3. RADICI PIU` SOLIDE E CONFINI PIU` AMPI. Lo

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3. RADICI PIU’ SOLIDE E CONFINI PIU’ AMPI.
“Il terrorismo è la nuova forma della guerra, è il modo di fare la guerra degli ultimi sessant’anni:
contro le popolazioni, prima ancora che tra eserciti o combattenti. La guerra che si può fare con
migliaia di tonnellate di bombe o con l’embargo, con lo strangolamento economico o con i
kamikaze sugli aerei o sugli autobus. La guerra che genera guerra, un terrorismo contro l’altro,
tanto a pagare saranno poi civili inermi” (Gino Strada).
Lo Stato Islamico rappresenta una semplice forma di terrorismo o semplicemente è un
fenomeno totalmente nuovo?
Potrebbe essere questa la fonte principale del suo
successo? È possibile. Mentre l’Occidente e i suoi alleati musulmani rifiutavano di
riconoscere l’avvento di un nuovo passaggio politico internazionale, lo Stato Islamico
non solo si è adattato ad esso ma ha anche sfruttato appieno questo nuovo ambiente
politico.
«Non fosse per le milioni di vittime del conflitto siriano e iracheno, potremmo dire che la guerra
di parole e propaganda che lo Stato Islamico e sostanzialmente il resto del mondo stanno
combattendo, tanto sui social media quanto su quelli tradizionali, ricorda una finale di
Wimbledon, con lo stesso carico di suspense, colpi di scena, interruzioni e imprevedibilità del
risultato».1
Dall’inizio dell’estate 2014 i vari leader mondiali stanno provando a contrastare questa
nuova potenza in divenire; «li abbiamo ascoltati presentare ai rispettivi elettorati liste di
cose da fare per affrontare questa nuova minaccia, utilizzando talvolta nuove
terminologie»2. È il caso del Presidente statunitense Obama, il quale ha parlato della
necessità di “umiliare” questo nuovo esercito (non quantificabile), delineando alcune
strategie militari, con la promessa di una vittoria certa. Il mondo ha anche assistito, in
seguito a questa dichiarazione, alla risposta da parte dello Stato Islamico, la quale non si
è fatta attendere: la decapitazione di James Foley3 e di altri ostaggi.
1
L. Napoleoni, op. cit., p. 104.
Ibidem.
3
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/20/siria-isis-pubblica-video-decapitazione-di-un-giornalista-usarapito-nel-2012/1094477.
2
32
3.1
Perché lo Stato Islamico minaccia l’Occidente? Per due distinte ragioni:
1. Controllo del territorio;
2. Ideologia.
Queste rappresentano una doppia minaccia di natura strategica nei confronti
dell’Occidente. Osama bin Laden mirava a terrorizzare il mondo attraverso le guerriglie
tradizionali, espressione di tutto il 1900, ovvero gruppi di persone le quali si
organizzavano per combattere il nemico occidentale compiendo talvolta “gesta
spettacolari”, violente, insanguinando le città, gli aeroporti; egli parlava dell’ipotesi del
Califfato, talvolta tentando di dare ad esso gambe. Tuttavia, non avendo avuto a
disposizione una dimensione territoriale, fu costretto a stipulare accordi con i talebani in
Afghanistan.
Qua troviamo il primo grande elemento che caratterizza la politica di al Baghdadi il
quale, a differenza di bin Laden, dispone di un’area che comprende circa
duecentocinquanta mila chilometri quadrati. È grazie a questo dato che il nuovo Califfo
ha potuto proclamare la creazione di uno nuovo stato totalitario jihadista. Azioni simili
all’attacco terroristico avvenuto l’11 settembre 2001, non fanno parte del modus
operandi di al Baghdadi, il cui scopo principale non è dato dal compiere “gesta
spettacolari”, bensì l’edificazione di uno Stato.
