Fertilità: un bene prezioso per la donna e per la

Fertilità: un bene prezioso
per la donna e per la società
Come prendersene cura e aiutarla
Indice
Premesse
p. 4
Prendersi cura della fertilità
p. 6
Fertilità: quando “tutto” funziona
p. 9
Infertilità: le cause e gli esami diagnostici
p. 11
Accesso ai percorsi di Procreazione Medicalmente Assistita
p. 13
Le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita
p. 15
La stimolazione ormonale
p. 17
Fertilità e tumori
p. 20
Testi a cura di Nicoletta Orthmann, Coordinatore medico-scientifico di Onda
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Premesse
L’infertilità è un fenomeno in continua crescita, che colpisce circa il 15-20% delle coppie. Coinvolge la sfera più intima della persona, impattando fortemente sul benessere
psico-fisico e sulla qualità della vita della donna, del partner e della coppia.
L’età è tra le principali cause. E questo è un aspetto cruciale considerato il progressivo
avanzamento dell’età materna alla prima gravidanza: le stime prospettiche parlano di
una percentuale di gravidanze in donne ultra-trentacinquenni pari al 25% nel 2025
contro il 12% registrato agli inizi degli anni Novanta. Del resto le donne sono sempre
più impegnate sul fronte lavorativo, scegliendo di posticipare di diversi anni la maternità
e di programmarla in un preciso momento della propria vita nell’attesa di una maggior
stabilità affettiva, economica e lavorativa.
È assolutamente normale che alla decisione possa non corrispondere un concepimento
“immediato”, secondo le tempistiche prestabilite e desiderate, pertanto è importante
affrontare questo periodo con equilibrio, serenità e un po’ di pazienza, rivolgendosi per
qualsiasi dubbio al proprio ginecologo di fiducia.
Deve trascorrere, infatti, almeno un anno di rapporti sessuali non protetti, frequenti e
mirati al concepimento senza che questo si verifichi, per iniziare a parlare di “disturbi
della fertilità/infertilità” e per avviare i primi esami clinico-diagnostici. In tal caso è
fondamentale procedere gradualmente, a partire dalle indagini meno invasive, al fine
di individuare la problematica e definire i percorsi di cura indicati per ciascun caso
specifico.
Onda, come Osservatorio impegnato nella promozione e tutela della salute femminile,
ha deciso di realizzare questa brochure per offrire alle donne un semplice supporto
informativo che si auspica possa dare strumenti conoscitivi e nuovi spunti di riflessione
per pensare alla propria fertilità in modo responsabile.
I dati italiani in termini di denatalità sono allarmanti (siamo tra i paesi europei in cui
nascono meno bambini) e le previsioni per il futuro ci impongono di fare una profonda
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riflessione sulla necessità di promuovere un cambiamento culturale che coinvolga anzitutto le donne, a partire dalle giovanissime, rendendole consapevoli dell’importanza
della prevenzione dell’infertilità.
La fertilità è un bene prezioso, umano e sociale, di cui occorre prendersi cura fin dalla
giovane età. Eppure spesso non è considerato come tale e quasi dato “per scontato”,
eventualmente vicariato dalla Procreazione Medicalmente Assistita che, se è pur vero
che può aiutare la fertilità naturale, non può però sostituirla.
Nel 2015 il Ministero della Salute ha proposto il Piano Nazionale per la Fertilità proprio
per porla al centro delle politiche sanitarie e educative, istituendo la giornata nazionale
dedicata – Fertility Day – il 22 settembre. Ci uniamo dunque all’appello del Ministro
Lorenzin: “Difendi la tua fertilità, prepara una culla nel tuo futuro”.
Francesca Merzagora
Presidente Onda
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Prendersi cura della fertilità
L’Italia è tra i paesi europei in cui nascono meno bambini: 1,39 per donna.
