TERAPIE SPERIMENTALI PER MALATTIE DEL SISTEMA

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 TERAPIE SPERIMENTALI PER MALATTIE DEL SISTEMA
NERVOSO CENTRALE:
TRAPIANTO SISTEMICO DI CELLULE STAMINALI
NEURALI
Matteo Donegà e Stefano Pluchino
Dept of Clinical Neurosciences, Cambridge Centre for Brain Repair, Wellcome
Trust-MRC Stem Cell Institute and NIHR Biomedical Research Centre,
University of Cambridge, CB2 0PY, UK
Introduzione
I processi rigenerativi che avvengono sia in condizione fisiologica (mantenimento) che
patologica (riparazione) sono fondamentali per la sopravvivenza di un organismo e variano
notevolmente tra specie diverse, individui e tessuti. I processi rigenerativi sono guidati da cellule
indifferenziate, chiamate cellule staminali (in inglese “stem cells”, SCs), che risiedono all’interno
dei tessuti stessi e sono in grado di sostituire le cellule morte garantendo un continuo “turnover”
all’interno del tessuto di appartenenza. Questo avviene in quasi tutti i tessuti dell’organismo
umano. Tuttavia, si è ritenuto per anni che i neuroni del sistema nervoso centrale (SNC) non
potessero essere sostituiti, ma che anzi essi perdurassero per tutto il corso dell’esistenza di un
organismo. Oggi è però evidente che rigenerazione fisiologica e patologica occorrono anche
all’interno del SNC (cervello e midollo spinale), dove processi endogeni sostengono l’omeostasi
tissutale e il riparo. Nel corso degli ultimi 40 anni è stato infatti dimostrato che il cervello
contiene cellule staminali neurali (neural stem cells, NSCs) in grado di differenziare nelle tre
tipologie di cellule nervose: neuroni, oligodendrociti e astrociti. La proliferazione e il
differenziamento delle NSCs all’interno del SNC in condizioni fisiologiche o a seguito di un trauma,
sono cruciali nel sostenere questi eventi. Tuttavia questi processi endogeni spontanei non sono
sufficienti a promuovere un recupero funzionale ottimale del sistema nervoso a seguito di un
danno. Per questo motivo, la ricerca scientifica si è spinta verso lo sviluppo di terapie cellulari
sperimentali per promuovere il riparo funzionale del SNC affetto da malattie neurodegenerative
(caraterizzate da morte progressiva del tessuto nervoso) come Sclerosi Multipla (SM), ictus
cerebrale, lesione del midollo spinale, epilessia, malattie di Alzheimer, Parkinson e Huntington.
Grazie allo sviluppo di tecniche di isolamento e coltivazione in vitro, oggi è possibile isolare
cellule staminali da molti tessuti ed espanderle in maniera pressoché illimitata in condizioni
altamente controllate. Tra i vari tipi, le cellule staminali/progenitori neurali (“neural
stem/precursor cells”, NPCs) sono tra le più utilizzate e tra le più promettenti per il possibile
trattamento di patologie ad oggi incurabili. Nel corso degli ultimi 10 anni, il trapianto sistemico
(ovvero nella circolazione sanguigna o nel liquido cerebrospinale) di NPCs esogene indifferenziate
si è dimostrato efficace nel promuovere recupero funzionale di di roditori (1-5) e primati (6)
soggetti a modelli di malattie infiammatorie del SNC, come encefalopatia autoimmune
sperimentale (“Experimental Autoimmune Encephalomyelitis”, EAE), ictus cerebrale e lesione del
midollo spinale. Sebbene all’inizio ci si aspettasse che le cellule staminali, una volta infiltrate nel
tessuto lesionato, fossero in grado di differenziarsi e sostituire le cellule morte e/o danneggiate,
oggi si è ormai convinti che esse possano esercitare una funzione terapeutica molto più
complessa e articolata (7). Le NPCs trapiantate, infatti, agiscono secondo una vasta gamma di
meccanismi che includono neuroprotezione e immuno-modulazione (a livello centrale e
periferico). Questa così detta “plasticità terapeutica” è associata alla capacità delle NPCs di
instaurare un complesso meccanismo di intercomunicazione con cellule residenti nel SNC (e.g.
neuroni, oligodendrociti, astrociti e microglia) e con cellule immunitarie infiltranti (e.g. macrofagi e
linfociti), grazie al rilascio di fattori, molecole regolatrici e membrane vescicolari, oltre a
interazioni mediate da giunzioni intercellulari (“gap junctions”). Tuttavia i meccanismi molecolari
che sostengono questa molteplicità terapeutica rimangono tutt’ora irrisolti (8).
I dati speimentali raccolti, hanno portato le NPCs (e altre cellule staminali) ad essere proposte
come strategia terapeutica alternativa. Attualmente sono in corso in tutto il mondo numerosi
test clinici (di fase I) che prevedono la somministrazione endovenosa o locale (intracerebrale o
intraspinale) di cellule staminali umane adulte, tra cui NPCs, staminali mesenchimali e staminali
ematopoietiche, in pazienti affetti da gravi patologie del SNC. Tuttavia, bisogna tenere bene in
considerazione che molti aspetti delle terapie staminali rimangono ancora da chiarire (e.g. ideale
fonte di cellule staminali, ideale via di somministrazione, ideale tempistica di somministrazione e
meccanismo d’azione da promuovere) e che, inoltre, questi primi test clinici sono ideati per
stabilire la sicurezza dei trapianti piuttosto che la loro l’efficacia.
