Misura dell`angolo di Lorentz nei rivelatori a microstrisce del

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Tesi di Laurea in Fisica
di
Simone Frosali
Misura dell’angolo di Lorentz
nei rivelatori a microstrisce del
tracciatore di CMS
Candidato: Simone Frosali
Relatore:
Prof. Raffaello D’Alessandro
Anno Accademico 2005 - 2006
ai miei genitori
a don Giussani
“Ma certo, dolce figlia di Eva - disse il fauno più entri nel cuore delle cose e più grandi diventano.
L’interno è sempre più grande dell’esterno.
Sı̀, come gli strati di una cipolla - confermò Tumnus L’unica differenza è che più entri nel cuore delle cose,
più grandi sono gli universi che scopri.”
C. S. Lewis, “Le Cronache di Narnia”
Indice
Introduzione
v
1 LHC e l’esperimento CMS
1
1.1
1.2
La fisica a LHC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
1.1.1
La ricerca del bosone di Higgs . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2
1.1.2
La Supersimmetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4
1.1.3
Fisica dei mesoni B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6
Il Large Hadron Collider . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.2.1
1.3
Fenomenologia delle collisioni a LHC . . . . . . . . . . . . . . 10
Il rivelatore CMS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.3.1
Il magnete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.3.2
Il tracciatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.3.3
Il calorimetro elettromagnetico (ECAL) . . . . . . . . . . . . . 15
1.3.4
Il calorimetro adronico (HCAL) . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.3.5
Camere per i muoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.3.6
Trigger e DAQ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2 Il tracciatore al silicio di CMS
2.1
23
Geometria del tracciatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.1.1
Il tracciatore a pixel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.1.2
Il tracciatore a microstrisce di silicio . . . . . . . . . . . . . . 25
2.2
Il rivelatore a microstrisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.3
Elettronica di lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.4
2.5
2.3.1
APV-25 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.3.2
Multiplexer (MUX) e Opto-Ibrido Analogico (AOH) . . . . . . 37
2.3.3
Il convertitore analogico-digitale: Front-End Driver (FED) . . 38
Elettronica di controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.4.1
Anello di controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.4.2
Detector Control Unit (DCU) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
Ricostruzione offline . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
i
ii
INDICE
2.5.1
Ricostruzione degli hit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3 Rivelatori al silicio in campo magnetico
3.1
3.2
Proprietà del silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.1.1
Silicio intrinseco e drogato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
3.1.2
La giunzione pn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
3.1.3
Moto dei portatori di carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
Mobilità dei portatori di carica nel silicio . . . . . . . . . . . . . . . . 57
3.2.1
3.3
3.4
49
Effetti del campo magnetico sulla mobilità . . . . . . . . . . . 59
Rivelatori al silicio a microstrisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
3.3.1
Principi generali di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . 62
3.3.2
Effetti del campo magnetico sul segnale . . . . . . . . . . . . . 66
Modello per la stima dell’angolo di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . 68
3.4.1
Descrizione del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
3.4.2
Stima dell’angolo di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
3.4.3
Stima delle incertezze a priori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
4 Magnet Test - Cosmic Challenge
4.1
79
Il tracciatore per il MTCC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
4.1.1
Pre-commissioning a B186 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
4.1.2
Configurazione a P5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
4.2
Prestazioni dei rivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
4.3
Tracciatura con il CosmicTrackFinder
4.4
. . . . . . . . . . . . . . . . . 91
4.3.1
Creazione del Seed . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
4.3.2
Pattern recognition . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
4.3.3
Fit della traccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
4.3.4
Risultati ottenuti sulle simulazioni
. . . . . . . . . . . . . . . 94
Allineamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
5 Misura dell’angolo di Lorentz
101
5.1
Principio di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
5.2
Algoritmo utilizzato per la misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
5.2.1
Informazioni in ingresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
5.2.2
Correzione sull’orientazione dei moduli . . . . . . . . . . . . . 105
5.2.3
Fit della tangente dell’angolo di Lorentz . . . . . . . . . . . . 107
5.3
Misure preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
5.4
Misura dell’angolo di Lorentz con soglie 657 . . . . . . . . . . . . . . 116
5.5
Confronto con il modello e risultato finale . . . . . . . . . . . . . . . 119
INDICE
iii
Conclusioni
125
Bibliografia
I
Introduzione
Il Large Hadron Collider (LHC), il collisionatore adronico circolare che sta sorgendo
al CERN (Centro Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra e la cui data di
inizio attività è prevista per Novembre 2007, sarà in grado di esplorare le interazioni
fondamentali della materia ad energie mai raggiunte prima, attraverso collisioni di
due fasci di protoni con una energia a centro di massa di 14 TeV.
Il mio lavoro di tesi si è sviluppato nell’ambito di uno dei quattro esperimenti che
verranno installati presso LHC, e cioè il Compact Muon Solenoid (CMS). Il gruppo
di ricerca con il quale ho lavorato si occupa in particolare del sistema tracciante
che si troverà ad operare all’interno del magnete di CMS, in presenza di un campo
magnetico pari a 4 T. Si tratta di un apparato estremamente sofisticato, che sarà
in grado di ricostruire con precisione i punti di passaggio delle particelle cariche
prodotte nelle interazioni. Esso è costituito da rivelatori al silicio realizzati con la
tecnologia dei pixel e delle microstrisce, per una superficie totale di rivelatori pari
a 198 m2 , ben al di là dei tracciatori mai realizzati fino ad oggi con questo tipo di
tecnologia.
Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di misurare l’angolo di deviazione
nel moto di deriva dei portatori di carica all’interno dei rivelatori a microstrisce del
tracciatore di CMS, dovuto alla presenza di un campo magnetico. Tale angolo, detto angolo di Lorentz, si traduce in uno spostamento nelle coordinate misurate dai
rivelatori dei punti di passaggio delle particelle, che, se non adeguatamente corretto, provoca un’erronea ricostruzione delle tracce. La misura dell’angolo di Lorentz
dei portatori di carica è quindi di fondamentale importanza per correggere adeguatamente questo effetto e per poter eseguire in definitiva una corretta ricostruzione
delle tracce.
Ho eseguito la misura utilizzando le tracce ricostruite di raggi cosmici acquisiti
con una sottoparte del tracciatore a microstrisce (comprendente 133 rivelatori) posta
in un campo magnetico di 3.8 T. Questi dati sono stati raccolti nell’ambito del
“Magnet Test - Cosmic Challenge” (MTCC), che si è svolto a Ginevra nei mesi di
Luglio - Agosto 2006 e a cui ho partecipato personalmente con turni di presa dati.
La tesi è articolata in cinque capitoli.
vi
INTRODUZIONE
Nel Capitolo 1 descriverò l’esperimento CMS nel suo insieme, accennando ai vari
rivelatori che lo compongono, alla loro funzione e alle loro prestazioni. Accennerò
inoltre ai principali obbiettivi di ricerca che si prefigge l’esperimento.
Nel Capitolo 2 parlerò in maniera più approfondita del sistema di tracciatura, e in
particolare delle componenti che ospitano i rivelatori a microstrisce, descrivendone la
geometria, il funzionamento e le caratteristiche dei rivelatori, l’elettronica di lettura
e di controllo. Introdurrò inoltre gli algoritmi utilizzati per la ricostruzione dei punti
di passaggio delle particelle.
Nel Capitolo 3 descriverò i principi di funzionamento dei rivelatori al silicio,
con particolare attenzione agli effetti prodotti dal campo magnetico sul moto dei
portatori di carica. Descriverò inoltre un modello dell’angolo di Lorentz da me
formulato, attraverso il quale è stato possibile ricavare una stima dell’angolo di
Lorentz atteso per i rivelatori da noi utilizzati.
Nel Capitolo 4 parlerò del MTCC, mostrando in particolare il sistema di trigger
utilizzato e alcune misure che evidenziano le prestazioni dei rivelatori presenti al
test. Descriverò inoltre gli algoritmi di tracciatura e allineamento da me utilizzati
per la misura e mostrerò alcuni risultati ottenuti sia sui dati che sulle simulazioni.
Nel Capitolo 5 descriverò infine l’algoritmo da me sviluppato per la misura dell’angolo di Lorentz e i risultati della misura ottenuti con i dati del MTCC. Confronterò inoltre tali risultati con il valore dell’angolo di Lorentz previsto dal mio
modello.
Capitolo 1
LHC e l’esperimento CMS
La fisica subnucleare si rivolge oggi alla ricerca di particelle prodotte con sezioni
d’urto tipicamente del femtobarn1 . Con la tecnologia attualmente disponibile è possibile realizzare collisionatori adronici a fasci incrociati molto intensi in grado di
esplorare lo spettro di energie a cui avvengono questi processi. Inoltre nei collisionatori adronici, a differenza di quelli leptonici, dato che le interazioni non avvengono
a livello degli adroni ma dei loro costituenti, l’energia del centro di massa non è
univocamente determinata dalle energie dei fasci; questo fatto permette di esplorare
uno spettro più ampio di energie. In altre parole un collisionatore adronico è quindi
una macchina fatta per scoprire nuove particelle. Per queste ragioni sta sorgendo al
CERN di Ginevra il Large Hadron Collider (LHC) [1], che risulterà il più potente
collisionatore protone-protone mai realizzato e che inizierà la sua attività nel 2007.
In questo capitolo descriverò alcuni dei principali aspetti della fisica che sarà
osservabile ad LHC, e fornirò inoltre una descrizione generale di uno dei quattro
esperimenti che verranno montati a LHC, il Compact Muon Solenoid (CMS) [2],
presso il quale si è svolto il mio lavoro di tesi.
Per tutto il capitolo utilizzerò il sistema di coordinate naturali, con c = 1 e ~ = 1.
1.1
La fisica a LHC
In questo paragrafo descriverò alcuni dei principali aspetti della fisica che sarà oggetto di studio a LHC, e in particolare a CMS. Innanzitutto parlerò della ricerca
del bosone di Higgs, una particella la cui esistenza è predetta dal Modello Standard
(MS) e attraverso la quale si riesce a dotare di massa i bosoni vettoriali mediatori
dell’interazione debole, nonché i campi dei leptoni e dei quark, tramite il cosiddetto
1
1 barn = 10−28 m2 .
2
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
“meccanismo di Higgs”. Altri aspetti della fisica oggetto d’indagine ad LHC a cui
accennerò sono la Supersimmetria e la fisica dei mesoni B.
1.1.1
La ricerca del bosone di Higgs
Il principale obbiettivo di CMS, è la ricerca del bosone di Higgs, H0 [3]. La teoria
non è in grado di prevedere la massa di questa particella, ma riesce a prevederne
i meccanismi di produzione, i canali di decadimento e i relativi branching ratio in
funzione della massa. I più importanti meccanismi previsti per la produzione di H0
sono quelli riassunti in fig.1.1. In fig.1.2 sono riportate le sezioni d’urto per i processi
di produzione dell’Higgs.
Figura 1.1: Meccanismi di produzione del bosone di Higgs: (a) fusione di due gluoni,
(b) fusione di due W± o due Z0 , (c) fusione tra t e t̄, (d) bremsstrahlung di W± o
Z0 .
I dati raccolti al Large Electron Positron collider (LEP) fino al 2000 hanno permesso di stabilire un limite inferiore di 114 GeV per la massa di H0 . LHC sarà in
grado di esplorare l’intervallo di massa compreso tra i 114 GeV ed il limite superiore
di 1 TeV, imposto da argomenti di autoconsistenza della teoria. In fig.1.3 sono riportati i branching ratio di decadimento per il bosone di Higgs nel Modello Standard
in funzione della sua massa. Nell’intervallo di massa tra 114 GeV e 140 GeV i canali
più interessanti sono:
ˆ H → γγ
0
1.1. LA FISICA A LHC
3
ˆ H → bb̄
0
Il primo canale ha un branching ratio molto piccolo (BR ∼ 10−3 ), mentre l’altro ha
un branching ratio pari all’80%, ma ha il difetto di essere molto inquinato da eventi
di fondo.
Nel caso in cui la massa della particella di Higgs sia compresa tra 140 e 180 GeV
due possibili canali sono:
ˆ H →Z Z
ˆ H →W W
0
0 0∗
0
±
∓∗
dove l’asterisco indica particelle virtuali. I branching ratio di questi decadimenti sono
Figura 1.2: Sezioni d’urto per processi di produzione diretta o associata del bosone
di Higgs.
Figura 1.3: Branching ratio di decadimento del bosone di Higgs nel Modello Standard in funzione della massa. I decadimenti in coppie fermione-antifermione sono rappresentati da linee continue, quelli in coppie di bosoni di gauge da linee
tratteggiate.
4
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
bassi, ma crescono via via che ci si avvicina all’energia di soglia per la produzione
di particelle reali.
Tra 180 e 600 GeV il canale più importante è il decadimento in due Z0 e il loro
successivo decadimento in 4 leptoni.
Sopra i 600 GeV il canale preferenziale è il decadimento in 2 leptoni con produzione di 2 jet adronici2 .
1.1.2
La Supersimmetria
La Supersimmetria [4] (o SUSY, SUper SYmmetry) costituisce oggi il principale
candidato per una teoria unificata oltre il Modello Standard. Nelle teorie supersimmetriche ad ogni particella del MS corrisponde un’altra particella con gli stessi
numeri quantici, eccetto lo spin che differisce di 1/2; per ogni fermione esiste quindi
un nuovo bosone e viceversa. Queste nuove particelle sono dette supersimmetriche. Anche il settore di Higgs, cioè la parte di lagrangiana contenente i termini di
interazione con i bosoni di Higgs, è esteso nella SUSY.
Gli argomenti principali a sostegno dell’estensione supersimmetrica del MS sono:
ˆ Soluzione del Gauge hierarchy problem. Al fine di contenere sotto 1 TeV
la massa del bosone di Higgs si devono suppore, nell’ambito del MS, cancellazioni “accidentali” di contributi alle correzioni radiative con termini di massa
molto elevati. La Supersimmetria fornirebbe invece una spiegazione naturale
del contenimento della massa dell’Higgs.
ˆ Unificazione delle costanti di accoppiamento di gauge.
Secondo l’i-
potesi di Grande Unificazione tutte le interazioni note sono derivate da una
singola interazione associata ad un solo gruppo di gauge che include il gruppo
del MS come un sottogruppo. Mentre nel MS l’unificazione delle costanti di
accoppiamento di gauge, al crescere della scala di energia, è impossibile, in un
modello supersimmetrico è possibile ottenere una perfetta unificazione.
ˆ Materia Oscura.
La materia visibile (o luminosa) non è la sola materia
presente nell’Universo. Una grande quantità della materia presente è in realtà
costituita dalla cosiddetta Materia Oscura. Evidenze dirette dell’esistenza
della Materia Oscura sono, ad esempio, le curve di rotazione delle galassie a
spirale. Per spiegare tali curve è necessario assumere l’esistenza di un alone
galattico formato da materia non luminosa che prende parte all’interazione
gravitazionale, e che tale materia superi in quantità la materia barionica di
2
I jet adronici sono sciami molto collimati di adroni, che si generano a partire dai quark e dai
gluoni prodotti nelle collisioni ad alta energia.
5
1.1. LA FISICA A LHC
(a)
(b)
Figura 1.4: Simulazioni degli eventi previsti a CMS in qualche mese di presa dati
per: (a) distribuzione della massa invariante del b̃; in grigio chiaro il fondo. (b)
distribuzione della massa invariante del gluino g̃; in nero il fondo [5].
ordini di grandezza. La Supersimmetria fornisce un eccellente candidato a
questo scopo, il neutralino.
Esistono due modelli che descrivono il panorama delle possibili particelle supersimmetriche: il primo considera stabile la particella supersimmetrica più leggera (LSP,
Lightest Supersymmetric Particle), cioè il neutralino χ01 , mentre il secondo prevede
la possibilità di un suo decadimento. Se fosse vera la prima ipotesi la LSP, che è
neutra, interagirebbe solo debolmente e non sarebbe dunque rivelabile direttamente, ma solo tramite misure di energia trasversa mancante3 . Se invece fosse valida
la seconda ipotesi ci si aspetterebbe di rivelare jet e leptoni ad altissimo impulso
trasverso come risultato finale della catena di decadimento.
A titolo di esempio riporto alcuni risultati delle simulazioni del possibile segnale
proveniente dalla catena di decadimento di un gluino, il partner supersimmetrico
del gluone. È prevista la seguente catena (nell’ipotesi di stabilità della LSP) [5]:
g̃ → b̃b,
b̃ → χ02 b,
χ02 → ˜l± l∓ → χ01 l+ l−
dove g̃ è il gluino, b e b̃ sono rispettivamente il quark b e il suo partner supersimmetrico, χ0 e χ0 sono i neutralini, l sono leptoni e ˜l i super-leptoni. In fig.1.4 sono
2
1
riportate le distribuzioni simulate della massa invariante delle coppie χ̃02 b e di χ̃02 bb.
3
Per “mancante” si intende la parte di energia lungo la componente trasversa che per vari motivi
non è stata ricostruita. Nel MS è principalmente dovuta ai neutrini, che non interagiscono con
alcun rivelatore.
6
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
Il picco nella prima distribuzione corrisponde alla massa del b̃, mentre quello nella
seconda rappresenta la massa del gluino g̃, ricostruite grazie ad una accurata misura
di energia mancante (χ01 ), ad un’ottima ricostruzione dei leptoni (l+ , l− ) e infine ad
una buona capacità d’identificazione dei quark b.
Come vedremo nel seguito, CMS, grazie alla notevole risoluzione energetica ed
alla ermeticità del suo sistema calorimetrico, accoppiato ad un sistema tracciante
di altissime prestazioni, si propone come un rivelatore ideale per la scoperta di
particelle supersimmetriche.
1.1.3
Fisica dei mesoni B
Un altro importante aspetto della ricerca che verrà svolta presso gli esperimenti di
LHC è lo studio della fisica dei mesoni B [3], con particolare attenzione al problema
della violazione della simmetria CP. Dal punto di vista delle interazioni forti i due
autostati dei mesoni B neutri sono B0q = (b̄q) e B̄0q = (bq̄), dove q = d, s. Questi
due stati possono trasformarsi l’uno nell’altro tramite diagrammi elettrodeboli del
secondo ordine (fig.1.5), secondo un fenomeno chiamato mixing. Gli stati fisici che
si osservano sono quindi una combinazione lineare di B0q e B̄0q .
Il fenomeno della violazione di CP si può presentare secondo tre diverse modalità:
ˆ se gli stati fisici non sono autostati di CP si parla di violazione di CP nel
mixing. Questo effetto può essere evidenziato studiando le transizioni B0 → f
in cui lo stato finale f non può essere raggiunto direttamente dallo stato iniziale
B0 , mentre è consentito il decadimento B̄0 → f : in questo caso per osservare
la transizione è necessario che si verifichi l’oscillazione B0 → B̄0 .
ˆ si definisce invece violazione diretta di CP il fenomeno per cui, considerato un certo stato finale f , si ottengono valori differenti per le ampiezze di
decadimento di B → f e del suo CP-coniugato B̄ → f¯.
ˆ si parla di violazione di CP nell’interferenza tra decadimento con e senza mi-
xing quando lo stato finale è comune a B0q e B̄0q : in questo caso si può generare
Figura 1.5: Diagrammi che descrivono il mixing tra B0q e B̄0q .
1.2. IL LARGE HADRON COLLIDER
7
interferenza tra il processo di decadimento senza mixing B0q → f e quello
B0q → B̄0q → f in cui si è verificata un’oscillazione.
Lo studio verrà condotto tramite la misura dell’asimmetria nel decadimento dei
mesoni B0 e B̄0 in autostati di CP, definendo tale asimmetria come:
A=
Γ(B0 → f ) − Γ(B̄0 → f¯)
Γ(B0 → f ) + Γ(B̄0 → f¯)
I decadimenti che verrano studiati in particolare a CMS sono:
B0 → J/ψ K0s
B0 → J/ψ φ
B0 → π + π −
1.2
Il Large Hadron Collider
LHC [1] è attualmente in costruzione all’interno del tunnel che ha ospitato il collisionatore LEP fino al 2000, ad una profondità di circa 100 m, al confine tra Francia e Svizzera (fig.1.6). Si tratta di un collisionatore a fasci incrociati che sarà in
grado di raggiungere un’energia nel centro di massa pari a 14 TeV per collisioni
protone-protone. Sono previsti quattro punti di interazione per i due fasci, in corrispondenza dei quali verranno montati quattro esperimenti: ALICE (A Large Ion
Collider Experiment) [6], LHCb (LHC beauty experiment) [7], ATLAS (A Toroidal
LHC ApparatuS ) [8] e CMS (Compact Muon Solenoid ) [2].
La relazione approssimata che lega l’impulso delle particelle p, al raggio dell’orbita r, e all’intensità del campo magnetico B è [9]:
p[GeV/c] = 0.3 · Z · B[T] · r[m]
(1.1)
dove Z · e è la carica della particella, con e carica dell’elettrone. Avendo LHC un
raggio di 4.3 Km, è necessario un campo magnetico di 5.4 T per mantenere in orbita
particelle con impulso di 7 TeV. Per raggiungere queste energie sono necessari più
stadi di accelerazione (fig.1.7). Nel primo stadio i protoni verranno portati fino a
50 MeV da un acceleratore lineare detto LINAC. Successivamente due fasci estratti
dal LINAC raggiungeranno i 25 GeV all’interno del proto-sincrotone (PS), dopodiché
entreranno nel super proto-sincrotone (SPS) dove verranno accelerati fino a 450 GeV
e quindi immessi in LHC. Le cavità a radiofrequenza di LHC forniranno ai due fasci
un’energia di circa 450 keV per ogni giro, permettendo quindi il raggiungimento
dell’energia nominale in circa 20 minuti. Da questo momento in poi le cavità a
8
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
Figura 1.6: Il complesso sotterraneo di LHC e i siti degli esperimenti.
radiofrequenza serviranno a fornire l’energia persa per radiazione di sincrotone, cioè
circa 7 keV per giro. I fasci scorreranno paralleli entro due cavità all’interno delle
quali sarà mantenuto un vuoto molto spinto (10−9 ÷ 10−10 torr).
LHC si comporrà di sezioni curvilinee e sezioni lineari, la cui produzione è ormai
in fase di completamento. Le sezioni curvilinee sono equipaggiate con un sistema di
deflessione e collimazione dei fasci costituito da 1232 dipoli magnetici (fig.1.8), 386
quadrupoli, 360 sestupoli, 336 ottupoli. Si tratta di magneti superconduttori che,
grazie ad un sistema di raffreddamento ad elio liquido, operano ad una temperatura
di 1.9 K e sono in grado di generare campi magnetici che raggiungono, nel caso dei
dipoli, gli 8.33 T [1]. Le sezioni lineari invece ospitano le cavità superconduttrici a
radiofrequenza che operano a 400 MHz.
Oltre ai protoni verranno accelerati ad LHC, in una seconda fase, anche ioni di
piombo, ad un’energia di 2.76 TeV per nucleone.
Dal momento che le sezioni d’urto dei processi che si vogliono studiare sono
estremamente basse è necessario che l’acceleratore sia in grado di raggiungere una
elevata luminosità. Per un processo con sezione d’urto σ la luminosità L è definita
come [9]:
n = σL
(1.2)
dove n è il numero di particelle prodotte al secondo. Nel caso di collisionatori con
fasci simmetrici la luminosità può essere espressa in forma approssimata come [9]:
L=f
n1 n2
4πσx σy
(1.3)
1.2. IL LARGE HADRON COLLIDER
9
Figura 1.7: Il sistema di accelerazione.
Figura 1.8: Schema dei dipoli da 15 m utilizzati ad LHC.
dove n1 e n2 rappresentano il numero di particelle contenute nei due pacchetti che
collidono alla frequenza f , mentre σx e σy rappresentano le dimensioni trasverse dei
fasci. La luminosità si determina sperimentalmente utilizzando la relazione (1.2) su
un processo di sezione d’urto nota.
Si definisce inoltre la luminosità integrata come:
Z
N = σLdt = σL
(1.4)
dove l’integrale è calcolato sul tempo di attività della macchina. La luminosità
10
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
Processo
Eventi/s
Eventi/anno
W → eν
40
4 · 108
tt̄
1.6
bb̄
106
g̃g̃ (m = 1 TeV)
0.002
Higgs (m = 120 GeV)
0.08
Higgs (m = 800 GeV)
0.001
QCD jet pT > 200 GeV
102
Z → ee
4
4 · 107
1.6 · 107
1013
2 · 104
8 · 105
104
109
Tabella 1.1: Numero approssimativo di eventi per unità di tempo di alcuni processi
fisici a LHC, per una luminosità di L ≃ 2 × 1033 cm−2 s−1 . In questa tabella un anno
è equivalente a 20 fb−1 .
integrata si esprime in barn inversi4 (b−1 ).
Per LHC è prevista una prima fase di circa tre anni di bassa luminosità, con
L ≃ 2 × 1033 cm−2 s−1 , seguita da un graduale aumento fino al valore nominale di
L ≃ 1034 cm−2 s−1 . La luminosità integrata prevista è 20 fb−1 per anno nei primi tre
anni per un totale di 60 fb−1 raccolti. La seconda fase durerà almeno cinque anni
per un totale di 500 fb−1 raccolti. In Tab.1.1 è riportato il numero di eventi previsti
nella prima fase di LHC per alcuni dei processi fisici di interesse.
Per ottenere questi valori di luminosità i due fasci dovranno contenere 2808 pacchetti, ciascuno composto da circa 1.5 × 1011 protoni, che collideranno ogni 25 ns,
ovvero alla frequenza di 40 MHz [1]. Per le collisioni Pb-Pb è prevista una luminosità
di 1027 cm−2 s−1 . È possibile raggiungere valori cosı̀ elevati di luminosità grazie ad un
efficiente sistema di collimazione in grado di garantire una dimensione dei fasci nel
piano perpendicolare alla direzione di moto dell’ordine di 15 µm [1]. L’incertezza
nella posizione del punto di impatto tra i due fasci sarà invece di 7.5 cm attorno alla
posizione nominale.
1.2.1
Fenomenologia delle collisioni a LHC
A differenza dei leptoni i protoni non sono particelle elementari. Sono infatti costituiti da partoni: tre quark di valenza (uud ) immersi in un mare di gluoni e quark
4
Esprimendo la luminosità integrata in barn−1 si ha che il numero di eventi attesi, durante il
periodo di attività della macchina, per un certo processo caratterizzato da una sezione d’urto σ
espressa in barn, è dato semplicemente da L · σ.
1.2. IL LARGE HADRON COLLIDER
11
Figura 1.9: Sezioni d’urto per interazioni protone-protone in funzione dell’energia
nel sistema di riferimento del centro di massa [10].
generati dal decadimento in coppie quark-antiquark dei gluoni prodotti per radiazione dai quark di valenza. Le collisioni fra protoni ad alta energia avvengono a livello
dei partoni. Le reazioni anelastiche che si possono verificare sono raggruppabili in
due categorie:
ˆ Interazioni con basso impulso trasferito, caratterizzate da valori di impulso
trasverso attorno ai 500 MeV e da un piccolo angolo di scattering attorno alla
direzione dei fasci. Si tratta di processi poco interessanti, che rappresentano
però la maggior parte delle interazioni. Questo tipo di eventi viene detto di
Minimum Bias.
ˆ Collisioni frontali (head on) tra partoni, caratterizzate da alto impulso trasverso e dalla possibilità di produrre particelle pesanti, quali W± e Z0 . Si tratta
di eventi molto più rari, ad esempio la sezione d’urto per la produzione di W±
a 14 TeV è 140 nb [11], da confrontare con la sezione d’urto totale per interapp
zioni anelastiche σinelastic
= 55 mb. In fig.1.9 sono riportate le sezioni d’urto
√
dei processi di interesse in funzione dell’energia nel centro di massa ( s).
Considerando la sezione d’urto totale per interazioni anelastiche protone-protone
pp
σinelastic
e utilizzando la (1.2) si ottiene, in condizioni di alta luminosità, un numero
12
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
di eventi per unità di tempo pari a R = 5.5 × 108 eventi/s. Il numero di interazioni
anelastiche Nint per ogni incrocio dei fasci (detto bunch crossing) è dato da:
Nint =
R
f (1 − e)
(1.5)
dove f è la frequenza di incrocio dei fasci ed e = 20% è la frazione di bunch crossing vuoti per motivi legati al ciclo di funzionamento della macchina. Dalla (1.5)
si ottiene, sempre in condizioni di alta luminosità, un numero medio di interazioni
anelastiche per bunch crossing pari a 17.2. L’ambiente nel quale gli esperimenti si
troveranno ad operare sarà quindi molto denso di eventi di Minimum Bias, motivo
per cui sono richieste un’elevata risoluzione spaziale, per distinguere tra di loro le
particelle prodotte in uno stesso incrocio dei fasci, e un’elevata risoluzione temporale, tale da permettere l’individuazione del bunch crossing nel quale è avvenuto
l’evento di interesse. Sarà inoltre necessario un sistema di trigger in grado di ridurre notevolmente il numero di eventi per unità di tempo di cui memorizzare i dati,
scartando tutti quelli in cui sono presenti esclusivamente processi fisicamente non
interessanti.
1.3
Il rivelatore CMS
Il Compact Muon Solenoid è un rivelatore che si propone di esplorare le interazioni
fondamentali della materia alle energie permesse da LHC. Il progetto è stato ottimizzato per consentire in particolare la ricerca del bosone di Higgs, la ricerca di
particelle supersimmetriche e lo studio della violazione di CP nei mesoni B0 . La
struttura di CMS è quella tipica degli esperimenti che vengono effettuati presso i
collisionatori: è costituito da rivelatori disposti in vari strati cilindrici, detti barrel,
coassiali rispetto alla direzione del fascio, e da dischi, detti endcap, che chiudono
i cilindri al fine di garantire la copertura più completa possibile di tutto l’angolo
solido.
La principale caratteristica di CMS è il magnete superconduttore solenoidale, in
grado di generare un campo magnetico di 4 T, utilizzato per la misura di precisione
dell’impulso trasverso delle particelle cariche prodotte nelle interazioni. In fig.1.10
è riportato uno schema del rivelatore, che avrà una lunghezza totale di 21.6 m, un
diametro di 15 m e un peso totale di 12500 t.
Il sistema di riferimento di CMS è costituito da una terna destrorsa con l’asse
x che punta verso il centro di LHC, l’asse y diretto verso l’alto e l’asse z diretto
secondo l’asse del rivelatore.
Il sistema di coordinate usato nella pratica è però quello dato dalla terna (r, φ, η),
13
1.3. IL RIVELATORE CMS
Figura 1.10: Schema dell’esperimento Compact Muon Solenoid.
dove r rappresenta la distanza dall’asse del rivelatore, φ la coordinata azimutale e
η la pseudorapidità, definita come
θ
η = − ln tan
2
(1.6)
dove θ è l’angolo che una particella proveniente dal centro di interazione forma con
il fascio. La pseudorapidità è circa uguale alla rapidità5 per p ≫ m, dove p e m sono
l’impulso e la massa della particella (espresse in coordinate naturali), ed è pertanto,
sotto queste condizioni, un’invariante di Lorentz. Detto N il numero di particelle
rivelate in una certa direzione si ha quindi che dN/dη è invariante, mentre dN/dθ
dipende dal sistema di riferimento, che è diverso fra laboratorio e centro di massa
(il sistema di riferimento del centro di massa non è univocamente determinato in un
collisionatore adronico dato che, come già detto, le interazioni avvengono a livello
dei costituenti degli adroni). Per questo motivo si utilizza come terza coordinata la
pseudorapidità al posto di θ. In questo sistema di coordinate il piano perpendicolare
alla direzione del fascio è detto “piano rϕ”.
Le componenti di CMS possono essere individuate nel modo seguente:
Tracciatore al silicio. Occupa la regione r < 1.2 m e |η| < 2.5, ed è costituito
da rivelatori a pixel e a microstrisce di silicio. È l’elemento chiave per la
ricostruzione delle tracce delle particelle prodotte nelle interazioni.
5
La rapidità è definita come y =
1
2
ln
E+pz
E−pz
, dove E e pz sono rispettivamente l’energia e la
componente z dell’impulso della particella. La rapidità è un’invariante di Lorentz.
14
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
Calorimetro elettromagnetico (ECAL). Occupa la regione 1.2 m < r < 1.8 m
e |η| < 3. È utilizzato per la misura di energia di fotoni ed elettroni. Utilizza
cristalli scintillanti di tungstato di piombo (PbWO4 ).
Calorimetro adronico (HCAL). È alloggiato nella regione 1.8 m < r < 2.9 m e
|η| < 5. Serve per la ricostruzione dei jet adronici e per le misure di energia
trasversa. È costituito da scintillatori plastici alternati a lastre di ottone.
Magnete superconduttore. Il solenoide, con il suo criostato, occupa la regione
2.9 m < r < 3.8 m ed è lungo 12.5 m. Genera il campo magnetico necessario
per deflettere le particelle. Dalla misura della curvatura delle tracce è possibile
risalire al loro impulso.
Camere per i muoni. Occupano la regione 4 m < r < 7.4 m e |η| < 2.4, e sono
alloggiate all’interno del ferro di ritorno del magnete. Sono camere a fili di
vario tipo dedicate alla ricostruzione delle tracce dei muoni.
1.3.1
Il magnete
Si tratta di un magnete solenoidale superconduttore, lungo 13 m e con un diametro
di 5.9 m [12]. L’avvolgimento è costituito da cavi in materiale superconduttore
Niobio-Titanio (NbTi) che portano la corrente, avvolti da un rivestimento in Al ad
elevata purezza con la funzione di stabilizzatore e da un ulteriore rinforzo esterno in
lega di Al. La corrente che scorre nella sezione centrale superconduttrice, mantenuta
ad una temperatura di 4 K da un sistema di raffreddamento ad elio liquido, ha un
valore nominale di 20000 A, a cui corrisponde un campo magnetico all’interno del
solenoide pari a 4 T. Le linee di forza del campo magnetico vengono richiuse da un
giogo di ritorno in ferro che si estende per uno spessore di 1.8 m. All’interno del
giogo sono ospitate le camere per i muoni.
1.3.2
Il tracciatore
Il tracciatore al silicio [13, 14] è dedicato alla ricostruzione delle tracce delle particelle
cariche prodotte nelle interazioni ed è in grado di misurare fino a 14 punti per ogni
traccia. Misurando la curvatura delle tracce dovuta al campo magnetico si riesce a
ricostruire l’impulso trasverso pT delle particelle.
È costituito da un rivelatore di vertice centrale realizzato con la tecnologia dei
pixel, contenuto all’interno di diversi strati di rivelatori a microstrisce di silicio. Le
principali caratteristiche che il sistema tracciante di CMS deve soddisfare sono:
15
1.3. IL RIVELATORE CMS
Figura 1.11: Efficienza di ricostruzione delle tracce e risoluzione nella determinazione di pT del tracciatore di CMS, ottenute per eventi simulati di muoni con impulso
trasverso di 1 GeV (nero), 10 GeV (blu) e 100 GeV (rosso).
