L`occhio artificiale è ancora lontano, ma la sperimentazione ha fatto

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L’occhio artificiale è ancora lontano, ma la sperimentazione ha
fatto passi da gigante
Nei laboratori e nei centri di ricerca non si utilizza l’espressione “uomo bionico”, ma molte
ricerche e sperimentazioni puntano in quella direzione, spesso rinviando a data da
destinarsi le risposte agli inevitabili e gravi interrogativi di ogni tipo che simili progetti
implicano. La maggior parte delle ricerche riguarda componenti particolari dell’organismo
umano, singoli organi o sottosistemi. Tra questi il più difficile e complesso è il sistema
visivo, che presiede a quella funzione così fondamentale per la nostra vita e per il nostro
rapporto con la realtà. L’occhio bionico è ancora molto lontano all’orizzonte, anche se negli
ultimi tempi le ricerche si sono moltiplicate, pur con risultati ancora limitati.
Ma cos’ha di tanto speciale il nostro occhio da rendere ardua la sfida di questi neuro
scienziati e bioingegneri? E quali sono le caratteristiche del sistema visivo umano che
rendono difficile la sua “riparazione” o la sua sostituzione con sistemi artificiali? Intanto
bisogna dire che l’occhio sicuramente è un organo estremamente complesso, che si
stabilisce in un lungo periodo di training (per lo meno il primo anno di vita). Ci sono nella
retina oltre 120 milioni di sensori della luce. Il segnale analogico viene convertito in
digitalico nella retina e notevolmente rielaborato nella retina stessa. E poi vi sono un
milione di fibre del nervo ottico che conducono il segnale al cervello e la loro destinazione
è altamente ordinata. Inoltre vi è una condizione anatomica molto rilevante: se si recide il
nervo ottico in uno qualsiasi dei suoi tratti, la parte a monte del nervo degenera
immediatamente perché il corpo cellulare che assicura l’integrità e la sopravvivenza delle
fibre è costituito dalle cellule gangliari che risiedono nella retina. Pensare dunque di
interfacciare una telecamera con la retina e-o il nervo ottico trovando il modo di stimolare
tali strutture in modo analogo alla luce che colpisce la retina è al momento neppure
immaginabile. Il sistema nervoso centrale è di una tale complessità che una volta
stabilizzato nella sua conformazione definitiva, la ricrescita di assoni lesi viene impedita
perché verosimilmente non utile o dannosa.
Certo, c’è in atto una sperimentazione volta a far ricrescere i nervi ottici, ma il problema è
analogo alla ricrescita delle vie motorie e sensitive nelle lesioni del midollo. Sino ad ora
questo è stato del tutto impossibile. Recentemente si sono scoperte alcune proteine che
inibiscono la ricrescita delle fibre interrotte nel sistema nervoso centrale. È probabile
dunque che la natura abbia deciso di inibire la ricrescita assonale centrale perché sarebbe
infruttuosa o anche dannosa. La ricrescita avviene invece spontaneamente nei nervi
periferici, quando la struttura connettivale di supporto si mantiene integra e offre alla fibra
la via dentro la quale può ricrescere.
Il nervo ottico è costituito da un milione di fibre che hanno stabilito connessioni altamente
ordinate: resta tutto da scoprire quante fibre possano ricrescere e quanto tale ricrescita sia
efficiente. Inoltre il nervo ottico può ricrescere solo se la retina è integra in quanto il corpo
cellulare dei neuroni, che costituiscono il nervo ottico con le loro fibre, ha sede nella retina
stessa. Sono relativamente rare le patologie che ledono i nervi ottici senza ledere le cellule
gangliari.
Lo stratagemma con cui si cerca di ottenere la ricrescita delle fibre centrali è quello di
impiantare cellule del sistema olfattorio che permettono la ricrescita dei terminali nervosi
olfattori. Anche se si riesce per questa via ad ottenere ricrescita di assoni del nervo ottico,
resta tutta da scoprire la loro eventuale utilità per la funzione visiva.
All’università della California del Sud stanno invece tentando la scommessa dell’occhio
bionico: qui il problema non è solo quantitativo, cioè di numero e potenza dei biochip, ma
c’è dell’altro. Il sistema è pensato per le malattie degenerative della retina in cui vi è
perdita progressiva di coni e bastoncelli, i sensori della luce. L’idea è quella di collegare
una videocamera con elettrodi impiantati nella retina che traducano l’immagine in impulsi
elettrici che stimolino le altre cellule della retina deputate a trasmettere l’informazione
visiva raccolta da coni e bastoncelli al cervello.
Resta il fatto che la retina è di una tale complessità che solo una sperimentazione
approfondita con variazione di tantissimi parametri potrà svelarci la plausibilità e l’utilità di
un tale sistema.
Alessandro Boso
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