1. Le cellule staminali
Nel corso degli ultimi venti anni, grande attenzione è stata rivolta nei confronti delle cellule
staminali e un numero sempre più crescente di studi scientifici sono stati intrapresi con lo scopo
di comprendere i meccanismi biologici e molecolari che stanno alla base della loro unicità e
grande potenzialità. A causa della mancanza di marcatori ben specifici per la loro identificazione,
le cellule staminali sono piuttosto identificate sfruttando criteri funzionali. Vengono, infatti, definite
staminali tutte quelle cellule immature che possiedono la capacità di autorinnovarsi (selfrenewing) e dar luogo allo stesso tempo ad una progenie in grado di differenziare in fenotipi
diversi. Altre proprietà sono poi attribuite alle cellule staminali: l’abilità di alternare tra divisione
cellulare simmetrica (generare due cellule figlie identiche alla cellula madre) e asimmetrica
(generare una cellula figlia identica alla madre e una differenziata), la possibiltà di rimanere in
stato mitoticamente quiescente (ovvero senza replicarsi) in vivo e la capacità di dare origine a
tutti i tipi cellulari che compongono il tessuto in cui esse risiedono, sia in vivo che in vitro (9, 10).
La maggior parte dei laboratori scientifici studia e utilizza da sempre cellule staminali animali, in
particolare quelle isolate da roditori (topi e ratti). Tuttavia, lo studio di cellule staminali umane è
oggi molto avanzato, grazie allo sviluppo di tecniche che ne consentono l’isolamento e il
mantenimento in vitro.
Basandosi sulle potenzialità differenziative delle cellule staminali, esse sono suddivise in :
-
cellule totipotenti, ovvero le cellule staminali per eccellenza che sono dotate della capacità
di differenziare in tutti i tipi cellulari. L’unica cellula che può essere definita totipotente è lo
zigote, cellula staminale “sui generis” che, qualora trapiantata in un utero ricevente, può
dar luogo ad un organismo intero,
- cellule pluripotenti, le quali derivano da divisioni successive dello zigote. Esse possono
autorinnovarsi e differenziare in cellule dell’organismo appartenenti a tutti e tre i foglietti
embrionali ma non partecipano alla formazione di trofoblasto e placenta. Queste cellule,
note come cellule staminali embrionali (in inglese “embryonic stem cells”, ESCs) e
vengono isolate dalla Inner Cell Mass, un gruppo di cellule che si trova all’interno della
blastocisti, struttura che si forma all’inizio dello sviluppo embrionale. Tali cellule possono
proliferare in vitro in modo indefinito e possono differenziare in ogni tipo di cellula
somatica. Le ESCs sono quelle che da sempre generano maggiori discussioni e costrizioni
etiche, per cui il loro utilizzo è stato inizialmente piuttosto limitato. Nel corso degli ultimi
anni, però, si è registrata un’espansione del loro utilizzo (11).
- cellule multipotenti, le quali possono autorinnovarsi e dare luogo ai diversi tipi cellulari che
costituiscono un sistema. A questa categoria appartengono le cellule staminali tessutali
(come le NSCs), le quali si possono trovare non solo nell’embrione/feto, ma anche
nell’adulto dove possono differenziare solo nelle cellule del tessuto di cui fanno parte e
hanno la funzione di garantire il turnover ed il riparo dei tessuti danneggiati.
Il contributo delle cellule staminali è essenziale durante lo sviluppo embrionale e durante le prime
fasi di vita dopo la nascita, dove regolano la morfogenesi e lo sviluppo attraverso un preciso
bilancio tra proliferazione e differenziamento. Sebbene il loro numero sia destinato a diminuire
nel tempo, la loro presenza nell’organismo adulto è pur sempre necessaria per il mantenimento
dell’omeostasi e per processi riparativi.
2. Le cellule staminali neurali adulte
2.1 Le nicchie neurogeniche nel cervello adulto
Cinquant’anni fa si riteneva ancora che le NSCs esistessero solo a livello del cervello in via di
sviluppo. Soltanto durante gli anni ’60, grazie allo sviluppo di nuove tecniche e strumenti
scientifici, questo concetto ha iniziato a vacillare. Prima il biologo americano Joseph Altman e poi,
negli anni’80, Goldman e Nottebohn, descrissero neuroni di nuova generazione a livello della zona
ventricolare del cervello di roditori e canarini adulti (12-14). Successivamente diversi studi si
sono susseguiti portando all’ormai accettata teoria che specifiche regioni del SNC adulto (nel
cervello soprattutto) perpetuano eventi neurogenici, seppur limitati, durante tutto l’arco di vita di
un organismo.
