vento è
elevata, il trascinamento dovuto al movimento dell'aria riduce lo spessore dello strato limite sulla
superficie fogliare, diminuendo la resistenza di questo strato. In queste condizioni la resistenza
stomatica ha un controllo più grande sulla perdita di acqua da parte della foglia.
Le limitazioni del metodo sono:
 considero l'assunzione di acqua solo del ramoscello
 se taglio la pianta entra aria e perde conduttività
Esercizio:
In una foglia a 20 °C il vapor acqueo nella camera sottostomatica è in equilibrio con il pot. idrico
dell’acqua nelle pareti che ha Ψw= -1 Mpa.
La concentrazione di vapor acqueo negli spazi aerei della foglia che si ricava è 0.953 mol /m3 :
a 20°C corrisponde a RH = 99.3% = 0.953 (ricavato dalla formula) / 0.961 (valore quando RH è
100%)
Ψw = 2.3 (135) log 0.993
Ψw = 310 x (-0.003)
Ψw = circa -1
Se la T della foglia si alza a 32°C , RH = 50% = 0.953/1.87
Se RH diminuisce, cala anche Ψw.
Ψw = 310 log 0.953/1.87
= 310 log 0.5
= 310 (-0.29)
w = -90!
L’ acqua può evaporare dalle pareti del mesofillo fino a che RH ritorna a 99.3% e riporta Ψw di –1
Mpa. Il risultato del cambio di T sarà che, a parità di Ψw, la Cwv della foglia aumenterà da 0.95 a
1.80 mol / m3. Il gradiente di concentrazione sarà più ripido e quindi maggiore anche la driving
force per la perdita di vapor acqueo dalle foglie. A temperature diverse corrispondono
concentrazioni di vapor acqueo molto diverse, benchè Ψw nella pianta sia lo stesso.
Il controllo degli stomi:
Poiché la cuticola che copre la foglia è praticamente impermeabile all'acqua, la maggio parte della
traspirazione avviene tramite la diffusione del vapor d'acqua attraverso le rime stomatiche. Queste
forniscono una via a bassa resistenza per la diffusione di gas attraverso l'epidermide e la cuticola
abbassando la resistenza diffusiva per la perdita d'acqua dalle foglie. Tutte le piante terrestri devono
affrontare il dilemma di assorbire CO2 dall'atmosfera e limitare la perdita di acqua. La cuticola, che
copre le superfici esposte della pianta serve da barriera efficace contro la perdita d'acqua e quindi
protegge la pianta dalla disidratazione. Quando l'acqua è abbondante, la soluzione è la regolazione
temporale delle aperture stomatiche: aperte di giorno e chiuse di notte. Di notte, quando non c'è
fotosintesi e quindi richiesta fogliare interna di CO2, le aperture stomatiche sono strette e
prevengono un'inutile perdita di acqua. Durante le mattinate soleggiate, quando la disponibilità
idrica è abbondante e la radiazione solare che incide sulla foglia favorisce molta fotosintesi, vi è una
forte richiesta interna fogliare di CO2 e gli stomi si aprono. La perdita di acqua in queste condizioni
è elevata ma poiché la disponibilità è alta è vantaggioso per la pianta scambiare l'acqua con i
prodotti della fotosintesi, che sono fondamentali per la crescita e la riproduzione. Quando l'acqua
nel suolo è meno abbondante gli stomi si apriranno di meno o saranno chiusi. L'apertura o meno
degli stomi è regolata da: luce, acqua e CO2.
Quando le cellule di guardia sono trattate con enzimi cellulolitici che digeriscono le pareti cellulari
si formano i protoplasti. I protoplasti delle cellule di guardia si gonfiano in risposta alla luce blu.
L'assorbimento degli ioni stimolato dalla luce e l'accumulo dei soluti organici nelle cellule
diminuisce il potenziale osmotico cellulare e aumenta la pressione osmotica. L'acqua entra portando
ad un aumento del turgore che nelle cellule di guardia con pareti intatte è trasdotto meccanicamente
in un aumento delle aperture stomatiche. In assenza della parete cellulare l'aumento in pressione
osmotica mediato dalla luce blu costringe i protoplasti delle cellule di guardia a gonfiarsi e quindi
ad aumentare in volume. Quando i protoplasti mantenuti sotto velocità di flusso di luce rossa sono
irradiati con flussi bassi di luce blu, il pH del mezzo di sospensione diventa più acido. Questa
acidificazione è bloccata dagli inibitori che dissipano i gradienti di pH e dagli inibitori della pompa
protonica H+-ATPasi. Questo indica che l'acidificazione è il risultato dell'attivazione, operata dalla
luce blu, della pompa protonica ATPasi presente nella membrana plasmatica della cellula di guardia
che estrude protoni nel mezzo di sospensione dei protoplasti e abbassa il pH del mezzo stesso.
In entrambi i tipi di cellule di guardia, l'orientazione delle microfibrille di cellulosa controlla il
cambiamento della forma cellulare quando si verifica il rigonfiamento per assunzione di acqua.
Le microfibrille sono disposte radialmente.
La luce blu (400-500 nm), assorbita da pigmenti gialli, attiva le pompe protoniche delle membrane
delle cellule di guardia. Le pompe protoniche, utilizzando ATP, pompano gli H+ derivati dalla
ionizzazione dell’acido malico fuori dalle cellule di guardia (creando un gradiente elettrochimico ai
lati della membrana). Il gradiente degli H+ permette l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti che
consentono il passaggio per diffusione facilitata di ioni K+ all’interno delle cellule di guardia.
Anche ioni Cl- attraverso altri canali ionici entrano nelle cellule di guardia. L’acqua entra nelle
cellule di guardia per osmosi (gradiente di Cl-,K+ e ioni malato) e ne modifica il turgore: la rima
stomatica si apre. Di sera gli stomi si chiudono grazie alla diminuzione della concentrazione del
saccarosio, che viene polimerizzato in amido, nelle cellule di guardia e conseguente perdita di
acqua. Alla fine della notte l’amido è abbondante nei cloroplasti delle cellule di guardia, ma è
assente nelle cellule del mesofillo.
ABA:
E' un ormone vegetale costituito da 15 atomi di carbonio. L'enantiomero S è l'unica forma attiva
nella chiusura degli stomi. Il suo aumento inibisce l'apertura stomatica causata dalla luce blu.
Quando l'acido abscissico colpisce un recettore posto nella parete cellulare, coadiuvato dall'azione
degli ioni calcio (Ca++), disattiva la pompa protonica. Il gradiente esterno di protoni viene meno
in quanto queste particelle entrano nuovamente nel simplasto. La perdita di alcalinità del simplasto
disattiva la PEP-Carbossilasi che, di conseguenza, non produrrà più ossalacetato ed in risposta il
malato vacuolare torna nel citoplasma. L'acidificazione del citoplasma, inoltre, disattiva la PEPcarbossilasi e porta all'attivazione dell'enzima malico che processa il malato ossidandolo a piruvato
e trasferendo equivalenti di riduzione al NAD, riducendolo. Inoltre si inverte il canale di trasporto
dell'anione cloro (Cl-). Gli ioni calcio vengono rilasciati dal reticolo endoplasmatico in seguito
all'azione dell'ormone ABA che, a seguito di alcune attivazioni e reazioni, media il rilascio degli
ioni. L'ABA entra in contatto con le cellule di guardia inducendole a attivare i canali del calcio, e
dopo una serie di reazioni la cellula apre anche i canali del potassio, facendo fuoriuscire ioni K+
accompagnati dall'acqua. Pertanto le cellule di guardia si sgonfiano, provocando la chiusura degli
stomi. C'è un caso nel quale gli stomi non si chiudono in base alla concentrazione di CO2 o di
ABA: la chiusura idropassiva. La chiusura idropassiva degli stomi avviene quando la pianta è in
una fase di stress idrico talmente pesante da far diminuire l'aliquota di acqua presente a livello delle
cellule di guardia. La chiusura idropassiva non è controllabile né dall'ABA né da nessun altro
meccanismo e, a differenza del controllo ormonale che è indotto, è un fenomeno del tutto fisico.
Il trasporto dei soluti:
Secondo la legge di Fick il movimento di molecole per diffusione procederà sempre
spontaneamente, secondo il gradiente di energia libera o di potenziale chimico, fino a quando verrà
raggiunto l'equilibrio. Il movimento spontaneo in discesa di molecole per diffusione è definito
trasporto passivo. All'equilibrio, non avviene alcun ulteriore movimento netto di soluto senza
l'applicazione di una forza motrice. Il movimento di sostanze contro un gradiente di potenziale
chimico è definito trasporto attivo. Esso non è spontaneo e necessita che venga compiuto del
lavoro sul sistema tramite l'applicazione di energia cellulare. Uno dei modi per ottenere energia è di
accoppiare il trasporto con l'idrolisi di ATP. Il potenziale chimico di qualsiasi soluto è definito
come la somma dei potenziali di concentrazione, elettrico e idrostatico.
μj = μs* + RT ln Cs'
questo è il potenziale chimico del saccarosio all'interno di una cellula
μs = μs* + RT ln Cs°
questo è il potenziale chimico del saccarosio al di fuori della cellula
Possiamo calcolare la differenza del potenziale chimico del saccarosio fra le soluzioni all'interno e
all'esterno della cellula, Δμs indipendentemente dal meccanismo di trasporto. Per il trasporto verso
l'interno il saccarosio viene rimosso (-) dall'esterno della cellula e viene aggiunto (+) all'interno così
avremo che Δμs = μs' – μs°. Risolvendo l'equazione di prima avremo che:
Δμs = RT ln (Cs'/ Cs°)
se questa differenza di potenziale è negativa il saccarosio può diffondere verso l'interno
spontaneamente
Se il soluto possiede una carica elettrica:
Se il soluto ha una carica elettrica si deve anche considerare la componente elettrica del potenziale
chimico. Supponiamo che la membrana sia permeabile a K+ e Cl- piuttosto che al saccarosio.
Poiché le specie ioniche K+ e Cl- diffondono indipendentemente, ognuna di esse avrà il proprio
potenziale chimico: Δμk = μk' – μk°. Poiché la carica elettrostatica di K+ è +1 si ha quindi:
Δμk = RT ln ([K+]'/[K+]° + F * (E'-E°). La grandezza ed il segno di questa espressione
indicheranno la forza motrice per la diffusione del K+ attraverso la membrana. Questa espressione
quindi indica che gli ioni diffondo in risposta sia ai loro gradienti di concentrazione sia a qualsiasi
differenza di potenziale elettrico tra due scomparti (E'-E°). Se le due soluzioni di KCl dell’esempio
precedente vengono separate da una membrana biologica, la diffusione è complicata dal fatto che
gli ioni devono muoversi attraverso la membrana. La quantità di permissione o di restrizione da
parte di una membrana del movimento di una sostanza è detta permeabilità di membrana. Quando
dei Sali diffondono attraverso una membrana si può sviluppare un potenziale elettrico di membrana.
Nei sistemi biologici le membrane sono di solito più permeabili a K+ che a Cl-. Quindi il K+
diffonderà più velocemente fuori dalla cellula (scomparto A) rispetto al Cl- causando nella cellula lo
sviluppo di una carica elettrica negativa nei confronti del mezzo circostante. Il potenziale di
membrana che si forma a seguito della diffusione è detto potenziale di diffusione. Delle soluzioni
generiche contengono sempre un egual numero di cationi e anioni: regola dell’elettroneutralità.
Nell’esempio, l’elettroneutralità viene conservata poiché man mano che il K+ precede il Cl- nella
membrana il potenziale di diffusione che ne risulta ritarda il movimento del K+ e accelera quello
del Cl-. Alla fine entrambi gli ioni diffondono realmente alla stessa velocità ma il potenziale di
diffusione permane. Come il sistema raggiunge l’equilibrio e il gradiente di concentrazione collassa,
si abbassa pure il potenziale di diffusione.
Se la [KCl] è maggiore nello scomparto A che nel B, il potassio e il cloro diffondono a una velocità
più alta nello scomparto B stabilendo un potenziale di diffusione. Quando le membrane sono più
permeabili al potassio che al cloro, gli ioni potassio diffondono più velocemente degli ioni cloro e si
genera una separazione di carica. L’equilibrio per gli ioni K+ e Cl- non sarà raggiunto fino a quando
i gradienti di concentrazione scenderanno al valore zero.
Si parla di grediente elettotrochimico quando è presente un gradiente di concentrazione e un
gradiente elettrico. Gradiente di concentrazione: quando esiste una diversa concentrazione ai due
lati della membrana. Gradiente elettrico: quando esiste una differenza di carica attraverso la
membrana. Il movimento di uno ione implica un flusso elettrogenico.
Nelle cellule vegetali in genere solo il potassio risulta all’equilibrio. Tutti gli altri sono tenuti
lontani dall’equilibrio per diversi motivi (altrimenti sarebbero troppo o troppo poco
concentrati dentro la cellula).
Cioè un potenziale di membrana di 59 mV manterrebbe un gradiente di concentrazione di 10 volte
per uno ione che viene trasportato tramite diffusione passiva. Allo stesso modo, se esistesse un
gradiente di concentrazione di 10 volte per uno ione attraverso la membrana, la diffusione passiva
di quel dato ione secondo il suo gradiente di concentrazione risulterebbe in una differenza di 59 mV
attraverso la membrana. Tutte le cellule viventi posseggono un potenziale di membrana che è
dovuto alla distribuzione asimmetrica degli ioni tra l’interno e l’esterno della cellula. Questi
potenziali possono essere facilmente determinati inserendo un microelettrodo in una cellula e
misurando la differenza di voltaggio tra l’interno della cellula e il mezzo esterno in cui la cellula è
immersa. I due microelettrodi sono collegati a un voltmetro che indica le differenze di potenziale tra
lo scomparto e la soluzione. Potenziali di membrana tipici dei vegetali vanno da -60 mV a -240 mV.
Tra tutti gli ioni mostrati nella figura solo il K+ si avvicina all’equilibrio. Gli anioni NO3-, Cl-,
H2PO4- e SO4- posseggono tutti delle concentrazioni interne superiori a quelle previste che
indicano il loro assorbimento attivo. I cationi Na2+, Ca2+, Mg2+ posseggono delle concentrazioni
interne minori di quelle previste. Questi ioni entrano nella cellula tramite diffusione secondo il loro
gradiente elettrochimico e vengono successivamente estrusi attivamente. Le cellule vegetali
posseggono numerosi scomparti cellulari che possono differire per la loro composizione ionica. Il
citosol e il vacuolo sono gli scomparti intracellulari più importanti in grado di determinare le
relazioni ioniche delle cellule vegetali. Nelle cellule vegetali adulte il vacuolo centrale occupa
spesso il 90% o più del volume cellulare e il citosol è relegato a un sottile strato verso la periferia
della cellula.
1) il potassio è accumulato passivamente sia dal citosol che dal vacuolo a meno che le
concentrazioni extracellulari di K+ siano molto basse, in tal caso viene assorbito attivamente
2) il sodio è pompato attivamente fuori dal citosol negli spazi extracellulari e dentro il vacuolo
3) i protoni in eccesso, generati dal metabolismo intermedio, sono anche espulsi attivamente
dal citosol. Questo processo aiuta a mantenere il pH del citosol vicino alla neutralità mentre
il vacuolo e il mezzo extracellulare sono di solito più acidi di una o due unità di pH
4) tutti gli anioni sono assorbiti attivamente dal citosol
5) il calcio è trasportato attivamente fuori sia dalla membrana cellulare sia da quella del
vacuolo, definita tonoplasto
Processi di trasporto di membrana:
Sia le membrane artificiali che quelle biologiche presentano permeabilità simili per molecole non
polari e per piccole molecole polari. Le membrane biologiche sono molto più permeabili agli
anioni, ad alcune grandi molecole polari come gli zuccheri e l’acqua perché contengono proteine di
trasporto che facilitano il passaggio di ioni selezionati e altre molecole polari:
- proteine canali: agiscono come dei pori nella membrana e la loro specificità è determinata
dalle proprietà biofisiche del canale
- proteine di trasporto: legano la molecola trasportata da una parte della membrana e la
liberano dalla parte opposta
- pompe: dirigono il trasporto attivo 1° e utilizzano direttamente energia, di solito ottenuta
dall’idrolisi dell’ATP per pompare soluti contro il loro gradiente di potenziale elettrochimico
Per gli ioni ed alcune molecole polari come l’acqua i valori di permeabilità sono superiori in una
membrana biologica rispetto ad un doppio strato fosfolipidico artificiale. Per la CO2 e l’O2 i valori
sono simili
I canali del K+ che si aprono solo a potenziali più negativi del potenziale di Nerst sono specializzati
per la diffusione verso l’interno di K+ e sono detti canali entranti di K+. I canali del K+ che si
aprono solo a potenziali più positivi di quello di Nerst sono detti canali uscenti di K+. I canali
entranti di K+ sono responsabili dell’accumulo di K+ che proviene dall’apoplasto. Diversi canali
uscenti di K+ invece agiscono sulla chiusura degli stomi e sul rilascio di K+ nello xilema e
nell’apoplasto.
In questo diagramma si può vedere la corrente che risulterebbe dal flusso di K+ attraverso un set di
ipotetici canali del K+ della membrana plasmatica se non fossero regolari dal voltaggio, se la
concentrazione di K+ nel citosol fosse 100 mM e se quella del K+ extracellulare fosse 10 mM.
Occorre sempre distinguere tra driving force (tendenza) e flusso. Il flusso dipende dalla resistenza
(es. se ci sono trasportatori nella membrana e loro cinetica).
In questo grafico la [K+] intracellulare è = alla [K+] extracellulare. Queste correnti risultano dalla
attività dei canali del K+ regolati dal voltaggio. C’è un valore netto di corrente = 0 al potenziale di
equilibrio. Ci sono anche potenziali = 0 su una vasta gamma di valori perché i canali in queste
condizioni sono chiusi e il K+ non può fluire attraverso di essi.
