Il ‘Terzo Settore’: le cooperative sociali. Alcune note critiche. INDICE: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Le cooperative sociali: profili economicoaziendali. - 3. Aspetti economico-giuridici. Teorie a confronto. - 4. La disciplina giuridica delle cooperative nel decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003. - 5. La cooperazione sociale in Sardegna. Prof. Marco Ruggieri 1. Considerazioni introduttive. In Italia, da oltre dieci anni, accanto alle imprese profit che operano nell’economia ufficiale, si sono sviluppate le imprese del settore non profit, sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto il profilo dimensionale. Le ragioni dello sviluppo sono state individuate soprattutto nell’esigenza della Pubblica Amministrazione di affidare alle aziende non profit alcuni particolari servizi di solidarietà, erogati dalla collettività a vantaggio dei ceti più deboli e disagiati. Sulla base di queste esigenze, nel tessuto economico nazionale sono nate e si sono sviluppate le cooperative sociali, contribuendo esse stesse a creare le condizioni della propria esistenza, suscitando una domanda di servizi fino allora latente, cui hanno risposto attraverso l’innovazione dell’offerta, individuando meccanismi di solvibilità che fanno leva sia sui fattori di produzione interni (la presenza del volontariato), sia sull’interesse di terzi finanziatori (in primo luogo le Pubbliche Amministrazioni). E’ altrettanto noto che la gestione dei servizi da parte di queste aziende, consente un significativo risparmio di risorse attraverso un modo di operare efficiente, in particolare per quanto riguarda la razionalizzazione dei processi lavorativi finalizzati alla fornitura di servizi di solidarietà sociale. L’esperienza della cooperazione sociale rappresenta una delle espressioni più originali e interessanti nell’ambito delle istituzioni non profit italiane. Il settore non profit assolve una funzione essenziale nella politica sociale, arrivando ad individuare un vero e proprio terzo settore economico, oltre allo Stato ed al mercato: quello nel quale articolazioni della società civile pongono autonomamente in essere sistemi di atti gestionali di autoconsumo, erogativi e produttivi di beni e servizi, articolazioni volte al perseguimento di obiettivi ultraeconomici. La crescita del terzo settore s’inquadra in una situazione sociale, italiana ed europea, che presenta evidenti paradossi: da una parte, si registra una disoccupazione crescente, distribuita territorialmente in modo disuguale ma che presenta comunque forti tratti di omogeneità, riguardando soprattutto i giovani al primo impiego, le donne, le persone a bassa scolarizzazione e/o in situazione di svantaggio sociale e/o escluse per lungo tempo dal circuito produttivo; dall’altra parte, si assiste al degrado di periferie e Associato di Ragioneria presso l’Università degli Studi di Sassari. 2 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. centri storici di città e metropoli, al dissesto idrogeologico delle campagne e delle montagne, a giovani che non sono sostenuti nel loro percorso scolastico e nell’integrazione lavorativa, a famiglie lasciate sole nella cura di portatori di handicap, parenti anziani non autosufficienti e all’aggravarsi di numerosi altri casi di malessere pubblico e privato1. I motivi della crescita del terzo settore possono essere attribuiti, in primo luogo, alla consapevolezza, da parte della società civile, che è possibile creare nuova occupazione come risposta a bisogni insoddisfatti, perseguendo nel contempo risultati sul fronte delle politiche di welfare. Questi traguardi possono essere raggiunti attraverso l’impiego di imprese a forte impronta comunitaria e orientate verso obiettivi di interesse collettivo. La scelta dell’impresa sociale, a forte impronta comunitaria, potrebbe essere la soluzione auspicabile poiché permette di: a) creare nuova occupazione di operatori sociali e di persone che scontano una situazione di svantaggio sul mercato del lavoro; b) rispondere a bisogni di welfare e fornire molti di quei servizi di cui oggi si sente la mancanza. Il ricorso all’impresa sociale si adatta in modo particolare al soddisfacimento di quei bisogni cui le imprese tradizionali, anche con sostegni o incentivi pubblici, trovano non conveniente rispondere e a cui le Pubbliche Amministrazioni sovente non sanno far fronte (ad esempio, per propri limiti organizzativi). Le organizzazioni che animano il ‘terzo settore’ possono essere distinte, in funzione della loro forma giuridica, nel volontariato, nelle associazioni e nelle cooperative sociali, classificazione prevista dalla legge 266 del 1991 in materia di volontariato e dalla legge 381 del 1991 sulla cooperazione sociale. La cooperazione sociale si è sviluppata in un arco di tempo relativamente breve e in modo molto intenso. Le prime esperienze risalgono all’inizio degli anni settanta, anche se è a partire dal decennio successivo che queste organizzazioni diventano un fenomeno visibile: risale