ˆ Elevata efficienza di ricostruzione delle tracce. Ci si aspetta un’efficienza nella
regione |η| < 2.0 superiore al 95%, per tracce con pT > 1 GeV (fig.1.11).
ˆ Buona risoluzione nella misura dell’impulso trasverso.
Come mostrato in
fig.1.11 per tracce simulate di muoni, ci si aspetta una risoluzione
σ(pT )
pT
su-
periore al 2% per tracce con basso pT (compreso fra 1 e 10 GeV) in tutta
la regione del tracciatore; per tracce con alto pT la risoluzione è intorno al
2% nella regione centrale (|η| < 1.4) e intorno all’8% nelle regioni a più alta
pseudorapidità.
ˆ Buona risoluzione nella ricostruzione dei vertici dei jet provenienti da coppie
bb̄, tipici di molti eventi di interesse per nuova fisica.
ˆ Basso ingombro del materiale di costruzione in termini di lunghezza di radia-
zione6 X0 e di lunghezza di interazione nucleare7 λ0 , che altrimenti limiterebbe
le capacità di tracciatura e peggiorerebbe le misure di energia del calorimetro
elettromagnetico.
Un descrizione dettagliata del tracciatore verrà fornita nel Capitolo 2.
1.3.3
Il calorimetro elettromagnetico (ECAL)
Il principale obbiettivo del calorimetro elettromagnetico [15] è la rivelazione dei
prodotti di decadimento del bosone di Higgs in due fotoni (H0 → γγ). Data la
6
La lunghezza di radiazione X0 è definita come la distanza percorsa all’interno di un materiale
da un elettrone ad alto impulso oltre la quale la sua energia è ridotta di un fattore 1/e.
7
La lunghezza di interazione nucleare λ0 è il libero cammino medio per interazione nucleare di
un adrone in un materiale.
16
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
Figura 1.12: Distribuzione simulata di massa invariante attesa per una coppia di γ.
In rosso il segnale atteso dal canale H0 → γγ [15].
larghezza naturale di decadimento pari a soli 100 MeV, la distribuzione di massa
invariante γγ sarà dominata dagli effetti sperimentali di risoluzione reale (fig.1.12).
Affinché sia possibile evidenziare la presenza del segnale al di sopra del fondo è
quindi necessario che il calorimetro abbia una risoluzione energetica molto elevata
(≃ 1%).
ECAL è costituito da cristalli di tungstato di piombo (PbWO4 ), caratterizzati da un raggio di Molière8 di 21.9 mm e da una lunghezza di radiazione X0 di
8.9 mm. Sono presenti 61200 cristalli nella parte barrel e 21528 nella parte endcap,
raggruppati in 36 settori detti Super Moduli.
Il processo di scintillazione di questo materiale ha un tempo di decadimento
molto breve (τ ≃ 10 ns), il che permette di raccogliere circa l’85% della luce emessa
nel tempo che intercorre fra due bunch crossing.
In fig.1.13 è riportata una sezione longitudinale di ECAL, nella quale si può
vedere come esso sia costituito da una parte cilindrica (Barrel ECAL) che occupa la
regione definita da |η| < 1.48, alle cui estremità sono alloggiati due dischi (Endcap
ECAL), che coprono la regione 1.48 < |η| < 3. I dischi sono preceduti da un pre-
sciamatore (preshower ) costituito da due radiatori di Pb alternati a due piani di
rivelatori a microstrisce di silicio. Il preshower è necessario nella parte endcap per
ottenere un’elevata capacità di rigetto per gli eventi π 0 → γγ, in quanto i fotoni
provenienti dal decadimento dei π 0 di alta energia sono molto collimati. Il preshower
permette di distinguere i due fotoni anche in questo caso, evitando di ricostruirli
8
Il raggio di Molière è una misura della dimensione trasversale dello sciame elettromagnetico in
un calorimetro.
17
1.3. IL RIVELATORE CMS
Figura 1.13: Sezione longitudinale di un quadrante di ECAL.
come se fossero uno solo. Sempre per questo motivo i cristalli hanno un’elevata
granularità in η e φ, pari a ∆η × ∆φ = 0.0175 × 0.0175.
Nell’intervallo di energia 25 GeV < E < 500 GeV la risoluzione energetica di
ECAL può essere espressa come:
σ 2
E
E
=
a
p
E[GeV]
!2
+
σN
E[GeV]
2
+ C2
(1.7)
dove il primo termine è riferito alle fluttuazioni statistiche del contenuto dello sciame,
il secondo è dovuto al rumore elettrico e il terzo è una costante che tiene conto della
disomogeneità dei cristalli.
1.3.4
Il calorimetro adronico (HCAL)
Il calorimetro adronico [16], unitamente a quello elettromagnetico, ha lo scopo di misurare l’energia e la direzione dei jet adronici, e di fornire il trigger per l’esperimento
(assieme alle camere per i muoni).
HCAL è un calorimetro a campionamento, realizzato alternando strati di scintillatori plastici dello spessore di 3.7 mm a strati di assorbitore in ottone spessi 5 cm.
La granularità degli strati attivi è ∆η ×∆φ = 0.087×0.087, sufficiente per permette-
re un’efficace separazione dei jet. HCAL è costituito da una regione centrale (Barrel )
per |η| < 1.4 e da due componenti (Endcap), poste alle due estremità del barrel, che
coprono la regione 1.4 < |η| < 3 (fig.1.14). Lo spessore è di 8.9 lunghezze di interazione nucleare λ0 nel barrel e di 10 λ0 nelle endcap. Poiché le dimensioni radiali
del barrel, essendo limitate dalla presenza del magnete, non sarebbero sufficienti a
contenere completamente gli sciami prodotti dagli adroni altamente energetici, all’esterno del magnete sono alloggiati ulteriori strati di materiale scintillante detti tail
catcher. Inoltre per coprire la regione di pseudorapidità 3 < |η| < 5 verrà installato
18
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
Figura 1.14: Sezione longitudinale di un quarto di HCAL. È indicata la scala di
pseudorapidità.
un ulteriore calorimetro, chiamato HF (Hadron calorimeter Forward ), attorno alle
posizioni z = ±11 m.
La risoluzione energetica prevista per i jet adronici, combinata con quella di
ECAL, è:
σE
100%
=p
⊕ 4.5%
E
E[GeV]
1.3.5
(1.8)
Camere per i muoni
Le camere per i muoni [17] sono posizionate all’esterno del magnete, alloggiate nelle
intercapedini dei cilindri di ferro che fanno da giogo di ritorno per le linee di forza
del campo magnetico. Il valore medio del campo magnetico nel quale sono immerse
è circa 1.8 T. Il loro ruolo fondamentale è quello di identificare i muoni e di fornire
il segnale di trigger all’esperimento: molti degli eventi di fisica interessanti sono
infatti caratterizzati dalla produzione di muoni con alto impulso trasverso, che questi
rivelatori, insieme ai dati del tracciatore, riescono a ricostruire.
In fig.1.15 è mostrata la disposizione spaziale delle camere. La regione del barrel è
equipaggiata con camere a deriva (Drift Tubes), col filo anodico diretto come il fascio,
per la misura della coordinata rφ (ad eccezione di due strati che hanno i fili ortogonali
alla direzione del fascio per la misura della coordinata z). Le camere sono disposte
in file sfalsate per eliminare le ambiguità destra-sinistra nella ricostruzione delle
tracce. La regione dell’endcap è equipaggiata con camere a strisce catodiche (Catode
Strip Chamber ), mentre per |η| < 2.1 sia il barrel che le endcap sono fornite anche
di camere a piastre resistive (Resistive Plate Chamber ), che hanno una risoluzione
spaziale peggiore, ma un’eccellente risoluzione temporale (3 ns), motivo per cui sono
principalmente usate per l’identificazione del bunch crossing e per il trigger.
1.3. IL RIVELATORE CMS
19
Figura 1.15: Sezione longitudinale di un quarto delle camere per i muoni.
1.3.6
Trigger e DAQ
Le collisioni protone-protone a LHC avverranno ad una frequenza di 40 MHz, troppo
elevata per ricostruire tutti gli eventi ed immagazzinare i dati cosı̀ ottenuti. La
massima frequenza con cui gli eventi potranno essere salvati è infatti 100 Hz. Inoltre
il numero di eventi relativi a processi fisicamente interessanti è molto piccolo rispetto
al numero totale di collisioni. Si rende quindi necessario un sistema di trigger in
grado di ridurre il numero di eventi in fase di ricostruzione di un fattore 4 × 105 .
Il sistema di trigger ideato per CMS è suddiviso in due livelli: il “Livello 1”
(LV1) [18] e il “Trigger d’Alto Livello” o High Level Trigger (HLT) [19], schematizzati in fig.1.16. Il Livello 1 è ottimizzato per effettuare una prima selezione con i
soli dati ricavati dai calorimetri e dalle camere per i muoni, ed è in grado di ridurre
la frequenza di uscita dei dati a 50 kHz per la fase a bassa luminosità e 100 kHz per
la fase ad alta luminosità. Gli eventi che superano questo livello di trigger sono poi
filtrati dal livello HLT. Questo è implementato su una PC farm 9 dedicata, in grado
di ridurre il rate di dati da immagazzinare a 100 Hz.
9
Per PC farm si intende un gruppo di PC connessi in rete che si scambiano informazioni in
modo da processare efficientemente e velocemente i dati.
20
CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS
Figura 1.16: Schema logico del sistema di trigger di CMS.
Trigger di Livello 1
Il Livello 1 di trigger si basa su misure di energia trasversa e sulla rivelazione di
muoni con alto impulso trasverso.
Le componenti di CMS utilizzate nel Livello 1 sono i calorimetri e le camere per i
muoni, che devono lavorare in parallelo, analizzando i dati localmente. Le informazioni sono date dalle cosiddette “torri calorimetriche” (gruppi di cristalli adiacenti
in cui è stata rilasciata energia) e sono ricostruite utilizzando un sistema di trigger
proprio dei calorimetri. Questo tipo di analisi viene effettuato sia per ECAL che
per HCAL, in modo da ricostruire sia i jet che i segnali dovuti a elettroni e fotoni.
Le informazioni cosı̀ ottenute vengono temporaneamente immagazzinate nel Global Calorimeter Trigger (GCT). Analogo funzionamento si ha per le camere per i
muoni, le cui informazioni sulle tracce ricostruite vengono immagazzinate nel Global
Muon Trigger (GMT). Le informazioni provenienti dal GCT e dal GMT sono poi
combinate insieme per dare una prima stima dell’energia trasversa mancante e per
indicare su quali regioni di CMS si dovrà focalizzare il livello HLT.
I tempi di elaborazione del Livello 1 sono di circa 1 µs, ben al di sopra dei 25 ns
che intercorrono fra due bunch crossing. È quindi necessario allocare temporaneamente in memoria i dati di tutti i rivelatori, in attesa del trigger. Questo compito
è svolto dalle “pipelines” di memoria presenti nell’elettronica di front-end 10 situata
sui rivelatori, come mostrato in fig.1.16.
10
Per una descrizione dell’elettronica di front-end si rimanda a sez.2.3.
1.3. IL RIVELATORE CMS
21
High Level Trigger
In questa fase le misure effettuate con il Livello 1 sono migliorate in passi successivi,
utilizzando anche le informazioni provenienti dal tracciatore al silicio. L’utilizzo del
rivelatore a pixel e del tracciatore a microstrisce permette la ricostruzione dei vertici
e delle tracce attraverso algoritmi simili a quelli di ricostruzione offline 11 .
Sistema di acquisizione dei dati (DAQ)
L’architettura del sistema di acquisizione dei dati (Data Acquisition System - DAQ)
è composta da quattro stadi:
1. una fase di lettura dei rivelatori, durante la quale i dati vengono memorizzati
in buffer locali;
2. uno stadio di ricostruzione dell’evento, nel quale tutti i dati relativi ad un
singolo evento sono raccolti dai vari buffer attraverso una rete di interruttori
e assemblati in un singolo processore;
3. uno stadio di selezione, in cui l’evento è analizzato dall’HLT nella PC-farm;
4. una fase di analisi o immagazzinamento, nella quale gli eventi selezionati dall’HLT vengono inviati ai servizi di calcolo per ulteriori analisi oppure vengono
immagazzinati per analisi successive.
La suddivisione del DAQ in quattro settori che possono essere resi indipendenti
l’uno dall’altro permette la progettazione di un sistema modulare che può essere
sviluppato, testato e installato in parallelo.
11
Si definisce in generale “offline” un’elaborazione dei dati immagazzinati in memoria effettuata
in un momento distinto da quello della loro acquisizione. Si definisce invece “online” una qualsiasi
elaborazione dei dati fatta al momento stesso dell’acquisizione.
Capitolo 2
Il tracciatore al silicio di CMS
Lo scopo del tracciatore al silicio è quello di ricostruire le tracce delle particelle
cariche prodotte dalle collisioni protone-protone. Per effetto del campo magnetico
all’interno del rivelatore le particelle cariche seguono traiettorie elicoidali, dalla cui
curvatura è possibile ricavare l’impulso trasverso pT delle particelle attraverso la
relazione (1.1) che riporto qui per comodità:
pT [GeV/c] = 0.3 · Z · B[T] · R[m]
(2.1)
dove R è in questo caso il raggio di curvatura dell’elica e B = 4 T. L’alta luminosità
a cui lavorerà la macchina produrrà un elevato numero di collisioni protone-protone
per ogni incrocio dei fasci, il che genererà un fondo continuo sovrapposto agli eventi
interessanti. Tuttavia le particelle che costituiscono il fondo sono caratterizzate da
basso impulso trasverso, per cui, come si deduce dalla (2.1), rimangono concentrate
nella parte interna del tracciatore. Ad esempio, un muone da 1 GeV segue una
traiettoria con raggio di curvatura di circa 80 cm. Si ha quindi una notevole diminuzione della concentrazione di particelle all’aumentare della distanza dal punto di
interazione. Per questo motivo è stato deciso di utilizzare due diverse tecnologie in
base alle loro proprietà di risoluzione spaziale e di risoluzione “double hit” (capacità
di distinguere come separate due tracce molto vicine tra loro).
Il tracciatore si compone infatti di una parte più interna costituita da un rivelatore di vertice realizzato con moduli a pixel di silicio, e di una parte più esterna
costituita da rivelatori realizzati con la tecnologia delle miscrostrisce di silicio.
In questo capitolo descriverò la geometria del tracciatore ed il principio di funzionamento dei rivelatori che lo compongono, con particolare attenzione ai rivelatori
a microstrisce sui quali ho effettuato la misura oggetto del mio lavoro di tesi. Descriverò inoltre la prima fase della ricostruzione offline degli eventi (detta “Ricostruzione
degli Hit”).
24
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Figura 2.1: Schema del tracciatore di CMS.
2.1
Geometria del tracciatore
Il tracciatore al silicio si estende complessivamente nella regione definita da |η| < 2.5,
r < 120 cm e |z| < 270 cm, e copre una superficie di 198 m2 . In fig.2.1 è riportato un
schema del tracciatore in cui sono evidenziate la parte più interna a pixel e le varie
componenti in cui si suddivide la parte più esterna a microstrisce. Lo spessore del
tracciatore è riportato in fig.2.2, espresso sia in termini di lunghezza di radiazione
X0 che in termini di lunghezza di interazione nucleare λ0 .
Figura 2.2: Spessore delle varie componenti del tracciatore in funzione di η, espresso
in unità di lunghezze di radiazione X0 (sinistra) e in unità di lunghezze di interazione
nucleare λ0 (destra) [20].
2.1. GEOMETRIA DEL TRACCIATORE
25
Figura 2.3: Schema del rivelatore a pixel di CMS nella configurazione di alta
luminosità.
2.1.1
Il tracciatore a pixel
Il tracciatore a pixel copre la regione di pseudorapidità |η| < 2.4 ed è costituito da
tre cilindri concentrici (barrel ) di lunghezza pari a 53 cm e raggio rispettivamente
di 4.4 cm, 7.2 cm e 10.2 cm. I cilindri sono chiusi ai due estremi da due coppie di
dischi (endcap), posizionati a z = ±34.5 cm e z = ±46.5 cm.
Il barrel è costituito da tre strati di pixel, ognuno dei quali è diviso in due mezzi
cilindri. A causa dei danni da radiazione sono previste varie sostituzioni dei rivelatori
durante i 10 anni di attività di CMS. Durante la prima fase di funzionamento di
LHC (in regime di bassa luminosità) saranno inseriti solo due strati di rivelatori del
barrel, quelli con raggio minore. In una seconda fase, sempre per bassa luminosità,
sarà inserito anche il terzo strato. Infine nella fase ad alta luminosità verranno
lasciati solamente i due strati più esterni (fig.2.3).
Anche per gli endcap è prevista la sostituzione del disco più interno dopo due anni
di presa dati.
I rivelatori sono costituiti da un substrato di silicio di tipo n dello spessore di
250 µm sul quale sono realizzati i pixel tramite impiantazioni di tipo n+ . I pixel
sono rettangolari di dimensioni 100 µm × 150 µm e la risoluzione raggiunta è di
10 µm(rϕ) × 20 µm(z) [21].
Il circuito di lettura è montato immediatamente sopra il sensore ed è connesso ai
pixel tramite microsaldature dette bump bonding.
2.1.2
Il tracciatore a microstrisce di silicio
Il tracciatore a microstrisce, o microstrip, copre la regione di pseudorapidità |η| < 2.5,
ha una lunghezza di circa 5.6 m e un diametro di 2.4 m, ed è costituito complessi-
26
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Figura 2.4: Schema di un quarto del tracciatore. In rosso sono indicati i rivelatori
a singola faccia, in blu quelli a doppia faccia. Sono inoltre evidenziate le zone con i
rivelatori sottili ( Thin Sensors), di spessore 320 µm e quelle con i rivelatori spessi
( Thick Sensors), di spessore 500 µm. Ai lati e in alto sono riportate le scale in r e
z in mm, e la scala di pseudorapidità.
vamente da 15.148 rivelatori a micostrisce, detti moduli.
Come mostrato in fig.2.4 il tracciatore a microstrisce si compone di vari strati
suddivisibili in quattro parti, due barrel e due endcap, con differenti caratteristiche:
ˆ Tracker Inner Barrel (TIB), la parte cilindrica più interna, coassiale con la
direzione del fascio;
ˆ Tracker Inner Discs (TID), le corone circolari poste all’estremità del TIB;
ˆ Tracker Outer Barrel (TOB), la struttura cilindrica più esterna, anch’essa
coassiale con il fascio;
ˆ Tracker EndCaps (TEC), le corone circolari più esterne.
Le parti barrel si suddividono a loro volta in vari strati cilindrici, detti layer,
mentre le parti endcap si suddividono in dischi (o wheel ) ortogonali al fascio, che
raggruppano le corone circolari su cui sono alloggiati i rivelatori.
Alcuni layer della parte barrel e alcuni anelli dei dischi della parte endcap ospitano moduli a singola faccia, detti “mono” (o “rϕ”), mentre altri ospitano moduli
a doppia faccia, composti da un modulo mono incollato back to back a un altro
modulo, detto “stereo” e ruotato rispetto al primo di 100 mrad. I moduli a singola
faccia sono in grado di fornire, sia nel barrel che nelle endcap, solo la misura della
2.1. GEOMETRIA DEL TRACCIATORE
27
coordinata azimutale del punto di passaggio della particella. Quelli a doppia faccia
invece, combinando le informazioni fornite dai due rivelatori, permettono la misura
di entrambe le coordinate del punto di passaggio nel piano del rivelatore. Nella
parte barrel le strip dei moduli mono sono parallele alla direzione del fascio, mentre
nelle endcap giacciono sul piano perpendicolare al fascio e sono dirette radialmente
rispetto al centro di ciascun disco.
Il passo fra le strip dei rivelatori è detto pitch, e varia da un minimo di 80 µm a
un massimo di 183 µm. Inoltre i moduli montati nella parte più interna rispetto al
fascio hanno uno spessore di 320 µm, quelli montati nella parte esterna hanno invece
uno spessore di 500 µm (fig.2.4).
Tracker Inner Barrel
Il TIB è la parte più interna del tracciatore a microstrisce ed è composto da quattro
layer, ciascuno dei quali è a sua volta suddivisibile in due parti simmetriche rispetto
al piano perpendicolare al fascio passante per z = 0. Nel seguito descriverò una
di queste due parti, che chiamerò “semi-layer ”. Ciascun semi-layer è a sua volta
suddivisibile dal piano orizzontale passante per il centro di interazione in due parti
simmetriche, dette “shell ”.
Un semi-layer è formato da strutture rettilinee dette “stringhe” su cui sono
alloggiati i moduli, tre per ogni stringa. Le stringhe sono montate su di una struttura
cilindrica in fibra di carbonio, sia sulla superficie interna che su quella esterna. A
seconda che siano alloggiate sulla parte interna o esterna della struttura, le stringhe
si distinguono in “interne” ed “esterne”.
I moduli sulle stringhe interne ed esterne sono messi in modo tale da garantire
una copertura completa della superficie cilindrica di ciascun semi-layer. In fig.2.5
è riportata l’immagine di una parte del TIB layer 3, assemblato presso un laboratorio della sezione di Firenze dell’INFN. Sono visibili, oltre ai moduli montati sulle
stringhe esterne, anche alcuni moduli montati su quelle interne.
Le stringhe interne ed esterne sono inclinate di 9◦ rispetto al proprio asse parallelo
alla direzione del fascio. Questo garantisce una migliore copertura della superficie
cilindrica di ciascun layer, con una leggera sovrapposizione dei moduli ai bordi
(“overlap”), e permette di compensare gli effetti dovuti all’angolo di Lorentz dei
portatori di carica all’interno del rivelatore. Infatti la forza di Lorentz agente sui
portatori, dovuta alla presenza del campo magnetico, li fa deviare dalla traiettoria
descritta dalle linee di forza del campo elettrico interno al rivelatore di un angolo
detto “angolo di Lorentz”. Per una trattazione più approfondita dell’angolo di
Lorentz si rimanda ai capitoli successivi.
28
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Figura 2.5: Una fase dell’assemblaggio del TIB layer 3 presso un laboratorio della sezione di Firenze dell’INFN. Sono visibili anche alcuni moduli delle stringhe
interne.
I due layer più interni (TIB1 e TIB2) ospitano rivelatori a doppia faccia, sia
nella parte interna che in quella esterna, mentre i due layer più esterni (TIB3 e
TIB4) alloggiano rivelatori a singola faccia. I sensori utilizzati hanno uno spessore
di 320 µm, un’area attiva di circa 61 × 117 mm2 e un passo fra le strip di 80 µm per
i moduli a doppia faccia e 120 µm per quelli a singola faccia.
Complessivamente il TIB è composto da 1188 moduli a singola faccia e 768
moduli a doppia faccia, per un totale di 2724 rivelatori. In Tabella 2.1 sono riportati
i dati relativi ai vari layer del TIB.
Layer
Raggio medio Numero stringhe Numero totale
Pitch
Pitch
(mm)
(int./est.)
moduli
rϕ (µm) stereo (µm)
TIB1
255
26 / 30
336
80
80
TIB2
340
34 / 38
432
80
80
TIB3
430
44 / 46
540
120
-
TIB4
520
52 / 56
648
120
-
Tabella 2.1: Tracker Inner Barrel: molteplicità dei moduli e passo delle strip.
29
2.1. GEOMETRIA DEL TRACCIATORE
Tracker Inner Discs
Il TID è posizionato ad entambi i lati del TIB, ed è costituito da tre dischi per ogni
lato, posti ortogonalmente alla direzione del fascio. Ciascun disco è formato da tre
anelli concentrici di rivelatori, con i sensori sfalsati fra le due facce del disco, interna
ed esterna, in modo da garantire una copertura completa della superficie.
I due anelli più interni (TID1 e TID2) sono formati da rivelatori a doppia faccia
mentre il terzo (TID3) da rivelatori a singola faccia. Come nel TIB lo spessore dei
rivelatori è di 320 µm, ma essendo montati in questo caso in una struttura a corone
circolari, la forma dei moduli nel TID è trapezoidale, con il passo delle strip variabile
lungo il modulo. Il pitch dei moduli del TID è compreso fra un minimo di 81 µm e
un massimo di 158 µm.
Il TID è composto da 240 moduli a singola faccia e 288 a doppia faccia, per un
totale di 816 rivelatori. In Tabella 2.2 sono riportati i dati relativi ai tre anelli del
TID.
Anello Moduli per Numero di anelli Numero totale
anello
Pitch
Pitch
in ±z
moduli
3+3
144
81-112
81-112
rϕ (µm) stereo (µm)
TID1
24
TID2
24
3+3
144
113-143
113-143
TID3
40
3+3
240
123-158
-
Tabella 2.2: Tracker Inner Discs: molteplicità dei moduli e passo delle strip, alle
basi minore e maggiore dei trapezi.
Tracker Outer Barrel
Le parti più interne del tracciatore (pixel, TIB e TID) sono racchiuse da sei strati
cilindrici di rivelatori, detti anche in questo caso layer, che costituiscono il TOB.
Anche i layer del TOB sono suddivisibili in due parti simmetriche rispetto al piano
perpendicolare al fascio e passante per z = 0 e anche in questo caso indicherò
ciascuna di queste due parti come semi-layer.
Ciascun semi-layer del TOB è costruito secondo lo schema a “sbarra”, o “rod ”:
sei moduli vengono montati su una struttura rettilinea, detta appunto rod, tre nella
faccia rivolta verso l’interno di CMS e tre nella faccia rivolta verso l’esterno, sfalsati
rispetto a quelli montati sulla faccia interna cosı̀ da garantire una copertura completa
della rod ; le varie rod vengono poi unite insieme a formare una struttura cilindrica,
che costituisce il semi-layer.
30
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Layer
Raggio medio Numero rod Numero totale
Pitch
Pitch
(mm)
per layer
moduli
rϕ (µm) stereo (µm)
TOB1
608
42
504
183
183
TOB2
692
48
576
183
183
TOB3
780
54
648
183
-
TOB4
868
60
720
183
-
TOB5
965
66
792
122
-
TOB6
1080
74
888
122
-
Tabella 2.3: Tracker Outer Barrel: molteplicità dei moduli e passo delle strip.
I due layer più interni del TOB montano rivelatori a doppia faccia, mentre gli
altri quattro montano rivelatori a singola faccia. Tutti i moduli del TOB hanno uno
spessore di 500 µm, un’area sensibile di circa 94 × 186 mm2 , e un passo fra le strip
compreso fra 122 µm e 183 µm.
Complessivamente il TOB è composto da 3048 moduli a singola faccia e 1080
moduli a doppia faccia, per un totale di 5208 rivelatori. Contrariamente a quanto
accade nel TIB, le rod del TOB, per ragioni costruttive, non sono inclinate per
compensare l’angolo di Lorentz dei portatori di carica. In Tabella 2.3 sono riportate
le caratteristiche dei vari layer del TOB.
Tracker EndCap
Alle due estremità del tracciatore sono posti, ortogonalmente al fascio, i diciotto
dischi della TEC, nove per lato. Tali dischi sono divisi in anelli concentrici ed
ospitano rivelatori trapezoidali, come nel TID. Dal punto di vista costruttivo la
TEC è suddivisa in sottostrutture dette petali, corrispondenti a 1/16 di ciascun
disco e che raggruppano i rivelatori disposti lungo la stessa direzione radiale. Per
ciascun petalo una faccia contiene gli anelli pari, mentre l’altra gli anelli dispari, per
un totale di sette anelli.
Il numero di anelli presenti in cascun disco non è costante, ma varia da un
massimo di sette ad un minimo di quattro. I tre dischi più vicini al centro di
interazione sono completi, ai tre successivi manca l’anello più interno, al settimo e
all’ottavo mancano i primi due anelli e all’ultimo i primi tre. I quattro anelli più
interni montano rivelatori sottili (320 µm), mentre i tre anelli più esterni, presenti
in tutti i dischi, ospitano rivelatori spessi (500 µm).
I due anelli più interni ed il quinto ospitano inoltre rivelatori a doppia faccia,
31
2.2. IL RIVELATORE A MICROSTRISCE
Anello Moduli per Numero di anelli Numero totale
anello
Pitch
Pitch
in ±z
moduli
3+3
144
81-112
81-112
rϕ (µm) stereo (µm)
TEC1
24
TEC2
24
6+6
288
113-143
113-143
TEC3
40
8+8
640
123-158
-
TEC4
56
9+9
1008
113-139
-
TEC5
40
9+9
720
126-156
126-156
TEC6
56
9+9
1008
163-205
-
TEC7
80
9+9
1440
140-172
-
Tabella 2.4: Tracker EndCap: molteplicità dei moduli e passo delle strip alle basi
minore e maggiore dei trapezi.
mentre gli altri ospitano rivelatori a singola faccia. Il passo fra le strip, anche in
questo caso variabile come nel TID, è compreso fra 81 µm e 205 µm.
La TEC è composta da 1648 moduli sottili singoli e 432 doppi, per un totale di
2512 moduli sottili, mentre i moduli spessi sono 2448 singoli e 720 doppi, per un
totale di 3888 moduli spessi. In Tabella 2.4 sono riportate le caratteristiche dei sette
anelli della TEC.
2.2
Il rivelatore a microstrisce
I rivelatori a microstrisce sono costituiti dal sensore vero e proprio e dall’elettronica
di lettura (o elettronica di front end ). Il sensore viene ricavato da un wafer rotondo
di silicio, del diametro di 6”. Le strip sono costituite da impiantazioni di tipo p+
su un substrato di tipo n (detto bulk ). Sopra le strip, dopo uno strato di ossido, si
trovano delle strisce di alluminio a cui le impiantazioni sono accoppiate capacitivamente per la lettura. Il lato del sensore su cui sono state eseguite le impiantazioni p+
è detto lato giunzione. Nel lato opposto, detto lato ohmico, è stata eseguita invece
un’impiantazione di tipo n+ che ricopre tutta la superficie del sensore. In fig.2.6 è
riportata la fotografia di un modulo del TIB.
Le microstrisce sono connesse ad un circuito di polarizzazione, chiamato bias
ring, attraverso resistenze in polisilicio da circa 1.5 MΩ (fig.2.7). In condizioni di
contropolarizzazione il bias ring viene mantenuto al potenziale di terra, mentre lo
strato n+ del lato ohmico viene portato a una tensione positiva.
Per evitare la generazione di correnti parassite nelle zone di bordo, danneggiate
dalle operazioni di taglio, è stata realizzata un’impiantazione n+ che circonda tutto il
32
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Figura 2.6: Un modulo del TIB layer 3.
sensore e penetra lo spessore del substrato n, con lo scopo di impedire alla regione di
svuotamento di raggiungere le zone di bordo ed evitare in questo modo che il campo
elettrico induca la generazione di scariche. Tra il bias ring e questa impiantazione
n+ si trova un ulteriore anello p+ , detto guard ring, che viene lasciato elettricamente
sconnesso e la cui funzione è quella di moderare l’andamento del campo elettrico
tra il bias ring e l’impiantazione n+ , che si trova allo stesso potenziale del lato
ohmico e quindi ad alta tensione in condizioni di contropolarizzazione. Grazie a
questi accorgimenti i sensori usati da CMS raggiungono tensioni di breakdown 1 di
600 V.
L’elettronica di lettura è costituita da un circuito chiamato “ibrido”2 , sul quale
sono montati gli APV-25 [22], ovvero i circuiti integrati che raccolgono i segnali
provenienti dalle strip, provvedono alla loro amplificazione e formazione e al loro
campionamento. A seconda del numero di strisce presenti sul sensore i moduli
possono essere equipaggiati con 4 o 6 APV-25. Dal momento che la distanza tra
due canali adiacenti dell’APV-25 è inferiore al passo delle strip, è necessario un
adattatore di passo (pitch adapter ). Questo collega le strip ai canali di ingresso
1
Per una giunzione pn contropolarizzata si definisce la tensione di breakdown come quel va-
lore della tensione di polarizzazione inversa oltre il quale la corrente di perdita aumenta molto
rapidamente, portando in certi casi alla rottura della giunzione.
2
L’origine di questo nome risiede nel fatto che i primi circuiti di questo tipo erano realizzati
con una tecnologia ibrida che prevedeva l’impiego di paste conduttive e isolanti per realizzare le
resistenze e i condensatori di uno stampato sul quale venivano poi montati i transistor necessari.
Oggi con il termine “ibrido” si intende sostanzialmente un circuito stampato di piccole dimensioni
con alta densità di componenti.
2.2. IL RIVELATORE A MICROSTRISCE
33
Figura 2.7: Sistema di polarizzazione delle strip.
dell’APV-25 attraverso microsaldature eseguite con ultrasuoni, dette bonding.
Il tipo di silicio utilizzato per i sensori deve possedere doti di elevata resistenza
alle radiazioni, dal momento che rimmarrà in un ambiente altamente radioattivo
per almeno 10 anni. Gli effetti del danneggiamento da radiazione sono di due tipi:
effetti di superficie, dovuti all’accumulo di carica nello strato di ossido, ed effetti di
bulk. Questi ultimi comportano un aumento della corrente di polarizzazione inversa
nella giunzione, la diminuzione dell’efficienza di raccolta della carica e una variazione
della concentrazione delle sostanze droganti nel substrato. In particolare, da studi
effettuati su moduli irraggiati in modo da simulare l’effetto di 10 anni di permanenza
in LHC, si è osservata una diminuzione della concentrazione delle impurezze di tipo
n, seguita da una condizione in cui il substrato si comporta come materiale puro,
privo di drogaggio, per arrivare ad una condizione di drogaggio di tipo p (inversione
n − p).
In fig.2.8 è riportato l’andamento in funzione della fluenza,3 espressa in neutroni
equivalenti,4 previsto per la tensione di svuotamento dei rivelatori per due diversi tipi
3
4
Numero di particelle incidenti per unità di superficie.
I principali responsabili del danneggiamento da radiazione dei rivelatori al silicio sono i neutroni
di bassa energia, che interagiscono con i nuclei del bulk e generano difetti nel reticolo. Nelle misure
di danneggiamento da radiazione, anche se l’irraggiamento non è stato fatto con neutroni, si è soliti
esprimere l’effetto, tramite opportuni fattori di conversione, in termini del danno che sarebbe stato
provocato da neutroni da 1 MeV.
34
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Figura 2.8: Andamento della tensione di svuotamento in funzione della fluenza in
neutroni equivalenti per un silicio a bassa resistività (LR) ed uno ad alta resistività
(HR). Sono riportati anche gli indici di Miller che individuano il piano reticolare
lungo il quale il wafer è stato tagliato.
di silicio utilizzato: in rosso per un silicio a bassa resistività (ρ = 1.13±0.16 kΩ · cm),
in blu per uno ad alta resistività (ρ = 5.8 ± 1.1 kΩ · cm). Come mostrato in figura
nel silicio a bassa resistività l’inversione di tipo avviene ad una fluenza maggiore
rispetto al silicio ad alta resistività. Inoltre dopo l’inversione, a parità di fluenza, il
silicio a bassa resistività presenta una tensione di svuotamento più bassa. Per questi
due motivi i silici scelti per il tracciatore di CMS sono del tipo a bassa resistività.
2.3
Elettronica di lettura
In questo paragrafo descriverò l’elettronica di lettura dei rivelatori, soffermandomi
sul sistema di acquisizione del segnale ad opera dei chip integrati sull’ibrido di
ciascun modulo, la sua trasmissione verso l’elettronica di digitalizzazione e quindi
la sua digitalizzazione ed elaborazione online operate dal Front-End Driver.
L’elettronica di front-end presente sull’ibrido comprende il chip APV-25, che costituisce l’elemento fondamentale dell’elettronica di lettura del tracciatore di CMS,
la PLL (Phase Locked Loop) [23], in grado di decodificare e ricostruire i segnali di
clock e trigger distribuiti dall’elettronica di controllo, un multiplexer (MUX) che
provvede a serializzare i dati provenienti da ciascuna coppia di APV-25, un AOH
2.3. ELETTRONICA DI LETTURA
35
(Analog-Opto Hybrid ) che riceve il segnale dal MUX, lo converte in un segnale luminoso e lo invia tramite fibra ottica al Front-End Driver, e infine la DCU (Detector
Control Unit) che permette di controllare i parametri del modulo e che verrà descritta nella sez.2.4.2. Le componenti analogiche sono alimentate con tensioni di 1.25 V
e 2.5 V, quelle digitali con tensioni di 2.5 V.
2.3.1
APV-25
I chip APV-25 [22] costituiscono la componente fondamentale dell’elettronica di
front-end del tracciatore di CMS. Essi hanno dimensioni di 8055 µm×7100 µm e sono
