Bio-anatomia delle vie ottiche

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PARTE CLINICA
Bio-anatomia delle vie ottiche
Giuseppe Carella · Luigi Cavanna · Egidio Carella · Angelica Cerulli · Giovanni Peretto
Introduzione
“We are highly visual creatures”
Charles Darwin
“La morfologia
è l’immagine plastica della funzione”
Angelo Ruffini
Per comprendere compiutamente le sofisticate
finalità strutturali della grande via sensitiva attorno alla quale si è costruita nei millenni la civiltà
dell’uomo, bisogna cercare di capirne la progettazione. È necessario allora risalire all’origine della
luce e degli esseri elementari che da essa traggono letteralmente la vita. L’architettura delle vie
ottiche segnano, passo per passo, l’evoluzione
degli organismi viventi sul pianeta, ampliandosi,
modificandosi, adattandosi sulla spinta di una prospettiva teleologica condizionata da circostanze
peristatiche e dall’enorme implementazione delle
informazioni sensoriali.
Prospettiva sempre in bilico, parafrasando Jaques
Monod, tra il caso e la necessità.
Vedere è molto di più che percepire gli stimoli
luminosi, le stupefacenti strutture della via ottica
ne sono la esplicita attestazione materializzata. Si
rendono perciò indispensabili i riferimenti retrospettivi o paralleli alla filogenesi, ontogenesi,
organogenesi, anatomia comparata; discipline
tutte che troppo spesso sfiorano appena i giovani
nei banchi dell’Università, lasciando un sottile
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PARTE CLINICA
senso di nostalgia per le scienze biologiche pure
in chi, ha poi intrapreso un più pragmatico e
meno soffice indirizzo clinico.
Non ci sembrano perciò mal spesi tali riferimenti propedeutici, specie se appena abbozzati.
Come non ci sembra uno sterile ed irrichiesto
esercizio il seguire, per grandi cenni, l’evoluzione del pensiero scientifico sul tema, percorso
peraltro illuminato dai nomi più prestigiosi della
storia della conoscenza.
Pensiamo, anzi, che i quadri di bio-anatomia che
oggi l’imaging consente e che consegneremo alla
vostra attenzione, possano guadagnare in vivezza interpretativa ed acquistare un retrogusto
culturale, che ci auguriamo gradevole.
Solo con la comparsa della luce sulla terra, la
biologia potrà scrivere la prima pagina della vita.
Il “fiat lux” quindi, fu il fiat vita della Creazione.
Tutto ciò incominciò ad accadere nell’era
Archezoica, quando ogni essere vivente iniziò ad
imparare ad interagire con la luce dalla quale era
nato. Dapprima organizzando siti foto-sensoriali
(figura 1) che servivano da recettori di impulsi
per risposte elementari e stereotipate, e poi
strutturando sistemi e percorsi sempre più complessi atti non solo a registrare, ma ad articolare, elaborare ed integrare l’energia luminosa: le
vie ottiche.
In alcuni protisti unicellulari, il corpo della cellula è differenziata in due poli opposti: uno distale, dove si organizzano specializzazioni cuticola-
ri adatte alla ricezione dello stimolo l’altro prossimale che si prolunga in un filamento protoplasmatico che si può considerare la più semplice
espressione di fibra nervosa. Questa può collegarsi con una seconda cellula, configurando così
un sistema dove il primo corpo cellulare assume
il ruolo di ricettore ed il secondo la funzione di
effettore dello stimolo, a lui trasferito dalla fibra
di interconnessione. Se poi un terzo elemento
cellulare si inserisce tra i precedenti, assumendo il ruolo di trasformare lo stimolo ricevuto
dalla prima cellula, prima di trasmetterlo alla
seconda, si può in esso riconoscere il primo rudimento di sistema nervoso che consente la realizzazione di un arco riflesso completo. Già nei
celenterati più infimi, quali le idromeduse o
nelle amebe, si individua il disegno di vie ottiche
rudimentali. Le cellule di senso sono situate in
superficie nell’epitelio;le ganglionari, allogate al
di sotto di questo, collegano le prime con gli
organi reagenti centrali. Salendo la scala zoologica, si assiste vieppiù alla cefalizzazione del cervello ed alla periferizzazione degli organi visivi di
senso ad esso connessi. Questo grazie alla segmentazione metamerica del corpo.
Le reazioni che la luce determina in tutti gli
organismi viventi, dai più elementari ai più complessi, costituiscono una delle più entusiasmanti osservazioni scientifiche di ogni tempo.
La sua influenza sul movimento è un fenomeno
tra i più appariscenti e conosciuti: il fototropismo
FOTONE
La eccitabilità di una cellula determina in essa una serie di risposte, attraverso un
macchinario molecolare che le è proprio. Il risultato sarà la generazione di un impulso
bio-elettrico cioè un segnale stereotipato, a velocità finita, estremamente propagabile
Figura 1
Luce su biostrutture primo arco riflesso
Bio-anatomia delle vie ottiche
(φοτοζ = luce τρεποζ = direzione) degli organismi sessili, specie vegetali, che si voltano verso il
sole; la fototaxis (ταξιζ = movimento traslatorio)
di certi organuli che corrono verso la luce; la
fotokinesi = φοτοκινεσιζ = movimento acceleratorio) di altri, che sollecitano il loro abituale comportamento motorio in presenza e direzione di
una fonte luminosa di alcuni insetti e molluschi,
che si orientano verso la luce con un angolo di
incidenza costante (angolo α), configurando spirali sorprendentemente logaritmiche. È di comune osservazione che altri insetti si gettano irresistibilmente verso sorgenti luminose incandescenti suicidandosi. Il prodigioso senso di orientamento degli uccelli (navigational sense) nelle
loro trasmigrazioni, a volte intercontinentali, è
dovuto al fatto che il loro sistema visivo usa le
sorgenti di luce naturali (sole, stelle di prima
grandezza) come un compasso geografico che
consegna loro infallibili coordinate di direzione.
Jacques Loeb (1859-1924), il Linneo del regno
animale, sostiene addirittura che tutti gli esseri
viventi sono sostanzialmente macchine chimicomeccaniche azionate dalla energia della luce.
Il biologo di Wurzburg, da buon tedesco, afferma
che il movimento di un animale è coordinato
Figura 2
Foraminifero Copilia quadrata: via ottica primitiva
dalla differenza quantitativa di stimolo luminoso
tra i due occhi, per cui si attiverebbero solo gli
apparati locomotori di un emi-soma, determinando così lo spostamento automatico verso una
direzione obbligata. Un’altra grande influenza
che la luce esercita su ogni cosa che abbia vita è
il fotoperiodismo, cioè un ritmo biologico a cui
ogni essere vivente, uomo incluso, deve sottostare, modulando il suo comportamento durante
le stagioni e, sopratutto, nell’arco del giorno, con
un eterno bilanciamento tra il dì e la notte. Alle
origini della vita i bioritmi venivano regolati non
dalla luce, ma dalla temperatura del pianeta. Alla
fuoriuscita dallo stagnante mare caldo del
Paleozoico, per guadagnare la terra, gli organismi viventi hanno subito per milioni di anni il
dramma esistenziale delle radicali variazioni termiche, tra il giorno torrido (in cui tutte le attività metaboliche erano esaltate) e la gelida notte
(durante la quale i processi energetici venivano
drasticamente ridotti). Solo alcune specie di
anfibi, rettili ed uccelli sono riuscite a sviluppare la condizione di omeotermia, mentre gli animali pecilotermi (ad esempio i grandi sauri) si
sono estinti. Con il raffreddamento del pianeta e
la conseguente variazione della sua atmosfera, il
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PARTE CLINICA
ritmo biologico venne orchestrato non più dalle
alternanze termiche, ma della luminosità.
Le vie visive quindi diventarono il tramite fondamentale per la sopravvivenza e non stupisce quindi che queste si siano evolute, adattate e sempre
più specializzate nei millenni (figura 2). È noto
che nei mammiferi superiori, la crasi ematica
(emoglobina, ematocrito, proteine plasmatiche)
subisce variazioni significative nel corso del nictemero, come pure la temperatura corporea.
Nell’uomo si rileva eosinopenia nelle prime ore del
mattino, mentre negli animali notturni invertebrati si ha eosinofilia. Le mitosi cellulari sono particolarmente esaltate nel periodo di riposo (curiosamente le cellule neoplastiche non obbediscono a
questa legge). L’oftalmologo d’altra parte sa che
l’oftalmotono subisce variazioni nell’arco nictemerale. Gli intimi meccanismi che regolano questi
bioritmi scanditi dalle condizioni di luce non sono,
a tutt’oggi, soddisfacentemente acclarati. Si suppone che, verosimilmente, l’asse diencefalo-ipofisario moduli le condizioni neuro-ormonali dell’animale, sull’informazione degli stimoli luminosi che
pervengono ai suoi centri superiori attraverso le
vie ottiche. Per quanto riguarda gli animali inferiori, è noto sin da Aristotele (384-322 a.C.) che i loro
cicli riproduttivi sono strettamente correlati alle
condizioni di luce che ne stimolano le gonadi.
