La sindrome dell`intestino irritabile

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Foglio di
informazione
professionale
Nr. 189
aprile 2009
La sindrome dell’intestino irritabile
Una volta era la “colite”. Così veniva definito quell’insieme di disturbi che colpisce molte persone (circa una su
dieci) e consiste nella comparsa periodica di mal di pancia, diarrea e stitichezza. Poi è stata creata una vera e propria
malattia, la sindrome dell’intestino irritabile, con tanto di criteri diagnostici (anche se non accettati da tutta la
comunità scientifica), ma la sostanza non cambia: si tratta sempre dello stesso disturbo funzionale, benigno, senza
causa apparente e cure risolutive.
I sintomi
I sintomi tipici sono il dolore o fastidio addominale, spesso mal localizzato o migrante, generalmente alleviato dalla
defecazione, accompagnato da un cambiamento nella consistenza delle feci (molto dure o troppo molli, associate a
muco) e nella frequenza delle evacuazioni (da più di 3 volte al giorno a meno di 3 volte alla settimana). Frequenti
sono anche gonfiore, urgenza e sensazione di incompleta evacuazione. La variabilità dei sintomi è la norma sia tra
persone diverse che nella stessa persona in tempi successivi. Spesso sono presenti più disturbi contemporaneamente;
in altri casi, invece, alcuni sintomi ricorrono in sequenza o variano nel tempo, per tipologia, localizzazione e gravità.
La stessa frequenza degli episodi è variabile: alcuni si lamentano di sintomi continui o attacchi quotidiani; altri
godono di lunghi periodi senza disturbi. Molte volte, l’insorgenza dei sintomi è preceduta da eventi di vita stressanti,
quali lutti, malattie, difficoltà familiari o problemi sociali di tipo lavorativo, finanziario o riguardanti le relazioni
interpersonali.
Cause e diagnosi
La sindrome dell’intestino irritabile non si associa ad alterazioni organiche o biochimiche. Alla base vi sono fattori
fisiologici, psicologici, comportamentali e ambientali che, interagendo simultaneamente e a più livelli, contribuiscono
a determinare l’aspetto clinico e l’entità dei sintomi. L’elemento cardine per la diagnosi è la persistenza dei disturbi
(da almeno 6 mesi), sia pure con fasi di riacutizzazione e di quiescenza. La coesistenza di sintomi non gastroenterici
come stanchezza, disturbi del sonno, cefalea o mal di schiena, avvalora la diagnosi. Segnali di allarme che fanno
sospettare una patologia organica e richiedono un approfondimento sono la comparsa dei sintomi per la prima volta
dopo i 50 anni (prima dei 50 anni l’incidenza dell’evento più grave, il cancro del colon, è bassa, inferiore al 4%);
dimagrimento, recente insorgenza di dolore e alterazioni dell’alvo; disturbi che provocano risveglio notturno o
progressivamente ingravescenti; presenza di sangue nelle feci; febbre; storia familiare di tumore del colon o di
malattie infiammatorie intestinali. Nel caso di persone giovani, in genere è sufficiente controllare l’emocromo (per
escludere un’anemia) e la VES (marker di infiammazione). A seconda della storia clinica individuale, si
aggiungeranno altri accertamenti come l’esame delle feci per sangue occulto, uova e parassiti (per infezioni intestinali
come la giardiasi), il test per gli anticorpi anti-transglutaminasi (per la celiachia) se la diarrea è prevalente o i test di
funzionalità tiroidea in presenza di stipsi (l’ipotiroidismo può causare stitichezza). La colonscopia costituisce un
esame di routine solo in presenza di segnali di allarme.
Gestione e approccio terapeutico
Poiché i sintomi della sindrome hanno un andamento oscillante per molti anni, l’obiettivo della terapia è
realisticamente quello di migliorare quanto possibile la qualità di vita di chi ne è affetto.
Educazione. Al paziente devono essere fornite spiegazioni su alcuni temi cruciali, a partire dalla rassicurazione sulla
benignità del disturbo che ha fasi di miglioramento e riacutizzazioni. L’intestino è ipersensibile a svariati stimoli e
risponde con una alterazione dei suoi movimenti; lo stress e altri fattori psicologici, come la dieta, non causano i
disturbi, ma possono esacerbarli. Lo stile di vita dovrebbe comprendere una dieta bilanciata, con un adeguato apporto
di liquidi, frutta e verdura, una regolare attività fisica e l’evacuazione (o almeno il tentativo) a orari fissi (al mattino o
dopo mangiato), dedicandovi il tempo sufficiente. Molte persone, soprattutto quelle con prevalenza di stipsi, fanno un
uso eccessivo di lassativi perché hanno idee sbagliate sulla necessità di scaricare l’alvo giornalmente. Questi
comportamenti vanno indagati ed eventualmente corretti.