muniti di 128 canali analogici in ingresso, ciascuno connesso a una strip. Ogni canale
contiene un integratore di carica e uno stadio di amplificazione e formazione che si
comporta come un filtro CR-RC con costante di tempo pari a 50 ns. Gli APV-25
campionano il segnale alla frequenza di 40 MHz e registrano i campionamenti su
di una memoria analogica, detta pipeline, composta da 192 celle per ognuno dei
128 canali, in grado di conservare i dati per un massimo di circa 4.8 µs, prima di
sovrascriverli.
I segnali di clock e trigger vengono inviati agli APV-25 dal chip PLL, montato
anch’esso sull’ibrido, che riceve tali segnali dall’elettronica di controllo, ne corregge
eventuali distorsioni e quindi li invia agli APV-25 con un ritardo variabile a passi di
25
24
ns.
L’APV-25 possiede vari registri programmabili dall’utente attraverso i quali è
possibile modificare i parametri di funzionamento del circuito. Di seguito sono
descritti i principali fra questi registri.
Registro di Latenza
Il segnale di trigger arriva con un certo ritardo rispetto all’effettivo istante di passaggio della particella. Il registro di latenza istruisce l’APV-25 sul numero di passi
che esso deve compiere all’indietro nella pipeline, rispetto all’istante di arrivo del
trigger, per recuperare il campionamento voluto.
Registro di Modalità
Permette di selezionare una delle seguenti modalità di funzionamento:
ˆ Modo picco.
Ogni volta che il chip riceve un segnale di trigger fornisce in
uscita, per ogni canale, il valore contenuto in una cella della pipeline analogica.
La posizione di tale cella all’interno della pipeline è determinata in base al
registro di latenza. Questa modalità di funzionamento massimizza il rapporto
36
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
segnale/rumore, ma è utilizzata solo a bassa fluenza dato che, per via della
coda a tempi lunghi del CR-RC, risente del fenomeno di pile-up.
ˆ Modo deconvoluzione [24]. Ad ogni trigger vengono acquisite per ciascun canale tre celle consecutive della pipeline. Anche in questo caso la posizione delle
celle da acquisire è determinata in base al registro di latenza. I valori in esse
contenuti vengono processati attraverso un filtro denominato APSP (Analog
Pulse Shape Processor ), che li moltiplica per tre pesi opportuni e li somma.
Con questo procedimento si ottiene un segnale con tempo di salita di 25 ns
anzichè 50 ns come nel CR-RC; inoltre i pesi sono tali da cancellare gli effetti
di pile-up. La modalità deconvoluzione è quella standard nell’esperimento.
ˆ Modo multiplo. Vengono acquisiti i valori contenuti in tre celle consecutive
della pipeline, ma non viene applicato il filtro APSP.
Registro VPSP
Permette di regolare l’altezza del livello medio dell’uscita analogica (detto anche
baseline).
Registri di calibrazione
Sono di vario tipo e consentono di simulare l’effetto del passaggio di una particella
nel rivelatore attraverso l’iniezione di carica nello stadio di ingresso del circuito.
Finchè non riceve un segnale trigger l’APV-25 invia degli impulsi digitali di
sincronizzazione chiamati tick mark, della durata di 25 ns, ad intervalli di 35 colpi
di clock. Nel momento in cui riceve un segnale di trigger il chip sostituisce al tick
mark una sequenza detta frame (fig.2.9). Questa è composta da una parte digitale,
contenente l’header (sequenza di tre bit nello stato logico 1 che segnala l’inizio del
Figura 2.9: Rappresentazione schematica di un frame.
2.3. ELETTRONICA DI LETTURA
37
frame) e l’indirizzo della pipeline (determinato all’arrivo del trigger dal registro di
latenza), e da una parte analogica, con i campionamenti relativi ai 128 canali su
cui esegue la lettura, serializzati da un multiplexer [25] integrato nel chip. Ciascun
APV-25 ha quindi un’unica uscita, su cui trasmette i dati ad una frequenza di
20 MHz.
2.3.2
Multiplexer (MUX) e Opto-Ibrido Analogico (AOH)
I frame provenienti da ciascun APV-25 sono inviati a dei multiplexer (MUX) montati sull’ibrido, uno per ogni coppia di APV-25. Ciascun MUX serializza i frame
provenienti dai due APV-25 a lui collegati, che a questo scopo sono ritardati l’uno
rispetto all’altro di 25 ns, e li trasmette su un’unica uscita con una frequenza di
40 MHz. Quindi, in definitiva, in un modulo con quattro APV-25 si hanno due linee
in uscita, mentre in un modulo con sei APV-25 se ne hanno tre.
Le uscite dei MUX presenti sull’ibrido vengono inviate a un dispositivo chiamato
Opto-Ibrido Analogico (AOH, Analog Opto-Hybrid ), che le converte in un segnale
di luce e lo trasmette su fibra ottica. Ogni AOH possiede, a seconda del numero
di coppie di APV-25 presenti sul modulo, due o tre laser che emettono luce alla
lunghezza d’onda di 1310 nm. Questi sono comandati da un dispositivo chiamato
Linear Laser Driver che riceve in ingresso l’uscita analogica del MUX e modula
l’intensità della luce emessa in modo proporzionale all’ampiezza del segnale elettrico
del MUX. In fig.2.10 è mostrato lo schema riassuntivo dell’elettronica di front-end
presente su ciascun modulo.
Ogni AOH trasmette i dati provenienti da ciascuna coppia di APV-25 su una
fibra ottica della lunghezza di 2 m. Le fibre sono poi raccolte a gruppi di 12 in cavi
Figura 2.10: Schema dell’elettronica integrata su un modulo. Le parti grigie sono
presenti solo nei moduli con sei APV-25. Le frecce indicano il percorso del trigger
e del segnale [26].
38
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
detti fiber ribbon, i quali sono ulteriormente raggruppati in cavi detti multiribbon,
ciascuno dei quali contiene 8 fiber ribbon. I multiribbon portano quindi il segnale
all’elettronica di digitalizzazione.
2.3.3
Il convertitore analogico-digitale: Front-End Driver
(FED)
Il FED-9U [27] è il dispositivo che provvede alla digitalizzazione dei dati provenienti
dagli APV-25. Ciascun FED gestisce il segnale proveniente dalle fibre contenute in
un multiribbon, per un totale quindi di 96 fibre ottiche, corrispondenti a 192 APV-25.
Per ciascuna fibra in ingresso il FED possiede un convertitore opto-elettrico, che
converte il segnale da ottico ad elettrico, e un ADC a 10 bit, che riceve il segnale
dal convertitore e lo digitalizza. Oltre alle 96 fibre ottiche del multiribbon da cui
riceve i dati, il FED ha un’ulteriore fibra in ingresso da cui riceve il clock di LHC
ed il segnale di trigger.
Ricevuto il segnale di trigger, il FED si mette in attesa dell’arrivo del frame
campionando i segnali provenienti dalle fibre in ingresso con un frequenza di 40 MHz.
Il riconoscimento dell’arrivo del frame avviene tramite l’identificazione dell’header
digitale, cioè della sequenza caratteristica di tre bit nello stato logico 1 che apre il
frame. Una volta individuato l’inizio del frame su un particolare canale di ingresso,
i campionamenti successivi, dopo essere stati eventualmenti processati a seconda
della modalità di funzionamento selezionata per il FED, vengono trascritti su un
buffer di memoria. Il programma di acquisizione si occupa poi di scaricare i dati
dalla memoria del FED e di scriverli su disco.
Esistono quattro modalità di funzionamento del FED: Scope mode, Virgin Raw
Data mode, Processed Raw Data mode e Zero Suppression Data mode. Nel seguito
descriverò le due modalità principali, Virgin Raw Data mode e Zero Suppression
mode, che si differenziano sostanzialmente per la possibilità di eseguire o meno una
prima elaborazione online dei dati in ingresso. Prima però è necessario definire
alcune grandezze utilizzate per caratterizzare il comportamento dei rivelatori.
ˆ Piedistallo di un canale. Corrisponde al livello di tensione presente all’ingresso del preamplificatore in assenza di particelle. Il piedistallo di ogni canale
viene calcolato, in unità di conteggi ADC, come il valore mediato su un certo
numero di eventi delle conversioni di quel canale:
P EDs =
s
ΣN
i=1 ADCi
N
(2.2)
dove i è l’indice che numera l’evento, s è l’indice della microstriscia, N è il
numero di eventi su cui si media.
39
2.3. ELETTRONICA DI LETTURA
ˆ Rumore di modo comune. Con questo termine si intende una fluttuazione,
caratteristica di ogni evento, che influenza allo stesso modo tutti i canali di un
APV-25. Il rumore di modo comune è definito come:
CM N c,i =
c,i
c
Σ128
s=1 (ADCs − P EDs )
128
(2.3)
dove c è l’indice che numera il chip, s individua il canale e i l’evento.
ˆ Rumore di un canale. Il rumore di un canale è definito come la fluttuazione quadratica media delle conversioni ADC di quel canale rispetto al suo
piedistallo, ovvero:
σs2 = h(ADCs − P EDs )2 ieventi
(2.4)
con la stessa convenzione riguardo agli indici, dove hieventi indica la media sugli
eventi. È possibile esprimere il rumore del canale anche al netto del contributo
di rumore di modo comune. In tal caso la definizione diventa:
2
2
σsCM
N = h(ADCs − P EDs − CM Nc ) ieventi
(2.5)
dove c indica il chip di appartenenza della microstriscia s.
Virgin Raw Data mode
In questa modalità i dati di ciascun frame digitalizzati dagli ADC del FED vengono
inviati direttamente al buffer di memoria senza subire alcuna elaborazione online.
Questa modalità è utilizzata nelle fasi di messa in opera del rivelatore, per misurare
il piedistallo ed il rumore di ciascun canale degli APV-25. I valori ottenuti in queste
misure vengono quindi memorizzati in opportuni registri del FED per essere utilizzati
nell’elaborazione online. Le misure del rumore dei canali saranno inoltre utilizzate
anche nella ricostruzione offline.
Zero Suppression mode
Questa è la principale modalità di utilizzo del FED per l’acquisizione di dati di fisica,
in particolare nel caso di rate elevato. In questa modalità vengono sottratti al segnale
di ciascun canale sia il piedistallo, misurato precedentemente, che il rumore di modo
comune, calcolato evento per evento come nella (2.3). In realtà essendo presenti,
oltre al rumore di modo comune, anche dei segnali fisici, per ignorarli nel calcolo
del rumore di modo comune si calcola la mediana del segnale di ciascun APV-25
al netto del piedistallo. Assumendo che ci siano segnali fisici su meno di 64 canali
dell’APV-25 la mediana risulta un’ottima stima del rumore di modo comune [26].
40
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Eseguita questa prima elaborazione i campionamenti vengono riordinati secondo
l’ordine fisico delle strip, dopo di che viene effettuata una prima selezione dei canali corrispondenti a strip su cui è presente un segnale dovuto al passaggio di una
particella, mentre tutti gli altri canali vengono ignorati. L’algoritmo seguito per
effettuare questa prima selezione dei dati, detto Cluster finding, confronta il segnale
di ciascuna strip con due soglie, t1 e t2 , stimate precedentemente per ciascuna strip
in base al rumore che la caratterizza. Nel caso in cui il segnale sia maggiore o uguale
alla soglia t1 e siano presenti strip vicine che soddisfano la medesima condizione, i
segnali in questione vengono inviati al buffer e memorizzati. Se non ci sono strip
vicine che superano la soglia t1 , è richiesto che la singola strip superi la soglia t2
(con t2 > t1 ). Nel caso in cui due strip sopra soglia siano distanziate da meno di 2
strip l’algoritmo le raggruppa insieme. Valori tipici per t1 e t2 sono t1 = 4 e t2 = 2.
2.4
Elettronica di controllo
In questo paragrafo descriverò brevemente l’elettronica che gestisce il funzionamento
dei moduli e dei sistemi di acquisizione e di monitoraggio dei moduli stessi.
Le informazioni di configurazione dell’elettronica di front-end vengono scambiate
attraverso un sistema di comunicazione conforme al protocollo I2 C [28], che prevede
una linea di comunicazione a due vie, una che trasporta i dati ed una che trasporta un segnale di clock alla frequenza di 100 kHz. Ogni periferica è identificata
tramite un indirizzo hardware. Attraverso le trasmissioni I2 C vengono impostati i
registri programmabili degli APV-25, viene gestito il funzionamento del PLL e del
MUX sull’ibrido, vengono impostati i parametri degli AOH e vengono monitorati i
parametri del modulo attraverso la DCU.
2.4.1
Anello di controllo
Con “anello di controllo” (control ring) si intende la catena opto-elettronica che
ha il compito di distribuire i segnali di clock e trigger di LHC all’elettronica di
front-end, nonché di gestire la trasmissione dei comandi I2 C. Il control ring inizia e
termina con il Front-End Controller (FEC) che gestisce attraverso una linea optoelettrica il funzionamento di un anello di schede chiamate Central Control Unit
(CCU), ciascuna delle quali controlla a sua volta i moduli ad essa collegati. In
fig.2.11 è riportato lo schema di un control ring.
2.4. ELETTRONICA DI CONTROLLO
41
Figura 2.11: Schema di un control ring.
Front-End Controller (FEC)
Il FEC [29] riceve i segnali di clock e trigger da LHC e, tramite una scheda chiamata
TTCrx, li codifica in un unico segnale togliendo un fronte di clock in corrispondenza
dell’arrivo di un segnale di trigger. La trasmissione del clock e dei comandi ai vari
dispositivi, nonché la ricezione dei loro stati di configurazione, sono gestite da una
scheda chiamata TRx, che comunica attraverso due canali di trasmissione, uno per il
segnale di clock e l’altro per i dati. Ogni FEC possiede due schede TRx per garantire
il funzionamento del ring anche in caso di guasto di una delle due. Ogni comando che
il FEC invia viene prima trascritto su una memoria di tipo FIFO e successivamente
viene trasmesso, dopo di che il FEC attende il ritorno della trasmissione inviata, che
viene scritta su un’altra FIFO insieme all’esito dell’operazione.
Opto-Ibridi Digitali (DOH)
Le schede TRx presenti nel FEC trasmettono il clock e i comandi attraverso fibre
ottiche che possono raggiungere lunghezze di oltre 100 m. Queste portano i segnali
luminosi a due Opto-Ibridi Digitali (DOH - Digital Opto-Hybrid ) che li convertono
in segnali elettrici da inviare alle varie periferiche connesse al ring. Analogamente i
DOH convertono i segnali provenienti dalle periferiche in segnali luminosi da inviare
al FEC. Nel primo caso viene utilizzata una coppia di fotodiodi p−i−n, nel secondo
una coppia di dispositivi LLD (Linear Laser Driver ).
42
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Central Control Unit (CCU)
I moduli sono connessi a schede in kapton dette Mother Cable, che forniscono loro le
alimentazioni per l’elettronica di front-end e per la polarizzazione dei sensori, e che
contengono una linea I2 C per ciascun modulo ospitato, oltre alla linea per i segnali
veloci di clock e trigger.
I Mother Cable sono equipaggiati con una scheda chiamata Central Control Unit
(CCU) [30], che riceve dai DOH il flusso di informazioni provenienti dal FEC e si
occupa di gestire le comunicazioni I2 C con i moduli e di fornire loro il clock e il
trigger. Il FEC e le CCU costituiscono i cosiddetti nodi del ring, e comunicano
fra loro secondo la tecnica del token ring [30]: il FEC inizia la trasmissione sul
ring inviando un messaggio di inizializzazione detto token che arriva alla prima
CCU presente nell’anello; se questa non intende effettuare una trasmissione invia il
token alla CCU successiva, altrimenti sostituisce il token con una sequenza di dati
e la invia al nodo successivo; se questo non è la destinazione della trasmissione la
sequenza viene inviata al nodo successivo. Il nodo di destinazione copia la sequenza
e ne immette nel ring una uguale tranne per gli ultimi 4 bit che vengono modificati.
Quando la sequenza cosı̀ modificata torna al nodo di destinazione esso la rimuove
dal ring e ripristina la circolazione di un token vuoto. Si noti che con questa tecnica
di trasmissione sia le operazioni di scrittura sui registri delle periferiche che quelle
di lettura necessitano dell’invio di un comando nel ring da parte del FEC.
La CCU prevede due diversi livelli di comunicazione. Il primo, detto ring, connette il FEC alle CCU e le CCU tra di loro. Il secondo, detto channel interface, si
occupa di distribuire i comandi ai vari dispositivi connessi a ciascuna CCU attraverso le linee I2 C. Questa doppia architettura si rende necessaria per disaccoppiare
operazioni veloci, come la distribuzione del clock codificato, da operazioni lente,
come la scrittura e la lettura dei registri I2 C.
2.4.2
Detector Control Unit (DCU)
Sull’ibrido di ciascun modulo è montato un chip, chiamato Detector Control Unit [31],
che ha il compito di monitorare lo stato del modulo. La DCU contiene un ADC a
8 bit, due generatori di correnti costanti e un sensore in grado di misurare la temperatura, nonché un’interfaccia per le comunicazioni I2 C con la CCU. In particolare
la DCU misura la temperatura del sensore, quella dell’ibrido e la propria, e le tensioni di 1.25 V e 2.5 V di alimentazione delle componenti analogiche e digitali di
front-end. Inoltre ciascuna DCU ha un numero identificativo che viene utilizzato
per individuare in modo univoco il modulo ad essa collegato.
2.5. RICOSTRUZIONE OFFLINE
2.5
43
Ricostruzione offline
Il software utilizzato per la ricostruzione offline si chiama CMSSW ed è scritto in
linguaggio C++. CMSSW segue quindi una logica di programmazione a oggetti, per
cui i dati e i prodotti dell’analisi vengono gestiti sottoforma di oggetti o container
di oggetti C++. CMSSW è inoltre strutturato secondo un’architettura modulare.
Esiste un solo eseguibile, che si occupa di gestire le operazioni di vari moduli. Per
“modulo” si intende una parte del codice che raggruppa un insieme ben definito di
operazioni da eseguire su ciascun evento. Un evento, o Event, è un container di
oggetti C++ contenente tutti i dati riguardanti un singolo evento fisico. Gli oggetti
contenuti in un evento possono essere sia dati provenienti direttamente dal FED, sia
dati che hanno già subito alcuni passi della ricostruzione.
La catena di ricostruzione viene definita dall’utente attraverso un file di configurazione, che seleziona quali dati prendere in ingresso, quali moduli e in che ordine
devono essere eseguiti su ciascun evento contenuto nei dati, che valore devono avere
i parametri di impostazione dei vari moduli e quali output devono essere infine prodotti. Lo stesso eseguibile e la stessa procedura sono utilizzati sia per i dati fisici
che per i dati Monte Carlo.
È possibile accedere ai dati solo tramite l’oggetto Event. Durante l’esecuzione,
quando un modulo ha terminato di processare i dati, il suo output viene trascritto
nell’Event e questo viene passato al modulo successivo. Al termine dell’esecuzione
quindi sono contenuti nell’Event sia i dati di partenza che quelli processati.
L’input e l’output sono costituiti da file in formato ROOT [32].
In questa sezione descriverò la prima fase della ricostruzione offline, nella quale
vengono individuati gli hit, cioè i punti del tracciatore in cui è stato rivelato il
passaggio di una particella.
Per poter ricostruire gli hit, e quindi in generale per poter compiere qualsiasi tipo
di analisi successiva sui dati, è necessario effettuare alcune prese dati preliminari.
Durante queste acquisizioni vengono effettuate le seguenti operazioni:
ˆ viene ottimizzata la catena dei ritardi agendo sulle PLL degli APV-25, in modo
tale da sincronizzare l’arrivo dei frame degli APV-25 ai canali del FED;
ˆ vengono regolati il guadagno dei laser sugli opto-ibridi e l’altezza della baseline
degli APV-25.
Al termine di queste operazioni viene eseguita una presa dati con il FED in Virgin
Raw Data mode, con la quale vengono calcolati offline i piedistalli di ciascuna strip
44
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
come nella (2.2) ed il rispettivo rumore al netto del rumore di modo comune, come definito nella (2.5). Queste informazioni vengono memorizzate in un database,
insieme ad altre sulla collocazione dei vari moduli nella geometria globale di CMS
e circa la presenza di eventuali strip o chip danneggiati, individuati nella fase di
assemblaggio. Il database verrà poi utilizzato sia per il funzionamento del FED in
Zero Suppression mode che per la ricostruzione offline, supponendo che i valori dei
piedistalli e del rumore memorizzati rimangano sufficientemente costanti durante
tutta la presa dati effettiva.
2.5.1
Ricostruzione degli hit
La ricostruzione degli hit è affidata a tre moduli di CMSSW che, partendo dai
segnali digitalizzati dal FED espressi in conteggi ADC, producono altrettanti oggetti.
Questi sono detti, seguendo l’ordine di applicazione dei moduli: Digi, Cluster e
RecHit.
Digi
Il primo modulo crea un vettore (collection) in cui associa a tutti i rivelatori del
tracciatore degli oggetti, raggruppati a loro volta in un vettore, chiamati appunto
Digi. Ciascun Digi si riferisce ad una strip del rivelatore e contiene il segnale espresso
in conteggi ADC di tale strip e il numero identificativo di strip. Sono sempre presenti
quattro collection di Digi, una per ogni modalità di funzionamento del FED. A
seconda della modalità selezionata viene riempita una collection, mentre le altre
vengono lasciate vuote.
Nel caso in cui il FED stia lavorando in modalità Zero Suppression, cioè nella modalità standard per la presa dati a LHC, vengono costruiti i Digi partendo
direttamente dalle strip che hanno superato il cluster finding del FED.
Se invece il FED sta lavorando in Virgin Raw Data mode, la collection contiene
i Digi relativi a tutte le strip dei rivelatori. In questo modo ad esempio è possibile
misurare i piedistalli di tutte le strip per memorizzarli nel database. Tuttavia se la
collection Virgin Raw è utilizzata per ricostruzioni offline di eventi, viene comunque
simulato l’algoritmo di Zero Suppression e sono comunque usati solo i Digi che
superano il cluster finding.
Cluster
Il modulo successivo prende in ingresso il vettore di Digi prodotto dal primo modulo
e cerca fra di essi quali effettivamente sono da associare al passaggio di una particella
e quali invece sono da considerare dovuti al rumore, raggruppando eventualmente
2.5. RICOSTRUZIONE OFFLINE
45
in un vettore quei Digi che sono riconducibili al passaggio della stessa particella.
Un tale vettore di Digi, composto al limite anche da un solo Digi, è detto Cluster.
L’output di questo modulo è costituito quindi da un nuovo vettore in cui viene
associato ad ogni rivelatore un vettore di Cluster.
Per individuare i Digi con cui formare i Cluster, CMSSW utilizza un algoritmo
detto ThreeThresholdClusterizer, che si basa sostanzialmente sul superamento di tre
soglie nel rapporto segnale/rumore. Le tre fasi in cui si articola il ThreeThresholdClusterizer sono:
ˆ Seed Threshold
L’algoritmo ricerca una strip con un rapporto segnale/rumore S/N > tSeed , la
quale costituisce il cosiddetto Seed del Cluster. Tipicamente vale tSeed = 4.
ˆ Channel Threshold
Vengono incluse nel Cluster le strip vicine al Seed che abbiano un rapporto segnale/rumore S/N > tChannel , con tChannel ≤ tSeed (tipicamente tChannel = 3).
Vengono inserite nel Cluster anche strip che non superano la soglia tChannel ,
ma che si trovano fra due strip che la superano. Tali strip vengono dette hole. Inoltre, nel caso in cui si trovino strip che risultano difettose nel database
vicino a strip che superano tChannel , le strip difettose vengono inserite fra i
possibili Seed di un Cluster.
ˆ Cluster Threshold
Si verifica che il rapporto fra il segnale complessivo del Cluster, ottenuto come somma dei conteggi ADC dei Digi che lo compongono, ed il suo rumore,
definito come la somma quadratica dei rumori delle strip che lo compongono,
sia tale per cui S/N > tCluster , con tCluster ≥ tSeed . Un valore tipicamente
adottato per la terza soglia è tCluster = 5.
I tagli sono effettuati confrontando il segnale di ciascuna strip con il suo rumore al
netto del rumore di modo comune, e necessitano quindi di una presa dati preliminare
in cui vengano acquisite le informazioni sul rumore delle strip. Le soglie tSeed , tChannel
e tCluster , cosı̀ come il numero massimo di hole permesse in un Cluster, sono parametri
che vengono stabiliti dall’utente nel file di configurazione.
RecHit
L’ultima parte della ricostruzione degli hit consiste nella produzione dei RecHit,
cioè nella trasformazione dei Cluster, che individuano ancora il punto di passaggio
della particella in termini di strip del rivelatore, in punti espressi in termini delle
coordinate locali del rivelatore, detti appunto RecHit.
46
CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS
Figura 2.12: Sistema di riferimento locale di un modulo rettangolare mono (sinistra)
e stereo (destra).
Il sistema di riferimento locale di ciascun modulo è definito in CMSSW come
quel sistema destrorso di coordinate cartesiane avente l’origine al centro del modulo,
l’asse y parallelo alla strip centrale con il verso positivo in direzione del lato opposto
a quello su cui è montato l’ibrido, e l’asse z ortogonale al modulo ed uscente dal lato
giunzione. In questo modo, nel caso di rivelatori rettangolari, l’asse y è parallelo
alle strip e l’asse x perpendicolare. In fig.2.12 è riportato un disegno del sistema di
riferimento locale di un modulo rettangolare mono, e di uno stereo.
Le coordinate dei RecHit, calcolate con le relative incertezze, possono poi essere trasformate in coordinate espresse nella geometria globale di CMS attraverso le
informazioni sulla geometria contenute nel database, costituendo in questo modo il
punto di partenza per la ricostruzione delle tracce.
La posizione del RecHit nelle coordinate locali viene calcolata ricavando il centroide dei conteggi ADC dei vari Digi che compongono il Cluster. Per un rivelatore
a singola faccia la coordinata misurata con precisione è quella perpendicolare alle
strip. La posizione lungo la strip viene assunta in questo caso uguale a zero, cioè al
centro della strip stessa.
Nel caso in cui invece il RecHit si trovi su un rivelatore a doppia faccia, il modulo
che si occupa della ricostruzione del RecHit cerca nel rivelatore che costituisce l’altra
faccia la presenza di un RecHit che possa essere associato al primo. Per far questo
viene definito un “modulo virtuale”, detto glued, con lo stesso sistema di riferimento
del modulo mono, ma con il centro situato fra il modulo mono e quello stereo. I
cluster sia del rivelatore mono che di quello stereo vengono proiettati sul modulo
glued seguendo l’inclinazione della traccia, inizialmente assunta come rettilinea e
congiungente il centro d’interazione al centroide del cluster. A questo punto viene
effettuata l’intersezione fra le strip proiettate sul modulo glued e vengono quindi
2.5. RICOSTRUZIONE OFFLINE
47
calcolate le coordinate dei punti di intersezione con i relativi errori. Se un punto
ottenuto in questo modo si trova all’interno del modulo o al più entro 3 deviazioni
standard dal bordo del modulo, viene considerato valido e memorizzato come RecHit
glued, altrimenti vengono mantenuti i RecHit mono e stereo separatamente.
In presenza di un campo magnetico viene inoltre effettuata una correzione sulla
posizione del RecHit che tiene conto della deviazione dei portatori di carica all’interno del rivelatore a causa della forza di Lorentz. Per operare tale correzione il file di
configurazione deve passare a questo modulo il valore della tangente dell’angolo di
Lorentz per unità di campo magnetico (espresso in Tesla). Come già detto il lavoro
di questa tesi riguarda proprio l’effetto del campo magnetico nella ricostruzione degli
hit nel tracciatore. Nel prossimo capitolo cominceremo a vedere questo effetto.
Capitolo 3
Rivelatori al silicio in campo
magnetico
In questo capitolo descriverò alcune caratteristiche dei rivelatori al silicio che riguardano direttamente il mio lavoro di tesi. In particolare mi soffermerò sugli effetti nel
moto dei portatori di carica dovuti alla presenza di un campo magnetico. Descriverò
inoltre i risultati ottenuti con un modello da me fatto, in cui vengono simulati tali
effetti all’interno dei rivelatori al silicio da noi utilizzati per la misura oggetto di
questo lavoro di tesi.
3.1
Proprietà del silicio
In questa sezione darò un breve accenno ad alcune proprietà dei semiconduttori e
in particolare del silicio. Per una trattazione più dettagliata si rimanda ai testi di
G.Lutz [33] e di K.Seeger [34].
Le caratteristiche fisiche del silicio derivano dalla sua struttura cristallina. A
causa della periodicità del potenziale di interazione con i nuclei, dovuto a tale struttura, si ha la comparsa di due regioni di energie permesse per gli elettroni, dette
banda di valenza e banda di conduzione, separate da una regione di energie proibite, detta gap come mostrato in fig.3.1. La banda di conduzione corrisponde ad
elettroni liberi di muoversi all’interno del materiale, mentre la banda di valenza ad
elettroni legati ad un particolare sito reticolare. L’intervallo di energie proibite, Eg ,
costituisce un parametro fondamentale per il comportamento del materiale. Esso
infatti rappresenta l’energia minima necessaria per portare in banda di conduzione
un elettrone. Quest’ultimo, passando in banda di conduzione, lascia una lacuna
nella banda di valenza. Questa a sua volta si comporta a tutti gli effetti come una
carica positiva libera di muoversi nel reticolo.
50
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Figura 3.1: Rappresentazione schematica della struttura a bande dei livelli energetici
più esterni degli elettroni nel silicio e della produzione di coppie elettrone-lacuna.
Nel silicio, in cui Eg = 1.14 eV, a T ∼ 300 K alcuni elettroni della banda di valen-
za acquistano per agitazione termica un’energia sufficiente per passare in banda di
conduzione, dando luogo alla di produzione di coppie elettrone-lacuna. Al contrario
nei materiali isolanti il valore di Eg (≥ 5 eV) è troppo grande perché venga popolata
in maniera significativa la banda di conduzione.
3.1.1
Silicio intrinseco e drogato
In un semiconduttore intrinseco, cioè in un cristallo puro, la densità di cariche libere
è la stessa per gli elettroni e per le lacune. Tale densità, detta ni , è pari a ∼ 1010 cm−3
nel silicio a temperatura ambiente.
Le espressioni delle concentrazioni di elettroni (n) e lacune (p) sono:
n = Nc e−
p = Nv e−
Ec −EF
kT
(3.1)
EF −Ev
kT
(3.2)
dove Nc e Nv sono le densità degli stati per elettroni e lacune, Ec ed Ev sono rispettivamente l’energia minima della banda di conduzione e l’energia massima della banda
di valenza ed EF è l’energia di Fermi, corrispondente all’energia massima raggiunta
a T = 0 K da una popolazione di fermioni (in questo caso elettroni). Moltiplicando
le densità dei portatori si trova la cosiddetta “legge di azione di massa”:
n2i = n · p = Nc Nv e−
Ec −Ev
kT
Eg
= Nc Nv e− kT
(3.3)
Il prodotto n·p è quindi indipendente dall’energia di Fermi e pertanto la legge di azione di massa rimane verificata anche nel caso in cui vengano alterate le concentrazioni
51
3.1. PROPRIETÀ DEL SILICIO
dei portatori in maniera articifiale, attraverso un procedimento detto genericamente
“drogaggio”. Si definiscono semiconduttori di tipo n cristalli di silicio in cui sono
stati aggiunti nel reticolo atomi del V gruppo, detti donori (tipicamente Fosforo), i
quali hanno un elettrone di valenza in più rispetto al silicio. L’elettrone eccedente
è facilmente ionizzabile e passa in banda di conduzione, lasciando uno ione positivo
nel sito reticolare cui apparteneva. Si ha quindi in questo caso un aumento della
concentrazione dei portatori di carica negativi. Detta ND la concentrazione dei donori, vale tipicamente ND ≫ ni , pertanto le concentrazioni di elettroni e lacune sono
date da:
(
n ≃ ND
p≃
n2i
ND
(3.4)
Semiconduttori di tipo p invece sono cristalli in cui sono stati aggiunti atomi del
III gruppo, detti accettori (tipicamente Boro), con un elettrone di valenza in meno
rispetto al silicio. Il legame non saturato tende a catturare un elettrone, diventando
a sua volta uno ione negativo e creando una lacuna. Nei semiconduttori di tipo p
quindi i portatori maggioritari sono le lacune e, supponendo anche in questo caso
NA ≫ ni con NA concentrazione degli atomi accettori, si avrà:
(
p ≃ NA
n≃
n2i
NA
(3.5)
Valori tipici delle concentrazioni dei droganti, sia di accettori che donori, variano da
1012 a 1017 cm−3 .
3.1.2
La giunzione pn
Si ottiene una giunzione pn quando un cristallo semiconduttore viene drogato con
atomi donori in un lato e con atomi accettori nell’altro. Il gradiente di concentrazione delle cariche libere, elettroni da una parte e lacune dall’altra, genera una
diffusione dei portatori maggioritari verso le regioni in cui la loro concentrazione è
inferiore. Tale diffusione porta ad una ricombinazione di elettroni e lacune entro
una regione intorno alla giunzione, detta regione di svuotamento in quanto priva
di portatori liberi (fig.3.2). Nella regione di svuotamento quindi il ricombinarsi di
elettroni e lacune lascia un eccesso di carica negativa nella parte di tipo p, in quanto
gli accettori presenti sono ionizzati negativamente avendo acquistato un elettrone.
Al contrario la parte di tipo n ha un eccesso di carica positiva, in quanto i donori
hanno perso un elettrone rimanendo ionizzati positivamente. Per questo la regione
di svuotamento è anche detta regione di carica spaziale. Il processo di diffusione dei
portatori maggioritari si arresta quando il campo elettrico generato dagli ioni presenti nelle due parti della regione di svuotamento è tale da contrastare la diffusione
52
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Figura 3.2: Rappresentazione schematica di una giunzione pn con formazione della
regione di svuotamento.
dei portatori maggioritari. La differenza di potenziale V0 che si viene a creare fra
un estremo e l’altro della giunzione una volta raggiunto l’equilibrio è data da:
kT
ln
V0 =
e
NA ND
n2i
(3.6)
e tipicamente ha un valore di alcune centinaia di mV a temperatura ambiente. Nel
caso in cui la concentrazione dei droganti sia diversa nei due tipi di materiale, la
regione di svuotamento si estenderà maggiormente nella parte a minore drogaggio.
La densità di carica nella regione di svuotamento è data infatti da eND nella parte
di tipo n e da −eNA nella parte di tipo p. Quindi, dovendo rimanere la regione
di svuotamento complessivamente neutra, deve valere wn ND = wp NA dove wn e
wp sono lo spessore della regione di svuotamento nella parte n e p rispettivamente.
Supponendo che la giunzione abbia simmmetria planare e imponendo le condizioni
di bordo (campo elettrico nullo ai bordi della regione di svuotamento e raccordo del
potenziale alla giunzione), si ricava dall’equazione di Poisson:
V (x) =