Le NSCs originano durante le prime fasi dello sviluppo embrionale. Man mano che la
maturazione del sistema nervoso procede, la quantità di cellule dalle proprietà staminali
diminuisce per lasciare spazio a progenitori (cellule intermedie tra le staminali e le differenziate)
da cui avranno origine tutte le cellule del SNC e del sistema nervoso periferico (SNP) (15, 16). La
neurogenesi nel cervello adulto è ristretta a due aree particolari: la zona sub-ventricolare
(“subventricular zone”, SVZ) dei ventricoli laterali (Figura 1C e D) (13, 14, 17) e la zona subgranulare (“subgranular zone”, SGZ) del giro dentato dell’ippocampo (Figura 1C ed E) (12, 18,
19). Queste due aree vengono generalmente chiamate nicchie germinali (o neurogeniche).
Sebbene queste due regioni abbiano caratteristiche diverse, esse ricreano un microambiente
estremamente organizzato e specializzato che favorisce la concomitante interazione delle NSCs
con vasi sanguigni, con il liquido cerebrospinale (solo nella SVZ), con la loro progenie cellulare e
con cellule neurali differenziate. Tutte insieme queste componenti cellulari forniscono un pool
specifico di proteine, fattori di crescita e segnali elettrici che garantiscono la dinamicità delle
due nicchie neurogeniche e il giusto equilibrio tra proliferazione e differenziamento.
Sebbene la maggior parte dei dati derivino dallo studio su piccoli mammiferi (generalmente
roditori), molte evidenze esistono sulla presenza delle due nicchie neurogeniche anche all’interno
del cervello umano adulto. Tuttavia, le informazioni riguardo la funzione che i neuroni di nuova
generazione assumono una volta integratisi nei circuiti nervosi preesistenti sono ancora
piuttosto vaghe. Nei topi si conosce una via principale di migrazione dei nuovi neuroni (chiamati
neuroblasti) che vengono incanalati verso il bulbo olfattorio (molto sviluppato nei roditori) dove
probabilmente garantiscono un turn-over elevato dei neuroni residenti (20-25). Nell’uomo questa
via preferenziale sembra essere meno importante o comunque parallela ad un'altra via di
migrazione che porta i neuroblasti verso la corteccia cerebrale (26-28). Tuttavia queste due vie
migratorie sembrano spegnersi nei primi mesi di vita. Il ruolo dei neuroni generati invece nella
SGZ rimane più complicato da decifrare, sebbene l’ippocampo si sappia avere un ruolo
importante in funzioni come apprendimento e memoria. Resta comunque da sottolineare il fatto
che di tutti i neuroblasti generati solo una piccola percentuale sopravvive e si integra nei circuiti
nervosi (23).
3. Terapie sperimentali basate sul trapianto di NPCs
Le patologie di carattere infiammatorio che colpiscono il SNC possono essere suddivise in due
classi: primarie e secondarie. Le prime, come SM, ictus cerebrale e lesione del midollo spinale,
sono caratterizzate da un evento infiammatorio acuto seguito da neurodegenerazione. Le
seconde, tra cui epilessia, Alzheimer, Parkinson ed Huntington, sono invece caratterizzate da
neurodegenerazione primaria che porta successivamente ad infiammazione cronica (29). Questi
stati infiammatori (acuti o cronici) sono stati dimostrati avere un importante effetto sulla
capacità neurogenica delle nicchie staminali endogene del cervello. Sebbene questi eventi non
siano stati del tutto chiariti, esperimenti su animali da laboratorio hanno evidenziato effetti diversi
(attivazione vs inibizione), a seconda della patologia e del modello utilizzato, sulla proliferazione
delle NSCs nella SVZ e SGZ (30-33). Gli stessi effetti sono stati poi osservati su analisi postmortem di tessuti umani (34-36). Tuttavia è chiaro che il SNC è in grado di reagire
spontaneamente all’instaurarsi di uno stato infiammatorio/patologico. Le NSCs guidano, infatti,
una risposta riparativa endogena nel tentativo di riparare il danno formatosi e rimpiazzare le
cellule morte. Sfortunatamente questi meccanismi non sono sufficienti a ripristinare una
completa funzionalità del SNC. È proprio a causa di questa incapacità che è nata l’idea dei
trapianti cellulari per rimpiazzare quelle danneggiate dalla patologia.
Negli anni ’90 numerosi studi preclinici (su animali) hanno testato l’efficacia di trapianti focali
(i.e. direttamente nel sito lesionato) di cellule neurali differenziate, tuttavia senza raccogliere dati
molto soddisfacenti, soprattutto nel caso di patologie caratterizzate da danni disseminati
all’interno del SNC (come SM). La messa a punto di tecniche ottimali per l’isolamento di cellule
staminali (Figura 1D, F e G), per la loro coltivazione in vitro (Figura 2A, B e C) e le limitazioni
riscontrate con i trapianti di cellule differenziate, hanno suscitato grande interesse verso
trapianti sperimentali a base di NPCs. Le cellule staminali/progenitrici, infatti, non soltanto
hanno un grande potenziale differenziativo (Figura 2D, E ed F) ma hanno anche maggiore
capacità migratoria rispetto a cellule mature, caratteristica necessaria nella messa a punto di
trattamenti sistemici (infusione nel sistema circolatorio o nel liquido cerebrospinale) per la cura
di patologie multifocali (e non).