L’età media al primo parto supera i 30 anni e, rispetto al 2012, le madri over-40 sono
raddoppiate passando dal 3,1% al 6,2%; in particolare, risulta più che raddoppiata la
percentuale di donne che avevano più di 40 anni quando è nato il loro primo figlio: dal
1,5% al 4%.
Questi fattori, denatalità ed età media delle madri, devono essere considerati congiuntamente in relazione al fatto che è proprio l’età il fattore prevalente nel determinare il
potenziale di fertilità femminile.
Esiste, infatti, per le donne una “finestra fertile”: la fertilità risulta massima tra i 20 e i
30 anni poi decresce, riducendosi rapidamente dopo i 35 anni fino ad arrivare prossima
allo zero già alcuni anni prima della menopausa.
Anzitutto è quindi una questione di tempo.
C’è poi da considerare anche il fatto che il sistema riproduttivo, il cui funzionamento è
complesso e influenzato da molteplici fattori, è particolarmente vulnerabile alle interferenze ambientali.
Per questo, fin dalla giovanissima età, è importante adottare corretti stili di vita e
“buone” norme comportamentali che sono presupposti fondamentali per la salute non
solo generale ma anche riproduttiva.
Eccessive variazioni di peso (sia in positivo sia in negativo), fumo di sigaretta, alcol,
sedentarietà e alti livelli di stress hanno effetti particolarmente dannosi sulla fertilità
femminile (e anche maschile!).
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Peso corporeo: la massa grassa influisce sulla produzione degli
ormoni sessuali e se presente in eccesso (sovrappeso/obesità) o
se non sufficientemente rappresentata (sottopeso/anoressia) provoca squilibri ormonali che possono compromettere la funzione
riproduttiva.
Fumo: ha effetti tossici sulle ovaie (anticipa la menopausa!) e interferisce con l’ovulazione.
Alcol: interferisce con il funzionamento delle ghiandole che regolano la produzione degli ormoni sessuali.
Fondamentale è la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili attraverso l’utilizzo del preservativo. La maggioranza dei giovani sessualmente attivi sottostima il pericolo non essendo a conoscenza del fatto che queste malattie rappresentano
un importante fattore di rischio di infertilità.
La più comune e la più insidiosa è la Chlamydia che colpisce soprattutto donne molto
giovani sessualmente attive dai 15 ai 21 anni e che, pur asintomatica nella maggior
parte dei casi, può esitare in gravi complicanze che danneggiano irreversibilmente
la fertilità. Altra malattia sessualmente trasmissibile spesso asintomatica ma che può
complicarsi e compromettere la fertilità, è la Gonorrea.
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Ecco, in sintesi, quali sono le strategie comportamentali raccomandate per preservare
la salute riproduttiva e dunque il potenziale di fertilità:
Alimentazione sana e variata
Attività fisica regolare
Controllo del peso corporeo
Stop al fumo di sigaretta
Consumo moderato di alcol
Bassi livelli di stress e ansia
Uso del preservativo
Protezione dall’esposizione a inquinanti ambientali
(attenzione all’eventuale rischio professionale)
9. Regolari controlli ginecologici (annuali)
10. Programmazione familiare tempestiva!
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Prendersi cura della propria salute,
adottando stili di vita corretti,
significa anche preservare al meglio la fertilità
Fertilità: quando “tutto” funziona
I gameti sono le cellule della riproduzione. Il gamete maschile è lo spermatozoo, quello
femminile è la cellula uovo (o ovocita).
Ogni donna possiede alla nascita circa 1-2 milioni di follicoli (piccole strutture che
si trovano nelle ovaie e che, maturando, portano alla formazione delle cellule uovo)
che al momento dello sviluppo puberale sono già drasticamente ridotti, pari a circa
300/500.000, costituendo la cosiddetta “riserva ovarica”. Dalla riserva ovarica dipende
la capacità ovulatoria, cioè la capacità delle ovaie di produrre ovociti maturi, pronti
per la fecondazione da parte dello spermatozoo e quindi il potenziale di fertilità. Tale
patrimonio varia “geneticamente” da donna a donna ma anche altri fattori, come sostanze tossiche/farmaci o pregressi interventi chirurgici possono ridurlo o accelerarne
il consumo.