eNA
(wp
2ǫ
+ x)2
per −wp ≤ x ≤ 0


 − eND (w − x)2 + V per
n
0
2ǫ
(3.7)
0 ≤ x ≤ wn
dove ǫ = ǫ0 ǫr è la costante dielettrica del materiale e V0 = V (wn ) − V (−wp ) è il
potenziale di giunzione ricavato nella (3.6). Imponendo la condizione di raccordo
del potenziale alla giunzione, V0 risulta uguale a:
V0 =
e
(NA wp2 + ND wn2 )
2ǫ
(3.8)
53
3.1. PROPRIETÀ DEL SILICIO
Il campo elettrico all’interno della regione di svuotamento invece sarà dato da:

eNA


 − ǫ (wp + x) per −wp ≤ x ≤ 0
E(x) =
(3.9)


 − eND (w − x) per 0 ≤ x ≤ w
n
n
ǫ
Dalla (3.8) e dalla condizione di neutralità della regione di svuotamento è possibile
ricavare lo spessore W di quest’ultima in funzione delle concentrazioni dei droganti
e del potenziale di giunzione:
W = (wn + wp ) =
r
2ǫV0 NA + ND
e
NA ND
(3.10)
Solitamente per la realizzazione dei rivelatori le giunzioni utilizzate non sono
simmetriche, la concentrazione dei droganti è cioè molto maggiore in una delle due
parti della giunzione. Giunzioni di questo tipo vengono dette unilaterali, e sono
indicate come p+ n nel caso in cui NA ≫ ND , o n+ p nel caso in cui ND ≫ NA . In
questi casi la regione di svuotamento si estende praticamente tutta nel lato della
giunzione con minore concentrazione. Ad esempio nel caso dei rivelatori del tracciatore a microstrisce di CMS, le strip formano con il substrato una giunzione p+ n
e lo spessore della regione di svuotamento è approssimabile a:
r
2ǫV0
wn ≃
eND
(3.11)
In fig.3.3 è riportato l’andamento della densità di carica, del campo elettrico e del
potenziale per una giunzione p+ n all’equilibrio termodinamico.
Figura 3.3: Densità di carica (ρ), campo elettrico (ǫ) e potenziale (V ) di una
giunzione unilaterale p+ n.
54
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Nei dispositivi comunemente usati per la rivelazione di particelle inoltre le giun-
zioni vengono contropolarizzate, viene cioè applicata una tensione VP dello stesso
segno di V0 agli estremi della giunzione. La tensione VP è detta tensione di polarizzazione e, sommandosi a V0 nella (3.10) o nella (3.11), aumenta lo spessore della
regione di svuotamento. Le condizioni ottimali per il funzionamento del rivelatore
si ottengono quando la regione di svuotamento si estende all’intero cristallo (come
verrà mostrato nella sez.3.3.1). Il valore della tensione di polarizzazione per cui la
regione di svuotamento è massima è dato da:
Vs ≃
eND d2
2ǫ
(3.12)
dove Vs è detta appunto tensione di svuotamento, e d è lo spessore del rivelatore.
Considerando una giunzione p+ n contropolarizzata con VP < Vs ed utilizzando
la (3.9) e la (3.11), si può esprimere il campo elettrico all’interno del lato n della
giunzione (dove si estende praticamente tutta la regione di svuotamento) come:
E(x) = −
2VP
(wn − x)
wn2
VP < Vs
(3.13)
dove wn è lo spessore della regione di svuotamento. Se invece V > Vs la (3.13)
diventa [35, 36]:
E(x) = −
VP − Vs
2Vs
(d − x) −
2
d
d
VP ≥ Vs
(3.14)
dove d è lo spessore del rivelatore. Le equazioni (3.13) e (3.14) risulteranno utili
nella sez.3.4 per la formulazione del modello sugli effetti del campo magnetico sul
moto dei portatori.
Spesso i rivelatori vengono polarizzati con tensioni molto maggiori della tensione
di svuotamento (overdepletion), per migliorare l’efficienza di raccolta di carica. In
questi casi la (3.14) si può approssimare con E ≃ −VP /d, e il campo elettrico assume
quindi un valore circa costante all’interno di tutta la regione di svuotamento.
La presenza del campo elettrico all’interno della regione di svuotamento, in condizioni di polarizzazione del rivelatore, fa sı̀ che le coppie elettrone-lacuna generate
nella regione di svuotamento non si ricombinino, ma si muovano sotto l’effetto del
campo dando luogo a una corrente.
Una caratteristica importante di una giunzione pn contropolarizzata è la capacità
ad essa associata, dovuta alla carica spaziale presente nella regione di svuotamento.
Tale capacità è definita come:
C=
dQ
dQ dW
·
=
dVP
dW dVP
(3.15)
dove dW è l’allargamento della regione svuotata dovuto all’aumento della tensione
di polarizzazione dVP , e dQ è l’aumento della carica ad entrambi i lati della giunzione
3.1. PROPRIETÀ DEL SILICIO
55
determinato dall’allargamento dW . Nel caso di giunzioni di tipo p+ n si ottiene la
seguente espressione della capacità per unità di superficie:
 q
eǫND

per V < Vs


2V
C/S =



ǫ
per V ≥ Vs
d
(3.16)
dove S è l’area della sezione della giunzione, Vs è la tensione di svuotamento e d lo
spessore del rivelatore.
3.1.3
Moto dei portatori di carica
Il moto dei portatori di carica (elettroni in banda di conduzione e lacune in banda
di valenza) è descrivibile come il moto di particelle libere, dal momento che non
sono associati ad un particolare sito reticolare. La loro energia cinetica media vale
pertanto 32 kT e la loro velocità a temperatura ambiente è dell’ordine di 107 cm/s.
Durante il loro moto i portatori di carica subiscono urti con i fononi dovuti alle
vibrazioni reticolari e con le imperfezioni presenti nel reticolo stesso. Tipicamente
il cammino libero medio è dell’ordine di 10−5 cm, mentre il tempo che intercorre fra due urti consecutivi, detto tempo libero medio, vale approssimativamente
τ ≈ 10−12 s [33].
A causa degli urti la direzione del moto cambia continuamente in modo casuale,
cosicché, in assenza di un campo elettrico esterno e all’equilibrio termodinamico,
lo spostamento netto di ciascun portatore risulta essere nullo. Se invece è presente
un campo elettrico esterno oppure il sistema non è all’equilibrio a causa di una
distribuzione disomogenea dei portatori, lo spostamento netto delle cariche libere
è diverso da zero. Nel primo caso il moto delle cariche viene detto di deriva, nel
secondo di diffusione.
Moto di deriva
In presenza di un campo elettrico esterno i portatori di carica vengono accelerati fra
un urto e il successivo, acquistando in media una velocità di deriva nella direzione
del campo elettrico. Detto E il campo elettrico, τ il tempo libero medio, q la carica
di un generico portatore e m∗ la sua massa efficace1 , si ha che l’equazione di moto
di un portatore di carica, ricavata con un approccio quasi-classico, è data da [37]:
2
m∗ dr
∗d r
m 2 +
= −qE
(3.17)
dt
τ
dt
1
La massa efficace è definita come l’inverso della derivata seconda dell’energia rispetto all’im-
pulso, calcolata nel minimo del potenziale per gli elettroni in banda di conduzione e nel massimo
per le lacune in banda di valenza.
56
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
dove il termine viscoso proporzionale alla velocità è dovuto agli urti dei portatori
con i fononi e con le impurità presenti nel reticolo. In regime stazionario il termine
viscoso annulla quello forzante dovuto al campo elettrico, per cui risulta d2 r/dt2 = 0
e la (3.17) diventa:
m∗
qτ
vd = −qE −→ vd = ∗ E
τ
m
(3.18)
dove vd è appunto la velocità di deriva dei portatori. Indicando quindi con vn e con
vp le velocità di deriva rispettivamente di elettroni e lacune, si ha che:
vn = −
vp =
e·τ
E = −µn E
m∗n
e·τ
E = µp E
m∗p
(3.19)
(3.20)
dove µn e µp sono detti mobilità dei portatori (rispettivamente elettroni e lacune).
Nel caso di campi elettrici piccoli, cioè tali per cui la variazione della velocità
dovuta all’accelerazione generata dal campo è piccola rispetto alla velocità dovuta all’agitazione termica, µn e µp sono costanti e quindi la velocità di deriva è
proporzionale al campo.
Nella sezione 3.2 è riportato uno studio più dettagliato sulla mobilità dei portatori
di carica nei rivelatori al silicio in varie condizioni di funzionamento.
Moto di diffusione
Nel caso di una distribuzione non omogenea dei portatori di carica, anche in assenza
di un campo elettrico esterno si assiste ad uno spostamento netto dei portatori dalla
regione a maggiore verso quella a minore concentrazione. Infatti la probabilità di
uno spostamento complessivo dei portatori verso la regione di minore concentrazione è maggiore rispetto allo spostamento nella direzione opposta, per il semplice
fatto che ci sono più portatori che hanno la possibilità di spostarsi nella regione di
minore concentrazione rispetto a quelli che possono andare verso quella di maggiore
concentrazione.
Questo moto è detto di diffusione, ed è descritto dalle equazioni [33]:
Fn = −Dn · ∇n
(3.21)
Fp = −Dp · ∇p
dove Fn è il campo delle velocità degli elettroni che fluiscono verso la regione di
minore concentrazione, Dn il coefficiente di diffusione e ∇n il gradiente di concentrazione. Analogamente Fp , Dp e ∇p per le lacune. Il coefficiente di diffusione e la
3.2. MOBILITÀ DEI PORTATORI DI CARICA NEL SILICIO
57
mobilità sono legati fra loro dall’equazione di Einstein:
Dn =
kT
µ
e n
Dp =
kT
µ
e p
(3.22)
Combinando i moti di deriva e diffusione è possibile ottenere l’espressione della
densità di corrente dei portatori:
Jn = eµn nE + eDn ∇n
(3.23)
Jp = eµp pE − eDp ∇p
Le coppie elettrone-lacuna liberate da una particella ionizzante che attraversa il
rivelatore sono sempre soggette sia al moto di deriva dovuto al campo elettrico presente all’interno del rivelatore, sia al moto di diffusione. In assenza di quest’ultimo
le cariche liberate seguirebbero esattamente le linee del campo elettrico, mentre la
presenza del moto di diffusione introduce una dispersione nelle posizioni di arrivo ai
punti di raccolta delle cariche, che può essere descritta da una distribuzione Gaussiana. Supponendo che la creazione delle coppie elettrone-lacuna avvenga in un solo
punto, la deviazione standard della distribuzione dei punti d’arrivo è data da:
r
√
2kT x
σ = 2Dt =
(3.24)
eE
dove D è il coefficiente di diffusione, t la durata del moto di deriva e x la distanza
percorsa in tale moto, dal punto in cui vengono liberate le cariche fino al punto di
raccolta.
3.2
Mobilità dei portatori di carica nel silicio
La mobilità dei portatori di carica riveste un ruolo chiave nella determinazione
della loro velocità di deriva all’interno dei rivelatori al silicio e quindi, come verrà
specificato nella sezione seguente, nella determinazione della loro deviazione dalla
traiettoria originaria in presenza di un campo magnetico esterno.
Dal momento che i portatori di carica subiscono urti con i fononi generati dalla
vibrazione termica e con le imperfezioni presenti nel reticolo, la mobilità dipenderà,
oltre che dal campo elettrico, anche dalla temperatura e, anche se in misura molto
minore come vedremo in seguito, dalla concentrazione delle impurità.
In fig.3.4 sono riportate le velocità di deriva di elettroni e lacune in cristalli di
silicio in funzione del campo elettrico applicato e a differenti temperature. Come
mostrato in figura le velocità di deriva, a parità di campo elettrico, aumentano al
58
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Figura 3.4: Velocità di deriva in funzione del campo campo elettrico applicato lungo la direzione cristallografica h100i (vedi testo) per elettroni e lacune in silicio a
differenti temperature [38, 39].
diminuire della temperatura, mentre all’aumentare del campo elettrico (per temperature superiori ai 100 K) si ha una prima regione di linearità, a cui corrisponde un
valore della mobilità circa costante, ed una successiva regione di saturazione, nella
quale la mobilità diminuisce progressivamente all’aumentare del campo, fino a variare come 1/E quando la velocità raggiunge il valore di saturazione. Infatti per campi
elettrici intensi, cioè tali per cui l’energia dei portatori diventa significativamente più
grande dell’energia dovuta all’agitazione termica, il tempo medio di collisione non è
più indipendente dal campo e quindi la mobilità non è più costante ma diminuisce
con l’aumentare del campo, fino a diventare inversamente proporzionale ad esso.
La velocità di deriva, sia degli elettroni che delle lacune, mostra inoltre un comportamento anisotropo, dipende cioè dalla direzione cristallografica lungo cui è applicato il campo. Tuttavia tale anisotropia dà effetti rilevanti solo a basse temperature
(sotto i 100 K) [38, 39].
Una parametrizzazione dell’andamento della velocità di deriva per elettroni e
lacune in funzione del campo elettrico e della temperatura è stata ricavata in [40].
Da essa si può dedurre la seguente formula per la mobilità [35]:
µlow
µ(E) =
E β β1
(1 + ( µvlow
) )
sat
(3.25)
dove µlow indica la mobilità dei portatori per campi elettrici deboli, vsat la velocità di
deriva alla saturazione e β è il parametro del fit. Per le lacune i valori dei parametri
sono [35]:
T −2.5
µlow = 470.5(cm /Vs)
300 K
T 0.17
β = 1.213
300 K
T 0.52
vsat = 8.37 × 106 (cm/s)
300 K
2
(3.26)
(3.27)
(3.28)
3.2. MOBILITÀ DEI PORTATORI DI CARICA NEL SILICIO
59
mentre per gli elettroni [35]:
T −2.2
µlow = 1417(cm /Vs)
300 K
T 0.66
β = 1.109
300 K
T 0.87
vsat = 1.07 × 107 (cm/s)
300 K
2
(3.29)
(3.30)
(3.31)
con T temperatura termodinamica assoluta.
La mobilità di elettroni e lacune non dipende dalla concentrazione delle impurità,
almeno per valori sotto 1014 cm−3 (valori tipici della concentrazione dei droganti nel
substrato sono ∼ 1012 cm−3 ) [41]. Allo stesso modo la variazione della mobilità a
causa dei danni da radiazione, che possono essere considerati sostanzialmente come
un inserimento di ulteriori impurità nel reticolo cristallino, è trascurabile almeno
fino a fluenze equivalenti di 1013 neq /cm2 . L’effetto dei danni da radiazione viene
schematizzato ponendo nella (3.26) e nella (3.29) rispettivamente:
T −2.5
2
µlow = 460(cm /Vs)
per le lacune
300 K
T −2.2
per gli elettroni
µlow = 1000(cm2 /Vs)
300 K
(3.32)
(3.33)
per rivelatori che hanno subito un irraggiamento superiore ad una fluenza equivalente
di 1013 neq /cm2 . Al di sopra di tale fluenza non si osservano ulteriori cambiamenti
nella mobilità [35].
3.2.1
Effetti del campo magnetico sulla mobilità
La presenza di un campo magnetico esterno modifica l’equazione di moto dei portatori di carica (3.17) introducendo la forza di Lorentz [34, 37]:
2
m∗ dr
∗d r
= q[E + (v × B)]
m 2 +
dt
τ
dt
(3.34)
Consideriamo ad esempio il moto di elettroni monoenergetici, supponendo che il
campo elettrico abbia una direzione arbitraria e che il campo magnetico sia diretto
lungo l’asse z. Si ricava la seguente espressione della densità di corrente in condizioni
di stazionarietà (d2 r/dt2 = 0) [37]:






 jx =
 jx = σ0 Ex − ωc τ jy
jy = σ0 Ey − ωc τ jx −→
jy =




 j =
 j =
σ0 Ez
z
z
1
1+(ωc τ )2
1
1+(ωc τ )2
σ0 (Ex − ωc τ Ey )
σ0 (Ey + ωc τ Ex )
(3.35)
σ0 Ez
dove σ0 è la conducibilità per campo magnetico nullo e ωc è la frequenza di ciclotrone,
e valgono rispettivamente:
σ0 =
ne2 τ
m∗
(3.36)
60
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
eBz
m∗
con n concentrazione degli elettroni liberi ed e carica dell’elettrone.
ωc =
(3.37)
La presenza del campo magnetico quindi provoca la comparsa di una corrente
nella direzione perpendicolare al campo elettrico e al campo magnetico stesso. Tale
corrente a sua volta genera un accumulo di carica alle estremità del cristallo lungo
questa direzione, a causa del quale si ha la comparsa di un campo elettrico che
contrasta l’ulteriore accumulo di cariche. Quando il campo elettrico cosı̀ formato
è tale da annullare la forza di Lorentz, la corrente in questa direzione cessa. La
comparsa di questo campo elettrico indotto dalla presenza del campo magnetico è
detto effetto Hall. Supponendo per semplicità che il campo elettrico dovuto alla
tensione di polarizzazione sia lungo l’asse x, ed il campo magnetico sia ancora lungo
l’asse z, a regime si ha jy = 0, per cui dalla (3.35) segue:
(
Ey = − ωcστ0jx
jx
=
σ0 Ex
(3.38)
Si definisce il coefficiente di Hall RH come:
RH =
Ey
jx Bz
(3.39)
Combinando la definizione (3.39) con le equazioni (3.36), (3.37) e (3.38) si ottiene:
RH = −
ωc τ
1
=−
σ0 Bz
ne
(3.40)
da cui
eτ
= µn
m∗
dove µn è la mobilità degli elettroni definita nella (3.19).
RH σ0 = −
(3.41)
Se passiamo adesso a considerare un insieme di elettroni con distribuzione di
R
R
energia f (E), detta hai = a(E)f (E)dE/ f (E)dE la media sull’insieme di una
generica grandezza a(E), le (3.35) diventano [37]:



