la nascita del concetto di cultura

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CAPITOLO 1
LA NASCITA DEL CONCETTO DI CULTURA
TERMINE CULTURA NEL LINGUAGGIO COMUNE
Due usi:
• Attributo della persona colta che ha seguito un percorso impegnativo di
formazione ed educazione individuale.
• Cultura operaia presenta la cultura come il variegato insieme dei costumi e
delle abitudini delle diverse popolazioni del mondo.
DALLA CONCEZIONE CLASSICA ALLA CONCEZIONE MODERNA
Nella ricostruzione della sua genesi sociale si impongono e si diffondono nel XVIII
due concezioni fondamentalmente diverse:
• quella umanistica o classica presenta la cultura come un ideale di formazione
individuale, un’attività che consente di “coltivare” l’animo umano. Il concetto è
associato all’idea del progresso, in particolare alla fiducia che l’educazione possa
migliorarlo ingentilendolo, raffinandolo, nutrendolo, trasformandolo..
• quella moderna si afferma compiutamente alla fine dell’Ottocento, ad opera di
alcuni pensatori tedeschi che hanno contrapposto all’universalismo astratto dei
Lumi la particolarità, varietà e concretezza della cultura di ogni singolo popolo.
La cultura vi è descritta come un insieme omogeneo di tradizioni (costumi e
abitudini), disposizioni morali e conquiste intellettuali, che esprimono lo spirito
più profondo e autentico di un popolo, concernendo quindi soltanto l’individuo,
ma anche le collettività in cui è inserito.
I CARATTERI DELLA CULTURA NELL’ANTROPOLOGIA
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il concetto di cultura viene
definito con rigore scientifico.
Il problema era quello di rendere comprensibili fenomeni nuovi che, agli occhi
degli occidentali civilizzati di allora, potevano sembrare pure bizzarre,
comportamenti irrazionali e credenze ingenue.
Infatti si denota nelle varie scienze sociali uno sguardo più neutro, più interessato a
descrivere come è la realtà sociale che a prescrivere come dovrebbe essere e a
riflettere sull’estrema varietà dei costumi, delle norme sociali, delle tradizioni che
caratterizzano le società umane.
E’ proprio la diversità dei costumi e delle abitudini di vita, particolari e legate a
una specifica località, a formare il nuovo contenuto della nozione di cultura
L’Antropologia è stata la prima a produrre una riflessione sullo studio della cultura.
Tra i fondatori è ad Edward Burnett Tylor che si deve, in particolare, la prima
definizione del concetto antropologico di cultura:
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• la cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme
complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto,
il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come
membro di una società (1871).
Da questa prima definizione di cultura si possono enucleare tre Componenti
principali della cultura:
• Complessi di norme e di credenze esplicite, elaborati in modi più o meno
formalizzati
• Costumi e abitudini acquisite da esseri umani per il semplice fatto di vivere in
determinate comunità, comprese quindi le azioni ordinarie della vita quotidiana
(aspetto più innovativo)
• Artefatti delle attività umane, dalle opere d’arte vere e proprie agli oggetti di uso
quotidiano e tutto quanto fa riferimento alla cultura materiale, al sapere necessario
per vivere
Le Caratteristiche che definiscono la cultura nella concezione descrittiva
dell’antropologia sono principalmente tre:
• La cultura è appresa nel senso che non è riducibile alla dimensione biologica
dell’esistenza umana. Infatti non tutti i fenomeni osservabili sono di tipo culturale
(es: colore degli occhi). In ogni tipo di processo di apprendimento c’è
rielaborazione, re-interpretazione e adattamento.
• La cultura rappresenta la totalità dell’ambiente sociale e fisico che è opera
dell’uomo, a ricomprendere nel concetto di cultura tutto ciò che l’uomo apprende
e crea insieme ai membri della propria comunità.
• La cultura è condivisa all’interno di un gruppo o di una società. Essa è distribuita
in maniera omogenea all’interno di tali gruppi o società.
L’Antropologia ha identificato il proprio oggetto di studio nelle popolazioni
primitive, privilegiando cioè quella società in scala ridotta che ruota intorno alla
piazza del villaggio e dalla quale Hannerz (1992) ha ricavato in maniera efficace i
tipi di processi culturali che vi si svolgono, i modi cioè in cui la cultura viene
trasmessa e si sviluppa:
1. si tratta di una società faccia a faccia, in cui gli individui interagiscono sempre
tra di loro, molto frequentemente e all’interno di un ambiente limitato
geograficamente.