Durante l’età fertile, per ogni ciclo mestruale, in genere solo una cellula uovo giunge a
maturazione (ovulazione) e contemporaneamente molti follicoli, che si erano preparati a
maturare, si atrofizzano (in sostanza scompaiono), esaurendosi così via via il patrimonio
follicolare fino alla menopausa.
Per l’uomo, le cose sono un bel po’ diverse: la produzione degli spermatozoi, che inizia
con la pubertà, continua a ritmo pressoché costante, rendendo sempre disponibile una
riserva di spermatozoi maturi. Ciò posto, con l’avanzare dell’età, il numero di spermatozoi maturi si riduce e anche la loro qualità si può deteriorare, trasducendosi in una
diminuzione del potenziale di fertilità maschile.
Avvenuta l’ovulazione (all’incirca ogni quattro settimane), l’ovocita viene “aspirato” dalle
tube di Falloppio, strutture che collegano le ovaie alla cavità uterina e qui l’ovocita può
essere fecondato dagli spermatozoi.
Dopo l’ovulazione il follicolo maturo si trasforma in “corpo luteo” che ha la funzione di
produrre il progesterone, ormone che trasforma l’endometrio (il rivestimento interno
dell’utero) da proliferativo a secretivo e lo prepara ad accogliere l’eventuale cellula uovo
fecondata (embrione).
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Solo una piccola parte degli spermatozoi riesce a risalire dalla vagina alle tube di Falloppio attraverso il canale cervicale e la cavità uterina.
Qualora avvenga la fecondazione, l’ovocita fecondato percorre le tube e in questo cammino, che ha durata di 5/6 giorni, va incontro a molteplici divisioni cellulari fino a impiantarsi nell’endometrio, dove darà origine a placenta, feto e sacco amniotico.
Qualora l’ovocita non venga fecondato o l’embrione abbia subito un arresto nel suo
sviluppo o l’impianto non vada a buon fine o il progesterone non sia prodotto in quantità
sufficienti, l’endometrio si sfalda con la comparsa della mestruazione.
La riserva ovarica costituisce un patrimonio
che si esaurisce inesorabilmente nel tempo
e che è molto vulnerabile
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Infertilità: le cause e gli esami diagnostici
Le cause
Già si è parlato nel primo capitolo degli effetti negativi sulla fertilità prodotti da scorrette
abitudini di vita. Ci sono anche patologie femminili che sono responsabili di infertilità.
Le più comuni sono:
- Squilibri ormonali (sindrome dell’ovaio policistico, patologie tiroidee, iperprolattinemia,
obesità, anoressia nervosa)
- Infezioni pelviche, acute o subacute (spesso trasmesse per via sessuale!)
- Fibromi uterini (in relazione alle dimensioni, al numero ed alla collocazione anatomica)
- Endometriosi
Tra le citate patologie, particolare attenzione meritano la sindrome dell’ovaio policistico
e l’endometriosi, in considerazione dell’impatto sulla fertilità e sulla qualità di vita delle
donne che ne sono affette.
La sindrome dell’ovaio policistico è un disturbo ormonale, su base ereditaria, caratterizzato dalla formazione di molteplici cisti ovariche e da cicli mestruali irregolari talvolta anovulatori (cioè senza la formazione di una cellula uovo matura). Si accompagna
a un’aumentata produzione di ormoni maschili (iperandrogenismo) con conseguenti
problemi estetici, rappresentati principalmente da acne, ipertricosi (aumento dei peli in
sedi femminili) e irsutismo (comparsa di peli in sedi maschili, come viso, torace, addome). La malattia è inoltre responsabile di alterazioni metaboliche che frequentemente
si traducono in sovrappeso, diabete mellito/insulino-resistenza, ipercolesterolemia e
ipertensione arteriosa.