al 1981, infatti, la prima proposta di legge per la regolamentazione del settore e alla seconda metà degli anni ottanta la nascita delle principali strutture nazionali di rappresentanza e coordinamento. La nascita della cooperazione sociale non coincide, dunque, con l’approvazione della legge 381, avvenuta nel 1991, anche se è indubbio che questo provvedimento abbia contribuito all’affermazione del fenomeno. La legge 381 fornisce una definizione di cooperazione sociale articolata e precisa, distinguendo due settori d’attività in cui queste imprese possono operare. Le cooperative sociali, secondo l’articolo 1 che le disciplina, hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini, offrendo servizi socio-sanitari e educativi (cooperative di tipo A) e la possibilità di inserimento lavorativo a persone svantaggiate (cooperative di tipo B). 1 Cfr. SECONDO RAPPORTO SULLA COOPERAZIONE SOCIALE IN ITALIA, Imprenditori sociali, Centro studi “Fondazione Giovanni Agnelli”, Torino, 1997, pag. 11 e segg.. 3 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. La legge definisce un nuovo soggetto di natura giuridica privata, con caratteristiche di impresa senza fini di lucro, cui si attribuisce l’obbiettivo di perseguire finalità di interesse collettivo. In questo senso, le cooperative sociali rappresentano un’innovazione, anche rispetto alle altre forme cooperativistiche tradizionali, in quanto la legge riconosce loro un obbiettivo di auto-aiuto, per cui i destinatari dei benefici dei prodotti dell’impresa non coincidono esclusivamente con i soci proprietari, ma con la più vasta comunità locale. Il radicamento nel territorio, l’integrazione con le iniziative associazionistiche di volontariato, il coinvolgimento dei fruitori dei servizi, oltre che dei produttori, rappresentano i principali elementi caratterizzanti di questa peculiare forma di impresa. La norma nazionale ha previsto, a livello regionale, diversi importanti strumenti di supporto (ad esempio, l’albo regionale), gli schemi di convenzione-tipo con gli Enti Pubblici e varie forme di incentivo. Da questo momento, seppur in modo non omogeneo, sul territorio nazionale si apre, per la cooperazione sociale, una fase di rapido sviluppo. Il monitoraggio ‘pionieristico’ del fenomeno cooperativo svolto nel corso degli anni ottanta si è affiancato, nel corso del tempo, a rilevazioni sempre più sistematiche, culminate con la pubblicazione, a metà 2001, dei dati del censimento ISTAT integrati, ai fini di una stima ragionevole della cooperazione sociale a fine 2001, con i tassi di crescita forniti da altre due fonti: quella ministeriale e quella dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. Secondo queste stima, alla fine del 2001 erano presenti in Italia circa 5.600 cooperative sociali, suddivise tra il 55% di tipo A, il 40% di tipo B e il 5% a oggetto misto (in gran parte consorzi). In queste imprese lavorano circa 157.000 persone, di cui quasi 15.000 si trovano in situazione di svantaggio e seguono un percorso di inserimento lavorativo nelle cooperative di tipo B. Oltre agli operatori retribuiti collaborano con le cooperative sociali circa 23.000 volontari. L’insieme di queste risorse genera un giro d’affari pari a 3,6 miliardi di euro. LA COOPERAZIONE SOCIALE IN ITALIA AL 31 DICEMBRE 2001. SITUAZIONE DELLA COOPERAZIONE SOCIALE Numero delle cooperative SUDDIVISIONE DELLA FORZA LAVORO Categorie Numero % Normodotati 142.000 79 Svantaggiati 15.000 8,2 Totale retribuito 157.000 87,2 5.600 Personale retribuito Suddivisione delle cooperative per categoria Tipo Numero % A 3.080 55 Personale non retribuito Volontari 23.000 12,8 B 2.240 40 Personale impegnato Totale impegnato 180.000 100 Misto 280 5 Volume di affari 3,6 miliardi di euro 4 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. 2. Le cooperative sociali: profili economico-aziendali. La cooperativa sociale può essere considerata un istituto economico che si regge su regole di corretto comportamento gestionale (nel rispetto del vincolo di equilibrio economico dinamico, cioè di autosufficienza economica, finanziaria e patrimoniale) orientato, come fine, al perseguimento di una pluralità di obbiettivi di ordine socio– economico. In essa si sostanzia una composizione armonica tra finalità economiche, sociali e competitive. Attraverso la scelta della cooperativa sociale, i cooperatori decidono di destinare l’eventuale remunerazione del loro apporto (fatte salve le esigenze di autofinanziamento e di sviluppo) al perseguimento di obbiettivi definiti e delineati sulla base della loro missione per l’interesse generale. Nella cooperativa sociale l’utile economico è istituzionalmente destinato a diventare utile sociale, attraverso il divieto di distribuzione del surplus e la sua destinazione a finalità d’interesse generale con specifiche clausole che prevedono: la limitata remunerazione del capitale sociale, il divieto di distribuzione delle riserve tra i soci e l’obbligo di devoluzione del 3% degli utili annui e del patrimonio residuo