È questa la minaccia di tipo strategico, in quanto per il mondo libero, per le democrazie,
vedere sorgere ai propri confini (stiamo parlando del Mediterraneo orientale) uno Stato
totalitario portatore di un’ideologia globale e aggressiva nei confronti dei nostri valori,
rappresenta una minaccia strategica molto più seria, penetrante e pericolosa rispetto ad
una qualsiasi organizzazione terroristica. Unito a questo elemento, ovvero la presenza di
uno Stato totalitario a due ore di aereo da Atene, esiste un aspetto che deve farci
riflettere: lo Stato Islamico può godere di un certo livello di consenso popolare. Questo
perché “lo Stato di al Baghdadi” è una realtà dotata di strade, scuole, ospedali,
un’amministrazione pubblica più efficiente rispetto, ad esempio, a quella di al-Asad in
Siria; distribuisce pane, acqua, crea tribunali che vanno incontro alle rimostranze dei
33
cittadini. Siamo quindi di fronte a uno stato totalitario il quale beneficia di un consenso
proveniente da parti importanti di popolazioni oppresse.
Se un primo elemento funzionale a generare consenso è dato dall’uso spietato della
violenza con la quale lo Stato Islamico opprime ogni forma di dissenso, il secondo
riguarda l’opportunità di cui godono queste popolazioni di avere dei servizi
amministrativi migliori rispetto a quelli precedentemente offertigli. Il terzo è l’elemento
chiave, quello più dirompente: la coesione, l’orgoglio sunnita (che rappresenta la
componente maggioritaria del mondo dell’Islam) nei confronti di una sensazione di
aggressione da parte degli sciiti.
Se l’elemento della statualità costituisce una minaccia per l’Occidente, altro elemento
importante sotto questa lente è l’ideologia che lo Stato Islamico incarna e propone.
Questa pare diffondersi come un virus fra le persone: al Baghdadi non invia i suoi
affiliati nelle nostre città, ma è capace di trasmettere immagini contenenti violenza, la
più efferata e sanguinaria. Le persone, guardando questi video, vengono contagiati: una
violenza che diviene identitaria e che a sua volta produce altrettanta violenza. È una
minaccia che entra nelle nostre città, nei nostri quartieri, facendo presa su immigrati di
seconda e terza generazione o convertiti, persone che in genere hanno una cultura
medio-alta, le quali si riconoscono in queste azioni violente, ne vogliono essere
partecipi e sono desiderose di applicarla sul prossimo.
Di fronte a questa minaccia, si diffonde in noi la sensazione di dover fare qualcosa.
Questo si traduce nel dover intervenire, con la consapevolezza che quando lo si fa
militarmente si alimenta il loro odio nei nostri confronti. Parliamo di interventi che
riguarderebbero in gran parte la popolazione civile, i quali verrebbero vissuti come
invasioni, rischiando così di creare reazioni che andrebbero a rafforzare ulteriormente
la coesione di cui gode lo Stato Islamico.
3.2
Non siamo ancora pronti a rispondere oggi a tale minaccia in quanto, nei fatti, essa non
si è ancora manifestata nella sua totalità. Siamo solo all’inizio di un processo di
formazione di un attore politico che dovremo combattere, di un nemico il quale al
34
momento non ha ancora definito se stesso; ecco perché ogni reazione che l’Occidente
potrebbe manifestare sarebbe, probabilmente, da considerarsi errata.
Stiamo assistendo a un momento di accelerazione della storia. I fatti che stanno
avvenendo lo fanno ad una velocità superiore rispetto a quella con cui noi li possiamo
comprendere. Le conoscenze che abbiamo non sono sufficienti a captare l’entità del
fenomeno di fronte al quale ci troviamo.
Alcuni esempi:
1. la cartina geografica del Medio Oriente che abbiamo tutti in mente pare essersi
volatilizzata: Iraq e Siria non esistono più, ci sono altre entità, nuovi leader. Il confine
fra il Libano e la Siria esiste solo per metà. Quello fra la Libia e l’Egitto è più
immaginario che reale, dal momento che viene controllato dalle truppe egiziane. In
Giordania ci sono intere città che sfuggono al controllo dell’esercito giordano.