L’endometriosi consiste nella presenza di endometrio al di fuori dell’utero, tipicamente in sede pelvico-addominale. L’ovaio è la sede più colpita; altre possibili localizzazioni
sono tube, vescica, retto, peritoneo e intestino. Questo tessuto, dislocato in sedi anomale, risponde agli stimoli ormonali che periodicamente accompagnano l’ovulazione
durante l’età fertile, comportandosi come l’endometrio “normale”: cresce, s’ispessisce
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e si sfalda, causando infiammazione cronica e formazione di tessuto cicatriziale e aderenze che danneggiano gli organi colpiti. Il dolore rappresenta il sintomo principale, ma
possono manifestarsi anche altri disturbi, come affaticamento cronico, dolore durante
il rapporto sessuale, la minzione e/o la defecazione, alternanza diarrea/stitichezza. La
diagnosi purtroppo è spesso molto tardiva, stimandosi un ritardo diagnostico medio
di nove/dieci anni con il rischio che si instaurino gravi e irreparabili danni all’apparato
riproduttivo.
Localizzazione dell’endometriosi
Gli esami diagnostici
Nella pratica clinica si considera giustificato iniziare gli accertamenti per determinare la
presenza di uno o più ostacoli al concepimento dopo almeno 12 mesi di rapporti liberi
e non protetti. Questo limite si riduce a 6 mesi per le donne di età superiore a 35 anni
e in presenza di fattori di rischio (pregressi interventi in sede pelvica, endometriosi,
pregresse gravi infezioni utero-ovariche ...).
Per prima cosa è necessario verificare i dosaggi ormonali, accertare la presenza dell’ovulazione nella donna e di un adeguato numero di spermatozoi mobili nel partner ed
escludere eventuali infezioni.
Si passa successivamente ad esami più complessi e approfonditi (dunque maggiormente invasivi) per indagare le cause che impediscono ai gameti, femminile e maschile, di incontrarsi.
Gli esami devono essere eseguiti in un periodo di tempo ragionevolmente breve sia
perché “fotografano” le condizioni attuali della coppia sia perché più passa il tempo e
più le condizioni potrebbero cambiare.
Il fattore tempo è determinante!
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Accesso ai percorsi di Procreazione
medicalmente assistita (Pma)
L’accesso alle tecniche di PMA trova indicazione nei casi in cui il concepimento naturale,
spontaneo, è impossibile o molto difficile (per cause che possono essere note o non identificate) e per i quali non siano risolutivi altri interventi terapeutici, farmacologici o chirurgici.
Le tecniche di PMA, pur considerate le specifiche differenze, raggiungono livelli di successo stimabili intorno al 20% in media per ciclo di trattamento. La fecondità della nostra
specie è comunque abbastanza bassa: la percentuale di gravidanza per ciclo mestruale a
20 anni è circa il 30%, scendendo al 10% verso i 40 anni ed al 4% dopo i 43 anni.
Il successo riproduttivo si riduce progressivamente
con l’avanzare dell’età tanto nei rapporti liberi
quanto nei cicli di PMA.
Con il passare degli anni, infatti, si riduce non solo il numero di follicoli ma anche la
qualità “genetica” degli ovociti e degli spermatozoi.
Nel nostro Paese si registra un continuo trend di aumento dell’età media delle donne
che accedono alla PMA pari a 36,55 anni e della percentuale di donne che vi accedono con oltre 40 anni che è del 31%, quale conseguenza della tendenza di avere figli
sempre più tardi.
Cosa prevede la Legge italiana
Nel nostro Paese la PMA è disciplinata da una specifica legge, la L. 40 del 2004 che
prevede l’accesso a queste tecniche solo alle coppie formate da maggiorenni eterosessuali, coniugati o conviventi, in cui entrambi siano viventi e in età potenzialmente fertile.
I contenuti sono stati in parte modificati in rapporto all’evoluzione giurisprudenziale in
materia e il quadro normativo è integrato dalle “Linee guida contenenti le indicazioni
delle procedure e delle tecniche di PMA” il cui testo è stato recentemente aggiornato
(luglio 2015).