di liquidazione ai Fondi Mutualistici. Le attività svolte dalla cooperativa sociale sono caratterizzate dall’interesse generale e migliorano l’immagine della stessa cooperativa, facilitandone l’accettazione e ponendo valide condizioni per lo sviluppo. La figura tipica di cooperativa sociale si caratterizza, per la sua opera, come impresa finalizzata al raggiungimento di massima efficienza nell’acquisizione delle risorse, nella loro combinazione e nella cessione dei beni e servizi prodotti; si caratterizza nell’impegno alla trasformazione e al superamento dell’obiettivo mutualistico di gruppo verso l’orientamento della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale, attraverso l’impegno alla gestione dei servizi socio sanitari e educativi o della gestione di attività finalizzate all’inserimento nel mondo del lavoro di persone svantaggiate. La cooperativa sociale focalizza la sua missione nell’esercizio di attività economiche finalizzate alla ricerca di condizioni che rispondano a bisogni sociali; alla scelta di rinunciare ad ogni forma di remunerazione di utile ‘avente natura economica di profitto’, destinando il residuo di gestione a finalità di interesse generale. Nelle cooperative sociali gli obiettivi di carattere generale comprendono anche quelli riferiti alla socialità ed economicità del comportamento d’impresa. La socialità (nel senso di capacità di rispondere positivamente alle richieste dell’ambiente) è considerata come il fondamento dell’attività aziendale e del successo imprenditoriale, la missione dell’impresa sociale che si manifesta attraverso l’unitario orientamento strategico di fondo articolato sulla base della coesistenza dei diversi aspetti: mutualistico, imprenditoriale e solidaristico-sociale. IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. 5 3. Aspetti economico-giuridici. Teorie a confronto. La cooperativa sociale, abbiamo detto in precedenza, appartiene alla più ampia categoria delle società cooperative. Il punto di partenza, per una attenta riflessione sulle diverse teorie economiche che cercano di spiegare il fenomeno cooperativistico, è costituito dal dettato legislativo. Secondo l’articolo 2247 del codice civile, “[…] con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Le clausole limitative di distribuzione degli utili e di devoluzione ai fini mutualistici del patrimonio residuo di liquidazione, sembrano creare una sorta di contraddittorietà tra la disciplina generale delle società e il caso specifico delle cooperative sociali. La disputa può essere risolta affermando che le società cooperative sono caratterizzate da uno scopo prevalentemente, ma non esclusivamente mutualistico. Esse possono svolgere anche attività con i terzi; possono cioè fornire anche a terzi le medesime prestazioni che formano oggetto della gestione del servizio a favore dei soci. E l’attività con i terzi della cooperativa può essere finalizzata, ed è di regola finalizzata, alla produzione di utili; può essere cioè attività oggettivamente lucrativa. Incompatibile con lo scopo mutualistico è e resta però l’integrale distribuzione ai soci degli utili prodotti dalla cooperativa. Il punto emerge altrettanto chiaramente dal complesso delle norme che regolano la destinazione degli utili e che si caratterizzano per la previsione di limiti massimi della percentuale di utili distribuibile alle diverse categorie di soci. È cosi disincentivata la partecipazione ad una cooperativa di soci (anche sovventori) animati dal solo intento di ricavare la più alta remunerazione possibile del capitale investito. In definitiva, un freno alla deviazione dallo scopo mutualistico è posto dalla legge, non già impedendo alle cooperative di svolgere attività con terzi produttiva di utili (lucro oggettivo), bensì limitando la distribuzione fra i soci degli utili realizzati (lucro soggettivo). Compresso è, in breve, il lucro soggettivo, non il lucro oggettivo; e per l’ovvia ragione che l’attività anche con terzi è quasi sempre indispensabile per raggiungere i livelli di efficienza e di competitività sul mercato idonei a garantire la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa mutualistica. Dopo aver brevemente descritto il profilo giuridico del ‘sistema cooperativo’, appare opportuno analizzare i tratti caratterizzanti la cooperativa sociale secondo alcuni modelli interpretativi tipici della teoria economica. La teoria economica cerca di individuare vantaggi e svantaggi comparati dell’impresa cooperativa rispetto a quella capitalistica; l’approccio aziendale integra la teoria economica verificando tali vantaggi e svantaggi alla luce dell’analisi delle dinamiche gestionali, e in questo quadro colloca le principali soluzioni interpretative della cooperazione sociale. 