L’ALLUCE VALGO
L’alluce valgo è una delle patologie più diffuse a carico del piede ( nei Paesi
industrializzati è infatti tra le cause principali di intervento chirurgico ortopedico ).
E’ caratterizzato da una deformità del primo dito ( l’alluce, appunto ) per cui esso devia
verso le altre dita del piede giungendo, nei casi più gravi, a sovrapporsi al secondo e al
terzo dito, con conseguenze estetiche, ma
soprattutto funzionali invalidanti. A causa della
lussazione dei sesamoidi ( due piccole ossa che
fungono da binari per l'articolazione dell’alluce )
la deviazione laterale del primo dito provoca
spesso una borsite da sfregamento contro la
scarpa, cioè un'infiammazione caratteristica e
molto dolorosa detta familiarmente "cipolla".
A lungo andare, lo squilibrio prodotto nell'assetto
del piede dallo spostamento dell'alluce può
portare a lesioni ossee e articolari, a callosità e
ulcerazioni nella parte anteriore del piede tali da provocare un dolore cosi intenso da
impedire l'uso di calzature o, nei casi più gravi, l'appoggio del piede.
La deformità dell’alluce in valgismo si associa spesso al piede piatto, in quanto la
ridotta curvatura della volta plantare porta a sovraccaricare in modo esagerato la parte
anteriore del piede, e può causare anche deformità al secondo e terzo dito, definiti "a
martello", arrivando persino ad avere gravi ripercussioni sulle ginocchia,
sulle
anche
e
sulla
colonna
vertebrale.
Chi maggiormente soffre di alluce valgo è la donna ( colpita dieci volte più dell’uomo ),
in genere di età matura o senile, soprattutto se vi sono casi di familiarità: quasi un
adulto su tre, stando a dati recentemente pubblicati su JAMA, la rivista
dell'Associazione dei medici americani.
Cause
La causa dell’alluce valgo può essere primaria o congenita – con la tendenza a
svilupparsi nell’età dell’accrescimento – o secondaria o acquisita, come nelle forme
degenerative, infiammatorie, infettive, traumatiche, ecc. In quest’ultimo caso, una
responsabilità notevole può essere attribuita a modelli di calzatura inadeguati alla
fisiologia del piede, ad esempio scarpe con tacco alto o strette in punta. Quelle con il
tacco eccessivamente alto ( fino a 12/14 centimetri ) costringono il piede a una
posizione innaturale, accorciando il tendine di Achille. In questo modo, si sposta
eccessivamente il peso del corpo in avanti stravolgendo la funzione stabilizzante del
piede nella ripartizione del peso. Tutto il peso, infatti, va a gravare su un’area più
piccola rispetto alla pianta completa, il che fa assumere ai piedi una posizione ruotata
verso l’interno, che, tra l’altro, può favorire la distorsione delle caviglie.
Analizzando nello specifico la biomeccanica del passo ritroviamo diversi momenti
fondamentali: nella prima fase del contatto completo tra superficie plantare e suolo si
ha
la
massima
pronazione
del
piede
(momento
dell’impatto).
Nella fase intermedia si passa dalla pronazione alla supinazione (sollevamento) del
piede e il muscolo tibiale posteriore inizia a contrarsi. Nella fase di spinta, invece, la
fascia plantare è messa in tensione dalla flessione della testa del primo metatarso e
dell’alluce (effetto argano) e il piede si trasforma in una leva rigida per facilitare la
spinta.
In caso di anomalie del passo, dovute anche a calzature inadeguate, che non
consentono una corretta pronazione del piede, si può segnalare una iper-sollecitazione
o stiramento a carico dei muscoli peroniero lungo e
peroniero breve, responsabili, come indicato, di
distorsioni alla caviglia e tendinite dei peronei.
Non bisogna dimenticare, peraltro, che a ogni passo il
cuscinetto sotto il tallone assorbe l’urto con il terreno: il
piede quindi funge anche da stabilizzatore rigido che
equilibra la distribuzione dell’urto. Se viene meno tale
funzione ne consegue un indolenzimento alle
ginocchia, che si può ripercuotere fino alla schiena e al
collo. Il paziente che soffre di alluce valgo, oltre che nella zona della “cipolla”, prova
dolore sotto carico nella pianta del piede. Ma sono le conseguenze estetiche e,
soprattutto, funzionali, cioè eventuali problemi legati alla deambulazione, talora anche
invalidanti, che lo spingono a rivolgersi a uno specialista.