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La dieta. E’ importante verificare quali siano le aspettative e credenze del paziente riguardo la dieta e individuare
l’esistenza di possibili squilibri. Se esiste qualche specifico alimento che peggiora sistematicamente i sintomi, si
devono considerare caso per caso le opportune limitazioni (l’esclusione del latte va fatta solo in presenza di
documentata carenza di lattasi). Per il resto, le raccomandazioni dietetiche sono di buon senso. Se tra i disturbi
predominanti c’è la diarrea si può limitare o abolire il caffè, che esercita un effetto lassativo. Qualora, invece, la
sindrome sia a prevalente impronta stitica, è opportuno incrementare l’assunzione di fibre e di acqua, sapendo che
talora possono aggravare il meteorismo e per i primi giorni può esserci un aumento del dolore e della stipsi. In caso di
meteorismo vanno ridotti alimenti che nell’intestino fermentano e producono gas (per esempio fagioli, piselli,
cavolfiori, cavoli e broccoli), le bevande addizionate di anidride carbonica e i grassi.
Gli aspetti psicosociali. In alcuni studi, vari tipi di terapia psicologica (terapia cognitivo-comportamentale,
psicoterapia, tecniche di rilassamento) hanno mostrato risultati apprezzabili. Poche sedute strutturate (in media sei) di
psicoterapia comportamentale possono essere efficaci per migliorare i sintomi. In alternativa, può essere utile
dedicare parte del tempo al relax attraverso corsi di yoga o di ginnastica dolce o a qualsiasi attività piacevole che aiuti
a rilassarsi.
I farmaci. La maggior parte delle persone non richiede alcun trattamento. I farmaci possono avere un effetto
controproducente in individui psicologicamente labili, rinforzando un comportamento da malato che può diventare
patologico. Peraltro, nessun farmaco si è dimostrato efficace sull’intero complesso dei sintomi. Gli studi condotti
hanno coinvolto per lo più pazienti afferenti ad ambulatori specialistici con malattia più grave o atipica, comunque
non rappresentativi per la medicina generale. Alla fine degli anni ’90, nuovi farmaci agenti sulla serotonina
(regolatore del riflesso peristaltico e della sensibilità viscerale) avevano destato (artificiosamente) grandi aspettative,
ma si sono rivelati poco efficaci e/o pericolosi. L’alosetron, un antagonista della serotonina, registrato negli USA nel
2000 per il trattamento della sindrome dell’intestino irritabile a prevalente impronta diarroica, nemmeno dieci mesi
più tardi è stato ritirato per i gravi effetti indesiderati tra cui casi di colite ischemica (infarto del colon), e poi
riammesso in commercio con severe restrizioni. Sorte peggiore ha avuto il tegaserod che, potenziando le azioni della
serotonina, veniva proposto per la forma a prevalente stitichezza: è stato ritirato dal commercio (negli USA) nel 2008
per le gravi reazioni avverse di tipo gastrointestinale e cardiovascolare (infarto e ictus) associate al suo impiego.
La terapia è quindi empirica e solo sintomatica, finalizzata al controllo del sintomo predominante.
Stipsi. La letteratura conta numerosi studi sui lassativi di volume, ma il loro valore rimane complessivamente incerto.
Secondo alcune revisioni degli studi controllati, solo per lo psillio (seme di piante del genere Plantago) è
documentato un miglioramento della frequenza delle defecazioni e della consistenza delle feci. L’effetto di questi
prodotti, da accompagnare sempre ad un adeguato introito idrico, si manifesta molto lentamente e possono essere
necessari anche alcuni mesi per notare un beneficio stabile.
Sono controindicati i lassativi irritanti in quanto possono aggravare il dolore addominale.
Diarrea. I singoli episodi di diarrea possono essere controllati dalla loperamide. In casi selezionati, la loperamide può
essere usata anche a scopo profilattico, per prevenire crisi diarroiche in occasione di eventi sociali. I dati sui
probiotici non sono sufficienti ad indicarne una possibile efficacia; la loro sicurezza d’impiego può giustificare un
tentativo terapeutico (della durata minima di un mese) solo nelle persone che non accettano la loperamide e intendono
provare un rimedio “naturale”.
Dolore addominale. Gli antispastici ad azione anticolinergica come il cimetropio (Alginor), l’ottilonio (Spasmomen) e
la butilscopolamina bromuro (Buscopan) possono comportare qualche beneficio, ma esiste una grande variabilità di
risposta interindividuale e l’effetto tende a ridursi nel tempo. In alcuni pazienti, gli antidepressivi triciclici a basse
dosi (es. amitriptilina, Laroxyl, 10-25 mg la sera) si sono dimostrati in grado di ridurre il dolore addominale e la
diarrea. Il beneficio, indipendente dagli effetti anticolinergici e sul tono dell’umore, è probabilmente da attribuire ad
una modificazione della motilità intestinale e ad una alterazione della risposta nervosa viscerale. Il loro uso dovrebbe
essere riservato ai casi più complicati con sintomi ricorrenti o continui, resistenti alle altre terapie.
Meteorismo. Nessun farmaco è efficace per la risoluzione di questo problema.
A cura del dott. Mauro Miselli
Bibliografia
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