6 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. Il giudizio della teoria economica sull’impresa cooperativa come strumento per garantire efficienza produttiva e distributiva è influenzato dalla posizione “classica”, che nega la sua validità come specifica ‘istituzione economica’. Fasi del processo valutativo e decisionale. Teoria economica Approccio aziendale Individua vantaggi e svantaggi della cooperazione sociale rispetto all’impresa capitalistica Analizza vantaggi e svantaggi alla luce delle dinamiche aziendali e identifica le possibili soluzioni Essa sostiene la strutturale inefficienza della cooperativa che determinerebbe livelli di produzione ed occupazione non ottimali per l’assenza del capitalista, e permetterebbe comportamenti opportunistici nei lavoratori-cooperatori. Una delle critiche alla formula cooperativistica si basa sull’incompatibilità tra libera scelta della dimensione aziendale (necessaria per perseguire la massima efficienza) e la coerente applicazione del principio della “porta aperta”, espressione della solidarietà di categoria fondante la stessa cooperativa. Il problema di mantenere la dimensione ottima rispettando il principio della ‘porta aperta’ è stato affrontato nelle cooperative sociali non tanto in riferimento alle economie dimensionali ma alla qualità dei servizi offerti. La soluzione definita è stata l’adozione del modello consortile di crescita per gemmazione, che blocca la crescita dimensionale delle cooperative prevedendo la costituzione di sezioni soci, e la loro scissione per costituirsi in cooperative autonome nel momento in cui l’aumento del numero dei soci e delle dimensioni della cooperativa non permette più di mantenere l’affermata ‘piccola dimensione’. La piccola dimensione della cooperativa sociale è ricercata quale ottima, non tanto per rispettare astratte ‘proporzioni definite’ tra fattori, ma come scelta organizzativa ritenuta necessaria per mantenere relazioni umane significative tra i soci ed attraverso esse, la corresponsabilità degli stessi soci sulla qualità dei servizi, evitando nello stesso tempo la degenerazione del rapporto socio, cooperativa e movimento. Altre questioni classicamente poste dalla teoria economica alla cooperativa, ed originariamente affrontate dalla cooperazione sociale, riguardano il controllo dei comportamenti opportunistici, il trattamento delle asimmetrie informative nelle IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. 7 transazioni riguardanti servizi socio-sanitari e la questione della proprietà della cooperativa, della capitalizzazione delle imprese e del sistema cooperativo complessivo. La prima questione è la maggiore facilità di comportamenti opportunistici nella cooperativa e il pericolo di trasformare la cooperativa in un’impresa capitalistica per controllare tali comportamenti. Si parte dall’osservazione che in una ‘impresa collettiva’ come la cooperativa, la massimizzazione della produzione è insidiata da comportamenti opportunistici dei lavorarori-cooperatori, per cui essi non si impegnano per il gruppo quanto si impegnerebbero per il proprio interesse, causando utilizzi non ottimali dei fattori produttivi, fino a convincere gli stessi cooperatori a conferire ad un soggetto (identificato come monitor) il potere di controllo. Il problema della scelta del livello di prestazione (in termini aziendali diremmo ‘della motivazione e del controllo delle risorse umane’) si sposta però a livello del monitor-dirigente di cooperativa., ancor meno controllabile del cooperatore-lavoratore. Tuttavia, l’unica forma di incentivazione per quest’ultimo appare quella di assegnargli la proprietà del residuo (ossia del risultato differenziale determinato dalla sua azione di controllo sui comportamenti dei cooperatori-lavoratori), provocando la trasformazione della cooperativa in impresa capitalistica, od almeno in cooperativa a conduzione manageriale non controllata dal movimento. Per spezzare la catena degenerativa occorre reperire cooperatori-imprenditori che svolgano il ruolo di monitor e siano disponibili a condividere con gli altri cooperatori la titolarità del residuo che determinano, e mantenere la cooperativa ad una dimensione tale da facilitare controllo e verifica reciproca del livello di prestazione. Questa soluzione, basata sulla presenza del controllo incrociato, richiede lo sviluppo di comportamenti autenticamente ‘cooperativi’ tra i membri, con una crescente identificazione tra obiettivi dei singoli e della cooperativa. Ciò è facilitato dalla stabilità nel tempo del gruppo e dalla ripetizione delle decisioni di incentivazione dei comportamenti cooperativi, che faccia percepire i comportamenti opportunistici vantaggiosi nel breve, ma non nel lungo periodo. La piccola dimensione e la crescita per gemmazione della cooperazione sociale contribuiscono a mantenere elevati livelli di controllo orizzontale e di corresponsabilità sull’attività dell'impresa anche ponendo un maggior numero dei soci nella condizione di ‘cooperatori di prima generazione’, quindi direttamente coinvolti nella gestione della cooperativa. Rimane il problema del controllo del dirigente cooperativo, cui viene chiesto di svolgere efficacemente funzioni di controllo senza acquisire la proprietà del residuo prodotto. Ciò impone di ampliare la