La velocità con la quale il Medio Oriente sta cambiando pelle e con la quale gli stati
arabi stanno implodendo, è superiore alle informazioni che abbiamo rispetto
all’implosione stessa. Il mondo continua a parlare di Iraq quando questo oggi si ferma a
nord di Baghdad ed esistono tutta una serie di tribù sunnite fedeli al Califfo, altre no,
essendoci reparti dell’esercito iraniano schierati con milizie sciite che danno la caccia ai
sunniti. Infine, c’è una zona controllata dai curdi praticamente indipendente.
In quella che chiamavamo Siria, il 40% del territorio è nelle mani dei jihadisti, l’altro
40% in quelle dei soldati da al-Asad, il restante 20% viene gestito da altri gruppi con
diversi leader di cui non conosciamo i nomi.
Questo per comprendere che lo Stato Islamico è solo all’inizio della propria fase di
espansione.
2. Il secondo elemento di accelerazione della storia riguarda «le conversioni in atto»4. Non
siamo di fronte a singole persone che al termine di un lungo processo personale
scelgono un’altra fede, bensì soggetti che, osservando le immagini o i video che lo Stato
Islamico propone loro, immediatamente aderiscono alla versione jihadista dell’Islam.
Come sappiamo la comunicazione rappresenta uno dei perni del complesso progetto
dell’IS; esso infatti più che utilizzare i social in modo innovativo, ha soprattutto saputo
4
P. Cockburn, L' ascesa dello stato islamico. ISIS, il ritorno del jihadismo,Stampa Alternativa, Viterbo,
2015, p. 41.
35
inserirli in una complessa regia come fosse un tassello della più ampia strategia mediale
che ha saputo sviluppare con grande competenza. La vera novità dell’IS è che per la
prima volta nel campo del terrorismo, ci troviamo di fronte a una regia competente
nell’utilizzo di diversi strumenti mediali, non solo delle tecniche, ma anche e soprattutto
nel quadro di una più complessa regia politica e militare di consolidamento dell’Islam
radicale e jihadista all’interno di un territorio geografico.5
Risulta abbastanza evidente che abbiamo a che fare con nuovo tipo di nemico, ovvero
un virus ideologico che si basa su un’identità la quale verte sulla violenza, e che
rappresenta l’elemento identitario di questo nuovo attore politico che mira a contagiare
migliaia di persone in tutto il mondo.
Per quanto ci riguarda, una volta terminato il cosiddetto “effetto sorpresa”, di fronte a
queste novità dobbiamo evitare giudizi affrettati e superficiali, escludendo affermazioni
come “sono tutti pazzi”; è semplicemente la storia che accelera e crea nuove realtà
proprio come quella rappresentata dallo Stato Islamico il quale non si è ancora
manifestato in tutta la sua efferatezza; è questo aspetto, forse, a costituire la minaccia
più temibile.
3.3
Per spiegare certe dinamiche è necessario evitare le banalità.
Con lo Stato Islamico, l’implosione del mondo arabo si sposa assieme ad una nuova
ideologia la quale propone come fattore identitario la violenza. «In Europa nessuno
poteva immaginare cosa sarebbe successo una volta che il bacino della Saar venne
acquisito dai nazisti»6. Quando le SS, durante la notte dei lunghi coltelli, eliminarono le
SA nessuno comprese che quello fu il momento fondante della violenza nazista come
proprio elemento identitario.
Lo Stato Islamico in Libia che cosa fa? Sfida le cellule islamiche, cattura i propri
affiliati e li decapita: la molla sembra essere la stessa rispetto a quella della notte dei
lunghi coltelli.