E’ la risultante di canali diversi.
Trasporto attivo 1°:
Per portare a termine il trasporto attivo un carrier deve accoppiare il trasporto attivo in salita di un
soluto con un altro evento, il rilascio di energia, in modo da ottenere un cambiamento di energia
libera generale di segno -. Il trasporto attivo 1° è accoppiato a una fonte di energia come ad esempio
l’idrolisi dell’ATP. Le proteine di membrana responsabili di questo trasporto sono le pompe,
alcune appartengono alla famiglia di trasportatori definita ATP- binding cassette e possono
trasportare nel vacuolo anche grandi molecole organiche. La H+/ K+ ATPasi pompa fuori dalla
cellula un H+ per ogni K+ che entra e quindi non vi è un netto movimento di cariche attraverso la
membrana. La H+/ K+ ATPasi è quindi una pompa elettroneutra. La H+/ K+ ATPasi della
membrana plasmatica crea il gradiente di potenziali elettrochimici di H+ nelle membrane
plasmatiche e nel citosol e quindi si crea un potenziale di membrana e un gradiente di pH (=5.5
nel vacuolo e 7.3 all’esterno della cellula). Questo gradiente di potenziale elettrochimico per l’H+
è definito forza motrice protonica ed è l’energia libera accumulata sotto forma di gradiente di H+.
Questa forza è usata nel trasporto attivo 2° per garantire il trasporto di numerose altre sostanza
contro i loro gradienti di potenziale elettrochimico. La H+/ K+ ATPasi vacuolare pompa
elettrogenicamente i protoni nel lume del vacuolo e nelle cisterne del Golgi. Si conoscono deu tipi
di trasporto attivo 2°: simporto in cui le sostanze vengono spostate attraverso la membrana nella
stessa direzione e antiporto in cui il movimento in discesa dei protoni permette il trasporto attivo di
un soluto in direzione opposta. Questo trasporto può andare contro un gradiente del soluto
anche se non consuma direttamente ATP.
Modello ipotetico di trasporto attivo 2°:
in questo trasporto l’energia per lo spostamento in salita di un soluto è dovuta all’energia liberata
dal trasporto in discesa di un altro soluto. Nella conformazione iniziale i siti di legame della
proteina sono esposti verso l’ambiente esterno e possono legarsi a un protone. Questo legame porta
ad un cambiamento di conformazione che permette il legame di una molecola S. Questo legame
porta ad un altro cambiamento di conformazione che espone i siti di legame e il loro substrato verso
la parte interna della cellula. La liberazione della molecola S e del protone all’interno della cellula
ristabilisce la configurazione iniziale del carrier e permette l’inizio di un nuovo ciclo di pompaggio.
I processi che dipendono dall’azione dell’H+ ATPasi cellulare sono:
- regolazione del pH citoplasmatico
- controllo del turgore cellulare, apertura degli stomi, crescita della cellula espressi nele
cellule di guardia
Gli esperimenti di cinetica comprendono le misure degli effetti delle concentrazioni di ioni esterni
sulle velocità di trasporto. La velocità max del trasporto mediato da carriers e del trasporto mediato
da canali non può essere superata indipendentemente da [S]. La Vmax è raggiunta quando il sito di
legame per il substrato sul carrier è sempre occupato o quando il flusso attraverso il canale è al
massimo. La costante Km, che equivale alla [S] che causa metà della Vmax tende a riflettere le
proprietà del sito di legame: bassi valori di Km indicano altra affinità del sito di trasporto per la
sostanza trasportata e di solito implicano un sistema di carrier; alti valori di Km indicano una
minore affinità del sito di trasporto per il soluto.
Assorbimento saccarosio: aumenta velocemente con la concentrazione ed inizia a saturarsi a circa
10mM mentre a concentrazioni > l’assorbimento diventa lineare e non saturabile. L’assorbimento
del saccarosio a bassa concentrazioni è un processo attivo mediato da carrier (simporto
saccarosio/H). A concentrazioni più alte il saccarosio entra nella cellula per diffusione passiva
secondo il suo gradiente di concentrazione ed è quindi insensibile ai veleni metabolici.
Effetti del cianuro:
Nella maggio parte delle cellule eucaristiche il K+ ha sia la più alta concentrazione interna sia la più
elevata permeabilità di membrana, così il potenziale di diffusione può avvicinarsi a Ek, il potenziale
di Nerst per K+. Oltre al potenziale di diffusione esiste una seconda componente del potenziale di
membrana. L’eccesso di voltaggio è dato dalla H+ ATPasi elettrogenica della membrana plasmatica.
Si genera un voltaggio attraverso la membrana ogni qualvolta uno ione si sposta dentro o fuori dalla
cellula senza essere controbilanciato dal movimento di uno ione di carica opposta. Ogni
meccanismo di trasporto attivo che porta al movimento di una carica elettrica netta tenderà a
spostare il potenziale di membrana lontano dal valore previsto dall’equazione di Goldmann.
Quest’equazione mette in relazione i gradienti ionici esistenti attraverso una membrana al
potenziale di diffusione che si sviluppa. Un tale meccanismo di trasporto è definito pompa
elettrogenica. L’energia richiesta per il trasporto attivo è spesso fornita dall’ATP. Nella piante la
dipendenza del potenziale di membrana dall’ATP può essere dimostrata osservando l’effetto del
cianuro sul potenziale di membrana. Il cianuro avvelena rapidamente i mitocondri e diminuisce la
quantità di ATP cellulare. Poiché la sintesi di ATP è inibita si ha che il potenziale di membrana cade
sotto i livelli del potenziale di diffusione di Goldman. Quando il cianuro inibisce il trasporto ionico
elettrogenico, il pH del mezzo esterno aumenta mentre il citosol diventa acido poiché l’H+ rimane
all’interno della cellula.
Acquaporine:
Sono una classe di proteine e quando sono espresse in oociti non mostrano correnti ioniche. Quando
l’osmolarità del mezzo è ridotta, l’espressione di queste proteine ha come risultato il rigonfiamento
e l’esplosione degli oociti. Lo scoppio dipende dal rapido influsso di acqua attraverso la membrana
plasmatica dell’oocita che di solito presenta una permeabilità all’acqua molto bassa. Le cellule
vegetali sono in grado di alterare velocemente la loro permeabilità all’acqua in ritmo a stress idrico,
salino, da gelo o da siccità. Le acquaporine sono espresse nelle cellule epidermiche ed
endodermiche e nel parenchima xilematico. Si considera il valore INIZIALE del tasso di trasporto
dell’acqua. Appena entra acqua, Ψw della cellula aumenta e la driving force (ΔΨw) diminuisce.
1. la velocità di trasporto rallenta e si avvicina a zero
2. le piante in siccità hanno ψw foglie = -2 / -5 mPa
3. quando il terreno contiene poca acqua si presenta il problema del rischio di morte della
pianta per disseccamento
4. la presenza e la regolazione dell’attività delle aquaporine è un esempio di risposte per
regolare il flusso di acqua
5. la pianta risponde in vario modo e con tempi diversi: a breve termine chiudendo gli stomi
(soluzione temporanea); a tempi lunghi concentrando soluti (per abbassare ψw)e a tempi
ancora più lunghi aumentando la quantità di radici
Le piante possono modificare ψs delle cellule:
- in genere ψs =-0.8 , -1.2 MPa ; il limite superiore è ~-0.5 MPa e dipende dalla
concentrazione ionica compatibile con il metabolismo
- può aumentare la concentrazione osmotica ( ψs più negativo) per diminuire ψw e permettere
alle piante di estrarre acqua dal terreno arido
- risposta allo stress idrico nelle alofite
- le piante in genere sintetizzano alti livelli di prolina come osmotico
In risposta allo stress idrico le piante:
- accumulo di acido abscissico
- accumulo di soluti
- fotosintesi
Fotosintesi: teoria
La luce possiede sia le proprietà di particella che di onda. Un’onda è caratterizzata da una
lunghezza d’onda che è la distanza tra due picchi successivi nell’onda. La frequenza è il n° di picchi
d’onda che intercorrono in un certo periodo di tempo: c = λ*ν dove c vale 3*10^8 m/s. L’onda
luminosa è un’onda elettromagnetica trasversale in cui i campi sia elettrico che magnetico oscillano
in modo perpendicolare alla direzione di propagazione e a 90° l’uno rispetto all’altro. La luce è
anche una particella che chiamiamo fotone. Ogni fotone contiene una determinata quantità di
energia detta quanto: E = h*ν dove h vale 6,6*10^-34 J/s. Lo spettro di assorbimento fornisce
informazioni circa la quantità di energia luminosa catturata o assorbita da una molecola o da una
sostanza in funzione della lunghezza d’onda. La clorofilla a assorbe nelle regioni del blu (430 nm)
e del rosso (660 nm) ed emessa luce verde. La luce verde non è assorbita ma riflessa.
L’assorbimento della luce è rappresentato da: ChL + h*ν  ChL. La clorofilla nel suo stato
energetico minore, o stato basale, assorbe un fotone (h*ν) e passa ad un livello energetico superiore
o stato eccitato ChL. Fra lo stato eccitato e lo stato basale la distribuzione degli elettroni nella
molecola è diversa. L’assorbimento della luce blu eccita la clorofilla a uno stato energetico
superiore all’assorbimento della luce rossa, poiché l’energia dei fotoni è superiore quando la loro
lunghezza d’onda è più corta. Nello stato di eccitazione superiore la clorofilla è estremamente
instabile e cede rapidamente un po’ della sua energia sotto forma di calore all’ambiente circostante,
passando così a uno stato eccitato minore dove può essere stabile per alcuni nanosecondi. A causa
di questa instabilità dello stato eccitato ogni processo volto a catturarne l’energia dovrà essere
estremamente rapido. Nello stato di eccitazione minore, la clorofilla eccitata ha 4 vie per dissipare
l’energia disponibile:
1) la clorofilla eccitata può ri-emettere un fotone e quindi tornare al suo stato basale. Questo
processo è la fluorescenza. La lunghezza d’onda della fluorescenza è quasi sempre un po’
più lunga di quella dell’assorbimento allo stato elettronico poiché una parte dell’energia di
eccitazione è convertita in calore prima che il fotone fluorescente venga emesso. Le
clorofilla fluorescono nella regione del rosso dello spettro. La fluorescenza è una reazione di
1° ordine in cui: - dS/dt = K1*S. La soluzione è una funzione esponenziale: St = S0 * e^ (K1t) in cui la fluorescenza decade nel tempo con una funzione esponenziale in cui k1 = 1/ τ
2) la clorofilla eccitata può tornare al suo stato basale convertendo direttamente l’energia di
eccitazione in calore, senza emissione di fotoni
3) la clorofilla può partecipare al trasferimento di energia, nel quale una molecola di clorofilla
eccitata trasferisce la sua energia ad un’altra molecola
4) nella fotochimica l’energia dello stato eccitato permette che avvengano le reazioni
chimiche.
Una caratteristica che li distingue è la K di velocità con cui avvengono ( s-1). Se la costante di
velocità K di una reazione è molto più grande di quella delle reazioni in competizione, lo stato
eccitato diverrà de-eccitato prevalentemente attraverso quel processo.
Gli spettri di azione mettono in relazione l’assorbimento della luce con l’attività fotosintetica.
Engelmann utilizzò un prisma per suddividere la luce in un arcobaleno di colori che era orientato
su un filamento di un’alga. Venne introdotta nel sistema una colonia di batteri che utilizzavano O2.
Queste regioni erano quelle illuminate dalla luce blu e dalla luce rossa che sono quelle fortemente
assorbite dalla clorofilla. Questo spettro serve per descrivere l’efficacia di varie λ nel determinare
una risposta biologica specifica, fa capire che non tutte le lunghezze d’onda sono ugualmente
efficaci e dimostra che la clorofilla serve per far avvenire la fotosintesi.
Ci sono diversi pigmenti fotosintetici: clorofille, batterioclorofille, ficoeritrobilina e β-carotene. Una
parte dell’energia luminosa assorbita dalle clorofille e dai carotenoidi è accumulata sotto forma di
energia chimica. Questa conversione di energia da una forma all’altra è un processo che dipende
dalla cooperazione tra un gran n° di molecole di pigmenti e un gruppo di proteine che trasferiscono
elettroni. La maggior parte dei pigmenti funge da complesso antenna, captando la luce e trasferendo
l’energia a un complesso del centro di reazione, dove avvengono le reazioni chimiche che portano
all’accumulo a lungo termine dell’energia. Emerson e Arnold misero a punto il classico
esperimento che fornì la prima prova della cooperazione di numerose molecole di clorofilla nella
conversione dell’energia durante la fotosintesi. Essi fornirono dei lampi di luce molto brevi a una
sospensione di alghe verdi e misurano la quantità di O2 prodotta. I lampi erano ad intervalli di circa
0,1s, un tempo che si era precedentemente determinato essere abbastanza lungo da completare i
passaggi enzimatici del processo prima dell’arrivo del lampo successivo. Variando poi l’energia dei
lampi scoprirono che ad alta intensità, quando veniva fornito un lampo ancora più intenso, la
produzione di O2 non aumentava: il sistema fotosintetico era saturo di luce. In condizioni saturanti
veniva prodotta solo una molecola di ossigeno per ogni 2500 molecole di clorofilla presenti nel
campione. Oggi sappiamo che numerose centinaia di pigmenti sono associati a ogni centro di
reazione e che ogni centro di reazione deve funzionare per quattro volte per produrre una molecola
di ossigeno. I centri di reazione e la maggior parte dei complessi antenna sono componenti integrali
delle membrane fotosintetiche. Negli eucarioti queste membrane si trovano all’interno del
cloroplasto.
La resa quantica è: n° dei protoni fotochimici / n° totale di quanti assorbiti. Nella porzione lineare
della curva l’aumento del n° di fotoni stimola un incremento proporzionale di sviluppo di O2. La
pendenza della curva è la misura della resa quantica per la produzione dell’O2. In cloroplasti attivi
mantenuti a luce bassa, la resa quantica del processo fotochimico è circa 0,95 mentre la resa
quantica della fluorescenza è 0,05.
La funzione dei sistemi antenna è di cedere energia in maniera efficace ai centri di reazione ai quali
sono associati. L’ampiezza del sistema antenna varia: da un minimo di 20-30 batterioclorifille per
centro di reazione in alcuni batteri a 200-300 molecole di clorofilla per centro di reazione nelle
piante. Il meccanismo fisico mediante il quale l’energia di eccitazione viene convogliata dalla
clorofilla che assorbe la luce al centro di reazione si ritiene avvenga per trasferimento di energia
per risonanza di fluorescenza. L’energia di eccitazione viene trasferita da una molecola all’altra
per mezzo di un processo non radiante (es. due diapason vicini in cui il 2° riceve energia dal 1° e
vibra). L’efficienza del trasferimento dipende dalla distanza, dall’orientamento e dall’intensità delle
loro frequenze di vibrazione. L’energia assorbita dai pigmenti antenna è convogliata verso il centro
di reazione attraverso una serie di pigmenti, con un massimo di assorbimento che è via via spostato
sempre più verso il rosso. Questo spostamento indica che l’energia dello stato di eccitazione è in un
certo modo più bassa vicino al centro di reazione. Ad esempio quando l’eccitazione viene
trasferita da una molecola di clorofilla b a una di clorofilla a si ha che la differenza di energia viene
persa nell’ambiente sotto forma di calore. Per trasferire di nuovo lo stato di eccitazione alla
clorofilla b bisognerebbe rifornire l’energia persa. Il sistema sacrifica un po’ di energia da ogni
quanto in modo tale che quasi tutti i quanti possano essere catturati dal centro di reazione.
La clorofilla eccitata può tornare allo stato fondamentale rilasciando l’energia come calore o
luce o trasferire l’e- ad un accettore. Il risultato è la generazione di 1) donatore(+) e 2)
accettore(–) e la separazione di carica avviene nei centri di reazione. L’energia luminosa viene
trasformata in energia chimica.
Esistenza di due fotosistemi: la caduta del rosso
La resa quantica massima generale per la produzione di O2 è di 0,1 fotone per molecola di
ossigeno. Se la resa quantica è misurata per le lunghezze d’onda alle quali la clorofilla assorbe la
luce i valori che si possono trovare nella maggior parte dello spettro sono costanti. Nella parte
estrema della zona del rosso (> 680 nm) però la resa scende drasticamente. La luce con lunghezze
d’onda > 680 nm è molto meno efficiente di quelle a lunghezza d’onda minori. Altri risultati che
davano perplessità furono attribuiti all’effetto di amplificazione fatto da Emerson. Egli misurò la
velocità della fotosintesi separatamente con luci a due lunghezza d’onda differente, usando poi i
raggi simultaneamente. Quando venivano fornite la luce rossa e quella rosso lontano si aveva che la
velocità fotosintetica che si otteneva era > della somma delle velocità ottenute individualmente.
Questo portò alla scoperta dell’esistenza dei fotosistemi I e II che operano in serie. Il fotosistema I
assorbe la luce nel rosso lontano a lunghezze d’onda > 680 nm e produce un forte agente riducente
capace di ridurre il NADP+ e un debole agente ossidante. Il fotosistema II è localizzato nelle
membrane impilate ed assorbe la luce rossa di 680 nm e produce un forte agente ossidante in
grado di ossidare l’acqua e un debole agente riducente rispetto a quello prodotto dal fotosistema I.
La caduta del rosso e l’effetto di amplificazione furono spiegati da Duysens. Egli intuì che due
eventi fotochimici erano responsabili dell’effetto di amplificazione: un evento fotochimico
produceva un’ossidazione e l’altro produceva una riduzione. I cloroplasti contengono i citocromi
che sono proteine contenenti ferro che fungono da intermedi nel trasporto fotosintetico degli
elettroni. Duysens scoprì che quando un campione di alga rossa veniva illuminato con una luce di
lunghezza d’onda lunga, il citocroma si ossidava fortemente. Se era anche presente una lunghezza
d’onda più corta l’effetto era parzialmente rovesciato. Questi effetti antagonistici furono spiegati da
due eventi fotochimici: uno tendeva ad ossidare il citocromo mentre l’altro a ridurlo. Ora sappiamo
che sono presenti due fotosistemi.