riflessione alle motivazioni di cooperatori e dirigenti della cooperazione sociale, ed a proposito di questo, netto è il contrasto tra teoria ed esperienze. La teoria economica ipotizza cooperatori unicamente interessati ad obiettivi economici, mentre la cooperazione sociale propone ai dirigenti un mix in cui gli aspetti economici sono una parte (spesso non prevalente) delle incentivazioni, rispetto ad aspetti non economici e di partecipazione ad un progetto profondamente condiviso: per rendere 8 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. possibile ciò, la condivisione del progetto della cooperazione sociale è richiesta ai futuri dirigenti sin dalla selezione dei soci e continuamente rinforzata da percorsi di formazione. Per esaminare la terza critica dobbiamo collocare le cooperative sociali nel particolare mercato dei servizi socio-sanitari, in cui la presenza di asimmetrie informative determina casi di ‘fallimento’ del mercato. Alcuni contributi sostengono invece un ruolo più efficace delle cooperative sociali in presenza di asimmetrie informative in forza della non distribuibilità degli utili (garanzia per il consumatore in condizione di asimmetria informativa). Occorre però considerare che nelle cooperative il residuo può essere attribuito ai soci non solo mediante la distribuzione di dividendi (ammessi dalla legge, ma spesso esclusi dagli statuti nelle cooperative sociali), ma anche attraverso integrazioni stipendiali od utilità varie (premi di produttività, rimborsi spese) corrisposte al socio in quanto lavoratore, od attraverso una sovraremunerazione del prestito sociale corrisposto al socio in quanto apportatore del capitale di prestito. Il modello del bilancio di esercizio, integrato dal bilancio sociale, tende tuttavia a scoraggiare politiche aziendali di attribuzione dissimulata di quote di residuo ai cooperatori, richiedendo l’integrale comunicazione di ogni utilità attribuita ai soci. Infine, occorre stabilire quali siano le condizioni per garantire sviluppo e consolidamento delle cooperative sociali e del complessivo movimento di fronte alla condizione di ‘proprietà limitata’ dei soci sul valore della cooperativa. In altri termini: se i cooperatori non hanno alcun diritto sul patrimonio della cooperativa (in forza del divieto di distribuzione di utili e di riserve accantonate) incrementato dalla loro rinuncia all’autodistribuzione di tutto il residuo, perché dovrebbero essere disponibili a rinunciare alla sovraremunerazione dei loro apporti per favorire la capitalizzazione di cooperativa e movimento? La risposta può essere data, anche in questo caso, identificando lo sviluppo del movimento cooperativo come obbiettivo, e della singola cooperativa come entità. La cooperativa sociale appartiene al progetto interpretato dal movimento e non alle persone che transitoriamente ne fanno parte, e giudizi di convenienza economica per i soci e per le cooperative nella capitalizzazione sono secondari all’obiettivo strategico di sviluppo della cooperazione sociale. 4. La disciplina giuridica delle cooperative nel decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003. Com’è noto, dal 1° gennaio 2004 è in vigore, con l’approvazione del decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003, la riforma del diritto societario, che ha modificato sensibilmente la normativa riguardante le società di capitali e le società cooperative. Il vecchio articolo 2511 del codice civile stabiliva che “[…] le imprese che hanno scopo mutualistico, possono costituirsi come società cooperativa a responsabilità illimitata o limitata”. Mancava, ad evidenza, una definizione chiara di ‘scopo IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. 9 mutualistico’, anche se la relazione d’accompagnamento del codice civile, ne indica lo scopo prevalente “[…] nel fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che avrebbero ottenuto dal mercato”. In altri termini, si tratta di ricercare, attraverso lo svolgimento di un’attività economica, un vantaggio a favore dei soci che non si può sempre individuare nel conseguimento di un utile patrimoniale, o in ogni modo rappresentativo di ricchezza finanziaria. Tale vantaggio è diverso, in funzione delle differenti tipologie di cooperative ed trova una specifica espressione nel testo dello statuto sociale. Scopo mutualistico, tuttavia, non significa che la cooperativa non deve allinearsi alle regole del mercato. L’impresa in esame è legata, come quella capitalistica, alla competitività, alla concorrenza e alla dimensione aziendale. L’interazione con il mercato, lo svolgimento di attività a favore di non soci, non significa perdere la funzione mutualistica; al contrario, tale rapporto serve per gestire la propria ricchezza e raggiungere un equilibrio economico e finanziario che permette di perseguire lo scopo mutualistico e mantenerlo nel tempo. Obiettivi, questi, che il legislatore ha voluto chiaramente estendere alla cooperativa con la riforma, riconoscendo così un processo che ha visto negli ultimi