5
6
M. Maggioni, Lo Stato Islamico. Una sorpresa solo per chi lo racconta, in ISPI online, 2015, pp. 85-90.
E. Collotti, Hitler e il nazismo, Vol. 20, Giunti Editore, Firenze, 1994, p. 68.
36
«L’Islam afferma di essere una religione universale, in grado di coprire ogni aspetto
della vita quotidiana, e dunque ha come obiettivo ultimo uno Stato Islamico»7. Questa
idea politica è parte integrante del concetto di umma, secondo il quale «tutti i
musulmani, ovunque risiedano, sono legati da una fede che trascende confini geografici,
politici o nazionali»8. Tale legame è dato dalla fedeltà ad Allah e al profeta Maometto.
la religione islamica divide il mondo in due sfere: «la “Casa dell’Islam”, dove il
territorio è controllato da musulmani e la sharia viene applicata, e la “Casa della
guerra”, che include le zone sotto controllo altrui»9. Per i jihadisti queste due entità sono
destinate a rimanere in costante conflitto fino alla loro unificazione, sotto la legge di
Allah, in uno Stato Islamico denominato “Califfato” che domina su tutti, musulmani e
non.
«Lo Stato Islamico persegue obiettivi non meno ambiziosi rispetto a quelli che mossero
i fondatori degli stati nazionali europei. In questo è da considerarsi contemporaneo e
moderno»10. Come quello di Israele, il suo concetto di stato nazionale si basa su gruppi
etnico - religiosi, sunniti salafiti, anziché sulla sola etnicità. Tenta anche di rispondere a
quelle che rappresentano le esigenze dello stato moderno: territorialità, sovranità (per il
momento riconosciuta solo internamente), legittimità e burocrazia. Anziché
accontentarsi di piccole enclave, tende a creare la versione del Ventunesimo secolo
dell’antico Califfato rifiutando l’idea di un permanente stato di anarchia. Al contrario,
nei territori conquistati uno dei primi compiti che lo Stato Islamico realizza è
l’istituzione di tribunali religiosi e l’imposizione della sharia.
La responsabilità di fare rispettare la legge e mantenere l’ordine, appartiene quindi al
Califfato, e ad occuparsi della loro applicazione è il proprio apparato amministrativo,
sia pure in modo rudimentale. Il Califfato è responsabile anche della protezione dagli
attacchi dei nemici nelle aree sotto la propria giurisdizione, assumendosi dunque anche
l’onere della sicurezza nazionale. L’altro elemento fondamentale è il consenso
legittimante della popolazione, quel che Rousseau definiva «contratto sociale»11.
7
8
M. Molinari, op. cit., p. 36.
A. Abdel Bari, The secret history of al Qaeda, Univeristy of California Press, Oakland, 2008, p. 134.
9
M. Molinari, op. cit., p. 37.
L. Napoleoni, op, cit., p. 110.
11
J.J. Rousseau, Il contratto sociale (1762),Laterza, Roma-Bari, 1997.
10
37
Non vi è dubbio che lo Stato Islamico abbia l’obiettivo di ottenere tale consenso
adottando ogni strategia possibile. Utilizza i proventi acquisiti grazie alle risorse
strategiche presenti nei territori per ricostruire le infrastrutture socio economiche
all’interno del Califfato; unito a questo, viene utilizzata una sofisticata propaganda allo
scopo di promuovere all’esterno l’immagine di un vero e proprio stato, legittimato dalla
popolazione musulmana, non solo localmente ma anche a livello internazionale. Il
Califfato ha cura di diffondere immagini della presenza di un esercito regolare, molto
diverso dalle bande armate di al Qaida, il quale opera in modo tradizionale, utilizzando
armi moderne.
«Anche se impegnato in una pulizia etnica, il Califfato si mostra ecumenico e offre
l’opportunità di convertirsi al salafismo sunnita per ottenere la cittadinanza»12; le
persone che si rifiutano e non possono fuggire vengono giustiziate. In merito agli
ostaggi, egli apre negoziati con le potenze straniere sul loro rilascio, mostrando un
pragmatismo che al Qaida non ha probabilmente mai dimostrato.