Potenziale del punto medio:
Il potenziale del punto medio è la misura della tendenza di un composto ad acquisire elettroni da un
altro composto. Un grande positivo potenziale medio indica che il composto è in forma ossidante
mentre un grande valore negativo indica che il composto è un forte riducente. L’asse y dello schema
a Z indica i potenziali del punto medio dei carriers di elettroni, con valori negativi superiori a quelli
positivi. Le reazioni che sono spontanee sono in discesa. E’ importante conoscere i potenziali del
punto medio per stabilire le modalità del flusso di elettroni. Questa misura viene fatta con titolazioni
redox. Il campione viene calibrato ad un particolare potenziale redox spesso aggiungendo piccole
quantità di un ossidante o di un riducente. Per essere sicuri che il sistema sia veramente in equilibrio
si aggingono dei mediatori redox, piccole molecole che permettono il rapido raggiungimento
dell’equilibrio fra il campione e gli elettrodi del sistema di misura. Il campione viene agitato in una
camera contenente elettrodi di riferimento al platino, si aggiungono dei riducenti e ossidanti chimici
e un voltmentro dà i valori del potenziale redox. L’entità del potenziale redox viene misurata,
seguendo ad ogni potenziale alcune proprietà come ad es. l’assorbanza.
La forza ridotta del campione ha un assorbimento che diminuisce man man che il campione si
ossida. La porzione di forma ridotta è rappresentata in funzione del potenziale redox e il potenziale
del punto medio viene determinato come il potenziale al quale un composto è per metà ossidato e
per metà ridotto.
Lo schema a Z:
Tutti i processi chimici che fanno parte delle reazioni alla luce della fotosintesi sono operati da 4
complessi proteici: fotosistema II, il complesso citocromo b6f, il fosistema I e l’ATP sintasi:
1) nel lume del tilacoide il PSII ossida l’acqua a O2 secondo questa reazione 2H2O  O2 +
4H+ + 4e- e il processo rilascia protoni nel lume
2) il citocromo b6f ossida le molecole di plastoidrochinone PQH2 ridotte dal PSII e rilascia
elettroni al PSI. L’ossidazione del PQH2 è accoppiata al trasferimento di protoni dallo
stroma al lume, generando così una forza proton motrice
3) nello stroma il PSI riduce NADP+ a NADPH tramite l’azione della ferredossina e della
flavoproteina ferredossina-NADP reduttasi (FNR)
4) come i protoni diffondono dal lume allo stroma l’ATP sintasi produce ATP
Nello stato basale la molecola è un debole agente riducente (perde elettroni da un orbitale a basa
energia) e un debole agente ossidante (accetta elettroni solo in un orbitale ad alta energia). Durante
lo stato eccitato un elettrone può essere perso da un orbitale ad alta energia, rendendo la molecola
un agente riducente estremamente potente. Dopo aver perso un elettrone e prima di essere ridotta
dal suo donatore di elettroni la clorofilla del centro di reazione è transitivamente in uno stato
ossidato. In questo stato è persa o sbiancata la forte assorbanza della luce nella regione rossa. La
clorofilla nel centro di reazione del PSI ha nel suo stato ridotto un massimo di assorbimento a 700
nm per questo è definito P700 mentre la relativa clorofilla del PSII è riconosciuta come P680.
-
-
Caratteristiche:
plastoidrochinone: piccola membrana non polare che diffonde rapidamente e si trova nel PSI
II
b6f: grande proteina costituita da molte sub unità e contiene due emi di tipo b ed un eme di
tipo c (citocromo f). Nei citocromi di tipo c l’eme è legato al peptide covalentemente,
mentre nei citocromi di tipo b il gruppo proto emico non è legato covalentemente. Il
complesso contiene anche una ferro-zolfo proteina in cui due atomi di ferro sono collegati
da due atomi di zolfo
Ciclo Q:
Le strutture del complesso del citocromo b6f e de citocromo bc1 suggeriscono un meccanismo di
flusso elettronico e protonico attraverso il complesso citocromo b6f. In questo meccanismo il
PQH2 è ossidato e uno dei due elettroni è trasferito tramite una catena lineare di trasporto di
elettroni al PSI I, mentre l’altro elettrone va incontro a un processo ciclico che aumenta il n° di
protoni pompati attraverso la membrana. Nella catena di trasporto di elettroni la proteina di Rieske
accetta un elettrone dal PQH2 e lo trasferisce al citocromo f. Questo trasferisce un elettone a una
proteina contenente rame colorata in blu, la plastocianina, che a sua volte riduce il P700 ossidato
del PSI. Nella parte ciclica del processo il plastosemichinone trasferisce il suo secondo elettrone a
uno degli emi di tipo b rilasciando i suoi due protoni nella parte del lume della membrana. Il primo
eme di tipo b trasferisce il suo elettrone attraverso il secondo eme di tipo b a una molecola ossidata
di plastochinone, riducendolo a semichinone. Un’altra sequenza simile di flusso di elettroni riduce
completamente il plastochinone che cattura protoni dalla faccia stromatica della membrana e viene
liberato dal complesso b6f come plastoidrochinone. Il risultato finale dei due cicli è che due
elettroni vengono trasferiti al P700, due plastochinoni vengono ossidati a forma
plastochinonica e un plastochinone ossidato viene ridotto a plastoidrochinone. Vengono poi
trasferiti 4 protoni dalla faccia stromatica a quella del lume della membrana.
Sviluppo di ossigeno: 1° passaggio
Si può osservare un modello caratteristico di produzione di ossigeno se un campione di membrane
foto sintetiche adattate al buio viene esposto a una serie di lampi brevissimi e intensi. Durante i
primi due lampi viene prodotto poco o niente ossigeno. Il massimo di ossigeno è liberato al 3°
lampo e a ogni 4 lampi successivi fino a quando la resa per lampo si stabilizza a valori costanti.
Questo modello è definito meccanismo dello stato s e consiste in una serie di 5 stati, dallo stato S0
all’S4 che rappresenta in successione forme sempre più ossidate del sistema enzimatico per
l’ossidazione dell’acqua. I lampi sequenziali di luce fanno avanzare il sistema da uno stato S
all’altro, fino a raggiungere lo stato S4 che produce O2 senza ulteriore imput luminoso e quindi fa
tornare il sistema allo stato S0. A volte dopo l’eccitazione dovuta a un lampo, un centro non avanza
allo stato S successivo e meno frequentemente un centro è attivato 2 volte da un lampo singolo. Ciò
causa la perdita della sincronia ottenuta dall’adattamento al buio e alla fine portano la resa in O2 a
stabilizzarsi su valori costanti. Gli stati S2 e S3 decadono al buio ma solo fino allo stato S1 che si
ritiene essere stabile in assenza di luce. Lo stato S4 invece è instabile e reagisce con 2 molecole di
acqua per produrre O2.
PSI:
Il centro di reazione del fotosistema I è un grande complesso formato da molte subunità e si trova
nelle membrane stromatiche non impilate. Ha molti accettori e riesce sempre a scaricare l’energia
assorbita. PSII invece può solo trasferire gli elettroni al cyt b6f e poi a PSI. PQH2 deve essere
ossidato alla stessa velocità con cui è ridotto. Quando questo non accade si ha un eccesso di energia
su uno dei due fotosistemi. Se è su PSII è pericoloso! Occorre assorbire energia in eccesso dalle
clorofille eccitate: esistono diversi meccanismi di fotoprotezione.
I pigmenti antenna del PSI I formano una sfera che circonda i cofattori di trasferimento elettronico.
Alcuni accettori di elettroni comprendono 3 proteine ferro-zolfo associate alla membrana: Fex, Fea,
Feb. Gli elettroni sono trasferiti attraverso i centri A e B alla ferredossina, una piccola proteina
ferro-zolfo idrosolubile. La flavoproteina associata alla membrana ferredossina-NADP reduttasi
riduce il NADP+ a NADPH, completando così la sequenza di trasporto non ciclico di elettroni
iniziata con l’ossidazione dell’acqua.
Azione dei diserbanti:
DCMU: agisce interrompendo il flusso fotosintetico degli elettroni negli accettori del chinone del
fotosistema I, entrando in competizione per il sito di legame del plastochinone
Paraquat: agisce accettando elettroni dagli accettori primari del fotosistema I
Destini degli elettroni:
1) ciclo di Calvin: vanno a formare NADPH
2) fosforilazione ciclica: il movimento avviene lungo un percorso che si chiude ad anello con il
P700 del fotosistema I: gli elettroni passano dall'accettore primario del fotosistema I a un
trasportatore che non fa parte della via Z, il citocromo b6
3) fosforilazione non ciclica: il movimento degli elettroni avviene lungo l'intera via Z perché
gli elettroni iniziano e terminano il loro spostamento a livello di sostanze diverse
Una parte dell’energia luminosa viene usata per la sintesi di ATP con un processo noto come foto
fosforilazione. In condizioni in cui la rigenerazione di NAP+ è bassa o la richiesta di ATP è alta, la
foglia può ciclare elettroni tra il plastochinone e il PSI e pompare protoni attraverso la membrana. Il
meccanismo che accoppia la sintesi di ATP con il trasporto degli elettroni nei cloroplasti viene
spiegato dall'ipotesi chemioosmotica di Mitchell: la produzione di ATP è accoppiata alla
formazione di un gradiente di protoni nella fotosintesi, a sua volta dovuta al particolare
orientamento dei complessi molecolari della membrana tilacoide (asimmetria nella membrana
tilacoide). Il principio su cui si basa la chemiosmosi è che le differenze di concentrazione degli ioni
e del potenziale elettrico attraverso la membrana rappresentano delle fonti di energia libera che può
essere utilizzata dalla cellula. Le differenze di potenziale chimico di qualsiasi specie molecolare
rappresentano tale fonte di energia. Jagendolf sospese i cloroplasti in un tampone a pH 4, il quale
permeò la membrana portando l’interno e l’esterno dei tilacoidi a equilibrarsi a questo pH acido.
Iniettò poi la sospensione in una soluzione tamponata a pH 8, generando quindi una differenza di
pH 4 con la parte più interna della membrana più acida. Senza input luminoso e senza trasporto di
elettroni potevano essere generate grandi quantità di ATP a partire da ADP e Pi. Mitchell propose
che l’energia totale per la sintesi di ATP risultasse dalla somma del potenziale chimico dei protoni e
il potenziale elettrico trans membrana: forza proton motrice.
ATP sintasi:
Questo enzima sintetizza l’ATP ed è formato da due parti: una porzione idrofoba legata alla
membrana CF0 e una porzione che si protrude verso lo stroma definita CF1. Il CF0 ha la funzione
di canale trans membrana attraverso il quale passano i protoni ed è composto da diversi peptidi
disposti in modo alternato. I siti catalitici si trovano sul peptide β. CF1 invece è la sezione che
sintetizza ATP. Il lume tilacoidale corrisponde allo spazio intermembrana del mitocondrio. Per ogni
rotazione dell’enzima vengono sintetizzate 3 molecole di ATP. Ogni volta che il complesso ruota
ciascuna sub unità può traslocare un protone attraverso la membrana. La sintesi di ATP dissipa il
gradiente protonico (un forte gradiente protonico agisce come segnale per aumentare la dissipazione
di energia dai complessi antenna).
Fotoprotezione:
I sistemi foto sintetici devono affrontare una situazione, essi sono costituiti in modo tale da
assorbire quantità notevoli di energia luminosa e da trasformarla in energia chimica. L’energia di un
fotone può essere dannosa. Se non viene dissipato in modo sicuro, l’eccesso di energia può portare
alla produzione di specie tossiche come il superossido, il singoletto di ossigeno che danneggiano il
sistema. I carotenoidi giocano un ruolo fondamentale nella fotoprotezione. I carotenoidi esercitano
la loro azione foto protettiva estinguendo lo stato eccitato della clorofilla. Il carotenoide eccitato
non possiede sufficiente energia per formare singoletti di ossigeno e decade così al suo stato basale
liberando l’energia sotto forma di calore. La fotoinibizione avviene quando l’eccesso di eccitazione
che giunge sul centro di reazione del PSI II tende ad inattivarlo e danneggiarlo. E’ un complesso di
più processi definito come l’inibizione della fotosintesi causata dall’eccesso di luce. Questo
fenomeno è un processo a più livelli:
 1° linea di difesa: soppressione del danno tramite estinzione del processo di eccitazione con
produzione di calore
 2° linea di difesa: si attiva se la 1° linea non basta e si formano foto prodotti tossici questi
sono eliminati da una varietà di sistemi di salvataggio
 se anche questa 2° linea fallisce i foto prodotti possono danneggiare certe molecole target
come la proteina D1 del foto sistema II. Questo danno porta alla foto inibizione e D1 viene
staccata dal centro di reazione e degradata. Una nuova proteina D1 è reinserita nel centro di
reazione per riformare un’unità funzionante
Le condizioni che favoriscono la fotoinibizione sono: alta luce e bassa temperatura che rallenta il
ciclo di Calvin. Se la velocità di passaggio di energia ai fotosistemi I e II non è perfettamente
accoppiata e se le condizioni sono tali che la fotosintesi sia limitata dalla luce disponibile, la
velocità del flusso elettronico sarà limitata dal fotosistema che riceve meno energia. Una soluzione
sarebbe un meccanismo in grado di spostare l’energia da un foto sistema all’altro come risposta
alle differenti condizioni. Le membrane tilacoidali contengono una proteina chinasica in grado di
fosforilare un residuo specifico di treonina posto sulla superficie dell’LHCII. Quando l’LCHII non
è fosforilato cede più energia al fotosistema II e quando è fosforilato cede più energia la fotosistema
I. La chinasi è attivata quando il plastochinone è accumulato in forma ridotta, il che avviene quando
PSII è attivato rispetto a PSI. LHCII fosforilato allora migra dalle regioni impilate della membrana
verso quelle non impilate. Questa migrazione serve a spostare il bilancio energetico verso PSI che è
localizzato nelle lamelle stromatiche e lontano dal PSII che è localizzato nelle lamelle impilate dei
grana. Questa situazione è definita stato 2. Se il plastochinone passa a uno stato più ossidato a
causa di un eccesso di eccitazione del PSI, la chinasi è disattivata e il grado di fosforilazione di
LHCII viene abbassato da una fosfatasi di membrana. Allora il LHCII ritorna verso i grana e il
sistema passa allo stato 1. Il risultato è un controllo preciso della distribuzione di energia fra i due
fotosistemi.
L’estinzione non fotochimica invece è attuata dalle xantofille ed è l’estinzione della fluorescenza
della clorofilla. A seguito di questo processo gran parte dell’eccitazione del sistema antenna causata
da illuminazione intensa viene estinta con conversione in calore.
Fotosintesi:
Gli organismi autotrofi hanno la capacità di utilizzare l’energia derivante da fonti fisiche e chimiche
per trasformare il carbonio della CO2 atmosferica in composti organici compatibili con le necessità
cellulari. Questa via metabolica riduce la CO2 in carboidrati tramite il ciclo foto sintetico. Nel
ciclo di Calvin la CO2 e l’acqua ottenuti dall’ambiente sono unite enzimaticamente a una molecola
accettore a 5 atomi di C cioè il ribulosio-1,5-difosfato per generare 2 molecole di 3-fosfoglicerato.
Quando intermedio è ridotto in carboidrati usando ATP e NADPH generati fotochimicamente. Il
ciclo si completa attraverso la rigenerazione di ribulosio-1,5-difosfato. Il ciclo di Calvin si divide in
3 fasi:
1) carbossilazione dell’accettore della CO2, il ribulosio-1,5-difosfato, per formare 2 molecole
di 3-fosfoglicerato, il primo intermedio stabile del ciclo
2) riduzione del 3-fosfoglicerato a formare il carboidrato gliceraldeide-3-fosfato
3) rigenerazione di ribulosio-1,5-difosfato a partire dalla gliceraldeide-3-fosfato
Fase di carbossilazione:
Ribulosio-1,5-difosfato + 3CO2 + H2O  6*3-fosfoglicerato + 6H reazione catalizzata dalla
rubisco
6*3-fosfoglicerato + 6ATP 3*1,3-difosfoglicerato + 6ADP reazione catalizzata dalla
fosfoglicerato chinasi
6*1,3-difosfoglicerato + 6NADP + 6H+ 6 gliceraldeide-3P + 6NADP+ + 6H+ reazione
catalizzata dalla glicelaldeide-3P deidrogenasi
2*Gliceraldeide-3P 2 diidrossiacetone-3P reazione catalizzata dalla trioso-P isomerasi
Gliceraldeide-3P + diidrossiacetone-3P fruttosio-1,6-difosfato reazione catalizzata dall’aldolasi
Fruttosio-1,6-diP + H2O fruttosio-6P + Pi reazione catalizzata dalla fruttosio-1,6-difosfato
fosfatasi
Fruttosio-6P + gliceraldeide-3P eritrosio-4P + xilulosio-5P reazione catalizzata dalla
transchetolasi
Eritrosio-4P + diidrossiacetone-3P sedeptulosio-1,7-difosfato reazione catalizzata dall’aldolasi
Sedeptulosio-1,7-difosfato + H2O sedeptulosio-7P + Pi reazione catalizzata da sedeptulosio-1,7diP fosfatasi
Sedeptulosio-7P + gliceraldeide-3P ribosio-5P + xilulosio-5P reazione catalizzata dalla
transchetolasi
2*xilulosio-5P 2-ribulosio-5P reazione catalizzata dalla ribulosio-5P epimerasi
Ribosio-5P ribulosio-5P reazione catalizzata dalla ribosio-5P-isomerasi
3*ribulosio-5P 3-ribulosio-1,5-difosfato reazione catalizzata dalla ribulosio-5P chinasi
Bilancio del ciclo:
Per ogni CO2 vengono prodotte due molecole di 3-PGA
– 2 x ATP
– 2 x NADPH
• 2 elettroni per NADPH
• 2 fotoni per elettrone
• 2x2x2 = teoricamente 8 fotoni per CO2 (se ATP è prodotto in quantità sufficiente)
• 1ATP aggiuntivo per ogni CO2 richiesto nella
reazione della Fosforibulokinasi
I prodotti della fase luminosa quanta energia possiedono?