Le grandi migrazioni stagionali degli uccelli, non
hanno sostanzialmente altro scopo che quello di
portare le coppie in luoghi dove la luce è tale e
tanta da poter essere convenientemente veicolata attraverso le vie ottiche ai centri neuro¬endocrini, la cui attività garantisce la conservazione
della specie. Da ultimo va segnalata l’influenza
delle radiazioni luminose sulla distribuzione dei
pigmenti ai vari livelli, da quello cutaneo a quello retinico. La dispersione pigmentaria nella fase
diurna e la concentrazione in quella notturna,
obbedisce alle leggi di un bioritmo finalistico che
intende affievolire e proteggere le funzioni
durante il periodo di riposo.
Profilo storico generale
La storia delle vie ottiche corre ovviamente nell’alveo di conoscenza delle scienze mediche ed
in particolare della neuro-anatomia e della oftal-
Figura 3
Occhio di Horus. Dio egizio simbolizzato, il cui occhio ferito dal
fratello Seth fu guarito da Toth, medico di Corte,
verosimilmente considerato il primo oculista della storia
Figura 4
Periodo egizio. Non essendo considerato il cervello sede di
importanti funzioni, tutte baricentrate a livello cardiaco,
verosimilmente al fine di evitare un gesto altamente
profanatorio e non scomporre la fisionomia conseguente ad
una grossolana craniotomia, attraverso le cavità nasali si
raggiungeva la massa encefalica, che veniva scomposta e
“poltigliata” per poter essere poi aspirata dalla via d’ingresso
Bio-anatomia delle vie ottiche
Figura 5
Papiro di Ebers, 1550 a.C. Prende il nome dal suo acquirente,
l’inglese John Ebers, che lo comprò a Tebe nel 1873. Lungo 20
metri e largo 20 centimetri e suddiviso in 108 pagine, è databile
alla XVII dinastia egizia nel regno di Amenhotep. Si rilevano
osservazioni prevalentemente bulbari con accenno ad un
“peduncolo posteriore”. Conservato al Museo dell’Università
di Lipsia
mologia, ma con percorsi cronologici abbastanza
differenziati.
Le origini della scienza oftalmologica sono avvolte nella leggenda e ci rimandano all’antico Egitto
di 5000 anni fa.
La tradizione indica il medico egizio Thot come
il primo oculista della storia: fu lui, infatti,
come vuole la leggenda, a guarire l’occhio di
Horus (figura 3), il dio sparviero ferito dal fratello Seth.
L’Oftalmologia, al pari di altre branche della
Hammurabi (1792-1750 a.C.).
Il nome del re babilonese
deriva dall’amorreo Amnu
che significa “guarire”
Medicina, nasce e si sviluppa in Egitto, come
testimoniano dipinti, bassorilievi, oggetti scoperti nelle tombe dei faraoni (figura 4), ma soprattutto, i papiri più famosi. Quello di Ebers (1500
a.C.) (figura 5) è il più ricco di notizie oftalmologiche: gli oculisti egiziani, come Pepi Ankh Ri,
Medu Nefere, Khuy, erano noti in tutto il mondo
allora conosciuto.
Nella stessa epoca, l’oftalmologia si sviluppava
nel medio oriente, in Mesopotamia, come ricordato in alcuni paragrafi della stele del codice di
Hammurabi (1792-1730 a.C.) (figura 6).
Dall’Egitto e dalla Mesopotamia, attraverso la
Scuola alessandrina, le conoscenze di oftalmologia vengono trasferite in Grecia e successivamente ai romani, alla Gallia e, grazie ai medici
arabi, giungeranno all’occidente in epoca
medioevale.
Le prime notizie fondate sulla concezione anatomica delle vie ottiche risalgono alla civiltà ellenica ed in particolare ai pensatori ionici del VI
secolo avanti Cristo.
Il primo riferimento storico si riscontra negli
scritti di Alcmeone, medico di Crotone vicino
alla Scuola pitagorica, vissuto nel 500 a.C.. Egli,
per primo, affermò l’esistenza di una connessione tra nervo ottico e cervello, e formulò la teoria, allora rivoluzionaria, secondo cui era il cervello (e non il cuore) l’organo centrale delle
Stele
Testo
Figura 6
Codice di Hammurabi. È il primo codice organico di 300 leggi che riguardano diversi ambiti della vita sociale. Tra queste vengono
illustrate le più conosciute malattie oculari ed i relativi provvedimenti terapeutici
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PARTE CLINICA
V secolo a.C.
Due tonache, nervo ottico
centrale tubulare, un solo
umore
IV secolo a.C.
Tre tonache, nervo ottico
eccentrico, tronchi vascol.
polari, un solo umore
III secolo a.C.
Due camere: vuota anteriore e
vitrea posteriore.
Cristallino centrale nel vitreo
II secolo a.C.
Tre camere: anteriore, post.
vitrea. Cristallino anteriorizzato,
congiuntiva, musc. estrinseci
Figura 7
Periodo ellenico
facoltà sensitive e motorie. Il nervo ottico
descritto da Alcmeone consisteva in un tubo
cavo in cui lo “pneuma” (figura 7 a, b, c, d) circolante nell’occhio, considerato come il principio della visione, fluiva dal cervello.
Una descrizione grossolanamente più dettagliata
dell’organo della visione ci è trasferita dalla
Scuola atomistica, che aveva in Leucippo di
Mileto (440 a.C.) ed in Democrito di Abdera
(460-370 a.C.) i suoi maggiori esponenti. A
Democrito è attribuita la prima descrizione del
bulbo oculare, da lui concepito come una struttura relativamente semplice, costituita da due
strati: uno esterno, la sclero-cornea, ed uno
interno, la corio-retina; in essi fluiva un umore
omogeneo convogliato da un condotto, il nervo
ottico, in accordo con la teoria di Alcmeone. Non
vi è, a quell’epoca, una neppure approssimativa
concezione delle vie ottiche poste distalmente al
nervo ottico.
Nel 460 a.C, nasce a Kos Ippocrate, e con lui la
vera scienza medica, in quanto veniva sostituito
alla superstizione ed alle leggende un metodo
descrittivo-empirico, volto alla ricerca delle
cause naturali delle malattie.
Se Ippocrate è universalmente considerato il
padre della Medicina, Aristotele (384-322 a.C.) è
considerato il fondatore della Storia Naturale e
della Anatomia Comparata. Il grande filosofo di
Stagira, basandosi su studi anatomici (dissezioni
di occhi animali), fornì la più completa descrizione, per l’epoca, della anatomia macroscopica
oculare. L’occhio era descritto come una sfera
costituita da tre strati intimamente giustapposti
l’uno sull’altro, e riempita da un fluido omogeneo, connesso con il cervello da tre tubi cavi,
uno dei quali in collegamento con l’occhio controlaterale. In questa descrizione si possono probabilmente riconoscere nuove strutture anatomiche quali il nervo trigemino, i vasi oculari, il
chiasma ottico.
In epoca romana, sia Rufo di Efeso che Cornelio
Celso (25 a.C.-50 d.C.), diedero nei loro scritti
una descrizione più sistematica del sistema nervoso centrale e delle connessioni oculo-cerebrali attraverso il nervo ottico. Tali descrizioni non
aggiungono però nulla di nuovo rispetto alle concezioni greche, sembrando essere una mera
rielaborazione di testi già conosciuti.
In epoca imperiale, Claudio Galeno di Pergamo
(131-201 d.C.) (figura 8), considerato, con
Ippocrate, il più grande medico dell’antichità,
descrisse il nervo ottico come una struttura cava
ed anch’egli sostenne che proprio nel nervo ottico scorrevano gli “umori” in eccesso, causa delle
malattie oculari. Se questa concezione anatomica ricalca le teorie tradizionali, a Galeno si deve
una teoria della fisiologia della visione del tutto
nuova e, sebbene molto lontana dalla realtà,
destinata a rimanere pressoché inalterata per
Bio-anatomia delle vie ottiche
Figura 8
Claudio Galeno
Figura 9
Periodo arabo. Rhazes (865-925 d.C.)
molti secoli. Egli riteneva che la retina fosse
un’espansione del nervo ottico deputata a nutrire il corpo vitreo, il quale a sua volta era il sostegno trofico del cristallino; proprio il cristallino
era considerato come l’organo essenziale della
visione (divinum oculi): in esso si formavano le
sensazioni visive, e da esso venivano inviate
verso gli oggetti da cui ritornavano al cristallino,
per essere condotte lungo il nervo ottico al ventricolo laterale omolaterale, ritenuto la sede dell’anima. I nervi ottici non subivano una decussazione a livello di un chiasma, ma erano semplicemente accostati e collegati in modo che lo “spirito visivo” di emanazione cerebrale, potesse distribuirsi ai due occhi così da ottenere una visione binoculare singola; se un occhio era danneggiato o perso, la capacità visiva dell’altro veniva
aumentata.