3.1 Somministrazione sistemica di NPCs e recupero funzionale
Le prime evidenze sperimentali relative alla capacità delle NPCs di raggiungere un sito di
lesione a seguito di trapianto endovenoso vengono da studi condotti su modelli animali (topi e
ratti) di neuroblastoma (tumore al cervello) (37). Le NPCs trapiantate endovena (generalmente
in una delle vene della coda) sono in grado di raggiungere la massa tumorale allocata all’interno
del cervello. A seguito di queste prime evidenze, nel corso dell’ultimo decennio, sono stati prodotti
numerosi dati che mostrano la praticabilità di trapianti endovenosi (“intra-venous”, i.v.) o
intracerebroventricolari (i.c.v.)/intratecali (i.t.) (ovvero nel liquido cerebrospinale), in modelli di
malattie neurodegenerative (1-4, 38-41).
NPCs murine trapiantate i.v. si sono rivelate efficaci nel ridurre la disabilità clinica di roditori
(topi e ratti) affetti da EAE cronica (2, 38) o remittente (2, 38) (i due modelli sperimentali di SM
più utilizzati). Ugualmente efficaci si sono dimostrate le NPCs di ratto trapiantate i.c.v. o i.t. in ratti
affetti da EAE acuta (39). Inoltre, le cellule si sono mostrate efficaci sia quando trapiantate prima
del manifestarsi clinico della malattia (protocollo preventivo), sia quando trapiantate a seguito
dell’insorgere dei sintomi clinici (protocollo terapeutico) (2, 42, 43). Le stesse cellule si sono
dimostrate terapeuticamente efficaci anche quando amministrate i.v. in topi o ratti soggetti ad
ictus cerebrale (44, 45) o a lesione contusiva del midollo spinale (il modello più simile alla
patologia umana) (4). In tutti i casi, gli animali trattati hanno mostrato un miglior recupero
motorio (rispetto a gruppi di controllo) dopo somministrazione sistemica di NPCs.
Simili risultati incoraggianti si sono osservati anche con il trapianto di NPCs umane. Le cellule
trapiantate i.v. o i.t. all’insorgere della malattia riducono la disabilità di scimmie affette da EAE (6).
Inoltre, NPCs derivate da ESCs hanno mostrato la stessa efficacia nel modello murino di EAE
(46) ed ictus cerebrale (3, 40, 47).
Tutti questi dati su un miglior recupero funzionale di animali trattati sistemicamente con NPCs
(in diversi modelli neurodegenerativi) hanno portato allo studio approfondito dei meccanismi
molecolari che stanno alla base della loro efficacia terapeutica. Questi studi sono estremamente
importanti per capire a fondo e, quindi, poter modulare l’azione delle cellule. Inoltre il trapianto
sistemico di staminali porta con sé la grossa prospettiva di mettere a punto una tecnica
terapeutica molto meno invasiva paragonata alle normali tecniche chirurgiche.
3.2 Meccanismi d’azione delle NPCs
3.2.1 Ingresso nel SNC
Il SNC è protetto da un sistema di barriere altamente selettive che lo protegge da eventuali
agenti esterni (sia endogeni che esogeni): la barriera emato-encefalica (“blood-brain barrier”,
BBB), la barriera tra il sangue e liquido cerebrospinale (“blood-cerebrospinal fluid barrier”,
BCSFB) e la barriera tra il sangue e lo spazio subaracnoideo (“blood-leptomeningeal barrier”,
BLMB) delle meningi, un sistema di membrane che riveste il cervello e il midollo spinale. La
rottura o il malfunzionamento di queste barriere sono coinvolti in molte patologie
neuroinfiammatorie (tra cui SM, ictus cerebrale e lesione del midollo spinale) (48). La BBB, in
particolare, è composta da cellule endoteliali specializzate (“endothelial cells”, ECs) che formano
le pareti dei vasi sanguigni e dalla presenza di giunzioni intercellulari strette che bloccano il
passaggio di qualsiasi sostanza. Questa struttura compatta permette però lo scambio di
nutrienti e molecole di scarto tramite trasporti specifici, mantenendo così l’equilibrio chimico del
SNC e la sua perfetta funzionalità.
Inaspettatamente, NPCs trapiantate sistemicamente si sono dimostrate capaci di superare le
barriere ed infiltrare nel SNC infiammato, dove possono eventualmente indurre recupero
funzionale. Le cellule trapiantate sistemicamente in topi sani non sono in grado di attraversare la
barriera. Quando vengono, invece, trapiantate in topi affetti da EAE (dove le barriere sono
attivate dallo stato infiammatorio) le cellule sono in grado di infiltrare nel SNC (1-3). Le NPCs
possiedono la straordinaria capacità di percepire, grazie a recettori di membrana, gradienti di
molecole infiammatorie (i.e. citochine e chemochine) che vengono rilasciate dal tessuto
infiammato nei liquidi sistemici (sangue e liquido cerebrospinale) (Figura 3A, B e C). In breve
tempo le NPCs raggiungono la sorgente di questi segnali infiammatori e li iniziano una complessa
serie di eventi che le porta a penetrare la barriera in un processo di extravasazione chiamato
diapedesis (Figura 3C). Il primo passo nella sequenza prende il nome di “tethering and rolling”.