decenni consolidare la progressiva adesione delle cooperative ad una logica d’impresa, nella convinzione che un’efficace ed un’efficiente attività imprenditoriale sia la condizione migliore per conseguire realmente le finalità mutualistiche dei soci. Con la riforma, le cooperative si ‘sdoppiano’: da un lato, sono disciplinate quelle a “mutualità prevalente”, o costituzionalmente riconosciute; dall’altro lato, “quelle diverse”, o non riconosciute. Il nuovo articolo 2511 le definisce come “Società a capitale variabile con scopo mutualistico”. Anche in questo caso, non viene data una definizione puntuale di scopo mutualistico, che sembra debba rimanere quella della relazione del codice civile del 1942. Neanche del tutto vero è che la nuova normativa non offra nuovi e diversi spunti, che consentano all’interprete di tratteggiare lo scopo mutualistico. Infatti, l’articolo 2512 introduce le cooperative a mutualità prevalente, affermando che si tratta di quelle che: svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori e utenti di beni e servizi; si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività delle prestazioni lavorative dei soci; si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci. Il successivo articolo 2513 introduce poi i criteri per la definizione del concetto di prevalenza, che devono essere documentati dagli amministratori e dai sindaci nella nota integrativa del bilancio. I parametri che devono essere rispettati perché si possa parlare di mutualità prevalente sono i seguenti: 10 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. i ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso i soci devono essere superiori al 50% del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni; il costo del lavoro dei soci deve essere superiore al 50% del totale del costo del lavoro; il costo della produzione per servizi ricevuti da soci, ovvero per beni conferiti da questi ultimi, devono essere rispettivamente superiori al 50% del totale dei costi dei servizi ovvero al costo delle merci o materie prime acquistate o conferite. Le cooperative a mutualità prevalente sono distinte da quelle non riconosciute, anche per l’introduzione nello statuto sociale di particolari clausole di non lucratività, che tracciano una sorta di linea di confine. L’articolo 2514 del codice civile prevede, infatti, l’introduzione delle seguenti clausole: divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato; il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi; il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori; l’obbligo di devoluzione in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Anche l’articolo 2521, primo comma, stabilisce che l’atto costitutivo deve contenere regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica. Le cooperative non riconosciute, pur svolgendo una funzione sociale e godendo degli incentivi previsti per la cooperazione in genere, non usufruiscono di agevolazioni di tipo fiscale. L’ordinamento della società cooperativa è modellato su quello delle società per azioni o, se disposto dall’atto costitutivo, su quello delle società a responsabilità limitata quando la cooperativa ha un numero di soci pari almeno a nove, ma inferiore a venti, oppure quando presenta un attivo patrimoniale non superiore ad un milione di euro2. Le cooperative che invece avranno un numero di soci inferiore a nove, ma superiore a tre, dovranno necessariamente utilizzare la forma della società a responsabilità limitata. Sparisce, in questo modo, la piccola società cooperativa. Le caratteristiche strutturali della cooperativa, che la differenziano dalle altre società, sono quindi: un numero minimo di soci, pari a 9 in tutti i tipi di cooperative3; L’articolo 2516 del codice civile prevede che alle società cooperative si applichino, in ogni caso, le disposizioni riguardanti i conferimenti e le prestazioni accessorie, le assemblee, gli amministratori, i sindaci, i libri sociali, il bilancio e la liquidazione, in quanto compatibili con le disposizione degli articoli 2517 e seguenti e con quelle delle leggi speciali. 3 Tali soci dovevano, un tempo, possedere particolari requisiti soggettivi a proposito della finalità sociale 2 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. 11 la costituzione, che non deve avvenire per sottoscrizione pubblica; la quota di partecipazione di ciascun socio, che non può essere superiore a 100.000 euro, e non può superare i limiti massimi di distribuzione degli utili; ogni socio cooperatore persona fisica ha in assemblea diritto di esercitare un solo voto (voto per teste), qualunque sia la quota di capitale da lui apportata; sono sottoposte a vigilanza dell’autorità governativa al fine di assicurare il regolare funzionamento amministrativo e contabile4; non è previsto il versamento iniziale del 25% dei conferimenti in denaro. La costituzione della cooperativa trova uno dei suoi momenti più espressivi nella predisposizione dell’atto costitutivo e dello statuto. In essi è indicato il contenuto