–18 x ATP e 12 x NADPH
Corrispondono a quanti Joule? In totale: 3126 kJ/mol
18 x 29 kJ/mol 12 x 217 kJ/mol
Quanta energia in 8 moli di fotoni di luce rossa (x 6 CO2)?
6 x 8 x 175 kJ/mol = 8400 kJ
Quanta energia deriva dalla combustione di una mole di esoso? 2804 kJ (ed è la quantità minima
richiesta per sintetizzarla)
Efficienza: energia ricavata / energia investita
3126 / 8400 = 33% efficienza della fotosintesi
2804 / 3126 = 83% efficienza del ciclo di Calvin
Enzima rubisco:
Enzima composto da 8 subunità grandi e 8 subunità piccole (L8S8). La subunità L codificata dal
genoma plastidiale e porta il sito attivo (all’interfaccia tra due subunità L). La sububità S codificata
dal genoma nucleare e non catalizza la reazione (nessun residuo partecipa al sito attivo). L’attività
della rubisco è questa: l’estrazione di un H+ dal C3 del ribulosio-1,5-bisfosfato promuove la
formazione di un intermedio enediolato. Un attacco nucleofilo sulla CO2 porta alla formazione
di un intermedio β-keto acido, che reagisce con acqua per formare 2 molecole di 3
phosphoglycerate. La rubisco in realtà catalizza due reazioni anche se i due substrati sono molto
simili. La molecola di O2 risulta più piccola di CO2 per cui è difficile che non entri nel sito attivo.
L’attività della rubisco è inevitabile ed utile perché la CO2 è molto meno abbondante dell’O2 e si
scioglie di più. La CO2 pur essendo a bassa concentrazione nell’aria (350 µbar), si
arricchisce (scioglie preferenzialmente) nell’acqua. All’aumentare della temperatura, la solubilità di
O2 e CO2 scende, ma quella della CO2 scende più velocemente.
Questo enzima presenta una doppia funzione, carbossilasica e ossigenasica, ognuna delle quali in
grado di agire in particolari condizioni di concentrazione dei substrati. Se la reazione carbossilasica
interviene nella fase oscura della fotosintesi allo scopo di formare gliceraldeide-3-fosfato
utilizzabile per la glulconeogenesi o le biosintesi lipidiche e aminoacidiche, la reazione ossidasica
permette la protezione della cellula vegetale dall'accumulo di ROS (specie reattive dell'ossigeno) in
caso di esagerate quantità di fotoni assorbiti dalle clorofille, che permanendo nello stato di tripletto
tendono a formare radicali liberi tossici e capaci di perossidare anche le membrane. La funzione
ossidasica della Rubisco diminuisce in maniera sostanziale la capacità di fissazione del carbonio
con un fenomeno che è proprio della maggior parte delle piante superiori, dette piante C3 in quanto
il primo prodotto di fotosintesi presenta 3 atomi di carbonio. Alcune specie di piante, però, sono in
grado di aggirare il problema sfruttando delle pompe molecolari adibite al trasporto di anidride
carbonica, in modo da mantenere la concentrazione intracellulare molto alta ed evitare che l'enzima
venga a trovarsi in presenza di ossigeno. In particolare nelle specie dette C4 nelle cellule del
mesofillo ha luogo la conversione di fosfoenolpiruvato in acido ossalacetico, molecola a 4 atomi
di carbonio, e da questo in malato. Il malato prodotto viene quindi trasferito nelle cellule della
guaina del fascio ove libera la CO2 per il normale ciclo di Calvin e genera piruvato che ritorna la
mesofillo ove serve per generare nuovo PEP. Tale meccanismo si traduce nella scarsa sensibilità
delle piante C4 ai fenomeni di saturazione luminosa. Le piante CAM infine sono piante tipiche di
aree caratterizzate da scarsissima disponibilità idrica, per cui presentano una fase notturna in cui, a
stomi aperti, le cellule del mesofillo a partire da PEP producono OAA e di qui Malato che viene
accumulato nel succo vacuolare (che pertanto diviene sempre più acido). Di giorno, a stomi chiusi,
il malato ritorna al citoplasma ove viene liberata CO2 che alimenta il normale ciclo di Calvin.
Una proprietà caratteristica della rubisco è la sua capacità di catalizzare sia la carbossilazione che
l’ossigenazione del ribulosio-1,5-diP. Questa ossigenazione dà inizio ad una serie di eventi
fisiologici in cui l’assorbimento dell’O2 dipendente dalla luce è associato allo sviluppo di CO2 in
foglie foto sinteticamente attive. Per fotorespirazione si indica quel processo metabolico
respirativo che le piante con ciclo C3 attuano alla luce, e continuano per un breve periodo anche al
buio, per eliminare l'ossigeno in eccesso. Le alte pressioni di ossigeno atmosferico provocano uno
stop della fotosintesi, al fine di prevenire la formazione di radicali liberi, dannosissimi alle cellule;
via via che queste pressioni diminuiscono, in favore della pressione cellulare di anidride carbonica,
il processo fotosintetico aumenta la sua attività. Il perché è da ricercarsi nell'ambiguo meccanismo
di funzionamento della ribulosiodifosfato carbossilasi (enzima chiave nella carbossilazione nel ciclo
di Calvin). Comunemente la ribulosiodifosfato carbossilasi ha un'azione che ad alte concentrazioni
di ossigeno predilige svolgere il compito di ossidasi, ovvero l'eliminazione dell'ossigeno in eccesso,
anziché prender parte al ciclo di Calvin, il cui scopo è invece la fissazione dell'anidride carbonica.
In pratica, sulla RuDP Carbossilasi (o anche Rubisco) gravita un meccanismo competitivo tra
molecole di CO2 e molecole di O2, basato sulle loro concentrazioni. Il ciclo fotorespirativo si
articola in tre differenti organuli dei tessuti verdi delle cellule vegetali; il cloroplasto, il perossisoma
ed il mitocondrio.
1) Il carbonio esce dal cloroplasto sottoforma di 2 molecole di glicolato e fa ritorno sottoforma
di una molecola di glicerato, perdendo una molecola di CO2 nel mitocondrio
2) Nel secondo ciclo l’azoto esce dal cloroplasto come molecola di glutammato e vi fa ritorno
come NH4+ poi associata a una molecola di 2-oxoglutarato. L’azoto totale resta invariato in
quanto la formazione dell’azoto inorganico nel mitocondrio è bilanciata dalla sintesi di
glutammina nel cloroplasto
3) Nel terzo ciclo, quello legato all’ossigeno, le reazioni catalizzate dalla rubisco nel
cloroplasto e dalla glicolato ossidasi nel perossisoma incorporano O2 dando un carattere
ossidativo all’intero processo
In generale due molecole di 2-fosfoglicolato che vengono perse dal ciclo di Calvin attraverso
l’ossigenazione del rubulosio-1,5-difosfato vengono convertite in una molecola di 3-fosfoglicerato e
una molecola di CO2. E’ necessario che la fotorespirazione fornisca l’ATP necessario per far
avvenire la reazione. La fotorespirazione mantiene attiva la catena di trasporto degli elettroni in
assenza di CO2 ma se ho O2 vado incontro a < foto inibizione. Al termine del processo la pianta
riesce a recuperare il 75% del carbonio che altrimenti andrebbe perso in un composto a C2. Questa
diminuzione di efficienza può essere misurata come un aumento nella richiesta quantica per la
fissazione della CO2 in condizioni di elevata foto respirazione (aria con molta O2 e poca CO2), in
contrapposizione a reazioni di scarsa foto respirazione (basso O2 e alta CO2). Il bilancio tra il ciclo
C2 e il ciclo di Calvin è legato alle proprietà della rubisco e alla temperatura e [CO2] e [O2]. Un
aumento della temperatura modifica le costanti cinetiche della rubisco aumentando il tasso di
ossigenazione rispetto alla carbossilazione e abbassa la [CO2] in una soluzione in equilibrio con
l’aria. Es. mutanti nella glutammato sintetasi
cloroplastica (Fdx dipendente) sono capaci di crescere ad alta CO2 ma non in aria (clorosi). La
fotorespirazione conferisce un vantaggio (i mutanti muoiono) in limitazione di CO2.
Esempi di mutanti che richiedono alta CO2:
Gli enzimi alterati sono: fosfoglicolato fosfatasi, catalasi, serina trans-idrossimetilasi, traslocatore
dell’accido dicarbossilico, glusintasi e glicina sintasi. I mutanti mostrano tutti clorosi a [CO2]
ambientale. La semplicità dello screening (clorosi in aria, ma non ad alta CO2) ha permesso
l’isolamento di molti mutanti.
Attivazione della rubisco:
La conversione della forma inattiva della rubisco in uno stato attivo, necessaria per la reazione di
carbossilazione e di ossigenazione, richiede la carbammilazione si uno specifico residuo di lisina. A
seguito del legame della molecola di CO2- con il residuo di lisina, l’enzima acquisisce una triade di
residui anionici che forniscono il sito di legame per Mg2+. Questo comporta l’incorporazione della
CO2 e della O2 nel sito attivo per generare i prodotti della carbossilazione e dell’ossigenazione.
L’attivazione della rubisco è promossa dall’aumento sia del pH che dalla [Mg2+]. Nello stato attivo
la rubisco si lega alla CO2 substrato, che reagisce con il ribulosio-1,5-diP per generare due
molecole di 3-fosfoglicerato. Lo stretto legame del ribulosio-1,5-diP alla rubisco impedisce la
carbamminazione. L’interazione della rubisco con la rubisco attivasi, in una reazione che richiede
ATP, porta a un cambiamento strutturale della rubisco che rilascia lo zucchero P e prepara l’enzima
per l’attivazione. Alcuni mutanti di Arabidopsis mancano in vivo dell’attivazione mediata dalla luce
della rubisco e possono crescere a basse [CO2].
Cinetica:
Se S >> Km V° = Vmax
Se S << Km V° = (Vm*[S]) / Km
Se metto l’inibitore ho che la velocità tende ad andare a saturazione:
v = Vm*S) / (Km*(1+ I/Ki) + S)
se metto il substrato ho che questo scalza via l’inibitore e V° = Vmax
Ottengo:
Vc = (Vc*C*K0) / (Kc*K0 + Kc*O + C*K0)
velocità di carbossilazione
Vo = (Vo*O*Kc) / (Ko*Kc + Ko*C + O*Kc)
velocità di ossigenazione
(Vc*Ko) / (Vo*Kc) * C/O = Srel * C/O
Srel è molto varia tra i diversi organismi ed è il fattore di specificità relativa. Varia tra 20 e 180.
Mentre la rubisco è molto inefficiente dal punto di vista catalitico perché fa meno di 10 catalisi/s.
Per trade off si intende l’aumento della velocità della reazione ma questo comporta una perdita di
specificità. Quanto più l’enediolo nel sito attivo è in una configurazione contorta, tanto più la
reazione è specifica per la CO2 e tanto più è difficile rilasciare i prodotti.
Se c’è una buona rubisco c’è un’alta capacità di carbossilazione. La pianta fa avvenire
carbossilazione e ossigenazione e lo vedo perché non acquista peso infatti tanta CO2 strappa e tanta
ne restituisce:
A = Assimilazione = vc- 0.5vo- Rd in cui 0,5 vo indica che servono 2 glicine decarbossilate per
produrre una CO2 e Rd è la respirazione al buio (bassa luce) quindi si trascura
Per ogni RuBP ossigenato si libera una glicina e quindi solo 0.5 molecole di CO2. Mi servono 2°2
per liberare una CO2. Quando A=0 siamo al punto di compensazione della CO2.
Punto di compensazione della CO2:
Al buio non vi è assimilazione foto sintetica di carbonio; invece vi è una liberazione netta di CO2
da parte della foglia a causa della respirazione mitocondriale e per convenzione in questa parte della
curva l’assimilazione della CO2 ha valori negativi. Quando aumenta il flusso fotonico, aumenta
l’assorbimento della CO2 fino a quando equivale alla liberazione di CO2 da parte della respirazione
mitocondriale. Il punto al quale l’assorbimento fotosintetico della CO2 bilancia esattamente la CO2
liberata è definito punto di compensazione. Le piante cresciute al buio hanno punti di
compensazione più bassi delle piante cresciute al sole perché è sufficiente una piccola quantità di
fotosintesi netta per portare i tassi di liberazione della CO2 a zero. Aumentare il flusso fotonico
sopra il p.d.c porta ad un aumento proporzionale della velocità fotosintetica risultando in una
relazione lineare tra velocità di fotosintesi e flusso fotonico. In questa porzione lineare della curva
la pendenza della linea fornisce la massima resa quantica della fotosintesi: prodotto dipendente
dalla luce / n° di fotoni assorbiti.
Regolazione della rubisco:
L’attività della Rubisco deve essere regolata, altrimenti i substrati tendono a scomparire e i prodotti
ad accumularsi. L’attività della Rubisco viene regolata a diversi livelli:
* Quantità di enzima sintetizzato
* Stato di attivazione
* Presenza di inibitori
* Anche la disponibilità dei substrati influenza la reazione
La RuBisCO viene attivata per carbamilazione di un residuo di lisina da parte di una molecola di
CO2 che non interagisce con il sito attivo; la reazione viene favorita da [H+] bassa e [Mg++] alta.
La RuBisCO attivasi aiuta il rilascio del substrato (o di inibitori) che impediscono la
carbamilazione. La reazione è ATP dipendente. Quando aumenta la luce la Rubisco viene attivata.
La CO2 agisce sia da attivatore (modulazione) o da substrato (catalisi) per la rubisco. Alcune piante
sintetizzano al buio degli inibitori della Rubisco. Sono analoghi dello stato di transizione, (es.
CABP o carboxyarabinitol-1-phosphate CA1P). La Rubisco attivasi facilita il rilascio di CA1P dalla
Rubisco, quando viene attivata in condizioni di illuminazione dal sistema della tioredossina.
Regolazione della ferredossina-tioredossina:
La luce, oltre alla rubisco, regola l’attività di 4 enzimi del ciclo di Calvin attraverso il sistema
ferredossina-tioredossina cioè ferredossina, ferredossina-tioredossina reduttasi e tioredossina. Il
meccanismo di ossidazione-riduzione utilizza il prodotto del sistema di trasporto degli elettroni
della fotosintesi per la modulazione dell’attività enzimatica. Così il sistema ferredossinatioredossina unisce la luce assorbita dalla clorofilla nelle membrane tilacoidali all’attività
metabolica dello stroma del cloroplasto. Il potere riducente della ferredossina ridotta è trasferito alla
tioredossina dal ferro-zolfo enzima ferredossina-tioredossina reduttasi. A sua volta la tioredossina
ridotta riduce un enzima target alterandone l’attività catalitica. Gli enzimi biosintetici sono attivati e
quelli degradati sono disattivati.
Come aggirare la fotorespirazione:
Molte piante non fotorespirano o lo fanno in modo limitato. Queste piante posseggono rubisco
normali e la loro ridotta fotorespirazione dipende da un meccanismo di [CO2] nell’ambiente in cui
si trova la CO2, sopprimendo così le reazioni di ossigenazione. Uno dei meccanismi è rappresentato
dalle pompe di CO2 della membrana plasmatica presente nelle piante acquatiche. Molti organismi
in risposta al cambiamento di [HCO3-] dell’ambiente acquoso sviluppano efficaci meccanismi di
[CO2], migliorando la carbossilazione della rubisco. Quando cellule algali e ciano batteriche
vengono coltivate in un’atmosfera arricchita con il 5% di CO2, esse mostrano i sintomi della
fotorespirazione cioè inibizione della fotosintesi dovuta a basse [CO2]. Se queste cellule sono
messe in un’atmosfera con 0,03% di CO2 esse sviluppano la capacità di concentrare al loro interno
il carbonio inorganico. In queste condizioni di bassa CO2 le cellule perdono la capacità di foto
respirare poerchè accumulano HCO3- nel citosol usando sia pompe per HCO3- che per CO2
associate all’azione dei complessi NADPH-deidrogenasi della membrana citoplasmatica. Il carattere
ionico dell’HCO3- aumenta il suo assorbimento attivo poiché le membrane lipidiche sono meno
permeabili a questa specie. I traslocatori localizzati nella membrana tilacoidali e in quella
plasmatica pompano CO2 e HCO3- nel citosol del tilacoide di un cianobatterio. La resistenza alla
diffusione per l’efflusso e il gradiente interno di HCO3- portano il carbonio inorganico verso il
carbossisoma. L’anidrasi carbonica catalizza l’interconversione fra HCO3- e CO2 aumentando la
[CO2] intorno alla rubisco e facilitando la carbossilazione del ribulosio-1,5-diP.