Questa fase prevede un primo transiente contatto tra NPCs ed ECs grazie alla specifica
interazione di molecole d’adesione sulla membrana delle ECs (chiamate selectine e integrine) e i
loro rispettivi ligandi (una famiglia di molecole chiamata “very late antigen”, VLA) espressi sulle
membrane delle NPCs (38, 49, 50).
Il secondo passo richiede la stretta interazione (“firm adhesion”) ed il movimento lungo le pareti
del vaso sanguigno (“crawling”). Questo processo è guidato da molecole (chemochine e
chemoattrattori) che vengono rilasciate dall’endotelio infiammato e che richiamano le cellule
trapiantate. L’interazione di queste molecole con i rispettivi recettori sulla superficie delle cellule
aumenta la specifica interazione (detta avidità) con l’endotelio.
L’ultimo passo prevede il passaggio delle cellule nel SNC. Per fare ciò le cellule si muovono
lentamente sulla parete endoteliale alla ricerca della zona giusta per il passaggio. Durante
questa fase la cellula subisce un cambiamento conformazionale consistente (guidato da un
riarrangiamento dei filamenti di actina costituenti il proprio citoscheletro) che la porta a
schiacciarsi tra le cellule endoteliali (diapedesis paracellulare) o attraverso le ECs (diapedesis
transcellulare) e infiltrare nel SNC.
Questo meccanismo (sebbene molti aspetti rimangano ancora da chiarire) ricapitola quello
sfruttato dai linfociti T quando accedono al SNC. Le NPCs adulte, sia animali (topo e ratto) che
umane, condividono, infatti, l’espressione di recettori funzionali (molecole di adesione e recettori
per chemochine) (38, 51-53) simili a quelli espressi da cellule immunitarie (linfociti). Questa è
una caratteristica essenziale per lo sfruttamento del trapianto sistemico di cellule staminali.
3.2.2 Effetto trofico nel SNC (neuroprotezione)
Numerosi studi in vivo hanno mostrato che, una volta superata la BBB, le NPCs si accumulano
nelle aree perivascolari (ovvero attorno ai vasi sanguigni) a livello del tessuto infiammato (29). In
questo contesto, la stretta interazione con ECs, cellule infiammatorie infiltranti,
micoglia/macrofagi attivati e astrociti reattivi, oltre alla secrezione di fattori di staminalità e
fattori neurotrofici (Figura 3D), giocano un ruolo fondamentale nel definire un’architettura
cellulare e molecolare simile alle nicchie neurogeniche endogene. Quest’atipica organizzazione è
stata definita nicchia perivascolare ectopica (38).
Sebbene inizialmente ci si aspettasse che le cellule staminali, una volta trapiantate nel tessuto
d’interesse, fossero in grado di differenziare nei vari tipi cellulari e sostituire così le cellule morte
o danneggiate dalla patologia, la maggior parte degli studi scientifici ha fallito nel dimostrare
questa capacità. Nell’arco di 10-30 giorni dopo la somministrazione i.v., le NPCs migrano e si
concentrano nelle aree di tessuto danneggiato in topi affetti da EAE cronica (2). In modo simile,
cellule trapiantate nel liquido cerebrospinale (i.c.v.) di ratti affetti da EAE acuta entrano nel
cervello e nel midollo spinale e si accumulano a livello della sostanza bianca (costituita dagli
assoni mielinizzati dei neuroni) danneggiata e raramente a livello della sostanza grigia (costituita
dai corpi dei neuroni) intatta (1). Alcune cellule assumono un fenotipo differenziato, ma la
maggior parte rimane indifferenziata. Lo stesso accumulo di NPCs indifferenziate è stato
osservato anche ai margini della zona danneggiata in modelli di ictus cerebrale e lesione del
midollo spinale (4, 44, 45).
Le NPCs trapiantate stabiliscono una complessa rete di comunicazione (con le cellule
formanti la nicchia perivascolare) determinata dal rilascio di fattori, ormoni, citochine e
chemochine, membrane vescicolari e da giunzioni cellulari (Figura 3D, E e F). Analisi specifiche,
condotte sui tessuti lesionati e infiltrati da NPCs, hanno evidenziato un aumento di fattori
neurotrofici (e.g. neurotrofine) protettivi e una diminuzione di fattori associati ad infiammazione e
morte cellulare. L’incremento della biodisponibilità di queste molecole promuove la sopravvivenza
e la funzionalità delle cellule nervose che hanno resistito al danno iniziale e richiama cellule
staminali/progenitrici endogene sul luogo della lesione, favorendo così la riparazione del tessuto
(29). Le NPCs trapiantate sembrano quindi garantire neuroprotezione, una capacità confermata
anche da esperimenti diretti in vitro e dall’utilizzo di cellule geneticamente ingegnerizzate. Nel
primo caso cellule murine e umane sono state mostrate capaci di rilasciare diverse molecole e
fattori neuroprotettivi. Nel secondo, NPCs geneticamente modificate per produrre grandi
quantità di fattori neurotrofici, con lo scopo di incrementare l’effetto protettivo, si sono
dimostrate ancor più efficaci delle cellule non ingegnerizzate quando trapiantate sistemicamente
in modelli di malattie neurodegenerative (54-56).