 hjx i = αEx − γBz Ey
dove
hjy i = αEy − γBz Ex


 hj i =
hσ0 iEz
z
α=
γ=
E
τ
ne2 D
m∗ 1 + (ωc τ )2
E
ne3 D
τ2
m∗2 1 + (ωc τ )2
In tal caso l’espressione del coefficiente di Hall diventa:
γ 2 −1
γ
RH = − 2 1 + 2 Bz2
α
α
(3.42)
(3.43)
(3.44)
(3.45)
61
3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE
Per campi magnetici piccoli, cioè per (ωc τ )2 ≪ 1, le (3.43) e (3.44) diventano:
ne2
ne3 2
hτ
i
e
γ
≃
hτ i
m∗
m∗2
da cui si ricava la seguente espressione del coefficiente di Hall:
α≃
RH ≃ −
1 hτ 2 i
ne hτ i2
(3.46)
(3.47)
La mobilità in presenza di un campo magnetico, detta mobilità di Hall, è quindi per
(ωc τ )2 ≪ 1:
hτ 2 i
µH = RH σ0 =
µ n = rH µ n
hτ i2
dove si è definito il “fattore di Hall” rH come
rH =
hτ 2 i
hτ i2
(3.48)
(3.49)
Esso mostra una debole dipendenza dalla temperatura, mentre non dipende affatto
dalla concentrazione delle impurità, almeno fino a valori sotto 1014 cm−3 [42, 43]. A
temperatura ambiente si trovano per rH i seguenti valori [35]:
rH = 1.15
per gli elettroni
(3.50)
rH = 0.7
per le lacune
(3.51)
Per campi magnetici intensi ((ωc τ )2 ≫ 1) si ha invece che le (3.43) e (3.44)
diventano:
α≃
ne2 −1
hτ i
m∗ ωc2
e
γ≃
ne3
m∗2 ωc2
(3.52)
da cui
1
⇒ rH → 1
(3.53)
ne
Dalla (3.37) si ha che la condizione (ωc τ )2 ≫ 1 può essere espressa come [34]:
2
eBz
τ
≫ 1 ⇒ (µH Bz )2 ≫ 1
(rH → 1)
(3.54)
∗
m
RH ≃ −
Assumendo ad esempio µnH ∼ 1400 cm2 /Vs e µpH ∼ 400 cm2 /Vs si ha che la condi-
zione di campi magnetici intensi è soddisfatta per valori del campo magnetico pari
a B ≫ 7 T per gli elettroni e B ≫ 25 T per le lacune, cioè ben al di sopra dei 4 T in
cui si troveranno ad operare i rivelatori di CMS. Quindi nel nostro caso utilizzeremo
i valori di rH ricavati nell’approssimazione di campi magnetici deboli.
3.3
Rivelatori al silicio a microstrisce
In questa sezione descriverò i principi di funzionamento di un generico rivelatore al
silicio e in particolare alcune caratteristiche che riguardano i rivelatori del tracciatore
a microstrisce di CMS. Descriverò inoltre gli effetti del campo magnetico sul segnale
prodotto nei rivelatori.
62
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
3.3.1
Principi generali di funzionamento
I dispositivi comunemente usati per la rivelazione sono costituiti da una giunzione
pn contropolarizzata, con la regione di svuotamento estesa all’intero cristallo. Nel
caso dei rivelatori a microstrisce di CMS le giunzioni sono del tipo p+ n. Quando
una particella ionizzante attraversa il rivelatore, come mostrato in fig.3.5, perde
energia per collisioni con gli elettroni degli atomi presenti, causando la ionizzazione di
questi ultimi e la conseguente creazione di coppie elettrone-lacuna libere di muoversi
all’interno del cristallo. Se questo avviene nella regione non svuotata, gli elettroni
e le lacune prodotte si ricombinano rapidamente senza produrre alcun effetto. Se al
contrario la produzione delle coppie elettrone-lacuna avviene nella regione svuotata,
le cariche migrano sotto l’effetto del campo elettrico e vengono raccolte ai capi della
giunzione generando un segnale che individua il passaggio della particella. Per questo
le condizioni ottimali di utilizzo si ottengono quando la regione di svuotamento è
massima.
La perdita di energia di una particella carica che attraversa un materiale è descritta dalla formula di Bethe-Bloch [44] e ha un minimo, normalizzato per la densità
del mezzo, a ∼ 2 MeV g−1 cm2 . Tale valore minimo è lo stesso per tutte le particelle
di carica ±1 (ad eccezione di elettroni e positroni) con β ∼ 0.96 (dove βc è la velocità
della particella incidente e c la velocità della luce) ed è indipendente dal mezzo attraversato (a patto che abbia Z/A ≃ 0.5). Si parla in questi casi di particelle al minimo
di ionizzazione (mip, minimum ionizing particle). La distribuzione della perdita di
energia attraverso assorbitori sottili, come nel caso dei rivelatori del tracciatore di
CMS, è descritta dalla teoria di Landau [45]. Tale distribuzione è asimmetrica, per
cui la perdita di energia più probabile è inferiore alla perdita di energia media, a
Figura 3.5: Schema generale di un rivelatore al silicio p+ n.
63
3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE
htemp
Distribuzione di carica TIB layer 2
Entries
6561
Mean
121.1
RMS
55.85
χ2 / ndf
409.1 / 92
Constant 2632 ± 51.7
91.13 ± 0.36
MPV
Sigma
12.09 ± 0.19
500
400
300
200
100
0
0
100
200
300
400
500
carica (conteggi ADC)
Figura 3.6: Distribuzione di carica rilasciata nei moduli del TIB layer 2 all’esperimento MTCC (descritto in Cap.4 e Cap.5). I dati si riferiscono ad alcune delle
acquisizioni effettuate a 0 Tesla. Sulla distribuzione è stato eseguito un fit a una
Landau in approssimazione di Moyal.
causa di eventi rari in cui avvengono grossi trasferimenti di energia agli elettroni atomici. Dal momento che l’energia rilasciata dalla praticella all’interno del rivelatore è
proporzionale al numero di coppie elettrone-lacuna create, anche la distribuzione di
carica rilasciata nel rivelatore avrà un andamento descritto dalla Landau. In fig.3.6
è riportata a titolo di esempio la distribuzione della carica prodotta dai muoni che
attraversano i rivelatori del TIB layer 2 nell’esperimento MTCC, che verrà descritto
nei capitoli seguenti. Il fit è stato eseguito con una distibuzione di Moyal [46], spesso
utilizzata come approssimazione della Landau, la cui espressione analitica è data da:
λ + e−λ
1
√ exp −
, con λ = K(E − Ep )
(3.55)
2
2π
dove Ep è la perdita di energia più probabile e K è una costante che dipende dal
rivelatore. Anche gli altri fit a una Landau riportati nel seguito sono stati eseguiti
in approssimazione di Moyal.
L’energia media necessaria per creare una coppia elettrone-lacuna nel silicio a
temperatura ambiente è 3.6 eV, e aumenta al diminuire della temperatura (a 77 K
vale 3.8 eV) [45]. Tale energia è indipendente dal tipo di particella incidente e dalla
sua energia. Come visto nella sezione 3.1.1, nel silicio l’ampiezza della banda proibita, corrispondente all’energia necessaria per creare una coppia elettrone-lacuna,
vale Eg = 1.14 eV, ovvero circa un terzo del valore dell’energia media per creazione
64
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Figura 3.7: Schematizzazione di un rivelatore a microstrisce di silicio.
di coppia. Questo significa che solo un terzo dell’energia depositata dalla particella
nel rivelatore è utilizzata per la produzione di coppie elettrone-lacuna, gli altri due
terzi vengono trasferiti in eccitazione dei livelli di vibrazione reticolari.
Gli elettroni liberati dalla particella ionizzante all’interno del rivelatore migrano,
sotto l’effetto del campo elettrico, verso il lato ohmico, mentre le lacune si dirigono
verso le strip più vicine del lato giunzione. Dalla lettura del segnale prodotto su
ciascuna strip si ricostruisce la coordinata del punto di passaggio della particella. A
titolo illustrativo in fig.3.7 è riportato lo schema di un rivelatore del Tracker Inner
Barrel di CMS attraversato da una mip.
Il metodo più generale per calcolare la corrente indotta su ciascuna strip dalle
cariche in movimento liberate dalla particella all’interno del rivelatore è descritto dal
teorema di Shockley-Ramo [47, 48]. Questo teorema è stato originariamente ricavato
per lo studio delle correnti indotte negli elettrodi dei rivelatori a multifili, e quindi per
cariche in movimento in uno spazio complessivamente neutro. Tuttavia è possibile
adattare il teorema anche al caso dei semiconduttori, in cui le cariche liberate dalle
particelle ionizzanti si muovono all’interno della regione di svuotamento che presenta
densità di carica spaziale diversa da zero [49]. Nel caso dei semiconduttori il teorema
afferma che la corrente indotta nella strip j-esima da una carica q in moto nella
regione di svuotamento è data da [49]:
Z
1
∂ρ ′
ij =
q·v·E −
V ′ · dv
Vj
∂t
Volume
(3.56)
dove ij e Vj sono la corrente indotta nella strip j-esima ed il suo potenziale, v la
velocità della carica q, ρ è la densita di carica nella regione di svuotamento e V ′
3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE
65
Figura 3.8: Esempio di potenziale peso nell’area adiacente alla strip (in alto) e
campo elettrico peso lungo l’asse della strip all’interno del bulk (in basso). L’asse
x attraversa lo spessore del rivelatore ed ha l’origine nel lato ohmico [50].
ed E′ = −∇V ′ sono rispettivamente il potenziale ed il campo peso. Questi ultimi
sono ottenuti in assenza della carica q, fissando Vj = 1 V e mettendo a massa tutti
gli altri conduttori, ovvero tutte le altre strip ed il catodo della giunzione. Come
mostrato in fig.3.8, si ricava che il potenziale peso V ′ è circa zero in tutta la regione
di svuotamento e cresce fino a raggiungere l’unità presso la strip in esame. Si ha
inoltre che il picco in prossimità della strip è tanto più accentuato quanto maggiore
è il rapporto fra lo spessore del rivelatore e la larghezza della strip [44].
Se la carica presente nella regione di svuotamento è costituita da sole cariche
fisse si avrà ∂ρ/∂t = 0, e quindi, sostituendo Vj = 1 V, la (3.56) diventa:
ij =
q · v · E′
1V
(3.57)
Integrando rispetto al tempo la (3.57) si ricava la carica totale Qj indotta nella strip
j-esima dalla carica in moto q. Essa sarà data da:
Qj =
q · ∆V ′
1V
(3.58)
dove ∆V ′ è la differenza di potenziale peso fra il punto di partenza ed il punto di
arrivo della carica q. Dal momento che, come mostrato in fig.3.8, il potenziale peso
66
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
è circa costante per quasi tutto lo spessore del substrato ad eccezione della regione
vicina alla strip, si ha che la carica indotta nella strip sarà dovuta sostanzialmente
solo ai portatori che attraversano questa regione, per i quali ∆V ′ è significativamente
diverso da 0.
Quindi nel caso dei rivelatori del tracciatore a microstrisce di CMS contribuiscono al segnale sulle strip solo le lacune, mentre gli elettroni danno un contributo
trascurabile.
3.3.2
Effetti del campo magnetico sul segnale
Il tracciatore di CMS si troverà ad operare in un campo magnetico di 4 T. A causa
di questo i portatori di carica liberati da una particella ionizzante all’interno del
rivelatore, oltre al moto di deriva causato dal campo elettrico presente nella regione
di svuotamento, subiranno anche l’effetto della forza di Lorentz. Come mostrato in
fig.3.9, l’effetto della forza di Lorentz è una deviazione di un angolo ΘL , detto angolo
di Lorentz, rispetto alla direzione di deriva dovuta al campo elettrico. Detta x la
coordinata ortogonale alle strip, l’effetto del campo magnetico esterno sul segnale
è quindi uno spostamento ∆x nella coordinata misurata dalle strip, dipendente
dall’ampiezza dell’angolo ΘL e dal punto di formazione di ciascuna coppia elettronelacuna, e in generale una maggior dispersione fra strip adiacenti della carica liberata
dalla particella.
È possibile ricavare l’espressione della tangente dell’angolo di Lorentz attraverso
una trattazione quasi-classica nel seguente modo. Detta vd la velocità di deriva dei
portatori dovuta esclusivamente al campo elettrico, il campo magnetico produrrà
un’accelerazione dei portatori durante il tempo libero medio τ nella direzione ortogonale a vd e al campo magnetico stesso. Come effetto netto si ha la comparsa di
Figura 3.9: Modifica del segnale dovuto al passaggio di una particella ionizzante in
un rivelatore a microstrisce p+ . Le traiettorie seguite dalle cariche rilasciate sono
in generale curvilinee (vedi testo).
3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE
67
una componente della velocità di deriva in questa direzione pari a:
vdL =
qvd B
τ
m∗
(3.59)
dove q è la carica del portatore, m∗ la sua massa efficace, vd la componente della
velocità di deriva dovuta al campo elettrico, B il campo magnetico e τ il tempo
libero medio. La tangente dell’angolo di Lorentz è quindi data da:
tan ΘL =
qvd Bτ
qτ
vdL
=
= ∗ B = µB
∗
vd
m vd
m
(3.60)
dove µ è la mobilità dei portatori che producono il segnale sulla strip. Tenendo
conto dell’effetto del campo magnetico sulla mobilità,
tan ΘL = µH B = rH µB
(3.61)
con rH fattore di Hall. Per valori del campo elettrico tali da raggiungere la velocità
di saturazione dei portatori si ha quindi che un ulteriore aumento dell’intensità del
campo elettrico provoca una diminuzione del tempo libero medio da cui segue una
diminuzione di vdL . Per questo motivo si ha in questi casi una diminuzione dell’angolo
di Lorentz, espressa nella (3.61) dalla dipendenza della mobilità dal campo elettrico.
Lo spostamento ∆x per ciascuna carica è quindi pari a ∆x = tan ΘL · z, dove
z corrisponde al punto di formazione della coppia elettrone-lacuna nel sistema di
riferimento locale del rivelatore. Dati i differenti valori della mobilità (sez.3.2) e del
fattore di Hall (sez.3.2.1) per elettroni e lacune, l’ampiezza dell’angolo di Lorentz
sarà maggiore per i primi. Nel caso dei rivelatori a microstrisce di CMS tuttavia,
essendo il campo elettrico uscente dal lato ohmico ed entrante nelle strip p+ , per
il teorema di Shockley-Ramo solo il moto di deriva delle lacune è rilevante per la
produzione del segnale.
Dalla (3.61) si ha che l’angolo di Lorentz ha una dipendenza lineare da B e dipende anche dal campo elettrico E e dalla temperatura T attraverso µ ed rH . Se quindi
il campo elettrico all’interno della regione di svuotamento non è uniforme l’angolo di
Lorentz varia al variare della posizione della carica all’interno del rivelatore, ovvero
si ha che:
tan(ΘL (z)) = rH µ(z)B
(3.62)
In fig.3.9 questo effetto è visibile dal fatto che le lacune che migrano verso le strip non
percorrono traiettorie di deriva rettilinee. L’angolo risultante è quindi una media
dei valori assunti dall’angolo di Lorentz all’interno del rivelatore e lo spostamento
∆x per ciascuna carica è pari a:
∆x = rH B
Z
d
z0
µ(z)dz
(3.63)
68
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
dove d è lo spessore del rivelatore e z0 è la coordinata del punto di formazione della
coppia elettrone-lacuna.
I danni da radiazione possono modificare il valore dell’angolo di Lorentz, sia
modificando il valore della mobilità (sez.3.2) e, in misura minore, quello del fattore
di Hall (sez.3.2.1), sia perché la giunzione necessita di tensioni di polarizzazione
sempre più elevate per essere svuotata completamente (sez.2.2), il che implica campi
elettrici più intensi e quindi una diminuzione della mobilità.
È perciò necessario controllare il cambiamento dell’angolo di Lorentz al variare
dell’irraggiamento subito dai rivelatori, in quanto questo si traduce in una variazione dello spostamento ∆x. Inoltre, dal momento che l’irraggiamento dipende dalla
distanza del rivelatore dal centro d’interazione, la variazione di ∆x non sarà la stessa
per tutti i rivelatori e quindi si produrrà un disallineamento di questi ultimi [35].
3.4
Modello per la stima dell’angolo di Lorentz
dei portatori nei rivelatori del tracciatore di
CMS
Prima di discutere i risultati della misura dell’angolo di Lorentz dei portatori di carica nei rivelatori del tracciatore a microstrisce di CMS, che costituisce il principale
scopo del mio lavoro di tesi e che verrà discussa nei capitoli successivi, descriverò qui
un modello da me fatto basandomi su un precedente studio di un gruppo tedesco
di CMS [35], e in particolare sulla parametrizzazione della mobilità riportata nella
(3.25) e sulle equazioni (3.13) e (3.14) che descrivono il campo elettrico all’interno
del rivelatore. Nel modello ho trascurato il moto di diffusione dei portatori e l’accoppiamento capacitivo fra le strip dei rivelatori. Entrambi questi effetti contribuiscono
ad aumentare la larghezza del cluster, ma non cambiano l’angolo di incidenza della
traccia per cui essa risulta minima, che dipende, come vedremo, solo dall’angolo di
Lorentz dei portatori. Tuttavia, avendo trascurato questi due fattori, le dimensioni
dei cluster che verranno riportate nel seguito non sono da considerarsi come quelle
effettive.
Attraverso questo modello è stato possibile stimare l’angolo di Lorentz che ci attendiamo per i nostri rivelatori nelle specifiche condizioni in cui si trovavano quando
è stata effettuata la misura. È stato inoltre possibile fare una stima dell’incertezza
a priori che caratterizzerà la misura a causa dell’errore con cui conosciamo la temperatura dei moduli, la loro tensione di svuotamento, la tensione di polarizzazione
applicata e l’intensità del campo magnetico presente nella regione del tracciatore al
momento della misura.
69
3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
La misura dell’angolo di Lorentz è stata effettuata nell’ambito del “Magnet Test
- Cosmic Challenge” (MTCC) che si è svolto a Ginevra nell’Agosto del 2006. Per
una descrizione dell’esperimento si rimanda al capitolo successivo. A questo livello
interessa sapere le condizioni di utilizzo in cui si sono trovati ad operare i rivelatori
utilizzati per il MTCC, per poterle inserire nel modello. I moduli del tracciatore
utilizzati per il MTCC su cui è stata effettuata la misura dell’angolo di Lorentz
facevano parte sia del TIB (spessore 320 µm) che del TOB (spessore 500 µm).
Poiché la statistica non era sufficiente per effettuare la misura dell’angolo di Lorentz su ciascun modulo separatamente, sono stati considerati i dati aggregati per
layer (ovvero due layer del TIB e due del TOB), come vedremo nei capitoli successivi. Questo implica che per i valori di temperatura e tensione di svuotamento dovremo
considerare una stima che comprenda tutti i moduli montati per l’esperimento. Le
stime ricavate dalle misure della temperatura, della tensione di svuotamento e della
tensione di polarizzazione per i vari moduli sono rispettivamente:
T
=
(298 ± 15) K
Vs = (150 ± 100) V
VP =
(3.64)
(200 ± 5) V
Il valore di Vs riportato nella (3.64) corrisponde al valor medio delle tensioni di
svuotamento dei moduli usati al MTCC, misurate in camera pulita. Come si vede dall’incertezza su Vs , le tensioni di svuotamento variavano molto da modulo a
modulo. Inoltre si è dovuto scegliere una tensione di polarizzazione circa uguale a
quella di svuotamento, senza porsi quindi in condizioni di overdepletion. Questa è
stata una scelta obbligata, dettata dal fatto che i rivelatori usati per il MTCC erano
di qualità inferiore rispetto a quelli utilizzati per il tracciatore definitivo, ed alcuni
di essi andavano in breakdown per tensioni di polarizzazione superiori ai 200 V. Le
temperature dei moduli variavano sensibilmente da un layer all’altro, e anche all’interno dello stesso layer. Inoltre le DCU dei moduli usati per il test non erano
state tarate per la misura della temperatura del sensore ma solo per la misura della
temperatura dell’ibrido. Si è pertanto dovuto considerare una stima approssimativa
della temperatura, fornendo un intervallo all’interno del quale si potesse ragionevolmente supporre che fossero compresi tutti i moduli utilizzati per la misura, e per far
questo ci si è riferiti alla temperatura del liquido refrigerante, che era circa 10◦ C in
uscita dal sistema di raffreddamento, e a misure effettuate in condizioni analoghe.
Il campo magnetico in cui si sono trovati ad operare i rivelatori utilizzati per il
70
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
MTCC valeva invece:
B = (3.80 ± 0.05) T
(3.65)
dove si è tenuto conto dell’incertezza sulla corrente nel solenoide, dell’errore sulla
calibrazione e dell’incertezza legata alla dipendenza dell’intensità del campo magnetico dalla distanza dal centro di interazione (limitandoci alla regione occupata dalle
componenti del tracciatore montate per l’esperimento).
3.4.1
Descrizione del modello
Per calcolare la deviazione nel moto delle lacune (le sole che contribuiscano al segnale
sulle strip, come riportato in sez.3.3.1) a causa della forza di Lorentz ho definito il
sistema di riferimento riportato in fig.3.10, con la coordinata z che ha l’origine nel
lato giunzione e percorre lo spessore del modulo e la coordinata x ortogonale alle
strip.
Figura 3.10: Sistema di riferimento adottato per il modello. Le linee tratteggiate
rappresentano schematicamente la direzione di deriva delle lacune liberate da una
particella che attraversa il sensore.
Il diverso spessore dei moduli del TIB e del TOB fa sı̀ che a parità di tensione di
polarizzazione e di svuotamento il campo elettrico al loro interno sia diverso, come
si ricava dalle (3.13) e (3.14), che riporto qui per comodità, adattandole al sistema
di riferimento di fig.3.10:
E(z) = −
2VP
(wn − z)
wn2
con 0 ≤ z ≤ wn
per VP < Vs
(3.66)
VP − Vs
2Vs
(t − z) −
con 0 ≤ z ≤ t
per VP ≥ Vs
(3.67)
2
t
t
dove t è lo spessore del rivelatore e wn è lo spessore della regione di svuotamento
E(z) = −
per VP < Vs , che, dalla (3.11) e dalla (3.12), vale:
r
VP
wn ≃ t
Vs
(3.68)
71
3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
Mobility (cm2/Vs)
Vbias = 200 V
10000
Vdepl. = 150 V
Thick. = 320µ m
8000
mu(z) (cm2/Vs)
E(z) (V/cm)
Electric Field (V/cm)
460
T = 298 K
440
420
TIB
Vbias = 200 V
Vdepl. = 150 V
Thick. = 320µ m
TIB
400
6000
380
4000
360
340
2000
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0.025
0.03
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0.025
z (cm)
0.03
z (cm)
Figura 3.11: Campo elettrico (sinistra) e mobilità delle lacune (destra) all’interno
di una rivelatore del TIB con VP > Vs .
Mobility (cm2/Vs)
7000
Vbias = 200 V
Vdepl. = 150 V
6000
Thick. = 500µ m
5000
TOB
mu(z) (cm2/Vs)
E(z) (V/cm)
Electric Field (V/cm)
470
460
T = 298 K
450
Vbias = 200 V
440
Vdepl. = 150 V
Thick. = 500µ m
430
4000
TOB
420
410
3000
400
2000
390
380
1000
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0.025
0.03
0.035
0.04
0.045
0.05
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0.025
z (cm)
0.03
0.035
0.04
0.045
0.05
z (cm)
Figura 3.12: Campo elettrico (sinistra) e mobilità delle lacune (destra) all’interno
di una rivelatore del TOB con VP > Vs .
Dipendendo poi la mobilità dal campo elettrico, anch’essa, a parità di condizioni,
sarà diversa fra moduli del TIB e del TOB. L’andamento del campo elettrico e della
mobilità sono riportati in fig.3.11 per un generico modulo del TIB, con Vs = 150 V,
VP = 200 V e T = 298 T, mentre in fig.3.12 sono riportati quelli per un modulo
del TOB nelle medesime condizioni.
La mobilità è stata ricavata dalla (3.25),
assumendo per i parametri µlow , vsat e β i valori riportati nella sez.3.2 per le lacune.
L’effetto del campo magnetico sulla mobilità è espresso attraverso il fattore di Hall
rH , che si è assunto uguale a 0.7 per le lacune (sez.3.3.2).
Lo spostamento lungo la coordinata x di una lacuna prodotta ad una profondità
d è dato da:
dx = rH B
Z
0
µ(z)dz
(< 0, vedi fig. 3.13)
(3.69)
d
dove B è l’intensità del campo magnetico, µ(z) è la mobilità e il segno di dx è negativo per le convenzioni adottate sui segni degli assi. Come mostrato in fig.3.11
e fig.3.12 la mobilità delle lacune nelle condizioni di lavoro in cui si trovavano i
rivelatori ha un andamento praticamente lineare, sia per il TIB che per il TOB.
72
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Figura 3.13: Modello dello spostamento ∆x delle lacune generato dalla forza di
Lorentz, per una traccia incidente con un angolo θ rispetto alla verticale. In alto a
destra sono riportate le convenzioni adottate sui segni degli angoli di incidenza.
Questo permetterebbe di considerare solo la mobilità relativa al valore medio del
campo elettrico, ovvero E = −VP /t in caso di completo svuotamento (con t spes-
sore del modulo) o E = −VP /wn se VP < Vs , con wn spessore della regione di
svuotamento. Tuttavia il calcolo di dx fatto con la (3.69) ci permette di valutare
il contributo all’errore sulla stima dell’angolo di Lorentz portato dall’incertezza con
cui conosciamo le tensioni di svuotamento, nonché dalla non perfetta linearità di
µ(z).
Considerando quindi una traccia incidente nell’origine del sistema di riferimento
con un angolo θ rispetto alla verticale, la coordinata x del punto di arrivo sul lato
giunzione di una lacuna formata a una profondità d sarà data da:
∆x = dx − d tan θ
(3.70)
In fig.3.13 è riportato lo schema seguito per il calcolo di ∆x, con a lato le convenzioni
adottate sul segno di θ. Per calcolare il centroide del cluster formato dalle lacune
prodotte dal passaggio della particella, ho supposto che quest’ultima perda energia all’interno del rivelatore in modo uniforme. Ho quindi suddiviso lo spessore del
modulo in n strati, ciascuno di spessore t/n, e ho ricavato ∆x per ogni strato, supponendo la formazione di una lacuna in ognuno di essi. Il centroide del cluster è quindi
dato dalla media dei ∆x. Ho ricavato inoltre la larghezza del cluster come il valore
assoluto della differenza fra xmax e xmin , dove xmax e xmin sono rispettivamente la
coordinata x massima e minima dei punti di arrivo delle lacune sul lato giunzione.
Nel caso di non completo svuotamento, oltre ad usare l’espressione del campo elettrico data dalla (3.66), ho eseguito il procedimento descritto precedentemente solo
sullo spessore wn della regione svuotata, dato dalla (3.68).
3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
n
73
Centroide - TIB (µm) Centroide - TOB (µm)
10
-17.36
-29.84
100
-15.86
-27.31
1000
-15.71
-27.06
5000
-15.70
-27.03
10000
-15.69
-27.03
Tabella 3.1: Verifica della convergenza nel calcolo del centroide.
Per verificare la convergenza di questo metodo per il calcolo del centroide ho
provato ad utilizzare diversi valori di n. In Tab.3.1 sono riportate le coordinate,
ottenute per diversi n, del centroide del cluster formato in un generico modulo del
TIB e del TOB da una traccia incidente ortogonalmente al rivelatore, in presenza
di un campo magnetico B = 3.8 T.
Come si può vedere dai valori del centroide riportati in tabella, già per n ≥ 100
si ha con buona approssimazione la convergenza del calcolo, sia per il TIB che per il
TOB. Per ricavare la stima del centroide del cluster ho pertanto suddiviso lo spessore
dei rivelatori in 100 strati, onde evitare di appesantire inutilmente il calcolo.
3.4.2
Stima dell’angolo di Lorentz
Per stimare l’angolo di Lorentz delle lacune ho utilizzato un metodo che si basa sul
principio che descriverò qui di seguito, e che è lo stesso che utilizzerò per eseguire la
misura. Come mostrato in fig.3.14, mentre in assenza del campo magnetico si ha un
minimo nella larghezza del cluster per tracce incidenti normalmente al rivelatore,
nel caso in cui B 6= 0 T la larghezza del cluster è minima per tracce incidenti con
un angolo rispetto alla normale del rivelatore uguale all’angolo di Lorentz. Infatti
per tracce incidenti con un angolo uguale all’angolo di Lorentz, le cariche liberate
dal passaggio della particella ripercorrono tutte, nel loro moto di deriva verso le
strip, una traiettoria approssimativamente uguale a quella della particella stessa,
minimizzando in questo modo la dispersione della carica.
Come già detto, ho trascurato nel modello il moto di diffusione dei portatori e
l’accoppiamento capacitivo delle strip (in realtà non ho espresso affatto la larghezza
del cluster in termini di strip, ma semplicemente come la lunghezza del segmento
del lato giunzione su cui giungono le lacune liberate dal passaggio della particella).
Con queste approssimazioni, la larghezza del cluster in caso di campo magnetico
nullo sarà data da:
t · | tan θt |
(3.71)
74
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Figura 3.14: Rappresentazione schematica della formazione di un cluster in un generico rivelatore a microstrisce del tracciatore in presenza di un campo magnetico,
per una traccia incidente normalmente al modulo (sopra) e per una traccia incidente
con un angolo rispetto alla normale uguale all’angolo di Lorentz (sotto).
dove t è lo spessore del modulo e θt l’angolo di incidenza della traccia. Si avrà
una larghezza minima del cluster per θt = 0 (nel limite delle approssimazioni fatte
viene proprio 0). Per campo magnetico diverso da 0 invece, considerando l’angolo di
Lorentz approssimativamente costante e uguale al suo valor medio ΘL , la larghezza
del cluster sarà data da:
t · tan θt − tan ΘL (3.72)
come mostrato in fig.3.15, con ΘL negativo per le convenzioni adottate (vedi fig.3.13).
In questo caso quindi si avrà larghezza minima per θt = ΘL , come già accennato
prima.
Per stimare l’angolo di Lorentz ho dunque ricavato la larghezza del cluster per
1000 tracce incidenti sul rivelatore con un angolo variabile a passi regolari da −30◦ a
+30◦ , e l’ho riportata in un istogramma in funzione della tangente dell’angolo di in-
cidenza della traccia, dato l’andamento lineare della larghezza del cluster in funzione