Il nuovo testo ha apportato importanti variazioni rispetto al precedente del 2008, tra
cui l’accesso alle tecniche di fecondazione eterologa cioè attraverso l’utilizzo di gameti,
ovociti o spermatozoi, esterni alla coppia.
Sono vietate la cosiddetta “maternità surrogata” (cioè il ricorso all’utero di un’altra
donna), l’accesso alla PMA per single e coppie dello stesso sesso e il congelamento di
embrioni, salvo casi eccezionali, espressamente selezionati.
Centri per la PMA
Gli interventi di PMA possono essere effettuati in strutture pubbliche e private autorizzate,
convenzionate e non, iscritte in un apposito registro. L’elenco dei centri censiti per regione
dall’Istituto Superiore della Sanità è consultabile sul sito http://www.iss.it/rPMA.
In base alle tecniche impiegate, i centri per la PMA sono distinti in I livello, che utilizzano
metodiche più semplici e meno invasive (sostanzialmente l’inseminazione intrauterina)
e II - III livello che attuano procedure più complesse e invasive.
Le tecniche di Procreazione Medicalmente
Assistita
Monitoraggio dell’ovulazione
Prevede il monitoraggio ecografico della crescita del follicolo, eventualmente associato al
controllo dei dosaggi ormonali, con l’obiettivo di verificare se l’ovulazione avvenga o meno
e di indicare alla coppia i giorni migliori per avere rapporti sessuali, favorendo quindi le
probabilità di concepimento.
Stimolazione dell’ovulazione
Trova indicazione nelle donne che hanno cicli cosiddetti anovulatori (senza produzione di
ovulo maturo) o con ovulazione irregolare. Può inoltre essere consigliata anche a donne
che ovulano normalmente per stimolare le ovaie a produrre più di un follicolo e aumentare
così le probabilità di un concepimento. Consiste nella somministrazione di farmaci per via
orale o ormoni per iniezione che stimolano l’attività ovarica e la produzione di follicoli. Una
volta indotta l’ovulazione, si può procedere o con i rapporti mirati o con una tecnica di PMA.
IUI (inseminazione intrauterina)
Consiste nell’introduzione nella cavità uterina del liquido seminale - previa o meno stimolazione dell’ovulazione - per facilitare l’incontro tra spermatozoi e ovocita.
Questa tecnica è in genere consigliata in tutti i casi di sterilità inspiegata, infertilità maschile lieve-moderata, patologie sessuali che impediscono un rapporto completo, ripetuti
insuccessi di induzione della gravidanza con stimolazione dell’ovulazione e rapporti mirati.
FIVET (fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione)
Prevede la fecondazione extracorporea dei gameti e il successivo trasferimento dell’embrione/i ottenuto/i in utero. La tecnica richiede la preliminare stimolazione ovarica per indurre la maturazione di più follicoli contemporaneamente. Tra le indicazioni rientrano le
patologie acquisite o congenite delle tube che impediscono il “naturale” incontro tra cellula
uovo e spermatozoo.
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ICSI (iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo)
È utilizzata insieme alla FIVET, in particolare nei casi di infertilità maschile di grado severo.
Anche in questo caso l’incontro tra il gamete maschile e quello femminile avviene all’esterno del corpo della donna, ma il singolo spermatozoo viene inserito “artificialmente”
nell’uovo. Evoluzione della ICSI è la IMSI (iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo
morfologicamente selezionato) che consente di scegliere i “migliori” spermatozoi da destinare alla ICSI, incrementandone le possibilità di successo.
GIFT (trasferimento intratubarico dei gameti)
È una metodica ormai obsoleta, molto invasiva e dunque scarsamente ripetibile; consiste
nel trasferimento dei gameti maschili e femminili nelle tube della donna in modo che la
fecondazione avvenga “in vivo” all’interno del corpo femminile. Procedimento analogo prevedono altre tecniche di minor utilizzo, in cui la fecondazione avviene in vitro ed è seguita
dal trasferimento intratubarico del prodotto del concepimento.