Il punto sul quale lo Stato Islamico differisce dal moderno Stato nazionale lo troviamo
nei mezzi che esso impiega per realizzare questa nuova costruzione geografica e
politica: i mezzi del terrorismo. Mentre le rivoluzioni sono considerate una fonte
accettabile di legittimità per lo Stato moderno, il terrorismo non lo è. Si tratta di una
nuova specie di terrore, probabilmente esso rappresenta l’evoluzione della sua versione
precedente; negli anni Novanta Paul Gilbert, in uno studio di filosofia applicata al
dilemma del terrorismo, ha compiuto un’analisi del rapporto tra i gruppi terroristici e la
modernità, ponendo l’accento su un elemento fondamentale: la pragmaticità. Ciò che
rende il terrorismo un fenomeno moderno, secondo l’autore, sono due caratteri: il primo
consiste nel porsi come una lotta in nome del “popolo” in termini di
autodeterminazione, il secondo lo considera sotto un aspetto utilitaristico, cioè come un
fenomeno che «sostituisce le tradizionali proibizioni morali con il principio moderno
che il fini giustifica i mezzi»13.
12
13
L. Napoleoni, op, cit., p. 111.
P. Gilbert, Il dilemma del terrorismo, Feltrinelli, Milano, 1987, p. 108.
38
3.4
«Tra gli strumenti utilizzati spiccano le decapitazioni, gesto simbolo del Califfato, che
terrorizzano i nemici, attirano volontari jihadisti e aiutano il Califfo a consolidare il
proprio potere»14. Queste hanno un impatto immediato: quello di far comprendere alle
persone che si trovano nelle aree controllate dal Califfato qual è il rischio che corrono se
non obbediscono al Califfo. Si tratta di una dimensione del terrore, dell’esercizio della
violenza di stampo tribale che ha che vedere con i rapporti di forza nel deserto. Non è il
genocidio di massa né l’occupazione dei territori, ma è il far comprendere che chiunque
è ospite in quei territori e senza obbedienza si può perdere, letteralmente, la testa.
Siamo di fronte ad una minaccia diretta nei confronti del singolo, non della massa. Un
metodo utilizzato dalle tribù che si combattono nel deserto dalla notte dei tempi, in un
contesto in cui la violenza ha una sua essenza solo se questa viene esercitata; la mera
minaccia non basta, in quanto il clan è più forte se dimostra di essere maggiormente
sanguinario rispetto ad un altro. È esattamente ciò che al Baghdadi sta facendo sul
proprio territorio per consolidare il consenso in maniera calcolata. L’elemento che si
unisce a tutto questo riguarda direttamente l’Occidente: consiste nella proiezione di una
minaccia ad personam che incute maggior timore rispetto ad esempi, al pericolo dettato
da un’autobomba. Un terrore parcellizzato che investe ogni singola persona.
A differenza delle “azioni–shock” precedenti, le decapitazioni si richiamano alle origini
dell’Islam; nella Sura 47 del Corano è scritto: «quando incontrerete gli infedeli, colpite i
loro colli»15 e nella Sura 8:12 si legge: «getterò il terrore nel cuore degli infedeli;
levategli le teste e le punte delle dita»16. Il richiamo alle origini dell’Islam ha un valore
particolare nel caso di al Baghdadi, in quanto «scegliendo per sé il titolo di Califfo si è
auto indicato come successore di Maometto, lasciando intendere di voler combattere
proprio come si faceva allora: a fil di spada»17.
14
M. Molinari, op. cit., p. 45.
G. Mandel, Il Corano, Utet, Novara 2006.
16
Ibidem.
17
M. Molinari, op. cit., p. 47.
15
39
3.5
Il consolidamento e l’espansione territoriale rappresentano due cardini fondamentali del
progetto politico dello Stato Islamico.