2. tutti si conoscono a fondo fin dalla nascita e usano gli stessi linguaggi dalla
culla alla tomba senza rilevanti innovazioni. Il corso degli eventi si ripete più o
meno uguale a se stesso, per cui ogni generazione vede che la successiva si
comporta come essa si comportava quando aveva la sua età e arriva a pensare e
a ritenere giuste le stesse cose, senza soluzione di continuità.
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L’IDEA DI CULTURA IN TRE TRADIZIONI SOCIOLOGICHE
Diversamente dall’Antropologia, che privilegiava gli studi empirici descritti delle
società tribali,
• la Sociologia, fin dagli esordi nella seconda metà dell’Ottocento, vuole essere
una scienza generale dei fenomeni sociali.
Inoltre, mentre l’Antropologa aveva assunto come proprio oggetto specifico di studio
le popolazioni primitive,
• la Sociologia era sorta proprio con l’intento di determinare la struttura della
moderna società industriale e dei processi di rapida e radicale
trasformazione che l’avevano caratterizzata.
SCUOLA DI CHICAGO: la diversità culturale della metropoli
Questa scuola era interessata all’analisi dei processi sociali (di integrazione, di
comunicazione e mobilità sociale) innescati nelle metropoli americane dai flussi
ininterrotti di arrivo di immigrati soprattutto dal Sud e dall’Est dell’ Europa.
Gli autori di questa scuola subiscono molto l’influenza dell’antropologia culturale
William Thomas analizzano il processo con cui la cultura di origine degli
immigrati polacchi incide sul modo con cui si inseriscono nella nuova comunità.
Cruciale il ruolo attribuito all’interpretazione che l’individuo dà della situazione
oggettiva in cui si trova, derivante dal suo retroterra culturale.
Viene messo infatti in luce il tentativo da parte degli immigrati polacchi di
mantenere una propria identità culturale anche nello sforzo di integrazione nella
società americana.
Per lo studio dei processi di integrazione degli immigrati polacchi viene utilizzato il
metodo etnografico basato non solo su fonti statistiche, materiale autobiografico,
documenti personali di vario tipo, che consentivano di descrivere l’espressione di
valori, rappresentazioni e credenze comuni.
Attraverso questo metodo William Thomas ritiene che:
• le differenze di integrazione siano legate alla cultura
• la realtà sociale è dunque oggettiva ma in certa misura modificabile dal
soggetto che l’interpreta e la definisce secondo i propri schemi.
• il patrimonio culturale non sia fisso ma abbia un carattere interattivo e
processuale
• delinea la teoria dell’uomo marginale: colui che sperimenta un’
incongruenza tra il sistema culturale della comunità da cui proviene e
quello della società di arrivo, vivendola come una duplice perdita:
• di status, ossia di riconoscimento da parte del suo gruppo,
• di senso del proprio sé, ossia di riconoscimento del suo ruolo all’interno
del gruppo.
Thomas descrive la crisi che sopraggiunge quando il modello culturale con cui
l’immigrato interpretava il mondo non funziona più come un sistema indiscusso di
orientamento per cui egli deve mettere in discussione tutto ciò che per gli altri è
invece dato per scontato.
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Per la prima volta viene messo in luce lo stretto rapporto esistente tra identità e
cultura: tra concezione di sé e forme del riconoscimento sociale.
Si fa, dunque, strada l’idea che preservare le radici e la memoria, attraverso il ruolo
delle associazioni e della stampa, possa essere un modo positivo di far fronte ai
problemi di inserimento degli immigrati e di influire sui processi di riorganizzazione
sociale.
Alcuni anni più tardi i coniugi Robert ed Helen Lynd davano l’avvio agli studi di
comunità volgendo l’attenzione alle città americane di medie dimensioni, che
chiamarono Middletown, con l’assunto che la vita complessa, tipica delle
metropoli americane, fosse riducibile agli stessi generi di attività principali
riscontrabili nelle organizzazioni locali delle città.
Il risultato più importante del loro studio dal punto di vista dell’analisi culturale è
che
• le grandi trasformazioni intervenute a livello tecnico ed economico a
Middletown non si erano tradotte in un altrettanto imponente mutamento a
livello culturale;
• la popolazione tendeva a resistere al nuovo ambiente accentuando il proprio
conformismo;
Ne emergeva un quadro
• di assenza di significato delle relazioni umane e sociali,
• di isolamento tra le persone
• di distruzione dei legami tradizionali di vicinato.