della tangente indicato dalla (3.72). Per determinare il valore della tangente a cui
corrisponde il minimo della larghezza del cluster ho eseguito un fit sull’istogramma
utilizzando la funzione:
p1 |z − p0 | + p2
(3.73)
75
3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
(a)
(b)
Figura 3.15: Formazione del cluster in presenza di un campo magnetico, nelle approssimazioni adottate per il modello, per una traccia incidente con un angolo generico (a), e per una traccia incidente con un angolo pari all’angolo di Lorentz
medio (ΘL < 0 per le convenzioni adottate sui segni (fig.3.13)) (b). Il cluster è
rappresentato dal rettangolo arancione.
In questo modo il parametro p0 , corrispondente alla tangente dell’angolo di incidenza che minimizza la larghezza del cluster nel modello, sarà uguale al valore della
tangente dell’angolo di Lorentz stimato. Gli istogrammi con i relativi fit per un
generico modulo del TIB e del TOB sono riportati in fig.3.16.
I valori dell’angolo di Lorentz ΘL , stimati per i rivelatori del TIB e del TOB nelle
condizioni di utilizzo in cui si trovavano per MTCC (e in particolare per un’intensità
del campo magnetico pari a 3.8 T) sono:
tan ΘL = −0.1035 ⇒ ΘL ≃ −5.9◦
TIB:
(3.74)
◦
TOB: tan ΘL = −0.1126 ⇒ ΘL ≃ −6.4
In fig.3.17 sono riportati i cluster per i moduli del TIB ricavati per alcuni angoli
Cluster (µ m)
220
T = 298 K
200
B = 3.8 T
180
Vbias = 200 V
160
Vdepl. = 150 V
140
Thick. = 320µ m
LorentzAngle
Entries
1000
2
χ / ndf
13.66 / 31
p0
-0.1126 ± 0.0003
p1
497.7 ± 0.9
p2
0.5253 ± 0.2057
Lorentz Angle
Cluster (µ m)
LorentzAngle
Entries
1000
2
χ / ndf
27.33 / 31
p0
-0.1035 ± 0.0003
p1
318.6 ± 0.6
p2
0.4276 ± 0.1379
Lorentz Angle
350
300
T = 298 K
B = 3.8 T
Vbias = 200 V
250
Vdepl. = 150 V
Thick. = 500µ m
200
120
100
150
80
100
60
40
50
20
0
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
0
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
Figura 3.16: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz (p0 ) per un modulo del TIB
(sinistra) e del TOB (destra), nella configurazione dei parametri di funzionamento
del MTCC.
76
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
cluster
Entries
100
Mean
-15.86
RMS
9.593
Cluster
14
T = 298 K
12
8
20
18
B = 3.8 T
T = 298 K
B = 3.8 T
16
Vbias = 200 V
10
cluster
Entries
100
Mean
9.737
RMS
5.063
Cluster
Vdepl. = 150 V
Thick. = 320µ m
°
Track angle = 0
6
Vbias = 200 V
14
Vdepl. = 150 V
12
Thick. = 320µ m
10
Track angle = -9
°
8
6
4
4
2
0
-100
2
-80
-60
-40
-20
0
20
40
60
80
100
cluster size (µ m)
cluster
Entries
100
Mean
3.984
RMS
1.805
Cluster
40
0
-100
30
20
-20
0
20
40
60
80
100
cluster size (µ m)
cluster
Entries
100
Mean
0.8416
RMS
0.4139
T = 298 K
B = 3.8 T
B = 3.8 T
40
Vbias = 200 V
Vbias = 200 V
Vdepl. = 150 V
Thick. = 320µ m
30
°
Thick. = 320µ m
°
Track angle = -7
Track angle = -5.9
20
15
ΘL
10
10
5
0
-100
-40
50
Vdepl. = 150 V
25
-60
Cluster
T = 298 K
35
-80
-80
-60
-40
-20
0
20
40
60
80
100
cluster size (µ m)
0
-100
-80
-60
-40
-20
0
20
40
60
80
100
cluster size (µ m)
Figura 3.17: Larghezza del cluster ottenuta dal modello per alcuni angoli di incidenza
delle tracce in un modulo del TIB. In basso a destra cluster ottenuto per angolo di
incidenza uguale a ΘL .
cluster
Entries
100
Mean
-27.31
RMS
16.19
Cluster
18
T = 298 K
16
B = 3.8 T
14
T = 298 K
12
10
Vdepl. = 150 V
12
Thick. = 500µ m
10
B = 3.8 T
Vbias = 200 V
Vbias = 200 V
14
cluster
Entries
100
Mean
12.68
RMS
6.687
Cluster
8
Vdepl. = 150 V
Thick. = 500µ m
°
°
Track angle = -9
Track angle = 0
6
8
6
4
4
2
2
0
-100
-80
-60
-40
-20
0
20
40
cluster
Entries
100
Mean
3.694
RMS
1.597
Cluster
45
40
60
80
100
cluster size (µ m)
-60
-40
-20
0
20
40
60
80
100
cluster size (µ m)
cluster
Entries
100
Mean
1.013
RMS
0.446
60
T = 298 K
50
Vbias = 200 V
B = 3.8 T
Vbias = 200 V
30
Vdepl. = 150 V
25
Thick. = 500µ m
20
-80
Cluster
T = 298 K
B = 3.8 T
35
0
-100
40
Vdepl. = 150 V
Thick. = 500µ m
°
Track angle = -7
15
°
30
Track angle = -6.4
20
ΘL
10
10
5
0
-100
-80
-60
-40
-20
0
20
40
60
80
100
cluster size (µ m)
0
-100
-80
-60
-40
-20
0
20
40
60
80
100
cluster size (µ m)
Figura 3.18: Larghezza del cluster ottenuta dal modello per alcuni angoli di incidenza
delle tracce in un modulo del TOB. In basso a destra cluster ottenuto per angolo di
incidenza uguale a ΘL .
di incidenza delle tracce, fra cui θt = ΘL , che, come mostrato in figura, minimizza
la larghezza del cluster. Analogamente in fig.3.18 per i moduli del TOB.
77
3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
∆(tan ΘL ) ∆(tan ΘL )
TIB
TOB
T = (298 ± 15) K
±0.009
±0.011
VP = (200 ± 5) V
±0.0005
±0.0003
Vs = (150 ± 100) V
B = (3.80 ± 0.05) T
±0.002
±0.0012
±0.001
±0.0013
Tabella 3.2: Stima delle incertezze a priori su tan ΘL per i moduli del TIB e del
TOB.
3.4.3
Stima delle incertezze a priori
Per stimare l’incertezza a priori sul valore della tangente dell’angolo di Lorentz
previsto dal modello ho eseguito, sia per il TIB che per il TOB, il fit descritto
nella sezione precedente variando i valori di temperatura, tensione di svuotamento,
tensione di polarizzazione e campo magnetico entro gli errori riportati nelle (3.64) e
(3.65). Gli effetti di queste variazioni sulla tangente dell’angolo di Lorentz prevista
sono riportati in Tab.3.2.
Come mostrato in tabella il contributo più rilevante all’incertezza a priori è
portato dall’errore con cui conosciamo la temperatura dei moduli, sia per il TIB che
per il TOB.
La stima della tangente dell’angolo di Lorentz e dell’incertezza a priori, ricavabili
dal modello per le due tipologie di rivelatori nelle condizioni di utilizzo in cui si
trovavano per l’esperimento MTCC, sono pertanto:
(tan ΘL )TIB
M T CC = −0.103 ± 0.009
(tan ΘL )TOB
M T CC
= −0.113 ± 0.011
⇒
◦
◦
(ΘL )TIB
M T CC = −5.9 ± 0.5
⇒
(ΘL )TOB
M T CC
◦
(3.75)
◦
= −6.4 ± 0.6
Tali valori dell’angolo di Lorentz producono uno spostamento nel centroide del
cluster pari a circa
t
2
· tan ΘL , con t spessore del modulo, come peraltro si può
facilmente ricavare anche dal valore del centroide calcolato col modello per trac-
ce incidenti perpendicolarmente al rivelatore e riportato in fig.3.17-3.18 (immagine
in alto a sinistra in entrambi i casi). Considerando quindi il calcolo del centroide
ricavato dal modello, lo spostamento vale circa 16 µm nel TIB e 27 µm nel TOB.
D’altra parte i rivelatori a microstrisce hanno una risoluzione che, nel caso peggiore
√
e cioè per cluster a una sola strip, è pari al passo tra le strip diviso per 12. Si
va quindi da una risoluzione per cluster a una strip pari a circa 23 µm nei moduli
78
CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO
Cluster (µ m)
220
T = 263 K
200
B=4T
180
Vbias = 400 V
160
Vdepl. = 200 V
140
Thick. = 320µ m
LorentzAngle
Entries
1000
χ2 / ndf
9.337 / 31
p0
-0.123 ± 0.000
p1
498.8 ± 0.9
p2
0.3371 ± 0.2193
Lorentz Angle
Cluster (µ m)
LorentzAngle
Entries
1000
χ2 / ndf
31.2 / 31
p0
-0.1015 ± 0.0003
p1
318.5 ± 0.6
p2
0.4555 ± 0.1386
Lorentz Angle
350
T = 263 K
B=4T
300
250
Vbias = 400 V
Vdepl. = 200 V
Thick. = 500µ m
200
120
100
150
80
100
60
40
50
20
0
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0
-0.6
0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
Figura 3.19: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz (p0 ) per un modulo del TIB
(sinistra) e del TOB (destra), nella configurazione dei parametri di funzionamento
nominale di CMS.
del TIB con passo 80 µm, fino a una risoluzione di 53 µm per i moduli del TOB con
passo 183 µm. Lo spostamento nel centroide è pertanto confrontabile con la risoluzione spaziale ottenuta nel peggiore dei casi. Senza una opportuna correzione sulla
devizione di Lorentz, la posizione degli hit verrà quindi ricostruita erroneamente,
riducendo quindi anche la qualità delle tracce ricostruite.
Da notare infine che i valori dell’angolo di Lorentz riportati nella (3.75) per il
TIB e per il TOB, si riferiscono ai rivelatori posti nelle condizioni di funzionamento
del MTCC, che differiscono da quelle in cui si verranno a trovare quando partirà
l’esperimento vero e proprio. I valori nominali dei parametri di funzionamento dei
rivelatori del tracciatore di CMS sono infatti: Vs = 200 V, VP = 400 V, T = 263 K
e B = 4 T. Come mostrato in fig.3.19, i valori dell’angolo di Lorentz previsti dal
modello per i rivelatori di TIB e TOB in queste condizioni di funzionamento sono:
(tan ΘL )nominale ≃ −0.101
⇒
(ΘL )nominale ≃ −5.8◦
TOB : (tan ΘL )nominale ≃ −0.123
⇒
(ΘL )nominale ≃ −7.0◦
TIB :
(3.76)
Si ha quindi, in queste condizioni, un aumento dell’angolo di Lorentz per i moduli del
TOB, mentre per il TIB prevale sulla diminuzione della temperatura, che tenderebbe
a far aumentare la mobilità e quindi ΘL , l’aumento del campo elettrico dovuto
alla maggiore tensione di polarizzazione, che fa diminuire la mobilità e con essa la
deviazione di Lorentz. Il valore di ΘL ottenuto per il TIB non coincide quindi con
i 9◦ di cui sono inclinate le stringhe. Tuttavia, come già accennato in sez.2.1.2,
l’inclinazione di 9◦ è stata scelta, oltre che per compensare in parte l’angolo di
Lorentz, soprattutto per garantire una copertura ottimale della superficie cilindrica
del barrel.
Capitolo 4
Magnet Test - Cosmic Challenge
Nei mesi di Luglio e Agosto 2006 si è svolto al CERN di Ginevra il “Magnet Test Cosmic Challenge” (MTCC), a cui ho partecipato svolgendo turni di presa dati. Si
è trattato del primo test del magnete di CMS ed è stato inoltre possibile effettuare
per la prima volta un test combinato di alcune componenti dei rivelatori di CMS in
presenza del campo magnetico nominale, acquisendo dati con raggi cosmici.
Gli obbiettivi principali del MTCC erano:
ˆ verificare il perfetto funzionamento del magnete, compresi l’impianto di raffreddamento, il sistema di alimentazione e quello di controllo, ed eseguire una
mappatura del campo magnetico;
ˆ collaudare le componenti dei rivelatori presenti usando una configurazione per
il sistema di acquisizione dei dati e di controllo il più vicina possibile a quella
finale di CMS;
ˆ verificare il funzionamento degli algoritmi di ricostruzione con i dati dei raggi
cosmici acquisiti.
E in particolare per il tracciatore:
ˆ verificare le procedure di trasporto per la fase finale di assemblaggio di CMS;
ˆ eseguire acquisizioni di piedistalli e dati;
ˆ operare il sistema di acquisizione del tracciatore assieme agli altri rivelatori di
CMS.
In questo capitolo descriverò in particolare la sottoparte del tracciatore utilizzata
per il MTCC e il sistema di acquisizione. Riporterò inoltre i risultati di alcune misure
che mostrano le prestazioni dei rivelatori presenti e la descrizione degli algoritmi
utilizzati per l’allineamento e la tracciatura.
80
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
4.1
Il tracciatore per il MTCC
Il prototipo di tracciatore utilizzato per il MTCC era equipaggiato con moduli dello
stesso tipo di quelli che andranno nel tracciatore definitivo, anche se di qualità
inferiore rispetto a quelli selezionati per CMS. I moduli appartenevano al TIB, al
TOB e alla TEC, per un totale di 133 rivelatori, con una superficie totale coperta
di 0,75 m2 (pari a un rivelatore di vertice come quelli usati a LEP), corrispondente
a circa l’1% del tracciatore completo. Era quindi del tutto assente il TID.
In particolare le componenti presenti erano:
TIB: una shell del layer 2 e una del layer 3 parzialmente riempite, con 5 stringhe
(2 interne e 3 esterne) per il layer 2 e 15 stringhe (8 interne e 7 esterne) per
il layer 3. Il layer 2 montava quindi 15 moduli a doppia faccia mentre il layer
3 montava 45 moduli a singola faccia, per un totale di 75 rivelatori.
TOB: 2 rod del layer 1 e 2 rod del layer 5 entrambe con moduli a singoli faccia,
per un totale di 24 moduli a singola faccia. In realtà nella configurazione
finale del tracciatore il layer 1 ospiterà rivelatori a doppia faccia (sez.2.1.2),
ma questi non erano disponibili al momento del test. Si è comunque preferito
mantenere come numerazione dei layer presenti quella corrispondente alla loro
collocazione rispetto alla geometria finale del tracciatore.
TEC: due petali del disco 9 con gli anelli dal 4 al 7 parzialmente riempiti con
5 moduli a doppia faccia e 24 moduli a singola faccia, per un totale di 34
rivelatori.
(a)
(b)
Figura 4.1: Schema delle componenti del tracciatore montate per il MTCC: (a) vista
3D longitudinale, (b) vista del TIB e del TOB nel piano xy [51].
81
4.1. IL TRACCIATORE PER IL MTCC
TIB
layer 2
2 stringhe int.
6 rϕ
6 stereo
80 µm pitch
TIB
layer 2 3 stringhe est.
9 rϕ
9 stereo
80 µm pitch
TIB
layer 3
24 rϕ
-
120 µm pitch
TIB
layer 3 7 stringhe est. 21 rϕ
-
120 µm pitch
TOB
layer 1
2 rod
12 rϕ
-
183 µm pitch
TOB
layer 5
2 rod
12 rϕ
-
122 µm pitch
TEC
disco 9
anello 4
7 rϕ
-
113-139 µm pitch
TEC
disco 9
anello 5
5 rϕ
TEC
disco 9
anello 6
7 rϕ
-
163-205 µm pitch
TEC
disco 9
anello 7
10 rϕ
-
140-172 µm pitch
8 stringhe int.
5 stereo 126-156 µm pitch
Tabella 4.1: Tracciatore per il MTCC: rivelatori mono (rϕ) e stereo presenti, con
indicato il passo fra le strip ( pitch) [51].
In fig.4.1 è riportato uno schema delle componenti del tracciatore montate per
il MTCC e in Tab.4.1 è riportato il riassunto dei moduli ospitati da ciascuna
componente.
4.1.1
Pre-commissioning a B186
Le componenti del TIB utilizzate per il MTCC sono state montate a Pisa e quindi
trasportate al CERN di Ginevra, dove sono state temporaneamente alloggiate in una
camera pulita al Building-186 (B186). Qui sono state unite le altre parti del TOB e
della TEC ed è stato eseguito il cosiddetto pre-commissioning, cioè è stata eseguita
una prima caratterizzazione dei rivelatori e una prima verifica degli algoritmi di
ricostruzione.
A B186 è stata infatti eseguita una prima presa dati con raggi cosmici in assenza
di campo magnetico, per la quale è stato utilizzato un sistema di trigger basato su
tre scintillatori plastici: il primo di forma rettangolare (110 cm × 20 cm × 1.5 cm)
situato sopra il TOB, e gli altri due, di forma circolare (40 cm di diametro e 3 cm di
spessore), situati sotto il TIB. In fig.4.2 è riportato lo schema di trigger utilizzato in
B186. Il trigger, curato dal gruppo di CMS di Firenze insieme a quello di Catania,
è stato realizzato riutilizzando materiale di smessa da esperimenti precedenti, ponendo molta cura nel minimizzare il jitter (∼ 5 ns), che altrimenti avrebbe potuto
vanificare la misura. Il segnale prodotto negli scintillatori, convertito in segnale elettrico da fotomoltiplicatori (3 per gli scintillatori circolari), era inviato a dei moduli
CFD, i quali a loro volta erano collegati ad una unità di coincidenza. Il segnale di
trigger prevedeva una coincidenza fra lo scintillatore superiore e uno dei due dischi
82
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
Figura 4.2: Sistema di trigger utilizzato per la fase di pre-commissioning a B186.
Con S1, S2 e S3 sono indicati i tre scintillatori plastici utilizzati per il trigger [51].
(dove il segnale logico dei dischi era dato dall’OR dei tre fotomoltiplicatori). La
configurazione geometrica degli scintillatori era tale per cui i cosmici acquisiti erano quelli che incidevano con piccoli angoli di inclinazione rispetto alla normale dei
rivelatori di TIB e TOB e non erano acquisiti cosmici che attraversavano la TEC.
4.1.2
Configurazione a P5
Dopo la fase di pre-commissioning il tracciatore è stato trasportato nelle strutture
di superficie del sito di LHC denominato “Punto 5” (P5), nel cui sottosuolo verrà poi
situato l’esperimento definitivo. Qui è stato inserito nel suo alloggiamento dentro
il magnete ed è stato utilizzato, unitamente agli altri rivelatori presenti, per acquisire dati, sempre di raggi cosmici. Oltre alle componenti del tracciatore descritte
precedentemente era stato montato circa il 5% di CMS, e in particolare:
ˆ due Super Moduli del calorimetro elettromagnetico;
ˆ l’intero calorimetro adronico;
ˆ un settore di circa 60 delle camere per i muoni, situato nella sezione con
◦
z positivo di CMS e sotto il piano orizzontale passante per z = 0 (“lowerforward ”), composto da Drift Tube chambers (DT) e Resistive Plate Chambers
(RPC) nella parte barrel, e Cathode Strip Chambers (CSC) nella parte endcap.
In fig.4.3 sono riportate la sezione trasversale e longitudinale della configurazione
dei rivelatori del MTCC a P5.
Il trigger in questo caso è fornito dalle camere per i muoni. Il segnale proveniente
da questi rivelatori è inviato ad un sistema centralizzato, simile a quello dell’esperimento finale, che lo elabora attraverso opportuni algoritmi e produce un segnale
4.1. IL TRACCIATORE PER IL MTCC
83
Figura 4.3: Sezioni trasversale (sinistra) e longitudinale (destra) del MTCC. Sono
evidenziate le camere per i muoni e, nella sezione longitudinale, l’alloggiamento delle
componenti del tracciatore utilizzate per l’esperimento. Le linee viola rappresentano
possibili tracce che attraversano il tracciatore e le camere per i muoni.
di trigger globale che invia a tutti i rivelatori. I dati immagazzinati nelle memorie
locali delle varie componenti di CMS presenti vengono quindi assemblati basandosi
sull’istante di arrivo del trigger e sulle latenze precedentemente misurate per i vari
rivelatori, ricostruendo in questo modo l’evento.
La geometria dei rivelatori a P5 è tale per cui solo una piccola frazione dei muoni
che producono un segnale di trigger attraversa effettivamente il tracciatore. Tuttavia, ricostruendo approssimativamente la direzione dei raggi cosmici attraverso i DT
e le RPC, si possono selezionare già in fase di trigger quelle tracce che attraversano
la zona in cui è alloggiato il tracciatore. In generale, data la geometria dell’insieme
dei rivelatori, con questo sistema di trigger vengono acquisiti raggi cosmici molto
più inclinati nel piano rz rispetto alla configurazione di B186.
Dato l’elevato numero di rivelatori presenti, è stato utilizzato il sistema di raffreddamento a liquido e un prototipo del sistema finale di controllo delle sicurezze.
Il sistema di controllo del tracciatore, o Tracker Control System (TCS), riceve informazioni da 40 sensori di ambiente. Questi sono direttamente collegati a dei
microcontrollori, detti Programmable Logical Controllers (PLC), che costituiscono
il cuore del sistema di sicurezza, o Tracker Safety System (TSS). I PLC disattivano
gli alimentatori nel caso in cui la temperatura dei rivelatori o degli ibridi superi la
soglia di guardia, il sistema di raffreddamento segnali un errore o in generale ci sia
un messaggio globale di errore di CMS. Attraverso letture ripetute delle informazioni del TSS, il TCS è in grado, in caso di necessità, di spengere gli alimentatori in
modo meno brusco.
84
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
4.2
Prestazioni dei rivelatori
Sia le acquisizioni di piedistalli che quelle di dati sono state eseguite con gli APV-25
impostati in modo picco. In questa modalità si riesce ad avere il massimo rapporto
segnale/rumore dell’elettronica, inoltre anche eventi distanti dal fronte di campionamento del clock a 40 MHz vengono rivelati con un’efficienza prossima al al 100%.
Il FED è stato impostato in modalità Virgin Raw per le acquisizioni di piedistalli e
in modalità Zero Suppression per la presa dati.
La misura dei piedistalli e delle loro fluttuazioni ha permesso di studiare il rumore dei singoli moduli, controllando l’eventuale presenza di rivelatori particolarmente
rumorosi o di singole strip rumorose all’interno dei vari moduli, e di verificare la
stabilità dell’insieme durante la presa dati. Gli studi di rumore sono stati eseguiti attraverso acquisizioni di piedistalli con circa 2000 trigger casuali ciascuno, ed i
risultati sono stati memorizzati in un database per essere poi utilizzati nella elaborazione online e nella ricostruzione offline. A titolo di esempio, in fig.4.4 e in fig.4.5
sono riportati gli istogrammi del rumore delle singole strip dei layer del TIB e del
TOB, e del disco della TEC, ricavati per tre diverse acquisizioni di piedistalli, tutte
effettuate a P5 e che coprono all’incirca tutto il mese di presa dati del MTCC. Due
delle tre acquisizioni sono state eseguite con il solenoide spento (8 e 18 Agosto) e
una con un campo magnetico pari a B=3.8 T (27 Agosto). La fig.4.4 in particolare,
riferita al TIB layer 3, mostra come in questo caso oltre il 99% delle strip abbiano
un rumore molto simile fra loro.
Number of strips
Per poter confrontare i risultati ottenuti nelle diverse acquisizioni si è dovuto
8th Aug B=0T
18th Aug B=0T
27th Aug B=3.8T
103
102
10
1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Noise [ADC counts]
Figura 4.4: Distribuzione calibrata del rumore delle strip, ottenute a P5 per tre
differenti acquisizioni di piedistalli: TIB layer 3 [51].
85
8th Aug B=0T
18th Aug B=0T
27th Aug B=3.8T
102
Number of strips
Number of strips
4.2. PRESTAZIONI DEI RIVELATORI
10
8th Aug B=0T
18th Aug B=0T
27th Aug B=3.8T
102
10
1
1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
1
2
3
4
5
Noise [ADC counts]
7
8
9
10
(b)
8th Aug B=0T
18th Aug B=0T
27th Aug B=3.8T
102
10
1
Number of strips
Number of strips
(a)
0
6
Noise [ADC counts]
8th Aug B=0T
18th Aug B=0T
27th Aug B=3.8T
102
10
1
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
1
2
3
4
5
Noise [ADC counts]
(c)
6
7
8
9
10
Noise [ADC counts]
(d)
Figura 4.5: Distribuzioni calibrate del rumore delle strip, ottenute a P5 per tre
differenti acquisizioni di piedistalli: (a) TIB layer 2; (b) TOB layer 1; (c) TOB
layer 5; (d) TEC [51].
tener conto delle possibili differenze nel guadagno degli AOH. Per questo motivo
il rumore ottenuto nelle varie acquisizioni è stato normalizzato rispetto all’altezza
dei tick mark digitali degli APV-25, che viene misurata in ogni presa dati eseguita
per la sincronizzazione (prima quindi di ciascuna acquisizione dei piedistalli). Le
distribuzioni di rumore cosı̀ normalizzate si dicono calibrate.
Come si può vedere la distribuzione del rumore delle singole strip è molto accentrata per tutti e quattro i layer della parte barrel e per la TEC, a parte alcune strip
con rumore troppo basso nel layer 1 del TOB (dovuto al fatto che il piedistallo mandava in saturazione l’ADC, per cui le fluttuazioni non potevano che essere minime)
e altre con rumore troppo alto nel layer 2 del TIB, dovute a due moduli difettosi.
In entrambi i casi le strip sono state localizzate e quindi escluse nella ricostruzione
offline. Inoltre, dal confronto fra le tre acquisizioni, si può notare come il profilo
di rumore delle strip possa essere considerato stabile entro il 10% durante tutta la
presa dati.
Durante il MTCC sono state eseguite circa 120 acquisizioni di dati, alcune con
il solenoide spento e altre con valori del campo magnetico pari a 3.8 T e 4 T. Tutte
le acquisizioni di dati sono state eseguite con il trigger globale fornito dalle camere
86
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
TIB Layer 2
χ 2 / ndf
49.16 / 31
11.77 ± 0.23
Width
1800
Area
1.386e+05 ± 1211
Width
MP
1200
Area
11.55 ± 0.46
GSigma
1400
χ2 / ndf
1400
93.22 ± 0.26
MP
1600
TIB Layer 3
GSigma
1000
1200
64.13 / 32
12.59 ± 0.27
97.06 ± 0.32
1.07e+05 ± 1061
11.46 ± 0.57
800
1000
800
600
600
400
400
200
200
0
0
100
200
TOB Layer 1
300
400
χ2 / ndf
151.8 / 37
100
200
TOB Layer 5
300
Width
161.4 ± 0.7
180
MP
160
Area
140
GSigma
21.74 ± 1.22
GSigma
400
400
χ2 / ndf
6.671e+04 ± 854
MP
Area
0
0
17.98 ± 0.55
Width
500
500
500
55.64 / 39
15.44 ± 0.94
153.6 ± 1.1
1.793e+04 ± 440
20.59 ± 1.72
120
100
300
80
200
60
40
100
20
0
0
100
200
300
400
500
0
0
100
200
300
400
500
Figura 4.6: Distribuzione di carica dei cluster di TIB e TOB per B = 0 T (la carica
è riportata in conteggi ADC) [51].
per i muoni. Sugli eventi acquisiti sono stati operati dei tagli richiedendo almeno tre
cluster in tre differenti layer del barrel, oppure almeno un cluster nella TEC (data la
geometria del tracciatore era molto improbabile che una stessa traccia attraversasse
la TEC e i layer del barrel ). Gli eventi cosı̀ selezionati sono detti “filtrati”.
Per la ricostruzione dei cluster sono stati utilizzati come soglie standard del
ThreeThresholdClusterizer i seguenti valori: tSeed = 4, tChannel = 3 e tCluster = 5.
In fig.4.6 sono riportate le distribuzioni di carica dei cluster ottenute per i layer del
barrel, su cui è stato eseguito un fit con una distribuzione di Landau convoluta con
una Gaussiana (la convoluzione con la Gaussiana è necessaria per tener conto delle
fluttuazioni di rumore sulla carica del cluster ). I parametri del fit indicati sono il
valore più probabile (MP) e la larghezza (Width) della Landau, la larghezza della
Gaussiana convoluta (GSigma) e l’area della distribuzione (Area). Tutti gli errori
mostrati sono gli errori statistici del fit.
Il rapporto segnale/rumore, corretto per la lunghezza del percorso all’interno del
rivelatore, è mostrato in fig.4.7, anche in questo caso con i corrispettivi risultati
del fit con la Landau convoluta con la Gaussiana. Come si può vedere il rapporto
segnale/rumore più probabile in modalità picco è di circa 28 per il TIB e 33 per il
87
4.2. PRESTAZIONI DEI RIVELATORI
χ 2 / ndf
TIB Layer 2
Width
60.99 / 41
27.6 ± 0.1
MP
500
Area
TIB Layer 3
2.951 ± 0.095
9935 ± 145.2
GSigma 3.131 ± 0.195
300
300
200
200
100
100
40
60
80
χ 2 / ndf
TOB Layer 1
100
122.4 / 39
250
MP
35.82 ± 0.29
Area
6126 ± 115.3
GSigma 6.383 ± 0.352
200
0
0
GSigma
20
40
60
28.16 ± 0.12
1.103e+04 ± 153
3.677 ± 0.191
80
χ 2 / ndf
TOB Layer 5
2.9 ± 0.2
Width
3.08 ± 0.10
Area
400
20
59.02 / 40
Width
MP
500
400
0
0
χ2 / ndf
Width
70
60
100
35.06 / 31
3.052 ± 0.185
MP
33.01 ± 0.29
Area
1168 ± 50.2
2 ± 0.7
GSigma
50
150
40
30
100
20
50
0
0
10
20
40
60
80
100
0
0
20
40
60
80
100
Figura 4.7: Rapporto segnale/rumore dei cluster di TIB e TOB per B = 0 T , corretto
per la lunghezza del percorso della traccia all’interno dei rivelatori [51].
TOB. Per assicurare un’efficienza di ricostruzione vicina al 100% durante tutto il
periodo di attività del tracciatore è richiesto un rapporto segnale/rumore maggiore
di 10 per particelle al minimo di ionizzazione. Questi risultati indicano quindi prestazioni eccellenti per le componenti barrel del tracciatore, in linea con le prestazioni
ottenute in laboratorio con moduli singoli.
Infine è riportato in fig.4.8 un confronto indicativo fra i risultati ottenuti per la
distribuzione di carica nei vari layer e le rispettive simulazioni Monte Carlo. Come si
può vedere l’accordo è ragionevole, a parte il punto a 256 conteggi nel TOB layer 1,
dovuto alla saturazione degli ADC in alcune prese dati dove non veniva utilizzato il
“full range” di 10 bit, ma solo 8 bit. Questo avveniva quando le acquisizioni erano
effettuate con il FED in modalità Zero Suppression. Si nota inoltre una discrepanza
per il TOB layer 5, dovuta al fatto che in questo caso non si è tenuto conto della
variazione nei guadagni degli AOH.
Con i dati raccolti al MTCC si è potuto inoltre collaudare gli algoritmi di ricostruzione delle tracce e quelli di allineamento del tracciatore. Per la tracciatura sono
stati utilizzati due algoritmi: il CosmicTrackFinder (CTF) e il RoadSearch algori-
88
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
TIB Layer 2
TIB Layer 3
1400
1800
1600
1200
1400
1000
1200
800
1000
800
600
600
400
400
200
200
0
0
100
200
300
400
500
TOB Layer 1
100
200
300
400
500
100
200
300
400
500
TOB Layer 5
500
400
300
200
100
0
0
0
0
100
200
300
400
500
240
220
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
0
Cluster Charge per Layer
Figura 4.8: Confronto fra le distribuzioni di carica (espressa in conteggi ADC) dei
cluster di TIB e TOB per B = 0 T (punti) e le rispettive simulazioni Monte Carlo
(linea continua) [51].
thm (RS). In fig.4.9 è riportata l’immagine ottenuta con IGUANA1 di una traccia
ricostruita col CTF. Nella sezione successiva descriverò il CosmicTrackFinder, che è
l’algoritmo di tracciatura da me utilizzato per gli studi sull’angolo di Lorentz. Qui
riporterò alcuni risultati ottenuti per la ricostruzione delle tracce con i due algoritmi
disponibili, che evidenziano le prestazioni dei rivelatori presenti al MTCC in termini
di tracciatura.
In fig.4.10 sono riportate le distribuzioni di alcune quantità che caratterizzano
le tracce ricostruite, per entrambi gli algoritmi di tracciatura utilizzati. Il numero
minore di tracce ricostruite con il RS è dovuto al fatto che questo algoritmo richiede,
come condizione di partenza per la ricostruzione della traccia, un hit nel layer più
interno del TIB e un hit in uno dei layer del TOB, il che si traduce in una minore
accettanza geometrica rispetto al CTF, che non richiede che vi sia necessariamente
un hit nel TIB layer 2. Come verifica si è provato a imporre la stessa condizione
