SIEDP JOURNAL CLUB

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SIEDP JOURNAL CLUB
OSSO
Novembre 2011
SIEDP Journal Club_Osso
The functional muscle-bone unit in obese children.
Altered bone structure leads to normal strenght strain index
Ehehalt S et al. Exp Clin Endocrinol Diabetes 2011;119:321-326
« paziente sovrappeso …e l’osso adatta la sua struttura »
A cura di Roberto Franceschi, U.O.C. Pediatria, Ospedale Santa Chiara di Trento
Principali caratteristiche dello studio
Contesto
Il sovrappeso è associato a ridotta attività fisica e alterazioni nelle
abitudini dietetiche che possono portare a un deterioramento della
mineralizzazione e della stabilità ossea.
Studi recenti riportano come la forza dell’osso sia funzione della sua
densità ma anche della sua geometria; c’è una stretta relazione tra
muscolo e forza dell’osso, come definito dal termine “unità funzionale
muscolo-osso”. Un’aumentata massa muscolare è uno stimolo per un
processo adattativo che attraverso la proliferazione dell’osteoblasto porta
ad
aumento
della
forza
ossea.
Obiettivi
I soggetti con obesità hanno un rischio di 2 volte superiore per frattura
all’avambraccio rispetto ai non obesi
- Valutare la struttura e la forza dell’osso a livello dell’avambraccio
nel bambino obeso
- Studiare la relazione tra muscolo e osso nel bambino obeso
Osservazionale prospettico dal febbraio 2007 ad aprile 2008 presso
l’Ambulatorio di obesità della Pediatria dell’Università di Tubinga
84 bambini (40 femmine, 44 maschi, di età 4.8-19.9 anni) con obesità
(BMI > 90°centile). 44% dei soggetti erano puberi
Criteri di esclusione: pazienti con patologie endocrinologiche o sindromi
quali craniofaringioma, s. Prader Willi etc.
Disegno
Pazienti
Intervento
Parametri antropometrici, Dual Energy x-ray absorptiometry (DXA) total
body, Peripheral quantitative computed tomography (pQCT) a livello
dell’avambraccio
Principali
risultati
1) Valori misurati
DXA: % massa grassa: aumentata (+ 2.32 SD)
massa magra, contenuto minerale osseo (BMC), areal bone mineral
density (aBMD) sono normali
pQCT: Cortical density, cortical thickness e cortical area sono ridotti,
mentre total bone area e marrow area sono aumentati. Lo“strenght strain
index” che rispecchia la stabilità dell’osso è normale. Tali parametri sono
indipendenti dallo stadio puberale e dal sesso
2) Correlazione tra parametri ossei e muscolo
La massa muscolare (misurata con DXA) correla strettamente con il
contenuto minerale osseo (BMC) e aBMD, così come l’area muscolare
(misurata con pQCT) correla strettamente con l’area corticale e strenght
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strain index.
Non c’è correlazione tra massa o area grassa e parametri ossei
Conclusioni
degli autori
I soggetti obesi presentano alterata struttura ossea a livello del radio:
maggiore circonferenza con spessore corticale più sottile (e quindi area
corticale lievemente ridotta) e aumento dell’area del midollo osseo.
Nonostante ciò lo strenght strain index (indice di stabilità) corretto per
altezza ed età è nella norma.
Come si spiega quindi il maggior rischio di frattura? Probabilmente la
normale forza ossea non è adeguata per il sovrappeso o in caso di caduta.
Inoltre lo stesso impaccio motorio può portare a un maggior rischio di
caduta. Da qui la necessità di programmi di fitness per adattare la massa
muscolare al sovrappeso
Punti di forza
È il primo studio che valuta la struttura e la massa ossea nel bambino
obeso utilizzando sia DXA che pQCT
Punti di
debolezza
pQCT è stata eseguita solo a livello dell’avambraccio e questo non
rappresenta necessariamente tutto il corpo
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Ipercalcemia idiopatica infantile e mutazioni di CYP24A1
(ovvero quando la vitamina D può fare danni…)
a cura di Gianluca Tornese
Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Trieste
IRCCS “Burlo Garofolo” - Trieste
Schlingmann KP, Kaufmann M, Weber S, et al.
Mutations in CYP24A1 and Idiopathic Infantile Hypercalcemia.