I coniugi Lynd con questi studi avevano l’ambizione di provare l’unità della cultura
americana nella sua globalità, altri autori, invece, come Park, che proseguirono nello
studio della “microsociologia urbana”, esplorarono la straordinaria diversità
culturale della vita urbana americana, accentuando dunque gli aspetti conflittuali o
segregati, le diversità di stili di vita, credenze e pratiche sociali che caratterizzavano
specifici gruppi o spazi sociali del microcosmo urbano.
Park identifica i tratti salienti della complessità culturale delle condizioni di vita
urbane
• nella moltiplicazione degli stimoli che bombardano gli individui e
• nella pluralizzazione dei contatti
Quando più questi si moltiplicano tanto più diventano instabili generando effetti di
estrema “individualizzazione” e “differenziazione morale e simbolica”.
Egli applica il metodo etnografico e la prospettiva antropologica per lo studio dei
popoli primitivi all’investigazione dei costumi e degli stili di vita che caratterizzano a
i diversi quartieri e aree in cui l’ambiente urbano si articola, considerandoli come
“vicinati”, ossia la più piccola unità locale nell’organizzazione sociale e politica
della città che presenta reti di relazioni sociali con propri sentimenti, tradizioni e
anche una propria storia.
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Il vicinato, però, perde gran parte dei caratteri di intimità e stabilità in conseguenza
della rapidità e facilità dei mezzi di comunicazione e di trasporto che consentono agli
individui di spostarsi da una rete di relazione a un’altra e di vivere
contemporaneamente in mondi diversi.
In quegli stessi anni un filosofo e psicologo sociale dell’Università di Chicago,
George Herbert Mead (1863-1931):
• sviluppa una teoria della socialità della mente e dell’identità in cui l’aspetto
simbolico della comunicazione era posto in primo piano
• ritiene che il “pensiero” e il “sé” non si formino in solitudine attraverso un
atto introspettivo che metta a nudo una facoltà innata, ma scaturiscono dall’
interazione con gli altri, quando, attraverso il linguaggio, riusciamo a
richiamare in noi stessi il significato che quel gesto vocale evoca negli altri con
cui comunichiamo.
• ha identificato nell’ l’uso di simboli significativi il meccanismo centrale
attraverso cui l’individuo impara ad assumere il ruolo degli altri, a divenire
riflessivamente oggetto a se stesso, a sviluppare il proprio pensiero.
SCUOLA FRANCESE: la società come comunità simbolica
La tradizione centrale della sociologia nasce in Francia ed è legata al nome del suo
interprete più significativo Emile Durkheim (1858-1917) che utilizza i dati
etnografici ricavati dalle società semplici per spiegare il funzionamento della società
nel suo complesso, fosse questa tribale o moderna.
Durkheim attribuisce al termine cultura un posto centrale nella teoria sociologia
non solo perché sotto l’ombrello concettuale della cultura compaiono tra i temi più
esplorati come i valori, le norme, le credenze religiose, concezioni del mondo,
morale, memoria, linguaggio le forme di classificazione ma soprattutto perché,
ponendosi il problema del “come mai la società stia insieme senza disintegrarsi in
lotta reciproca”, riteneva che fosse la dimensione simbolica a costituire il cemento
della società.
I “simboli”, prodotti da forme diverse della stessa struttura sociale, sono le credenze e
i rituali condivisi in quanto svolgono la duplice funzione di raffigurare la società, di
rappresentarla e di consentire la comunicazione tra i suoi membri.
Essi generano, attraverso una sorta di “corrente emotiva”, un consenso morale e
cognitivo che unisce gli individui, crea vincoli reciproci e consente loro di
identificarsi in un collettività che li trascende.
Quindi ogni società si stabilisce e permane solo se si costituisce come comunità
simbolica. Il processo di differenziamento sociale, che determina il passaggio dalle
società tradizionali alle società industriali moderne, non comporta il deperimento
della dimensione simbolica della comunità sociale, ma soltanto un suo cambiamento,
cioè la coscienza collettiva subisce una trasformazione sia nella forma sia nel
contenuto, ma non scompare:
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• Forma: più si sviluppa la divisione del lavoro più la coscienza collettiva
diventa più debole, vaga e meno capace di uniformare i comportamenti
individuali;
• Contenuto: la coscienza collettiva diventa meno definita da orientamenti
religiosi e centrata su valori individualistici. Questi ultimi diventano talmente
diffusi e rilevanti nelle società moderne occidentali che prefigurare una sorta
di religione laica che Durkheim chiama “culto dell’individuo” , ciò significa
che l’individuo diventa un soggetto sacro per la società stessa, una fonte
autonoma di azione e di responsabilità. Anche il culto dell’individuo
rappresenta dunque un sistema di valori e credenze condiviso dalla collettività
sociale.