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La stimolazione ormonale
La stimolazione ormonale è un passaggio fondamentale nei percorsi di PMA. Ha due
obiettivi:
1. ottimizzare l’ovulazione e far giungere a maturazione più follicoli per avere a disposizione un numero ottimale di cellule uovo, pronte per essere fecondate;
2. preparare l’utero ad accogliere nelle condizioni ottimali l’embrione per il suo corretto
impianto.
Gli ormoni impiegati per la stimolazione possono essere:
- naturali: sono gli stessi secreti dall’organismo femminile, estratti dalle urine di
donne in menopausa o in gravidanza;
- di sintesi: prodotti con la tecnica ricombinante.
Gli ormoni di derivazione umana sono
assolutamente sicuri poiché subiscono
sofisticati processi di purificazione che non ne
alterano le proprietà naturali
intrinseche.
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Il tipo di stimolazione è strettamente correlato alla tecnica utilizzata e all’età materna.
Nel caso dell’inseminazione intrauterina, i farmaci devono solo ottimizzare l’ovulazione,
mentre per altre tecniche che prevedono la fecondazione in vitro, è necessario disporre
di più cellule uovo per produrre più embrioni. Inoltre più la donna è in età avanzata,
minore è la risposta ovarica alla stimolazione.
Come induttori dell’ovulazione sono in genere utilizzate le gonadotropine; in particolare,
durante il ciclo terapeutico vengono impiegate gonadotropine follicolo-stimolanti
per stimolare la crescita dei follicoli e gonadotropina corionica per indurre l’ovulazione. Tutte le gonadotropine (tranne una) possono essere somministrate o per via
intramuscolare o per via sottocutanea.
Gli effetti collaterali sono in genere di modesta entità e di breve durata, rappresentati
principalmente da ritenzione idrica e incremento del peso corporeo. Il processo è attentamente monitorato in modo da garantirne la massima efficacia e impedire l’insorgenza
della cosiddetta sindrome da iperstimolazione ovarica, caratterizzata da un incremento
delle dimensioni delle ovaie, formazione di liquido in addome, comparsa di sintomi
come dolore, senso di peso, difficoltà respiratorie.
In passato erano stati sollevati dubbi sulla possibile correlazione tra la stimolazione ormonale e il rischio di sviluppare tumori ormono-responsivi, quali quello della mammella
e dell’ovaio, ma gli studi più recenti non hanno confermato tale ipotesi.
Il ricorso alla stimolazione ovarica controllata nell’ambito delle tecniche di PMA interferisce con i delicati meccanismi endocrini che regolano la “fase luteale”, periodo che ha
inizio con l’ovulazione e termina con l’impianto dell’embrione (o, nel caso in cui non si
instauri la gravidanza, con la comparsa della mestruazione).
Il rischio è che il progesterone prodotto fisiologicamente dal corpo luteo non sia sufficiente a garantire una corretta trasformazione dell’endometrio che è condizione necessaria perché l’impianto dell’embrione avvenga con successo.
Da qui la necessità di sostenere la fase luteale, una volta avvenuto il trasferimento degli
embrioni, attraverso una terapia di supporto a base di progesterone.
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Il progesterone oggi è somministrabile per via intramuscolo, vaginale o sottocutanea.
La via sottocutanea è una nuova via di somministrazione, introdotta dopo un lungo e
innovativo processo di tecnica farmaceutica che ha permesso di “sciogliere” in acqua
il progesterone che per natura è liposolubile (dunque solubile solo nei grassi); assieme
a quella intramuscolare (che è però dolorosa), sono le uniche a garantire livelli ematici
di progesterone simili a quelli prodotti naturalmente durante la fase finale del ciclo
mestruale.