N Engl J Med 2011;365:410-21
Nei primi anni ’50 vennero segnalati numerosi casi (circa 200 in 2 anni nel Regno
Unito) di ipercalcemia infantile inspiegabile (con PTH soppresso) che si presentava
con ritardo di crescita, vomito, disidratazione, febbre e nefrocalcinosi. Alcuni di
questi bambini avevano un fenotipo complesso che è stato poi identificato come la
sindrome di Williams, ma la maggior parte di essi aveva una variante più lieve che fu
definita “ipercalcemia idiopatica infantile” o tipo Lightwood (OMIM 143880),
apparentemente benigna, sebbene durante la fase acuta l’ipercalcemia potesse essere
fatale.
La semplice osservazione che l’epidemia di ipercalcemia idiopatica infantile si fosse
verificata in coincidenza con l’aumento della dose di vitamina D (fino a 4000 UI al
giorno) negli alimenti per lattanti e nel latte fortificato in Gran Bretagna fece pensare
al ruolo della vitamina D in questa malattia. Ovviamente la vitamina D non poteva
essere l’unica causa, dato che la maggior parte dei bambini riceveva la stessa dose
profilattica senza alcun problema, per ci si appellò ad una non meglio definita
ipersensibilità intrinseca alla vitamina D.
La spiegazione a questo piccolo enigma è stata fornita da un gruppo di ricercatori
tedeschi in uno degli ultimi numeri del New England Journal of Medicine.
Sono stati studiati 6 pazienti con ipercalcemia idiopatica infantile (che erano stati
trattati con 500 UI di vitamina D al giorno) provenienti da 4 famiglie con sospetta
ereditarietà autosomica recessiva (4 sintomatici + 2 fratelli asintomatici) più 4
pazienti con sospetta intossicazione di vitamina D che avevano sviluppato
ipercalcemia severa dopo un bolo profilattico con vitamina D (600.000 UI di vitamina
D2 per os). È stata effettuata un’analisi di geni candidati, sequenziando le regioni
codificanti e i siti di splicing degli enzimi chiave coinvolti nel metabolismo della
vitamina D, ossia CYP27B1 (che codifica per la 1-idrossilasi), FGF23 e KL (che
codifica per Klotho) e CYP24A1 (che codifica per la 24-idrossilasi) (vedi figura).
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Mentre l’analisi dei primi 3 geni non ha rivelato alcuna mutazione patogenetica,
l’analisi di CYP24A1 ha portato all’identificazione di mutazioni non-senso e
missenso allo stato omozigote o eterozigote composto nei pazienti studiati. Le analisi
di cosegregazione erano compatibili con l’ereditarietà autosomica recessiva in tutte le
famiglie. La caratterizzazione funzionale ha poi rivelato che le mutazioni nei pazienti
con ipercalcemia idiopatica infantile, interessando residui di importanza strutturale,
portano ad una completa perdita dell’azione enzimatica nella maggior parte delle
mutazioni.
Il difetto risiederebbe, quindi, nella mancata disattivazione della forma attiva 1,25diidrossivitamina D3 che solitamenente avviene per opera della 24-idrossilasi
codificata appunto da CYP24A1. Questo enzima è responsabile sia dell’inattivazione
della 1,25-diidrossivitamina D3 in acido calcitroico che della inattivazione del
precursore, la 25-idrossivitamina D3, in 24,25-diidrossivitamina D3. Pertanto
mutazioni inattivanti in CYP24A1, trasmesse come carattere autosomico recessivo,
forniscono una base molecolare per l’ipercalcemia idiopatica infantile attraverso una
mancata “disattivazione” della vitamina D.
Nella pratica clinica questa scoperta probabilmente non cambierà nulla, ma è
interessante sottolineare che due di questi pazienti erano totalmente asintomatici ed
erano stati studiati solo dopo la diagnosi di ipercalcemia idiopatica infantile nei
fratelli. In uno erano state evidenziate ipercalcemia, ipercalciuria, PTH soppresso e
nefrocalcinosi, mentre nell’altro – non trattato con vitamina D profilattica per rifiuto
dei genitori – la calcemia era ai limiti superiori, il PTH era soppresso e all’ecografia
renale si evidenziava una iperecogenicità della midollare. Pertanto un sostanziale
numero di persone affette geneticamente (si stima che la prevalenza sia di 1:47.000)
possono restare asintomatiche fintanto che la somministrazione di vitamina D
profilattica è ristretta, e questa penetranza incompleta del fenotipo è consistente con la
riduzione dell’incidenza dell’ipercalcemia idiopatica infantile dopo la limitazione
della supplementazione con vitamina D.
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