psicosi nel Parkinson

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PSICOSI NEL PARKINSON, PIMAVANSERINA
SUPERA LA FASE 3
16 novembre 2013
Secondo uno studio angloamericano apparso su Lancet, pimavanserina, agonista inverso selettivo
dei recettori serotoninergici 5HT2A, può portare benefici ai pazienti affetti da psicosi nella malattia
di Parkinson per i quali esistono poche altre opzioni di trattamento.
«Più del 50% dei pazienti con malattia di Parkinson ha disturbi psicotici che si manifestano con
allucinazioni e delirio» ricorda Jeffrey Cummings, del Cleveland Clinic Lou Ruvo Center for Brain
Health di Las Vegas, coordinatore dello studio. «Le linee guida consigliano innanzitutto di
verificare le comorbidità e di ridurre la terapia dopaminergica».
«Spesso questi interventi sono insufficienti» prosegue «ma esistono poche opzioni terapeutiche. Gli
antipsicotici tipici possono causare un profondo antagonismo dopaminergico sui recettori D2 e
peggiorare il parkinsonismo». Per questo si ricorre agli antipsicotici atipici, tra i quali pochi sono
tollerati o, se tollerati, efficaci. Dunque il trattamento della psicosi nel Parkinson resta una priorità.
«Nella malattia di Parkinson» spiegano gli autori «il legame dei recettori 5-HT2A è aumentato nella
neocorteccia, e le allucinazioni visive sono associate a un numero maggiore di recettori 5-HT2A
nelle aree di processazione visiva». Con la sua selettività recettoriale, dato che non ha affinità
dopaminergica, adrenergica, istaminergica o muscarinica, pimavanserina è stata sviluppata per
offrire benefici senza provocare gli effetti avversi degli attuali antipsicotici.
Nell'attuale trial di fase 3 - della durata di 6 settimane, randomizzato, in doppio cieco e controllato
con placebo – sono stati arruolati soggetti di almeno 40 anni d'età affetti da malattia di Parkinson
con psicosi. «Non è stato concesso l'impiego di trattamenti antipsicotici nel corso della ricerca»
spiegano gli autori «ma era permesso il ricorso a farmaci antiparkinsoniani o alla stimolazione
cerebrale profonda».
I partecipanti eleggibili al protocollo sono stati inseriti in una fase non farmacologica iniziale di 2
settimane per limitare la risposta al placebo. «Questo tipo di disegno dello studio» commentano gli
autori «può trovare applicazione anche in altri studi per malattie neuropsichiatriche».
Successivamente i pazienti sono stati suddivisi in modo randomizzato, in proporzione 1:1, a
ricevere pimavanserina al dosaggio di 40 mg/die o un placebo.
L'outcome primario era costituito dal beneficio antipsicotico misurato da valutatori centrali e
indipendenti tramite la Parkinson's disease-adapted scale for assessment of positive symptoms
(SAPS-PD) in tutti i pazienti che avevano ricevuto almeno una dose del farmaco; la valutazione
della scala SAPS è stata effettuata al basale e ad almeno un follow-up. In tutti i pazienti che hanno
ricevuto almeno una dose del farmaco, inoltre, ne sono state valutate sicurezza e tollerabilità.
«Tra l'11 agosto del 2010 e il 29 agosto del 2012 abbiamo suddiviso 199 pazienti nei due gruppi di
trattamento» spiegano gli studiosi. «Per 90 pazienti trattati con placebo e 95 pazienti del gruppo
pimavanserina inclusi nell'analisi primaria, il farmaco attivo è risultato associato a una riduzione di
5,79 punti del punteggio SAPS-PD rispetto a 2,73 nel gruppo placebo (differenza: 3,06 punti, pvalue=0,001).
Dieci pazienti del gruppo pimavanserina hanno sospeso il trattamento a causa di un evento avverso
(in 4 casi per via di disturbi psicotici o allucinazioni comparsi entro 10 giorni dall'inizio dello
studio) mentre nei soggetti trattati con placebo si sono avute 2 interruzioni. «Complessivamente»
affermano gli autori «pimavanserina è risultata ben tollerata senza dare timore significativi circa la
sicurezza né causare peggioramenti della funzione motoria» ed «è riuscita a ridurre in modo
significativo i sintomi psicotici in pazienti con malattia di Parkinson da moderata a grave».
«Sebbene le allucinazioni siano più frequenti del delirio, quest'ultimo rappresenta un segno di
malattia più avanzata e di comorbidità con la demenza» aggiungono. «Ottenere benefici in entrambi
i sintomi potrebbe tradursi in vantaggi terapeutici rilevanti ai fini della progressione a lungo
termine». In tal senso, l'entità degli effetti notati con pimavanserina (miglioramento del sonno,
minore carico per il caregiver) suggeriscono che i suoi benefici siano clinicamente significativi e
più ampi.
Un limite di questo studio è la mancanza di dati di sicurezza e mantenimento di efficacia oltre le 6
settimane. Non a caso sono già in corso studi di sicurezza per l'uso cronico di pimavanserina in
aperto, in cui la più lunga durata di trattamento è superiore agli 8 anni e si calcola un'esposizione di
oltre 700 paziente-anno.
Arturo Zenorini
Cummings J, Isaacson S, Mills R, et al. Pimavanserin for patients with Parkinson's disease
psychosis: a randomised, placebo-controlled phase 3 trial. Lancet, 2013 Otc 31. [Epub ahead of
print]
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