Siria e Iraq rappresentano solo l’inizio di una tabella di marcia ambiziosa, la quale parte
dagli attuali territori per poi includere al-Sham, quindi «tutte le terre dell’Islam da
Casablanca a Giacarta, fino alla riconquista della Spagna e alla vittoria dell’ultima
battaglia a Roma, capitale del Cristianesimo»18. La spina dorsale del Califfato sono le
tribù jihadiste, accomunate dalla volontà di applicare la versione più letterale, rigida e
violenta della sharia. Saranno loro a dominare, ognuna sulla propria zona,
sottomettendosi tutte al Califfo, dando vita in questo modo a un nuovo equilibrio
sovrano: il capotribù risponderà solo all’autorità suprema, discendente del profeta
Maometto. E’ il volto contemporaneo di un potere assoluto che somiglia alle più
sanguinarie dittature del Novecento.
L’identità dello Stato Islamico si riflette nel motto: «Baqiyya wa Tatamaddad»19, cioè
restare ed espandersi in continuazione20, con confini non definiti e stabili ma in costante
allargamento, così com’è stato per ogni Califfato precedente fino all’ultimo che la storia
abbia conosciuto, cioè quello ottomano.
«Restare significa resistere ai nemici, consolidare le proprie istituzioni21, reprimere il dissenso e
ottenere sottomissione assoluta dagli abitanti. Un concetto importante quanto quello di
“espandersi”, ovvero allargare i confini, conquistare più città e territori, imporre la sharia a
nuove popolazioni, testimoniare con l’aumento delle aree dominate la costante vitalità e
imbattibilità della legge islamica come modello di vita, personale e collettivo»22.
18
Ivi, p. 63.
http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-islamic-states-model.
20
Restare ed espandersi rappresenta uno degli slogan dell’Unione Europa degli ultimi anni.
21
Mettere a disposizione scuole, servizi, uffici degli affari tribali.
22
M. Molinari, op. cit., p. 64
19
40
Radici più solide e confini più ampi sembrano quindi rappresentare gli obiettivi del
Califfo, il quale si richiama largamente alla via praticata da Maometto per gettare i semi
dell’Islam, coniugando la fede in Allah e guerre contro chiunque si opponesse al suo
cammino.
Visto con gli occhi del Califfo, lo Stato Islamico rappresenta una nuova realtà
geopolitica che ha tre confini mobili: a ovest con ciò che resta della Siria di Bashar alAsad, cioè le aree costiere e attorno a Damasco ancora in mano alle forze del regime; a
sud con le forze irachene che difendono la periferia di Baghdad; a nord con il Kurdistan
iracheno, roccaforte laica e filo-occidentale, e le ultime sacche di resistenza dei curdi
siriani.
In tale cornice il Califfo mira a moltiplicare velocemente le “colonie” lontane dal cuore
della provincia dell’Eufrate, dal Maghreb all’Asia del Sud, con lo scopo di far assumere
allo Stato Islamico un profilo globale.
Il progetto politico di espansione del Califfato pone al cento traiettorie precise; la
strategia consiste nel cercare di espandesi in più direzioni: la prima è il Pakistan,
nazione che nasce con una forte connotazione sciita. Qua lo Stato Islamico intende
promuovere una guerra settaria fra la fazione sciita e quella sunnita, chiedendo a
quest’ultima di sollevarsi in un Paese il quale (non va dimenticato) detiene le armi
atomiche.
La seconda traiettoria espansionistica è data dalla Libia: il Califfo non guarda ad essa in
quanto “Libia”, piuttosto in ottica “Maghreb”. La vera posta in palio vuole essere
l’Algeria, in uno stato all’interno del quale è ancora viva la presenza di al Qaida e dove,
soprattutto, c’è una grande quantità di terroristi e strutture appartenenti a quello che una
volta era il GIA23 che oggi mira a far proprie. Vero obiettivo strategico dello Stato
Islamico è quindi quello di far implodere l’Algeria.