Piante C4:
Quando le foglie erano esposte per pochi secondi alla 14CO2 in piena lucesi riscontrava il 70-80%
della marcatura negli acidi a 4 atomi di C malico e aspartico. Hatch e Slack furono in grado di
stabilire che gli acidi malico e aspartico erano i primi intermedi stabili e rilevabili della fotosintesi
nelle foglie di canna da zucchero e che l’atomo di C in posizione 4 dell’acido malico diventava poi
l’atomo di C in 1 del 3-fosfoglicerato. La via C4 è stata riscontrata in foglie di piante superiori con
tessuti vascolari circondati da due tipi distinti di cellule: un anello interno di cellule della guaina
del fascio, circondato da un anello esterno di cellule del mesofillo. Le cellule della guaina del
fascio contengono cloroplasti generalmente collocati centrifugamente, contenenti grandi granuli di
amico e membrane tilacoidali non granali mentre le cellule del mesofillo contengono cloroplasti
disposti a caso con tilacoidi granali e amido scarso o assente. Questa particolare struttura dimorfica
assicura la compartimentazione cellula-specifica degli enzimi essenziali per fornire la CO2 alla via
C4. Gli enzimi che prendono parte si trovano in uno dei due tipi cellulari: la PEPCasi e la piruvatoP dichinasi si trovano nelle cellule del mesofillo e sono attive se c’è luce e inattive se c’è buio. Le
decarbossilasi e tutti gli enzimi del Ciclo di Calvin si trovano nelle cellule della guaina del fascio. Il
ciclo C4 si divide in 4 fasi:
1) La fissazione della CO2 tramite la decarbossilazione delle cellule del mesofillo del
fosfoenolpiruvato per formare ossalacetato. L’ossalacetato è poi ridotto ad acido malico
dalla NADP-malato deidrogenasi o convertito in aspartato attraverso la transamminazione
con la glutammina
2) Trasporto degli acidi a 4 atomi di C (malato o aspartato) nelle cellule della guaina del
fascio che circondano i fasci vascolari
3) Decarbossilazione degli acidi a 4 atomi di C e la liberazione della CO2 che viene poi
ridotta in carboidrati per opera del ciclo di Calvin. In alcune piante C4, prima di questa
reazione, una aspartato amminotrasferasi catalizza la conversione dell’aspartato in
ossalacetato. Diversi tipi di piante C4 hanno co-optato carbossilasi alternative per il rilascio
della CO2 da acidi organici la cui azione riduce efficacemente la reazione ossigenasica della
rubisco, aumentando la proporzione di CO2 rispetto all’O2
4) Trasporto degli acidi a 3 atomi di C (piruvato e alanina) formati durante la
decarbossilazione verso le cellule del mesofillo e la rigenerazione dell’accettore della CO2.
Quando il piruvato è l’acido a 3 atomi di C disponibile viene generato fosfoenolpiruvato
tramite l’azione della piruvato-P dichinasi. Quando l’alanina è il composto esportato dalle
cellule della guaina del fascio, la formazione del piruvato per azione dell’alanina
amminotrasferasi procede la fosforilazione catalizzata dalla piruvato-P dichinasi
Esistono 3 varianti del ciclo C4 che differiscono dall’acido C4 trasportato dentro le cellule della
guaina del fascio (acido malico e aspartico) e nelle modalità di decarbossilazione. Il loro nome è
legato all’enzima che catalizza la decarbossilazione: enzima malico NADP-dipendente che si trova
nei cloroplasti; enzima malico NAD-dipendente che si trova nei mitocondri e fosfoenolpiruvato
carbossichinasi presente nel citosol. Una costante dei vari tipi di C4 è la necessità di un grande
flusso di metaboliti tra il mesofillo e la guaina del fascio. Sono presenti abbondanti perforazioni che
mettono in comunicazione i citoplasmi.
Piante CAM:
Molte piante che popolano ambienti aridi con disponibilità idrica stagionale concentrano la CO2 nel
sito della rubisco. La fotosintesi CAM è associata a caratteristiche anatomiche che minimizzano la
perdita di acqua come la presenza di spesse cuticole, bassi rapporti superficie-volume, grandi
vacuoli e riduzione dell’ampiezza e della frequenza dell’apertura stomatica. Una pianta CAM perde
50-100g di acqua ogni grammo di CO2 organicata rispetto ai 250-300 delle piante C3 e C4. La
formazioni degli acidi è separata sia spazialmente che temporalmente. Di notte la PEPCasi del
citosol cattura la CO2 trasformandola in ossalacetato usando il fosfoenolpiruvato formato
attraverso la degradazione glicolitica di carboidrati accumulati. Una NAD-malato deidrogenasi
citosolica converte l’ossalacetato in malato che è poi accumulato nel vacuolo. Durante il giorno il
malato accumulato viene trasportato nel cloroplasto e quindi decarbossilato tramite l’enzima
malico NADP-dipendente citosolico, l’enzima malico NADP-dipendente mitocondriale o la
fosfoenolpiruvato carbossichinasi mitocondriale. La CO2 liberata è fissata nuovamente dal ciclo di
Calvin mentre si ritiene che gli acidi complementari a 3 atomi di C siano convertiti prima in triosi
fosfato e quindi in amido tramite gluconeogenesi. Dipende poi dalla specie di pianta il fatto che i
triosi fosfati vadano nel cloroplasto per essere accumulati come amido o che siano trasportati nel
vacuolo per diventare riserve di saccarosio o esosi. Le piante si acclimatano alla quantità di luce:
l’anatomia e la fisiologia della foglia dipendono dalla quantità di luce che sperimentano (in
particolare durante lo sviluppo). Piante crescite ad alta luce hanno foglie spesse e alta capacità
fotosintetica, ma crescono male a bassa intensità. Nelle piante cresciute a bassa luce la fotosintesi è
saturata a irradiazione minore.
Se le piante C3 sono esposte a basse [O2] la fotorespirazione viene inibita e la resa quantica
aumenta a 0,09 moli CO2 / mole di fotoni. Se si espongono le C4 la resa quantica rimane costante a
0,05. Questo avviene perché il meccanismo di concentrazione del carbonio nelle C4 elimina
efficacemente lo sviluppo di CO2 dovuto alla fotorespirazione. Le rese quantiche variano in base
alla temperatura e alla [CO2]. Sotto i 30° le rese quantiche delle C3 sono > di quelle delle C4. Una
volta raggiunta la saturazione, ulteriori aumenti nella densità di flusso fotonico non influiscono più
sulle velocità foto sintetiche indicando che altri fattori come l’attività della rubisco sono diventati
limitanti per la fotosintesi.
Piante C3:
Al buio la respirazione causa un efflusso netto di CO2 dalla pianta. Il punto di compensazione è
raggiunto quando l’assimilazione della CO2 dalla fotosintesi equivale alla CO2 liberata dalla
respirazione. Aumentando la luce sopra il pdc aumenta la fotosintesi, indicando che la fotosintesi è
limitata dalla velocità di trasporto degli elettroni, che a sua volte è limitata la luce. Ulteriori aumenti
della fotosintesi sono limitati dalle capacità carbossilanti della rubisco o dal metabolismo dei triosi
fosfati. Questa parte della curva è limitata dalla CO2.
Il mais è una pianta C4.
Normalmente nell’aria la fotorespirazione aumenta nelle C3 con l’aumentare della temperatura e il
costo energetico della fissazione netta aumenta parallelamente. Questo maggiore costo energetico è
espresso dalla minore resa quantica a temperature + elevate. La fotorespirazione delle C4 a causa
dei meccanismi di [CO2] è bassa e la resa quantica non mostra dipendenze dalla temperatura. A
bassa temperatura la resa quantica delle C3 è maggiore delle C4.
Assimilazione netta della CO2:
Le C4 presentano un massimo a temperatura più alta. Le caratteristiche del loro metabolismo
possono essere riprodotte in una singola cellula. Le piante C3 sono fotosinteticamente attive di
giorno, mentre di notte chiudono gli stomi e diventano consumatori. Il processo avviene all'interno
di un'unica cellula e, a differenza delle piante CAM, senza la necessità di scompartimenti.
Le piante C3 fotosintetizzano efficientemente solo a temperature temperate, poiché tenendo gli
stomi aperti di giorno, con una temperatura eccessiva fanno evaporare troppa acqua dalle foglie.
Fotosintati:
L’assimilazione fotosintetica della CO2 atmosferica da parte delle foglie porta alla formazione di
saccarosio e amido come prodotti finali: il saccarosio nel citosol e l’amido nel cloroplasto. Alla
luce, il saccarosio è esportato continuamente dal citosol della foglia verso le parti non foto
sintetiche della pianta. L’amido invece formato da amilosio e amilopectina, è un composto di
riserva e si accumula all’interno dei cloroplasti sotto forma di granuli. L’arrivo del buio non solo
arresta l’assimilazione del carbonio ma dà inizio alla degradazione dell’amido contenuto nel
cloroplasto al fine di mantenere il tasso di esportazione di saccarosio. Gli zuccheri prodotti dalla
fotosintesi si spostano dal mesofillo al floema.
Durante il giorno il C assimilato foto sinteticamente è incorporato nell’amido nel cloroplasto o
esportato nel citosol per la sintesi di saccarosio. L’ADP-glucosio è il donatore di glucosio per
l’allugamento della catena polisaccaridica dell’amido. Di notte la degradazione del granulo d’amido
soddisfa le richieste di carbonio per il mantenimento della produzione di saccarosio. La rottura del
legame glucosidico che avviene di notte libera maltosio e glucosio che fluiscono attraverso la
membrana del cloroplasto e alimentano il pool di esosi fosfati (fruttosio-6P; glucosio-6P;
glucosio-1P). Le [amido] sono massime durante il giorno e minime durante la notte. Il problema di
fondo è che gli intermedi della fotosintesi hanno un turnover rapido; il rifornimento di precursori
deve essere accoppiato alla rimozione di prodotti. L’esporto di triosi fosfati deve essere accoppiato
all’importo di fosfato nel cloroplasto. Il trasfocatore dei TP ha appunto questo ruolo. Ogni
molecola di Trioso-P che esce si porta dietro un fosfato. Se il fosfato non rientrasse, dopo un poco
la fotosintesi si bloccherebbe. Durante l’attività fotosintetica in un giorno di sole il trasfocatore di
triosi fosfati media l’esportazione del carbonio fissato dal cloroplasto al citosol. Il P rilasciato dai
processi biosintetici che avvengono nel citosol è traslocato verso il cloroplasto, dove viene usato per
rifornire l’ATP e altri metaboliti fosforilati, sostenendo così il trasporto di elettroni durante la
fotosintesi e il ciclo di Calvin. Questo scambio bilancia il rapporto triosi fosfati/fosfati tra lo stroma
e il citosol. Il DAP è il trasfocatore migliore. Ci deve essere un concentrazione ottimale di fosfato
per stimolare la fotosintesi. Se c’è troppo P la fotosintesi è repressa e il trioso fosfato sarebbe
trascinato fuori velocemente e il ciclo di Calvin non si può sostenere. Se è troppo poco l’esporto di
TP è rallentato, si accumula nel cloroplasto e stimola la sintesi di amido. La sintesi di amido
raggiunge un massimo a concentrazioni di Pi più basse di quelle a cui la fotosintesi raggiunge il
massimo. L’amido viene degradato a maltosio e maltotrioso durante la notte ed esportato
principalmente come maltosio. Piante mutate nel trasfocatore crescono meno ad alta luce.
Cosa succede quando i [TP] salgono? (se GAP raddoppia, anche DAP aumenta quasi
proporzionalmente)
Keq= [GAP]x[DAP]/ [F1,6 BP]
[F1,6 BP] = [GAP]x[DAP]/ Keq
Se i TP raddoppiano, [F1,6 BP] quadruplica!!
[Pi] scende
Quando aumenta l’esporto di TP viene stimolata la sintesi di saccarosio e l’amido non si accumula.
Vie di esporto dei TP: traslocatore del maltosio, del glucosio e del TP
Degradazione dell’amido: il rilascio di glucani solubili dal granulo d’amido richiede la
fosforilazione del polisaccaride tramite una glucano-acqua chinasi e una fosfoglucano-acqua
dichinasi. Gli enzimi de ramificati trasformano l’amido ramificato in glucani lineari che a loro volta
posso essere convertiti in maltosio tramite β-amilolisi catalizzata dalla β-amilasi del cloroplasto. Il
malto triosio residuo è trasformato in maltopentatosio e glucosio. Due pompe presenti nella
membrana del cloroplasto, una per il maltosio e l’altra per il glucosio, facilitano il flusso di questi
prodotti della degradazione dell’amido verso il citosol. L’utilizzo del maltosio nel citosol fogliare
procede tramite una glicosidasi che trasferisce un gruppo glucosile su un glucano ramificato,
liberando allo stesso tempo glucosio. Il glucosio citosolico può essere fosforilato tramite una
esochinasi a glucosio-6P per la sua incorporazione nel pool degli esosi fosfati.
Trasporto floematico:
Il processo che redistribuisce:
– Fotosintato
– Altri composti organici (metaboliti, ormoni)
– Alcune sostanze minerali
Attraverso la pianta scorrono due vie di trasporto a lunga distanza, il floema e lo xilema. Il floema
di solito è situato nella parte esterna sia dei tessuti vascolari primari che secondari. Le cellule del
floema che trasportano lo zucchero e le altre sostanze attraverso la pianta sono definite elementi del
cribro e comprendono sia gli elementi dei tubi cribrosi (differenziate nelle angiosperme) che le
cellule cribrose (non specializzate nelle gimnosperme). Le piccole venature delle foglie e i fasci
vascolari primari dei fusti sono spesso circondate da una guaina del fascio che consiste di uno o più
strati di cellule con disposizione compatta. Gli elementi del cribro sono caratterizzati dalle aree
cribrose, porzioni della parete cellulare dove dei pori mettono in connessione le cellule conduttrici.
Alcune aree cribrose si differenziano in placche cribrose che possiede pori più grandi cioè canali
aperti che permettono il trasporto tra cellule. Si trovano sulle pareti terminali degli elementi dei tubi
cribrosi, dove le singole cellule si uniscono per formare una serie longitudinale detta tubo cribroso.
Ci sono dei meccanismi di riparazione degli elementi del cribro a breve termine che coinvolgono
proteine del succo floematico. Il meccanismo invece per evitare la perdita di succo a lungo termine
è invece l’occlusione dei pori delle placche cribrose con un polimero del glucosio. Le principali
proteine floematiche coinvolte sono le proteine P che non si trovano mai nelle gimnosperme.
Entrano in azione sigillando gli elementi del cribro danneggiati, tappando i pori della placca. I tubi
cribrosi sono sottoposti a un’alta pressione di turgore interna e gli elementi del cribro in un tubo
cribroso sono collegati gli uni agli altri tramite i pori aperti della placca. Quando un tubo cribroso è
tagliato la liberazione della pressione causa il movimento del contenuto degli elementi del cribro
verso la parte tagliata dalla quale la pianta perderebbe la maggior parte del succo. Una soluzione più
a lungo termine è invece la produzione all’interno dei pori di callosio che è sintetizzato negli
elementi funzionanti del cribro in risposta a lesioni o a stress come la stimolazione meccanica e le
alte temperature.
Le cellule degli elementi del cribro:
Ogni elemento del cribro è associato a una o più cellule compagne. I plasmodesmi penetrano
attraverso le pareti fra gli elementi dei tubi e le cellule compagne indicando una stretta relazione
funzionale e facilità di trasporto. Le cellule compagne giocano un ruolo importante nel trasporto dei
prodotti fotosintetici dalle cellule produttrici delle foglie mature agli elementi del cribro nelle
venature minori della foglia. Esse si fanno anche carico ad es. della sintesi proteica mentre i loro
numerosi mitocondri possono fornire energia agli elementi del cribro sotto forma di ATP. Le cellule
compagne comuni sono caratterizzate da cloroplasti con tilacoidi ben sviluppati e da pareti cellulari
con una superficie interna liscia. Non ci son plasmodesmi che connettono queste cellule con quelle
che le circondano. Il simplasto dell’elemento del cribro e la sua cellula compagna è quasi del tutto
isolato da quello delle cellule che stanno intorno. Una transfer cell è come una cellula comune ma
ha uno sviluppo di invaginazioni digitiformi della parete che aumentano la superficie della
membrana plasmatica e il trasferimento di soluti attraverso le membrane. Le cellule compagne e le
transfer cell sono specializzate nell’assorbimento dei soluti dall’apoplasto o dalla parete cellulare.
Le cellule intermedie invece sono specializzate nell’assorbimento di soluti tramite connessioni
citoplasmatiche e contengono numerosi plasmodesmi che le collegano alle cellule che le circondano
in modo particolare alle cellule della guaina del fascio. Queste cellule hanno anche la funzione nel
trasporto simplastico degli zuccheri dalle cellule del mesofillo agli elementi del cribro.
Sorgente e pozzi:
Il trasporto del floema non avviene esclusivamente verso l’alto o verso il basso. La traslocazione
avviene da aree di rifornimento definite sorgenti verso aree di metabolismo o accumulo definite
pozzi. Le sorgenti comprendono qualsiasi organo in grado di esportare, di solito le foglie adulte, e
capace di produrre fotosintati in eccesso rispetto al proprio fabbisogno. Un altro tipo di sorgente è
un organo di riserva durante la fase di esportazione del suo sviluppo. Durante la seconda stagione di
crescita la stessa radice diventa una sorgente, gli zuccheri vengono rimossi e usati per produrre un
nuovo germoglio che alla fine diventa produttivo. I pozzi comprendono tutti gli organi non
fotosintetici della pianta e quegli organi che non producono a sufficienza prodotti fotosintetici tali
da sostenere il loro fabbisogno di accrescimento e di accumulo. Le radici, i tuberi, i frutti in via di
sviluppo e le foglie non mature sono esempi di pozzi. Le vie da sorgente a pozzo sono soggette a
delle regole anatomiche:
1) vicinanza: le foglie mature superiori di una pianta trasportano gli assimilati agli apici in vie
di crescita e alla foglie giovani e mature, mentre le foglie inferiori riforniscono il sistema
radicale. Le foglie intermedie esportano in entrambe le direzioni evitando le foglie mature
intermedie
2) sviluppo: gli apici della radice e del germoglio sono i pozzi principali durante
l’accrescimento vegetativo, i semi e i frutti diventano i pozzi dominanti durante lo sviluppo
riproduttivo
3) connessioni vascolari: le foglie sorgente riforniscono i pozzi con i quali hanno connessioni
dirette
4) modificazione delle vie di traslocazione: ferite o potature possono modificare le
caratteristiche appena descritte. Una via alternativa di interconnessioni vascolari può essere
presente in mancanza di collegamenti diretti fra sorgente e pozzo
Sostanze traslocate nel floema:
L’acqua è la sostanza più abbondante trasportata nel floema. Disciolti in essa ci sono i soluti
traslocati che consistono di carboidrati, amminoacidi e proteine. Il saccarosio è lo zucchero più
comunemente trasportato negli elementi del cribro ed in forma non riducente cioè meno reattivo
delle forme riducenti. Altri zuccheri sono raffinosio, stachiosio e verbascosio. L’azoto si riscontra
nel floema sotto forma di amminoacidi e ammidi, specialmente glutammato/glutammina e
aspartato/asparagina. Altri soluti sono potassio, magnesio, fosfato e cloro.