Solamente nell’undicesimo secolo, Ibn Rushd
(Averroè) (1126-1198) (figura 9), dotto arabo
iberico, filosofo e medico, sostenne che fosse la
retina, dotata di fotorecettori, e non il cristallino, la sede di origine delle sensazioni visive, convogliate al cervello dal nervo ottico cavo. Anche
Averroè che, per dirla con l’Alighieri, “il gran
commento feo”, tuttavia, non postulò l’esistenza
di altre strutture anatomiche relative alle vie
ottiche. Durante il Rinascimento, Leonardo da
Vinci (1452-1519) (figura 10), avvalorando in
gran parte le teorie di Galeno, descrisse la struttura cava del nervo ottico in collegamento non
con il ventricolo laterale, ma con il centrale dei
tre ventricoli, sede (secondo la cultura medioevale) delle tre principali facoltà mentali (“cellula phantastica” per la percezione, “cellula logistica” per la ragione, “cellula memorialis” per la
memoria). Leonardo introdusse una concezione
fisiologica del meccanismo della visione di grande progresso. Abbandonando il concetto del cristallino organo principale della visione, egli concepì e disegnò la luce provenire dall’esterno,
passare attraverso la pupilla, compiere una dop-
Figura 10
Leonardo, 1490. Nervo ottico tubulare, emergente al polo posteriore. Vescicole cerebrali: sensazione, percezione, elaborazione
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PARTE CLINICA
pia refrazione nella parte mediana del bulbo a
livello del cristallino, e cadere direttamente sulla
parte posteriore del globo oculare in corrispondenza dell’emergenza del nervo ottico.
Leonardo, dunque, spostò l’attenzione sulla retina ed suoi fotorecettori, ritenendo per primo,
nella cultura occidentale, che questa struttura
fosse la sorgente della visione. Nello stesso
periodo, Gregor Reisch (figura 11) consegnò la
sua memorabile concezione delle 3 “facultates”
memo-percettive. Fu il medico ed anatomista
belga Andrea Vesalio (1514-1565), grazie ad
accurate dissezioni, a dubitare dell’esistenza di
una cavità all’interno dei nervi ottici; Vesalio
descrisse nervo ottico e chiasma; struttura anatomica, quest’ultima, forse dotata di una cavità
interna e dove, comunque, le vie ottiche non si
incrociavano, ma erano apparentemente collegate. Bartolomeo Eustachi (1500-1574), contemporaneo di Vesalio, non mise in discussione la
cavità dei nervi ottici; tuttavia a suo merito va
ascritta l’ipotesi che l’origine di tali nervi fosse la
porzione posteriore del talamo e non le pareti
dei ventricoli cerebrali.
Nel secolo successivo, Cartesio (1596-1650)
(figura 12) finalmente smentì l’inveterata concezione del nervo ottico come struttura tubula-
Figura 12
René Décartes, 1664. Les voies visuelles.
Figura 11
Gregor Reisch (margarita philosophica, 1503)
Le tre cavità cerebrali, senso percettive
re cava. Nel suo “Discorso sul Metodo” (1637),
riprese la teoria dell’’origine delle vie ottiche dai
ventricoli laterali e descrisse le fibre del nervo
ottico decorrere parallele senza decussarsi al
chiasma, per terminare in punti omologhi della
retina. Le retine, stimolate dalla luce, liberavano
“spiriti visivi” che seguivano le vie ottiche fino ai
ventricoli e da qui venivano trasmessi alla ghiandola pineale, ritenuta la sede dell’anima. A livello epifisario, le impressioni visive monoculari si
miscelavano per formare una singola immagine
Bio-anatomia delle vie ottiche
visiva binoculare, depositata poi nel cervello
come substrato mnemonico. Sempre nel ’500,
Vesalio e Varolio descrivono la faccia inferiore
dell’encefalo dove si rilevano chiari decorsi delle
vie ottiche.
Thomas Willis (1621-1675), scopritore del circolo anastomotico arterioso cerebrale che porta il
suo nome, ebbe il merito di fornire una più dettagliata descrizione delle vie ottiche chiasmatiche e retro-chiasmatiche allora conosciute. Egli
sottolineò l’origine anatomica dei nervi ottici
(ormai considerati come solidi fasci di fibre) dal
talamo ottico, dove si riteneva terminassero le
vie ottiche. William Briggs (1650-1704) (figura
13), professore a Cambridge ed al St. Thomas
Hospital di Londra, ripropose lo schema anatomico disegnato da Willis e per primo descrisse la
convergenza retinica delle fibre ottiche sulla
papilla.
Gli anatomisti Zumbo, Pinson, Celenzuolo ed
ancora lo stesso Briggs evidenziarono il fatto che
le fibre ottiche, indecussate al chiasma, sembravano avere origine da due protuberanze del talamo ottico (i corpi genicolati). Questa regione
anatomica venne considerata come la sede della
sensazione visiva, originata dalle vibrazioni retiniche indotte dalla luce, e trasmesse dalle fibre
ottiche che vibrerebbero in sintonia.
La ricerca anatomo-funzionale sulle vie ottiche
subì una fase di stasi che durò oltre un secolo.
Figura 13
William Briggs, 1650
Solo Raymond Vieussens (1641-1716) ipotizzò
l’esistenza di una via ottica retro-talamica. È
merito di Jean Pierre Marie Flourens (17941867) l’aver fornito la dimostrazione che l’ablazione selettiva di alcune parti della corteccia
cerebrale influiva sulla funzione visiva e che,
pertanto, il talamo non era la sola sede della percezione visiva; le vie ottiche non potevano finire
nel talamo, ma dovevano continuare fino alla
corteccia cerebrale. Parallelamente presero luce
i risultati delle ricerche di Gautier d’Agoty
(1775) e Tarin (1750).
Diversi studiosi antecedenti a Flourens, come
Gennari (1782), Vicq d’Azyr (1786-89) e Reil
(1809-12) avevano individuato numerose strutture anatomiche all’interno dell’encefalo, descrivendo sempre più dettagliatamente i sistemi di
fibre cerebrali grossolanamente osservati dal
Willis: per primo Reil individuò il sistema genicolo-calcarino, senza però dame una interpretazione funzionale. Fu Pierre Gratiolet (1833-1892)
(figura 14), professore di anatomia alla
Sorbona, a delimitare ancor più dettagliatamente la connessione anatomica genicolo-corticale,
descrivendo le radiazioni omonime sopratutto
nella parte posteriore, mentre Theodor Meynert
(1833-1892) (figura 15) precisò il loro decorso
nella porzione anteriore. Ma il pioniere della
moderna ricerca anatomica in questo campo può
essere considerato Bernhard Aloys Von Gudden
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PARTE CLINICA
(1824-1886) che, attraverso minuziose indagini
condotte su sottili sezioni di tessuto cerebrale
ottenute con microtomia fine, dimostrò inconfutabilmente la parziale decussazione delle fibre
ottiche nel chiasma, già ipotizzata da Isaac
Newton nel ‘700 e William Hyde Wollaston (figura 16) nell’800. Egli inoltre descrisse la commessura ottica superiore ed il tratto peduncolare trasverso, strutture anatomiche oggi denominate con i suoi eponimi. Infine, fu tra i primi a
far luce sulla complessa organizzazione anatomo-funzionale del talamo, osservando la degenerazione selettiva retrograda dei suoi nuclei dopo
distruzione sperimentale di aree circoscritte di
corteccia cerebrale.
Le scoperte di Von Gudden furono avvalorate
dalle ricerche di Palli Emil Flechsig (18471929), che condusse un esauriente studio sulla
mielinogenesi dei sistemi di fibre corticali.
Osservando che il processo della mielinizzazione
avviene in diversi momenti della vita fetale e
coinvolge cronologicamente sistemi ben precisi
di fibre, Flechsig riuscì a suddividere la corteccia cerebrale in aree sensitivo-motorie ed in
aree associative. Basandosi sul dato che il sistema delle fibre sensoriali visive al polo occipitale
era il primo a circondarsi di mielina, esaminò le
radiazioni ottiche di Gratiolet per dimostrare
Figura 15
Theodor Meynert (1833-1892).
1858, prima descrizione della laminazione
corticale
Figura 14
Pierre Gratiolet (1815-1865).