All’interno della Bilad al-Sham ci sono due fronti aperti: uno di questi è il Libano, dove
al momento lo Stato Islamico è presente sulle montagne, con l’obiettivo di scendere a
23
GIA: Gruppi Islamici Armati (Groupes Islamiques Armées), fondato nell’ottobre del 1992 da Monsour
Melani (ex braccio destro di Bouyali), fu tra i gruppi più sanguinari e violenti, poiché lottò con la
convinzione che l’unica soluzione vincente fosse il jihad. F.Tamburini & M. Vernassa (eds), I paesi del
grande Maghreb: storia istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa University Press, Pisa,
2010, p. 75.
41
valle per insediarsi in maniera stazionaria; l’alto è la Giordania, la cui possibile
instabilità, che potrebbe derivare dalle costanti pressioni provenienti dalla Siria e
dall’Iraq, costituisce una preoccupazione per tutto l’Occidente.
3.6
Che cosa fare di fronte a questa minaccia? L’Occidente come pensa di comportarsi?
Lo Stato Islamico attualmente rappresenta un movimento insurrezionale il quale
persegue, tramite la lotta armata, il rovesciamento del governo di più Paesi.
Dal
momento che al Baghdadi esercita effettivamente un controllo esclusivo su parti di
territorio e sulle relative popolazioni, non trattandosi conseguentemente di semplici
tensioni o disordini interni, lo Stato Islamico può essere annoverato fra gli enti
territoriali che potrebbero partecipare alla vita di relazione internazionale24.
Come sappiamo, «la rilevanza degli insorti è legata al principio di effettività»25. Il
movimento insurrezionale si caratterizza per essere un ente temporaneo, in quanto
suscettibile di una evoluzione o di una involuzione: esso è destinato a trasformarsi, in
caso di vittoria, in uno Stato o a sostituirsi al governo costituito, ovvero, in caso di
sconfitta, a retrocedere a semplice gruppo di individui.
È forse più agevole comprendere adesso dove risiede la difficoltà da parte
dell’Occidente nell’affrontare questa minaccia: non parlare con gli insorti talvolta può
portare più danni rispetto ai benefici, in quanto fin quando questi controllano un
territorio con tutto ciò che ad esso è annesso (persone, risorse, frontiere, ecc), essi
rappresentano un realtà da tener presente. Gli stati, anche nei momenti in cui si sono
fatti guerre feroci, hanno sempre avuto necessità di momenti di dialogo su questioni di
interesse comune, anche se le rispettive posizioni erano antitetiche fra di loro, attraverso
riunioni periodiche (G7, G8), o tramite organizzazioni internazionali mirate messe in
piedi dai singoli stati.
Ma come è possibile dialogare con chi propone di far assumere al jihad una dimensione
globale? Qual è il prezzo che le democrazie debbono pagare per prevalere, se mai
questo avverrà, sul totalitarismo jihadista?
24
Art. 1, par. 2, del II Protocollo del 1977, addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949.
25
N. Ronzitti, Introduzione al Diritto Internazionale, Torino, G. Giappichelli, 2009, p.21.
42
Oggi è probabilmente prematuro rispondere a questi importanti interrogativi, in quanto
abbiamo scarsi elementi per prevedere quale effettiva evoluzione potrà riguardare lo
Stato Islamico. Certo è che nel pieno della crisi esistenziale delle democrazie moderne
in un mondo sempre più multipolare, e in un contesto di grande destabilizzazione del
Medio Oriente, la vera sfida dello Stato Islamico verte sulla sua nuova formula di
costruzione dello stato. Che il Califfo riesca o meno ad affermarsi nel prossimo futuro,
il nuovo modello che ha sperimentato ispirerà probabilmente altri gruppi armati.
L’incapacità dimostrata fino a questo momento dall’Occidente e dal mondo
nell’affrontare questo specifico tema potrà avere conseguenze devastanti per l’ordine
mondiale presente e futuro.
43
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