Modello del flusso da pressione:
Il modello del flusso da pressione è un esempio di meccanismo passivo e spiega la traslocazione del
floema come un flusso di soluzione all’interno portato da un gradiente di pressione generato
osmoticamente fra la sorgente e il pozzo. E’ necessaria energia sia alla sorgente che al pozzo. Nelle
sorgenti l’energia è necessaria per spostare i fotosintati dalle cellule produttrici agli elementi del
cribro. Questo spostamento dei fotosintesi è definito caricamento del floema. La diffusione è
troppo lenta per giustificare le velocità di movimento di soluto osservate nel floema. Il modello del
flusso stabilisce che il flusso della soluzione all’interno degli elementi del cribro sia portato da un
gradiente di pressione generato osmoticamente fra la sorgente e il pozzo. Il gradiente è stabilito in
conseguenza al caricamento di floema alla sorgente e allo scaricamento al pozzo. Nei tessuti
sorgente il caricamento di floema che richiede energia porta ad un accumulo di zuccheri negli
elementi del cribro generando un basso potenziale di soluto e causando un rapido calo nel
potenziale idrico. In risposta al gradiente di potenziale idrico l’acqua entra negli elementi del cribro
e causa l’aumento della pressione di turgore. Lo scaricamento del floema porta a una minor
concentrazione di zuccheri negli elementi del cribro generando un maggiore potenziale di soluto
negli elementi del cribro dei tessuti pozzo. Man mano che il potenziale idrico del floema aumenta al
di sopra di quello dello xilema l’acqua tende ad abbandonare il floema in risposta al gradiente di
potenziale idrico, causando la diminuzione della pressione di turgore nel elementi del cribro del
pozzo. La presenza di placche cribrose aumenta la resistenza lungo la via di traslocazione e ha come
risultato la generazione e il mantenimento di un gradiente di pressione sostanziale che si verifica fra
la sorgente e il pozzo. Se non ci fosse la membrana, la differenza di pressione a livello della
sorgente e del pozzo si annullerebbe velocemente. Il contenuto degli elementi del cribro viene
spinto lungo la via da un flusso di massa che avviene da un organo sorgente con potenziale idrico
minore verso un organo pozzo con potenziale idrico maggiore.
Caricamento del floema:
1) il trioso fosfato che si forma durante la fotosintesi è trasportato dal cloroplasto al citosol,
dove è convertito in saccarosio. Durante la notte il carbonio accumulato nell’amido di
riserva esce dal cloroplasto sotto forma di maltosio ed è convertito in saccarosio
2) il saccarosio si sposta dalle cellule del mesofillo alle prossimità degli elementi del cribro,
nelle venature più piccole della foglia. Questa via viene definita via di trasporto a breve
distanza
3) gli zuccheri sono trasportati negli elementi del cribro e nelle cellule compagne dove
raggiungono concentrazioni superiori a quelle del mesofillo. Una volta dentro agli
elementi del cribro il saccarosio e gli altri soluti vengono traslocati lontano dalla sorgente,
un processo conosciuto come esportazione. La traslocazione al pozzo tramite il sistema
vascolare viene detta trasporto a lunga distanza
Caricamento apoplastico: gli zuccheri all’inizio si spostano nel simplasto ma entrano
nell’apoplasto appena prima del caricamento delle cellule compagne e negli elementi del cribro. Si
ritiene che gli zuccheri caricati nelle cellule compagne si muovano verso gli elementi del cribro
attraverso i plasmodesmi. Questo caricamento porta a:
- gli zuccheri di trasporto dovrebbero essere nell’apoplasto
- negli esperimenti in cui gli zuccheri sono nell’apoplasto, essi dovrebbero essere accumulati
dagli elementi del cribro e dalle cellule compagne
- l’inibizione dell’assorbimento degli zuccheri dall’apoplasto dovrebbe portare all’inizione
dell’esportazione dalla foglia
Nelle cellule sorgente gli zuccheri sono più concentrati negli elementi del cribro e nelle cellule
compagne che nel mesofillo. Questa differenza di concentrazione essere verificata misurando il
potenziale osmotico dei vari tipi cellulari della foglia. Si ritiene che la maggior parte di questa
differenza di pressione osmotica sia dovuta all’accumulo di zucchero e specificatamente al
saccarosio. Il trasporto del saccarosio dall’apoplasto al complesso elementi del cribro-cellule
compagne sia mediato da un importatore saccarosio/H+:
o pompe protoniche ATPasi si trovano nella membrana plasmatica di cellule compagne e nelle
transfer cells. In queste ultime le H+/ATPasi sono + concentrate nelle invaginazioni della
membrana plasmatica che si affacciano verso le cellule della guaina del fascio e quelle
parenchimatiche
o la distribuzione della H+/ATPasi nelle cellule compagne sembra essere correlata alla
presenza nel floema di un importatore saccarosio/H+
o la riduzione dell’attività di trasporto inibisce il trasporto dalle foglie sorgente
Caricamento simplastico: dipende dalla diffusione di zuccheri dal mesofillo agli elementi del
cribro attraverso plasmodesmi aperti. Si può spiegare con il modello trappola per polimeri.
Secondo questo modello il saccarosio, sintetizzato nel mesofillo, diffonde dalle cellule della guaina
del fascio verso le cellule intermedie attraverso i plasmodesmi. Il raffinosio e lo stachiosio sono
sintetizzati a partire dal saccarosio trasportato e dal galattosio mantenendo così il gradiente di
concentrazione del saccarosio. A causa della loro ampiezza questi non sono in grado di ridiffondere
nelle cellule del mesofillo. Il raffinosio e lo stachiosio non sono in grado di diffondere negli
elementi del cribro. La concentrazione degli zuccheri aumenta nelle cellule intermedie e negli
elementi del cribro. Si deduce che:
 il saccarosio dovrebbe essere + concentrato nel mesofillo che nelle cellule intermedie


gli enzimi per la sintesi del raffinosio e dello stachiosio dovrebbero essere localizzati nelle
cellule intermedie
i plasmodesmi che collegano le cellule della guaina del fascio e le cellule intermedie
dovrebbero escludere molecole + grandi del saccarosio. I plasmodesmi posti tra le cellule
intermedie e gli elementi del cribro dovrebbero essere + grandi per permettere il passaggio
di raffinosio e stachiosio
Scaricamento del floema:
L’importazione degli zuccheri nelle cellule pozzo coinvolge i seguenti passaggi:
1) scaricamento del floema: processo tramite il quale gli zuccheri traslocati fuoriescono dagli
elementi del cribro dei tessuti pozzo
2) trasporto a breve distanza: gli zuccheri sono trasportati alle cellule del pozzo tramite questa
via
3) accumulo e metabolismo: gli zuccheri sono metabolizzato o accumulati nelle cellule pozzo
Nei pozzi gli zuccheri si spostano dagli elementi del cribro verso le cellule che li accumulano e
metabolizzano. I pozzi variano: apici radicali, giovani foglie, radici e fusti. Gli zuccheri possono
muoversi nei pozzi tramite il simplasto attraverso i plasmodesmi o possono entrare in determinati
punti nell’apoplasto. L’assenza di plasmodesmi fra le cellule indica un passaggio nel trasporto
apoplastico. Questa via a breve distanza tipica di semi in via di sviluppo è definita apoplastica
poiché un passaggio, lo scaricamento del floema dal complesso elemento del cribro-cellula
compagna avviene nell’apoplasto. Il trasporto diventa simplastico quando gli zuccheri sono
riassorbiti nel simplasto delle cellule contigue. In foglie giovani la via di scaricamento e la via a
breve distanza sono simplastiche.
Parete cellulare:
pareti 1°: si formano in cellule in crescita e di solito sono considerate poco specializzate ed
estensibili. Alcune pareti sono molto sottili e semplici mentre altre sono più spesse e formate da
strati multipli. La parete 1° è composta da microfibrille di cellulosa immerse in una matrice
polisaccaridica. Questa struttura fornisce sia forza che flessibilità. La matrice è formata da
emicellulose, pectine e una piccola quantità di proteine strutturali. Le microfibrille sono delle
strutture relativamente rigide che contribuiscono a dare forza e struttura alla parete. Le singole
catene polisaccaridiche che formano la microfibrilla sono allineate e legate le une alle altre a
formare una struttura molto ordinata che esclude acqua ed è relativamente inaccessibile all’attacco
enzimatico. La cellulosa è una microfibrilla impacchettata formata da catene lineari di β-D-glucosio
unite con legame 1-4. Al microscopio le microfibrille sono sintetizzate da grandi complessi proteici
detti rosette di particelle o complessi terminali. Queste rosette sono presenti fino a 6 subunità
ognuna delle quali contiene 6 unità di cellulosa sintasi, l’enzima che sintetizza i singoli 1-4 β-Dglucani che formano la microfibrilla. Questo enzima è localizzato trasferisce un residuo di glucosio
alla catena di glucano in fase di crescita. Il donatore di zucchero è uridin difosfato D-glucosio. La
matrice è composta da emicellulose, pectine e proteine strutturali. Le emicellulose sono dei
polisaccaridi flessibili che si legano alla superficie della cellulosa. Possono formare dei lacci che
legano insieme le microfibrille di cellulosa a formare uno stretto intreccio oppure possono agire
come un rivestimento scivoloso che previene il contatto diretto tra le microfibrille. Le pectine sono
i polisaccaridi + solubili della parete e formano una fase di gel in cui è immersa la trama di
cellulosa ed emicellulosa. Esse agiscono da riempimento idrofilico in modo da prevenire il collasso
e l’aggregazione della cellulosa e determinano il grado di porosità della parete cellulare ai
polisaccaridi. Formano degli intrecci gelificati formati da polimeri altamente idratati. Nei gel
peptidici i gruppi carbossilici carichi (COO-) delle molecole peptidiche sono legati ionicamente
tramite lo ione calcio che forma un saldo complesso con la pectina. Infine ci sono le proteine
strutturali che aggiungono forza meccanica alla parete e contribuiscono all’esatto assemblaggio
delle componenti della parete.
pareti 2°: non sono estensibili, contengono lignina, sono prodotte all’interno della parete 1° e si
formano alla fine dell’accrescimento della cellula e possono essere molto specializzate. Le cellule
dello xilema sono rafforzate dalla presenza di lignina.
La lamella mediana si può notare nella zona in cui giungono in contatto due pareti cellulari di
cellule limitrofe.
Espansione cellulare: durante di essa sono continuamente sintetizzati e secreti nuovi polimeri di
parete che si aggiungono a quelli preesistenti nella parete in crescita. L’espansione può essere
localizzata (accrescimento apicale) o uniformemente distribuita (accrescimento diffuso).
L’accrescimento apicale è tipico dei peli radicali e dei tubetti pollinici ed è regolato dalle
componenti del citoscheletro. La maggior parte delle cellule vegetali mostra accrescimento diffuso.
Durante l’accrescimento la parete cellulare distesa di estende a causa di forze fisiche generate dalla
pressione di turgore cellulare. Questa pressione crea una forza verso l’esterno, in modo uniforme e
in tutte le direzioni. La direzionalità dipende dall’orientamento delle microfibrille. Se
l’orientamento fosse casuale la cellula crescerebbe in modo uniforme in tute le direzioni. Nelle
cellule vegetali la disposizione invece non è casuale. Le microfibrille vengono depositate nelle
pareti laterali di cellule cilindriche in via di espansione come quelle corticali e vascolari delle radici
e del germoglio. Sono inoltre disposte sulla circonferenza di queste pareti laterali ad angolo retto
rispetto all’asse principale della cellula.
Uptake di acqua:
Prima della maturazione, quando le cellule si espandono, l’aumento in volume è generato
dall’assunzione di acqua. Quest’acqua va a finire nel vacuolo che a mano a mano che la cellula
aumenta di volume, assume una dimensione sempre + grande. L’assunzione di acqua da cellule in
crescita è un processo passivo. Le cellule possono abbassare il loro potenziale idrico così che
l’acqua possa essere assorbita spontaneamente in risposta ad una differenza di potenziale idrico,
senza spendere direttamente energia. La differenza di potenziale idrico è la differenza tra il
potenziale idrico fuori dalla cellula e dentro la cellula. La velocità di assorbimento dipende anche
dall’area della superficie cellulare e dalla conduttività idraulica della membrana: v = A*Lp in cui
Lp è appunto la conduttività idraulica cioè la facilità con cui l’acqua attraversa la membrana.
Quest’equazione è valida in acqua pura sia per le cellule in crescita che per quelle che hanno
cessato di crescere. In una cellula non in crescita l’assorbimento di acqua aumenterebbe il volume
cellulare, obbligando il tonoplasto a spingere sempre + forte contro la parete cellulare aumentando
quindi la pressione di turgore. Questo aumento di pressione aumenterebbe il ψw cellulare portando
a zero il Δψw. L’assunzione di acqua cesserebbe. In una cellula in via di crescita il Δψw non
raggiunge lo zero perché la parete è allentata. Essa cede alle forze generate dal turgore e quindi
riduce la tensione nella parete e il turgore cellulare. Questo processo si chiama rilassamento da
tensione. In una cellula turgida il contenuto cellulare spinge contro la parete causandone uno
stiramento elastico e dando origine a una controforza, una tensione di parete. In una cellula in
crescita l’indebolimento biochimico della parete permette alla parete di cedere in modo non elastico
alla tensione della parete. Poiché l’acqua è quasi incomprimibile è necessaria un’inifinitesima
espansione della parete per ridurre la pressione di turgore e quindi la tensione di parete. Come il
turgore viene ridotto il rilassamento della parete e la crescita rallentano. La crescita di solito cessa
prima che il turgore raggiunga lo 0. Il valore di turgore al quale si arresta la crescita è detto soglia
di cedevolezza. Questa dipendenza dall’espansione della parete cellulare dalla pressione di turgore
è riassunta qui: GR = m*(ψp - ψ) in cui GR è la velocità di crescita della cellula e m è il
coefficiente che mette in relazione la velocità di crescita con il turgore in eccesso alla soglia di
cedimento ed è l’estensibilità della parete. L’aumento di volume cellulare è uguale al volume
d’acqua assorbito in condizioni di stato stazionario. Ogni sbilanciamento fra assorbimento di acqua
ed espansione di parete porterà a cambiamenti nel turgore cellulare e ricondurrà la cellula al punto
stabile definito dall’intersezione fra i due processi.
Regolatori della crescita:
1. endogeni: sostanze prodotte dalla pianta e regulate dall’ambiente.
2. esogeni: sostanze applicate alle piante che alterano la crescita nello stesso modo. La
produzione è regolata dall’ambiente
3. ormoni: sostanze che agiscono a basse concentrazioni, sono prodotte in una parte della
pianta e agiscono in un’altra, ha la stessa risposta in piante differenti
Ormoni 1°: auxina, citochina, gibberellina, acido abscissico, etilene
Ormoni 2°: acido jasmonico, brassinosteroidi, juglone, acido salicilico, poliammide
L’ormone auxina:
Darwin e il figlio studiarono il ripiegamento delle piante verso la luce. Questo fenomeno è definito
fototropismo. In alcuni esperimenti Darwin usava piante di scagliola che hanno le giovani foglie
incapsulate in un organo protettivo detto coleottile. Questo è molto sensibile alla luce, specialmente
a quella blu. Se vengono illuminati da una sola parte con un breve impulso di luce blu essi crescono
verso la sorgente luminosa. I Darwin scoprirono che era la punta del coleottile che percepiva la luce
poiché se coprivano con un foglio il coleottile non piegava. La regione del coleottile responsabile
del piegamento definita zona di accrescimento si trova a molti mm sotto l’apice. Così conclusero
che un certo segnale di crescita era prodotto nell’apice, raggiungeva la zona di crescita e faceva sì
che la parte in ombra crescesse più velocemente rispetto a quella rivolta verso la luce. Se l’apice del
coleottile veniva reciso, l’accrescimento si arrestava. I ricercatori avevano cercato di isolare ed
identificare il composto chimico responsabile macinando l’apice e valutando l’attività dell’estratto.
L’approcio fallì perché la macinatura dei tessuti rilasciava nell’estratto sostanze inibitrici
normalmente compartimentate nella cellula. La più grande scoperta successivamente fu quella di
evitare di macinare i tessuti permettendo che la sostanza diffondesse dagli apici recisi dei coleottili
in blocchetti di gelatina. Se uno di questi blocchi di gelatina veniva posto asimettricamente
sull’apice di coleottile reciso, si poteva valutare la capacità del blocco di gelatina di causare il
ripiegamento in assenza di luce unilaterale. Questa sostanza era l’auxina.
1. pianticina intatta (curvatura)
2. apice di coleottile reciso (nessuna curvatura)
3. cappuccio opaco sull’apice (nessuna curvatura)
1. apice rimosso
2. apice posizionato su un lato del moncone dei coleottile
3. la curvatura avviene senza la luce naturale
1. apici del coleottile sulla gelatina
2. gli apici sono rimossi e la gelatina e tagliata in blocchetti
3. ogni blocchetto di gelatina è posto su un lato del moncone di coleottile
4. il coleottile si piega al buio
L’auxina è l’acido 3-indolacetico e stimola l’allungamento di sezioni di coleottili di avena ad es.