del contratto sociale e le clausole particolari per un’ordinata gestione dell’attività e un corretto rapporto tra i soci. L’articolo 2521 indica gli elementi obbligatori che l’atto costitutivo deve contenere: 1. il cognome, il nome e la denominazione, il luogo o la data di nascita o di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci; 2. la denominazione e il comune ove è posta la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3. l’indicazione specifica dell’oggetto sociale con riferimento ai requisiti e agli interessi dei soci; 4. la quota di capitale sottoscritta da ciascun socio, i versamenti eseguiti e, se il capitale è ripartito in azioni, il loro valore nominale; 5. il valore attribuito ai debiti e ai crediti conferiti in natura; 6. i requisiti e le condizioni per l’ammissione dei soci e il modo e il tempo in cui devono essere eseguiti i conferimenti; 7. le condizioni per l’eventuale recesso e per l’esclusione dei soci; 8. le regole per la ripartizione degli utili, e i criteri per la ripartizione dei ristorni; 9. le forme di convocazione dell’assemblea, in quanto si deroghi alle disposizioni di legge; 10. il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società; 11. il numero dei componenti il collegio sindacale; 12. la nomina dei primi amministratori e sindaci; della cooperativa. L’attuale disciplina ha semplificato tali requisiti, attribuendo all’atto costitutivo, e quindi alla libera autonomia dei soci della società, la definizione degli stessi per essere ammessi nella società, secondo criteri non discriminatori coerenti con lo scopo mutualistico e l’attività economica svolta. L’unico divieto non derogabile è quello della partecipazione alla cooperativa per chi esercita attività concorrenti con quella della stessa. 4 Il sistema di vigilanza delineato dal codice civile conferma la disciplina precedente, contenuta in parte nel codice civile e in parte in leggi speciali. Il controllo, anche alla luce della definizione di mutualità prevalente, è finalizzato a verificare che i soggetti destinatari dello statuto privilegiato, visto il valore sociale della loro attività, possiedano e mantengano nel tempo i requisiti e i presupposti dai quali la legge fa discendere il trattamento privilegiato. 12 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. 13. l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese di costituzione poste a carico della società. L’accertamento dello scopo mutualistico avviene da parte del notaio che esegue i controlli di legalità, e su richiesta dello stesso notaio si ha l’iscrizione nel registro delle imprese, avvenuta la quale, la cooperativa acquista personalità giuridica. Infine, per usufruire delle agevolazioni fiscali, contributive e finanziarie che la legge offre, il presidente della cooperativa deve presentare la domanda d’iscrizione al Registro Prefettizio della provincia dove la società ha sede. La domanda deve essere corredata dalla seguente ulteriore documentazione: copia dell’atto costitutivo e delle successive modifiche intercorse fino al giorno della domanda; elenco nominativo dei soci, contenente per ciascuno di essi, nome, cognome, domicilio, attività professionale e codice fiscale. Tale elenco dovrà essere accompagnato dalla dichiarazione del presidente della cooperativa e del collegio dei sindaci che attesti che tutti i soci hanno i requisiti soggettivi richiesti dalla legge e dallo statuto; elenco nominativo degli amministratori e dei sindaci in carica indicando quale degli amministratori ha la rappresentanza della cooperativa e la firma sociale; copia dei regolamenti interni, se deliberati; certificazione antimafia per ciascuno degli amministratori e sindaci come richiesto dall’articolo 19 della legge 59/1992. Una volta accertato l’adempimento delle formalità richieste dalla legge, il Prefetto, sentito il parere favorevole della commissione provinciale, decreta l’iscrizione della cooperativa nel Registro Prefettizio. 5. La cooperazione sociale in Sardegna. L’economia sociale - vale a dire il fitto tessuto di enti del privato solidale che assumono rilevanza economica - si è diffusa in modo capillare nel territorio regionale, seguendo una dinamica di crescita innescatasi a partire dagli inizi degli anni ottanta e accentuatasi nel decennio appena trascorso. Il settore della cooperazione sociale ha fornito un apporto decisivo a questo processo di sviluppo, dando vita ad importanti forme di partnership con le agenzie pubbliche. FORMA GIURIDICA DELLE ORGANIZZAZIONI. Valori Valori assoluti percentuali Associazione non riconosciuta 76 20,7 Associazione riconosciuta 45 12,4 Cooperativa 229 62,6 Altro 16 4,4 Fonte: Iref 2000. IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. 