anche nel CTF, ottenendo in effetti un numero confrontabile di tracce ricostruite
1
IGUANA è il software per la visualizzazione di eventi sviluppato per CMS.
4.2. PRESTAZIONI DEI RIVELATORI
89
Figura 4.9: Immagine di una traccia ricostruita al MTCC. I punti di ingresso della
traccia nel tracciatore e nelle camere per i muoni sono indicati in rosso, la traccia
è disegnata in azzurro [51].
dai due algoritmi.
A parte la differenza nel numero di tracce ricostruite, i due algoritmi portano
a risultati simili, come si può dedurre dalle distribuzioni riportate in fig.4.10. La
distribuzione dell’angolo azimutale φ ha un picco intorno a −π/2, compatibile con
tracce entranti in CMS dall’alto. Entrambe le distribuzioni di φ ed η sono quelle
attese data la configurazione geometrica del sistema di trigger del MTCC. Il numero di hit per traccia è più piccolo per il RS in quanto questo algoritmo utilizza
i glued RecHit (sez.2.5), mentre il CTF utilizza i RecHit dei moduli rϕ e stereo
separatamente.
Per verificare che le tracce ricostruite fossero effettivamente dovute a raggi cosmici che attraversavano i layer del tracciatore producendo poi il segnale di trigger
nelle camere per i muoni, è stato fatto un confronto fra le tracce ricostruite con
i dati del tracciatore attraverso il CTF e quelle ricostruite con i dati provenienti
dalle camere per i muoni. In fig.4.11 è riportata la correlazione fra le direzioni delle tracce misurate dal tracciatore e dalle camere per i muoni in assenza di campo
magnetico. Come si può vedere la correlazione fra le direzioni misurate nel piano trasverso (fig.4.11 (a)) è molto buona, con una larghezza della distribuzione di
φtracciatore − φmuoni di circa 25 milliradianti. La scarsa risoluzione nella misura della
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
400
350
Cosmic Track Finder
Cosmic Track Finder
Entries
Mean
Entries
Mean
3588
-1.519
Road Search Algorithm
Entries
Mean
300
Events
Events
90
1000
3588
0.3555
Road Search Algorithm
2343
-1.481
Entries
Mean
800
2343
0.3831
250
600
200
150
400
100
200
50
0
-3
-2
-1
0
1
2
0
3
-2
φ [rad]
-1
0
(a)
1
η
(b)
Entries
Mean
1200
3588
5.64
Road Search Algorithm
1000
Entries
Mean
2343
11.79
800
Cosmic Track Finder
Events
Cosmic Track Finder
Events
2
1600
Entries
Mean
1400
3588
3.989
Road Search Algorithm
1200
Entries
Mean
2343
3.554
1000
800
600
600
400
400
200
0
0
200
10
20
30
40
50
60
70
80
90
0
100
χ2
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
# of hits per track
(c)
(d)
Figura 4.10: Confronto fra parametri delle tracce ricostruite con il CosmicTrackFinder (rosso) e con il RoadSearch algorithm (blu) per dati a B=3.8 T. Sono riportate
863
0.3297
0.3455
1.4
-1.2
1.2
-1.4
0.8
φ
Entries
Mean x
Mean y
eta correlation (4 layers)
η
3663
-1.536
-1.537
DT
Entries
Mean x
Mean y
-1
DT
(rad)
le distribuzioni di φ (a), η (b), χ2 (c) e del numero di hit per traccia (d) [51].
1
0.6
-1.6
0.4
-1.8
0.2
-2
-0.2
0
-0.4
-2.2
-2.2
-2
-1.8
-1.6
-1.4
-1.2
-1
φ (rad)
-0.4 -0.2
0
0.2
0.4
0.6
(a)
0.8
1
1.2
1.4
η
tk
tk
(b)
Figura 4.11: Correlazione fra gli angoli di inclinazione delle tracce ricostruite nel
tracciatore con il CTF, e quelli delle tracce ricostruite nelle camere per i muoni, per
eventi a B=0 T: (a) φDT (muoni) vs φtk (tracciatore); (b) η per tracce con hit in
tutti e quattro i layer [51].
direzione in η, dovuta al fatto che nel tracciatore solo TIB layer 2 era in grado di
misurare con precisione la coordinata z (era l’unico con rivelatori a doppia faccia),
4.3. TRACCIATURA CON IL COSMICTRACKFINDER
91
produce una maggiore dispersione nel suo grafico di correlazione.
Per eventi con campo magnetico diverso da zero la correlazione nel piano trasverso è più difficile da evidenziare a causa della curvatura che assumono le tracce.
In fig.4.12 è riportata la differenza φtracciatore − φmuoni per tracce a B = 3.8 T in fun-
zione dell’impulso trasverso. Per bassi valori di pT si ha una maggiore differenza tra
l’angolo di inclinazione del segmento ricostruito nel tracciatore e l’angolo ricostruito
1
0.6
0.4
φ -φ
DT
0.8
tk
(rad)
nelle camere per i muoni, dovuta alla maggior curvatura della traccia.
0.2
-0
-0.2
-0.4
-0.6
-0.8
-1
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
PT (GeV/c)
Figura 4.12: Correlazione fra la differenza φtracciatore − φmuoni e l’impulso trasverso
per tracce di eventi con B=3.8 T ricostruite con il CTF. In nero sono riportati i
dati relativi alle tracce di muoni positivi, in grigio quelli relativi a tracce di muoni
negativi [51].
4.3
Tracciatura con il CosmicTrackFinder
Come abbiamo visto nella sezione precedente, sono stati utilizzati per gli studi eseguiti sui dati raccolti al MTCC due algoritmi di ricostruzione delle tracce. In questa
sezione descriverò il CosmicTrackFinder [52], l’algoritmo di ricostruzione delle tracce
da me utilizzato per la misura dell’angolo di Lorentz.
La tracciatura parte dai RecHit prodotti nella ricostruzione offline locale (sez.2.5).
Come già accennato, il CTF non utilizza i glued RecHit. Questi, se presenti, vengono
separati nei RecHit mono e stereo dalla cui intersezione sono stati creati. La ricostruzione delle tracce prosegue in tre passi, detti: “Creazione del Seed ”, “Pattern
recognition” e “Fit della traccia”. Le coordinate x, y e z a cui mi riferirò nel seguito
sono quelle del sistema di riferimento globale di CMS.
92
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
4.3.1
Creazione del Seed
Un seed è il minimo insieme di RecHit compatibile con la traiettoria di una particella
e da cui è possibile ricavare una prima stima dei parametri della traccia. Per le tracce
generate da raggi cosmici il numero di hit per evento nell’intero tracciatore è molto
minore di quello che si otterrebbe nel caso di collisioni protone-protone. Sia per questo motivo, sia perché il numero di rivelatori presenti nel tracciatore del MTCC era
basso, tutte le coppie di hit geometricamente compatibili sono considerate possibili
Seed dal CTF. La compatibilità è stabilita con i seguenti criteri:
ˆ I due hit devono trovarsi su layer distinti del TIB o del TOB. Non sono
ammessi quindi Seed con un hit nel TIB e uno nel TOB. Nel caso del TIB,
dove la sovrapposizione dei rivelatori alloggiati nelle stringhe interne e in quelle
esterne è circa il 5%, gli hit del Seed possono anche appartenere allo stesso
layer, a patto che uno si trovi in una stringa interna e l’altro in una esterna.
ˆ Gli hit dei moduli stereo non sono utilizzati per il Seed, dal momento che solo
un layer è equipaggiato con questi rivelatori.
ˆ La distanza fra i moduli nella coordinata z deve essere minore di 30 cm (18 cm
nel caso in cui il Seed sia costituito da hit appartenenti allo stesso layer del
TIB).
ˆ La distanza fra la coordinata x degli hit deve essere minore del doppio della loro
distanza nella coordinata y. Questa richiesta è dovuta al fatto che, acquisendo
tracce di raggi cosmici, ci si apettano piccoli angoli di inclinazione rispetto alla
verticale.
Figura 4.13: Esempi di Seed con il CTF, con RecHit nel TIB layer 2 e layer 3
(sinistra), nel TOB layer 1 e layer 5 (centro), nel TIB layer 3 stringhe interne ed
esterne (destra).
4.3. TRACCIATURA CON IL COSMICTRACKFINDER
93
In fig.4.13 sono riportati alcuni esempi di Seed. Dopo aver selezionato tutte le coppie
di hit che soddisfano queste condizioni, ciascun Seed è propagato negli altri layer
secondo le modalità descritte nel punto seguente.
4.3.2
Pattern recognition
Un Seed creato nel punto precedente può trovarsi all’estremità inferiore (TIB) o
superiore (TOB) del tracciatore. Se si trova all’estremità superiore (inferiore), tutti
gli hit con la coordinata y globale più bassa (alta) di quella degli hit del Seed, sono
disposti in ordine decrescente (crescente) rispetto alla direzione verticale. A questo
punto vengono ricostruite le possibili tracce nel seguente modo:
1. La traiettoria, con la prima stima dei parametri fornita dal Seed, è propagata
sulla superficie di ciascun modulo contenente un hit.
2. La compatibilità di ciascun hit con la traccia propagata è valutata utilizzando
un estimatore di χ2 . Il valore dell’estimatore di χ2 con cui operare il taglio
sugli hit è un parametro che può essere modificato dall’utente nel file di configurazione. Negli studi effettuati sui dati raccolti al MTCC, il valore standard
dell’estimatore di χ2 utilizzato per il taglio è 40.
3. Per ogni hit compatibile, viene ricalcolata una traccia utilizzando anche le
informazioni portate da quell’hit.
Sono applicati due ulteriori controlli per evitare selezioni di hit erronee. Il primo
richiede che venga selezionato al più un hit per modulo, il secondo, analogo a quello
già applicato in fase di creazione del Seed, richiede che per i primi due hit associati
alla traccia la distanza dagli hit del Seed nelle coordinate x e z sia minore del doppio
della distanza in y.
A questo punto ciascuna traccia ricostruita viene rigettata o passata al punto
successivo in base al numero di hit ad essa associati. Il numero minimo di hit
associati, sotto il quale una traccia viene rigettata, è tre.
4.3.3
Fit della traccia
Per ogni possibile traccia prodotta nel passaggio precedente, viene eseguito nuovamente il Pattern recognition partendo dall’ultimo hit ad essa associato, e utilizzando
i nuovi parametri della traccia ricavati alla fine del punto precedente. In questo passaggio vengono inoltre aggiornate le posizioni degli hit con i relativi errori, tenendo
conto dell’effettiva inclinazione della traccia.
94
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
Al termine di queste operazioni sono ancora presenti più tracce valide, ma solo
la traccia migliore viene salvata dal momento che in genere ci si apetta per raggi
cosmici al più una traccia per evento. I criteri stabiliti per selezionare la miglior
traccia sono:
ˆ maggior numero di layer su cui è presente un RecHit associato alla traccia;
ˆ maggior numero di RecHit associati alla traccia;
ˆ χ più piccolo
2
La traccia che soddisfa questi criteri viene salvata nell’Event (sez.2.5) insieme
agli hit ad essa associati, l’impulso, la carica della particella, il valore di χ2 e la
matrice di covarianza.
4.3.4
Risultati ottenuti sulle simulazioni
Sono state valutate, su simulazioni di dati a 0.0 T e a 3.8 T, le risoluzioni negli
angoli di inclinazione e nell’impulso delle tracce ricostruite, nonché l’efficienza di
ricostruzione. In fig.4.14 sono mostrate le risoluzioni di φ e pT , ottenute attraverso
la differenza fra i valori simulati e quelli ricostruiti. In Tab.4.2 sono riassunte le
risoluzioni di φ, η e pT . Come atteso la risoluzione in η è molto peggiore di quella
in φ, dal momento che solo il TIB layer 2 era in grado di misurare con precisione la
coordinata z degli hit.
(a)
(b)
Figura 4.14: Risoluzione in φ (a) e pT (b), stimata attraverso la differenza fra il
valore ricostruito e quello simulato. La risoluzione riportata in nero è riferita a
tutte le tracce, quella in rosso alle sole tracce con almeno tre hit in layer diversi e
quella in blu alle tracce con hit in tutti e quattro i layer [52].
95
4.4. ALLINEAMENTO
Qualità della
risoluzione in φ risoluzione in η
risoluzione relativa
traccia
mrad
in pT
Tutte le tracce
1.9
0.14
13%
hit in 3 layer
1.3
0.12
12%
hit in 4 layer
1.0
0.08
10%
Tabella 4.2: Risoluzioni in φ, η e pT ottenute per le tracce ricostruite con il CTF.
Sono riportati i risultati ottenuti per l’insieme di tutte le tracce, per quelle con
almeno tre hit in differenti layer e per quelle con hit in tutti e quattro i layer [52].
Per calcolare l’efficienza di ricostruzione sono stati considerati solamente gli eventi simulati con almeno un Seed e in cui sono stati ricostruiti almeno tre hit e sono
stati correttamente associati a quelli simulati. Utilizzando il campione complementare (quello con meno di tre hit correttamente associati) è stata valutata la percentuale
di ricostruzioni fasulle. In fig.4.15 è riportata l’efficienza di ricostruzione ottenuta
per il CTF in funzione dell’impulso trasverso. La percentuale di ricostruzioni fasulle
è stata stimata intorno allo 0.2%.
Figura 4.15: Efficienza di tracciatura del CTF. L’efficienza riportata in nero è riferita a tutte le tracce, quella in rosso alle sole tracce con almeno tre hit in layer
diversi e quella in blu alle tracce con hit in tutti e quattro i layer [52].
4.4
Allineamento
L’allineamento dei rivelatori, cosı̀ come la corretta ricostruzione delle tracce, sono di
fondamentale importanza per la misura dell’angolo di Lorentz da me eseguita, come
vedremo nel capitolo seguente. Da essi dipende infatti la corretta stima dell’angolo
96
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
d’incidenza della traccia sui rivelatori, e il principio di misura da me utilizzato si
basa proprio sulla dipendenza della dimensione dei cluster da tale angolo.
Con i dati presi al B186 è stato effettuato un pre-allineamento, che ha permesso
di ricavare una prima stima dei parametri da utilizzare nelle analisi successive. Partendo da questi è stato poi eseguito l’allineamento con i dati di P5, che ha portato
ai risultati utilizzati nella mia misura.
Le costanti di allineamento per le componenti del tracciatore nella configurazione
di P5 sono state ricavate attraverso un algoritmo detto “Hit and Impact Point”
(HIP). Sono stati utilizzati a questo scopo gli eventi acquisiti in assenza di campo
magnetico, in quanto la statistica disponibile era maggiore rispetto a quella dei dati
ottenuti con solenoide acceso. Il procedimento adottato si basa sulla minimizzazione
di alcune variabili di χ2 costruite ad hoc partendo dal valor medio dei residui, cioè
della differenza fra le posizioni misurate degli hit e quelle previste dal fit della traccia.
Il valor medio è stato determinato attraverso un fit gaussiano della distribuzione dei
residui.
Come punto di partenza (sia al B186 che a P5) sono state utilizzate le misure
fatte in loco, mediante “survey” geometrico, sull’effettiva posizione delle stringhe
e delle rod. Purtroppo non è stato possibile eseguire l’allineamento a livello del
singolo rivelatore, a causa della poca statistica a disposizione. L’allineamento è
stato quindi eseguito solo a livello delle rod del TOB e delle stringhe del TIB, in due
passi successivi.
1. Nel primo passo sono state allineate le rod del TOB tenendo fisso il TIB
rispetto alla geometria globale di CMS. I parametri liberi in questa prima fase
erano le posizioni delle rod nelle coordinate del riferimento locale ortogonali e
parallele alle strip. Lo coordinate delle rod venivano variate in un procedimento
iterativo allo scopo di minimizzare le variabili di χ2 definite nell’algoritmo.
Allo scopo di incrementare l’efficienza di tracciatura nelle prime iterazioni,
è stato aggiunto in quadratura all’errore sulla posizione dell’hit un ulteriore
contributo pari a 3.5 mm. Questo contributo veniva poi diminuito linearmente
nelle iterazioni successive, fino a raggiungere il valore di 0 mm dalla decima
iterazione in poi. La convergenza della posizione delle rod nella geometria
globale è mostrata in fig.4.16. La posizione allineata delle rod è stata raggiunta
dopo 45 iterazioni (in figura sono mostrate le prime 50).
2. Nel secondo passo sono state allineate le stringhe del TIB, mantenendo fisse le
coordinate globali delle rod del TOB nei valori ottenuti con la prima fase dell’allineamento. I parametri liberi erano questa volta la posizione delle stringhe
nella coordinata ortogonale alle strip e nella coordinata radiale. La convergen-
4.4. ALLINEAMENTO
97
Figura 4.16: Differenza fra la coordinate globali x (sinistra) e z (destra) delle rod del
TOB rispetto alle posizioni iniziali, nelle varie iterazioni eseguite per l’allineamento.
La convergenza nelle posizioni delle rod è raggiunta dopo 45 iterazioni [52].
Figura 4.17: Differenza fra la coordinate globali x (sinistra) e z (destra) delle stringhe
del TIB rispetto alle posizioni iniziali, nelle varie iterazioni eseguite per l’allineamento. La convergenza nelle posizioni delle stringhe è raggiunta dopo 10 iterazioni
[52].
za della posizione delle stringhe nella geometria globale è mostrata in fig.4.17.
La posizione allineata delle stringhe è stata raggiunta dopo 10 iterazioni.
In fig.4.18 è riportato il χ2 delle tracce ricostruite e in fig.4.19 i residui calcolati
per gli hit nei vari layer. In entrambi i casi sono riportati i risultati ottenuti senza
allineamento, con le costanti di pre-allineamento ricavate a B186 e con quelle finali
ricavate con i dati di P5. Come si può vedere la distribuzione del χ2 migliora
sensibilmente in quest’ultimo caso e la distribuzione dei residui risulta via via più
piccata nello zero, il che dimostra un chiaro miglioramento nella qualità delle tracce
ricostruite dopo l’allineamento.
I parametri di correzione della geometria cosı̀ ottenuti sono stati memorizzati
98
CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE
Figura 4.18: Distribuzione del χ2 delle tracce ricostruite. Sono confrontate le distribuzioni ottenute senza allineamento (nero), con il pre-allineamento (rosso) e con
l’allineamento completo (blu) [52].
Figura 4.19: Distribuzioni dei residui degli hit, cioè della differenza fra le posizioni
misurate degli hit e quelle previste dal fit della traccia. Sono confrontate le distribuzioni ottenute per i vari layer senza allineamento (nero), con il pre-allineamento
(rosso) e con l’allineamento completo (blu) [52].
in un database, per poi essere utilizzati nelle ricostruzioni offline degli eventi in
CMSSW, attraverso l’inserimento nel file di configurazione di un opportuno modulo
che, in accordo con essi, corregge la geometria globale del tracciatore.
Con i dati di P5 sono stati ricavati in realtà due set di costanti di allineamento,
4.4. ALLINEAMENTO
99
il primo seguendo la procedura descritta sopra, il secondo consentendo anche, come
terzo passo, la rotazione delle stringhe e delle rod attorno al proprio asse parallelo
alla z del riferimento globale di CMS. Il primo set di costanti di allineamento è
quello di riferimento per gli studi eseguiti sui dati raccolti al MTCC e riportati
nella nota sull’esperimento [51]. Tuttavia nella misura dell’angolo di Lorentz da me
effettuata, utilizzerò entrambi gli allineamenti, cosı̀ da poter ricavare, dal confronto
dei risultati ottenuti nei due casi, una stima del contributo portato all’incertezza
della mia misura dall’errore sull’allineamento.
Capitolo 5
Misura dell’angolo di Lorentz
Con i dati raccolti al MTCC ho potuto eseguire la misura dell’angolo di Lorentz
dei portatori di carica all’interno dei rivelatori a microstrisce del tracciatore, che
costituisce l’argomento principale del mio lavoro di tesi. A tale scopo ho utilizzato
un campione di dati presi a P5, con un campo magnetico B = 3.8 T.
In questo capitolo descriverò il metodo da me utilizzato per misurare l’angolo di
Lorentz attraverso un codice appositamente scritto da me in C++, che costituisce un
modulo di CMSSW da inserire nel file di configurazione dopo la ricostruzione delle
tracce. Descriverò inoltre i risultati della misura ottenuti utilizzando due diversi set
di costanti di allineamento (ricavati come descritto in sez.4.4) ed il loro confronto
con la stima dell’angolo di Lorentz ricavata dal modello da me costruito, descritto
nel Cap.3.
La misura da me effettuata si limita ai moduli del TIB e del TOB, in quanto,
essendo in ottima approssimazione il campo magnetico nella regione del tracciatore
uniforme e parallelo al fascio, esso risulta quindi parallelo al campo elettrico interno
ai rivelatori della TEC, dal momento che questi sono disposti ortogonalmente al
fascio. Quindi i portatori di carica all’interno dei moduli della TEC non risentono
della deviazione di Lorentz, dato che la loro velocità di deriva è parallela al campo
magnetico.
5.1
Principio di misura
Come già abbiamo discusso nel Cap.3 a proposito del modello dell’angolo di Lorentz,
in presenza di un campo magnetico avremo larghezza minima dei cluster formati
sui rivelatori per tracce incidenti con un angolo rispetto alla normale uguale proprio
all’angolo di Lorentz ΘL . Per determinare ΘL ho quindi misurato la larghezza dei
cluster nei rivelatori del tracciatore presenti al MTCC in funzione dell’angolo di
102
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
(a)
(b)
Figura 5.1: (a) Schema del sistema di riferimento locale di un generico modulo. Con
θt è indicato l’angolo di incidenza della traccia, con t lo spessore del modulo e con p
il passo fra le strip (che non sono riportate in scala); (b) Segno di θt , come risulta
dalla definizione (5.1).
incidenza delle tracce. Il valore dell’angolo per cui questa diventa minima costituirà
cioè la misura dell’angolo di Lorentz delle lacune nei rivelatori stessi.
In fig.5.1 (a) è riportato lo schema del sistema di riferimento locale di un generico
modulo del tracciatore. L’angolo di incidenza è definito come quell’angolo θt che la
proiezione della traccia nel piano xz forma con la normale al rivelatore. Dette Tx
e Tz le componenti della direzione della traccia lungo gli assi x e z del riferimento
locale, l’angolo di incidenza θt è quindi dato da:
Tx
θt = arctan
Tz
(5.1)
e il segno di θt è quello riportato in fig.5.1 (b). L’inclinazione della traccia nel piano
yz parallelo alle strip non influisce sulla larghezza del cluster in quanto il rivelatore
non è in grado di misurare la coordinata lungo le strip stesse.
La larghezza del cluster, o cluster size, è espressa attraverso il numero di strip
che lo compongono, comprese le eventuali strip il cui rapporto segnale/rumore non
ha superato la soglia tChannel del ThreeThresholdClusterizer (sez.2.5), ma che sono
state ugualmente inglobate nel cluster in quanto si trovavano comprese fra due strip
sopra soglia.
In assenza del campo magnetico la larghezza media del cluster per tracce incidenti con un angolo θt è data da:
t
larghezza media del cluster = a + · b · tan θt p
(5.2)
dove t è lo spessore del rivelatore, p il passo fra le strip e a e b sono degli opportuni
coefficienti che tengono conto della diffusione dei portatori e dell’accoppiamento
103
5.1. PRINCIPIO DI MISURA
capacitivo delle strip. In particolare a rappresenta la larghezza media dei cluster
formati da tracce ortogonali al rivelatore (θt = 0), e avrà un valore compreso fra 1 e
2, dato che questo tipo di tracce può generare cluster di una o due strip a seconda
di come si ripartisce la carica liberata fra le due strip vicine al punto di passaggio.
Come già avevamo ricavato con il modello (sez.3.4.2), la presenza di un campo
magnetico, parallelo alla direzione delle strip, sposta il minimo della distribuzione
della larghezza del cluster in corrispondenza di un valore della tangente dell’angolo
di incidenza uguale alla tangente dell’angolo di Lorentz dei portatori. Nel caso dei
rivelatori pertanto la larghezza media del cluster in presenza di un campo magnetico
sarà data da:
t
larghezza media del cluster = a + · b · (tan θt − tan ΘL )
p
dove ΘL è l’angolo di Lorentz, che, con riferimento alla fig.5.2, è dato da:
∆x
ΘL = arctan
t
(5.3)
(5.4)
dove ∆x è lo spostamento, dovuto alla forza di Lorentz, nella coordinata x del punto
di arrivo sul lato giunzione di una lacuna formata ad una profondità t all’interno del
rivelatore.
Il segno di ΘL dipende dall’orientazione del campo magnetico rispetto al sistema
di riferimento locale del modulo. Se B è concorde con l’asse y del riferimento locale,
l’angolo che minimizza la dimensione del cluster è negativo (fig.5.2 (a)), se invece è
discorde il segno dell’angolo è positivo (fig.5.2 (b)).
(a)
(b)
Figura 5.2: Rappresentazione schematica dello spostamento ∆x delle lacune dovuto
alla forza di Lorentz, nel caso in cui il campo magnetico sia concorde con l’asse y
locale (a) e nel caso in cui sia discorde (b). La linea tratteggiata indica la direzione
di deriva di una lacuna formata all’estremità del rivelatore opposta a quella delle impiantazioni. Le frecce indicano la direzione della traccia che minimizza la larghezza
del cluster.
104
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
Riportando in grafico la larghezza del cluster in funzione di tan θt è dunque
possibile ricavare una misura dell’angolo di Lorentz attraverso un fit che fornisca il
valore della tangente a cui corrisponde il minimo della distribuzione. Ho utilizzato
per il fit la seguente funzione:
t
· p1 · |x − p0 | + p2
p
(5.5)
dove la variabile x è quindi tan θt e p0 , p1 e p2 sono i parametri del fit. La (5.5) ha
un minimo in x = p0 , che coincide pertanto con la misura della tangente dell’angolo
di Lorentz, e presenta un andamento lineare intorno al minimo, con coefficiente
angolare pari a
p2 .
5.2
t
p
· p1 . Il valore minimo della larghezza del cluster è invece dato da
Algoritmo utilizzato per la misura
Per eseguire la misura dell’angolo di Lorentz ho creato un apposito codice, inserito come classe di CMSSW e chiamato SiStripLorentzAngle. Esso costituisce un
modulo di CMSSW da inserire nel file di configurazione dopo la ricostruzione delle
tracce. Nella misura da me effettuata ho utilizzato come algoritmo di tracciatura
il CosmicTrackFinder (descritto in sez.4.3.), per cui per ogni evento viene passata
al SiStripLorentzAngle al più una traccia. Nel seguito descriverò i vari passaggi
attraverso i quali il modulo di CMSSW da me definito esegue la misura dell’angolo
di Lorentz.
5.2.1
Informazioni in ingresso
Per ogni evento che ha portato alla ricostruzione di una traccia, SiStripLorentzAngle
prende dall’Event, cioè da quell’oggetto di CMSSW attraverso il quale comunicano
fra loro i vari moduli definiti nel file di configurazione (sez.2.5), un oggetto che contiene le informazioni sugli hit appartenenti alla traccia e sui parametri di quest’ultima,
come la direzione della traccia sulla superficie del modulo che ha dato il segnale.
Da questa l’algoritmo ricava quindi la tangente dell’angolo che la proiezione della
traccia nel piano xz del riferimento locale forma con la normale al rivelatore.
Per ogni evento in cui è stata ricostruita una traccia, SiStripLorentzAngle produce una collezione nella quale sono inseriti tutti gli hit associati alla traccia, accoppiati al valore di tan θt calcolato in corrispondenza di ciascuno di essi. I glued RecHit
eventualmente presenti vengono separati nei rispettivi RecHit mono e stereo.
105
5.2. ALGORITMO UTILIZZATO PER LA MISURA
(a)
(b)
Figura 5.3: Rappresentazione schematica della deviazione di Lorentz in un modulo
mono e in uno stereo: (a) vista dal lato giunzione: α è l’angolo di inclinazione delle
strip del modulo stereo rispetto al campo magnetico (che nel disegno si è supposto
esattamente parallelo alle strip del modulo mono); (b) vista dal piano xz rispettivamente del mono e dello stereo: le linee tratteggiate rappresentano la proiezione, nel
piano xz del modulo, della direzione di deriva di una lacuna formata all’estremità
del rivelatore opposta a quella delle impiantazioni. Le frecce rappresentano la proiezione delle tracce che minimizzano la larghezza del cluster rispettivamente nel mono
e nello stereo.
5.2.2
Correzione sull’orientazione dei moduli
Fino ad ora abbiamo considerato la deviazione di Lorentz per moduli con strip parallele al campo magnetico. Tuttavia è necessario considerare anche l’effetto prodotto
da tale deviazione in moduli con le strip inclinate rispetto al campo, dato che i rivelatori stereo presenti sono ruotati di 100 mrad rispetto ai mono ad essi accoppiati.
Inoltre si deve tener conto del fatto che anche i rivelatori mono non sono orientati
tutti allo stesso modo: alcuni hanno l’asse y parallelo al campo magnetico, altri
antiparallelo. Questo, come abbiamo già mostrato in fig.5.2, porta ad un angolo
di Lorentz negativo nel primo caso e positivo nel secondo. La correzione sul segno
dell’angolo è quindi di fondamentale importanza, in quanto permette di considerare
in maniera aggregata i dati provenienti da moduli diversi (cosa resa necessaria dalla
bassa statistica, come vedremo nel seguito). Senza tale correzione avremmo infatti
assimilato casi in cui l’angolo di minimizzazione ha segno positivo e casi in cui ha
invece segno negativo, vanificando in questo modo la misura.
La correzione sull’orientazione del modulo viene eseguita dall’algoritmo nel seguente modo. Se consideriamo un generico modulo come quello riportato in fig.5.3
106
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
(a), con le strip poste sul piano individuato dal vettore del campo magnetico, ma
inclinate rispetto a questo di un angolo α, si ha che la forza di Lorentz agente sulle
lacune al suo interno è scomponibile nel sistema di riferimento locale in:



 (FL )x = −qvd By
(5.6)


 (F ) = qv B
L y
d x
dove q è la carica delle lacune, vd la loro velocità di deriva (parallela a z) e Bx e
By sono le componenti del campo magnetico lungo x e y rispettivamente. Tuttavia,
mentre la componente lungo x della forza di Lorentz produce uno spostamento
misurabile ∆x del punto di arrivo delle lacune sul lato giunzione, (FL )y genera
uno spostamento ∆y lungo la direzione parallela alle strip che non è misurato dal
rivelatore. Quindi, a parità di campo magnetico, il ∆x nel modulo con le strip
inclinate rispetto a B è minore di quello con le strip parallele, contribuendo nel
primo caso solo la componente B · ŷ del campo. Questo produce, come mostrato
in fig.5.3 (b), una diminuzione della tangente dell’angolo di incidenza della traccia
che minimizza la larghezza del cluster nei moduli stereo, rispetto al valore da essa
assunto nei mono. Infatti, come si ricava dalla (5.4), per i rivelatori mono tan ΘL
sarà uguale a
∆xm
,
d
mentre per gli stereo a
∆xs
,
d
con ∆xs < ∆xm . Al limite, se le strip
fossero perpendicolari al campo magnetico, cosa che non accade mai nei rivelatori
del barrel, la forza di Lorentz non produrrebbe alcun effetto misurabile dal rivelatore
e si otterrebbe un minimo della dimensione del cluster per tan θt = 0, esattamente
come nel caso di campo magnetico nullo.
Come si ricava dalla fig.5.3:
∆xm =
∆xs
cos α
(5.7)
dove α è l’angolo compreso fra l’asse y del modulo stereo ed il vettore del campo
magnetico, che nel disegno si è supposto esattamente parallelo alle strip del modulo
mono. Di conseguenza cos α vale:
cos α =
ŷ · B
kBk
(5.8)
con B il vettore del campo magnetico in corrispondenza del punto individuato
dall’hit ed espresso nelle coordinate locali del modulo e ŷ il versore che individua la
direzione dell’asse y del sistema di coordinate locali. Da notare che cos α è sempre
diverso da zero, in quanto l’analisi è limitata ai moduli del barrel, per i quali vale
sempre ŷ · B 6= 0.
Per correggere l’effetto portato dall’orientazione del modulo è quindi sufficiente
moltiplicare il valore di tan θt misurato per 1/ cos α, cosı̀ da ricondurre il valore della
5.2. ALGORITMO UTILIZZATO PER LA MISURA
107
tangente corrispondente alla larghezza minima del cluster a quello che avremmo
ottenuto se le strip fossero state parallele al campo magnetico.
La correzione descritta sopra permette inoltre di uniformare il segno dell’angolo
di Lorentz misurato sia nei moduli mono (per i quali cos α = ±1) che in quelli
stereo. Infatti 1/ cos α è positivo se y e B sono concordi e negativo altrimenti,
cioè ha sempre segno opposto a quello dell’angolo di Lorentz. Moltiplicando quindi
tan θt per 1/ cos α otterremo il minimo della dimensione del cluster sempre per angoli
negativi.
5.2.3
Fit della tangente dell’angolo di Lorentz
Una volta operata la correzione sull’orientazione del modulo, il codice analizza per
ciascun hit contenuto nella collezione la relativa larghezza del cluster e la riporta,
evento per evento, in un istogramma in funzione di tan θt . Per ogni rivelatore presente, sia mono che stereo, viene creato un istogramma, che presenta pertanto, alla
fine dell’analisi, il valor medio della larghezza dei cluster formati su di esso dalle
particelle incidenti in funzione della tangente dell’angolo di incidenza.
La possibilità di avere istogrammi separati per ciascun modulo permetterà, durante tutta l’attività di LHC, di effettuare la misura dell’angolo di Lorentz separatamente per ciascun modulo, potendo quindi anche monitorare eventuali suoi cambiamenti dovuti ai danni da radiazione o in generale a mutamenti nei parametri di
funzionamento del rivelatore.
Tuttavia in questo caso, data la bassa statistica a disposizione, non è possibile
eseguire la misura dell’angolo di Lorentz separatamente per i vari rivelatori presenti
al MTCC. Si è reso quindi necessario creare degli ulteriori istogrammi, uno per ogni
layer del barrel, indicati per questo con i termini TIB2, TIB3, TOB1 e TOB5 e in
cui vengono aggregati i dati relativi a tutti i moduli di un determinato layer.
Su ciascun istogramma creato viene eseguito un fit con la funzione definita nella
(5.5), operato utilizzando l’algoritmo “Minuit” [53]. Ho centrato l’intervallo su cui
eseguire il fit sul valore approssimativamente atteso per la tangente dell’angolo di
Lorentz, cioè in −0.1 per i dati a 3.8 T, come indicato dal modello (sez.3.4.2), e in
0 per i dati a 0 T.
Il fit fornisce per ciascun istogramma la stima dei parametri p0 , p1 e p2 , con i
relativi errori statistici, nonché il χ2 del fit. Il parametro p0 costituisce la misura
della tangente dell’angolo di incidenza che minimizza la larghezza del cluster e quindi
coincide, in presenza di un campo magnetico e a meno di ulteriori correzioni che
vedremo nel seguito, con la misura della tangente dell’angolo di Lorentz.
108
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
Campo magnetico Numero totale Numero eventi filtrati
di eventi
(soglie=435)
B=0.0 T
10.197.963
6096
B=3.8 T
12.638.378
3406
Tabella 5.1: Campioni di dati utilizzati per B = 0 T e B = 3.8 T . Gli eventi filtrati
sono riferiti ad una ricostruzione dei cluster con le soglie standard 435.
Campo magnetico Num. tracce - All. 1 Num. tracce - All. 2
(soglie=435)
(soglie=435)
B=0.0 T
4328
4742
B=3.8 T
3024
3039
Tabella 5.2: Numero di tracce ricostruite con i due set di costanti di allineamento,
utilizzando per la ricostruzione dei cluster le soglie 435.
5.3
Misure preliminari
Attraverso l’algoritmo SiStripLorentzAngle da me definito ho eseguito la misura
dell’angolo di Lorentz sui dati del MTCC raccolti a P5, utilizzando gli istogrammi
contenenti il valor medio della larghezza dei cluster in funzione di tan θt , relativi ai
dati aggregati per layer, come descritto nella sezione precedente.
Fra le circa 120 prese dati eseguite a P5 con il trigger globale fornito dalle camere
per i muoni, ho utilizzato quelle ottenute col solenoide spento e quelle prese con un
campo magnetico pari a B = 3.8 T (sono state eseguite anche alcune prese dati
con B = 4 T, tuttavia il numero di eventi acquisiti per questo valore di B era
troppo basso per poter eseguire una misura soddisfacente). Fra queste ho inoltre
selezionato quelle prese in assenza di problemi del sistema di acquisizione e, in
particolare per quelle con solenoide acceso, ho selezionato le acquisizioni per cui è
stato riportato un valore stabile del campo magnetico. In totale ho selezionato 33
acquisizioni con B = 0 T e 36 con B = 3.8 T. In Tab.5.1 sono riportati il numero
totale di eventi acquisiti nelle prese dati selezionate e il numero di eventi filtrati1
utilizzando per la ricostruzione dei cluster le soglie standard usate al MTCC per il
ThreeThresholdClusterizer, e cioè tSeed = 4, tChannel = 3 e tCluster = 5. Nel seguito
indicherò questo set di soglie come 435.
Come si vede dalla tabella il numero di eventi filtrati è molto minore rispetto al
1
Come riportato in sez.4.2, per eventi filtrati si intende quegli eventi che hanno prodotto almeno
tre cluster in tre differenti layer del barrel, oppure un cluster nella TEC.
109
5.3. MISURE PRELIMINARI
‡). Questo è dovuto al fatto che, rispetto al
numero totale di eventi acquisiti (< 1
trigger fornito dalle camere per i muoni presenti al MTCC, l’accettanza geometrica
del tracciatore risulta bassissima (sez.4.1.2).
Come già accennato ho eseguito la misura utilizzando due diversi set di costanti
di allineamento (si veda al riguardo sez.4.4), a cui mi riferirò indicandoli rispettivamente come allineamento numero 1 e numero 2. L’allineamento numero 1 è quello
di riferimento per gli studi effettuati con i dati del MTCC riportati nella nota di
CMS sull’esperimento [51], mentre il 2 è stato ricavato in seguito. Dal confronto dei
risultati ottenuti con i due diversi set di costanti si può ricavare una stima sull’errore
dell’allineamento stesso. In Tab.5.2 è riportato il numero di tracce ricostruite nei
due casi con il CosmicTrackFinder, utilizzando le soglie standard 435.
Come prima cosa ho esaminato il risultato del fit su ciascun istogramma ottenuto
per i dati a 0 Tesla con i due diversi allineamenti, cosı̀ da verificare la comparsa
Entries
6585
χ2 / ndf
29.4 / 32
p0
0.00405 ± 0.00459
p1
0.5032 ± 0.0196
p2
1.456 ± 0.018
3
Cluster size (strip)
2.8
2.6
2.4
2.2
2
1.8
MTCC TIB3 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
2.8
1.6
2.6
2.4
2.2
2
1.8
1.6
1.4
-0.6
1.4
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
-0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
(a)
3
Cluster size (strip)
2.8
2.6
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(b)
Entries
3659
χ2 / ndf
12.21 / 10
p0
-0.08157 ± 0.33024
p1
-0.0244 ± 0.1142
p2
1.992 ± 0.029
2.4
2.2
2
1.8
1.6
MTCC TOB5 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
3
2.8
Cluster size (strip)
MTCC TOB1 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
2.6
Entries
2184
χ2 / ndf
12.74 / 10
p0
0.02771 ± 0.02102
p1
0.3618 ± 0.1051
p2
1.861 ± 0.035
2.4
2.2
2
1.8
1.6
1.4
-0.6
Entries
6164
χ2 / ndf
27.28 / 32
p0
0.01751 ± 0.00670
p1
0.5262 ± 0.0296
p2
1.489 ± 0.017
3
Cluster size (strip)
MTCC TIB2 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
1.4
-0.4
-0.2
0
(c)
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(d)
Figura 5.4: Misura della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster
per i dati a 0 Tesla del MTCC, ottenuta con l’allineamento 1. Sono riportati gli
istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB
layer 5.
110
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
Entries
6850
χ2 / ndf
28.9 / 32
p0
0.01237 ± 0.00387
p1
0.5362 ± 0.0190
p2
1.399 ± 0.019
3
Cluster size (strip)
2.8
2.6
2.4
2.2
2
1.8
MTCC TIB3 @ 0 T (All.2, soglie = 435)
2.8
1.6
2.6
2.4
2.2
2
1.8
1.6
1.4
-0.6
1.4
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
-0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
(a)
3
Cluster size (strip)
2.8
2.6
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(b)
Entries
4210
χ2 / ndf
11.14 / 10
p0
-0.06243 ± 0.05322
p1
0.1164 ± 0.0823
p2
1.966 ± 0.024
2.4
2.2
2
1.8
1.6
MTCC TOB5 @ 0 T (All.2, soglie = 435)
3
2.8
Cluster size (strip)
MTCC TOB1 @ 0 T (All.2, soglie = 435)
2.6
Entries
1920
χ2 / ndf
10.6 / 9
p0
0.03496 ± 0.02261
p1
0.3471 ± 0.1006
p2
1.879 ± 0.035
2.4
2.2
2
1.8
1.6
1.4
-0.6
Entries
6593
χ2 / ndf
63.68 / 32
p0
0.02757 ± 0.00793
p1
0.5068 ± 0.0264
p2
1.48 ± 0.02
3
Cluster size (strip)
MTCC TIB2 @ 0 T (All.2, soglie = 435)
1.4
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
-0.6
(c)
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(d)
Figura 5.5: Misura della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster
per i dati a 0 Tesla del MTCC, ottenuta utilizzando l’allineamento 2. Sono riportati
gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d)
TOB layer 5.
del minimo atteso in tan θt = 0. I risultati ottenuti sono riportati in fig.5.4 per
l’allineamento 1 e in fig.5.5 per l’allineamento 2.
Come si ricava dagli istogrammi in fig.5.4 e in fig.5.5, per entrambi i set di costanti
di allineamento le distribuzioni hanno dei minimi ben identificabili per i due layer
del TIB, mentre questo non avviene per i layer del TOB. In particolare si nota negli
istogrammi del TOB una regione piatta centrale, corrispondente a una larghezza
del cluster circa uguale a 2, come se, anche per tracce incidenti con θt ≃ 0 (cioè
circa perpendicolari al modulo), per le quali ci si apetterebbe un maggior numero
di cluster a una strip, per qualche motivo anche le strip vicine a quella di incidenza
andassero quasi sempre sopra soglia e venissero quindi associate al cluster.
Per comprendere questo effetto abbiamo provato ad eseguire la stessa analisi sui
dati raccolti quando il tracciatore utilizzato per il MTCC si trovava nella struttura
B186 (sez.4.1.1). In questo caso infatti, oltre alla maggior quantità di dati raccolti,
anche la configurazione del trigger era diversa, sia dal punto di vista geometrico che
111
5.3. MISURE PRELIMINARI
3
Cluster size (strip)
2.8
2.6
Entries
9097
χ2 / ndf
32.48 / 23
p0 0.005141 ± 0.003826
p1
0.551 ± 0.023
p2
1.32 ± 0.02
2.4
2.2
2
1.8
186bdg TIB3 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
3
2.8
Cluster size (strip)
186bdg TIB2 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
1.6
2.4
2.2
2
1.8
1.6
1.4
-0.6
2.6
1.4
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
-0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
(a)
3
Cluster size (strip)
2.8
2.6
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(b)
Entries
5128
χ2 / ndf
8.869 / 13
p0 0.002194 ± 0.014211
p1
0.3899 ± 0.0948
p2
1.699 ± 0.022
2.4
2.2
2
1.8
186bdg TOB5 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
3
2.8
Cluster size (strip)
186bdg TOB1 @ 0 T (All.1, soglie = 435)
1.6
2.6
Entries
4735
χ2 / ndf
11.2 / 13
p0
-0.01986 ± 0.00541
p1
0.6021 ± 0.0905
p2
1.664 ± 0.021
2.4
2.2
2
1.8
1.6
1.4
-0.6
Entries
7009
χ2 / ndf
54.15 / 23
p0
0.02865 ± 0.00658
p1
0.499 ± 0.037
p2
1.375 ± 0.017
1.4
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(c)
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(d)
Figura 5.6: Misura della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster
per i dati a 0 Tesla di B186, ottenuta utilizzando l’allineamento 1. Sono riportati
gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d)
TOB layer 5.
elettronico. I risultati dell’analisi effettuata sui dati raccolti a B186, ottenuti solo
con l’allineamento 1, sono riportati in fig.5.6.
Confrontando gli istogrammi riportati in fig.5.4 e in fig.5.6, ottenuti con le stesse
costanti di allineamento, si nota in generale una larghezza minima del cluster più
piccola in quelli relativi ai dati presi al B186 e in particolare si ha la presenza di un
minimo ben definito negli istogrammi relativi ai due layer del TOB, corrispondente
a una dimensione del cluster più piccola di quella ottenuta nei dati MTCC.
Come ulteriore verifica ho confrontato la distribuzione della carica rilasciata
all’interno dei rivelatori e quella della larghezza del cluster, ottenute per i dati presi
al B186 e per i dati presi al P5. In fig.5.7 è riportato il confronto fra le distribuzioni
di carica, normalizzate per il numero totale di hit, ottenute nei due casi. Il picco
corrispondente a un conteggio ADC di 256, come già accennato in sez.4.2, è dovuto
alla saturazione degli ADC nelle acquisizioni effettuate in modalità Zero Suppression, ed è più evidente nelle distribuzioni relative ai dati di P5 perché in questo caso
112
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
Carica TIB2: 186 (nero) P5 (rosso)
Entries 9097
Mean 110.5
0.02
0.018
RMS
0.016
Carica TIB3: 186 (nero) P5 (rosso)
Entries 7009
Mean 110.7
0.016
56.67
RMS
56.49
0.014
0.014
Entries 6585
0.012
0.012
Mean
122
RMS 59.13
0.01
0.01
Entries 6164
Mean 127.1
RMS 58.02
0.008
0.008
0.006
0.006
0.004
0.004
0.002
0.002
0
0
100
200
300
400
500
0
0
600
100
200
300
carica (conteggi ADC)
(a)
Entries 5128
Mean 177.2
0.014
0.012
RMS
Carica TOB5: 186 (nero) P5 (rosso)
70.44
0.01
Entries 3659
0.008
Mean 201.7
RMS 71.52
0.004
0.002
400
500
600
Mean 183.9
RMS 69.52
0.008
0.002
0
0
100
200
300
carica (conteggi ADC)
(c)
67.96
Entries 2184
0.01
0.006
300
RMS
0.012
0.004
200
600
Entries 4735
Mean 170.4
0.014
0.006
100
500
(b)
Carica TOB1: 186 (nero) P5 (rosso)
0
0
400
carica (conteggi ADC)
400
500
600
carica (conteggi ADC)
(d)
Figura 5.7: Distribuzioni di carica ottenute per il TIB2 (a), TIB3 (b), TOB1 (c) e
TOB5 (d). In nero sono riportati i dati di B186, in rosso quelli di P5. La carica
è espressa in conteggi ADC e le distribuzioni sono state normalizzate rispetto al
numero di dati cui si riferiscono.
le acquisizioni sono state effettuate tutte con il FED in modalità Zero Suppression,
mentre a B186 alcune prese dati sono state eseguite in modalità Virgin Raw, nel
qual caso è utilizzato il full range dell’ADC.
Si osserva che il valor medio della distribuzione è maggiore per i layer del TOB
rispetto a quelli del TIB, dato che la carica rilasciata nei moduli del TOB è maggiore
rispetto a quella rilasciata nei moduli del TIB, avendo i primi uno spessore maggiore.
Come mostrato in fig.5.7, si ha in generale, nel passaggio da B186 a P5, uno spostamento delle distribuzioni di carica verso valori più elevati delle conversioni del FED.
Questo spostamento si riflette in un aumento della larghezza media del cluster degli
hit rivelati a P5 rispetto a quelli di B186, come mostrato in fig.5.8. In particolare
si nota una diminuzione del numero di cluster a una strip, più accentuata nei layer
del TOB, a favore dei cluster a due o tre strip.
Si ha quindi un evidente aumento della larghezza dei cluster nei dati raccolti a
P5 rispetto a quelli di B186, che può essere dovuto a vari fattori. Alcune ipotesi
113
5.3. MISURE PRELIMINARI
Cl.Size TIB2: 186 (nero) P5 (rosso)
Entries 9097
Mean 1.796
Cl.Size TIB3: 186 (nero) P5 (rosso)
Entries 7009
Mean 1.694
0.5
RMS 0.7149
0.5
RMS 0.7269
0.4
Entries 6585
0.4
Mean 1.924
RMS 0.7671
0.3
Entries 6164
Mean 1.776
RMS 0.7447
0.3
0.2
0.2
0.1
0.1
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
0
1
2
3
4
5
carica (conteggi ADC)
(a)
7
8
9
10
(b)
Cl.Size TOB1: 186 (nero) P5 (rosso)
Entries 5128
Mean 1.804
0.45
0.4
RMS 0.8699
Cl.Size TOB5: 186 (nero) P5 (rosso)
Entries 4735
Mean 1.789
0.4
RMS 0.8651
0.35
0.35
0.3
0.25
Entries 3659
0.3
Mean
2.05
RMS 0.9278
0.25
0.2
0.2
0.15
0.15
0.1
0.1
0.05
0.05
0
0
6
carica (conteggi ADC)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
0
Entries 2184
Mean 1.978
RMS 0.9169
1
2
3
4
5
carica (conteggi ADC)
(c)
6
7
8
9
10
carica (conteggi ADC)
(d)
Figura 5.8: Distribuzioni della larghezza del cluster ottenute per il TIB2 (a), TIB3
(b), TOB1 (c) e TOB5 (d). In nero sono riportati i dati di B186, in rosso quelli
di P5. Le distribuzioni sono state normalizzate rispetto al numero di dati cui si
riferiscono.
possono essere un cambiamento dei parametri degli APV-25 che abbia aumentato
l’effetto dell’accoppiamento capacitivo fra strip vicine, o un aumento del guadagno
degli AOH. Inoltre influisce sicuramente la diversa configurazione del trigger fra
B186 e P5. Infatti, mentre nel primo caso, per la configurazione geometrica del
trigger costituito dagli scintillatori, venivano acquisiti raggi cosmici con tracce che
incidevano sui moduli con piccoli angoli rispetto alla normale al rivelatore, a P5 erano in generale acquisite tracce con un’inclinazione maggiore nel piano yz parallelo
alle strip, a causa della disposizione delle camere per i muoni che fornivano il segnale
di trigger. Questo causa un aumento della carica rilasciata dalla particella, dato che
aumenta la distanza percorsa da essa all’interno del rivelatore. La maggior carica
rilasciata potrebbe aver contribuito a far andare sopra soglia le strip vicine a quella
di incidenza della traccia, generando un maggior numero di cluster di due o tre strip.
Attribuendo quindi l’assenza di un minimo chiaramente identificabile negli isto-
114
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
Campo magnetico Eventi filtrati Num. tracce - All. 1 Num. tracce - All. 2
(soglie=657)
(soglie=657)
(soglie=657)
B=0.0 T
5882
4288
4694
B=3.8 T
3304
3026
3030
Tabella 5.3: Numero di eventi filtrati e di tracce ricostruite con i due allineamenti,
utilizzando per la ricostruzione dei cluster le soglie 657.
grammi del TOB ottenuti con i dati di P5 all’aumento della dimensione del cluster
dovuto ai possibili fattori elencati sopra, abbiamo provato ad eseguire la misura innalzando le soglie del ThreeThresholdClusterizer rispetto a quelle standard 435, cosı̀
da ridurre la larghezza dei cluster.
Abbiamo eseguito varie prove con diverse configurazioni delle soglie, mantenendo
sempre la condizione tChannel < tSeed < tCluster e optando alla fine per quella che ci
sembrava producesse i risultati migliori senza una eccessiva diminuzione del numero
Entries
6539
χ2 / ndf
34.28 / 32
p0 0.004428 ± 0.003918
p1
0.4937 ± 0.0158
p2
1.19 ± 0.01
2.4
Cluster size (strip)
2.2
2
1.8
1.6
1.4
MTCC TIB3 @ 0 T (All.1, soglie = 657)
2.2
1.2
1
-0.6
2
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
1
-0.6
0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
(a)
2.4
Cluster size (strip)
2.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(b)
Entries
3638
χ2 / ndf
8.362 / 10
p0
0.02927 ± 0.00018
p1
0.2661 ± 0.0783
p2
1.394 ± 0.021
2
1.8
1.6
1.4
1.2
MTCC TOB5 @ 0 T (All.1, soglie = 657)
2.4
2.2
Cluster size (strip)
MTCC TOB1 @ 0 T (All.1, soglie = 657)
1
-0.6
Entries
6087
χ2 / ndf
22.43 / 32
p0
0.01408 ± 0.00657
p1
0.4422 ± 0.0246
p2
1.25 ± 0.01
2.4
Cluster size (strip)
MTCC TIB2 @ 0 T (All.1, soglie = 657)
Entries
2176
χ2 / ndf
16.45 / 10
p0
-0.004721 ± 0.011879
p1
0.4156 ± 0.0795
p2
1.35 ± 0.03
2
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
(c)
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
1
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(d)
Figura 5.9: Tangente dell’angolo di minimizzazione ottenuta con le soglie 657 per i
dati a 0 Tesla del MTCC (allineamento 1). Sono riportati gli istogrammi relativi a:
(a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5.
115
5.3. MISURE PRELIMINARI
Entries
6808
χ2 / ndf
47.52 / 32
p0
0.01412 ± 0.00337
p1
0.5286 ± 0.0150
p2
1.124 ± 0.014
2.4
Cluster size (strip)
2.2
2
1.8
1.6
1.4
MTCC TIB3 @ 0 T (All.2, soglie = 657)
2.2
1.2
1
-0.6
2
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
1
-0.6
0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
(a)
2.4
Cluster size (strip)
2.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(b)
Entries
χ2 / ndf
p0
p1
p2
4191
15.02 / 10
-0.0126 ± 0.0111
0.344 ± 0.074
1.381 ± 0.019
2
1.8
1.6
1.4
1.2
MTCC TOB5 @ 0 T (All.2, soglie = 657)
2.4
2.2
Cluster size (strip)
MTCC TOB1 @ 0 T (All.2, soglie = 657)
1
-0.6
Entries
6504
χ2 / ndf
58.27 / 32
p0
0.03251 ± 0.00623
p1
0.446 ± 0.023
p2
1.237 ± 0.013
2.4
Cluster size (strip)
MTCC TIB2 @ 0 T (All.2, soglie = 657)
Entries
1915
χ2 / ndf
7.045 / 9
p0
-0.01014 ± 0.00817
p1
0.4696 ± 0.0973
p2
1.35 ± 0.03
2
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
1
-0.6
-0.4
-0.2
(c)
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(d)
Figura 5.10: Tangente dell’angolo di minimizzazione ottenuta con le soglie 657 per
i dati a 0 Tesla del MTCC (allineamento 2). Sono riportati gli istogrammi relativi
a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5.
di cluster ricostruiti, e quindi di dati in ingresso negli istogrammi prodotti. La
configurazione delle soglie scelta per la misura dell’angolo di Lorentz è: tSeed = 6,
tChannel = 5 e tCluster = 7. Tale configurazione verrà indicata nel seguito come 657.
In Tab.5.3 sono riportati il numero di eventi filtrati con le soglie 657 e il numero di
tracce ricostruite in questa configurazione con i due set di costanti di allineamento2 .
I risultati della misura dell’angolo di minimizzazione della larghezza del cluster
a 0 Tesla, ottenuti per i dati di P5 con i due allineamenti e con le nuove soglie 657,
sono riportati in fig.5.9 e in fig.5.10. Come mostrato in figura, otteniamo, con questa
configurazione delle soglie, dei minimi chiaramente identificabili per tutti e quattro
2
Con l’innalzamento delle soglie ci si aspetta una leggera diminuzione del numero di eventi
filtrati e conseguentemente una diminuzione del numero di tracce ricostruite. Il fatto che per il
campione di dati a 3.8 T ricostruiti con il primo allineamento si siano ottenute 2 tracce in più
rispetto agli eventi ricostruiti con soglie 435 è spiegabile con la riduzione di cluster fasulli che
probabilmente abbassavano l’efficienza di ricostruzione delle tracce.
116
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
i layer, con entrambi i set di costanti di allineamento, insieme a una diminuzione
della larghezza minima dei cluster. In particolare non si ha più la regione piatta
centrale negli istogrammi relativi ai layer del TOB e il minimo della larghezza media
dei cluster è adesso < 1.4. Da notare inoltre che l’innalzamento delle soglie non ha
portato a una eccessiva diminuzione del numero di conteggi negli istogrammi.
Il fatto che i minimi ottenuti con B = 0 T non siano consistenti con 0 è da
attribuire ad un non perfetto allineamento dei rivelatori, che si traduce in una stima
erronea dell’angolo di incidenza della traccia sui moduli. Nel seguito si terrà conto
di questo errore sottraendo per ciascun layer il valore di p0 ottenuto a 0 Tesla a
quello che otterremo per i dati a 3.8 Tesla.
Per verificare la stabilità del fit eseguito sui dati contenuti negli istogrammi, ho
provato a variare gli estremi dell’intervallo di fit di ±0.02 (una quantità maggiore
dell’errore più grosso ottenuto sui parametri del fit), ottenendo sempre dei minimi
che si distanziavano da quelli del fit di riferimento al più di una quantità dell’ordine
di ∼ 0.001, cioè inferiore all’errore statistico di questi ultimi, il che conferma la
bontà del fit.
5.4
Misura dell’angolo di Lorentz con soglie 657
Per la misura dell’angolo di Lorentz abbiamo quindi utilizzato i dati a 3.8 T aggregati per layer e ricostruiti con le soglie 657 del ThreeThresholdClusterizer. Gli
istogrammi con i risultati del fit sono riportati in fig.5.11 per l’allineamento 1 e
in fig.5.12 per l’allineamento 2.
Come mostrato in figura si ottengono, per en-
trambi i set di costanti di allineamento, dei minimi della dimensione del cluster in
corrispondenza di valori negativi della tangente dell’angolo di incidenza, come ci
aspettavamo in base alle convenzioni adottate sul segno di tan θt al momento della
correzione sull’orientazione dei moduli (sez.5.2.2).
Anche in questo caso ho controllato la stabilità del fit variando gli estremi
dell’intervallo di fit di ±0.02, ottenendo per tutti e quattro i layer dei minimi che
si distanziavano da quelli del fit di riferimento al più di una quantità dell’ordine di
∼ 0.002, inferiore quindi all’errore statistico. Risulta quindi confermata la stabilità
del fit anche per i dati a 3.8 T.
Come già accennato nella sezione precedente, una corretta stima dell’angolo di
Lorentz deve tener conto dell’effettivo valore della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster a 0 Tesla, che come abbiamo visto non coincide esattamente con 0. La stima corretta della tangente dell’angolo di Lorentz per ciascun
117
5.4. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ CON SOGLIE 657
2.4
Cluster size (strip)
2.2
Entries
3735
χ2 / ndf
59.95 / 31
p0
-0.09314 ± 0.00536
p1
0.5059 ± 0.0236
p2
1.199 ± 0.020
2
1.8
1.6
1.4
MTCC TIB3 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657)
2.4
2.2
Cluster size (strip)
MTCC TIB2 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657)
1.2
1
-0.6
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
1
-0.6
0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
2.4
2.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(b)
Entries
χ2 / ndf
p0
p1
p2
3044
35.41 / 24
-0.1411 ± 0.0130
0.5041 ± 0.0453
1.388 ± 0.029
2
1.8
1.6
1.4
1.2
MTCC TOB5 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657)
2.4
2.2
Cluster size (strip)
MTCC TOB1 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657)
Cluster size (strip)
4221
20.95 / 31
-0.0601 ± 0.0139
0.3808 ± 0.0396
1.328 ± 0.023
2
(a)
1
-0.6
Entries
χ2 / ndf
p0
p1
p2
Entries
1083
χ2 / ndf
16.2 / 16
p0
-0.09514 ± 0.00907
p1
0.5798 ± 0.0715
p2
1.311 ± 0.041
2
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
1
-0.6
-0.4
(c)
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(d)
Figura 5.11: Misura della tangente dell’angolo di Lorentz per i dati a 3.8 Tesla del
MTCC con soglie 657 (allineamento 1). Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a)
TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5.
layer sarà quindi data da:
tan ΘL = (p0 )3.8T − (p0 )0T
(5.9)
dove (p0 )3.8T e (p0 )0T sono i valori di tan θt che minimizzano la dimensione del cluster,
ottenuti rispettivamente dai fit dei dati a 3.8 T e a 0 T. L’errore statistico su tan ΘL
sarà invece dato da:
(∆ tan ΘL )stat
q
= (∆p0 )23.8T + (∆p0 )20T
(5.10)
dove (∆p0 )3.8T e (∆p0 )0T sono gli errori statistici forniti dai fit rispettivamente per
(p0 )3.8T e (p0 )0T .
Un’ulteriore fonte di errore è portata dall’incertezza sulle costanti di allineamento. Ho ricavato una stima di questo errore dal confronto dei risultati ottenuti con i due allineamenti, esprimendo cioè il contributo all’incertezza portato
dall’allineamento come:
(∆ tan ΘL )all = (tan ΘL )all1 − (tan ΘL )all2 (5.11)
118
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
2.4
Cluster size (strip)
2.2
Entries
3566
χ2 / ndf
45.55 / 31
p0
-0.09973 ± 0.00618
p1
0.4649 ± 0.0250
p2
1.219 ± 0.022
2
1.8
1.6
1.4
MTCC TIB3 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657)
2.4
2.2
Cluster size (strip)
MTCC TIB2 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657)
1.2
1
-0.6
2
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
1
-0.6
0.6
tan(θt)
-0.4
-0.2
(a)
2.4
Cluster size (strip)
2.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(b)
Entries
2870
χ2 / ndf
32.72 / 24
p0
-0.08855 ± 0.00870
p1
0.6225 ± 0.0484
p2
1.365 ± 0.028
2
1.8
1.6
1.4
1.2
MTCC TOB5 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657)
2.4
2.2
Cluster size (strip)
MTCC TOB1 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657)
1
-0.6
Entries
4150
χ2 / ndf
29.2 / 31
p0
-0.07167 ± 0.01158
p1
0.3833 ± 0.0373
p2
1.321 ± 0.022
Entries
1070
χ2 / ndf
9.896 / 16
p0
-0.08068 ± 0.00933
p1
0.5378 ± 0.0606
p2
1.346 ± 0.035
2
1.8
1.6
1.4
1.2
-0.4
-0.2
0
(c)
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
1
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
tan(θt)
(d)
Figura 5.12: Misura della tangente dell’angolo di Lorentz per i dati a 3.8 Tesla del
MTCC con soglie 657 (allineamento 2). Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a)
TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5.
dove (tan ΘL )all1 e (tan ΘL )all2 sono i valori della tangente dell’angolo di Lorentz
calcolati attraverso la (5.9) per le misure effettuate rispettivamente con l’allineamento 1 e con l’allineamento 2. In Tab.5.4 e in Tab.5.5 sono riportati i risultati
della misura dell’angolo di Lorentz per ciascun layer, ricavati dalle (5.9), (5.10) e
(5.11), utilizzando rispettivamente l’allineamento 1 e l’allineamento 2.
Come si può vedere dai dati riportati nelle tabelle, il contributo principale all’incertezza è portato dall’errore sull’allineamento. In particolare questo è evidente per
il layer 1 del TOB, dove questo contributo all’errore è pari a un’incertezza di circa il
55% sulla misura di tan ΘL ottenuta con il primo allineamento, e maggiore del 120%
su quella ottenuta con il secondo. Il forte contributo all’errore portato dalla geometria può essere dovuto al fatto che, come accennato in sez.4.4, a causa della poca
statistica a disposizione non è stato possibile utilizzare l’algoritmo di allineamento
a livello del singolo modulo, ma solo a livello delle stringhe e delle rod.
5.5. CONFRONTO CON IL MODELLO E RISULTATO FINALE
119
Allineamento 1 - soglie 657
Layer
tan ΘL
(∆ tan ΘL )stat
(∆ tan ΘL )all
TIB 2
-0.098
TIB 3
-0.074
±0.007
±0.016
TOB 1
-0.170
TOB 5
-0.090
±0.013
±0.094
±0.015
±0.015
ΘL ± (∆ΘL )stat ± (∆ΘL )all
−5.6◦ ± 0.4◦ ± 0.9◦
−4.2◦ ± 0.9◦ ± 1.7◦
±0.030
−9.6◦ ± 0.7◦ ± 5.3◦
−5.1◦ ± 0.9◦ ± 1.1◦
±0.020
Tabella 5.4: Misure dell’angolo di Lorentz ottenute per i vari layer con l’allineamento
1 e soglie 657.
Allineamento 2 - soglie 657
Layer
tan ΘL
(∆ tan ΘL )stat
(∆ tan ΘL )all
TIB 2
-0.114
TIB 3
-0.104
±0.007
±0.016
TOB 1
-0.076
TOB 5
-0.070
±0.014
±0.094
±0.013
±0.012
ΘL ± (∆ΘL )stat ± (∆ΘL )all
−6.5◦ ± 0.4◦ ± 0.9◦
−5.9◦ ± 0.7◦ ± 1.7◦
±0.030
−4.3◦ ± 0.8◦ ± 5.3◦
−4.0◦ ± 0.7◦ ± 1.1◦
±0.020
Tabella 5.5: Misure dell’angolo di Lorentz ottenute per i vari layer con l’allineamento
2 e soglie 657.
5.5
Confronto con il modello e risultato finale
Possiamo confrontare a questo punto i risultati della misura ottenuti nel paragrafo
precedente con il valore di tan ΘL previsto dal modello descritto nel Cap.3. Riporto
qui per comodità i valori previsti dal modello per la tangente dell’angolo di Lorentz
delle lacune all’interno dei rivelatori a microstrisce, nelle condizioni di lavoro del
MTCC:
(tan ΘL )atteso = −0.103 ± 0.009
⇒
(ΘL )atteso = −5.9◦ ± 0.5◦
TOB : (tan ΘL )atteso = −0.113 ± 0.011
⇒
(ΘL )atteso = −6.4◦ ± 0.6◦
(5.12)
TIB :
Come descritto in sez.3.4.3, l’incertezza a priori su (tan ΘL )atteso è dovuta sostanzialmente all’incertezza sulla temperatura dei rivelatori e al fatto che, misurando
l’angolo di Lorentz su un insieme di moduli e non su un singolo modulo, è necessario
considerare la non omogeneità della temperatura fra i vari layer e all’interno del
singolo layer.
Per confrontare i risultati delle misure dell’angolo di Lorentz ottenute nel paragrafo precedente con il valore previsto dal modello, ho riportato in grafico per
120
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
entrambi gli allineamenti i valori di tan ΘL misurati per tutti e quattro i layer, tenendo conto inizialmente del solo errore statistico. Poiché tuttavia il modello prevede
due valori distinti di tan ΘL per TIB e TOB, ho ricondotto i risultati delle misure
ottenute per il TOB ad un valore confrontabile con quelli ottenuti per il TIB. Per
far questo ho moltiplicato i valori misurati di tan ΘL nel TOB, con i relativi errori
statistici, per un fattore di conversione TIB/TOB dato da:
IB
(tan ΘL )Tatteso
≃ 0.9
OB
(tan ΘL )Tatteso
(5.13)
IB
L’incertezza sulla (5.13) è trascurabile in quanto le variazioni di (tan ΘL )Tatteso
e
OB
(tan ΘL )Tatteso
dovute alla temperatura vanno nello stesso verso, lasciando circa inal-
terato il rapporto.
In fig.5.13 sono riportati i fit a una costante delle misure di tan ΘL ottenute con
i due allineamenti per i vari layer, con la correzione sui dati del TOB data dalla
(5.13) e considerando i soli errori statistici. Come evidenziato dall’elevato valore del
χ2 , gli errori sono chiaramente sottostimati, in quanto prevale l’errore sistematico
dovuto all’allineamento che verrà considerato nel seguito.
Come mostrato in figura, i risultati dei fit eseguiti sulle misure ottenute con i
due allineamenti, considerando i soli errori statistici, sono:
All. 1 : (tan ΘL )all1
mis = −0.104 ± 0.005
(tan ΘL )all2
mis
All. 2 :
(5.14)
= −0.096 ± 0.005
In entrambi i casi otteniamo quindi stime di (tan ΘL )mis consistenti con il valore
della tangente dell’angolo di Lorentz previsto dal modello.
tan(ΘL) Layer @ 3.8 T (All.1, soglie = 657)
χ2 / ndf
-0.04
p0
TIB2
27.18 / 3
-0.1039 ± 0.005063
tan(ΘL) Layer @ 3.8 T (All.2, soglie = 657)
χ2 / ndf
-0.04
p0
TIB3
-0.08
-0.08
-0.1
TOB1
-0.12
TOB5
tan(ΘL)
-0.06
tan(ΘL)
-0.06
-0.1
-0.14
-0.16
-0.16
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
TOB1
-0.12
-0.14
-0.18
19.51 / 3
-0.0962 ± 0.005087
-0.18
TIB2
1
TIB3
1.5
2
2.5
layer
(a)
TOB5
3
3.5
4
layer
(b)
Figura 5.13: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz ottenuta attraverso un fit a
una costante dei valori di tan ΘL misurati per i vari layer con l’allineamento 1 (a)
e con l’allineamento 2 (b). Sono stati considerati i soli errori statistici e i dati del
TOB sono stati corretti per il fattore di conversione TIB/TOB.
5.5. CONFRONTO CON IL MODELLO E RISULTATO FINALE
121
tan(ΘL) Layer @ 3.8 T (soglie = 657)
-0.04
TOB1
TOB5
-0.06
tan(ΘL)
-0.08
-0.1
-0.12
-0.14
TIB2
TIB3
-0.16
-0.18
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
layer
Figura 5.14: Confronto fra il valore di tan ΘL previsto dal modello per il TIB (linea
rossa con incertezza a priori rappresentata dalla zona gialla) e i valori misurati
con l’allineamento 1 (cerchi neri) e con l’allineamento 2 (quadrati verdi). Sono
riportati i soli errori statistici e le misure del TOB sono moltiplicate per il fattore
di conversione TIB/TOB.
In fig.5.14 è mostrato un confronto fra le misure della tangente dell’angolo di
Lorentz ottenute come descritto sopra, quindi in particolare con il solo errore statistico, e il valore previsto dal modello con la sua incertezza a priori, rappresentata in
figura dalla zona gialla. Come evidenzia il grafico, e come già accennato in precedenza, il contributo maggiore all’errore è dato da un errore sistematico sulla precisione
dell’allineamento. Questo è particolarmente evidente per il layer 1 del TOB, dove
si ha la maggior differenza fra i valori di tan ΘL misurati con i due allineamenti e
dove si ha, per il valore ottenuto con l’allineamento 1, la maggior distanza dal valore
atteso, corrispondente a circa 4σstat .
Come stima finale dell’angolo di Lorentz, che tenga dunque conto anche dell’errore sull’allineamento, ho considerato il risultato di un fit analogo a quello riportato
in fig.5.13 (quindi in particolare moltiplicando anche in questo caso i dati del TOB
per il fattore di conversione TIB/TOB), operato però sulle misure della tangente
dell’angolo di Lorentz ricavate con il primo allineamento e considerando come errore
122
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
Figura 5.15: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz ricavata attraverso il fit a
una costante delle misure ottenute per i vari layer con l’allineamento 1, considerando
sia l’errore statistico che quello sull’allineamento attraverso la relazione (5.15). La
linea nera rappresenta il risultato del fit, con la sua incertezza (zona verde). La linea
rossa rappresenta il valore atteso con la sua incertezza a priori (zona tratteggiata in
rosso).
sulla misura di ciascun layer la quantità (∆ tan ΘL )tot , data da:
q
(∆ tan ΘL )tot = (∆ tan ΘL )2stat + (∆ tan ΘL )2all
(5.15)
Ho utilizzato le misure ottenute con il primo allineamento in quanto, come già
accennato, l’allineamento 1 è quello di riferimento per tutte gli altri studi effettuati
sui dati del MTCC. In fig.5.15 è riportato il risultato del fit.
Come si può vedere i risultati delle misure ottenute per i vari layer, considerando
anche l’errore sull’allineamento, sono tutti consistenti fra loro, e in particolare sono
tutti compatibili il valore della tangente dell’angolo di Lorentz previsto dal modello.
La stima di (tan ΘL )mis fornita dal fit è:
(tan ΘL )mis = −0.090 ± 0.013
⇒
(ΘL )mis = −5.1◦ ± 0.7◦
(5.16)
da confrontare quindi con il valore previsto dal modello per il TIB, e cioè:
(tan ΘL )atteso = −0.103 ± 0.009
⇒
(ΘL )atteso = −5.9◦ ± 0.5◦
(5.17)
5.5. CONFRONTO CON IL MODELLO E RISULTATO FINALE
123
La stima finale dell’angolo di Lorentz, ricavata per le lacune nei rivelatori a
microstrisce del tracciatore attraverso le misure eseguite al MTCC per un valore del
campo magnetico pari a B = 3.8 T, è quindi compatibile con il valore previsto dalla
teoria formalizzata nel modello.
Conclusioni
In questo lavoro di tesi ho misurato l’angolo di Lorentz dei portatori di carica nei
rivelatori del Tracker Inner Barrel (TIB) e del Tracker Outer Barrel (TOB) del
tracciatore di CMS. TIB e TOB sono entrambi strutturati in layer cilindrici coassiali
alla direzione del fascio e ospitano rivelatori a microstrisce di silicio. Per eseguire la
misura ho utilizzato dati di raggi cosmici, acquisiti in un campo magnetico di 3.8 T
al “Magnet Test - Cosmic Challenge” (MTCC), che si è svolto nei mesi di Luglio e
Agosto 2006 presso il CERN di Ginevra e a cui ho partecipato personalmente con
turni di presa dati. Si è trattato del primo test del magnete di CMS, ed è stata
eseguita per la prima volta in quella sede un’acquisizione dati utilizzando in modo
combinato una sottoparte del tracciatore (composta da 133 rivelatori), due settori
del calorimetro elettromagnetico, tutto il calorimetro adronico e alcune componenti
delle camere per i muoni con le quali è stato realizzato il sistema di trigger.
La misura dell’angolo di Lorentz dei portatori di carica è di fondamentale importanza per una corretta ricostruzione del punto di passaggio delle particelle sul
rivelatore e di conseguenza per un’efficiente ricostruzione delle tracce. Inoltre, la
dipendenza dell’angolo di Lorentz dal campo elettrico interno al rivelatore, dalla
temperatura, dalla dose assorbita dal sensore e dal campo magnetico, rende necessario misurare il suo valore per ciascun rivelatore del tracciatore durante tutto il
periodo di attività di CMS.
Ho sviluppato un modello sulla deviazione nel moto di deriva dei portatori di
carica causata dalla forza di Lorentz, che è servito per migliorare la comprensione del fenomeno e che ha permesso di ricavare una stima del valore atteso per
l’angolo di Lorentz nei rivelatori da noi utilizzati per la misura. I valori dell’angolo di Lorentz previsti dal modello per i rivelatori del TIB e del TOB, in corrispondenza dei parametri di funzionamento adottati al MTCC, sono rispettivamente
◦
◦
TOB
◦
◦
(ΘL )TIB
atteso = 5.9 ± 0.5 e (ΘL )atteso = 6.4 ± 0.6 , dove l’incertezza a priori sui valori
previsti è dovuta all’errore con cui conoscevamo la temperatura dei rivelatori.
Per misurare l’angolo di Lorentz ho sfruttato il fatto che, in presenza di un
campo magnetico, si ottiene la minima larghezza dei cluster per tracce incidenti sui
rivelatori con un angolo rispetto alla normale pari all’angolo di Lorentz. Ho quindi
126
CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ
eseguito la misura utilizzando un algoritmo, da me appositamente creato, attraverso
il quale ho determinato il minimo della dimensione del cluster al variare dell’angolo
di incidenza della traccia per ciascuno dei quattro layer presenti al MTCC (due del
TIB e due del TOB). Ho utilizzato in maniera aggregata i dati provenienti da tutti i
rivelatori montati su ciascun layer, dal momento che, a causa della bassa statistica a
disposizione, non è stato possibile misurare l’angolo di Lorentz su ciascun rivelatore
separatamente.
Per stimare l’incertezza da cui è affetta la mia misura ho considerato l’errore
statistico ottenuto dal fit e l’errore sistematico dovuto all’allineamento, che ho stimato come la differenza fra i risultati della misura ottenuti utilizzando due diversi
set di costanti di allineamento ricavati al MTCC. I risultati della misura dell’angolo
di Lorentz ΘL ottenuti per ciascun layer sono:
TIB2:
TIB3:
TOB1:
TOB5:
ΘL = 5.6◦ ± (0.4◦ )stat ± (0.9◦ )sist
ΘL = 4.2◦ ± (0.9◦ )stat ± (1.7◦ )sist
ΘL = 9.6◦ ± (0.7◦ )stat ± (5.3◦ )sist
ΘL = 5.1◦ ± (0.9◦ )stat ± (1.1◦ )sist
Ho ricavato una stima complessiva dell’angolo di Lorentz attraverso un fit delle
misure ottenute per i quattro layer, nel quale ho scalato le misure ottenute nel TOB
riconducendole a un valore confrontabile con quelle del TIB, attraverso un fattore
di conversione ricavato dal modello che teneva conto della diversa geometria dei
rivelatori. Ho considerato per il fit la somma in quadratura dell’errore statistico e
◦
◦
di quello sistematico, ottenendo come risultato della misura (ΘL )TIB
mis = 5.1 ± 0.7 ,
in accordo con quanto previsto dal modello per il TIB.
Il maggior contributo all’errore è stato portato dall’incertezza sull’allineamento,
su cui ha pesato la poca statistica a disposizione. L’algoritmo sviluppato per la
misura sarà utilizzato anche nella presa dati ad LHC, permettendo anche la misura a livello del singolo rivelatore, che in quel caso sarà possibile grazie all’alta
fluenza. Sarà inoltre possibile in quel caso ridurre di almeno un fattore 10 l’errore
sull’allineamento.
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