L’importanza di calzature adeguate
Il primo consiglio da fornire a chi soffre di questa patologia è ricorrere a calzature
adeguate. La scarpa migliore per la salute del piede è quella che riprende la sua forma
naturale, che fornisce sostegno all’arco plantare e presenta una tomaia morbida e priva
di cuciture e una suola flessibile al di sotto della punta del piede, come fanno la
maggior parte delle calzature sportive. E se proprio vogliamo il tacco, che non superi i
quattro/cinque centimetri. Una buona scarpa, infatti, ha una suola relativamente piatta
e che si adatta comodamente al tallone e la parte anteriore deve essere
sufficientemente spaziosa per accogliere la punta del piede. Quale misura preventiva,
lo specialista può suggerire anche plantari o calzature ortopediche che hanno lo scopo
di evitare un sovraccarico della parte anteriore del piede o consigliare interventi di
fisioterapia.
Il ricorso all’intervento chirurgico
Per risolvere il problema in modo definitivo, bisogna ricorrere all’intervento chirurgico.
Più di 100 diversi interventi sono descritti in letteratura: nessuno è adeguato a
correggere tutte le deformità. Prima
dell’intervento è necessaria una precisa
valutazione clinica e radiografica del piede in
scarico e sottocarico, stabilendo l’ampiezza in
gradi della deviazione ossea e tenendo conto,
naturalmente, dell’età, del sesso, dell’attività
motoria
del
paziente,
ecc.
Gli obiettivi dell’intervento chirurgico sono la
correzione dei parametri clinici e radiologici
che comprendono il corretto riallineamento
dell’alluce, con il controllo della metatarsalgia
centrale, il miglioramento dell’angolo di
valgismo e l’eliminazione del tessuto osseo in eccesso a livello della sporgenza della
borsa (cipolla). Sono descritti in letteratura interventi sulle parti molli distali (Mc Bride
e varianti, riequilibrio funzionale sec. Pisani); osteotomie prossimali del I metatarso (in
addizione, in sottrazione, a semiluna); osteotomie distali del I metatarso (ReverdinGreen, Austin e varianti, Mitchell, osteotomie lineari); osteotomia “Scarf”; osteotomia
della falange prossimale (Akin); resezione artroplastica (Keller); artrodesi.
Bosch nel 1990 descrive una osteotomia lineare distale con fissazione temporanea con
un solo filo di Kirschner. Bartolozzi e Magnan nel 1997 descrivono la P.D.O.
(Percutaneous Distal Osteotomy). Giannini nel 2003 descrive la “S.E.R.I.” (Simple,
Effective, Rapid, Inexpensive).
Il tipo di intervento più frequentemente utilizzato presso la nostra struttura è quello
denominato osteotomia percutanea distale. Questa tecnica permette la correzione della
deviazione del metatarso attraverso una sezione dell’osso, eseguita praticando una
piccola incisione cutanea, non più lunga di un centimetro, a livello distale del
metatarso.
In queste tecniche il sito osteotomico viene fissato temporaneamente, e non
stabilizzato, dal filo di Kirschner, e la relativa mobilità dei frammenti consente la
consolidazione dell’osteotomia nella posizione più
favorevole sotto la guida del carico. La sede
dell’osteotomia consolida in svariati mesi come una
frattura da fatica, con callo inizialmente esuberante e con
successivo rimodellamento del metatarso. Si tratta di un
intervento miniinvasivo, con ricovero del paziente in
regime di day hospital. L’anestesia viene praticata a livello
locoregionale e il paziente può riprendere a camminare il
giorno stesso, indossando un’apposita scarpetta che dovrà
portare per un mese circa. La correzione viene
mantenuta da un filo che rimane in sede per quattro
settimane. La sua rimozione avviene in ambulatorio ed è
indolore.
In questo periodo sono previsti controlli settimanali di
medicazione e rinnovo del bendaggio, che verrà definitivamente rimosso al termine
della quinta settimana. Un controllo radiografico dopo tre mesi dall’intervento, dovrà
accertare l’avvenuta consolidazione dell’osso e il grado di correzione.
I vantaggi dell’osteotomia percutanea distale sono rappresentati dal fatto di permettere
il trattamento della maggior parte delle deformità lievi e moderate, con minimo
impegno per il paziente e per la struttura sanitaria, consentendo il carico completo
immediato e di correggere la deformità su tutti i piani dello spazio: la traslazione
laterale corregge l’angolo IM e rende congruente una MTF incongruente; la
plantarizzazione consente di aumentare il carico sul I metatarso (e riduce il rischio di
metatarsalgie da trasferimento); la rotazione della testa intorno all’asse del MT corregge
la pronazione del dito; l’obliquità del taglio osteotomico in senso medio-laterale
aumenta o riducela lunghezza del metatarso, in senso dorso-plantare rende più stabile
l’osteotomia; l’angolazione della testa del metatarso corregge il P.A.S.A. I limiti sono
invece dati dal fatto che essa non corregge le deformità più gravi: angolo
intermetatarsale maggiore di 20°, angolo di valgismo dell’alluce maggiore di 40°, età >
75 anni, grave artrosi metatarso-falangea. In questi casi devono essere prese in
considerazione altre tecniche.