L’auxina stimola la crescita rendendo la parete più cedevole. Se si impedisce alle cellule in
crescita di assorbire l’acqua, per esempio tenendo il tessuto in una camera umida e non in una
goccia d’acqua, l’espansione della parete riduce progressivamente il turgore. La cinetica di
decadimento, t1/2, dipende da m. L’auxina abbassa m, abbassando il pH della parete
promuovendo l’estrusione di H+. Il pH acido favorisce quindi l’allungamento. Nella parete ci sono
delle proteine enzimatiche che vengono attivate a pH acido. Gli enzimi indeboliscono i legami
all’interno della parete che diventa cedevole ( aumenta m) e la cellula cresce di più. L’estensione
indotta dall’acidità può essere misurata con un estensiometro. Il campione della parete è legato e
messo sotto tensione di un estensiometro, che misura la lunghezza tramite un trasduttore elettronico
attaccato ad un morsetto. Quando si sostituisce la soluzione che circonda la parete con un tampone
acido, la parete si distende irreversibilmente in modo dipendente dal tempo. Nella parete ci sono
delle proteine (enzimi) che vengono attivate a pH acido (espansina). L’espansina non è un enzima
idrolitico e si mette sulle fibrille di cellulosa e fa ponte tra le fibrille e lo xiloglucano. L’auxina
stimola l’attività della pompa protonica e trascina dentro i soluti perché serve rifornimento di
energia per mantenere nel tempo la driving force. L’auxina per aumentare il pH della parete:
1) ΔpH, influenza “m” agendo sugli enzimi di parete
2) ΔV, mantiene ψcell < ψout (stimola uptake soluti)
3) L’accumulo di soluti avviene in modo analogo alle cellule di guardia
4) l’auxina aumenta la fusione di vescicole nuova H+/ATPasi, materiale per nuova membrana e
nuova parete. Serve energia e serve sintesi di membrana
L’auxina stimola l’estrusione di protoni nella parete dopo un lag time di 10-15 minuti. La crescita è
inibita da tamponi neutri, ammesso che la cuticola sia abrasa. La fusicoccina stimola sia
l’estrusione rapida di protoni che l’accrescimento transiente in fusti e sezioni di coleottile. Modello
per il meccanismo di azione della H+/ATPasi:
- una coppia di H+/ATPasi di membrana si associa a formare un dimero attivo. L’attività della
pompa è limitata dall’effetto auto inibente del C-terminale di ogni monomero
- i dimeri delle proteine 14-3-3 formano un complesso con il C-terminale autoinibitore.
Quando il C-terminale è legato aumenta l’attività della H+/ATPasi ma l’effetto è transiente a
causa dell’instabilità del complesso
- il legame della fusicoccina con il complesso lo stabilizza, bloccando l’H+/ATPasi in un
stato attivo
La biosintesi di auxina è associata ai tessuti in rapida divisione e accrescimento, in particolar modo
nel germoglio. I siti primari di sintesi di auxina sono i meristemi apicali, le giovani foglie e i
meristemi apicali delle radici.
Trasporto dell’auxina:
1. l’IAA entra nella cellula passivamente nella forma in dissociata (IAAH) o tramite
cotrasporto attivo secondario nella forma anionica (IAA-)
2. la parete cellulare è mantenuta a pH acido dall’attività della H+/ATPasi della membrana
plasmatica
3. nel citosol che ha un pH neutro predomina la forma anionica (IAA-). Poiché la membrana è
meno permeabile all’IAA- dell’IAAH, l’IAA- tenderà ad accumularsi nel citosol: efflusso
4. gli anioni escono dalla cellula tramite i carrier di efflusso per l’anione auxina posti alla base
di ogni cellula nella via longitudinale
Le proteine PIN sono una componente importante nei complessi di efflusso dell’auxina e sono
allineate secondo la direzione del trasporto di auxina. PIN1 media il trasporto verticale di IAA dal
fusto alla radice. Poiché vi è una certa diffusione laterale di auxina si pensa che PIN3 re-diriga
l’auxina verso i tessuti parenchimatici vascolari dove avviene il trasporto polare. Altre funzioni
dell’auxina sono:
- indurre la formazione di radici laterali
- soprrimere la crescita delle gemme ascellari in fagiolo
- essere implicata nella rigenerazione dello xilema dopo una ferita
Il gene BR2 (Brachytic 2) codifica una P-glicoproteina necessaria per il normale trasporto di auxina
nel mais e i mutanti br2 presentano degli internodi corti.
Fotorecettori:
I segnali chimici attivati con la luce sono: fotomorfogenesi, germinazione dei semi, inverdimento,
fioritura, fototropismo. La luce regola lo sviluppo della pianta: rinverdimento, allungamento
(ipocotile- e radice+) e apertura cotiledoni. In piante cresciute al buio o eziolate il fitocromo è
presente nella forma che assorbe la luce rossa, forma Pr. Questa forma di colore blu è convertita
dalla luce rossa nella forma che assorbe la luce nel rosso lontano detta forma Pfr che ha un colore
verde. La forma Pfr può essere riconvertita dalla luce nel rosso lontano in quella Pr. Questa capacità
di foto reversibilità è la proprietà + importante del fitocromo. Il pool di fitocromo non è pienamente
convertito nelle forme Pr o Pfr a seguito di irradiazione di luce. Così quando le molecole di Pr
ricevono la luce rossa la maggior parte di esse la assorbirà e verrà convertita nella forma Pfr ma
alcune delle molecole di Pfr assorbiranno anche la luce rossa e saranno convertite nella forma Pf.
La proporzione di fitocromo nella forma Pfr sottoposto a irradiazione saturante con la luce rossa e
dell’85%. Allo stesso modo la piccolissima quantità di luce nel rosso lontano assorbita dal Pr
rendere impossibile convertire completamente il Pfr in Pr con una luce a largo spettro nel rosso
lontano, anche se si raggiunge un equilibrio costituito dal 97% da Pr e dal 3% dal Pfr. Questo
equilibrio è definito stato foto stazionario. La luce rossa stimola, quella rosso lontana inibisce. E’
cruciale quale tipo di luce colpisca i semi per ultima.
Risposta dei germinelli di Arabidopsis:
I mutanty hy di Arabidopsis hanno permesso di isolare diversi geni importanti nella
fotomorfogenesi (tra cui alcuni per i fotorecettori. I fitocromi sono codificati da una famiglia genica
con proprietà diverse: PHYA, PHYB, PHYC, PHYD, PYE. Per generare mutazioni Koornneef
immerse semi di A. taliana in una soluzione di EMS che crea delle mutazioni puntiformi nel DNA.
Le piante derivanti dai semi mutagenizzati e autoimpollinate generarono una grande quantià di semi
mutagenizzati. Le famiglie furono fatte crescere in luce bianca e i mutanti con difetti nella
percezione o risposta alla luce furono identificati a causa del loro lungi ipocotile (hy), simile a
quello osservato in piante cresciute al buio. Incroci tra piante mutanti definirono 5 loci di gruppi di
complementazione: H1-H5. Il clonaggio e l’analisi di sequenza di tutti e 5 i geni hy ha portato
all’identificazione di numerose componenti della via di trasduzione del segnale. Nella collezione
originale di hy non erano presenti mutazioni geniche del fitocromo ad eccezione di quelle per il
phyB, così l’identificazione di mutanti phyA richiese lo sviluppo di metodi di selezione +
ingegnosi. Poiché la FR-HIR richiedeva il fitocromo labile alla luce, si sospettò che phyA dovesse
essere il fotorecettore coinvolto nella percezione della luce rosso lontano continua. Per
selezionare i mutanti phyA, le piante che crescevano in luce rosso lontano continua furono fatte
crescere in luce rosso continua. I mutanti carenti di phyA possono crescere normalmente ma un
mutante carente di cromoforo e di phyB funzionale non risponde. Le piante phyA selezionate in
questo modo non avevano un fenotipo ovvio se cresciute in luce normale suggerendo che il phyA
non ha ruoli discrezionali nel percepire la luce bianca. Il phyA sembra agire durante le deeziolature in risposta alla luce rosso lontano. Il fitocromo A sembra essere coinvolto nella
germinazione dei semi di Arabidopsis in risposta ad una luce a largo spettro. I mutanti che
mancano di phyA non possono germinare in risposta a impulsi di luce di millisecondi ma mostrano
una risposta normale alla luce rossa nella gamma della bassa fluenza. Questo dimostra che phyA
funge da fotorecettore primario per questa VLFR.
La caratterizzazione del mutante hy3 ha rivelato un ruolo importante del phyB nella de-eziolatura
poiché particelle mutanti cresciute in luce continua bianca avevano ipocotili lunghi. Il mutante
phyB è carente in clorofilla e in certi mRNA che codificano le proteine del cloroplasto ed è
incapace di rispondere agli ormoni vegetali. I mutanti carenti di phyB sono incapaci di rispondere
alla luce rossa a bassa fluenza. Questo dimostra che phyB è il mediatore foto reversibile della
germinazione dei semi. L’effetto delle mutazioni varia con la specie: in pomodoro senza PhyA e i
due PhyB, i frutti (ma solo quelli) mancano di clorofilla. Piante di pisello con lesioni del phyA
mostrano fioritura ritardata e internodi accorciati.
In Arabidopsis la luce continua blu e rosso lontano porta alla promozione della fioritura, mentre la
luce rossa la inibisce. La luce rosso lontano agisce tramite phyA e l’effetto antagonistico della luce
rossa è prodotta da phyB. Il mutante cry2 fiorisce allo stesso tempo delle piante di ceppo selvatico
in condizioni di luce continua blu o rossa. Il ritardo si osserva solo se la luce blu o rossa sono
somministrate insieme. Cry2 promuove la fioritura in luce blu sopprimendo la funzione di phyB.
Alla luce CRY1 è stabile, mentre CRY2 viene degradato. La loro attività è regolata da
fosforilazione. Interagiscono con PHYA che le fosforila. Anche per il criptocromo esistono eventi
precoci sulla membrana
plasmatica (attivazione di canali anionici) e regolazione della trascrizione. Fototropismo: non è
mediato dal criptocromo perché i mutanti cry1 e cry1cry2 hanno una risposta fototropica normale al
blu. Assorbimento della luce cascata di eventi risposte fisiologiche. Spesso una risposta
fisiologica è influenzata da più fotorecettori e mediata dalla modulazione dell’attività/azione di più
ormoni (es. il fototropismo implica la redistribuzione laterale di auxina).
Fitocromi:
Il fitocromo nativo è una proteina solubile di 250 kDa. Esso è presente come dimero formato da 2
subunità equivalenti, ognuna delle quali formata da due componenti: un pigmento che assorbe la
luce cioè il cromoforo e una catena polipeptidica cioè l’apoproteina. L’apoproteina e il cromoforo
formano l’oloproteina. Il cromoforo è un tetra pirrolo lineare definito fitocromobilina. La sola
apoproteina del fitocromo non è in grado di assorbire la luce rossa o quella nel rosso lontano. La
luce può essere assorbita solamente quando il polipeptide è legato covalentemente alla
fitocromobilina per formare l’oloproteina. La fitocromobilina è esportata nel citosol dove si lega
all’apoproteina tramite un legame tioetere ad un residuo di cisteina. In risposta alla luce rosso e
rosso lontano il cromoforo va incontro ad una isomerizzazione cis-trans.
Sintesi del fitocromo: l’apoproteina del fitocromo si assembla con il cromoforo del plastidio per
produrre la oloproteina; a seguito dell’attivazione dovuta alla luce rossa risultano esposte le
sequenze di localizzazione nucleare; la maggio parte del pool di fitocromo si sposta nel nucleo dove
regola l’espressione genica; una piccola quantità di fitocromo rimane nel citosol dove media le
risposte rapide.
Proteina COP: regolano il turnover di proteine necessarie per lo sviluppo fotomorfogenico. Durante
la notte COP1 entra nel nucleo e il complesso COP1/SPA1 aggiunge l’ubiquitina ad un gruppo di
attivatori trascrizionali e li manda al proteosoma.
Il fitocromi è stato diviso in 2 classi: la forma labile alla luce (tipo 1) in alte concentrazioni in
plantula eziolata e la forma stabile alla luce (tipo 2). Le risposte del fitocromo possono essere
distinte dalla quantità di luce necessarie per indurle. Questa quantità è la fluenza ed è il n° di fotoni
che colpiscono un’unità di area di superficie. Alcune risposte del fitocromo sono sensibili
all’irradiazione. Queste risposte rientrano in 3 categorie: risposte a fluenza bassissima (VLFR),
risposte a fluenza bassa (LFR) e risposte ad elevata irradiazione (HIR). Nelle VLFR le risposte ai
fotoni sono da 0.0001 fino a 0.1 μmoli/m^2 e non sono fotoreversibili. Il quantitativo di luce
necessario per indurla converte meno dello 0,02% del fitocromo totale in Pfr. Poiché la luce nel
rosso lontano che normalmente invertirebbe un effetto dovuto alla luce rossa converte il 97% del
Pfr in Pr. circa il 3% del fitocromo resta nella forma Pfr, molto di più di quanto è richiesto per
indurre una VLFR. La luce nel rosso lontano non è in grado di diminuire la concentrazione del Pfr
sotto lo 0,02% così è incapace di inibire la VLFR. Lo spettro d’azione della VLFR corrisponde allo
spettro di assorbimento del Pr. Lo stimolo della germinazione se in bassa luce, non è foto
reversibile. La LFR comprende la maggior parte delle risposte rosso/rosso lontano come l’induzione
della germinazione dei semi di lattuga e la regolazione dei movimenti della foglia. Questi spettri
sono formati da un picco principale per la stimolazione nel rosso (660 nm) e da un picco per
l’inibizione nel rosso lontano (720 nm). Nelle risposte a bassa fluenza (LFR) è la % di Pfr che
determina la risposta. Le HIR richiedono esposizioni continue e prolungate ad una luce con
radiazione elevata e la risposta è proporzionale all’irradiazione fino a quando la risposta va a
saturazione e ulteriore luce non ha + effetto. Le HIR vanno a saturazione a fluenze + elevate delle
LFR e non sono fotoreversibili. Lo spettro d’azione non coincide con quello del fitocromo: sia il
fitocromo che un altro recettore (criptocromo) contribuiscono ad inibire la crescita. I due effetti si
sovrappongono nello spettro di azione (ma è possibile distinguerli). Nelle risposte ad alta irradianza
(HIR) è importante il valore di Pr/Pfr.
Fuga dall’ombra: la pianta esplora lo spazio intorno a lei per la ricerca della luce ottimale. E’ il
fitocromo a percepire l’ombra generata da altre piante. Man mano che l’ombreggiamento aumenta
diminuisce R/FR come anche il rapporto tra Pfr e la quantità di fitocromo totale. Per variare il
contenuto di FR si nota che + questo è alto, + alta sarà la velocità di distensione del fusto delle
piante sole. La simulazione dell’ombreggiamento dovuta alla chioma degli alberi induce queste
piante ad allocare una maggior quantità delle loro risorse per crescere + verso l’alto. Questa
correlazione non è così forte per le piante da ombra. Queste piante mostrano poche o nulle
variazioni nella velocità di distensione del fusto rispetto alle piante da sole, man mano che sono
esposte a valori sempre + alti di R/FR. Le analisi genetiche di Arabidopsis hanno indicato che phyB
gioca un ruolo predominante nel mediare molte risposte di evitazione dell’ombra ma phyD e phyE
danno un contributo per l’allungamento del picciolo.
Etilene:
L’etilene può essere prodotto da quasi tutte le piante superiori e aumenta durante l’abscissione
fogliare e la senescenza del fiore, come anche durante la maturazione del frutto. Qualsiasi tipo di
ferita può indurre la biosintesi dell’etilene, così come gli stress fisiologici come l’allagamento, il
gelo, le malattie, la temperatura e la siccità. Nella maggior parte dei tessuti l’etilene può essere
completamente ossidato a CO2: etilene-ossido di etilene-acido ossalico-CO2. L’etilene è facilmente
liberato dal tessuto e si diffonde nella fase gassosa che attraversa gli spazi intercellulari
fuoriuscendo dal tessuto. Esperimenti in vivo hanno dimostrato che i tessuti vegetali sono in grado
di convertire la L-[C14] metionina in [C14]etilene e che l’etilene deriva dagli atomi di carbonio in 3
e in 4 della metionina. Il fattore limitante della via è la conversione dell’AdoMet in ACC,
catalizzata dalla ACC sintasi. L’ultimo passaggio della via, la conversione dell’ACC in etilene,
necessita di ossigeno ed è catalizzata dalla ACC ossidasi. Il gruppo CH3-S della metionina è
riciclato tramite il ciclo di Yang.
Effetti causati dall’etilene sono: epinastia cioè foglie incurvate verso il basso e formazione dei peli
radicali. L’etilene e le alte concentrazioni di auxina inducono l’epinastia. L’allagamento o le
condizioni anaerobiche intorno alle radici scatena l’aumento della sintesi di etilene nel germoglio.