Sebbene in alcuni studi le cellule trapiantate abbiano dimostrato la capacità di differenziare, le
basse percentuali e la tempistica di differenziamento in vivo non sono in grado da soli di spiegare
il veloce recupero funzionale osservato negli animali trapiantati (40, 47). Tuttavia bisogna tener
presente che la capacità differenziativa delle cellule trapiantate varia a seconda del tipo di cellula
utilizzata (murina vs umana vs immortalizzata), del protocollo di trapianto utilizzato e del modello
di malattia testato.
3.2.3 Immuno-modulazione nel SNC
A livello delle nicchie perivascolari le NPCs trapiantate sono in grado di modulare l’azione di
cellule infiammatorie infiltranti il SNC (cellule rosse in Figura 3E e F). Questa loro capacità viene
esercitata in diverse forme. Numerosi dati prodotti in modelli di EAE hanno evidenziato, ad
esempio, una riduzione delle cellule T infiltranti il SNC e il concomitante aumento di cellule
immunitarie regolatorie (linfociti T regolatori che modulano l’infiammazione) a seguito del
trapianto di NPCs (39). Parallelamente, le NPCs agiscono inducendo l’apoptosi (morte
programmata) di linfociti T encefalitogenici responsabili dell’attacco alla mielina del SNC che
caratterizza la patologia della SM (38).
Questa proprietà di immuno-modulazione risulta terapeuticamente efficace anche in altre
patologie dove i linfociti T non sono particolarmente coinvolti. L’interazione delle NPCs con il
tessuto infiammato determina una riduzione di fattori pro-infiammatori (ovvero che favoriscono
l’infiammazione) e di cellule (microglia e macrofagi/monociti) coinvolte nei processi infiammatori
(44). Ancora una volta, la conferma di questo meccanismo d’azione delle NPCs viene da
esperimenti in vitro e dall’utilizzo di cellule ingegnerizzate. NPCs murine e umane sono state
mostrate capaci di indurre la morte cellulare di linfociti T specifici contro la mielina (38) o di
macrofagi/monociti (57) e di ridurre la loro proliferazione tramite interazione cellulare diretta
(giunzioni) e rilascio di molecule solubili (58) (39, 59). Infine NPCs modificate, ad esempio, per
over-esprimere interleuchina (IL)-10 (una citochina anti-infiammatoria) sono risultate più efficienti
(rispetto a NPCs normali) nell’indurre recupero funzionale e riparazione tissutale in topi affetti da
EAE (60).
3.2.4 Immuno-modulazione in organi periferici
È importante sapere che di tutte le cellule trapiantate sistemicamente (in media 1-2 milioni di
cellule trapiantate i.v., 500 mila trapiantate i.c.v o i.t.) soltanto una piccola percentuale di esse (15%) raggiunge il SNC e sopravvive per lungo tempo (2, 4, 44). La maggior parte si accumula,
infatti, all’interno di organi periferici, principalmente polmoni, linfonodi e milza. In alcuni di questi
organi (i.e. i polmoni) le cellule generalmente persistono per meno tempo poiché non trovano le
condizioni ideali per la loro sopravvivenza. In altri, invece, le cellule si adattano e si accumulano a
livello di aree perivascolari ricreando un microambiente (simile a quanto accade nel SNC)
favorevole per la loro sopravvivenza. Il trapianto locale di cellule, al contrario, evita l’accumulo a
livello di organi secondari, garantendo una quantità molto più elevata di cellule nel tessuto di
interesse. Tuttavia, questo accumulo indesiderato in organi periferici si è dimostrato utile da un
punto di vista terapeutico. Inaspettatamente, infatti, le NPCs hanno evidenziato un’attività
immuno-modulante anche a livello di organi linfoidi secondari, come linfonodi drenanti e milza
(centri funzionali del sistema immunitario). Questi organi svolgono un ruolo importante in alcune
patologie (e.g. SM e ictus cerebrale) regolando lo stato infiammatorio del SNC.
Inizialmente è stato osservato che NPCs murine trapiantate i.v. in topi affetti da EAE, sono
terapeuticamente efficaci anche quando non infiltrano nel SNC. I topi trattati con le cellule
migliorano dal punto di vista clinico sebbene le NPCs trapiantate non siano mai ritrovate nel
tessuto nervoso (43). Successive evidenze derivano dallo studio di un particolare protocollo di
immunizzazione di topi affetti da EAE con NPCs trapiantate sottocute. Questa via di
somministrazione porta all’accumulo delle cellule a livello di linfonodi drenanti dove, addensandosi
in nicchie perivascolari simili a quelle osservate nel SNC, sopravvivono anche per lunghi periodi
(fino a due mesi dopo il trapianto) (6). A livello di queste nicchie le NPCs interagiscono e
comunicano con varie cellule immunitarie, come cellule dendritiche (responsabili dell’attivazione
dei linfociti), cellule fagocitarie e linfociti (43, 58).