Per rilevare il fatto che gli essere umani, in tutti i tipi di società, non cooperano
soltanto nelle loro attività, ma anche in ciò che pensano, a cui danno valore e in cui
credono, Durkheim usa il concetto di “Rappresentazioni collettive”, cioè forme di
pensiero cognitivo, credenze religiose, miti, norme e valori morali condivise da un
gruppo sociale, sentite dagli individui come obbligatorie (NB: le rappresentazioni
individuali sono invece stati mentali di natura psicologica, relativamente autonome).
Esse sono considerate da Durkheim vere e proprie istituzioni sociali, sono simili al
linguaggio.
Durkheim vuol dire che esiste una parte non del tutto cosciente della
rappresentazione esterna alla coscienza individuale che ci costringe entro regole e
logiche che anche se prodotte dagli uomini, non sono in grado di controllare e
plasmare a piacimento.
Costituiscono un elemento ordinatore e regolativo del comportamento individuale.
Questi caratteri, esteriorità e obbligatorietà, che definiscono quelli che Durkheim
chiama i “fatti sociali”, costituirebbero la prova che questi modi di agire e di pensare
non sono opera dell’individuo, ma derivano dalla loro cooperazione.
Egli ha individuato “nell’anomia (carenza di regole) che genera l’incapacità di
imporre dei limiti ai desideri delle persone regolandone le aspettative, una delle
situazioni di disordine culturale che conduce al sorgere di patologie individuali e
impulsi autodistruttivi”.
SCUOLA TEDESCA: il problema del significato e del ruolo delle idee
Non c’e una vera e propria scuola sociologica tedesca, perche non c’e un approccio
unitario.
Il contributo di autori come Georg Simmel e Max Weber e incastonato nel contesto
storico e nazionale tedesco, che all’epoca risentiva di tre dibattiti in particolare:
1. Dibattito metodologico, sulle modalità di comprensione dei fenomeni culturali:
Al metodo nomotetico (tipico delle scienze naturali, volto alla costruzione di leggi
generali) veniva dunque contrapposto il metodo idiografico, (tipico delle scienze
dello spirito) orientato a descrivere i fenomeni della vita storica e sociale cosi come
si presentano nella loro individualità. In questa discussione le correnti di pensiero
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che facevano capo a Wilhelm Dilthey erano giunte a contrapporre la spiegazione
in base a causa dei fatti naturali alla comprensione in base al significato dei
fenomeni storico-sociali. Sia Max Weber e Georg Simmel , pur riconoscendo la
distinzione tra scienza della natura e scienza della cultura, si allontanano
dall’impostazione di Wilhelm Dilthey. Per:
• Simmel (1858-1918): sostiene che interpretazione e spiegazione non sono in
contrapposizione ma fanno parte del medesimo discorso conoscitivo e che in
quanto tali possono fondersi. Le scienze, in qualunque campo operino, si fondano
sempre su ipotesi che valgono sino a prova contraria. Sono sempre provvisorie e
il loro contenuto frammentario. Non si può mai aspirare alla verità
• Weber (1864-1920) è quasi dello stesso avviso, soltanto che propone un metodo
più rigoroso per fondere interpretazione e spiegazione: con la prima si punta a
formulare un’ipotesi, con la seconda si verifica la sua tenuta, costruendo prove
per mettersi al riparo dalla confutabilità.
• In questo modo, le basi su cui era nata la sociologia, cioè un certo positivismo, la
visione di Durkheim delle regole metodologiche, non vengono del tutto
abbandonate, ma vengono saldate con questa impostazione ‘tedesca’ per la quale,
oltre alle strutture della società, sono altrettanto importanti gli insiemi dei
significati soggettivi che muovono l’azione sociale cioè il comportamento di uno
o più individui in relazione al fatto che si è consapevoli della presenza degli altri,
cioè della società. Essi, come essere culturali, danno sempre uno o più significati
al proprio comportamento o a quello degli altri.