Professore di anatomia a Parigi, descrisse
nel 1856 la connessione genicolo-corticale,
a cui diede il nome. Illustrazione dalla
copertina di “memoires de la Société
Française d’Anthropologie”
come tali fibre terminassero nella corteccia
occipitale, in una regione circoscritta denominata “area striata” da EIlit Smith (1904). Nello
stesso periodo in cui si attuava la sistematizzazione anatomo-topografica delle vie ottiche
posteriori ricerche parallele venivano dedicate
Figura 16
William Hyde Wollaston (1766-1828).
Chimico di Cambridge, ipotizzò la parziale
decussazione chiasmatica delle fibre ottiche,
studiando su se stesso una forma
intermittente di emianopsia omonima, divuta
ad un tumore talamico di cui morì
Bio-anatomia delle vie ottiche
alle vie ottiche anteriori, Otto Deiters rivendicava assertivamente la individualità morfo-funzionale del neurone (1865) e Vicq d’Azyr distinse
le fibre visive retro-chiasmatiche come “tratto
ottico”, suddividendo la parte extracerebrale
delle vie ottiche nelle porzioni a cui ancora oggi
si fa riferimento.
Nell’ultima parte del XIX secolo, vari studiosi
stabilirono rigorosamente le connessioni tra le
terminazioni dei nervi ottici e le tre principali
stazioni sotto-corticali del sistema visivo (pulvinar talamico, corpo geni colato laterale ed collicolo superiore). Salomon Henschen (18471930) e Mieczyslaw Minkowsky (1884-1934),
dimostrarono la struttura lamellare del corpo
genicolato laterale e la connessione ordinata di
questi strati con le terminazioni delle fibre dei
tratti ottici. Nel febbraio del 1904, Friedrich
Dimmer (figura 17), dimostrando la connessione delle fibre ottiche ascendenti al corpo genicolato laterale ed, in piccola parte, al collicolo
superiore, negò l’arresto di queste stesse fibre al
talamo vero e proprio, come fino ad allora la
scienza ufficiale supponeva. In questo modo la
topografia generale delle vie ottiche veniva anatomicamente stabilita; gli ulteriori progressi si
sarebbero limitati allo studio della cito-tettonica
corticale più fine e delle aree associative, grazie
al miglioramento delle tecniche di conservazione dei tessuti e di osservazione dei preparati
istologici (connessione talamo-corticale di Von
Monakov nel 1910).
Alla fine del XIX secolo, ed ancor più negli anni
successivi, l’attenzione dei ricercatori si trasferì
dalla anatomia vera e propria del sistema visivo
alla sua organizzazione funzionale: sono state
definite la rappresentazione corticale delle fibre
ottiche, la funzione del giro angolare nei movimenti di deviazione coniugata dello sguardo, l’esistenza di cecità psichica in seguito a lesioni di
aree corticali non occipitali, la possibilità di differenti tipi di anopsie in rapporto alle diverse
sedi di lesione.
All’inizio del XX secolo è stata precisata l’attuale rappresentazione retinotopica nelle vie ottiche e la distribuzione assonomica delle fibre
ottiche nei vari segmenti.
Dalla metà del ‘900, la micro-anatomia, l’elettrofisiologia e la citochimica si sono fuse in un prodigioso insieme finalistico di ricerche che ha
aperto prospettive radicalmente innovative.
È in queste prospettive che si stanno scrivendo
le nuove pagine della storia delle vie ottiche, i
cui temi continueranno a mobilitare i protagonisti più illuminati delle scienze bio-mediche.
Filogenesi delle vie ottiche
Figura 17
Friedrich Dimmer (1855-1926).
Nel febbraio 1904, dimostrò la connessione
delle fibre ottiche ascendenti con il corpo
genicolato laterale, negando l’arresto delle
stesse al talamo, come era sino ad allora
supposto dalla scienza ufficiale
Quando, nel 1865, Ernst Haeckel stabiliva.che la
ontogenesi (ον = individuo, γενεσιζ = sviluppo)
è la breve ricapitolazione della filogenesi
(φυλοζs= specie), voleva forse anche significare
che l’impronta degli echi filogenetici lontani
sulla successione delle fasi embriologiche, rappresentano un prezioso filo conduttore per comprendere la morfologia delle strutture anatomiche definitive per l’oggi evoluzionale.
L’assunto è particolarmente calzante per le configurazioni delle vie ottiche che solcano tutto
l’encefalo, con il ruolo di grande baricentro sensoriale a sua volta condizionante e correlante le
altre neuro-strutture.
A questo proposito corre alla mente la teoria
della neuro-biotaxis, enunciata nel 1909 da
Cornelius Arien Kappers (figura 18), dalla cattedra di neuro-anatomia dell’Università di
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PARTE CLINICA
Figura 18
Cornelius Ubbo Ariens Kappers (1877-1946).
Professore di neuro-anatomia - Università di Amsterdam
Amsterdam: nel divenire filogenetico, le vie ed i
centri nervosi si sono raggruppati, affiancati,
correlati, sistematizzati, in riferimento alle loro
superiori funzioni comuni. Ad esempio, i nuclei
dei nervi oculomotori si sono gradatamente
posti in relazione con il fascicolo longitudinale
posteriore ed il sistema vestibolare, quest’ultimo
in parallelo sviluppo con le vie ottiche. La progressiva sempre maggiore decussazione delle
fibre ottiche al chiasma con il salire la scala zoologica, va letta come la risposta alla necessità
filogenetica di far decorrere fianco a fianco vie
che provengono da regioni (le emiretine omonime) che lavorano in concomitanza. Negli invertebrati e nei vertebrati inferiori ogni nervo di
senso o di moto fa capo ad un proprio centro differenziato, centro che si specializza in rapporto
alle esigenze peristatiche proprie dell’animale e
della sua attività biologica. Quando queste attività diventano complesse, i centri sentono l’esigenza di coordinarsi tra loro e di riferirsi vieppiù
a centri di comando superiori. Le cellule sensoriali visive degli invertebrati si dispongono sulla
superficie ectodermica e solo secondariamente
si connettono con il sistema nervoso centrale
(occhio tegumentale).
All’opposto, nei vertebrati la retina origina dall’ectoderma neurale come sua estroflessone
(occhio cerebrale).
Come già accennato, ci sembra interessante
tratteggiare per schemi l’evoluzione delle vie
ottiche nel loro svolgersi filogenetico, delineando così il profilo di una opso-neuro-biotaxis che
rappresenta le radici di un albero morfologico
che ci apprestiamo, molto succintamente ad
accennare.
Nei ciclostomi (pre-pesci sopravvissuti di antichissimi vertebrati del paleozoico), le fibre ottiche che provengono dalle cellule visuo-sensoriali,
sono direttamente proiettate nel tectum opticum
(soffitto del mesencefalo primitivo), dove entrano
in relazione con le vie nervose spino- e bulbo-tettali, ed inoltre con quelle del V e VIII paio.
Nei pesci compare un abbozzo rudimentale di
corpo genicolato laterale. Gli assoni visivi terminano ancora al tectum ed ai suoi prolungamenti
dorsali, che costituiscono i lobi ottici, particolarmente evidenti. I nervi ottici sono molto sviluppati, come pure il midollo allungato ed i nuclei
del V e VII paio. Fa apparizione il lemnisco laterale ed il fascio longitudinale posteriore, che
rappresenta la prima importante via di interconnessione tra centri di senso e centri motori.
Negli anfibi le fibre del II paio fanno stazione nel
corpo genicolato laterale, da cui si dipartono
fibre genicolo-tettali che terminano ai lobi ottici.
Nei rettili compare un primo accenno di corteccia (corteccia olfattoria). In connessione con le
Bio-anatomia delle vie ottiche
cellule del pallium, si osservano fasci di fibre nervose che afferiscono ai gangli della base e che
vengono considerati come il primitivo abbozzo
della corona raggiata. I lobi ottici sono piuttosto
sviluppati, discreta l’evidenziazione dei talami;
accenno ai tubercoli quadrigemelli posteriori in
alcuni di essi, ed alla grande via del lemnisco.
Negli uccelli si ha un enorme sviluppo della
parte superiore del cervello anteriore e del cervello medio, con lobi ottici cospicui. Gli emisferi
cerebrali coprono gran parte dei lobi ottici,
lasciandone scoperta solo un’area laterale. Il
sistema talamico è ora prettamente fotostatico.
La decussazione dei nervi ottici è completata. Si
sistematizzano le vie di interconnessione, grazie
al fascio longitudinale posteriore. Fasci di associazione collegano i lobi ottici con la corteccia
occipitale, i talami ed il tetto mesencefalico con
il cervelletto ed il midollo. Fibre intra-corticali
creano rapporti tra le varie aree della corteccia.
In sostanza, vi è comunicazione ed integrazione
tra i centri di moto cerebrali e spinali, nonché
con la corteccia l’inizio di quella organizzazione
articolata e complessa, che troverà la sua massima espressione nei mammiferi superiori.