13 Le organizzazioni non profit nascono per iniziativa autonoma dei cittadini, ossia sembrano trarre origine da iniziative collettive che si manifestano nel tessuto civico locale, attraverso reti spontanee e informali che coinvolgono soggetti diversificati: volontari, operatori, collaboratori, esponenti delle comunità locali, amministratori. Per quanto riguarda gli assetti organizzativi, il non profit sardo mostra un adeguato bilanciamento tra funzioni di governo e funzioni di rappresentanza delle istanze espresse dalla base associativa - dettato dalla presenza diffusa di organi di governo (presidente e consiglio di amministrazione) e di strutture assembleari e di controllo. Il canale attraverso cui si sostanzia la partecipazione democratica e la possibilità di prender parte ai processi decisionali nelle cooperative consiste nel turnover ricorrente delle cariche dirigenziali, che permette di controllare l'andamento dell'attività di governo alla scadenza del mandato. La diversificazione delle attività, aumento del bacino degli utenti, innalzamento della qualità delle prestazioni rese e dei fatturati, hanno posto il settore non profit sardo in rapido sviluppo: esso si è trasformato in un giacimento ricco di occupazione, dal momento che in una quota rilevante delle organizzazioni si vede un incremento dell'indicatore riguardante gli addetti remunerati. Le strategie che permettono di alimentare prestazioni, iniziative, esperienze rispondenti alle domande che vanno diffondendosi nella società civile sono: la richiesta di servizi sociali e sanitari personalizzati, esenti da vincoli burocratici di frequente imposti dalle agenzie pubbliche; la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, nella ottica della promozione delle vocazioni del territorio regionale; la costruzione di percorsi di inserimento sociale per una vasta platea di soggetti svantaggiati (minori in condizioni di disagio, ex detenuti, portatori di handicap, giovani e donne in condizioni di precarietà economica). In tutti questi casi, l’economia sociale crea opportunità di lavoro poiché innesca circuiti virtuosi tra domanda e offerta, tra l’esigenza di ridurre le fratture sociali, economiche e culturali che prendono corpo nel tardo - capitalismo e il bisogno di proporre framework progettuali idonei a segnare una prospettiva alternativa di sviluppo, una visione che inverte il ciclo di creazione del valore a differenza delle organizzazioni economiche che operano sui mercati tradizionali: le imprese sociali creano, infatti, valore aggiunto (dal punto di vista economico) a partire da dinamiche di socialità e non viceversa. Quanto detto produce una serie di effetti positivi di ordine economico e ciò è emerso in modo particolare dall’analisi di tre dinamiche in atto nel settore non lucrativo sardo: il 50% delle organizzazioni non profit sardo domanda nuovo personale, per un valore stimato di circa 2000 unità; le richieste di risorse umane, ancora una volta, si concentrano nell’area delle mansioni di servizio: gestione degli interventi a beneficio dell’utenza, formazione di operatori sociali, coordinamento delle attività svolte sul campo; in più di un quinto degli enti non profit, l’attività volontaria si trasforma in lavoro retribuito. 14 IL TERZO SETTORE: LE COOPERATIVE SOCIALI. A questo proposito, infatti, il turnover degli occupati è positivo e tende ad assumere valori più elevati nelle cooperative sociali e nelle fondazioni. Nell’insieme, quindi, il ‘terzo settore’ sardo è un attore rilevante delle dinamiche di sviluppo locale. Una comunità di soggetti che allarga sempre di più il suo raggio di azione, poiché in essa confluiscono due fenomeni di spinta: l'attivazione di processi, assetti organizzativi e rapporti ambientali (con le agenzie pubbliche) che favoriscono la nascita di strategie solidali centrate sulla persona, l’avvio e il consolidamento di imprese sociali ad alta intensità di impiego, giacché le attività di interesse collettivo si strutturano (in prevalenza) attorno al medium del lavoro sociale (relazionale) e non a quello delle tecnologie, più o meno sofisticate. ***** Il dato relativo alla presenza quantitativa di cooperative sociali in Sardegna è il risultato della comparazione degli elenchi contenenti le iscrizioni ai vari registri: Regionale (legge regionale 16/1997 e legge regionale 4/1988); Direzione del lavoro; Prefettizio (VIII sezione); Associazioni di rappresentanza (Federsolidarietà, Legacoop, Unci). Delle 471 cooperative sociali iscritte all’albo regionale: 107 (23%), sono Piccole Società Cooperative; 354 (75%), sono cooperative di tipo A; 100 (21%), sono cooperative di tipo B; 9 (2%), sono consorzi; 301 risultano iscritte anche alla legge regionale 4/1988. Le cooperative sociali: i numeri regionali (febbraio 2003)5. Totale Altre PROVINCIA Tipo Tipo Tipo Miste Non Cooperative Cooperative Totale A B C specificate iscritte non iscritte l.r. 16/1997 l.r. 16/1997 Cagliari 145 56 4 2 2 209 37 246 Nuoro 77 8 1 - 1 87 5 92 Oristano 48 10 2 - 1 61 5 66 Sassari 84 26 2 1 1 114 32 146 TOTALE 354 100 9 3 5 471 79 550 Presentazione dei risultati della ricerca realizzata all’interno della misura 3.10 FSE – POR Sardegna 20002006, Limiti, potenzialità e prospettive di sviluppo del sistema imprenditoriale nella gestione dei servizi per i minori, Advertere S.r.l.. 5