Similmente, si è osservato che NPCs umane trapiantate per via sistemica in scimmie affette
da EAE si accumulano a livello del SNC e di organi linfoidi secondari (fino a 3 mesi dopo il
trapianto) determinando un miglioramento funzionale delle scimmie trattate. Analisi in vitro
hanno poi rivelato la capacità delle cellule umane di interferire col processo di maturazione delle
cellule dendritiche e di conseguenza di ridurre l’attivazione linfocitaria responsabile dello stato
infiammatorio in EAE (58).
La stessa capacità immuno-modulatoria periferica è stata osservata in modelli di ictus
cerebrale. NPCs umane trapiantate i.v. sono in grado di attenuare le conseguenze della patologia
anche quando poche cellule infiltrano nel SNC (61). Un grosso numero di cellule è stato
osservato accumularsi nella milza, in particolare nella zona marginale ricca di vasi sanguigni e
macrofagi. Qui, le NPCs modulano la risposta infiammatoria che la milza genera a seguito
dell’ictus, risultando così in un miglioramento funzionale dei ratti trattati con le cellule.
4. Conclusioni
Oggi è ormai evidente che l’azione terapeutica delle NPCs (ma anche di altre cellule staminali)
è molto più complessa ed articolata rispetto all’inizialmente auspicata sostituzione delle cellule
morte a seguito di un danno al SNC. Le NPCs trapiantate sistemicamente sono, infatti, in grado
di stabilire una complessa rete di intercomunicazione con cellule residenti nel SNC o infiltranti a
seguito di una patologia, alterando le conseguenze del danno tissutale. Questa comunicazione
incrociata, determinata dal rilascio di fattori e dalla formazione di giunzioni cellulari, porta ad un
effetto neuroprotettivo del tessuto, riducendo morte cellulare, aumentando la sopravvivenza delle
cellule nervose e richiamando cellule staminali/progenitrici sul luogo del danno. In parallelo le
NPCs agiscono modulando la risposta infiammatoria che caratterizza numerose patologie del
SNC (e.g.SM, ictus cerebrale e lesione del midollo spinale). Questo effetto immuno-modulatorio si
manifesta tramite induzione di apoptosi dei linfociti T attivati, diminuzione della loro proliferazione,
riduzione dell’attivazione di microglia e monociti/macrofagi, modulando così l’infiammazione e
rendendo il microambiente più permissivo alla rigenerazione. In aggiunta, le NPCs agiscono
anche a livello di organi periferici, dove modulano la maturazione e attivazione di linfociti, cellule
dendritiche e macrofagi.
Questa vasta serie di meccanismi d’azione delle cellule staminali prende il nome di plasticità
terapeutica, all’interno della quale la sostituzione delle cellule danneggiate è solo una delle
molteplici funzionalità delle NPCs (29, 62). Resta comunque da chiarire quale sia il meccanismo
predominante e quale azione (centrale o periferica) sia la più importante da perseguire nelle
terapie con NPCs. Altri aspetti, come i) la via di somministrazione ideale (sistemica o focale), ii) la
fonte cellulare ideale (pluripotente o multipotente) e iii) la tempistica ideale per il trattamento
(acuto o cronico), sono ancora più complessi e difficili da stabilire. Tuttavia alcune terapie
sperimentali con cellule staminali sono già arrivate ai pazienti (all’interno di test clinici controllati
e su un basso numero di pazienti) sebbene al momento solo per testare la sicurezza del
trapianto e non la sua efficacia. Tutti gli studi scientifici sperimentali, infatti, sono condotti su
modelli animali che, nonostante la vicinanza con le patologie umane, restano comunque delle
approssimazioni sperimentali. Per questo motivo i test clinici sui pazienti sono fondamentali e
rappresentano il mezzo ultimo per arrivare un giorno a terapie cellulari davvero efficaci.
Figure
Figura 1. Nicchie endogene di NSCs nel cervello adulto. Il cervello adulto dei mammiferi
contiene due aree (SVZ e SGZ) caratterizzate da eventi neurogenici durante tutto l’arco di vita di
un organismo. Le NSCs più studiate sono quelle murine che risiedono nel cervello di topi adulti
(A). Una volta isolato, il cervello (B) viene sezionato per localizzare le due aree neurogeniche. (C)
Sezione sagittale del cervello adulto di topo. Le due linee tratteggiate indicano il livello delle due
sezioni coronali per isolare la SVZ dei ventricoli laterali (D) e la SGZ del giro dentato
dell’ippocampo (E). I due riquadri neri indicano l’area da cui le NSCs vengono generalmente
isolate. (F) Tramite un processo che prevede dissociazione meccanica ed enzimatica del tessuto
di interesse le cellule vengono isolate. Il trattamento del tessuto porta all’isolamento di un pool
eterogeneo di cellule. (G) Le cellule isolate vengono quindi coltivate in vitro in un terreno che
permette la sopravvivenza e la selezione delle sole cellule staminali/progenitrici indifferenziate
(NPCs). Le cellule vengono mantenute in condizioni fisiche controllate (37°C e 5% CO ) in appositi
incubatori. Le NPCs possono teoricamente essere mantenute in vitro per un tempo indefinito.