Nei mammiferi il progressivo aumento dell’encefalo, che abbiamo sin qui seguito nelle prime
classi dei vertebrati, continua si specializza vieppiù dagli inferiori ai superiori. Tale sviluppo è
caratteristicamente disomogeneo, privilegiando
alcuni distretti e penalizzandone altri che si
arrestano od addirittura regrediscono.
La maggior parte delle fibre ottiche (80%) si
porta al nucleo dorsale del corpo genicolato laterale, da cui poi si proiettano verso la corteccia
visiva. II nucleo ventrale del CGL, filogeneticamente più antico, perde progressivamente di
ruolo man mano che il baricentro della via visiva
si sposta dal tetto alla corteccia. Dei corpi genicolati, si accrescono principalmente i laterali a
detrimento dei mediali. Le vie visive dei vertebrati inferiori dedicano scarsi contingenti al CGL,
terminando la maggior parte ai corpi quadrigemini. Nei superiori si ha una netta inversione di tendenza, man mano che si perfeziona la visione corticale, in rispetto alla legge che Ludwig Edinger
formulò nel 1897. I quadrigemini sono estremamente ridotti d’importanza nei confronti degli
imponenti lobi ottici dei vertebrati più bassi. I
nervi ottici sono meno sviluppati che nelle classi
precedenti, ma evidenziano chiaramente la loro
correlazione con i tre nuclei della base: genicolato laterale, corpo quadrigemello anteriore e talamo (pulvinar). A queste vie ottiche “basilari”, si
aggiungono le superiori o “corticali” che costituiscono il ventaglio di fibre ottiche corticipete, formato dalle radiazioni di Gratiolet. Nei mammiferi si ha un imponente incremento volumetrico,
soprattutto in superficie, degli emisferi cerebrali.
La corteccia, liscia nei mammiferi inferiori (lissencefali), diventa anfrattuosa e convoluta nei
superiori (girencefali).
A Bartolomeo Panizza va riconosciuta la paternità della scoperta del centro corticale della visione. Nel 1855, dopo aver accecato un occhio di
alcuni piccoli pesci ed uccelli, notò ad un anno
di distanza non solo l’atrofia del nervo ottico corrispondente, ma anche della metà di quello del
lato opposto. Le sue ricerche seguirono quelle di
Luigi Rolando il quale dimostrò, nel 1828, che
alcuni selaci ed anfibi privati del cervello anteriore non manifestavano significative alterazioni
del senso visivo, senso gravemente compromesso invece dalla ablazione dei lobi ottici.
La circoscrizione delle funzioni delle aree corticali si ha soltanto nei primati. Nei mammiferi
meno evoluti le varie zone di competenza sono
sempre meno circoscritte e specializzate.
Nei cani, il centro visivo arriva fin quasi in zona
frontale e deborda anche ai lati ed al di sotto
della regione occipitale. Nelle scimmie è esteso
anche al giro angolare. Nell’uomo è limitato
attorno alla scissura calcarina.
Gli emisferi cerebrali sono costretti ad aumentare sempre più il loro volume per contenere fibre
e centri nervosi che lo sviluppo filogenetico fornisce. La corteccia è obbligata a contorcersi su
se stessa per rannicchiarsi nell’angusta cavità
cranica. A lei giungono e da lei partono tutte le
informazioni che regolano le innumerevoli funzioni dell’animale. Al senso dell’odorato (animali “osmatici”) ed al senso della vista (animali
“opsici”) non viene dedicato come per gli altri
sensi, un nervo, ma addirittura una porzione dell’encefalo, tanta è l’importanza che queste informazioni estesiche rivestono negli ipovertebrati. I
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PARTE CLINICA
nervi olfattivi e ottici non si possono comunque
considerare nervi, ma fasci di fibre nervose, analogamente a quelle che formano le commessure
fra le diverse parti del cervello. Negli animali
opsici più evoluti, il nervo ottico poi origina
direttamente dal diencefalo e si ammanta di
guaine meningee.
Per cui si è tentati di affermare che “il nervo
ottico non è un nervo, ma un cervello lungo”.
Alla fine di questo breve profilo filogenetico
delle vie ottiche, è importante sottolineare che,
agli albori, il sistema visivo aveva come baricentro il tectum, crocevia elementare, ma fondamentale, degli impulsi statici, ottici, tattili,
gustativi e propriocettivi. Con lo snodarsi dell’evoluzione, il baricentro si sposta sempre più in
alto, verso le regioni talamiche ed infine corticali, dove si realizzano le funzioni visive epicritiche, denobilitando il precedente a mere funzioni riflessogene fotostatiche.
La rimozione del cervello olfattivo di un pesce o
di un rettile non influenza la funzione visiva. La
rana decerebrata continua a cacciare agevolmente le mosche, il piccione decorticato evita
perfettamente gli ostacoli, denunciando solo un
affievolimento delle facoltà di ricognizione più
alte. La rimozione della corteccia di un mammifero lo rende praticamente cieco. Quindi, il grande evento nel corso del tormentato arco della
filogenesi è rappresentato dal passaggio di predominanza dal cervello olfattivo a quello visivo.
Lo svilupparsi della via ottica come protagonista
delle funzioni più evolute, ha quindi condizionato la morfologia e la fisiologia e il comportamento degli organismi viventi che, per mezzo suo,
hanno avuto la possibilità di passare dal ruolo di
esseri condizionati a quello di esseri creativi.
Ontogenesi delle vie ottiche
Per comprendere convenientemente questo
argomento, si rende indispensabile un ricordo
propedeutico di embriologia generale.
Allo stadio di neurula (tre-quattro settimane), la
vescicola ectodermica si appiattisce per costituire una specie di piastra (placca neurale) dapprima rotonda, poi progressivamente ellittica, disponendosi lungo un asse che sarà la lunghezza
del corpo. Su questa placca dapprima compare
una striscia di cellule opache (stria primitiva),
che termina nella sua parte anteriore con un piccolo ispessimento bottonuto (nodo di Hensen).
Nella parte anteriore della placca si individuano
due piccole depressioni (fossette ottiche).
In seguito i bordi della stria si sollevano costituendo il solco neurale, che poco a poco si chiude per formare il tubo neurale (primo abbozzo
del sistema nervoso). Verso la fine della quarta
settimana, il tubo subisce tre dilatazioni che realizzano così le tre vescicole cerebrali primitive
(prosencefalo, mesencefalo, rombencefalo). Il
segmento cefalico si inflette secondo due curvature: la cefalica e la cervicale. Alla quinta settimana, la prima vescicola si sdoppia (telencefalo,
diencefalo), la seconda rimane tale (mesencefalo) e la terza pure si divide (metencefalo e mielencefalo). Sempre nel corso della quinta settimana, gemmano dalla vescicola diencefalica due
espansioni (vescicole ottiche primitive) che,
strangolandosi a livello dei loro peduncoli, costituiranno i futuri nervi ottici.
Le vescicole ottiche subiscono rapidamente un
infossamento al loro apice, trasformandosi in
cupole a concavità esterna. Come la costituzione
delle vescicole è indotta dalla presenza del
mesoderma precordale, che è situato sotto la
placca neurale, così il loro infossamento a cupola è indotto dalla presenza dell’abbozzo del cristallino, che le antistà. La cupola è costituita da
due foglietti accollati: dal primo si differenzierà
la retina sensoriale, dal secondo l’epitelio pigmentato.
L’invaginazione della vescicola ottica avviene
secondo una modalità particolare, finalizzata a
porre in comunicazione occhio ed encefalo: la
fessura embrionale. Questa infatti deve considerarsi come un “espediente embriologico” temporaneo (da 4-5 mm. a 15-20 mm. di lunghezza dell’embrione) che rimane aperta per 4-5 settimane, al fine di connettere la retina al cervello tramite il peduncolo ottico. Attraverso di essa ha
accesso l’arteria jaloidea, che entra alla estremità prossimale della fessura stessa.
Ida Mann (figura 19), attraverso lo studio di
modelli ipotetici, ha dimostrato che tale espediente era l’unico che poteva essere messo in
Bio-anatomia delle vie ottiche
atto per conseguire le finalità morfogenetiche
dovute. Prima di passare alla descrizione dell’embriogenesi dettagliata dei vari segmenti
delle vie ottiche, merita una riflessione la particolare ed apparentemente irrazionale disposizione della retina negli animali superiori.
Lo spartiacque morfologico differenziale tra l’occhio epiteliale degli invertebrati e l’occhio cerebrale dei vertebrati, è costituito dalla localizzazione dei fotorecettori nello spessore retinico.
Nei primi, le cellule epiteliali sensoriali si moltiplicano e si infossano nella loro parte distale a
diretto contatto con la luce, mentre le fibre nervose delle parti prossimali veicolano poi lo stimolo luminoso verso le strutture cerebrali (retina vertita). Nei secondi invece, la retina gemma
dal diencefalo e la modalità di infossamento
della vescicola ottica primitiva in cupola, porta i
fotorecettori nella profondità dello spessore retinico, per cui la luce deve attraversare tutti gli
strati loro antistanti prima di attivarli (retina
inversa).
