Le «quattro guerre» d`Abissinia

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Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
Le «quattro guerre» d’Abissinia
Inviato da Redazione
domenica 08 febbraio 2009
Ultimo aggiornamento domenica 15 febbraio 2009
Antonio Carioti, Fascismo - Un saggio spiega perché l’impero italiano in Etiopia fu una facile preda per i britannici, Le
«quattro guerre» d’Abissinia. Dopo la caduta di Addis Abeba il conflitto proseguì sotto altre forme, in « Corriere della
Sera», 7 settembre 2008, p. 32. Â
Il 5 maggio 1936, dopo la presa di Addis Abeba, Benito Mussolini annunciò trionfante che la pace era «ristabilita» e
che gli abitanti dell’Abissinia dimostravano «di voler vivere e lavorare tranquillamente all’ombra del tricolore d’Italia
Nulla di più falso, a giudicare dall’ampia documentazione raccolta dal giovane storico Matteo Dominioni e trasfusa nel
saggio Lo sfascio dell’impero (Laterza). Il conflitto invece era destinato a proseguire, in forme a volte ancora più cruente,
fino a logorare le forze coloniali italiane e a renderle una facile preda per l’offensiva britannica del 1941. Dominioni
distingue diverse fasi, individuando quattro tipi di guerra che si succedettero negli anni. All’inizio l’impresa d’Etiopia Ã
più grande campagna coloniale della storia»: deciso a giocarsi il tutto per tutto, Mussolini realizza un’enorme
mobilitazione di uomini e mezzi, spremendo le energie del Paese. È una vera e propria «guerra nazionale», che non
termina con la proclamazione dell’impero, ma prosegue fino al febbraio 1937, quando viene eliminato ras Destà , ultimo
comandante delle truppe del negus Hailè Selassiè. Il peggio però arriva allora, perché il fallito attentato al viceré
Rodolfo Graziani, il 19 febbraio 1937, scatena un’inconsulta reazione italiana, che colpisce indiscriminatamente e mina
senza rimedio ogni possibilità di convivenza pacifica tra i colonizzatori e la maggioranza degli abissini. È quella che
Dominioni chiama «guerra di occupazione»: un ciclo di repressioni massicce, condotte con grandi risorse e brutalitÃ
tremenda, che continuano anche dopo la sostituzione di Graziani con il duca Amedeo d’Aosta e si protraggono fino alla
primavera 1939.
Nel frattempo gli etiopici, stanchi di subire perdite spaventose negli scontri in campo aperto, adottano il metodo assai più
proficuo dell’imboscata, che loro stessi chiamano, quasi vergognandosene, «guerra dei codardi». E il duca d’Aosta,
emancipatosi dalla tutela del generale Ugo Cavallero, punta su una tattica più flessibile, con un impiego ridotto e mirato
della forza, accompagnato dalla ricerca di accordi con i ribelli. Si tratta, nota Dominioni, di una riscoperta della classica
«guerra coloniale», che però dura solo un anno. Nel giugno 1940 Mussolini scende in campo al fianco di Hitler e di
fatto mette le colonie del Corno d’Africa alla mercé degli inglesi, che controllano il canale di Suez e le privano di ogni
rifornimento. Si passa così alla «guerra mondiale». Il 18 gennaio 1941 il viceré Amedeo d’Aosta scrive che l’impe
per ridursi a «un organismo paralitico, sordo e muto». E quattro mesi dopo si arrende all’Amba Alagi. Il fallimento
dell’impresa etiopica, per come lo descrive Dominioni, va però al di là degli eventi bellici. Il regime fascista gettò tutte le
sue capacità militari nella mischia, senza esitare di fronte a un «crimine gratuito» come l’uso dei gas tossici pur di
affrettare la vittoria, ma si dimostrò impreparato a governare l’impero. Mancavano gli interpreti, mancavano perfino carte
geografiche affidabili e tutte le decisioni furono «centralizzate a Roma», negando ogni autonomia non soltanto ai
notabili indigeni, angariati e umiliati di continuo anche se si erano sottomessi, ma agli stessi amministratori italiani. Non
parliamo poi del vano e stolido tentativo d’imporre una rigida separazione razziale, specie in fatto di sesso, tra coloni e
popolazione africana. Mentre il governo ipotizzava di creare una vasta rete di bordelli «anche ambulanti, con donne di
razza bianca», per soddisfare i bisogni carnali degli italiani, questi ultimi non si tenevano certo al largo dalle femmine
color dell’ebano, tanto che in molti subentrava, scrive uno di loro in una lettera privata, «il totale disinteressamento per le
bianche». In definitiva il fascismo non seppe misurarsi con la realtà delle terre annesse e l’incomprensione tra
conquistatori e genti africane rese il dominio coloniale assai precario. Significativo un episodio riferito da Dominioni.
Quando Graziani fece piovere sul Goggiam in rivolta migliaia di manifestini per invitare alla resa gli insorti, ottenne
l’effetto opposto di convincere gli indigeni, quasi tutti analfabeti, che gli italiani erano agli sgoccioli, in quanto «potevano
lanciare solamente volantini perché erano rimasti senza bombe». Â
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