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Fertilità e tumori
Ogni giorno vengono diagnosticati in Italia almeno 30 nuovi casi di tumore in pazienti
di età inferiore ai 40 anni con netta prevalenza per il sesso femminile; il tumore più
frequentemente diagnosticato nelle giovani donne è quello mammario.
Si tratta di una tematica molto delicata e complessa che merita, da parte degli specialisti oncologi, particolare sensibilità, attenzione e competenza: al desiderio di maternità,
si contrappongono la difficile e dolorosa esperienza di una malattia che segna profondamente la donna, la preoccupazione relativa alla prognosi oncologica e il timore di
possibili danni al feto quale conseguenza dei trattamenti antitumorali ricevuti prima
del concepimento. Ed è una tematica che sta sempre più emergendo per due motivi:
- l’età materna alla prima gravidanza si è progressivamente spostata in avanti;
- la diagnosi precoce e i successi terapeutici raggiunti grazie al continuo avanzamento
della ricerca hanno contributo a migliorare sensibilmente la prognosi oncologica delle
pazienti, incrementando in misura significativa il tasso di sopravvivenza.
La chemioterapia prevede, infatti, l’impiego di farmaci “sistemici” che non colpiscono
cioè selettivamente le cellule tumorali, ma bersagliano anche i tessuti sani, tra cui
il tessuto ovarico. La tossicità dei chemioterapici a livello ovarico dipende da diversi
fattori, tra cui principalmente la tipologia del farmaco e l’età della paziente, e comporta
una riduzione della riserva ovarica.
Esistono diverse strategie di preservazione della fertilità, tradizionali come il congelamento
di ovociti e di “nuova generazione” basate sulla protezione farmacologica delle ovaie.
La scelta dipende da più fattori, quali le caratteristiche biologiche e la stadiazione del
tumore, la tipologia delle terapie anti-tumorali sistemiche prospettate, il tempo di attesa
disponibile prima di avviare le cure (le tecniche che prevedono stimolazione ovarica
possono essere prese in considerazione solo quando è possibile posticipare l’inizio
delle terapie anti-tumorali), l’età della paziente e la presenza di un partner.
•
Il congelamento degli embrioni è la tecnica più efficace, ma in Italia è consentita solo
in casi limitati. Gli embrioni si ottengono mediante tecniche di fecondazione in vitro.
La procedura richiede la stimolazione ovarica in modo da poter raccogliere un certo
numero di ovociti da fecondare in vitro con gli spermatozoi.
•
Il congelamento degli ovociti prevede la necessità di effettuare preventivamente la
stimolazione ovarica. Gli ovociti ottenuti vengono prelevati con un piccolo intervento
chirurgico per via vaginale e poi conservati in modo tale che, quando la donna decide successivamente di avere una gravidanza, l’ovocita viene scongelato e fertilizzato
in vitro con successivo trasferimento dell’embrione in utero.
•
La tecnica farmacologica di protezione delle ovaie si basa sull’impiego di farmaci
che, somministrati prima e durante la chemioterapia, sono in grado di ridurne la
tossicità a livello delle ovaie “mettendole a riposo”.
•
Il congelamento del tessuto ovarico è una tecnica ancora sperimentale; prevede il
prelievo di striscioline di tessuto ovarico mediante intervento chirurgico che sono
conservate fino a quando la paziente non sarà guarita e in grado di sottoporsi al
reimpianto.
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Su tutti questi aspetti la donna deve essere sempre correttamente informata in modo
da poter compiere con consapevolezza le proprie scelte.
La sinergica collaborazione tra gli specialisti coinvolti, oncologo e ginecologo, è fondamentale ai fini di una pianificazione personalizzata ed efficace delle terapie antitumorali
e delle strategie di preservazione della fertilità indicate per ogni specifico caso.
I centri di Oncofertilità offrono accurato counselling multidisciplinare, prima dell’avviamento del programma terapeutico anti-tumorale, su tutte le alternative terapeutiche
per preservare la fertilità e per ripristinarla dopo la remissione della patologia di base.
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Fabrizio Villa - Fotonascita.it
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