Poiché gli stimoli sono percepiti dalle radici ed evidenti nei germogli, ci deve essere un segnale che
dalle radici è trasportato al germoglio. Esso è l’ACC che infatti sono + alte per 1-2 gg in succhi
xilematici in seguito ad allagamento. Poiché in suoli allagati l’acqua riempie gli spazi aeriferi e dato
che l’O2 diffonde attraverso l’acqua, la [O2] vicino alle radici allagate cala drasticamente. L’alta
produzione di etilene risulta dall’accumulo di ACC, poiché la conversione di ACC in etilene
richiede O2. L’ACC accumulato nelle radici anaerobiche viene trasportato dal flusso respiratorio
verso i germogli. Un altro effetto causato dall’etilene è l’abscissione fogliare. Esperimento: la
pianta wt ha perso tutte le foglie. Se si trasforma un’altra pianta con un gene per il recettore
dell’etilene che reca una mutazione dominante si ha che la pianta non perde + le foglie perché
incapace di rispondere all’etilene. La domesticazione comporta quasi sempre la mancata formazione
degli strati di abscissione a livello del seme. Le varietà di riso Nipponbare e Kasalath differiscono
per la facilità con cui perdono il seme a maturità. Trovata una mutazione puntiforme nel promotore
che impedisce l’attacco di un regolatore trascrizionale. Il gene non è più espresso nel tessuto e non
si forma più il layer di abscissione a livello del seme. Diversi frutti hanno un picco di produzione
dell’etilene di tipo autocatalitico. Aumenta la respirazione (consumo di O2 e produzione di CO2). I
frutti climatterici producono etilene quando maturano (e rispondono all’etilene accelerando la
maturazione). Il pomodoro in cui l’ACC ossidasi è inibita non matura completamente, ma matura
se esposto all’etilene. I frutti non climaterici non hanno un aumento della produzione di etilene e
della respirazione.
A concentrazioni sopra 0,1 µ/l l’etilene cambia il pattern di accrescimento delle pianticelle
riducendo il tasso di allungamento e aumentando l’espansione laterale, portando al rigonfiamento
dell’ipocotile. Questi effetti sono comuni nei germogli di crescita di molte dicotiledoni, formando
parte della risposta tripla. In Arabidopsis questa risposta consiste nell’inibizione e nel
rigonfiamento dell’ipocotile, inibizione della distensione delle radici e nell’esagerazione
dell’incurvamento dell’apice. Durante la risposta tripla la disposizione trasversale nell’allineamento
dei microtubuli è alterata e i microtubuli si ri-orientano secondo l’asse longitudinale. Questa
rotazione di 90° porta ad un’analoga rotazione nella disposizione delle microfibrille di cellulosa. La
parete cellulare così depositata va a rinforzare l’asse longitudinale piuttosto che quello trasversale,
promuovendo così l’espansione laterale della cellula più che la sua distensione. I microtubuli non si
ri-orientano dalla direzione trasversale alla longitudinale con una depolarizzazione completa ma
compare un n° crescente di microtubuli non disposti trasversalmente in luoghi particolari.
Pianticelle eziolate sono caratterizzate di solito da una forma a gancio nella parte terminale
del’apice del germoglio. Questa forma facilita lo spostamento nel terreno e protegge il meristema
apicale. La formazione e il mantenimento del gancio derivano dall’accrescimento asimettrico
indotto dall’etilene. La forma del gancio risulta dal + veloce accrescimento della parte esterna nei
confronti di quella interna. L’apertura è indotta dalla luce rossa, mentre quella del rosso lontano la
previene indicando che il fitocromo è il fotorecettore coinvolto in questo processo. Al buio la
crescita delle piante è inibita fino a quando l’etilene è prodotto dai tessuti del gancio. La luce rossa
inibisce la formazione di etilene promuovendo l’accrescimento della parte interna. La formazione
del gancio potrebbe dipendere da un gradiente di auxina dipendente dall’etilene Se KO: niente
gancio apicale e alterata pattern di geni che rispondono all’auxina; se OE: gancio costitutivo in
assenza di etilene.
Via di trasduzione del segnale dell’etilene:
Ad un 1° legame con il recettore fa seguito l’attivazione di 1 o + segnali per le vie di trasduzione
che portano alla risposta cellulare. L’etile esercita i suoi effetti alterando lo schema dell’espressione
genica. Il 1° mutante etilene sensibile ad essere isolato fu etr1, mutazione dominante che blocca la
risposta all’etilene. Quando il gene ETR1 è stato clonato e sequenziato si è visto che la porzione
carbossi terminale della proteina aveva omologie con le istidina-chinasi a due componenti usate dai
batteri. La familiarità fra i recettori batterici e l’insensibilità all’etilene dei mutanti etr1 suggerisce
che ETR1 possa essere un recettore per l’etilene. Quando si è fatto esprimere ETR1 in lievito, le
cellule di lievito hanno acquisito la capacità di legare etilene radioattivo. Il genoma di Arabidopsis
codifica 4 proteine simili a ETR1: ETR2, ERS1, ERS2 e EIN4. Questi recettori legano l’etilene e
mutazioni non senso nei geni che codificano queste proteine impediscono all’etilene di legarsi al
recettore mentre permettono al recettore di funzionare regolarmente come regolatore della via di
risposta all’etilene in presenza dell’ormone.
ETR1: è stimolato dall’etilene e reprime ciò che avviene a valle
CTR1: è un regolatore negativo inattivato dall’etilene
SIMK: la sua sovra espressione è = all’inattivazione di CTR1
EIN3: l’etilene regola sua concentrazione
Si ottiene l’epistasi: se ho una via unica e lineare e muto un gene a monte muta tutta la via
Gibberelline:
Pianta di riso infettata dal fungo Gibberella fujikuroi che causa la malattia nota come “piantina
sciocca” (pianta molto più alta e senza semi) Da filtrati di coltura del fungo è stato isolato nel 1938
l’acido gibberellico. In seguito si sono isolate le gibberelline anche dalle piante (oltre 120 molecole
diverse, ma tutte simili). Tutte le GA possiedono uno scheletro a 19 o a 20 atomi di C. Alcune GA
hanno solo 19 atomi di C perché uno l’hanno perso durante il metabolismo. In quasi tutte le GA
C19 il carbossile nel carbonio in 4 forma un lattone nel carbonio in 10.
Le gibberelline sono presenti nei tessuti vegetali: semi immaturi e tessuti vegetativi 1-10 ppb. Il
trattamento con gibberelline:
- accorcia la fase giovanile
- influenza la determinazione del sesso
- stimola sviluppo del polline
- germinazione di semi
- fruttificazione e partenocarpia
- ritarda la senescenza di fiori e frutti
Hanno effetti sulla germinazione, sull’allungamento dell’ipocotile, sulla transizione di fase, posso
forzare la riproduzione prima del tempo, stimolano lo sviluppo del polline, hanno effetti sulla
fruttificazione e promuovono l’allungamento dell’internodo in mutanti geneticamente nani, in
specie a rosetta e nelle graminacee. La transizione da fase vegetativa a fase riproduttiva è
sensibile a molti fattori: stimoli come un periodo freddo, l’accorciamento (o l’allungamento) dei
giorni, lo stress idrico (siccità) e il trattamento con ormoni possono causare la transizione. Ci sono
mutanti che crescono sotto forma vegetativa ma fioriscono tardi o piante che fioriscono prima.
Molti stimoli ambientali vengono tradotti poi in cambiamenti negli ormoni: es. il freddo (inverno)
stimola la sintesi di GA e induce la fioritura. Alcune piante richiedono basse temperature per
germinare (stratificazione) e per fiorire (vernalizzazione) Le gibberelline possono sostituire il
trattamento a basse temperature per produrre questi effetti. Se non stanno al freddo le piante
fioriscono + tardi. Uno degli enzimi coinvolti nella sua sintesi è il CPS è espresso nei tessuti che
accumulano maggiormente gibberellina: meristemi, antere e semi. Il mutante le è nano perchè non
sintetizza GA1. Il trattamento con GA1 recupera il fenotipo.
Germinazione dei semi in orzo: GA viene prodotta nell’embrione e agisce sull’endosperma
promuovendo la trascrizione nell’aleurone di geni come l’ α-amilasi (dove l’enzima idrolizza
l’amido). La GA stimola la trascrizione dell’mRNA. L’aumento di mRNA di GAMYB precede
l’aumento di trascrizione della α-amilasi. L’analisi della sequenza del promotore suggerisce che
il fattore di trascrizione appartenga alla classe MYB. È stato isolato in mais un gene MYB la cui
trascrizione è indotta da GA3. Evidenze coinvolgimento proteine G:
1-Produzione α -amilasi indotta da GA è inibita da analogo GDP che lega subunità α delle proteine
G ma non scambia con GTP
2- mutante Dwarf-1 in riso. Ha un difetto di sintesi della subunità α delle proteine G
Calcio e cGMP:
-aumentano entrambi in seguito a trattamento con GA
-se tengo basso calcio, ho produzione α -amilasi ma non secrezione
La crescita dipendente da GA comporta sia l’allungamento che la divisione cellulare (aumenta il
numero di cellule e la loro lunghezza). L’allungamento è stimolato per primo ed è mediato da un
aumento nell’estensibilità della parete (abbassano la soglia di cedevolezza).
Come la durata del giorno influenza la fioritura di Arabidopsis?
La durata del giorno determina il ritmo circadiano ce viene misurato attraverso PhyB e Cry. Questo
a sua volta influenza la fioritura regolando la trascrizione di FKF1. GA aumenta con il trascorrere
delle ore del giorno. Numerosi passaggi della sintesi di GA sono alterati dalla lunghezza del giorno:
in Arabidopsis giorni lunghi aumentano l’espressione del gene GA20ox1 estensione del fusto e
fioritura. La manipolazione dei livelli di GA è un modo per ottenere mutanti nani. La mutazione di
geni coinvolti nel metabolismo / risposta alla gibberellina è alla base della rivoluzione verde.
L’effetto del ritmo circadiano sulla fioritura è mediato dalle proteine FKF1, CONSTANS (CO) e
FLOWERING LOCUS T (FT). I mutanti in FRI fanno crescita vegetativa per molto tempo mentre I
mutanti in FLD fioriscono dopo e fanno delle rosette aeree. La stimolazione della germinazione
mediata dal fitocromo in lattuga è mediata dall’aumento nella sintesi di GA.
Mutanti di Arabidopsis:
Queste piante in orzo e riso, quando sono omozigoti per la mutazione recessiva, sono alte e
slanciate. Quando crescono in assenza di inibitori della biosintesi di GA rimangono slanciate.
L’altezza dipende dal fatto che la risposta alle GA è espressa costitutivamente. In questi mutanti
possiamo ipotizzare che la via di trasduzione del segnale è sempre accesa anche in assenza del
segnale GA. Il clonaggio dei geni slender ha svelato che sono omologhi con Arabidopsis. Essi
appartengono a una sottoclasse della famiglia GRAS di regolatori di trascrizione e hanno un
dominio terminale in cui i primi 5 amminoacidi sono: aspartato, glutammato, leucina, leucina e
alanina. Gli alleli mutanti di Gai in frumento (Rht, Reduced height) e mais (D8) codificano per
proteine con un N terminale alterato. Il mutante gai è una pianta nana. Modello per il legame di GA
con il suo recettore: in assenza di GA il repressore DELLA blocca la trascrizione dei geni inducibili
da GA; quando GA interagisce con il recettore si lega a DELLA e l’interazione porta alla
degradazione di DELLA che non può più reprimere la trascrizione.
Citochinine:
Sono state scoperte durante la ricerca di fattori che stimolassero la divisione delle cellule vegetali.
Dopo coltura in vitro, molte cellule possono dare luogo a piante intere (es. cellule di guardia). In
seguito a ferita le cellule possono ricominciare a dividersi. Negli anni 30’ White dimostrò che le
radici di pomodoro possono essere coltivate in modo indefinito in un mezzo nutritivo semplice
contenente saccarosio, sali minerali e poche vitamine, senza aggiunta di ormoni. Il mezzo nutritivo
di White unito ad un’auxina e al 10-20% di latte di cocco sosteneva la divisione cellulare di cellule
mature e differenziate in una vasta gamma di tessuti e specie, portando alla formazione di calli. Il
latte di cocco conteneva zeatina. La prima vera citochinina fu però la chinetina. La zeatina è la
citochinina naturale + abbondante. Questa sostanza stimola le cellule mature a dividersi quando
viene aggiunta alla coltura con l’auxina. La chinetina in presenza di auxina stimolava il tessuto
parenchimatico del midollo di tabacco a proliferare in cultura. Le citochinine sono rapidamente
metabolizzate dalla citochinina ossidasi che le inattiva. Il tabacco è in grado di sovra esprimere il
gene catabolico (citochinina ossidasi) e questo porta a una riduzione nei livelli di citochinina
endogena e una inibizione della crescita del fusto dovuta a una ridotta velocità di
proliferazione nel SAM. Alcuni batteri patogeni producono citochinine libere. L’infezione di tessuti
vegetali da parte di questi organismi induce il tessuto a dividersi e in alcuni casi a formare strutture
speciali (galle di insetti che sono usate come “feeding sites” e protezione). Ci sono mutanti di
Arabidopsis le cui radici crescono per pochi giorni e poi si fermano. Il mutante è insensibile alle
citochinine. Le citochinine inoltre deprimono le dimensioni e la divisione cellulare a livello delle
radici. Hanno inoltre ruoli opposti nel regolare la proliferazione cellulare nel RAM (Root Apical
Meristem) e nel SAM. Il rapporto auxina:citochinina regola la morfogenesi dei tessuti in coltura.
High auxin:cytokinin ratio: root; Low auxin/cytokinin ratio: shoot; Intermediate auxin/cytokinin
ratio: callus. La citochinina rallenta la senescenza fogliare cioè l’invecchiamento programmato
che porta alla morte del tessuto. La senescenza fogliare è ritardata in tabacco transgenico contenente
alti livelli di citochinine. Citochinine producono una fenocopia del mutante det: e aumentano la
deeziolatura di piante cresciute al buio. I plastidi si sviluppano parzialmente.
Brassinosteroidi:
Scoperti come agenti stimolanti la crescita e presenti nel polline della colza. Mitchell nel 1970
chiama queste sostanze Brassine. Brassine inducono l’allungamento di steli in fagiolo ma furono
riconosciute come ormoni dal 1990. Inibiscono:
- crescita delle radici (ma in alcuni casi la promuovono)
- abscissione fogliare
Stimolano:
- allungamento di cellule e steli e la divisione promuovono la crescita
- srotolamento e curvature nelle erbacee
- produzione di etilene
- germinazione dei semi e fotomorfogenesi
- differenziamento dello xilema
- crescita del tubetto pollinico
Il recettore dei BR, il BRI1, è localizzato sulla membrana plasmatica. I BR si legano direttamente
ad una regione composta da 100 amminoacidi localizzata nel dominio extracellulare di BRI1. BRI1
è membro di una famiglia di recettori vegetali serina/treonina chinasi con leucina ripetuta. Il legame
di BL con BRI1 scatena l’interazione tra BRI1 e BAK1, un recettore chinasi affine. BL induce la
fosforilazione sia di BR1 che di BAK1. BRI1 è fosforilato in siti multipli lungo il suo dominio
intracellulare e alcuni di questi si sono dimostrati capaci di regolare l’attività del recettore.
Azoto:
L’azoto può essere assorbito dal terreno attraverso le radici oppure incorporato nei composti
organici. Molto costoso in termini di energia:
NO3- NH4+ aa 12 ATP/N
N2  NH4+ aa 16 ATP/N
Le piante trovano nel terreno ed usano sia NO3- che NH4+. L’accumulo di NH4+ è tossico per
piante e animali. Dissipa i gradienti di protoni a cavallo delle membrane (mitocondrio, cloroplasto,
vacuolo). Le piante non lo accumulano e lo assimilano appena assorbito.
L’accumulo di NO3- è tossico per gli animali. Le piante lo possono accumulare nei vacuoli (
diventano tossiche per gli erbivori) o lo trasportano a lunga distanza ad altre parti dove poi viene
assimilato. La riduzione del nitrato avviene nel citosol per mezzo della nitrato reduttasi. Il cofattore
è il cobalto. La riduzione del nitrito avviene per mezzo della nitrito reduttasi, presente in diverse
isoforme nel cloroplasto e nei plastidi delle radici. Donatore di elettroni è la ferredossina, ridotta da
NADPH proveniente dalla via dei pentosi fosfati plastidica nelle radici. L’assimilazione di NH4+ è
catalizzata dalla glutammina sintetasi che ha alta affinità per NH4+. Regolazione dell’assimilazione
del nitrato: durante la PS l’assimilazione nitrato procede solo se ci sono gli scheletri carboniosi
(fissazione CO2) per gli aa. (regolazione da glucosio e altri zuccheri); la sintesi degli aa non deve
superare la richiesta (regolazione da aa); formazione nitrito non deve procedere più velocemente
della sua riduzione ad ammonio, perché se il nitrito si accumula è tossico. Di notte nelle foglie c’è
abbastanza NADH per la nitrato reduttasi ma molto meno NADPH nel cloroplasto (solo PPP) per
ridurre nitrito e fissare NH4+. Meglio spegnere la nitrato reduttasi per non accumulare nitrito.
(regolazione da luce).
Fissazione di N2: In un sistema chiuso il nitrato proviene dalla degradazione della biomassa.
Fertilizzanti compensano l’asportazione di biomassa. Il mais richiede 200Kg N /ettaro. L’NH3 è
prodotto industrialmente con alte pressioni e alte temperature. Nonostante la spontaneità della
reazione la reazione è molto lenta per via dell’alta energia di attivazione ed è catalizzata dalla
nitrogenasi. Problemi: questo enzima richiede un largo apporto di ATP, è molto sensibile all’O2 e
negli organismi aerobici la produzione di ATP richiede O2. Prima strategia: ridurre PO2 con una
emoglobina. Si costruisce uno speciale organo sulla radice della pianta che è in grado di ridurre la
richiesta di O2. Seconda strategia: confinare la reazione in una cellula non ossigenica. flavonoidi,
betaine chemiotattiche per R attivano nod genes. I nod factors inducono allungamento pelo radicale
e inducono degradazione parete cellulare. Si forma il tubetto infettivo per invaginazione della PM.
Il nodulo matura: forma connessioni vascolari ed esclude O2. I batteri diventano batterioidi (10 v.
più grandi) e iniziano a fissare N2.
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