È suggestivo rilevare (come piccola ricapitolazione filogenetica haeckeliana) che, nelle prime
fasi dell’embriogenesi umana, a livello delle fossette ottiche, le cellule ectodermiche (epiteliali)
sono situate all’esterno (come negli invertebrati), mentre nelle fasi successive, con la costituzione del tubo neurale e delle vescicole ottiche,
queste vengono invaginate e disposte all’interno.
Si diceva poc’anzi che la retina inversa può sembrare un atteggiamento irrazionale nella sofisticata organizzazione istogenetica dei vertebrati
superiori. Ma la retina inversa ha buone ragioni
finalistiche per essere tale: il fotorecettore, considerate le sue raffinate esigenze funzionali,
abbisogna di un imponente e massivo apporto
ossigenativo, che solo l’adiacenza della coriocapillare può garantire. Inoltre il contatto diretto
con l’epitelio pigmentato (mangia-dischi) ha
grande importanza nel loro metabolismo. Ed è
chiaro che, per ragioni ottiche di trasparenza, sia
la coriocapillare che l’epitelio pigmentato non
possono essere che situati dietro le cellule visuosensoriali. Da ultimo, la disposizione invertita
consente un aumento del potere risolutivo centrale, aprendo gli strati istologici davanti ai fotorecettori, per costituire la fovea (l’occhio dell’occhio).
Embriogenesi del nervo ottico
Figura 19
Ida Mann. Necessità ontogenetica della fessura embrionaria.
Modello ipotetico. La fessura embrionale è un meraviglioso
“espediente embriologico” che realizza e tutela l’evoluzione
ontogenetica
Abbiamo in precedenza visto che, nel corso della
quinta settimana di vita embrionale, la vescicola
ottica primitiva, gemmata dalla vescicola diencefalica, si peduncolizza progressivamente. Il
peduncolo è un tubo sostanzialmente tappezzato da un monostrato di cellule epiteliali cilindriche che mette in comunicazione le cavità cerebrali e la futura cavità oculare (figura 20). La
parete peduncolare servirà da guida al costituendo nervo ottico, alla cui formazione contribuirà offrendo i sepimenti neurogliali interfibrillari. La fessura embrionale interessa il peduncolo connettendolo con il foglietto invaginato, che
verrà a costituire il futuro strato interno della
retina. L’invaginazione fissurale interessa solo la
parte distale del peduncolo ottico che, in sezio-
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PARTE CLINICA
5 settimane – 9 mm
6 settimane – 13 mm
7 settimane – 23 mm
Figura 20
Peduncolazione della vescicola ottica primitiva
ne, assume qui una forma ad “omega”, mentre il,
segmento prossimale rimane rotondo, con sezione ad “omicron”. La fessura embrionale, dopo
aver consentito il passaggio dell’arteria jaloidea
(al compimento del primo mese) e del mesoderma adiacente, si chiude all’inizio della settima
settimana.
Le prime fibre ottiche nascono dalle cellule ganglionari alla fine della quinta settimana (15 mm.
di lunghezza dell’embrione). Durante il loro percorso rettilineo nello spessore del foglietto interno della retina, per raggiungere il bordo del
peduncolo in cui si gettano ad angolo retto, gli
assoni “spazzolano” tutte le cellule retiniche che
si trovano sul loro cammmino, impilandole in un
mucchio conoide centrale che costituirà la papil-
Figura 21
Papillogenesi e sistema vascolare
la di Bergmeister, che secondariamente si riassorbe (figura 21).
Agli albori embriologici non si identifica una vera
e propria area papillare. Si può considerare
papilla primitiva la zona in cui la vescicola ottica
sfocia nel peduncolo. La papilla propriamente
detta si costituisce man mano che aumentano di
numero le fibre ottiche.
Al termine del secondo mese, la colonizzazione
neuro-fibrillare del peduncolo ottico può considerarsi terminata, ma la fibrillogenesi continua
in senso centripeto: gli assoni si moltiplicano e si
allungano sino a raggiungere il chiasma a 18 mm.
di lunghezza embrionale. A 25 mm., tutto il
peduncolo è stipato di elementi assonali. I sepimenti interfibrillari che costituiscono il supporto
Bio-anatomia delle vie ottiche
gliale e derivanti, come già detto, dalle cellule
dell’epitelio primitivo, nella parte distale del
nervo si orientano perpendicolarmente alle
fibre, abbozzando al secondo mese la prima
lamina cribrosa (Haden, 1947). All’inizio costituita essenzialmente da nevroglia, la lamina si
dota, dal quarto al settimo mese, di elementi
connettivo-elastici. Nel corso del secondo mese
di vita embrionale, il mesoderma peri-peduncolare si condensa in due strati: l’uno esterno,
spesso ed avascolare (dura madre, 65 mm.), l’altro interno, sottile e vascolarizzato (pia madre,
5° mese). L’aracnoide si differenzia fra i due solo
al 6°-7° mese, quale tessuto lacunare derivante
dalla nevroglia periferica. Nel corso del 5° mese
si ha un notevole incremento in lunghezza del
nervo che passa da 3 a 8 mm. (Hervouet, 1958).
All’8° mese, l’architettura del II paio può considerarsi definitiva e completa. Alla nascita, la sua
lunghezza è di circa 24 mm. per 2 mm. di diametro. Alla pubertà, è lungo circa 40 mm con un
diametro di 4 mm.
Embriogenesi del chiasma
e della bandelletta ottica
Prima del 2° mese di vita embrionale, la zona
chiasmatica è semplicemente costituita da
ammassi cellulari della parete ventricolare del
diencefalo, posta tra i due peduncoli ottici. Tali
cellule serviranno in seguito come apparato
neuro-gliale di sostegno alle fibre ottiche, che
arrivano in questa zona solo verso la 7° settimana (22 mm.). In seguito, le fibre visive circumnavigano la parte laterale del diencefalo
per raggiungere un raggruppamento cellulare
che si è differenziato dalla parte dorso laterale
del talamo, al fine di costituire il nucleo dorsale del Corpo Genicolato Laterale (30 mm.).
Queste fibre si moltiplicano e si ispessiscono
per costituire il tratto ottico (bandelletta), che
è bene evidente a 48 mm. di lunghezza embrionale (figura 22). Un’altro esempio di ricapitolazione filogenetica dell’ontogenesi, è fornito
dai tempi di decussazione delle fibre al chiasma. Sino alla 11a settimana (59 mm. di lunghezza embrionale) le fibre ottiche non si
incrociano (come negli invertebrati). Solo alla
13a settimana (80 mm.), la decussazione ha
inizio (Sakamoto, 1952).
Embriogenesi delle vie ottiche centrali
In estrema sintesi cercheremo qui di enuc1eare,
dal complesso divenire embriogenetico del sistema nervoso centrale, lo sviluppo di quelle aree e
distretti che sono toccati od ospitano le varie
strutture della via ottica.
Il mesencefalo (sede delle principali funzioni visive nei vertebrati inferiori e relegato a sede di
riflessi fotostatici e visuo-sensoriali nei superiori), prende origine dalle pareti della vescicola
mesencefalica primitiva e si stipa attorno all’esile acquedotto di Silvio. La parte dorsale dell’acquedotto, che corrisponde al tetto del tubo neurale, si differenzia in tectum opticum (vedi anche
capitolo riguardante la filogenesi). A questo livello compaiono due elevazioni longitudinali, a loro
volta poi divise da un solco in quattro tubercoli,
chiamati appunto quadrigemelli per la loro similarità, e dei quali i superiori (collicoli visivi) fanno
da perno ai riflessi fotomotori distinguendosi
funziona1mente dagli inferiori (collicoli auditivi).
Il prosencefalo, vescicola primitiva dell’estremo
cefalico dell’embrione, si divide precocemente
(11 mm di lunghezza embrionale) in una vescicola prossimale (diencefalica) ed una distale
(telencefalica).
Il diencefalo, circondante quel tratto di canale
neurale che si dilata per formare il 3° ventricolo,
contiene diverse strutture di pertinenza visiva. A
Figura 22
Embriogenesi del chiasma e del tratto ottico
41
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PARTE CLINICA
13 mm (5 settimana), si assiste ad una intensa
proliferazione cellulare della parete laterale, che
poco dopo (16 mm) viene suddivisa da due solchi in tre zone: il talamo centralmente, sormontato dall’epitalamo e sovrastante l’ipotalamo. In
queste tre zone hanno sede importanti ammassi
cellulari che costituiscono nuclei di grande
importanza funzionale.