2
Figura 2. Neurosfere e cellule differenziate dalle NPCs. Le NPCs coltivate in vitro crescono
sotto forma di sfere, dette neurosfere. Osservate al microscopio ottico (A) le neurosfere
appaiono come agglomerati sferici di cellule di dimensioni omogenee. Le neurosfere crescono
progressivamente di dimensione e devono essere dissociate periodicamente (circa ogni 4-5
giorni di crescita in vitro) a singola cellula. Grazie allo sviluppo di anticorpi specifici per vari
marcatori (accoppiati a sonde fluorescenti) è possibile marcare e caratterizzare le cellule. Al
microscopio a fluorescenza (B e C) si possono così osservare le diverse tipologie di cellule che
compongono le neurosfere. (B) In rosso le cellule esprimenti Nestin, un tipico marcatore di
cellule indifferenziate. In blu invece sono marcati con DAPI (4',6-diamidino-2-phenylindole) tutti i
nuclei cellulari. (C) In rosso le cellule esprimenti Vimentin (marcatore simile a Nestin), in verde le
cellule in attiva proliferazione marcate con PH3 (phosphohistone H3), in rosa le cellule
esprimenti GFAP (“glial fibrillary acidic protein”) che indica le cellule staminali vere e proprie e in
blu i nuclei cellulari.
(D, E e F) Cambiando le condizioni di coltura delle cellule, le NPCs possono essere spinte a
differenziare nei tre tipi di cellule (astrociti, neuroni, oligodendrociti) che caratterizzano il loro
tessuto di appartenenza, il SNC. (D) In verde le cellule differenziate esprimenti GFAP, che in
questo caso marca gli astrociti, le cellule di supporto del SNC. (E) In verde sono marcati con
MAP2 (“microtubule associated protein”) i neuroni, le cellule responsabili della trasmissione degli
impulsi elettrici nel SNC. (F) In rosso sono marcati con O4 gli oligodendrociti, le cellule formanti il
rivestimento mielinico dei neuroni. In tutte e tre le immagini il blu (DAPI) identifica i nuclei delle
cellule.
Figura 3. Trapianto intra-venoso (i.v.) di NPCs. (A) Numerosi studi condotti su modelli
sperimentali di malattie neurodegerative hanno evidenziato l’efficacia terapeutica di NPCs adulte
trapiantate i.v. (generalmente in una delle vene della coda di animali da laboratorio) in animali
affetti da varie patologie infiammatorie del SNC (EAE, ictus cerebrale e lesione del midollo
spinale). (B) Una volta iniettate nel sistema circolatorio, le NPCs (in verde) diffondono in tutto
l’organismo raggiungendo il cervello. (C) Le NPCs grazie a una serie di recettori presenti sulla
loro membrana cellulare sono in grado di percepire molecole infiammatorie (citochine e
chemochine, in giallo) che vengono rilasciate nel sito di infiammazione e nel sistema circolatorio.
Grazie a questi recettori le cellule arrivano velocemente alla sorgente del segnale. Qui avvengono
una serie di reazioni che portano al fermo ancoraggio delle NPCs sulla membrana endoteliale dei
capillari tessutali. Una complessa serie di eventi consente poi alle NPCs di farsi spazio attraverso
le cellule endoteliali (ECs, in rosso) costituenti la barriera ematoencefalica. L’intero processo di
extravasazione delle cellule è chiamato diapedesis. (D) Una volta infiltrate nel SNC, le NPCs sono
in grado di migrare e raggiungere i siti di infiammazione. Qui le NPCs trapiantate secernono una
serie di fattori che includono fattori di staminalità (in verde scuro), fattori neurotrofici (in rosa) e
molecole infiammatorie (citochine e chemochine, in giallo). I primi consentono lo scambio di
segnali tra le cellule staminali per mantenerne la vitalità. Questi fattori portano le cellule ad
accumularsi e a formare delle atipiche nicchie a livello dei vasi sanguigni (nicchie perivascolari),
che ricordano le nicchie germinali endogene da cui vengono isolate. I fattori neurotrofici sono
invece coinvolti in processi di protezione (neuroprotezione) delle cellule danneggiate. Citochine e
chemochine sono invece coinvolte nella modulazione dell’attività di cellule immunitarie oltre che al
richiamo di altre cellule staminali, sia trapiantate che endogene. A livello delle nicchie
perivascolari le NPCs instaurano una vasta gamma di interazioni cellulari con cellule residenti ed
infiltranti (e.g. microglia e macrofagi). Queste interazioni avvengono tramite il rilascio di molecole,
di membrane vescicolari e alla formazione di giunzioni cellulari (e.g. gap junctions, quadratino
rosa). Questo dialogo incrociato permette alle NPCs di modulare l’azione di microglia attivata e
macrofagi (in rosso) e altre cellule immunitarie (linfociti, in ocra) (immuno modulazione). (E e F) Le
due immagini a fluorescenza mostrano l’interazione di NPCs (in verde), trapiantate i.v., con cellule
immunitarie (in rosso) a livello di nicchie perivascolari stabilite nel cervello infiammato. In
particolare, la prima (E) mostra una sezione di tessuto di un topo adulto affetto da EAE, la
seconda (F) di un topo adulto affetto da ictus cerebrale.
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