• Metodologia di Weber: i dati empirici vengono selezionati sulla base dei valori
che ispirano il sociologo. I valori qui non sono da intendere nel senso di moralità,
norme o orientamenti personali del sociologo, ma ciò che egli ritiene centrale da
esaminare per valutare un fenomeno.
• Per Weber la Cultura è l’insieme delle interpretazioni fatte proprie dai gruppi
sociali. A tali interpretazioni sono riconducibili i fenomeni sociali di grande
portata come i costumi, le convenzioni, le regole, le leggi e le istituzioni che
caratterizzano i gruppi stessi, conferiscono a tali gruppi un’identità collettiva,
che trasmettono e a volte impongono agli individui.
• Le diverse interpretazioni configurano anche diversi interessi presenti all’interno
della società. Secondo Weber alla base dei conflitti sociali vi sono interessi
materiali e interessi ideali. A volte nella comprensione del conflitto sono più
importnati i primi, altre volte i secondi, altre volte ancora entrambi.
2. Controversia tra idealismo e materialismo nata da due quesiti ai quali i sociologi
cercavano di dare una risposta. Sono le idee, i pensieri, le filosofie e quindi in un
certo senso anche la cultura a muovere la storia, il cambiamento, i rapporti sociali ?
Oppure sono i rapporti sociali, le strutture, le condizioni materiali, l’organizzazione
socioeconomica ad essere il motore della storia e quindi a spiegare anche la cultura,
le idee, le filosofie, le religioni e così via? Risposta relativa: il ruolo delle idee come
motore degli eventi umani è tanto importante quanto quello delle condizioni
materiali di vita delle varie classi sociali.
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• Weber, attraverso le sue opere, tenta di mostrare il ruolo cruciale, e
indipendente da altre forze sociali, svolto dalle credenze e dai valori
nell’orientare in un senso piuttosto che in un altro il comportamento delle persone
e quindi nell’influenzare il corso degli avvenimento. Ne “L’etica protestante e
lo spirito del capitalismo (1904-1906)” mostra, infatti, come vi sia un
condizionamento reciproco tra aspetti dell’economia e caratteri della
cultura, tra elementi pratici del sociale ed elementi che hanno a che fare con
idee e valori.
• Simmel: anche per lui tra condizioni sociali e idee vi è un rapporto di causalità
reciproca a causa di una modernizzazione globale che produce un’oggettivazione
dei valori che porta il pensiero umano a divenire sempre più attento a tutti gli
aspetti della vita che si prestano a essere calcolati e quantificati. La cultura
moderna è diventata secondo Simmel, oggettiva, in fatti l’uomo che, nel suo
sforzo di appagamento psichico, si rivolge ai contenuti della cultura oggettiva,
rimane necessariamente frustato perché non è più in grado di incorporarli e farli
propri, non è più capace di farli diventare cultura soggettiva. Questa situazione è
il frutto del portato psicologico dell’individualismo prodotto dalla
differenziazione sociale
3. Equivalenza tra cultura e tradizione. Questa viene meno perché la cultura non
è solo consuetudine ma è innovazione e implica dunque un ruolo attivo delle idee.
Questo punto identifica la principale differenza tra l’impostazione di Weber e
quella di Durkheim rispetto alla cultura:
• Durkheim: le rappresentazioni collettive sono viste come un sistema
chiuso, statico e come prodotti anonimi di forze e meccanismi sociali che
operano perlopiù alle spalle degli attori sociali, indipendentemente dalla loro
coscienza;
• Weber: la cultura riveste un ruolo attivo di mediazione tra gli interessi degli
strati sociali e l’agire sociale, nel senso che orienta questi interessi in una
direzione piuttosto che in un’altra. Così se si può dire che gli strati borghesi
degli artigiani e dei commercianti dell’Europa moderna fossero soprattutto
mossi dal loro interesse al guadagno, a indirizzare il loro comportamento nella
direzione del razionale perseguimento di quest’ultimo fu l’etica ascetica nel
protestantesimo.
Karl Mannheim e Max Scheler:
• elaborano i fondamenti della sociologia della conoscenza (1924)
• si occupano del condizionamento sociale del pensiero e delle idee
• però i fattori sociali
o per Scheler favoriscono solo la comparsa, in un dato periodo storico, di
certe configurazioni di valori piuttosto che altre (i valori eterni della
cultura si possono realizzare solo sotto determinate condizioni sociali),
o per Mannheim essi condizionano anche il loro contenuto.
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