Di nostro particolare interesse è il corpo genicolato laterale (CGL), situato nella parte esterna
del talamo dorsale e già distinguibile a 22 mm,
epoca in cui questa zona viene raggiunta dalle
fibre ottiche del tratto, che probabilmente ne
inducono la strutturazione.
Dapprima si differenzia il nucleo dorsale del
CGL e solo secondariamente il ventrale (35
mm). La tipica architettura laminare non si realizza che al 6° mese di vita intrauterina, quando
la formazione si inarca caratteristicamente ad
“U” rovesciata con apertura latero-ventrale.
Un breve cenno alla embriologia dell’ipofisi che,
pur non appartenendo alla via ottica, frequentemente ne condiziona la patologia. La neuroipofisi
trae origine dalle cellule gliali del pavimento diencefalico, che alla quinta settimana (8 mm) evagina un piccolo diverticolo. L’adeno-ipofisi nasce
invece dalla borsa di Rathke, diverticolo ectodermico che gemma dal pavimento stomodeum. Le
porzioni anteriore e posteriore dell’ipofisi vengono in contatto a 14 mm di lunghezza embrionale.
A 9 mm, la parte più anteriore del prosencefalo
si espande nelle due vescicole telencefaliche, le
cui pareti costituiranno gli emisferi cerebrali e le
cavità i ventricoli laterali.
La faccia basale delle pareti si ispessisce per formare la zona striata, entro cui trovano posto i
nuclei del corpo striato. La parte laterale del
corpo striato prende il nome di “paleo-pallium”,
primo abbozzo di corteccia a finalità puramente
olfattiva; come pure destinato a funzioni olfattive
e reflessogene è “l’archi-pallium” che, a 12 mm,
si espande centralmente attorno alle cavità ventricolari. Tutto il resto del telencefalo va a costituire la grande massa del “neo-pallium”, nella cui
zona marginale i neuroblasti si moltiplicano, formando la materia grigia corticale. La differenziazione corticale si realizza dapprima (30 mm) a
livello dell’area parietale, per guadagnare preco-
cemente la superficie mediale e superiore dell’encefalo. Solo più tardivamente (50 mm) vengono interessate le aree frontale e, soprattutto,
occipitale (visiva). Quindi, ad ennesima conferma dell’assunto di Ernst Haeckel, dapprima si
organizzano i centri olfattivi, poi quelli della sensibilità somatica ed infine quelli della visione.
Nel prematuro di 28 settimane, la corteccia occipitale è praticamente lissencefalica, riconoscendosi a stento solo la fessura calcarina e parieto-occipitale. L’estensione dell’area striata si quadruplica
da questa data sino al compimento del 9° mese
regolare di gestazione (girencefalia) e si espande
vieppiù sino al 4° mese di vita extrauterina.
Alla nascita, i dendriti appaiono spinosi cioè
provvisti. di coni di crescenza, che conferiscono
all’assone un aspetto villoso. Le spine aumentano progressivamente sino al 4° mese per scomparire definitivamente al 9°. Il periodo neo- natale è caratterizzato da una intensa proliferazione
sinaptica a livello di tutti gli strati della corteccia visiva. Questa “sinaptogenesi” diminuisce
progressivamente sino ad un anno di vita, per
ridursi al 60% all’età di l0 anni. Ciò perché alla
elaborazione sinaptica anatomica dell’età neonatale, si sostituisce una sinaptogenesi funzionale,
poiché si organizzano i circuiti associativi che
materializzano le “ipercolonne di orientamento”
così caratteristiche della corteccia visiva, per la
formazione delle quali è peraltro fondamentale
l’esperienza visiva (epigenesi). Le colonne corticali di orientamento visivo sono estremamente
sensibili, quindi, alle penalizzazioni sensoriali. Se
si considera che la plasticità neuronale è particolarmente formativa nell’arco di tempo compreso tra la nascita ed il 70 anno, è intuitivo il
danno irreversibile che si determina nel bambino in cui non è stata per tempo depistata una
disfunzione visiva.
Mielinogenesi
Il processo di mielinizzazione delle vie ottiche
inferiori avviene nel senso inverso a quello del
loro sviluppo. Al 5° mese, la mielina compare a
livello del corpo genicolato, al 6° della bandelletta, al 7° raggiunge il chiasma ed all’8° il nervo
ottico. Per le vie ottiche centrali, la mielinizza-
Bio-anatomia delle vie ottiche
zione inizia generalmente all’epoca della nascita
e procede centrifugamente dall’area occipitale,
per completarsi verso la fine del 40 mese di vita
extrauterina.
Per molto tempo si è voluto correlare la mielinizzazione di un segmento delle vie ottiche alla sua
funzionalità. Oggi si propende a negare tale correlazione, in considerazione del fatto che vi sono
assoni ancora spogli di guaina mielinica e già
funzionanti mentre, per converso, neurofibre già
mielinizzate non sono ancora in grado di veicolare lo stimolo nervoso.
Cenni di anatomia comparata
Lo studio della bio-anatomia delle vie ottiche, pensiamo non possa sottrarsi alla curiosità di vedere come queste sono strutturate
ai vari livelli della scala zoologica (figura
23, figura 24).
È sorprendente infatti scoprire come l’atto visivo si serva di strumenti ed artifizi tanto fantasiosi e diversificati nella loro unicità teleologica.
Anche in questo campo è il caso di dire che il
buon fine giustifica i mezzi.
E di questi ne daremo qualche rapido cenno
Figura 23
Via ottica comparata
salendo, come si conviene, la scala dal basso
verso l’alto.
Ciclostomi = (κυκλοζ = rotonda, στομα = bocca)
Il nervo ottico ha fibre non mielinizzate che
decorrono solo al centro del nervo, senza sepimenti intersettali. Il chiasma è intracerebrale ed
i nervi ottici si incrociano in modo elementare,
senza mostrare alcuna fascicolazione al loro
interno.
Pesci = Il nervo è avascolare. Le fibre sono
mielinizzate e variamente sepimentate.
Assenza della lamina cribrosa. A livello del
chiasma le fibre nervose assumono la conformazione a vimini intrecciato. Nei teleostei il
nervo ottico visto dall’esterno appare tondeggiante o piatto. All’interno assume un particolare aspetto nastriforme; i sepimenti interfascicolari sono così sviluppati da suddividere i
fasci in tante falde che lo fanno assomigliare
ad un nastro ripetutamente ripiegato su se
stesso. Nel perioftalmo, ed ancor più nello stafiloftalmus paradoxus, il nervo, al centro di un
lunghissimo cono di sottili muscoli extraoculari, è contenuto in un altrettanto lungo peduncolo alla sommità del quale è posto il bulbo
oculare. Totale decussazione al chiasma a sem-
43
44
PARTE CLINICA
Figura 24
Via ottica: decussazione comparata
plice sovrapposizione crociata, ad asola o a
doppia asola.
Anfibi = (ανφο = doppia; βιοζ = vita)
Esseri di transizione tra la primitiva vita acquatica
e la successiva terrestre, nell’era carbonifera avevano dimensioni gigantesche. Le loro fondamentali tappe evolutive sono consistite nella trasformazione delle pinne in arti, delle branchie in polmoni
e cuore tricamerale; inoltre adattamento dell’orecchio alle vibrazioni dell’etere e dell’occhio alla
visione extra-acquatica. Nervo ottico sottile e cilindrico con sepimentazioni interfascicolari; chiasma
con decussazione totale di larghi fasci interdigitati. Le fibre sono solo 900 in derivazione di circa
90.000 fotorecettori retinici (Palmer, 1918).
Rettili = In questi animali la retina appare meroangiotica (vascolarizzata solo in una parte) a differenza della olo-angiotica in cui la vascolarizzazione è uniformemente distribuita. Il nervo ottico, esile e sottile, possiede fibre che non mostrano un andamento ordinato e parallelo, inframmezzate da cellule di oligodendroglia, senza
sepimenti interfascicolari apparenti.
Al chiasma la decussazione è totale. In alcuni
serpenti (Natrix) rare fibre raggiungono direttamente il corpo genicolato.
Uccelli = All’osservazione funduscopica balza
evidente una formazione caratteristica di questi
animali: il “pecten” (pettine), formazione che
dalla retina aggetta nel vitreo portandosi dal
disco ottico verso l’equatore. È costituita da un
fitto arabesco capillare intralicciato da tessuto di
sostegno. La sua discussa funzione sembra legata alla nutrizione della retina attraverso la sua
vastissima superficie di scambio ossigenativo e
termico, che tra l’altro consente di tenere costante la temperatura anche quando l’animale
vola ad alta quota. Sembra inoltre che serva da
specchio riflettente sulla retina di immagini che
sovrastano, come i predatori che in genere
attaccano dall’alto (Thompson, 1928). La spaziatura regolare dei denti del pettine, determinerebbe la proiezione sulla retina di una immagine
stroboscopica degli oggetti in movimento nello
spazio, rendendoli così percepibili più rapidamente e dettagliatamente (Menner, 1928). Da
ultimo consentirebbe una perfetta analisi dei
punti geografici “di compasso” per l’orientamento di navigazione (Wilkinson, 1949).
Il nervo ottico mostra sepimentazioni settali di
fattura e dimensioni variabili. Spesso un unico
sepimento divide in due contingenti i fasci di
Bio-anatomia delle vie ottiche
fibre ottiche, cellule di oligodendroglia appaiono
irregolarmente sparse negli spazi interfibrillari.
La decussazione al chiasma è totale con interdigitazione complicata dei fasci.
Mammiferi = Le loro caratteristiche biologiche
fondamentali possono essere così riassunte: diaframma che divide il celoma in due cavità, cuore
tetra-camerale, orecchio tri-camerulare, mandibola semplice, tegumenti ricoperti da peli, nutrizione attraverso le ghiandole mammarie della
femmina. La relativa semplicità delle strutture
recettive oculari è compensata dalla particolare
differenziazione ed articolazione delle vie ottiche. Nei monotremi il nervo ottico ospita 32.000
assoni (Bruesh e Arey, 1942). Nei placentati
(che includono la maggior parte dei mammiferi)
la struttura del nervo non si scosta da quella dell’uomo, se non per le proporzioni. Gli assoni
sono raggruppati in piccoli fasci separati da setti
interfibrillari, la cui componente gliale cresce col
progredire nella scala biologica. Anche a questo
proposito è interessante seguire, passo passo, il
cammino evolutivo. Dapprima (ciclostomi) il
sistema inter-fibrillare è costituito da una colonna di cellule ependimali, che decorrono al centro del nervo e da cui irradiano tralicci secondari che si portano alla superficie. In seguito, nei
pesci e nei rettili, questo sistema centrale si raddoppia e la sepimentazione diviene più spiccata
e complicata. Nei vertebrati più evoluti, la fascicolazione diventa sempre meno manifesta, sino
ad arrivare nell’uomo a costituire una architettura di sostegno tenue ed uniformemente distribuita. Per quanto riguarda la testa del nervo ottico, va ricordato che la lamina cribrosa esiste solo
nei mammiferi a prevalente visione diurna. Non
si rinviene infatti negli animali che vivono in
habitat a bassa luminanza (certi roditori) in cui
la retina trova varco per erniare negli spazi
meningei perineurali.
Relativamente al chiasma, si può in generale
affermare che il numero delle fibre dirette
aumenta con il grado di frontalizzazione degli
occhi. Negli animali con occhi lateralizzati queste sono relativamente rare in rapporto tra fibre
dirette e decussate è di 1/6 nel cavallo, 1/4 nel
cane e nel gatto, 1/3 nei primati più evoluti e di
1/2 nell’uomo. La percentuale di fibre decussate
è in stretto rapporto con la organizzazione strutturale del corpo genicolato a cui pervengono.
Nei mammiferi inferiori le fibre ottiche si connettono con le cellule di un corpo genicolato
architettonicamemte elementare, che non ha
ancora realizzato il processo di laminazione. In
mammiferi più evoluti si contano 4 strati del
CGL, che raggiungono il numero di 6 nei primati. Nei tetra-stratificati le fibre crociate pervengono al l° e 3° strato e le dirette al 2° e 4°. Negli
esa-stratificati. le prime approdano al 1°, 4° e 6°;
le seconde al 2°, 3°, 5°. Nei primati ogni campo
recettivo si proietta a livello del CGL “point to
point” (o “aire par aire”). Ne consegue che,
mentre i settori sensoriali di ogni singola emiretina riverberano lo stimolo su tre strati cellulari
genicolati, a livello della corteccia vengono
proiettati gli stimoli di tutti i sei strati del corpo
genicolato stesso.
Vi sono animali dove manca un vero e proprio
nervo ottico, essendo gli occhi letteralmente
inseriti nella massa celebrale o appena salienti
sulla sua superficie (mesostomum). In alcuni il
nervo è sottilissimo e lungo (gasteropodi), in
altri grosso e tozzo (crostacei), in altri ancora i
nervi ottici possono essere multipli ed afferiscono a gangli diversi che, essendo però molto vicini, costituiscono un complesso funzionale denominato lobo ottico cerebrale (aracnidi). Negli
invertebrati i centri nervosi appaiano sempre
intimamente collegati con gli organi visuosensoriali, sia che questi siano incastonati nei gangli
superiori, sia che afferiscano ad un ganglio proprio che aderisce alla massa cerebrale o che ne
è separato da un peduncolo ottico. Nei vertebrati non esiste il ganglio ottico e gli assoni incanalati nel nervo ottico si portano dalla retina ai
centri visivi superiori.
La forma, le dimensioni e l’architettura di questo
segmento nervoso sono quanto mai variabili nel
panorama dell’anatomia comparata. La sua porzione orbitaria, cortissima negli uccelli e lunga
nell’uomo circa 3 cm. è nell’elefante oltre 11 cm.
Il suo diametro, di 3 mm. nell’uomo, è di 5, 5 nel
cavallo, 6 nel bue, 2, 8 nel maiale, 1, 1 nel gatto
e 50 nella balena. In alcuni rettili (tartarughe) è
percorso da una lunga incisione che gli conferisce una forma di doccia. Negli uccelli la pia
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PARTE CLINICA
meninge si affonda nel suo contesto dal lato
nasale sino a raggiungere l’asse. Nel tritone ha
una struttura particolarmente grossolana e primitiva, è costituito da un canale tappezzato da
elementi neurogliali, che sfocia nel 3° ventricolo.
Nel proteus è tanto sottile e frammisto ad altri
tronchi nervosi da renderne difficile l’identificazione. J.Deyl, già nel 1895, stabilì che le singole
fibre si raggruppano in fascetti assonali tanto più
identificabili quanto più si sale la scala biologica.
Nei ciclostomi l’incrocio chiasmatico avviene
dentro la massa cerebrale.
Nei pesci teleostei si realizza semplicemente col
passaggio di un nervo sopra all’altro. Generalmente quello che proviene dall’occhio destro
scavalca quello sinistro. Nella trota avviene invece l’inverso. Nella figura 24 sono illustrati le più
comuni modalità di decussazione. Nella maggior
parte dei rettili, uccelli ed anfibi i nervi ottici
sono costituiti da un diverso numero di fasci che
si interdigitano con quello dell’altro nervo per
cui, in una sezione trasversa, si configura una
caratteristica linea a zig-zag. I sepimenti interfascicolari sono in questi casi molto pronunciati ed
evidenti.
Nei mammiferi i fasci sono molto più piccoli e
numerosi ed i sepimenti sono molto più tenui. Le
fibre ottiche nel chiasma non decorrono tutte
sullo stesso piano, ma le superficiali si approfondano, le profonde si superficializzano e molte si
suddividono e si biforcano. Il parziale incrocio
delle fibre nel chiasma del cavallo fu dimostrato
nel 1886 da G. Colin che osservò, oltre all’atrofia
del nervo ottico di un occhio cieco, la concomi-
tante atrofia della bandelletta del lato opposto.
Nel ratto e nel coniglio l’incrocio avviene solo in
parte a livello del tuber cinereum. Nel 1909,
BossaIino stabilì che l’incrocio non avviene mai
per singole fibre, ma per fasci di assoni.
Nell’uomo il nervo ottico penetra nel bulbo nella
sua parte posteriore, un po’ nasalmente. L’eccentricità dell’impatto si fa invece temporale
nella pecora, nel bue e nella foca. Nella balena è,
per contro, superiore.
La lamina cribrosa, robusta nei ruminanti, è
rudimentale nel coniglio e nei carnivori.
Nell’elefante manca totalmente e la coroide si
insinua negli spazi intervaginali della meninge.
In alcuni uccelli, il nervo ottico entra nella sclera, decorre sotto il pettine e perfora la coroide,
formando cosi una lamina cribrosa sui generis.
In molte specie di pesci e nei cefalopodi, il nervo
si suddivide in numerosi rami che penetrano
nella sclera attraverso molti fori, costituendo
pertanto papille ottiche multiple.
La papilla rotondeggiante nell’uomo, si ovalizza
trasversalmente nei ruminanti; obliqua nel maiale, di forma bizzarra nel cervo, a mezzaluna nella
pecora, reniforme nella renna, a striscia orizzontale nella marmotta, a triangolo nel cane, imbutiforme nel coniglio dove si espande nelle caratteristiche ali bianche. A caldaia nel coccodrillo,
è sporgente in alcuni pesci (squatina). In altri
pesci la retina è separata nettamente dai bordi
della papilla da un anello scuro. La papilla verticale della rana, secondo C. Nicolai, può variare i
suoi diametri grazie ad un cercine muscolare che
è situato nella coroide circumpapillare.
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